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“VISSI D’ARTE E DI DIPENDENZA!”

 

A cura della 
Dott.ssa Gilda De Giorgi 

Psicoterapeuta e psicologa clinica, specializzata in salute 
relazioni familiari e interventi di comunità 

Maglie  

 

Quante volte vi sarete domandati se il/la vostro/a partner vi ama?! E quante volte non siete riusciti a trovare una risposta compiuta a questa domanda? Domanda legittimamente da porsi non solo rispetto ad un/una partner, ma rispetto a tutte le relazioni significative, come quelle genitoriali, genericamente familiari e amicali. E qualora foste riusciti a trovare una risposta positiva a tale questione, vi siete mai chiesti se quello manifestato fosse amore o dipendenza?

La parola “dipendenza”, da tempo ormai sdoganata e utilizzata dai più in maniera impropria e acontestuale, viene spesso associata ad una sostanza, ad esempio droga o altro, o ad un oggetto o ancora ad una pratica, come quella sessuale. Ma se l’oggetto in questione foste voi? O meglio, la relazione con voi?

Esiste una particolare tipologia di dipendenza: la dipendenza affettiva (o love addiction)! Il primo specialista a parlarne è stato Fenichel, psicanalista della prima metà del ‘900, che coniò il termine “amori dipendenti”! Dopo di lui, altri specialisti del settore, come Blasco (2005) sono giunti ad una definizione ben precisa della patologia. Tale definizione recita parimenti:

“La dipendenza sentimentale è la necessità estrema di carattere affettivo che il soggetto dipendente prova nei confronti del partner, che si manifesta con comportamenti di sottomissione, con pensieri di tipo ossessivo e con una perenne paura dell’abbandono.”

Come mai tale tipo di dipendenza è stata scoperta, riconosciuta, etichettata e studiata solo in tempi relativamente recenti? Se è vero che ogni tipologia di addiction “nasce e cresce” di pari passo con la nascita e la diffusione di una nuova sostanza, un nuovo oggetto, come mai quella affettiva è stata riconosciuta solo negli ultimi anni? Eppure, le relazioni sentimentali esistono dalla notte dei tempi.
A tale domanda, sociologi e psicologi hanno risposto con un’attenta analisi dei cambiamenti sociali avvenuti tra il secolo passato e il presente. In sintesi costoro sono giunti alla conclusione che oggi le aspettative rispetto al rapporto di coppia sono cambiate. Se prima la relazione, il matrimonio venivano vissuti come dogmi societari o adempimenti funzionali al vivere bene o meglio, secondo regole prestabilite da una logica top down, oggi tali presupposti sono stati sostituiti dalla ricerca dell’amore, di una base sicura, della felicità e dell’intimità. Si è passati da una logica adempitiva ad una emotiva.
E ancora, se un tempo eravamo alimentati dalla paura dei giudizi e delle critiche altrui, adesso la nostra fonte di nutrimento sono le emozioni suscitate dallo stare, essere e sentirsi in relazione. In questa nuova ottica il soggetto dipendente assume tale nutrimento come necessario e mai sufficiente.
Per tale ragione, “SIAMO NOI LA NUOVA DROGA!”

Le questioni che si pongono giunti a questo livello di constatazione sono due:

  •  Come possiamo riconoscere un partner innamorato da un partner dipendente?
  •  E qualora riuscissimo a riconoscerlo, riusciremmo a privarcene?

Rispetto la prima questione, le definizioni e le ricerche rispetto tale addiction possono essere da aiuto nel riconoscimento. Risulta a tal fine utile aggiungere alla definizione suggerita pocanzi, un quadro di quelle che possono essere le caratteristiche della persona dipendente, ammesso che non lo siate voi stessi. In questo caso, il riconoscimento e la presa di coscienza richiedono senza ombra di dubbio un percorso terapeutico mirato con uno o più professionisti. Nel caso in cui il dubbio fosse relativo al vostro partner, è bene sapere che il soggetto affetto da addiction rinuncia ad una parte della sua autonomia decisionale, di critica e di giudizio, in quanto tale funzioni sono delegate al partner da cui trae dipendenza. Tale rinuncia si traduce in un comportamento di totale sottomissione all’altro, al suo volere, al suo affetto, al suo pensiero. La stessa sottomissione vale anche per i propri bisogni, che vengono completamente subordinati a quelli dell’altro. La dipendenza inoltre, si manifesta anche in una sorta di sindrome da astinenza affettiva, tale per cui l’alternanza dello stato di benessere/malessere del soggetto dipendente è direttamente proporzionale a variazioni dell’asse vicinanza/distanza, sia fisica che emotiva, tanto quanto qualitativa/quantitativa. Alla base di tali comportamenti e stati emotivi vi è la percezione necessaria di un totale stato di fusionalità con l’altro in relazione, che si traduce in un movimento dinamico di deprivazione del sé e di “vicarietà” della propria identità, ragione per cui viene completamente a cadere il concetto romantico di “incontro tra due anime”, dal momento che non sussiste ontologicamente la duplicità, tantomeno la reciprocità. Inoltre, il soggetto affetto da addiction tende ad avere un atteggiamento negativo verso il Sé, supportando la credenza patogena di essere una persona inadeguata, bisognosa e in costante bisogno di aiuto. Sulla base di tale caratteristica pone costantemente in dubbio la propria relazione poiché assillato dall’idea di non meritarla e dal terrore che possa finire da un momento all’altro.

Rispetto la seconda questione, il riconoscimento dell’altro in relazione come di un soggetto dipendente passa attraverso il bisogno della persona “sana” di tale riconoscimento. Dal momento che siamo noi la droga dell’altro e non una sostanza o oggetto, è necessario fare i conti con il nostro stesso bisogno di nutrimento in termini emotivi. In poche parole, lo stato di dipendenza in un rapporto tra due persone si istituisce nel momento stesso in cui vi è una co-alimentazione di tale stato. Per cui, la persona sana diventa protagonista attivo di tale relazione, per quanto essa possa essere malata, dal momento che si nutre del bisogno di essere necessario per l’altro. Tale bisogno tocca il lato narcisistico più o meno sviluppato della persona sana, direttamente alimentato dal desiderio fagocitante dell’altro. In parole semplici, appare difficile riconoscere la dipendenza dell’altro, salvo per manifestazioni franche ed eclatanti, poiché noi stessi traiamo beneficio dalla dipendenza stessa, per la semplice ragione di sentirci quasi onnipotenti rispetto all’altro.

In tale situazione la complessità del quadro patologico non si situa tanto nella cura della dipendenza quanto nel suo riconoscimento, tanto da parte del soggetto addicted quanto della persona ad esso legata. Fermo restando che nel mondo relazionale esistono talmente tanti tipi di “incastri amorosi” frutto di svariate combinazioni tra tipi diversi di personalità e che la patologia nasce nel momento in cui questa si interpone tra se e i propri obiettivi, relazionali o meno che siano, l’utilità di tale spazio di riflessione si pone come contributo verso una conoscenza in più rispetto la società e i suoi cambiamenti e non come spinta verso “l’autoanalisi” o l’analisi del proprio partner. È bene inoltre sottolineare come in alcune culture, soprattutto orientali, la personalità di tipo dipendente sia del tutto adattiva. Per tale ragione, ogni constatazione o ipotesi diagnostica deve tenere bene a mente il contesto culturale e subculturale di riferimento.

Preservando il diritto di ognuno di vivere ed etichettare le sue relazioni a proprio gusto e piacimento, come anche di discriminarle, concludo con l’affermazione di una nota psicologa che ha fornito un cospicuo contributo all’analisi della dipendenza affettiva:

“Le parole che vengono spesso associate alla dipendenza includono termini come ossessivo, eccessivo, distruttivo, compulsivo, abituale, attaccato e dipendente. E se ci pensi, alcune di queste parole sono usate anche per parlare d’amore.”

B. Schaeffer, 1987

 

Blasco J. C., Dependencia emocional: caracteristicas y tratamiento, Spagna, ALIANZA EDITORIAL, 2005.
Schaeffer B., Is It Love or Is It Addiction: The book that changed the way we think about romance and intimacy, Center City, Minnesota, Hazelden, 1987.

Fenichel O., Collected Papers, First Series and Second Series; Fenichel H., Rapaport D. eds. ; New York, Norton & Company.

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