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LA RAGADE ANALE, UN PROBLEMA NON SEMPRE DI FACILE SOLUZIONE


A cura del Dott. Sergio Sforza 
Dirigente Medico, Alta professionalità in Chirurgia Proctologica Ospedale “Vito Fazzi” di Lecce. Specialista in Chirurgia Generale, Master di II livello in Chirurgia Epatobiliare, Colo-Rettale e Proctologica.

Per ragade s’intende una ferita spesso di piccole dimensioni, più o meno profonda, che si estende longitudinalmente lungo il canale anale, solitamente dal margine dello stesso. Essa può presentarsi come acuta, o evolvere in cronica ed il più delle volte è causa di modeste emorragie, prurito, ma soprattutto di dolore intenso, in maniera particolare dopo il passaggio irritante di feci dure e asciutte, come anche di feci diarroiche (figura 1).

Nei bambini dove si osservano prevalentemente ragadi acute, la causa delle ragadi primitive o primarie è spesso determinata dalla stipsi e dai cambi di dieta, con un danno (ferita mucosa spesso sul quadrante posteriore) che si crea al passaggio delle feci dure lungo il canale anale in corrispondenza della linea dentata (linea circonferenziale a pettine che si osserva con anoscopio nel canale anale, confine tra mucosa rettale a monte e cute anale a valle). Tutto ciò è favorito da una cattiva igiene intima. Negli adulti, invece, s‘identifica una ragade acuta che ha le stesse cause descritte per il bambino e che nel giro di pochi giorni può guarire anche senza alcun trattamento e una ragade cronica che rappresenta il problema più ostico, nella maggioranza dei casi addebitato ad un ipertono sfinteriale o ad uno spasmo dello sfintere anale interno, causa dell’intenso dolore. Ciò determina un circolo vizioso per il quale l’ammalato ha paura di defecare e tende a trattenere le feci aumentando la consistenza delle stesse e peggiorando così la stipsi. Un’altra spiegazione eziologica è l’ischemia che si determina nel quadrante posteriore del canale anale dall’ipertono dello sfintere interno che impedisce una giusta vascolarizzazione, cicatrizzazione e quindi guarigione della ferita. Quando la ragade cronica è presente da mesi, il progressivo edema che si crea per il tentativo di guarigione della stessa, determina solitamente una marisca esterna (cute esuberante a cresta di gallo) ed una papilla ipertrofica interna (polipo fibroso), che innescano un meccanismo spesso di irreversibilità ai fini della guarigione (figura2).

Altra evoluzione peggiorativa è la formazione di un ascesso su ragade, con formazione successiva di fistola in corrispondenza della marisca.

Si parla invece di ragadi secondarie quando le stesse sono manifestazioni di altre patologie primitive come: Morbo di Crohn, Aids, Tbc, Sifilide, Tumori anali, Colite ulcerosa, Herpes simplex, Prurito cronico; le ragadi secondarie solitamente insorgono anche su altri quadranti del canale anale, possono essere a margini ispessiti e raramente danno il dolore già descritto.

Diagnosi

La diagnosi viene formulata con un esame esterno dell’ano, con ispezione dello stesso, spesso già sufficiente per avvalorare i sospetti dello specialista, accompagnata da palpazione per apprezzare la durezza e la rilevatezza dei margini, nonché il dolore ed il tono sfinteriale quando possibile (figura3). L’anoscopia, se ed in pochi casi espletabile, può darci informazioni circa la coesistenza di una patologia emorroidaria (circa 1 su 4), papilla ipertrofica o eventuale fistola. La malattia primaria nel 90% sul versante posteriore, insorge con la stessa frequenza nei due sessi, più spesso tra i 40 e 60 anni. Quelle anteriori sono maggiormente presenti nelle donne, mentre rare sono le laterali.

Terapia

Il trattamento conservativo è condotto prima con un’alimentazione corretta ricca di fibre, pane integrale, introduzione di almeno 2 litri di acqua al di, quindi dove sufficiente (circa il 20%) solo con creme a base di steroidi ed anestetici. I dilatatori inizialmente più utilizzati, attualmente sono stati accantonati, per l’avvento, come cura di prima linea, di farmaci riducenti l’ipertono sfinteriale , già rappresentato quale causa spesso all’origine del problema: la nitroglicerina (controindicata per chi soffre di cefalea) e i calcioantagonisti, nifedipina e diltiazem, con guarigioni in alcune casistiche, fino al 60%. In seconda battuta si utilizza la tossina botulinica, che crea una paralisi transitoria del muscolo sfintere interno, aggiungendo quindi ancora un 10-15% di guarigioni. Ai non guariti purtroppo bisogna sommare però una percentuale simile, che rispondono sempre meno alla riproposta della terapia medica. In terza linea, quindi in circa il 10-15% degli ammalati si propone un trattamento chirurgico che consiste, accantonata la divulsione anale per la scarsa oggettivazione delle manovre e l’alta frequenza di incontinenza, soprattutto nella sfinterotomia laterale interna (taglio sul muscolo sfintere interno dell’ano, muscolo liscio involontario), per ridurre la tensione dello stesso e quindi favorire la guarigione della ragade.

Nello specifico l’intervento può essere eseguito con tecnica aperta o chiusa, a seconda che si apra la mucosa e si tagli il muscolo sotto visione, oppure alla cieca, solo con il dito come guida e percezione del muscolo. Le complicanze più importanti sono però una piccola percentuale di incontinenza, in alcune casistiche fino al 10% o insorgenza di ascessi e fistole fino al 5%, ovviamente se la sfinterotomia non è sufficientemente espletata, viene considerata anche la recidiva per un altro 5% circa. Altre tecniche più complesse, come la plastica di cute e mucosa, raramente vengono prese in considerazione quando i rischi di incontinenza sono alti: soggetti già sottoposti a chirurgia anale o ostestrica (eseguire eco endo anale e manometria) e in ragadi senza ipertono sfinteriale dopo manometria, quindi senza alcuna indicazione alla sezione del muscolo stesso.

Conclusione

In conclusione possiamo dire che la ragade anale, apparentemente una semplice ferita, può diventare un problema di complessa soluzione se non indagata perfettamente la sua natura, alle volte anche con ulteriori accertamenti oltre alla semplice visita proctologica e quindi adottando la giusta terapia che sotto la regia di specialisti esperti, spesso è solo conservativa o medica, ma in alcuni casi può diventare chirurgica, con trattamenti non scevri da complicanze, se non adeguatamente indicati o espletati.

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