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SOS GENITORI MIO FIGLIO E I VIDEOGIOCHI…

A cura della 
Dott.ssa Giulia Miglietta 

Psicologa - Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico socio-costruttivista 

Taviano (Lecce) 

 

Negli ultimi anni, e ancora di più in seguito al periodo di limitazioni sociali causa emergenza sanitaria, sono sempre più numerosi i bambini e i ragazzi che si appassionano ai videogiochi e che vengono come “catturati” dagli schermi, trascorrendo moltissime ore, anche consecutive, a giocare. Da riconoscere poi che i videogiochi si sono enormemente evoluti dal punto di vista tecnologico, con ambientazioni sempre più realistiche e modalità interattive che permettono di giocare online con amici o sconosciuti di tutto il mondo. Dall’altra parte ci sono i genitori, molti dei quali si preoccupano nel vedere i figli trascorrere tanto del loro tempo davanti a tali “aggeggi”, sono spaventati dal loro comportamento e a volte, anche dalle reazioni esagerate che hanno davanti ai tentativi di interrompere il gioco, temono si possa sviluppare una “dipendenza” o che si possa apprendere dalle immagini di violenza presenti in gran parte dei giochi o che possano tali abitudini alterare l’umore e il comportamento del proprio figlio.

Sfatiamo ora una falsa credenza. L’uso dei videogiochi non è di per sé nocivo come troppo spesso si crede. Anzi, può favorire una serie di abilità cognitive, come il problem solving (capacità di risoluzione dei problemi), l’attenzione prolungata e la reattività. Un uso adeguato dei videogiochi può far parte tranquillamente della crescita di un bambino. Dunque, se vostro figlio riesce a portare a termine i compiti scolastici, le attività extrascolastiche, pratica attività sportive o hobby e ha relazioni amicali non esclusivamente virtuali, non ci si deve preoccupare del tempo che passa davanti ad un videogioco perché questo può rappresentare una semplice passione, un piacevole passatempo. Va chiarito che non ci si trasforma in soggetti violenti a causa di un videogioco! Soltanto in caso di abuso, quando il gioco diventa pervasivo al punto da configurarsi come compensatorio o sostitutivo della realtà si possono determinare le condizioni per uno sviluppo di una “gaming addiction”. Il videogioco, dunque, può andare ad interferire sullo sviluppo di comportamenti aggressivi o più in generale disadattivi quando c’è un forte uso, quando sono presenti condizioni individuali e contestuali di vulnerabilità e fragilità pregresse. Il disagio/dipendenza si manifesta quando il videogioco arriva a sostituire i momenti dedicati alle attività quotidiane, riducendo significativamente le relazioni e favorendo l’alienazione con un condizionamento da un punto di vista emotivo e comportamentale. La realtà virtuale può rappresentare in questi casi, soprattutto nei momenti di frustrazione, un’evasione dalla quotidianità poiché offre la possibilità di sperimentare emozioni e sensazioni nuove, di identificarsi con i personaggi, di evitare vissuti di noia, incapacità o inutilità.

È dunque importante riconoscere specifici campanelli d’allarme che possono far pensare allo sviluppo di una condizione patologica, determinati non solo dalla quantità di ore trascorse davanti al videogioco, ma da una serie di cambiamenti che modificano lo stile di vita, sovvertendo la quotidianità dei figli.

FIGLIO E VIDEOGIOCHI

Tali segnali allarmanti si hanno quando i bambini/ragazzi diventano apatici, irrequieti e irritabili, modificano le abitudini alimentari, di igiene personale, alterano i ritmi del sonno, giocano di nascosto, litigano spesso con i familiari, hanno esplosioni di rabbia nell’interruzione  della partita, trascurano la scuola, gli hobby e le relazioni, presentano sintomi fisici come mal di testa, mal di schiena, disturbi della vista o altri sintomi non riconducibili a problematiche di natura organica. Non è sufficiente che uno solo o una combinazione di alcuni di questi segnali si rintraccino per lanciare l’“allarme dipendenza”.

Bisogna tranquillizzare i genitori poiché il circuito della dipendenza non si innesca certamente in modo improvviso e non si diventa dipendenti da un giorno all’altro poiché tale condizione complessa si instaura nel tempo in modo graduale, si tratta di un avvicinamento lento e progressivo che tende poi a strutturarsi.

Un fattore fondamentale è poi l’apprendimento indiretto dentro e fuori le mura domestiche, di fatti sono tanti i bambini che crescono con l’immagine dei propri genitori regolarmente connessi a tablet e smartphone. Questa immagine si presta ad essere un imprinting negativo, che va a rinforzare una condotta di uso distorto tanto che nel tempo e nel corso della crescita l'uso continuativo degli strumenti tecnologici, anche nel quotidiano, diventa sempre più naturale e automatico, oseremmo dire “familiare”. L’adulto è così veicolo di un modello educativo disfunzionale, oltre che un modello incoerente dal momento che vieta ciò che agisce.

A proposito delle “esplosioni di rabbia”, nel momento in cui il bambino deve "uscire" da un videogioco per studiare, mangiare o andare a dormire, si dà a volte vita ad un braccio di ferro estenuante tra genitore e figlio. Ma perché è così difficile convincerli a smettere? Il motivo ha poco a che fare con una fantomatica psicopatologia. Piuttosto, la spiegazione è in parte di carattere neurologico: come spiega un articolo pubblicato sul Wall Street Journal, la corteccia prefrontale, ossia la parte del cervello deputata alla gestione degli impulsi e coinvolta nei processi decisionali, non è completamente sviluppata fino ai 25 anni. Secondo Nora Volkow, direttrice del National Institute on Drug Abuse (Usa), il nostro cervello è programmato per cercare appagamento: potrebbe spingerci a cercare cibo per giorni, finché non lo troviamo e non riusciamo a saziarci. Essere costretti a interrompere un videogame prima di aver completato un livello è un po’ come vedersi sottrarre una fetta di torta dal piatto prima di essere arrivati a metà: la differenza è che la torta a un certo punto finisce, placando il nostro appetito mentre i videogame sono concepiti per offrire piccole ricompense intermittenti e non conclusive, che costringono a continuare a volte anche per giorni. Secondo Chris Ferguson, psicologo esperto di videogame della Stetson University (Florida), il senso di anticipazione generato dai videogiochi comporta un aumento del 75% della dopamina (un neurotrasmettitore che ha effetti sull'umore) rispetto ai livelli base. Oltretutto, studi scientifici dimostrano che i livelli di dopamina associati al gioco aumentano all'aumentare delle abilità del giocatore. Tuttavia, se gli adulti possiedono in genere abilità di ragionamento tali da ignorare il surplus di dopamina e passare a un'altra attività, non necessariamente altrettanto appagante, per la corteccia prefrontale immatura di bambini e adolescenti questo è un compito troppo gravoso. Insomma, «non c'è alcun motivo per cui un bambino decida di smettere di giocare, a meno che non ci sia un'altra esperienza più gratificante ad attenderlo», afferma Marc Palaus, neuroscienziato cognitivo.

È necessario puntualizzare che, qualora ci fosse un abuso preoccupante dei videogiochi, è spesso la punta dell’iceberg di una difficoltà più profonda, non è la causa del problema ma una sua espressione. Per questa ragione bisogna comprendere cosa si nasconde dietro tali atteggiamenti, quali sono i bisogni che i figli cercano di compensare giocando, dallo svago, alla condivisione, alle relazioni, alla ricerca di sensazioni, allo scarico di tensione, fino all’evasione dalla realtà e al bisogno di sperimentare self efficacy, ovvero autostima.  Dietro ad una eventuale dipendenza c’è sempre un importante problema emotivo di fondo che necessita di essere esplorato e compreso.

La vera sfida per un genitore non sta nel vietare assolutamente i videogiochi, ma nell’aiutare il figlio a bilanciare le proprie attività di svago e ad essere consapevole del valore del tempo che ha a disposizione. Bisogna affrontare e contenere la rabbia e la frustrazione dei figli, facendo loro capire i rischi di un abuso dai videogiochi e aiutandoli sempre a mantenere il contatto con la realtà. Attenzionarli, cogliendo ogni tipo di segnale, mantenendo un dialogo sempre aperto a comprendere ciò che i loro bambini/ragazzi stanno vivendo, questa è la componente fondamentale per sostenerli e aiutarli.
In sostanza, non è utile demonizzare la tecnologia, se non altro perché nella “logica dell’inconscio” si desidera ancor di più ciò che viene proibito andando a rafforzare la desiderabilità dell’oggetto, ma è utile incentivare il bambino ad un uso responsabile e a intervallare il tempo trascorso davanti agli schermi con giochi insieme a coetanei, in modo che possa entrare in contatto con esperienze emotive in vivo. La valenza positiva o negativa della tecnologia nella crescita dei bambini dipende, dunque, dalla qualità e dai contenuti, oltre che dalla quantità del tempo trascorso davanti allo schermo del videogame.
Se si vuole “disintossicare” un bambino dai videogiochi è consigliato sollecitarlo a organizzare occasioni per interagire con i coetanei fuori dal mondo virtuale. Le relazioni tecno-mediate non devono mai sostituire quelle fisiche, sebbene la tecnologia faccia parte della nostra vita dobbiamo pensare a come guidare i più piccoli ad integrarla nella vita “reale”.

Tendiamo sempre verso ciò che è proibito e desideriamo quello che ci è negato”. (Ovidio)

Riferimenti Bibliografici

Triberti S., Argenton L. (2015). Psicologia dei videogiochi. Come i mondi virtuali influenzano mente e comportamento. Maggioli Editore.

 

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