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PERSONALITÀ PSICOPATICHE


LETTERA APERTA DEL DOTT. SALVATORE SISINNI

Specialista in Malattie Nervose e Mentali
Primario ospedaliero di Psichiatria

In questi giorni si sta parlando e scrivendo ampiamente sui telegiornali e sulla carta stampata dell’efferato fatto di sangue verificatosi a Lecce; del quale l’autore è stato un giovane 21enne, studente nella facoltà di scienze infermieristiche e vittime un giovane arbitro di calcio 37enne e la sua compagna di pochi anni più giovane. Come sempre accade, pur non conoscendo nulla (o quasi) del protagonista principale e delle sue due vittime, incolpevoli o colpevoli solo di volersi bene, si azzardano ipotesi e considerazioni di vario genere sul suddetto agghiacciante delitto. Che pare sia stato studiato a tavolino, quindi premeditato e cinicamente portato a compimento: una raffica di coltellate a lui e, subito dopo, a lei sul pianerottolo dell’appartamento che abitavano da alcuni mesi, in una via di grande traffico, a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria. A tal proposito, premesso che non so nulla della personalità e del vissuto del giovane omicida voglio azzardare qualche considerazione di carattere generale.

Nei trattati di psichiatria esiste un capitolo dedicato alle “Personalità psicopatiche”, nel quale sono raggruppati “quegli individui il cui stile di vita è caratterizzato in maniera abituale da modalità abnormi di risposta agli stimoli ambientali. Trattasi di risposte egosintomatiche, prive di sensi di colpa, di resipiscenza o rimorso, emesse a spese degli altri, in assenza assoluta di disturbi psicotici che intaccano le funzioni psichiche. La personalità appare ben conservata e non presenta segni di destrutturazione o di deterioramento” (dal “Compendio di Psichiatria forense” di Ugo Fornari, EGES, Torino, 1984, pag. 95).
Sembrerebbe – il condizionale è d’obbligo – il caso di questo duplice efferato delitto. L’autore, ormai reo confesso, non ha valutato la gravità dell’atto commesso e al Magistrato che lo interrogava ha risposto: “Ho commesso una cavolata”. Pertanto, la diagnosi clinica che si potrebbe formulare è di soggetto “perverso” o “antisociale”, secondo alcuni, mentre, secondo altri, sempre esperti della materia, di “pazzo morale” (cfr. Carlo Ferrio, Trattato di Psichiatria clinica e forense, Utet, Torino, 1970, pag. 1973).

Questo caso, comunque, darà - come si suol dire - molto filo da torcere ai Magistrati, agli avvocati, ai periti medico legali o criminologi. Senza dire che – e questo aspetto mi preme sottolineare di questa incredibile vicenda - il protagonista principale è candidato ad esercitare il mestiere di infermiere, vale a dire ad aiutare i medici a preservare, a curare la salute, il bene più prezioso che le persone hanno. Un mestiere molto difficile, delicato, carico di responsabilità da espletare al meglio, secondo “scienza e coscienza”. Chi auspica ad esercitare una professione sanitaria – medico o infermiere che sia – dovrebbe, a mio avviso, essere sottoposto ad un esame preventivo da parte di un collegio di esperti (psichiatri e psicologi) che accertasse, certificandola, l’inclinazione, l’idoneità all’esercizio di tale mestiere o professione per esercitarla non basta l’intelligenza, la pazienza nello studio, ma occorre anche una certa predisposizione (in un certo senso innata) ad operare con umanità. Qualità, questa, che non si apprende sui libri o indossando semplicemente, il "fonendo" appeso intorno al collo, il fascinoso camice bianco. 

 

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