Influencer: moderni leader o semplicemente persone alla moda?
A cura della
Dott.ssa Gilda De Giorgi
Psicoterapeuta e psicologa clinica, specializzata in salute
relazioni familiari e interventi di comunità
Maglie
Appartenere a questo secolo implica vivere la rivoluzione “rumorosa” che vede l’evoluzione del web da 1.0 a 2.0. Se negli anni novanta il web era caratterizzato da siti statici, ossia privi di qualsiasi possibilità di interazione con l’utente, eccetto per la navigazione ipertestuale, l’utilizzo delle e-mail e dei motori di ricerca, il nuovo web 2.0 garantisce piuttosto la possibilità agli utenti di interagire e modificare i contenuti delle pagine web on line. In sostanza tale evoluzione ha dato la possibilità anche ai non addetti ai lavori di esercitare una forma di potere, quindi controllo e manipolazione del web. L’aggettivo “rumorosa” non è scelto a caso.
Il web fa rumore, come anche tutti coloro che dal web traggono nutrimento, in termini materiali, affettivi e simbolici. Ed ecco come un normale consumatore diventa bersaglio o manipolatore di tutti i beni di consumo proposti e offerti dal web. Negli ultimi anni infatti, in concomitanza con la suddetta evoluzione, sono nate delle nuove figure di spicco, o meglio, conosciute dai più, definite: INFLUENCER. Tradotto volgarmente tale termine sta a significare individui che influenzano attraverso l’utilizzo del web. Si tratta di utenti, quindi comuni mortali, con migliaia se non milioni di FOLLOWER, ossia seguaci, sparsi sui vari social network, come facebook, twitter, instagram, youtube e via dicendo. Sarebbero utenti come gli altri se non avessero questa straordinaria capacità di influenzare altri utenti.
Tale capacità potrebbe essere imputabile alla neutralità e affidabilità trasmesse da tale utente, ossia a delle caratteristiche personali che sfuggono a strategie di marketing e a intenzioni manipolative. In realtà, molti influencer sono guidati da brand che utilizzano la loro risonanza per vendere molto di più. In tali casi si parla di influencer marketing. Per tale ragione, di pari passo all’evoluzione del web si sostanzia e prende forma anche l’evoluzione del marketing, da lungo tempo ormai associato alla psicologia, tanto che ad oggi si parla di neuromarketing. Tale connubio è la realizzazione di un concetto elaborato dal Cluetrain Manifesto, ossia da un manifesto costituito da 95 tesi e indirizzato a tutte le imprese che operano all’interno di una forma di mercato interconnesso. Tale invito all’azione definisce i mercati come conversazioni, dove gli attori della conversazione sono attori in carne ed ossa. Di conseguenza la chiave per raggiungere gli obiettivi aziendali passa attraverso la comprensione delle persone e dei loro bisogni. Ma di quali bisogni si parla? Sarebbe opportuno asserire che gli influencer sono diventati tali perché hanno saputo cogliere i nostri bisogni? Per rispondere a tale quesito partirei innanzitutto da una definizione di bisogno. Tale definizione in ambito psicologico è mutuata nel corso del tempo di pari passo con il mutamento della società, del pensiero che ruota attorno alla società e al singolo individuo. La definizione che utilizzerò in tale sede parte da una distinzione tra la domanda e il bisogno.
La domanda è il modello culturale che motiva, orienta e configura la proposta che un attore sociale (il cliente/utente) avanza ad un terzo (l’erogatore del servizio) di implicarlo in ragione dei propri scopi. La domanda, dunque, è un processo di rappresentazione emozionale che costruisce il senso che il cliente/ utente attribuisce al proprio sistema organizzativo, ai suoi scopi, alla funzione della consulenza. In questo senso la domanda va differenziata tanto dal bisogno che dalla richiesta. Quando si parla di bisogni del cliente/utente si tende a riferirsi a una condizione del cliente/utente che esprime specifiche carenze o comunque esigenze. In questo senso, se la domanda riguarda il modello culturale proposto dal cliente, il bisogno descrive una caratteristica della realtà a cui si riferisce il cliente. Nel primo caso è in gioco il modo di rappresentare, nel secondo il contenuto della rappresentazione.
S. Salvatore
Alla luce di tale definizione, chi influenza chi e in che misura? O meglio, chi è il cliente, e quindi colui il quale portatore di una domanda? Per rispondere a tale quesito non è possibile ridurre il focus dell’attenzione alla fantomatica relazione diadica tra influencer e follower. Occorre inserire un terzo, ossia il brand. È plausibile ipotizzare che all’interno di questa triade la relazione principale, seppur indiretta, sia tra il brand e il consumatore o presunto follower, ove l’influencer diventa solo un intermediario o un mezzo, e allo stesso tempo una vetrina. In sostanza è come se il brand mettesse in scena, proponesse, attraverso la figura dell’influencer i propri prodotti. L’aggancio tra l’influencer e il follower diventa presumibilmente l’identificazione con un individuo che assume in una certa dose l’immagine di un leader carismatico, trascinatore delle folle. Traducendo il tutto in un esempio, parliamo del caso Ferragni. Chiara Ferragni nasce poco tempo fa come influencer, o più precisamente come instagrammer. Modella che ha iniziato a farsi conoscere attraverso i numerosi selfie pubblicati sul web dove metteva in mostra il suo stile in termini di moda, ingolosendo i suoi follower con prodotti alla portata di tutti. In sostanza il suo slogan si può sintetizzare come: “potete essere tutti alla moda come me, anche spendendo poco!”.
Visto il suo successo in termini di follower, che oggi superano i 10 milioni, la Ferragni oggi è stata assunta come influencer di un grosso brand di moda. In questo caso specifico, volendo utilizzare le ipotesi sostenute prima, la domanda posta dai suoi follower si può tradurre come: sentimento di sicurezza nell’indossare, nel vero senso della parola, i panni di una famosa modella. In termini di rappresentazione si potrebbe affermare che tali seguaci si sentono sicuri nell’essere come qualcun altro.
Il bisogno che prende corpo all’interno di tale rappresentazione potrebbe essere un prodotto qualsiasi indossato dalla modella, come un paio di scarpe, una sciarpa e via discorrendo. In buona sostanza il bisogno si traduce in qualcosa che non posseggo, ma di cui vengo a conoscenza tramite foto postate dalla modella e di cui inizio a percepirne il l’esigenza. Tale meccanismo messo in atto rende tali influencer una forma moderna di leader e i loro follower un gruppo. Un gruppo, per definirsi tale deve essere contraddistinto da interdipendenza sociale, ossia i membri del gruppo devono trarre dall’appartenenza allo stesso dei sentimenti positivi, oltre che fornire legami emozionali e un’identità sociale. Tale caratteristica, nel caso dei follower, potrebbe influire sull’incremento della numerosità del gruppo, sulla sua rappresentazione culturale (domanda) e di conseguenza sui prodotti da acquistare (bisogni). Inoltre, un gruppo per definirsi tale, deve essere caratterizzato da interdipendenza del compito, ossia dalla condivisione di un obiettivo e dall’impegno per raggiungerlo. Nel caso specifico un obiettivo plausibile potrebbe essere alimentare la notorietà dell’influencer aderendo alla folla di suoi proseliti e dimostrando ossequiosamente l’apprezzamento della sua immagine/lavoro. Tale obiettivo innesca così una dinamica reciproca di nutrimento tale per cui non esisterebbe un influencer se non ci fossero i follower e viceversa. All’interno di tale dinamica l’influencer assume il ruolo di leader, che per definizione è una figura in grado di influenzare sistematicamente il comportamento degli altri componenti del gruppo.
Giunti a questo punto si potrebbe concludere tale riflessione/analisi con una semplice e banale domanda: c’è ancora un margine di libertà nelle scelte che facciamo?
S. Salvatore, “La scuola come cliente. La funzione dello psicologo scolastico. I risultati del Laboratorio Pilota.”, Milano, Francoangeli, 2001
D. Searls, D. Weinberger, a cura di G. Gaudiano, “Le nuove tesi del Cluetrain Manifesto.”, Roma, YOUMEDIAWEB, 2015