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IDENTITÀ A PORTATA DI CLICK

 

Foto della Dott.ssa Gilda De Giorgi

A cura della 
Dott.ssa Gilda De Giorgi 

Psicoterapeuta e psicologa clinica, specializzata in salute 
relazioni familiari e interventi di comunità 

Maglie  

 

COME CI HA CAMBIATO LA RIVOLUZIONE DIGITALE

La Rete delle Reti rappresenta la vera novità del III millennio: da un lato demonizzata come un buco nero mangia identità e dall’altro quasi adorata come serbatoio ricco di potenzialità un tempo impensabili. Con un certo grado di sicurezza è possibile affermare che la popolazione odierna è testimone della cosiddetta “Rivoluzione Digitale”, che non è solo rappresentata da Internet, ma anche da molto altro. Come afferma il Prof. Cantelmi dell’Università Lumsa e Gregoriana di Roma:

La rivoluzione digitale è tale perché la tecnologia è divenuta un ambiente da abitare, una estensione della mente umana, un mondo che si intreccia con il mondo reale e che determina vere e proprie ristrutturazioni cognitive, emotive e sociali dell’esperienza, capace di rideterminare la costruzione dell’identità e delle relazioni, nonché il vissuto dell’esperire”.

L’impatto assolutamente non trascurabile della rivoluzione è oggi materia di dibattito tra sociologi, antropologi, psicologi, psichiatri e accaniti fan del web. Ad horas, le ricerche sono esigue per definire pro e contro dell’utilizzo della rete e un cut off che distingua dipendenza da uso smodato. Inoltre, coloro che in epoca odierna sembrano affetti dalla “patologia del momento”, la IAD (Internet Addiction Disorder) da oggi presente nei manuali clinici utili alla diagnosi come il DSM V, potrebbero in realtà essere gli uomini del terzo millennio, frutto dell’evoluzione in atto.

Si può parlare quindi di “evoluzione antropologica” oltre che di “rivoluzione digitale”?

Riprendendo l’affermazione di Cantelmi circa la rivoluzione e ciò che essa comporta e rappresenta, si ritiene utile chiarirne alcuni passaggi. Quando si parla di ristrutturazioni cognitive occorre innanzitutto operare un distinguo tra nativi digitali e immigrati digitali. Con i primi si fa riferimento a coloro nati e cresciuti in una società in cui internet ha rappresentato una realtà già presente al loro arrivo come ecosistema di informazione, apprendimento e comunicazione. Gli immigrati digitali sono piuttosto coloro che son dovuti transitare, gambe in spalla, dal cartaceo al digitale, impegnandosi, non poco, ad imparare nuovi codici di scrittura e di lettura sia in ambito lavorativo, che relazionale, che di conoscenza. La ristrutturazione cognitiva è propria dei nativi digitali, ossia di tutti quei bambini nati con in mano un tablet e che fin dai primi passi o “touch” hanno sperimentato e sperimentano un nuovo sistema di apprendimento e di costruzione di competenze. Persone nuove, diverse dagli immigrati, tra i quali risulta molto più fallibile la comunicazione, vista la differenza alla base nel modo di pensare e di comunicare il pensiero. Volendo fare un elenco delle “ristrutturazioni” o “evoluzioni” cognitive occorre ricordare che il nativo digitale:

  • possiede abilità visuo-spaziali e percettive più sviluppate;
  • possiede un cervello che lavora in modalità multitasking;
  • apprende e manipola in maniera più celere ed efficace un maggiore quantitativo di codici e simboli;
  • struttura il proprio apprendimento in assoluta autonomia definendo da sé il o i percorsi;
  • sviluppa una memoria di lavoro più efficiente.

Rispetto le ristrutturazioni emotive e sociali, è possibile affermare che esse procedano a braccetto nella “evoluzione antropologica” in ambito relazionale. Il nuovo millennio viene a definirsi come culla mortifera della relazione interpersonale così come è stata intesa fino ad ora. Alcuni ricercatori sostengono che la crisi era già in atto prima dell’apparizione magica del web, il quale diventa una concausa, per altri viene additato come boia. Rispetto questa diatriba, il Prof. Cantelmi prosegue sostenendo che la crisi delle relazioni interpersonali sia il risultato o l’evoluzione di tre fenomeni: l’incremento della “vena” narcisistica alimentata dal culto dell’immagine; il fenomeno del sensation seeking, ossia la spasmodica ricerca di emozioni, anche estreme, che nel tempo hanno portato a innamoramenti e relazioni lampo, spesso condivise attraverso il filtro dei social, che confondono l’esperienza, ormai parcellizzata, con l’emozione stessa, annichilendo il vissuto esperito e trasformandolo in puro “emotivismo”; il tema dell’ambiguità, supportato da una frammentazione delle identità che hanno svuotato di senso le relazioni in termini di reciprocità, responsabilità e generatività. Pare, dunque, che la “rivoluzione digitale” non abbia negato la costruzione delle relazioni, ma le abbia caratterizzate in una forma diversa, contraddistinta innanzitutto dalla velocità e quindi dall’impulsività, genitrici di rapporti instabili, indefiniti e provvisori, che oggi potremmo chiamare metaforicamente “connessioni” e non più relazioni, essendo peraltro “tecnomediate” (chat, blog, social network, sms).

Un omino seduto a pensare a bordo di un cranio apertoA proposito del terzo fenomeno, e a partire dalla definizione di Cantelmi, si approda al tema dell’Identità Personale o Schema del Sé. Questa in psicologia viene a definirsi come l’insieme organizzato di tutte le componenti, come l’immagine sessuale, l’immagine relazionale, l’immagine sociale, dimensioni dell’unica immagine di sé che si co-costruisce a patire dalle prime fasi di vita grazie all’interscambio con le figure di accudimento prima e il contesto sociale allargato poi, attraverso processi di differenziazione e assimilazione. All’interno di questa dinamica relazionale, un nucleo della suddetta immagine rimane stabile nel tempo, mentre ai margini muta a seconda dell’influenza più o meno consistente che altri individui e contesti possono avere sul nostro Sé. Tale immagine definisce il nostro pensiero e le nostre azioni. Recenti studi in materia hanno dimostrato che “esserci” oggi, a metà tra il mondo reale e quello virtuale, come un’equilibrista su una fune, vuol dire rinunciare ad una identità stabile per entrare in una dimensione ove si necessità di una identità mutevole, dissociata dalla realtà e ambigua, come l’esserci e il non esserci allo stesso tempo.

Bauman, sociologo, definisce questa forma di “identità liquida” come liquida è la società che di queste identità è costituita, poiché di forma mutevole ed instabile, come anche adattabile alla forma che il contenitore richiede, che potremmo anche definire per altri versi fenomeno dell’omologazione. Possedere e costruire una identità liquida equivale ad avere un concetto di sé e un sentire se stessi mutabili, adattabili e quindi facilmente plasmabili da terzi. In parole povere la nostra identità è a portata di click! Volendo fare un esempio basti pensare ai profili, gli avatar e i le identità che il singolo costruisce su piattaforme social. Attraverso la “tecnomediazione” è possibile esternalizzare, quindi rendere visibile solo parti di sé gradite e socialmente accettabili, come anche mutuare altrettante parti di sé esperite come intoppi nel relazionale. Con un’identità filtrata e costruita ad hoc difficilmente ci si ritrova a fare i conti con se stessi, coi propri limiti e insicurezze, per cui difficilmente ci si sperimenta in situazioni di disagio sociale. Pare dunque sia più semplice adottare il concetto del “sono come tu mi vuoi” in quanto vengono continuamente a ridefinirsi in maniera narcisistica vincoli e confronti. Allo stesso tempo si interagisce con altrettante identità fittizie selezionate solo con criteri di somiglianza che gratificano e alimentano il senso di appartenenza ad una rete e ad un gruppo. Tra identità liquide si instaurano relazioni liquide, per cui l’esserci determina un nuovo “esserci con”. Come detto in precedenza la relazione, come quella di coppia, oggi assume nuove e multiformi manifestazioni, corroborate dall’appagamento immediato di bisogni narcisistici individuali che svuotano di senso la progettualità, per cui vanno ad influire sul bisogno generativo, ossia l’essere madre e padre, ossia l’esserci per, razionalizzando il tempo nell’unica dimensione possibile e soddisfacente, il presente. Per quanto tali argomentazioni possano assumere una caratterizzazione negativa, è bene tenere a mente che si tratta per l’appunto di riflessioni e ipotesi che debbono ancora essere sostenute da una mole consistente di ricerche e studi clinici. Ad horas è possibile definire tali cambiamenti come evoluzione, rivoluzione o distruzione delle relazioni e delle identità a seconda di uno spassionato parere personale. Ci si potrebbe piuttosto domandare se questi cambiamenti, positivi o negativi che siano, abbiano portato ad un miglioramento della qualità di vita e del benessere personale.

Recenti studi hanno dimostrato che di pari passo con i mutamenti tecno-societari ci sia stato un aumento del malessere, del ricorso a droghe più o meno pesanti e di un senso di smarrimento. Pare dunque che qualcosa non funzioni. Perché l’uomo moderno, potenzialmente illimitato nel suo potere e nelle sue possibilità di scelta non è felice? Alcuni studi sul benessere, seguaci della psicologia della salute, fanno osservare che la felicità non è positivamente correlata alle possibilità di scelta, bensì al possedere un criterio di scelta. Il “criterio”, immaginabile come punto fermo nella vita dell’individuo, rimanda al concetto di identità, di fermezza, di concretezza, di idea di sé e di ciò che si desidera, si ha bisogno, si vuole. Un criterio è una dimensione di senso che dà senso a bisogni, scelte e sostanza ad un individuo solido.


APA, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Raffaello Cortina editori, 2012

Bauman Z., Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Roma-Bari, Laterza, 2004

Cantelmi T., L’era digitale e la sua valenza antropologica: i nativi digitali, in Convegno Internazionale della Società Italiana di Psicotecnologie e Clinica dei nuovi Media - SIP tech – Palermo (2009)

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