11 Novembre 2024
Labirinto colorato con un bambino seduto al centro

La comunicazione emotiva e sociale nell’autismo tra speranze e progettualità concrete

A cura della Dott.ssa Giuseppina Murciano   
Psicologa e vice-presidente di AngsaLecce

Questo articolo traccia, per grandi linee, la situazione attuale dello spettro autistico, cercando di unificare gli ambiti fondamentali, ossia il sistema familiare, scolastico e sanitario. Ogni ambito ha una sua complessa rilevanza, ma solo in sinergia comune si può concretizzare un approccio essenziale, per soddisfare al meglio un bisogno molto ampio, che copre un intero arco di esistenza. Gli orizzonti di senso e le nuove prospettive esistenziali possono così emergere, alla luce di approfondite conoscenze e scelte di Vita.

 


indice

 

Introduzione

Il termine autismo spesso viene utilizzato molto genericamente per definire una chiusura verso l’esterno, senza possibilità di contatto.
Raccontare l’autismo è un’impresa ardua; i linguaggi letterari e cinematografici ci forniscono rappresentazioni non sempre corrispondenti alla realtà intera.
In effetti non è semplice inquadrare un “mondo” così complesso, spesso le visioni sono parziali o riflettono solo alcuni aspetti.
Non esiste un solo autismo, infatti: si parla di spettro, proprio perché racchiude in sé un insieme di condizioni differenti, ovvero diversi livelli di gravità e differenti tipologie, che però hanno in comune la sfera della comunicazione e delle relazioni sociali.
Poi, al disturbo dello spettro autistico non sempre è associata una disabilità intellettiva; già questo criterio diversifica l’approccio da personalizzare, a seconda delle caratteristiche specifiche, appunto.
Un’altra premessa importante da precisare è l’affermazione che l’autismo non sia una malattia o una condizione psichiatrica.

L’autismo è un disturbo del neurosviluppo associato alla presenza di modificazioni comportamentali, in un continuum che va dalla diminuzione delle interazioni sociali, alle attività e agli interessi ristretti e ripetitivi e alla riduzione della comunicazione.
Quindi, dall’autismo non si guarisce, ma si apprende una modalità di esistenza consona alle singole caratteristiche, nelle varie forme personali e sociali.

Anche per quanto riguarda l’eziologia, non esiste una sola causa (genetica o ambientale) che determina l’AUTISMO, ma sicuramente è il risultato di una combinazione di effetti, prodotti da migliaia di differenze e mutazioni genetiche.
Pertanto, se pure esistono caratteristiche comuni, ogni persona con autismo è diversa, unica e irripetibile, proprio per la complessità eziologica.

Il professore Francesco Barale, ordinario di Psichiatria e direttore del Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia, per descrivere la comunità scientifica alle prese con lo spettro autistico, ha utilizzato una metafora molto significativa: "esploratori nani e ciechi che cercano di capire al tatto, ciascuno tastando un pezzettino, cosa sia l’elefante..”(2002)
Un solo tassello, ripeto e sottolineo, non basta per approcciarsi all’autismo; è necessaria una conoscenza approfondita e integrata da vari supporti scientifici (medico, psicologico, educativo) e da adeguate metodologie di intervento, soprattutto in ambito scolastico, dove la didattica personalizzata è alla base di un percorso formativo.

La diversità è una risorsa, un “pieno di alternative”, come racconta la scrittrice Michela Murgia, e come confermano tanti studiosi; la diversità arricchisce l’identità grazie ad esperienze di vita, fatte di relazioni preziose e di scambi reciproci.
Una Persona con autismo è capace di dare, non solo di ricevere.
Basta mettersi all’ascolto, senza paure o limitati pregiudizi.
Esiste prima la Persona, nel suo mistero da scoprire, con un ascolto profondo ed empatico.
Esiste la Bellezza di un incontro reale e unico.
Questo presupposto è la base su cui fondare una dignitosa prospettiva di vita, in ambito personale e sociale.
Il sistema scolastico è uno dei pilastri su cui si basa tale prospettiva, per le competenze che fornisce, ma soprattutto per il grande bagaglio di esperienze relazionali e comunicative che offre, a livello evolutivo di crescita umana.

 

Un po’ di storia… le origini

Il concetto clinico di autismo inizia ad emergere nella ricerca scientifica nel XIX secolo, quando John Langdon Down (che scoprì nel 1862 la sindrome che porta il suo nome) approfondì alcune manifestazioni, che oggi verrebbero classificate come autismo e Ludwig Binswanger per il quale “l’autismo consiste nel distacco dalla realtà, insieme con una prevalenza più o meno marcata della vita interiore” (intervento al 5th Congress Autism-Europe).

L’origine terminologica deriva dal greco aùtos, che significa stesso, introdotto dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler nel 1915, in riferimento ad un sintomo comportamentale della schizofrenia sui lavori precedentemente svolti da Emil Kraepelin.
Nell’antichità, soprattutto nel folklore europeo, l’autismo veniva attribuito alla presenza delle fate, che di nascosto sostituivano i propri figli con i neonati umani.
Nel 1938 un pediatra austriaco Hans Asperger utilizzò per la prima volta il termine autismo, descrivendo la storia clinica di soggetti affetti da disturbo; il suo modello di comportamento ebbe grande rilievo nella comunità scientifica solo anni dopo la sua morte, e fu denominato proprio “sindrome di Asperger”.
Asperger aveva proseguito la sua analisi, indicando correttamente il percorso per scoprire le possibili cause, ma soprattutto è stato importante il suo lavoro nell’ambito dell’intervento riabilitativo, da lui definito “pedagogia curativa”.

Nonostante nei decenni passati le scoperte di Asperger abbiano goduto di una certa fortuna, nell'ultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM 5, 2013) la "sindrome di Asperger" non figura più ed è sostituita dal "Disturbo dello spettro dell'autismo".

La prima diagnosi di autismo fu effettuata, ancor prima, dalla psicoanalista Melanie Klein che negli anni ’30 descrisse in questi termini un caso di psicosi infantile.
Nel 1943 si passò ad indicare una specifica sindrome patologica ad opera di Leo Kanner, uno psichiatra austriaco naturalizzato statunitense, che parlò di autismo infantile precoce.
Kanner in un primo momento ipotizzò che l’autismo fosse causato da una situazione di distacco emotivo da parte di una madre appartenente all’alta borghesia, troppo attenta a sè stessa e poco al figlio; in seguito dovette ricredersi, in quanto l’autismo era diffuso anche tra le classi meno abbienti, e quindi incapaci di pagarsi le ingenti spese sanitarie.
Nel 1969 fece un passo indietro e durante la prima assemblea della National Society for Autistic Children (oggi conosciuta come Autism Society of America) rivide la sua ipotesi, deresponsabilizzando i genitori in merito all’insorgenza del disturbo.
Kanner non tentò mai di dare una spiegazione biologica all’autismo, nonostante lo ritenesse un disturbo innato del contatto affettivo; egli considerava l'autismo come un profondo disturbo emotivo, che non influiva sulla cognizione.
In sintesi, nella visione di Kanner, la caratteristica essenziale dell’autismo era l’incapacità di relazionarsi del bambino.

Erich Schopler successe a Kanner alla guida della rivista Journal of Autism e fu tra i primi a contestare l’ipotesi di un’origine emotiva dell’autismo, causata da un ipotetico rapporto freddo e inadeguato con la madre, superando le visioni ristrette anche di altri autori che a cavallo fra gli anni ’60 e ’80 si occuparono di casi autistici, come Margareth Mahler, Bruno Bettelheim e Frances Tustin.
Alla fine degli anni ’60 Bruno Bettelheim aveva pubblicato il testo “La fortezza vuota”, presentando la madre come unica responsabile della disabilità del figlio e proponendo come terapia efficace l’allontanamento del figlio dalla famiglia.
Eppure nel 1951 le psicoanaliste Anna Freud e Sophie Dann già avevano dimostrato, con un’indagine sui bambini usciti vivi dai campi di concentramento nazisti, alla fine della seconda guerra mondiale, che neppure condizioni così estreme di privazione affettiva avevano indotto patologie autistiche.
Questa teoria è accettata in toto al giorno d’oggi, considerando l’autismo come una condizione neurologica, ma all’epoca venne completamente ignorata, in quanto dominava la falsa ipotesi della “madre frigorifero”.

Dobbiamo attendere la fine degli anni ’80 per vedere tramontare le teorie psicodinamiche che colpevolizzavano i genitori; nel 1985 nasce ANGSA, l’Associazione Nazionale Genitori PerSone con Autismo che sul territorio agisce nelle varie sedi e difende i diritti delle persone con autismo e delle loro famiglie, attraverso la promozione di corsi formativi e informazioni corrette, diventando così un punto di riferimento anche per i professionisti, che iniziano sempre di più ad accogliere teorie organicistiche.

Di strada se ne è percorsa tanta, per superare la “cecità degli esploratori di elefanti”, fino ad arrivare alla data cruciale del 25 ottobre 2011 in cui è stata pubblicata dall’Istituto Superiore di Sanità la Linea Guida n.21; qui si trovano tutte le indicazioni degli interventi dimostrati efficaci a livello scientifico (quelli basati sul metodo ABA) e anche quelli sconsigliati perché rischiosi.

Qualche anno prima, nel 2005 il terreno era stato preparato dalla pubblicazione delle Linee guida sull’autismo dalla SINPSIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva), con le indicazioni precise su caratteristiche del disturbo, criteri diagnostici, linee guida per lo screening e il trattamento.

 

Ma … che cos’è l’autismo?

Ripeto la definizione: l’autismo è un DISTURBO DEL NEUROSVILUPPO, che compromette le aree sociali e della comunicazione, provocando una ristrettezza di interessi, che si esprime attraverso comportamenti rituali e movimenti stereotipati e ripetitivi.

Come abbiamo accennato, parlare di autismo non è propriamente corretto: è meglio riferirsi a DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO, in quanto appunto esistono molte differenze; per esempio, un primo importante fattore che caratterizza la tipologia dell’autismo, soprattutto per le prospettive future, è il livello cognitivo.
La qualità di vita di una persona autistica, le aspettative e i progetti che si possono costruire, cambiano notevolmente se la forma di autismo è associata ad un deficit intellettivo (autismo a basso funzionamento), oppure ad un livello intellettivo nella norma (autismo ad alto funzionamento).

L’altro criterio importante è il grado di acquisizione del linguaggio e il conseguente sviluppo della comunicazione sociale.
Alle serie alterazioni del comportamento, della comunicazione e della interazione sociale si associano altre caratteristiche, quali la difficoltà nel gioco simbolico, nella comprensione degli stati d’animo altrui, e particolari strategie “fisse” utilizzate per l’apprendimento.

Si stima che l’autismo colpisca tre bambini ogni mille nella sua forma tipica e sei bambini su mille nelle forme meno tipiche (Fombonne e al. Epidemiology og autistic disorder and other pervasive developmental disorder, “Journal of Clinical Psychitry”, vol.36, pagg 1365-1382).

Il rapporto tra maschi e femmine è di 4 a 1 (media mondiale).
Le linee guida per l’autismo della SINPSIA parlano di “sindrome comportamentale" causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con esordio intorno ai tre anni, ma i casi più gravi possono essere diagnosticati già a 18 mesi.
Ad oggi non esistono test fisiologici o esami di laboratorio in grado di determinare se una persona sia affetta di autismo, per cui la diagnosi può essere confermata in presenza di un certo numero di comportamenti caratteristici.

Quindi, “le aree maggiormente colpite sono quelle relative all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri” (SINPSIA,2005).
La comunicazione è alterata, in quanto l’interazione con l’ambiente è molto limitata dai comportamenti rigidi, stereotipati e ripetitivi, che diventano a volte disfunzionali e autolesionistici (mordersi le mani, picchiare la testa...) fino al sopraggiungere di problemi legati al sonno e all’alimentazione.
Spesso si manifestano comportamenti disfunzionali anche a causa di un’alterazione della percezione sensoriale. (ipo o ipersensibilità).
Alcune persone autistiche, per esempio, possono stare molto sulla difensiva dal punto di vista tattile ed evitano qualsiasi forma di contatto corporeo; altre invece hanno poca o nessuna sensibilità al dolore. Altre possono desiderare continuamente una forte pressione corporea (abbracci continui).
Un altro esempio sensoriale è l’ipersensibilità uditiva: circa il 40% degli individui autistici prova un forte disagio, quando è esposto a certi suoni e frequenze; spesso si coprono le orecchie proprio per attutire la forte sovraesposizione ai rumori.

Nell’area cognitiva, come già ribadito, è molto difficile la comprensione empatica, in quanto le persone autistiche non comprendono appunto che altri possano avere pensieri, piani e prospettive diverse dalle loro; circa il 10% hanno abilità fuori dalla norma, con speciali talenti nelle arti e nel calcolo matematico.

Il linguaggio può risultare assente, limitato con ripetizioni di frasi o parole (ecolalia), oppure con grandi capacità linguistiche, se pure bizzarre e poco corrispondenti con la realtà.
L’attenzione molto ristretta è dovuta alla sovra selettività dello stimolo; la concentrazione è spesso focalizzata su un solo, spesso irrilevante, aspetto di un oggetto. Per esempio, possono concentrarsi solo sul colore di un utensile, ignorandone la forma, di conseguenza hanno più difficoltà ad apprendere la funzionalità di un oggetto all’interno del proprio ambiente.

Il DSM-5, il Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, redatto dall’Associazione Americana degli Psichiatri, è lo strumento più utilizzato per catalogare e individuare i disturbi mentali.
Nell’ultima edizione del 2013 la classificazione dell’autismo è appunto cambiata; se prima era collocato nei disturbi pervasivi dello sviluppo, le precedenti sottocategorie dei disturbi pervasivi o generalizzati dello sviluppo sono state eliminate e tutto viene unificato nella definizione di spettro autistico, per sottolineare l’eterogeneità del disturbo e indicare un continuum in cui ciascun individuo presenta le proprie specificità.
Inoltre il DSM-5 ha modificato i criteri diagnostici, passando dai tre precedenti (interazione sociale, comunicazione e interessi) ai due criteri nuovi (comunicazione sociale e interessi).
Non sono più presenti le diagnosi di Sindrome di Asperger, Sindrome di Rett e disturbo disintegrativo.
Il DSM-5 parla inoltre di livelli di gravità, introducendo i criteri di lieve, moderato e forte bisogno di supporto e anche il disturbo sintomatologico della comunicazione sociale è incluso nella categoria dei disturbi del linguaggio.
I cambiamenti introdotti nel DSM-5 sono molto significativi, e ci aiutano a riflettere meglio sulle conoscenze attuali dell’autismo, per inquadrare la condizione nel migliore dei modi possibili; grazie ad uno screening precoce e alla collaborazione dei genitori si può arrivare fin da subito ad una prospettiva chiara ed efficace dei percorsi di cura e intervento della scuola e della famiglia.

Possibili cause
Per la ricerca scientifica l’autismo è ancora oggi un mistero: ipotesi biologiche, genetiche e cognitive si confondono ma senza arrivare ad una completa definizione.
Sappiamo che non esiste una causa unica; in quanto ha varie forme è conseguenza di una varietà di problemi.
Essendo una sindrome, quindi con un insieme di sintomi, può essere provocata da molteplici affezioni celebrali, che intervengono in età molto precoce e compromettono il normale sviluppo e funzionamento del Sistema Nervoso Centrale.
Oggi vi è ormai la certezza che l’autismo abbia origine da una componente biologica costituzionale, che determina la grave compromissione della relazione interpersonale.
L’ipotesi genetica è una delle più accreditate; il cervello delle persone autistiche è stato analizzato in molti modi, soprattutto tramite metodiche strumentali come la risonanza magnetica.
In seguito a tali studi morfologici del Sistema Nervoso Centrale, si è rafforzata la convinzione che l’autismo è un disturbo che non riguarda una singola area celebrale, ma rappresenta una difficoltà di connessione tra aree diverse.
E’ stato possibile anche registrare anomalie nel funzionamento di aree celebrali quali il sistema limbico e il cervelletto, che nelle persone autistiche fanno registrare minore attività.
Anche l’elettroencefalogramma, la registrazione dell’attività elettrica dell’encefalo, è un ottimo strumento di analisi dei disturbi neurobiologici dei soggetti autistici; infatti l’EEG risulta alterato, più nel sonno che nella veglia.
Grazie all’uso di queste analisi radiografiche, con la scoperta dei neuroni a specchio, ci sono stati degli ulteriori progressi nello studio delle aree cerebrali: Dario Ianes e Michele Zappella, docenti universitari ed esperti della didattica e del sistema scolastico, mettendo in relazione la maturazione relazionale con le esperienze senso-motorie dell’individuo hanno rilevato come i neuroni a specchio presentino condizioni anomale nei soggetti con disturbi dell’apprendimento. (Ianes, Zappella 2012)
Sulle cause dell’autismo sono state formulate anche ipotesi ormonali, in cui si sostiene che tale disturbo sia una sorta di estremizzazione del cervello maschile, riconducibile alla presenza di alti livelli di testosterone, ormone maschile per eccellenza, già in epoca fetale.
Questo dato potrebbe anche spiegare la prevalenza del genere maschile tra gli individui autistici, in misura da tre a 4 volte superiore rispetto alle femmine. (SINPSIA, 2005)
Le ricerche genetiche tentano di attribuire le cause dell’autismo ad uno specifico gene, ma ancora non ci sono conferme sperimentali; esiste però una serie di geni vulnerabili, con funzioni diversificate, dalla cui interazione si realizza una trama, che può contribuire alla comparsa dello spettro autistico.
Studi recenti sulle basi genetiche dell’autismo, con la tecnica del sequenziamento del DNA, hanno identificato 100 geni di cui 30 associati a forme di disturbo autistico.
Sono tutti geni coinvolti nella comunicazione tra neuroni, che sono colpiti da mutazioni casuali e non ereditate, avvenute nelle cellule riproduttive.
Quindi, se la trama di geni diversi, combinandosi fra loro, porta ad uno stato di deficit, si può ipotizzare che tutti gli esseri viventi siano vulnerabili all’autismo; forse anche per questo è molto difficile circoscrivere soltanto le cause biologiche.
Se esiste una vulnerabilità è prezioso allora comprendere e contenere più ambiti di ricerca, integrando i meccanismi neurobiologici e geneticamente preordinati con l’importanza dei fattori ambientali.

Ci sono anche le ipotesi suggestive, ma con poco rilievo scientifico, che attribuiscono la causa dell’autismo a vaccini, contaminanti ambientali e alimenti. Tutti gli studi pubblicati sulle più prestigiose riviste internazionali confermano come tale nesso sia casuale, e non causale.
Ciò non toglie, come ribadito, che siano molto importanti gli studi sul ruolo dell’ambiente nel determinare la qualità di vita; sull’alimentazione per mantenere sano il microbiota intestinale e tutto ciò che riguarda l’asse intestino-cervello, per far sì che possa migliorare una situazione molto complessa, che porta con sé un estremo bisogno di cure precoci e trattamenti efficaci.


Il ruolo della scuola e le linee guida

La Costituzione della Repubblica Italiana nel 1948 sancisce l’uguaglianza, il diritto-dovere all’istruzione, la parità scolastica, il diritto allo studio e l’istruzione obbligatoria fino a 8 anni, dando allo Stato il potere di fornire ogni possibilità formativa a tutti i cittadini.
Iniziamo a parlare di integrazione scolastica degli alunni diversamente abili nel 1975 con la relazione Falcucci, che finalmente stabilisce che l’istruzione dell’obbligo degli alunni in situazione di handicap debba avvenire nelle classi normali della scuola pubblica.
Non più divisioni, ma ricerca di nuovi modi di insegnare, collegati soprattutto alla preparazione e all’aggiornamento degli insegnanti, attraverso strumenti nuovi di sperimentazione, ricerca e programmazione.
Altra tappa importante è la legge quadro n.104 del 1992 dove si ribadisce il diritto allo studio e all’istruzione.
L’integrazione scolastica intende sviluppare le potenzialità della persona diversamente abile e il diritto all’istruzione e all’educazione non può essere impedito dalle difficoltà di apprendimento, né tantomeno da altre difficoltà connesse alla disabilità.
A livello legislativo, quindi, è necessario premettere che non esistono norme riguardanti esclusivamente i soggetti autistici, per cui ad essi vengono applicate tutte le norme che in generale riguardano l’handicap.
L’handicap fisico e mentale è definito a livello normativo come "una situazione di svantaggio sociale, per la quale la persona presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, relazione o integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.
Il termine disabilità nel tempo ha avuto diversi significati: all’inizio prevalse il modello medico, per cui il disabile aveva limitazioni funzionali; in seguito la disabilità si riferirà alle barriere ambientali e agli schemi mentali che procurano forme disabilitanti (modello sociale).


Processo di integrazione scolastica

L’Organizzazione Mondiale della Sanità propone nel 2001 il modello bio-psico-sociale, che introduce la Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute (ICF 2001).
Il cambiamento di prospettiva nella disabilità con l’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) è fondamentale e si evince dai suoi principi base, quali l’universalismo, l’approccio integrato e il modello interattivo e multidimensionale del funzionamento e della disabilità.
Sostanzialmente questo nuovo modello coglie in modo olistico tutte le interazioni dinamiche e reciproche tra l’individuo e l’ambiente, nei suoi aspetti medico-biologico, psicologico e socio-ambientale.
Il radicale cambiamento sta nella considerazione preziosa delle differenze (normale specialità) da considerare come risorse per l’educazione e valorizzandole attraverso nuovi sistemi educativi, che sappiano individuare i bisogni (individualizzazione) e differenziare le risposte (personalizzazione).

Quindi, in altri termini, inclusione pienamente realizzata non significa dare un posto a chi è portatore di una diversità, ma vuol dire trasformare tutto il sistema scolastico in una adeguata organizzazione, che sappia prendere in carico i differenti bisogni degli alunni.

Con la legge 170/2010 ci sarà una svolta proprio nella personalizzazione dei percorsi di studio enunciati nella legge 53/2003 e la cura educativa dell’alunno con Bisogni Educativi Speciali viene presa in carico non solo dall’insegnante di sostegno, ma dall’intero corpo docente coinvolto.
Il decreto legislativo 66/17 dispone la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, tramite una nuova definizione del docente di sostegno, che avrà una formazione di tipo universitario e si vedrà revisionati anche i criteri di inserimento nei ruoli per il sostegno.
Tale decreto prevede anche i livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali; gli indicatori per l’autovalutazione e la valutazione dell’inclusione scolastica e la revisione delle modalità e dei criteri relativi alla certificazione.
L’ICF sostanzialmente è un modello di riferimento per descrivere la salute e gli stati ad essa correlati, che intende facilitare la comunicazione tra varie professionalità coinvolte e promuovere nuovi orizzonti di ricerca.

Quindi, è fondamentale osservare sistematicamente e tenere presente tutti gli aspetti della Persona disabile, nella loro interconnessione e complementarietà, nel momento in cui si progetta una metodologia didattica e organizzativa da applicare.

E’ necessaria una sincronia di intenzioni di tutti i soggetti coinvolti, affinché si armonizzino la didattica, l’organizzazione, la collaborazione scuola-famiglia, il progetto di vita, che accompagneranno l’alunno, dalla nascita alla vita adulta.

Le linee guida del MIUR (2009) invitano, infatti, a progettare interventi che tengano sempre conto delle diverse tipologie personali e attitudini cognitive, secondo bisogni reali e concreti, utilizzando una didattica personalizzata, che sviluppi l’apprendimento attraverso la socializzazione, la relazione interpersonale e la comunicazione.

L’utilizzo di adeguate metodologie è il passaggio fondamentale per raggiungere tali obiettivi, in modo da saper integrare conoscenze e abilità, trasformandole in competenze.
La metodologia è l’insieme di fattori e mezzi sperimentalmente ritenuti validi, che potrebbero convalidare il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Per strategia si intende un progetto didattico di intervento mirato, che si collega ad obiettivi specifici.
Adeguate strategie e metodologie sono sempre finalizzate a migliorare il livello di inclusione della classe, ovvero di tutto l’ecosistema che ruota intorno all’alunno con difficoltà.

Per esempio, la relazione di aiuto tra docente e alunno, che gli permette di sentirsi sostenuto, accolto e valorizzato, diventa una vera e propria strategia operativa, così come la ritualità e la strutturazione dell’ambiente con spazi, tempi e regole precise.
Non dimentichiamo l’importanza della collaborazione e interazione tra pari che incide molto sulla qualità dell’apprendimento; la consapevolezza meta-cognitiva è una strategia anche molto importante, mediante la quale l’alunno può diventare consapevole dei suoi processi cognitivi, per meglio controllarli, sceglierli e migliorarli.

L’insegnante di sostegno ha il compito di integrare e armonizzare l’alunno all’intera comunità scolastica; egli è docente dell’intera classe, con il compito specifico di attivare le varie forme di sostegno necessarie per l’inclusione.
La sua formazione non è solo teorica, ma anche emotiva, esistenziale e culturale, che mette in atto nella relazione con l’alunno in difficoltà.

Funzione principale dell’insegnante di sostegno è dare vita ad una programmazione didattica personalizzata dell’alunno, all’interno del consiglio di classe, tenendo presente le indicazioni degli operatori sanitari e della famiglia, nella formazione del Piano Educativo Individualizzato, dopo la lettura collegiale della diagnosi funzionale e del profilo dinamico funzionale.
Quindi, è illegittimo delegare totalmente all’insegnante di sostegno l’inclusione dell’alunno con difficoltà; egli è una risorsa, che si può attivare soltanto in un sistema organizzato a rete, le cui giuste interconnessioni favoriranno l’inclusione.
Il sistema scolastico è funzionale in modo ottimale quando l’insegnante di sostegno opera in modo sinergico con tutti i soggetti attivi dell’inclusione (colleghi, dirigente scolastico, Personale A.T.A., educatori, Comune, famiglia, operatori sanitari).

Quando l’ambiente è disteso e l’alunno disabile sa che può contare anche sui compagni, meno facilmente manifesterà dei comportamenti problematici; potrà imparare ad esprimere le proprie difficoltà, senza il timore di non essere compreso.
I compagni hanno una grande opportunità per imparare a prendersi cura, ad empatizzare offrendo alternative al disagio; semplicemente la presenza affettiva è già di per sé una risorsa inestimabile.
Tutto il sistema classe è formato da Persone capaci di imparare la fiducia nell’altro, gestendo insieme l’imprevisto, senza giudizi o schemi discriminatori.


La comunicazione nella relazione da costruire e creare

Per comunicare bisogna essere almeno in due e lo strumento che media la comunicazione deve essere accessibile e comprensibile ad entrambi “. (M. Arduino, 2012)
Queste parole dello studioso dei disturbi dello spettro autistico Maurizio Arduino, a mio parere, meglio riflettono l’importanza della relazione empatica, da costruire con una Persona con difficoltà autistiche, prima di applicare qualsiasi strumento operativo valido.

Sappiamo bene che la comunicazione è una componente fondamentale dell’uomo, che consente di approcciarsi alla vita, per adattarsi e sopravvivere, ma anche dare un senso ai gesti e alle parole all’interno di uno scambio relazionale con gli altri.
Se manca la comunicazione per difficoltà fisiche e psichiche, inevitabilmente emerge un disagio, che va a colpire e limitare tutte le persone coinvolte nella relazione; in ambito scolastico i processi di apprendimento subiscono un blocco a più livelli, non solo cognitivo ma anche nell’interazione sociale.
E’ fondamentale l’osservazione iniziale dell’alunno autistico per comprendere che tipo di linguaggio utilizza per comunicare; come già premesso, i diversi livelli di gravità contribuiscono a rendere il linguaggio autistico molto vario e differente, che spazia da una situazione grave di non verbale a forme molto articolate di linguaggio istrionico e poco comprensibile.

L’Istituto Superiore della Sanità, come abbiamo detto, ha elaborato nel 2011 le LINEE GUIDA per il trattamento dell’autismo indicando terapie che, sulla base di evidenze scientifiche, si siano dimostrate più efficaci.
Purtroppo non sempre il sistema sanitario recepisce tali linee guida, continuando a passare in convenzione terapie come la logopedia e la psicomotricità, che rappresentano soltanto delle scelte secondarie di trattamento del disturbo.
Dario Ianes e Michele Zappella mettono l’accento sull’importanza di progettare e attuare interventi attraverso una metodologia abilitativa, ossia psicoeducativa, che faciliti in modo strutturato e sistematico lo sviluppo di competenze.
L’obiettivo primario è di migliorare l’adattamento all’ambiente, attraverso l’apprendimento e l’uso spontaneo di attività personali ed esercizi relativi a ruoli “socialmente accettabili”.

Le strategie adottate nell’intervento dei disturbi generalizzati dello sviluppo sostanzialmente si riferiscono a due grandi tipologie comportamentali ed evolutive.

  • L’ABA (acronimo di Applied Behavior Analysis, cioè Analisi Comportamentale Applicata) applica intensivamente metodi comportamentali finalizzati sia a implementare abilità come il linguaggio, la comunicazione interpersonale e le autonomie personali, sia a modificare condotte problematiche come aggressività, autolesionismo, ritualità e ossessività. Sostanzialmente, si applicano i dati emersi dalle analisi sperimentali del comportamento, per comprendere le relazioni esistenti fra ambiente esterno e comportamenti. Così è possibile comprendere, appunto, l’antecedente di un dato comportamento in un particolare contesto. Quindi, conoscendo i fattori che lo determinano, è possibile mettere in atto delle strategie consapevoli ed interventi mirati ad arginare e modificare tali comportamenti.
  • Il TEACCH (acronimo di Treatment and Education of Autistic and Communication Handicapped Children) un approccio ideato da Erich Schopler negli anni ’60 nel North Carolina; tale programma è molto intensivo, prevede una presa in carico globale della persona con autismo in ogni momento della giornata, a casa, a scuola e al centro in cui svolge la terapia; si focalizza soprattutto sulla riorganizzazione dello spazio in ambiente scolastico. Nelle aule TEACCH vengono utilizzati tabelloni visivi, per organizzare gli spazi, e agende giornaliere per organizzare i tempi, poiché i processi visivi sono un punto di forza per molti bambini autistici. L’obiettivo primario è ottenere una comunicazione funzionale spontanea, all’interno di un ambiente ben strutturato e prevedibile, che rassicuri le ansie del bambino, aiutandolo a trovare risposte adeguate sia all’ambiente e sia ai suoi bisogni sociali.

Ciò che conta è non assolutizzare alcun approccio terapeutico, considerandolo l’unico possibile; esistono bisogni diversi tra i bambini, da valutare situazione per situazione, in base alla specificità del singolo individuo.

In questo senso, la possibilità di adottare un approccio che preveda appunto l’utilizzo di immagini come strumento comunicativo interattivo, quali per esempio il PECS (acronimo di Picture Exchange Communication System) va valutata insieme ai terapisti.
In classe, l’utilizzo del tablet e dispositivi tecnologici è un ottimo aiuto per i docenti, che possono motivare l’attenzione con programmi mirati.

La prospettiva degli approcci evolutivi ed interattivi è diversa, in quanto mettono l’accento sull’importanza della dimensione emozionale e relazionale in cui si concretizza l’agire dell’alunno. (SINPSIA,2005) .

Quindi, l’intervento psico-educativo a scuola, che si basa sull’approccio cognitivo -comportamentale, è la linea guida alla programmazione di intervento, che è progettato da docenti, educatori, familiari e operatori sanitari; tale programma si integra alle attività didattiche previste per il gruppo classe, attraverso l’utilizzo di metodologie quali l’apprendimento cooperativo, il tutoring, metodologie attive e riorganizzazione degli spazi e dei tempi. La finalità di un tale progetto psico-educativo è sempre quella di favorire l’adattamento all’ambiente, garantendo una migliore qualità di vita all’alunno e ai suoi familiari.
Gli obiettivi saranno sempre individuati a breve, medio e lungo termine, e continuamente rivisti in quanto nel soggetto autistico sono compromessi proprio i tradizionali canali comunicativi; ogni volta bisogna prevedere attività specifiche sulla comunicazione.

Un altro elemento strategico importante da utilizzare può essere il gioco, inteso sia come rinforzo positivo, ovvero il premio che si può fornire dopo il compito ben svolto, sia come occasione per sviluppare l’intersoggettività, cioè la capacità spontanea di riferirsi ad un’altra persona, stabilendo con essa scambi relazionali, che richiedono abilità motorie, cognitive ed emotive.
La difficoltà più grande è proprio quella di non comprendere le regole sociali e di non saper interpretare pensieri ed emozioni. I giochi di contatto, eventualmente durante le ore di Attività motoria, possono diventare strategie per modulare la fisicità, magari integrandole con scambi di voce e sguardi.

  • La CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) è un altro strumento efficace per l’apprendimento del linguaggio verbale, che stimola le loro innate abilità viso-spaziali. 
    La CAA è un insieme di conoscenze, tecniche, strategie e tecnologie attivabili per facilitare la comunicazione nei soggetti più carenti. 
    È detta aumentativa, perché appunto si potenziano le modalità comunicative di base, mentre il termine alternativa si riferisce all’uso di codici che sostituiscono il sistema verbale. Tale comunicazione ovviamente è strettamente correlata con la motivazione; ogni strategia deve sempre essere ritagliata di volta in volta sulle attitudini particolari del bambino. Molto utilizzato nella CAA è l’ in-book, un libro illustrato con testo e simboli, realizzato su misura, partendo da un vissuto e creando delle storie sociali adatte, ai fini dell’inclusione e dello sviluppo esistenziale.

Come già ribadito, il sostegno scolastico è fondamentale, non tanto per favorire gli apprendimenti, ma soprattutto per modulare e facilitare l’inserimento graduale e la comprensione di alcune dinamiche relazionali.
Per esempio, il momento della ricreazione, che è un naturale allentamento della tensione e quindi un possibile rilassamento per tutti, per i soggetti autistici invece è una condizione di isolamento, che viene vissuto con molta ansia per la difficoltà di gestire le interazioni sociali.
Intervenire, modulando questi spazi, potrebbe essere un obiettivo specifico del sostegno, strutturando delle piccole attività di integrazione e coinvolgendo in piccoli gruppi altri membri della classe.
Con i bambini ad alto funzionamento cognitivo è importante valorizzare le risorse esistenti, con l’utilizzo dei propri interessi, anche se apparentemente possano sembrare strani o atipici.

Favorire un clima positivo, progettando interventi ragionati e pensati su misura dell’alunno in difficoltà, consente sicuramente di migliorare la propria condizione di vita, sviluppando autostima e autonomia.
Oltre alle competenze teoriche, si richiede al docente di sostegno e agli educatori innanzitutto un senso di responsabilità per un compito così delicato e arduo, unito alla passione nel fare, sperimentare, agire e imparare anche da eventuali errori.
Con umiltà e coinvolgimento empatico, tutto il resto viene da sé.
E avvengono progressi umani, che rendono la Vita degna di essere vissuta.

Questa tematica che ho scelto di trattare non è casuale.
L’interesse per una conoscenza più approfondita sugli autismi mi tocca profondamente, grazie alla mia esperienza vissuta in prima persona come madre.
La mia competenza come psicologa mi ha poi fornito la cornice teorica, dentro cui poter sistematizzare ed integrare importanti contenuti; il mio obiettivo a lungo termine è di poter condividere la nostra esperienza come appiglio, un aggancio possibile a tanti genitori, persi e confusi dinanzi ad una diagnosi del genere.
Obiettivo a breve termine ma non meno importante è costruire una comunicazione responsabile ed empatica tra famiglia e docenti ed educatori, in modo che la rete sociale sia sempre più solida intorno e per il soggetto.
Dall’ingresso nella scuola dell’infanzia fino ad oggi sono trascorsi più di quindici anni, quasi un viaggio di esplorazione dell’universo scolastico, su più fronti e in tutte le sue sfaccettature.
Il vortice caotico iniziale, e l’estrema e dolorosa difficoltà ad accettare una situazione “diversa”, hanno lasciato posto nel tempo ad una scelta maturata nell’accogliere l’evento come un’opportunità di crescita per noi, con tutto il nostro bagaglio personale e familiare, a tratti pesante, altre volte più leggero.
La diagnosi di autismo moderato, ma con una comorbilità importante, è arrivata all’età di dodici anni; probabilmente questa iniziale incapacità a livello sanitario di inquadrare la situazione con più precisione ha contribuito non poco a creare disagio e incomunicabilità all’interno del sistema scolastico.
Un passo alla volta si può recuperare, riparare e ricostruire.
Non essendo una malattia ma una condizione di vita, l’autismo permette di fare progressi, evolvere e crescere, imparando dagli errori e dai tentativi graduali; chiunque ne faccia parte o si avvicini anche solo per un contatto è profondamente coinvolto, scosso e ribaltato.
E’ un’esperienza umana molto intensa, fatta di scambio reciproco continuo e unico.

L’importanza di costruire questa rete di reciprocità tra operatori sanitari, docenti, educatori con l’ambiente familiare e sociale è a mio parere fondamentale, dove la famiglia fa da perno portante, filtrando tutte le informazioni preziose, in vista di un miglioramento del contesto di vita.
I bambini e i ragazzi possono così imparare ad apprendere, a stare con gli altri, a sentirsi parte di un organismo e ad esserne una risorsa preziosa.

L’inclusione nella scuola e nella società è soprattutto questo: una conoscenza approfondita e personalizzata, che possa unificarsi sempre di più ad una comprensione empatica e aperta della situazione nella sua complessità.

Come un grande elefante intero, con ogni suo aspetto, nessuno escluso.


Riferimenti normativi

  • Legge 30 marzo 1971, n. 118 “Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili.", Pubblicata nella G.U. 2 aprile 1971, n. 82
  • Legge 104 del 1992, la legge n. 170 del 2010 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n° 244 del 18 ottobre 2010
  • Legge n.104, 05 febbraio 1999- Legge Quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e I diritti delle persone handicappate pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 26 del 2 febbraio 1999
  • Legge n. 138 del 3 aprile 2001 Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 21 aprile 2001, n. 93
  • Circolare Ministeriale 8 del 6 marzo 2013 - Strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali (BES)
  • Circolare prot. n° 1143, 17 maggio 2018 dal Capo Dipartimento per l’istruzione del MIUR su “L’autonomia scolastica quale fondamento per il successo formativo per ciascuno”


Bibliografia

  • American Psychiater Association (2014) Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, DSM-5. Milano, Raffaello Cortina Editore.
  • Arduino (2016) in Le guide Erickson autismo: un quadro introduttivo, Trento, Ed. Erickson.
  • Mazzone Luigi, Un autistico in famiglia, Ed. Mondadori, Milano, 2015.
  • Murgia Michela, Noi siamo tempesta, ed Salani, Milano 2019
  • Paravicini Sabrina, Io ragiono con il cuore, mio figlio, la sindrome di Asperger e una nuova visione del mondo, Ed. Rizzoli, Milano 2019.
  • Ervas Fulvio, “Se ti abbraccio non avere paura”, Ed. Marcos Y Marcos, Milano 2012.

 

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