Orme sulla sabbia

Aiutami a dimenticare: il senso del ricordo e del ricordare!

A cura della 
Dott.ssa Gilda De Giorgi 

Psicoterapeuta e psicologa clinica, specializzata in salute 
relazioni familiari e interventi di comunità 

Maglie  

 

"Dottoressa io voglio dimenticare!"
Sempre più spesso accolgo richieste da parte di persone che si rivolgono allo psicologo, psicoterapeuta, per dimenticare qualcosa. Una parte della loro vita, un ricordo spiacevole, doloroso, che porta con sé vissuti ingombranti e rievocazioni di impotenza. In ogni caso specifico la richiesta cambia, nelle modalità, nel contenuto, nei perché, ma l’azione che viene agognata è la medesima: un colpo di spugna per poter ricominciare! Non è un caso che la scienza abbia accolto tale richiesta con una tecnica che evoca scenari quasi fantascientifici, ossia l’optogenesi. Una combinazione di tecniche ottiche e genetiche allo scopo di sondare i circuiti neuronali, anche alla ricerca di traumi da rimuovere. Ma è veramente utile rimuovere, dal momento che, talvolta, è proprio la rimozione il problema!?

tasto del computer con su scritto cancellare ricordoInnanzitutto è bene distinguere i ricordi spiacevoli dai veri e propri traumi. Nel linguaggio comune anche una minima esperienza negativa viene etichettata come trauma, in un tentativo esasperante di arricchire tale accaduto di un vissuto quasi lacerante. È dovere dell’esperto quindi, soprattutto in fase diagnostica, individuare e distinguere il vero trauma, ossia quello da cui ha preso avvio l’eziopatogenesi psichica della persona, intesa come processo di insorgenza di un disturbo e suo portato psichico. In una società in cui la tolleranza e la gestione emotiva sembrano lasciare il passo a istintività e ipocrita buon senso, non si riflette abbastanza sull’utilità dei "cattivi" ricordi e delle "brutte" esperienze. Solo le carezze aiutano a crescere? Il trauma vero e proprio, a differenza del ricordo negativo non sempre e/o non solo ha a che fare con una esperienza negativa. Non sussiste necessariamente una consecutio temporum per cui da esperienza negativa deriva un trauma. I traumi detti "interni" infatti, prendono corpo da interpretazioni inconsce di eventi non di per sé negativi, alle quali le difese psichiche non riescono a far fronte, caricando tali interpretazioni di una attivazione emotiva intrinseca. Segue che:

"L’essenza di una situazione traumatica è l’esperienza di impotenza dell’ego di fronte ad un accumulo di eccitazione che origina o internamente o esternamente all’individuo."                                
S. Freud

In alcuni casi peraltro il trauma è tale proprio poiché scevro di significato, quasi immerso in un vuoto psichico che invera un vissuto importante di impotenza. Se da un lato alcune persone tendono a riviverlo, nel tentativo disperato di recuperare potenza ed efficacia, affrontando finalmente il "mostro", altre soffrono dell’incomunicabilità del trauma e del vissuto a esso legato, in quanto privo e slegato da un qualsiasi significato simbolico. Il vuoto psichico del trauma impedisce ogni argomentazione.

È lavoro del clinico dunque, non tanto aiutare a dimenticare, quanto piuttosto lavorare in prima battuta sulla rimozione e su tutte quelle difese che impediscono di entrare in contatto proprio col nucleo traumatico. In una seconda fase un lavoro di rievocazione, attraverso diverse tecniche quali l’ipnosi, l’immaginazione attiva, l’interpretazione dei sogni o "semplicemente" il colloquio clinico, con l’obiettivo di rintracciare il significato profondo, ove ci fosse, o di crearlo, riempiendo il vuoto psichico di cui sopra.

La consapevolezza acquisita in una terapia, obiettivo principe anche in un sostegno, aumenta, anche se non in maniera diretta, ma comunque dinamica, i gradi di libertà della persona proprio nella gestione di tutto ciò che la riguarda. Il terapeuta funge quindi da contenitore del trauma e di ciò ad esso legato, dall’impotenza al dolore psichico. Ciò che il paziente non “tiene e contiene”, può essere accolto, tenuto e contenuto dal terapeuta. La rimozione del trauma non è la rimozione del ricordo, ma anche il ricordo medesimo, se eliminato da quel grande e misterioso serbatoio che è la memoria, non assicura la rimozione del lascito emotivo ad esso legato, ma soprattutto del senso che quel ricordo ha assunto nella vita della persona e nella certosina costruzione della sua personalità e dell’immagine ritraente il mondo in sé e fuori da sé, oltre che se stessi.

Pensiamo ad esempio ai microtraumi infantili. Alcuni di essi sono necessari per lo sviluppo psichico e fisico del bambino, nel suo modo digomma che cancella il cervello di una testa disegnata su un foglio percepirsi, di relazionarsi, di essere e stare nel mondo. Solo per citarne uno. Nella fase dell’allattamento, intorno ai tre mesi il neonato inizia a sviluppare i primi denti da latte. La reazione istintiva di difesa della madre alla prima addentata del suo capezzolo, è quella di ritrarsi, talvolta storcendo anche il naso per il dolore avvertito. Il ritrarsi della madre e del capezzolo, oggetto agognato, goduto e fonte di tutto ciò che serve, dal nutrimento emotivo a quello fisico, viene esperito dal bambino come un microtrauma di perdita del suo investimento e dell’oggetto tanto investito. Microtrauma al quale segue, o dovrebbe seguire, un movimento fisico e psichico di riparazione, in cui il neonato inizia a dosare l’intensità e la voracità della poppata, con l’obiettivo di non esperire nuovamente quella perdita. In questo agito il neonato e la madre, come in una danza, acquisiscono il movimento e il tempo l’uno dell’altro, iniziando a costruire una relazione, che è la base della capacità relazionale del neonato stesso. Passaggio cruciale e importantissimo, che verrà rimosso da un livello di coscienza, quasi ancora inconsistente nel neonato, ma che trova un senso già nella regolazione delle relazioni primarie e di tutte quelle che verranno.

Nel rispetto della sofferenza psichica che veicola il desiderio dell’oblio mnemonico, alla luce di quanto sopra, un irrobustimento della tolleranza e una piccola e breve riflessione su ciò che davvero è negativo e ciò che nella sua negatività potrebbe tornare utile, potrebbe dissuaderci dall’intuizione che la strada più semplice è la migliore.

 

AA.VV. (2008). Psychodynamic Diagnostic Manual (PDM). (V. Lingiardi & F. Del Corno, trad. it.). Milano: Raffaello Cortina. (Original work published 2006);

Freud, S. (1920). Al di là del principio di piacere. In Opere di Sigmund Freud, vol. 9, Torino: Boringhieri.

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