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IDENTITÀ E INTERSOGGETTIVITÀ

A cura della 
Dott.ssa Giulia Miglietta 

Psicologa - Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico socio-costruttivista 

Taviano (Lecce) 

 

DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA

"L'identità noi non ce l'abbiamo per il fatto che siamo nati ma ce l'abbiamo per effetto del riconoscimento che riceviamo".
Umberto Galimberti

Chi sono?”. Tentiamo di rispondere a questo quesito esistenziale che chi più chi meno si pone nel corso della propria vita e la cui risposta non è affatto semplice.

Parafrasando le parole del Professor Galimberti, l’identità non è un fattore individuale ma bensì un fattore sociale. Ciò significa che abbiamo bisogno dell'Altro per esistere e che la relazionalità non è importante ma bensì essenziale.

Tra i maestri psicoanalisti che più si sono interessati a spiegare il concetto di Identità vi è Erikson (1968), il quale sostenne la stretta correlazione tra l’identità personale, che definisce Identità dell’ego, e il contesto sociale in cui questa si forma. In questi termini l’Identità dell’ego costituisce un fattore sintetizzante il rapporto tra la propria individualità, e il senso di continuità di essa, e il significato che questa acquisisce nella comunità di appartenenza. L’autore descrive lo sviluppo evolutivo del soggetto come uno processo che non può che prendere forma se non attraverso il rispecchiamento e il riconoscimento dell’Altro e nell’Altro.

Altri psicoanalisti come i coniugi Grinberg (1975) sottolinearono, inoltre, l’importanza dello schema corporeo nel processo di costruzione del sentimento d’Identità, schema corporeo che, oltre a rappresentare l’integrazione di esperienze primarie sensoriali inconsce, è anche espressione di un fenomeno sociale. La percezione del corpo altrui è infatti una condizione necessaria per la percezione del proprio corpo e della sua espressione emozionale, che si costruisce nella relazione reciproca in cui non ci si può rappresentare senza un altro. Di conseguenza un corpo è sempre l’espressione di un Io e di una personalità situati in un mondo abitato da altri corpi. Già Winnicott (1971) riportava la capacità del bambino di esistere e percepirsi vivo nel rapporto con una madre ‘sufficientemente buona’, che gli avrebbe consentito, attraverso l’esperienza dei fenomeni transizionali, di acquisire un senso di Sé separato. Come insegna Erikson l’identità si acquisisce nel tempo, in un percorso che inizia nell’infanzia in due momenti topici essenziali: il momento del riconoscimento di sé allo specchio e il momento in cui per la prima volta si riconosce la madre e ci si sente da lei riconosciuti. Di fatti, il processo di separazione-individuazione (Mahler,1978), inteso come un “momento” di crescita psicologica fondamentale per la costruzione di una propria individualità, è possibile solo attraverso il rapporto, dapprima simbiotico, più tardi duale, infine di indipendenza dall’oggetto materno.

L’identità può essere intensa come quella dimensione psicologica che consente di realizzarsi, di diventare e restare se stessi in relazione agli altri in una data società e cultura, la cui rappresentazione di essa è possibile attraverso la narrazione della propria vita.  

Ma in cosa consiste l’identità di ognuno? I tratti costitutivi dell’identità sono pochi e fondamentali: la continuità, dunque la percezione di sè nel tempo; la coerenza, ovvero la rappresentazione sufficientemente stabile che abbiamo e che gli altri hanno di noi; l’unicità e diversità, intesa come l’idiosincrasia del proprio essere; il cambiamento, inteso come l’ampliamento della propria soggettività; l’autostima, quanto positiva è l’idea di se stessi. Lungo la vita questi tratti subiscono in termini eriksoniani “crisi”, ovvero momenti di criticità che il soggetto è chiamato a superare senza contraddirsi, sulla base della propria cultura di appartenenza, avvalendosi delle proprie strategie difensive.  Se ne deduce che il processo di sviluppo dell’identità non si costruisce solo sulla domanda chi sono io? Ma anche chi sono io in rapporto agli altri? E chi sono gli altri in rapporto a me? Gli altri con le loro conferme, disconferme o rifiuti ci portano alla costruzione di un’identità, dove, recuperando la filosofia esistenzialista di Sartre, non esisto se non nello sguardo dell’altro.  Lo sviluppo della soggettività è influenzato non solo dal passato e dal presente dell’individuo, ma anche dalla società e, poiché il concetto di Sé ha matrice relazionale, esso può modificarsi solo all’interno di rapporti significativi; da qui l’importanza di curare l’intersoggettività che mai come in questo momento storico è messa a dura prova.

Riferimenti bibliografici
Lombardozzi, A. (2015). L'imperfezione dell'identità. Riflessioni tra psicoanalisi e antropologia. Alpes Italia.

Sartre, J.P. (2002). L’essere e il nulla. La condizione umana secondo l’esistenzialismo. Milano: Il Saggiatore/Net.

 

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