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L'ESPERIENZA DEL LUTTO E IL SUO PROCESSO DI ELABORAZIONE

Foto della Dott.ssa Giulia Miglietta

A cura della 
Dott.ssa Giulia Miglietta 

Psicologa - Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico socio-costruttivista 

Taviano (Lecce) 

 

DALLA PERDITA ALL'ACCETTAZIONE CONSAPEVOLE

Nel corso della vita capita inevitabilmente di doversi confrontare con l’esperienza del lutto, dunque della perdita, la perdita fisica e/o simbolica di un “oggetto”, riferito ad una persona a cui si era affettivamente legati. Tale esperienza richiede inevitabilmente l’attraversamento di un momento doloroso. La stessa etimologia latina del termine (lugere) significa piangere, dolersi, sentimento di dolore, questo perché il lutto, ovvero la perdita, ha a che fare con la dimensione della morte, con la separazione, dunque con il cambiamento. Le principali teorie sul lutto partono dalla teoria psicoanalitica di Freud , il quale individuò nel processo di elaborazione del lutto un vero e proprio lavoro che il soggetto deve affrontare, mettendo in campo le proprie risorse e i propri strumenti, “un lavoro che costa fatica”. Per Freud, e per molti autori successivi, il lavoro del lutto si sviluppa in fasi, la cui prima fase è quella della negazione o diniego,  una forma di non accettazione del dato di realtà, in cui la persona non accetta ciò che la realtà le rimanda, in quanto troppo doloroso da tollerare. La riparazione avviene attraverso la sperimentazione di rabbia, colpa e depressione, fino allo spostamento, un meccanismo di difesa che permette il passaggio dal disinvestimento sull’oggetto perduto all’investimento della propria energia psichica su altri oggetti, ovvero su altre relazioni.

Uomo nudo rannicchiato a terra con le mani in faccia in un paesaggio desertificato con un solo tronco d'albero seccoNella teoria biologica di Bowlby si parla di quattro fasi, dove la prima fase è quella dello stordimento, accompagnato da un senso di incredulità che induce ad anche qui ad un rifiuto emotivo dell’evento; esso si manifesta con una calma innaturale immediatamente successiva all’evento, come se nulla fosse cambiato poiché in quel frangente il dolore è talmente forte che non può essere affrontato. In questo specifico momento si è suscettibili di sviluppare la “sindrome dell’assenza di lutto cosciente”, in cui il soggetto per un tempo relativamente lungo non accetta la perdita ed è questo uno dei casi in cui l’elaborazione risulta difficoltosa o, come si vedrà, “complicata”.
Nella seconda fase inizia ad esserci consapevolezza della perdita, è una fase caratterizzata da sfoghi di pianto e lamentele, dunque si presenta una manifestazione del dolore adattiva, in cui si richiama l’attenzione sulla propria sofferenza senza ancora un reinvestimento all’esterno.
La terza fase, detta della disorganizzazione, è una fase caratterizzata da apatia e depressione, in cui si ha uno smontaggio del precedente modello di vita abitato dalla persona perduta e ci si prepara ad una nuova ridefinizione di Sé che richiederà tempo e fatica. È la fase in cui la persona fa effettiva esperienza della propria sofferenza e ha un bisogno di uscire da ciò, desiderando, attraverso l’immaginazione, ridefinire la propria vita, dunque le proprie relazioni e investimenti.
L’ultima fase è quella della riorganizzazione, data dalla costruzione  di un nuovo modello di vita in cui il soggetto ricomincia ad avere speranza, ovvero nuova progettualità e rinveste fattivamente nel mondo esterno.

Una serie di modelli scientifici recenti hanno messo in evidenza il lutto come evento altamente stressante, di conseguenza il lavoro che si può fare sulla sua elaborazione è in sostanza quello di migliorare e implementare le risorse, ovvero le strategie di coping della persona e  ristrutturare il campo di vita della stessa. Alcuni studi hanno indagato una serie di fattori che possono predisporre una difficile elaborazione del lutto, nei termini dunque di una non-accettazione, dove uno di questi è il tipo di morte (perdita per morte violenta o morte inaspettata, accidentale); tuttavia esso è sicuramente un fattore di rischio altamente predisponente ma non è predittivo della reazione del soggetto. Si parla invece di lutto anticipatorio quando la persona “anticipa” le reazioni alla perdita nella fase della malattia, periodo precedente alla perdita vera e propria, chiaramente nei casi in cui vi è un periodo di degenza relativamente lungo; anche questo tuttavia non garantisce una risoluzione più semplice. Diverse e di molteplice natura sono le manifestazioni che accompagnano l’esperienza del lutto. Tra le manifestazioni emotive troviamo la tristezza/disperazione, il senso di solitudine, il senso di abbandono, il senso di vuoto; le manifestazioni cognitive sono invece la difficoltà di concentrazione, i pensieri ossessivi e ruminazioni, i sensi di colpa, a volte l’ideazione suicidaria; le manifestazioni comportamentali sono poi l’evitamento sociale, la riduzione della performance, l’abuso di sostanze; infine le manifestazioni somatiche sono l’insonnia, l’iporessia (diminuzione della fame), l’astenia (riduzione di energia psicofisica), le vertigini, la cefalea, la tachicardia, gli squilibri neuroendocrini e immunitari. Ci sono casi particolari, quando il lutto risulta “complicato”, in cui risulta necessario un intervento ti tipo psicoterapeutico. Nel lutto complicato si ha un mancato innesco del processo di elaborazione, un mancato superamento di una o più fasi, o l’intensificazione o prolungamento eccessivi di una di esse. Nel DSM-IV, e nel più recente DSM-5, si parla nello specifico di una distinzione precisa tra l’episodio depressivo e il lutto patologico in cui i sintomi caratterizzanti di questo secondo sono sentimenti di colpa riguardanti cose diverse dalle azioni fatte o non fatte dal soggetto in vita, pensieri di morte del tipo che sarebbe stato meglio morire con la persona deceduta,  pensieri eccessivi o morbosi di inutilità, marcato rallentamento psicomotorio, prolungata e intensa compromissione del funzionamento sociale, esperienze allucinatorie come pensare di udire la voce o di vedere fuggevolmente l’immagine della persona deceduta.

La funzione di una consulenza psicologica nei casi di lutto è quella di offrire un aiuto nel gestire la perdita, favorendo il suo processo naturale, rispettando tempi e modalità della specifica persona. L’elaborazione passa da una definizione dello stato  nei termini “senza l’Altro io perdo me stesso/a, non sono più nessuno”, dunque un’esperienza di un’emozione assolutizzante, ad una definizione nei termini “grazie all’ Altro ho potuto trovare e scoprire un pezzo di me stesso/a che oggi posso utilizzare”, accogliendo e contenendo sempre la profonda angoscia che la persona porta e rimandando un feedback di comprensione e condivisibilità rispetto a tali vissuti. Tuttavia è importante considerare che l’esperienza della perdita, della separazione da un oggetto affettivamente investito, è un’esperienza evolutiva e fondamentale per l’essere umano perché permette l’individuazione e l’autonomia, da cui ce ne si esce arricchiti, anche solo per essere riusciti a mettere in campo le proprie risorse, rinforzando narcisisticamente il Sé.

Nel caso in cui il lutto tocchi un bambino, fondamentale è il ruolo del genitore, il quale, una volta che l’evento è accaduto, ha la funzione di darne comunicazione in modo chiaro e diretto, offrendo conforto, anche semplicemente fisico con un abbraccio che è sempre un potente gesto di contenimento simbolico dell’angoscia. È infatti un momento duro e difficile in cui il bambino avrà bisogno di due elementi in particolare: rassicurazione e sostegno nell’elaborare  i propri sentimenti, in quanto il lutto implica un impegnativo e faticoso lavoro psichico, ancora di più per i bambini. Tuttavia, ciò non significa che la morte debba rappresentare necessariamente un evento traumatizzante e devastante per un bambino o per un adulto,  fondamentale è il modo in cui viene trattata la situazione. Accompagnare i genitori nello scoprirsi in grado di ascoltare e accogliere le richieste affettive del bambino, prevenendo così un disagio marcato, è  una delle funzioni della consulenza psicologica. Accade spesso che si tende a tutelare erroneamente il bambino dalla perdita, omettendola o raccontarla con altre versioni; al contrario, i bambini, già a partire dai tre anni, sono in grado di percepire l’evento irreversibile della morte e in molti casi è importante che partecipino al funerale. I bambini partecipano al clima emotivo del contesto familiare e hanno la capacità di avvertire emozioni e sentimenti dei familiari, colgono atteggiamenti e parole, dunque possono sviluppare pericolose fantasie a riguardo o sperimentare senso di colpa irrealistico.    

È interessante evidenziare un aspetto da collocare a monte. La cornice socioculturale di riferimento è costitutiva del modo di affrontare un lutto; probabilmente ad oggi la perdita di condivisione comunitaria e la sempre crescente valorizzazione dell’individualismo, rafforzante il ruolo del singolo nella società, ne mettono al contempo a carico dello stesso la responsabilità di affrontare i momenti dolorosi e i cambiamenti con  il rischio di generare solitudine e alienazione. È l’altra faccia della medaglia di una società centrata sulla riuscita, sulla performance, sull’efficienza come valore esistenziale. Ciò in quanto ogni evento della vita del singolo acquista un significato in relazione al sistema culturale in cui è immerso e di conseguenza ne detta anche per certi versi il vissuto emotivo. Per questo motivo in alcune società africane la morte viene celebrata con gioia, poiché rappresentata come evento da festeggiare. È la costruzione socioculturale delle “cose”, in termini di attribuzione di significati, che ne determina l’esperienza emotiva e, contestualmente, la medesima esperienza emotiva di perdita viene elaborata in modalità diverse a seconda delle risorse non solo individuali, intrapsichiche del soggetto, ma anche e soprattutto in ragione del contesto relazionale circostante di cui dispone.

Soltanto coloro che evitano l’amore possono evitare il dolore del lutto. L’importante è crescere, attraverso il lutto e restare vulnerabili all’amore.

J. Bratne

 

Bowlby, J. (1973): Attachment and Loss. Vol. 2: Separation, Basic Books, New York. Tr. It.: Attaccamento e perdita.: Vol. 2: la separazione dalla madre. Bollati Boringhieri, Torino 2000.

Bowlby, J. (1982). Costruzione e rottura dei legami affettivi. Milano: Raffaello Cortina.

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