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VACCINO, QUESTO SCONOSCIUTO!

 

Foto della dottoressa Gilda De Giorgi

A cura della 
Dott.ssa Gilda De Giorgi 

Psicoterapeuta e psicologa clinica, specializzata in salute 
relazioni familiari e interventi di comunità 

Maglie  

 

Numerosi i dibattiti, i gruppi pro e contro, una paura in più da combattere. Il vaccino, questo sconosciuto, seppur da sempre strumento salvifico, ma probabilmente frutto di automatismo sociale, crea scompiglio tra l’opinione pubblica. E non è necessario essere genitori per avvertire la preoccupazione e il caos che ne derivano. Tutti coloro che operano nel settore dell’istruzione ad esempio, come maestre/i o dirigenti, risentono del tumulto mediatico derivante dal primo caso eclatante, il Wakefield.

Una decina di persone disposte a piramide, una d'avanti all'altraOgni crisi e ogni guerra hanno un inizio. In questo caso trattasi della sentenza emessa dal Tribunale di Pesaro a favore di una correlazione causale tra vaccino trivalente e spettro autistico. Tale sentenza, se forse “consolatoria” per la coppia genitoriale coinvolta, affonda la sua tesi nella ricerca di A. Wakefield, che nel 1998 trovò un legame di causa effetto tra un vaccino trivalente e l’insorgenza dello spettro autistico. Certamente buffo che tale scoperta sia divenuta un caso mediatico, almeno in Italia, solo a seguito di una sentenza, e non al termine della ricerca stessa. Ma mica tanto buffo. La Psicologia Sociale, e soprattutto Lewin, ci hanno già spiegato che la figura di un leader, togato o meno, per ruolo e funzione, influenza sistematicamente il gruppo cui appartiene. In qualche modo è un potere forte a legittimare una paura, ma soprattutto una credenza. Abbiamo sempre bisogno di qualcuno più in alto di noi, una toga, un potere legittimo, istituzionale, per “concederci” di pensare qualcosa in un determinato modo, o addirittura per mettere sotto accusa quella che fino a ieri e per moltissimi anni, è stata una risorsa, una manna dal cielo per la prevenzione e la crescita sana del minore. Una manna per l’appunto, della quale raramente ci si domandava cosa fosse, a cosa servisse, nella quale si riversava una coscienza cieca, la quale non ha retto il colpo di una sentenza. E d’altronde, come avrebbe potuto? L’automatismo di cui parlavo prima, quel nostro tipico modo di procedere, senza domandarci il perché delle cose, semplicemente perché lo fa anche il nostro vicino, il nostro compagno di banco, non equivale ad avere contezza e conoscenza di qualcosa. Per tale ragione, diventa facile rinunciarvi, ammesso che lo faccia sempre il caro vicino. Si attiva spesso tra le dinamiche del gruppo di appartenenza, il processo di deindividiazione, scoperto a seguito del rinomato esperimento di Zimbardo, approfondito poi da Milgram. Secondo tale processo in ogni individuo, membro di un gruppo, diminuisce la consapevolezza di sé e aumenta l’identificazione e la conseguente adesione agli scopi e alle azioni intraprese dal gruppo medesimo. In altri termini l’individuo pensa che le proprie azioni facciano parte di quelle seguite dal gruppo. Il sentimento di appartenenza poi, sostiene e corrobora tale processo. Detto questo, da un certo punto di vista, ben venga il polverone sollevato dalla sentenza di Pesaro, poiché ha interrotto un processo cieco di scelta e ha condotto ad una riflessione su quello che sono realmente i vaccini e a cosa servono.

Arriviamo ora all’autismo. Miti e leggende aleggiano rispetto lo spettro, altro termine con rimandi mistici, esoterici. Nonostante la comunitàDisegno di 12 persone sedute in cerchio scientifica stia cercando risposte che ad oggi non sono definitive, dalle ricerche e dalle linee guida regionali e nazionali, emergono come concause fattori genetici e/o fattori ambientali. In sostanza pare oggi che alla base dello spettro autistico ci siano fattori genetici, e quindi in qualche modo predeterminati, ma che hanno a che fare con la trasmissione e quindi con la famiglia allargata, e fattori ambientali, cioè dove, come cresce il bambino. Di conseguenza, anche nel secondo fattore, si parla sempre di contesto familiare, allargato, scolastico e così via. In uno scenario, in cui si usano termini come causa piuttosto che fattore, predeterminismo, spettro, come dar torto al genitore di Pesaro che cerca il “mostro” fuori? All’esterno di suo figlio, all’esterno della sua generatività e capacità di cura? Un fuori che è diventato un dentro, dopo essersi insinuato nel bambino, ma che rimane pur sempre un agente patogeneo esterno, estraneo a sé. Il processo di demonizzazione dell’esterno si configura in tale situazione come un legittimo e comprensibile meccanismo di difesa da parte di un genitore che inevitabilmente si ritrova a fare i conti con frustrazione, fatica, dolore. È compito delle istituzioni, come di tutti gli operatori dell’ambito sociosanitario accogliere il portato emozionale di tale famiglia, per evitare che si giunga a un processo che non è la cura, ma il conforto temporaneo di aver fatto qualcosa di buono, e di grande per sé, per il proprio figlio e per altri. Dire piuttosto che esistono i miti, ma esistono anche i risultati, non tanto delle cause ma piuttosto degli interventi, che comprovano la loro efficacia per una prognosi mutuabile; avere la forza come operatore di dedicare un tempo maggiore a spiegare a quel genitore di Pesaro che è impossibile che il vaccino abbia generato l’autismo in suo figlio, ma che è plausibile e legittimo che lui lo pensi; favorire la condivisione tra genitore e figlio del disagio e delle conseguenze di tale disagio; costruire una rete, che sia contenitore del portato emozionale condiviso, ma anche strumento di comunicazione di veri risultati, vere notizie cui affidarsi. E ben venga poi qualsiasi crisi, qualsiasi dibattito, seppur talvolta regolato da fake news, ma pur sempre strumento efficace per aprire spazi di riflessione, da operatori, da non operatori, da diretti interessati, da seguaci periferici.

Questo articolo, per certi versi nudo e crudo nella sua estetica, non si pone come una schieramento a viso aperto pro o contro le vaccinazioni, tantomeno pro o contro i poteri forti. Piuttosto l’obiettivo fondante è aprire una riflessione su quanto i nostri pensieri e punti di vista non siano tanto nostri, ma co-costruiti all’interno di un contesto comunitario allargato, che sussiste nella realtà e nella mente dell’individuo, con dinamiche proprie, come l’influenza sociale, che spesso sfuggono alla nostra attenzione in quanto né siamo completamente immersi, agendole di continuo nel nostro quotidiano.  


Lewin K., La teoria, la ricerca, l’intervento, Bologna, il Mulino, 2005
Rago M., Gli esperimenti nelle scienze sociali, Milano, Franco angeli, 2018.

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