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U - UQ
UBICHINONE

vedi UBIDECARENONE

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UBIDECARENONE

(O ubichinone), nome farmacologico dato a una particolare molecola, il coenzima Q 10, presente nelle cellule e in moltissimi altri animali. Si tratta di un componente essenziale della respirazione cellulare il suo ruolo più importante è quello di fornire al muscolo cardiaco l’energia necessaria alle sue funzioni, quindi come farmaco è particolarmente indicato negli stati di scompenso cardiaco. L’u. ha anche la capacità di annullare la tossicità dei radicali liberi che si formano nel cuore danneggiato da un infarto è pertanto utilizzato negli esiti di infarto, nella miocardiopatia dilatativa, nell’arteriosclerosi e nei disturbi circolatori della vecchiaia.

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UBRIACHEZZA

Condizione patologica determinata da una intossicazione acuta da alcol etilico, che si manifesta nei soggetti che abbiano bevuto una quantità eccessiva di bevande alcoliche.

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UDITO

Funzione di senso che consente la percezione di stimoli costituiti da movimenti vibratori dell’ambiente questi agiscono su recettori specifici nei quali si generano impulsi nervosi che, trasmessi a determinati centri della corteccia cerebrale, producono la sensazione cosciente del suono. Le vibrazioni capaci di determinare sensazioni uditive sono dette anche onde sonore esse si propagano nell’aria, o in altri mezzi, e raggiungono così la membrana del timpano, che chiude in profondità il condotto uditivo esterno dell’orecchio. La velocità con cui le onde sonore si propagano dipende dalla natura del mezzo, dalla temperatura, dall’altitudine nell’aria al livello del mare e a una temperatura di 20° C esse viaggiano a 344 m/s ca. nell’acqua la velocità è maggiore, 1428 m/s ca.L’apparato di trasmissione. L’organo di senso dal quale dipende la funzione dell’u. è l’orecchio le cellule sensoriali recettrici per le sensazioni uditive sono incorporate in una struttura complessa, l’organo del Corti, contenuto nella chiocciola dell’orecchio interno.Il padiglione e il condotto uditivo esterno, che nel loro insieme hanno la forma di imbuto, agiscono come un collettore di onde sonore, convogliandole alla membrana timpanica in quantità circa doppia rispetto a quella in arrivo a livello del padiglione. La membrana del timpano all’arrivo dell’onda sonora entra in vibrazione oscillando come una tenda sospesa ad un asse curvilineo posto in prossimità del suo margine superiore. Le vibrazioni della membrana sono rese più facili dal fatto che la pressione dell’aria sulle due superfici è in equilibrio, in quanto la cassa del timpano comunica liberamente con la rinofaringe attraverso la tuba di Eustachio. Inoltre l’elasticità della membrana e la sua massa piccolissima ne rendono possibili le vibrazioni per quantità di energia estremamente piccole (0,0002 dine/cm2), con spostamenti altrettanto piccoli (10-9cm).La catena degli ossicini. Le vibrazioni della membrana timpanica si trasmettono alla catena degli ossicini contenuti nella cassa del timpano l’ampiezza delle oscillazioni, l’asse di rotazione del sistema e i moti relativi degli ossicini vengono modificati e modulati dalla contrazione dei muscoli dell’orecchio medio (tensore del timpano e stapedio).L’orecchio interno. Attraverso la catena degli ossicini le vibrazioni vengono trasmesse ai liquidi dell’orecchio interno: infatti ad ogni pressione positiva nel condotto uditivo esterno il piede della staffa si affonda nella finestra ovale comprimendo il liquido endolabirintico o perilinfa nella rampa vestibolare del canale cocleare. Poiché le pareti ossee del canale cocleare sono rigide ed il liquido endolabirintico non è comprimibile, quest’ultimo scarica la pressione che gli viene trasmessa dalla staffa attraverso la rampa timpanica della chiocciola e la finestra rotonda, ove si avrà una corrispondente estroflessione, verso la cassa del timpano, della membrana che la chiude. Le vibrazioni della staffa nella finestra ovale determinano quindi una serie di onde viaggianti nella perilinfa del vestibolo come l’onda avanza nella chiocciola la sua altezza raggiunge un massimo e poi decresce rapidamente, e a seconda della frequenza dell’onda sonora varia la distanza (rispetto alla finestra ovale) alla quale l’onda raggiunge il suo massimo. Per i suoni gravi (vibrazioni di bassa frequenza) il picco dell’onda migrante è posto in prossimità dell’apice della chiocciola, mentre per i suoni acuti esso è vicino alla base. In corrispondenza dei picchi delle onde che percorrono la rampa vestibolare del canale cocleare si determinano depressioni e distorsioni della membrana basilare, con spostamento delle cellule ciliate dell’organo del Corti le ciglia, comprese tra la superficie apicale delle cellule e la membrana tectoria, vengono così variamente stirate, compresse, piegate. Queste deformazioni delle ciglia determinano la stimolazione delle cellule sensoriali, che a loro volta stimolano le terminazioni nervose afferenti delle fibre del ramo cocleare del nervo acustico, situate alla base delle cellule stesse.
Padiglione auricolare, condotto uditivo esterno, membrana del timpano, cassa timpanica, catena degli ossicini e muscoli annessi, liquidi della porzione cocleare del labirinto e membrana basilare costituiscono nel loro insieme l’apparato di trasmissione delle onde sonore, che vengono condotte alle strutture dell’orecchio interno e rendono possibile la stimolazione delle cellule sensoriali recettrici. In questo sistema il rapporto sfavorevole tra la resistenza (o impedenza) acustica del mezzo aereo e quella più elevata del mezzo liquido dell’orecchio interno, viene quasi completamente corretto grazie al meccanismo di leve della catena degli ossicini, ed anche grazie alla differenza di superficie tra membrana del timpano e finestra ovale. La trasmissione delle onde sonore, oltre che attraverso la membrana del timpano e la catena degli ossicini (trasmissione ossiculare), è possibile anche attraverso la membrana timpanica secondaria che chiude la finestra rotonda (che pure viene fatta vibrare dalle onde sonore, trasmissione aerea, poco importante in condizioni normali), così come attraverso le vibrazioni delle ossa craniche (trasmissione ossea, che ha una parte nella trasmissione dei suoni molto forti).I centri d’analisi per l’elaborazione del suono. Gli impulsi nervosi che si producono per effetto della stimolazione delle cellule ciliate raggiungono i centri del sistema nervoso attraverso le fibre del ramo cocleare del nervo acustico, VIII paio dei nervi cranici l’insieme delle fibre e dei centri nervosi attraverso i quali ascende e viene elaborato l’impulso nervoso originato nella chiocciola prende il nome di via acustica. Le terminazioni nervose situate alla base delle cellule ciliate dell’organo del Corti originano dalle cellule del ganglio spirale, contenuto nello spessore della lamina spirale ossea della chiocciola i prolungamenti centrali delle stesse cellule gangliari entrano nel modiolo della chiocciola e poi nel condotto uditivo interno, che percorrono insieme alle fibre del ramo vestibolare e a quelle del nervo facciale entrano poi nel tronco dell’encefalo al limite tra midollo allungato e ponte, in vicinanza del peduncolo cerebellare inferiore le fibre terminano in corrispondenza di nuclei di sostanza grigia detti nuclei cocleari (dorsale e ventrale), i quali rappresentano un primo centro per l’analisi e l’elaborazione dello stimolo sonoro. Dai nuclei cocleari gli impulsi proseguono lungo vie complesse, in parte dirette ed in parte crociate. Alcune fibre raggiungono direttamente i tubercoli quadrigemini posteriori del mesencefalo e i corpi genicolati mediali, mentre altre fibre si interrompono a livello di centri nervosi del ponte (nucleo olivare superiore e nucleo del corpo trapezoide). I tubercoli quadrigemini posteriori e i corpi genicolati mediali costituiscono i principali centri acustici sottocorticali dai primi originano fibre nervose discendenti per le reazioni motorie riflesse dipendenti da stimoli sonori. Dai corpi genicolati mediali gli impulsi nervosi raggiungono poi la corteccia cerebrale della prima circonvoluzione temporale: tale regione è detta area acustica primaria essa è collegata con l’area acustica dell’emisfero opposto, e con altre aree corticali sensoriali ed associative. Gli impulsi nervosi provenienti dalle diverse parti della chiocciola mantengono anche nei vari centri nervosi e nella corteccia dell’area acustica primaria una certa distribuzione spaziale topografica, per i suoni delle diverse frequenze, analoga a quella esistente nella chiocciola. È interessante notare come nel sistema nervoso centrale la “rappresentazione” della chiocciola si espanda progressivamente fino a risultare, a livello della corteccia cerebrale, 340 volte superiore rispetto a quella che si ha nelle fibre del nervo acustico ciò spiega forse la grande capacità che l’u. consente di analizzare i suoni complessi e di identificarne i componenti (l’uomo può normalmente distinguere fino e 2000 toni, i musicisti molti di più). Nella via acustica esistono anche fibre efferenti, dirette e crociate, che originano nei nuclei olivari superiori e discendono lungo il nervo acustico sino alla chiocciola, ove terminano distribuendosi in una fitta rete alla base delle cellule ciliate nell’organo del Corti esse avrebbero una funzione inibitrice, importante per la modulazione della chiocciola agli stimoli sonori. Vibrazioni di frequenza e orecchio umano. L’apparato uditivo dell’uomo è in grado di percepire suoni corrispondenti a vibrazioni di frequenza variabile da un minimo di 20 a un massimo di 20.000 cicli al secondo con l’avanzare dell’età il limite superiore di frequenza si riduce progressivamente.
A seconda dell’altezza (o tonalità) del suono varia la sensibilità dell’orecchio, che è massima per le frequenze comprese tra 1000 e 3000 Hz (la tonalità della voce usuale corrisponde a 120-250 Hz). Mentre la tonalità del suono dipende dalla frequenza delle vibrazioni, la sua intensità dipende dalla loro ampiezza. L’intensità dei suoni viene misurata in decibel a un certo valore di intensità (120 dB ca.) le vibrazioni sonore provocano una sensazione di fastidio per valori ancora superiori esse determinano una sensazione dolorosa, e possono danneggiare in modo permanente l’organo di Corti. Onde sonore che si ripetano danno una sensazione di suono musicale, il cui timbro dipende dalla forma dell’onda e da vibrazioni armoniche (o sovratoni) che si aggiungono al tono fondamentale. Le vibrazioni non periodiche danno invece una sensazione di rumore. La percezione della direzione di provenienza dei suoni dipende dalla differenza di tempo che le vibrazioni provenienti da una certa sorgente sonora impiegano nel raggiungere l’uno e l’altro orecchio (si tratta di differenze minime, ma il cervello è in grado di apprezzare una differenza di soli 10 microsecondi).Disturbi della funzione uditivaAlterazioni dell’u., dalla semplice diminuzione della acuità uditiva (ipoacusia) sino alla sordità completa (cofosi), si possono manifestare in conseguenza di processi patologici e lesioni che possono interessare l’orecchio nelle sue varie parti (orecchio esterno, medio, interno), o il nervo cocleare, o le vie uditive nel sistema nervoso centrale sino alla corteccia cerebrale.Sordità di trasmissione. I disturbi dipendenti da lesioni localizzate nell’orecchio esterno e nell’orecchio medio vengono definiti anche sordità di trasmissione o di conduzione, in quanto sono dovuti a riduzione nella trasmissione dei suoni. Tra le condizioni più comuni vi sono l’ostruzione del condotto uditivo esterno da parte di corpi estranei o di tappi di cerume, la distruzione della catena degli ossicini o l’ispessimento della membrana timpanica in seguito a processi infiammatori recidivanti dell’orecchio medio, l’abnorme rigidità nella inserzione della staffa nella finestra ovale quale si ha nell’otosclerosi.Sordità di percezione. Vengono definite sordità di percezione le forme, molto meno frequenti, dovute a lesioni che colpiscano l’orecchio interno o le strutture nervose, dal nervo acustico sino alla corteccia cerebrale. Tra le cause vi possono essere tumori del nervo acustico, processi patologici (tumorali o non tumorali) che interessino la base del cranio coinvolgendo il nervo acustico, alterazioni degenerative del nervo stesso (per es. da tossici o da farmaci quali la streptomicina), lesioni vascolari o d’altra natura a livello del ponte, del mesencefalo, o di altri distretti encefalici.I due tipi di sordità vengono distinti, oltre che per alcuni caratteri clinici, per mezzo di prove effettuate con un diapason (prova di Weber, di Rinne, di Schwabach). Spesso tuttavia si hanno forme con caratteri atipici o misti, di conduzione e di percezione, che risultano difficilmente classificabili.Altri disturbi. Oltre alla riduzione dell’acutezza uditiva altri disturbi dell’u. possono essere costituiti da sensazioni soggettive di ronzii o di altri rumori di varia tonalità, continui o ritmici (acufeni), che si associano spesso alle ipoacusie di varia natura, e che possono comparire anche nelle nevrosi, in disturbi circolatori alterazioni qualitative delle sensazioni uditive (paracusie) allucinazioni uditive disturbi nel riconoscimento del linguaggio parlato (sordità verbale), dei suoni, dei rumori.Queste ultime dipendono da lesioni dell’area uditiva nella corteccia cerebrale si associano in genere a disturbi di altre funzioni del linguaggio (afasia).L’u., così come la vista, il tatto e altri sensi, costituisce una modalità specifica molto importante dell’esperienza, che consente di conoscere sistemi fenomenici esterni (quali oggetti, persone, ambienti o mezzi interposti), sistemi intrapersonali, strutture di relazione tra il soggetto e il mondo esterno, qualità di oggetti, persone, ambienti ecc. L’u. consente anche forme di propriocettività allorché il soggetto è impegnato a cogliere, per via aerea o anche per via intracorporea, suoni e rumori personali come quelli da lui stesso prodotti nel parlare, nel cantare, nel respirare, nel muoversi (queste esperienze uditive propriocettive costituiscono importanti complementi per l’attuazione di svariate condotte pratiche, quali la fonazione, l’esecuzione musicale ecc.). L’esperienza uditiva presenta anche importanti aspetti spaziali (riguardanti le posizioni, le grandezze, le forme, le consistenze, le distanze delle sorgenti sonore) così come aspetti temporali (in quanto essa si svolge tipicamente per sequenze, nelle quali le caratteristiche fenomeniche di un singolo suono vengono determinate anche da quelle dei suoni adiacenti, che precedono o che seguono, cioè dai loro contesti di riferimento, nella loro dimensione anche temporale).
Per tutte queste ragioni l’u. riveste una importanza fondamentale non solo nell’ambito della attività conoscitiva, ma anche in quella della socialità, dell’aggressività, della sessualità attraverso le espressioni naturali o le arti musicali e teatrali, esso è inoltre fonte importante di esperienze estetiche. Di conseguenza le carenze uditive possono produrre notevoli deficit e distorsioni della personalità, delle quali la più vistosa è rappresentata dal mancato apprendimento del linguaggio orale, onde il mutismo nei soggetti sordi dalla nascita.

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UGOLA

Prolungamento mediano e verticale che si stacca dalla porzione centrale del margine libero del velo palatino e divide la cavità anteriore della bocca da quella posteriore.

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ULCERA

Escavazione della superficie di un organo o di un tessuto causata sempre da un processo patologico che interessa gli strati più profondi del tessuto colpito è caratterizzata da scarse capacità riparative spontanee. Le cause determinanti sono varie: processi infiammatori, turbe circolatorie periferiche, disturbi trofici di origine nervosa, traumi fisici e chimici. A volte può rappresentare l’evoluzione di una lesione come, per esempio, di bolle, pustole, noduli. La riparazione di un’u. avviene tramite la formazione di una cicatrice.

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ULCERA MOLLE

(O ulcera di Ducrey), è una malattia altamente infettiva causata da Haemophilus ducreyi, un batterio gram-negativo. Il contagio è per via diretta, tramite rapporto sessuale. Dopo l’incubazione, che può variare dai 2 ai 14 giorni, si formano nella regione genitale e in quella anale delle lesioni vescico-pustolose che rompendosi danno origine a ulcerazioni dai bordi tumefatti, mentre il fondo è anfrattoso e molle, da cui il nome. La linfoadenite e la linfangite sono possibili complicazioni, determinate dalla diffusione del batterio per via linfatica. Causano un dolore sordo, che diviene forte alla palpazione. Si curano con sulfamidici e antibiotici. Per il medico è obbligatoria la denuncia.

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ULCERA PEPTICA

Ulcera correlata a Helicobacter pylori, ulcere correlate ai FANS e ulcere di Zollinger-Ellison. In Italia si calcolano circa un milione di casi l’anno. Si tratta tra l’altro di una patologia che interessa tutte le fasce d’età, anche se gli adolescenti ben difficilmente ne sono colpiti ed ancora meno lo sono i bambini. Si può comunque distinguere tra u. duodenale, la più frequente 65% dei casi, che si verifica per la prima volta tra i 30 e i 50 anni ed è più comune tra gli uomini e quella gastrica che invece caratterizza in genere gli ultrasessantenni e soprattutto le donne. Durante il suo normale percorso il cibo attraversa l’esofago e raggiunge lo stomaco qui avviene la digestione mediata da acidi ed enzimi che costituiscono il succo gastrico. Il cibo quindi viene dirottato al duodeno, porzione superiore del piccolo intestino, dove viene completata la digestione e si ha l’assorbimento nutritivo. Le due forme più frequenti sono l’u. gastrica e l’u. duodenale, le quali, pur rappresentando localizzazioni ben distinte di una stessa malattia, aspetti causali e caratteri clinici fanno sì che esse debbano essere considerate come un’unica entità. L’attività della mucosa gastrica e duodenale è mantenuta grazie a un bilancio tra fattori aggressivi, come l’acido e la pepsina, e i normali meccanismi difensivi dell’epitelio gastrico e duodenale, fra cui la secrezione di muco che riveste la superficie gastrica, bicarbonato prodotti localmente che neutralizzano l’acido, la rigenerazione di nuove cellule epiteliali e la normale irrorazione sanguigna della mucosa gastrica. Questi meccanismi di difesa dipendono dalla sintesi di prostaglandine da parte della mucosa. In condizioni patologiche, le cui cause sono complesse e ancora non del tutto conosciute, aumenta la produzione acida ed enzimatica, mentre diminuisce la quantità di fattori protettivi che rivestono lo stomaco. Il succo gastrico agisce così in modo aggressivo sulla mucosa che riveste lo stomaco e il duodeno e si produce prima una infiammazione della parete e quindi la sua erosione o per meglio dire ulcerazione. Oggi è stato dimostrato che la maggior parte delle ulcere si svilupperebbe in seguito ad una vera e propria infezione della mucosa gastroduodenale causata da un germe, l’Helicobacter pylori ne è stata dimostrata la presenza nel 100% dei portatori di u. duodenale e nel 70% dei portatori di u. gastrica. Questo batterio produce una infezione cronica durante la quale il batterio si attacca alle cellule epiteliali gastriche, rilasciando una varietà di enzimi extracellulari, fra cui l’ureasi, che rompe lo strato mucoso della parete gastrica. Sebbene una gastrite cronica attiva sia presente in tutte le persone infette, solo una minoranza sviluppa in realtà ulcere duodenali. Eventi critici nello sviluppo dell’u. duodenale comprendono lo sviluppo di metaplasia plastica nel bulbo duodenale, la colonizzazione della metaplasia da parte di Helicobacter Pylori e la secrezione di proteine citotossiche da parte di alcuni ceppi. L’eradicazione di Helicobacter Pylori ripristina i livelli di gastrina basali e postprandiali al valore normale ed elimina sostanzialmente il rischio di u. peptica ricorrente.Tra le cause vanno poi ricordati alcuni farmaci, come gli antiinfiammatori in genere, che oltre a favorire la formazione di ulcere più o meno gravi possono aumentare il rischio di sanguinamento di un’u. preesistente. Le ulcere correlate ai FANS sono causate soprattutto dall’inibizione della sintesi di prostaglandine da parte dei FANS. Pertanto l’u. peptica può seguire la somministrazione intrarettale o parenterale di FANS. Alcuni FANS presentano anche un effetto tossico topico diretto, che è stato meglio studiato con l’aspirina. L’aspirina, gli oxicami e il naprossene sodico facilitano la retrodiffusione di acido attaverso la mucosa gastrica interferendo con la capacità dello stomaco di produrre la mucosa protettiva e condizionando anche l’afflusso di sangue nella zona gastrica.Le ulcere di Zollinger-Ellison sono causate dall’ipersecrezione di acido, che deriva direttamente da elevati livelli circolanti di gastrina prodotti da tumori endocrini che originano nel pancreas o nella parete dell’intestino tenue.Altri fattori ritenuti tradizionalmente importanti nell’eziopatogenesi dell’u.
peptica come stress, sia fisico sia emozionale, alimentazione scorretta, fumo, caffeina, alcol possono modificare il rischio di malattia ulcerosa, ma di se stessi non sono sufficienti a provocare ulcere.Di questi il più importante è il fumo di sigaretta. Il rischio di sviluppo di u. duodenale, il rischio di fallimento della terapia antisecretoria e il rischio di recidive sono direttamente proporzionali al numero di sigarette fumate.

Sintomi
La sintomatologia è inizialmente subdola e poco chiara, tanto che molti pazienti con l’u. possono non avere alcun sintomo e andare incontro a una guarigione spontanea e variano a seconda della sede dell’u. Tuttavia, il sintomo più importante, spesso l’unico, è il dolore. Questo è tipico sia per la sua ricorrenza stagionale (si presenta generalmente in primavera e autunno) sia per la sua ritmicità di comparsa nella giornata. I sintomi classici di u. duodenale comprendono dolore nella parte centro superiore dell’addome urente presenza di crampi che svegliano il paziente di notte e sono attenuati dai pasti e dagli antiacidi e possono durare da alcuni minuti a parecchie ore. Si realizza un “ritmo a tre tempi” (pasto-benessere-dolore). I pazienti con u. gastrica lamentano, invece, sazietà precoce, nausea e vomito, esacerbazione del dolore con il pasto e localizzazione atipica del dolore, come al quadrante superiore sinistro. Si realizza il cosiddetto “ritmo a quattro tempi” (pasto-benessere-dolore-benessere). Più spesso i pazienti con u. peptica si presentano con un gruppo di sintomi conosciuti come dispepsia. La più tipica caratteristica dell’u. peptica è la attenuazione o la scomparsa del dolore con l’ingestione di cibo o di sostanze alcaline. I sintomi dispeptici comprendono dolore epigastrico urente, meteorismo addominale superiore, gonfiore e nausea. Sono possibili anche complicazioni come emorragia, perforazione (seguita da peritonite) o processi ostruttivi. La sede del dolore è tipicamente epigastrica sono possibili diverse irradiazioni a seconda della localizzazione dell’u.: all’ipocondrio destro, dorsale, bilateralmente lungo le ultime coste, raramente retrosternale. A tutt’oggi non è chiaro per quale ragione l’ulceroso senta dolore. L’ipotesi iniziale, che l’acidità gastrica irritasse le fibre nervose che risultano scoperte nella zona ulcerata, è stata smentita perché pare che queste diventino insensibili agli stimoli. Si fa l’ipotesi che il dolore sia dovuto all’aumento della pressione intraviscerale indotta da spasmo oppure da stimolazioni dolorifiche provocate dallo stato infiammatorio. Non c’è comunque una dimostrazione sicura di ciò.

Diagnosi
L’approccio diagnostico dell’u. peptica prevede l’esecuzione dell’endoscopia e della ricerca dell’infezione da Helicobacter Pylori. Si può eseguire anche la radiografia con bario a doppio contrasto come alternativa accettabile all’endoscopia per la diagnosi di u. peptica. Tuttavia, si preferisce l’endoscopia perché è più accurata nel rilevare le ulcere, consente di differenziare l’u. attiva da quella inattiva, consente la biopsia delle ulcere gastriche per escludere una neoplasia maligna, e consente la documentazione anatomopatologica della gastrite nonché dell’infezione da Helicobacter Pylori. La diagnosi di infezione da Helicobacter Pylori viene fatta in modo non invasivo tramite il breath test. Questo test si basa sulla capacità dell’Helicobacter Pylori di metabolizzare rapidamente l’urea in ammonio e CO2 (anidride carbonica). L’urea, marcata con l’isotopo 13 del carbonio, non radioattivo e presente in natura, viene somministrata al paziente ed attraverso il respiro (aria espirata) si può misurare l’eliminazione di CO2 marcata mediante una raffinata metodica di laboratorio (spettrometria di massa). Un aumento della quota di CO2, tra due prove consecutive (una si fa prima e l’altra mezz’ora dopo la somministrazione dell’urea), è quindi un indice indiretto della presenza di infezione da Helicobacter Pylori a livello gastrico.

Terapia
Le ulcere da Helicobacter Pylori vengono trattate principalmente con l’eradicazione dell’infezione. La terapia migliore consiste nella somministrazione di un farmaco antisecretorio in combinazione con la terapia anti-Helicobacter. Gli inibitori della pompa protonica (IIP) (Omeprazolo) sono gli agenti antisecretivi preferiti perché presentano anche una attività anti-Helicobacter annullano completamente la secrezione gastrica, sedano i sintomi mediamente in sole 24-48 ore, riducono del 50% il tempo di cicatrizzazione dell’ulcera.

Per l’eradicazione si utilizza bismuto, metronidazolo o claritromicina, tetraciclina o amoxicillina e un omeprazolo questa quadrupla terapia si associa a tassi di eradicazione del 98%. In alternativa c’è la tripla terapia con omeprazolo (o lansoprazolo), claritromicina e metronidazolo i tassi di eradicazione con tripla terapia sono del 90%. Dovranno essere poi eseguiti esami quali il breath test o una nuova gastroduodenoscopia con prelievo bioptico per confermare l’eliminazione del batterio dopo qualche settimana di terapia. Il trattamento delle ulcere da FANS comprende l’esame per la presenza di Helicobacter Pylori e l’eradicazione dell’infezione, se presente. I pazienti con u. peptica da FANS devono essere trattati con un ciclo di 8 settimane con inibitori del recettore H2 della istamina, i capostipiti sono la cimetidina e la ranitidina. Più recenti sono poi la famotidina e la nizatidina seguiti, ultimamente, dalla roxatidina, o con un ciclo di 4 settimane con un inibitore della pompa protonica. Si preferiscono gli IPP se l’u. è più grande di 5mm. Tra i protettori della mucosa merita particolare attenzione il sucralfato, che forma un film protettivo sulle lesioni ulcerose e stimola i fattori difensivi della mucosa. L’indicazione alla terapia chirurgica è di scelta per le ulcere gastriche o duodenali complicate cioè perforate, sanguinanti o che in seguito a cicatrizzazione abbiano determinato un restringimento della cavità gastrica o duodenale. I trattamenti per l’u. peptica complicata possono essere:- la gastroresezione, che consiste nell’asportazione chirurgica dell’ultimo tratto di stomaco (regione antrale) e del bulbo duodenale con successivo abboccamento del restante stomaco al digiuno (ricostruzione secondo Billroth II) oggi si preferisce tuttavia utilizzare la tecnica di ricostruzione su ansa a Y secondo Roux.- la piloroplastica con vagotomia selettiva, limitata a ulcere dell’antro gastrico o del bulbo duodenale. Consiste nell’asportazione del solo tratto perforato tramite incisione orientata secondo l’asse longitudinale e successiva sutura della stessa unendo i lembi in senso trasversale viene poi associata la resezione dei rami gastrici del nervo vago allo scopo di ridurre notevolmente la stimolazione nervosa alla secrezione di acido cloridrico. Questo tipo di vagotomia sacrifica però tutta l’innervazione vagale che regola la motilità dell’antro e del piloro gastrici. Pertanto viene oggi sostituita con la vagotomia superselettiva, che denerva solo la porzione acido-secernente dello stomaco, conservando un normale svuotamento gastrico e una buona contrattilità dell’antro: si rende così superflua l’esecuzione della piloroplastica, a meno che non ci sia una stenosi pilorica infiammatoria.

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ULCERA VARICOSA

Si forma di solito sulla parte inferiore della gamba presso la caviglia (perciò è chiamata anche ulcera trofica della gamba), in persone che soffrono di insufficienza venosa degli arti inferiori, varici, flebiti, varicoflebiti, favorite da malattie sistemiche quali diabete, ipertensione, cardiopatie. Si forma per lento avanzamento di piaghe di origine traumatica, per convergenza di punti necrotici dovuti a occlusione di vasi sanguigni, per edemi dovuti a stasi venose o a scompensi cardiaci. Ha forma irregolare con fondo lardaceo o purulento con bordi cianotici. La terapia richiede l’uso di farmaci ad attività flebotonica e un’attenta pulizia locale della piaga.

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ULCERAZIONE

vedi ULCERA

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ULERITEMA

L'ulerythema oophryogenes è una malattia della pelle piuttosto rara, facente parte delle cosiddette cheratosi pilari atrofizzanti, patologie caratterizzate da cheratosi follicolare associata a diversi gradi di infiammazione che porta alla distruzione dei follicoli interessati con la loro conseguente atrofia.Si manifesta solitamente nella prima infanzia, interessando preferenzialmente la porzione più laterale delle sopracciglia, in maniera simmetrica. Inizia come una lesione eritematosa persistente e induce la formazione di piccole papule cornee, con conseguente atrofia dei follicoli e perdita permanente dei peli coinvolti le lesioni residuano sotto forma di piccole cicatrici puntiformi. Non si conoscono terapie in grado di modificare il decorso spontaneo della patologia né di eliminare o ridurre le cicatrici residue.

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ULNA

(O cubito), osso lungo che, con il radio che gli sta accanto, forma lo scheletro dell’avambraccio. È lungo 25-35 cm, e ha sezione irregolarmente triangolare. La sua estremità superiore si collega, nell’articolazione del gomito, all’estremità inferiore dell’omero, alla quale corrisponde perfettamente. Una robusta sporgenza situata posteriormente, l’olecrano, nei movimenti di estensione dell’avambraccio va ad incastrarsi in una corrispondente fossa (fossa olecranica) dell’omero, impedendo una estensione superiore ai 180°. L’estremità superiore si articola inoltre con il radio in modo tale da consentire una rotazione dell’osso nei movimenti di pronazione e di supinazione. L’estremità inferiore dell’u. si articola lateralmente con il radio e, nell’articolazione del polso, con le ossa del carpo.

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ULTRASONOGRAFIA DOPPLER

L’u. Doppler è effettuata mediante ultrasuoni e permette di misurare la velocità del flusso cerebrale attraverso un’arteria (è definita pertanto anche velocimetria Doppler). Gli ultrasuoni sono onde di tipo meccanico (di compressione e rarefazione del mezzo materiale interposto), della stessa natura dei suoni udibili dall’orecchio umano, ma di frequenza più elevata (al di sopra dei 20000 Hz), e quindi non udibili. La maggior parte delle applicazioni diagnostiche si effettua con frequenze comprese tra 2,5 e 10 MHz. Vengono generati sfruttando la proprietà di opportuni cristalli di entrare in vibrazione ad altissima frequenza (produzione delle onde ultrasonore) quando eccitati da impulsi elettrici. Il cristallo, che fra un impulso elettrico generatore di ultrasuoni ed il successivo, entra in una fase di riposo, viene deformato meccanicamente dalle onde riflesse e genera a sua volta impulsi elettrici (effetto piezoelettrico) amplificati ed elaborati dall’apparecchiatura.L’effetto Doppler è rappresentato dalla variazione di frequenza subita da un fenomeno vibratorio, quale è il suono, quando questo venga riflesso da un ostacolo in movimento. Uno spostamento verso la sonda aumenterà la frequenza di ritorno, mentre un movimento che se ne allontana tenderà a diminuirlo.Nell’esplorazione vascolare, un fascio di ultrasuoni emesso con frequenza nota, e diretto verso un vaso, viene in larga parte disperso ed in parte riflesso dai globuli rossi in movimento, con frequenze diverse: le differenze fra la frequenza di emissione e quella di riflessione risultano situate in un intervallo di suono udibile ed, opportunamente filtrate, sono, quindi analizzabili sia acusticamente che graficamente. Le variazioni di frequenza rilevabili con corretta angolatura fra sonda e vaso, saranno proporzionali alle velocità relative di spostamento dei diversi globuli rossi rispetto alla sorgente dell’ultrasuono. Nel corso dell’esame, una sonda emettente ultrasuoni viene posta sulla cute sovrastante il vaso da esaminare e la frequenza dell’eco fornisce indicazioni sulla velocità di flusso proprio perchè qualsiasi spostamento di frequenza è proporzionale alla velocità degli eritrociti e all’angolo del fascio di onde sonore. Quando il lume arterioso è ristretto, la velocità di flusso aumenta, e l’u. Doppler evidenzia un aumento delle frequenze registrate.La velocimetria Doppler consente di esplorare le carotidi comuni, le carotidi interne ed esterne, le arterie succlavie e, in parte, le arterie vertebrali. Di tali vasi, è possibile riconoscere con affidabilità stenosi di grado superiore al 50%. In presenza di stenosi di grado elevato o di occlusioni dell’arteria carotide interna, si può documentare l’inversione della direzione del flusso dell’arteria epitrocleare, che riceve sangue, anziché dalla carotide interna ostruita, dai rami anastomotici provenienti dalla carotide esterna diretti per via retrograda verso l’arteria oftalmica.Nell’u. di tipo B (B-mode) gli echi riflessi dalle strutture anatomiche vengono rappresentati nello schermo di un oscilloscopio in due dimensioni. La luminosità risultante in ciascun punto riflette la densità della struttura rappresentata. La tecnica è stata utilizzata per visualizzare l’arteria carotide interna e la biforcazione nel collo, consentendo la valutazione dell’entità della patologia vascolare extracranica. Può essere visualizzata la parete arteriosa e possono essere evidenziate le lesioni arteriosclerotiche.Le strumentazioni Duplex, attualmente diffusamente utilizzate per l’u. vascolare, consentono di combinare le immagini B-mode e quelle dell’u. Doppler, fornendo simultaneamente informazioni sulla struttura e sull’emodinamica circolatoria mediante codifica colorimetrica. La tecnica viene sempre più utilizzata per valutare i pazienti con sospette lesioni ateromasiche dell’arteria carotide interna a livello cervicale. Tale screening sonografico si è rivelato utile nell’identificare i pazienti candidati all’arteriografia, riducendo così il numero di esami arteriografici non necessari. Qualora l’u. evidenziasse una patologia significativa con possibili indicazioni chirurgiche, è necessaria l’angiografia per fornire una panoramica della vascolarizzazione e aiutare a pianificare il trattamento. Nell’esame duplex dei tronchi sovra-aortici, si evidenziano anche lesioni minori della parete vasale che sfuggono alle tecniche Doppler quando non modificano i parametri velocimetrici. Lo studio ecografico è inoltre in grado di precisare le caratteristiche delle alterazioni parietali: ispessimenti parietali, placche ateromatose, dissecazioni della parete arteriosa, alterazioni displastiche.La velocimetria Doppler transcranica, per le sue caratteristiche non invasive, ha assunto sempre maggior importanza negli ultimi anni. Viene utilizzata una sonda da 2 MHz ad emissione pulsata (fascio di ultrasuoni emesso ad intervalli regolari) capace di penetrare la teca cranica nei punti più sottili (finestre ossee) e visualizzare i grossi vasi di cerebrali grazie al vantaggio dell’emissione pulsata, costituito dal fatto che la profondità di riflessione dell’ultrasuono è calcolabile consentendo informazioni soltanto riguardo ad una regione circoscritta, corrispondente al cosiddetto volume campione.
Essa permette di valutare le caratteristiche della circolazione intracranica in pazienti portatori di varie patologie e di seguirne l’evoluzione nel tempo. Le indicazioni del Doppler transcranico sono:- Studio degli effetti emodinamici a livello intracranico delle patologie extracraniche delle arterie carotidi ( stenosi carotidea al collo o stenosi succlavio-vertebrale) - Riconoscimento di stenosi od occlusione dell’arteria cerebrale media - Diagnosi e monitoraggio del vasospasmo conseguente a emorragia subaracnoidea che compare tra il quarto e l’ottavo giorno dall’esordio di quest’ultima, con normalizzazione alla terza-quarta settimana - Identificazione di malformazioni arterovenose di medie e grosse dimensioni - Monitoraggio in corso di interventi chirurgici con by-pass cardiopolmonare e di endoarterectomia carotidea.- È stato inoltre descritto l’utilizzo del Doppler transcranico per il riconoscimento del passaggi di microemboli nell’arteria cerebrale media e per lo studio indiretto dell’esistenza di pervietà del forame ovale.- Con questa metodica si possono inoltre effettuare test funzionali: ne è un esempio il Test con anidride carbonica (CO2) basato sul seguente principio. La CO2 è un potente vasodilatatore delle arterie della base cerebrale: varia il flusso ematico essendo capace di modificare le resistenze cerebrovascolari. La respirazione di una miscela gassosa (ossigeno puro + CO2 al 5%) oppure l’induzione di ipercapnia (aumento della concentrazione ematica di CO2) con iniezione di acetazolamide, sono seguite dalla determinazione dell’ aumento di flusso, indotto con CO2 nell’arteria cerebrale media. Tale determinazione permette di stabilire se i vasi cerebrali della base cerebrale siano dilatati completamente già a riposo per compensare le stenosi o se esista ancora una “capacità di riserva di CO2”. Questi test sono importanti per verificare le capacità della circolazione cerebrale ad adattarsi a condizioni diverse ed a modificare le sue caratteristiche (reattività vasale). Tali capacità sono più o meno alterate in varie patologie.

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ULTRASUONOTERAPIA

Tecnica di terapia fisica che sfrutta i vari effetti biologici prodotti dagli ultrasuoni: questi agiscono sui tessuti determinando forti sollecitazioni meccaniche delle cellule, aumento della temperatura locale, e modificazioni chimiche soprattutto a carico delle molecole di maggiori dimensioni, con fenomeni di ionizzazione, scissione di catene lunghe, accelerazione di fenomeni osmotici. Gli ultrasuoni consistono in vibrazioni sonore a frequenza così elevata da non essere percepibili all’orecchio umano. Pertanto vengono modificate e migliorate le condizioni di nutrizione dei tessuti, con effetti analgesici, antinfiammatori, spasmolitici. L’azione biologica sarebbe dovuta alla capacità degli ultrasuoni di accelerare i processi metabolici cellulari, di determinare una reazione termica locale dovuta all’assorbimento di energia sonora, di provocare positive modificazioni del tono neuromuscolare e neurovascolare.L’u. viene effettuata mediante oscillatori piezoelettrici (che producono gli ultrasuoni) i quali vengono applicati a diretto contatto della parte da trattare, oppure con l’interposizione di acqua.Essa trova indicazione in diverse affezioni dell’apparato locomotore (spondilite anchilosante, spondilartrosi, artriti, periartriti scapolo-omerali, epicondiliti), del sistema nervoso periferico (nevralgie, sciatalgie, nevriti, morbo di Dupuytren), della pelle (ulcere varicose, piaghe torpide), stati infiammatori superficiali (ascessi infiltrati, mastiti) ed in varie malattie dell’apparato respiratorio, urogenitale e cardiovascolare.L’u. è controindicata in presenza di neoplasie, in vicinanza dell’area cardiaca o di organi sessuali, osteoporosi, flebiti in fase acuta.

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ULTRAVIOLETTO

Spettro di radiazioni non visibili con lunghezza d’onda compresa fra i 176 ed i 400 nm. Il campo dei raggi ultravioletti (UV) viene diviso in tre bande:- UVA, con lunghezza d’onda da 400 a 315 nm - UVB, con lunghezza d’onda da 315 a 280 nm - UVC, con lunghezza d’onda inferiore ai 280 nm.I raggi UV fanno parte delle radiazioni solari. Gli UVC sarebbero bloccati dal filtro di ozono e pertanto non dovrebbero arrivare allo strato terrestre gli UVA e gli UVB hanno un particolare interesse in campo dermatologico dal momento che gli UVA, penetrando nel derma profondo, lo possono danneggiare, soprattutto nella sua componente elastica (invecchiamento) e gli UVB limitando la loro azione all’epidermide, danneggiano il nucleo del cheratinocita ed esplicano un effetto mutageno. Questo determina una reazione di difesa della cute che si manifesta come pigmentazione e si verifica in due tappe. La prima rapida, ma di scarsa efficacia, dovuta all’ossidazione della melanina già disponibile dello strato corneo. La seconda, più tardiva ma persistente, dovuta alla neosintesi di melanina ed al suo trasporto all’interno dei cheratinociti. Se le esposizioni ai raggi UV si ripetono, aumenta anche il numero dei melanociti. Infine gli UV determinano una parziale immunodepressione, poiché agiscono sull’attività dei linfociti T e delle cellule di Langerhans e questa reazione viene anche sfruttata nella terapia di alcuni quadri patologici (fototerapia).La razza caucasica possiede un’epidermide che in media lascia passare il 55% degli UVA ed il 27% degli UVB, mentre nella razza afroamericana queste percentuali sono del 17 e del 7% rispettivamente. Come appena accennato, gli UV vengono usati anche a scopo terapeutico e il loro impiego in questo senso si chiama fototerapia. Sono indicati soprattutto nella psoriasi, ma anche nella dermatite seborroica o atopica, nel prurito diffuso secondario ad insufficienza renale. Spesso si associano a farmaci (fotochemioterapia), come avviene soprattutto per gli UVA e gli psoraleni nella terapia della psoriasi (PUVA). Gli psoraleni sono sostanze biologiche capaci di amplificare gli effetti biologici delle radiazioni luminose sulla cute e pertanto vengono assunti dopo esposizione agli UVA, poiché trasferiscono l’energia assorbita al DNA delle cellule dermo-epidermiche, soprattutto ai linfociti T, ed inibiscono la fase sintetica del ciclo cellulare, ovvero le replicazione. In corso di psoriasi, l’epidermide va incontro ad iperplasia epidermica e, a livello dermoepidermico, si genera un’infiammazione testimoniata dalla presenza di linfociti T attivati. Appare chiaro quindi il motivo per cui la psoriasi si avvalga dell’applicazione della PUVA-terapia.Ma i raggi UV non sono impiegati solo in dermatologia. Essi posseggono a determinate lunghezze d’onda, anche effetto microbicida, proprio in virtù dell’effetto lesivo sul DNA. La loro azione è molto rapida, ma poiché non hanno grandi capacità di penetrazione, il loro effetto si esplica solo sulle superfici direttamente esposte. Vengono prodotti attraverso l’impiego di particolari lampade germicide e si usano nella sterilizzazione dell’aria e dei piani d’appoggio in ambienti protetti: laboratori, reparti di neonati pretermine, ecc. queste radiazioni però provocano lesioni su cute e mucose, per cui richiedono opportune protezioni.

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UMORALE, immunità

Tipo di immunità mediata da particelle circolanti chiamate anticorpi. La risposta immunitaria, che come abbiamo detto si basa sulla reazione antigene-anticorpo, può essere inoltre immediata, quando gli anticorpi sono solubili (circolanti), o ritardata, quando gli anticorpi sono cellulari (linfociti). Questi due aspetti identificano rispettivamente l’immunità u. e l’immunità cellulare.Nel primo caso la fase effettrice (cioè di realizzazione che segue alla fase di allarme) della risposta immunitaria dipende essenzialmente dalla produzione e messa in circolo di particolari proteine, chiamate anticorpi o immunoglobuline, in grado di legarsi all’antigene, formando così un complesso antigene-anticorpo. Questi complessi sono in seguito eliminati da cellule denominate fagociti, che sono in grado di fissare, internalizzare (cioè inglobare) e poi digerire tali complessi. I linfociti che producono gli anticorpi vengono denominati linfociti di tipo B. Vediamo, dunque, come gli anticorpi abbiano la possibilità di riconoscere e identificare gli antigeni, e soprattutto come alcuni specifici linfociti T siano in grado di far scattare il riconoscimento anche da parte dei linfociti B, a loro volta capaci di costituire delle cellule memoria che, nel caso di una nuova infezione con una stessa particella patogena, permetteranno una risposta immunitaria immediata.I linfociti B sono caratterizzati dall’espressione sulla loro superficie di una proteina che è la forma di membrana dell’anticorpo che essi potranno in seguito sintetizzare e liberare nel circolo, quando l’organismo lo richiederà. Un’estremità dell’anticorpo forma una specie di tasca, nella quale si può incastrare una data struttura, unica, che corrisponde a un unico antigene, nello stesso modo in cui una chiave, e una sola, si può adattare a una data serratura. L’osservazione che il sistema immunitario è pronto a rispondere a un’infinità di antigeni, suggerisce quindi che nel sangue esistono un’infinità di anticorpi, aventi ognuno una particolare conformazione strutturale che permette loro di fissarsi a uno specifico antigene.Il meccanismo con cui i linfociti T riconoscono l’antigene dipende dalla presenza sulla loro superficie di un recettore per l’antigene, ma essi non sono in grado di riconoscere direttamente un antigene quando questo si trovi, per esempio, sulla superficie di un virus. Le cellule, preposte a tale compito, presentano al linfocita T gli antigeni in una configurazione che ne permetta il riconoscimento. I monociti e le cellule dendritiche hanno questo compito e sono capaci di captare e internalizzare l’antigene, poi di digerirlo, per mostrarlo in seguito sulla loro superficie, sotto forma di piccoli frammenti. Durante la cooperazione tra le cellule presentatrici dell’antigene e i linfociti T, la presentazione degli antigeni ai linfociti si realizza sotto forma di combinazione tra un frammento dell’antigene e una particolare molecola di superficie facente parte di un sistema che prende il nome di complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Il linfocita T riconosce una conformazione particolare del complesso MHC-antigene, e solo a quella potrà rispondere. Esistono differenti tipi di linfociti T che schematicamente si possono distinguere in tre tipi diversi a seconda delle loro funzioni: i linfociti T-helper, T-suppressor e T-citotossici.I linfociti T-helper (termine inglese che significa “aiutante”) producono delle molecole, chiamate linfochine, il cui compito è di sviluppare e amplificare la risposta immunitaria. Tra queste molecole, alcune sono capaci di stimolare la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B. I linfociti B, pur derivando da un precursore comune ai linfociti T, sono una categoria di cellule completamente diversa. Come già visto in precedenza, essi esprimono sulla loro superficie una molecola che ha funzione di recettore ed è di fatto una forma particolare dell’anticorpo che produrranno durante la risposta immunitaria. Al contrario dei linfociti T, i linfociti B, attraverso la mediazione dei loro anticorpi di membrana, riconoscono gli antigeni liberi e non hanno quindi bisogno che l’antigene sia presentato loro da altre cellule. Di fatto, si potrebbero considerare i linfociti B stessi come cellule presentanti l’antigene, poiché, grazie al loro anticorpo di superficie, fissano l’antigene e poi lo internalizzano. Dopo averlo inglobato, i linfociti B possono esprimere l’antigene sulla loro superficie sotto forma di piccoli frammenti e presentarlo così ai linfociti T che vengono quindi messi in grado di cooperare con essi. Durante questa cooperazione, il linfocita T, attraverso le linfochine, trasmette al linfocita B i segnali che lo attiveranno per fargli acquisire la sua funzione, cioè quella di secernere l’anticorpo che porta sulla sua superficie. Il linfocita B può quindi essere considerato come una cellula presentante l’antigene che, contrariamente alle altre, è capace di presentare un solo antigene, cioè quello che riconosce attraverso il suo anticorpo di superficie.Il linfocita B attivato, detto plasmacellula, si trasforma in una vera e propria “officina” per fabbricare gli anticorpi che hanno una forma leggermente diversa da quelli espressi sulla superficie della cellula, tale da consentire loro di essere secreti nel circolo.Ad eccezione di alcuni antigeni particolari, capaci di dare direttamente al linfocita B un segnale che gli permette di fabbricare gli anticorpi, per la grande maggioranza degli antigeni la produzione degli anticorpi dipende dalla stretta collaborazione dei linfociti T con i linfociti B.
Questo è importante perché le anomalie funzionali dei linfociti T possono portare a dei deficit anche dei linfociti B. Va ricordato ancora una volta che ogni linfocita B è capace di produrre una sola immunoglobulina, poiché i geni che gli permettono di fabbricarla si sono riarrangiati nel corso della sua differenziazione e non possono più cambiare dopo il completamento del riarrangiamento. Dopo il riarrangiamento si potranno avere solo alcune piccole modificazioni dei geni, che permetteranno ai linfociti B di adattare a poco a poco la fine struttura dei loro anticorpi per poter riconoscere sempre meglio l’antigene.Quando un microrganismo riesce a penetrare nell’organismo umano, scatena una risposta immunitaria diretta specificamente contro di sé i meccanismi di tale risposta saranno diversi a seconda che quel microrganismo sia stato precedentemente in contatto con il sistema immunitario di quell’individuo, oppure che si tratti di un primo contatto. Dopo la penetrazione, alcuni microrganismi verranno attaccati dalle cellule fagocitarie, in particolare dalle cellule di tipo monocitario presentatrici dell’antigene. Queste, come è stato già detto, distruggono i microrganismi e in seguito ne presentano dei frammenti ai linfociti. Si pone allora in azione l’insieme del sistema immunitario e si sviluppano sia un’immunità cellulo-mediata sia un’immunità u., dirette contro tale microrganismo. L’immunità u. porta allo sviluppo degli anticorpi che rendono molto più facile la fagocitosi dei microrganismi da parte delle cellule fagocitarie. Gli anticorpi, fissandosi ai microrganismi e in seguito al complemento, accrescono di molto la capacità delle cellule fagocitarie di riconoscere questo complesso antigene-anticorpo-complemento, che in seguito verrà ingerito. Gli anticorpi sono anche capaci, fissando una delle proteine del complemento, di provocare direttamente la distruzione di alcuni batteri o di alcune cellule infettate. Essi possono ugualmente, come visto in precedenza, intervenire nei fenomeni di citotossicità mediati dalle cellule killer. Infine gli anticorpi possono neutralizzare i virus, cioè impedirne la penetrazione nelle cellule, nelle quali essi di solito si moltiplicano, e indirizzarli verso le cellule fagocitarie che li degraderanno possono anche neutralizzare alcune tossine prodotte dai batteri, rendendole così inefficaci. Una memoria immunologica di questi eventi persisterà e nel momento in cui un microrganismo dello stesso tipo penetrasse nell’organismo una seconda volta porterebbe allo sviluppo di una risposta immunitaria secondaria, molto più rapida e soprattutto molto più efficace di quella primaria. Nel caso della risposta primaria, la prima tappa essenziale è la fagocitosi dei microrganismi da parte dei macrofagi, affinché questi possano in seguito presentare l’antigene ai linfociti. La fagocitosi presuppone il riconoscimento dei microrganismi da parte dei macrofagi, processo più difficile in assenza di anticorpi o complemento legati ai microrganismi. Al contrario, nel caso della risposta secondaria, gli anticorpi sono già presenti nei liquidi corporei e, quando il microrganismo penetra, essi si possono fissare su di esso, aumentando così l’efficacia della fagocitosi.Nello stesso modo, in caso di infezione virale, la presenza di anticorpi circolanti nel siero contribuirà a neutralizzare immediatamente le particelle virali e impedirà che queste penetrino nelle cellule per moltiplicarvisi. Anche se qualche virus sfuggisse a questo meccanismo, le cellule da essi infettate sarebbero in seguito distrutte rapidamente dalle cellule citotossiche già armate degli anticorpi specifici.

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UMORE

Termine che nella medicina antica indicava i quattro liquidi circolanti nell’organismo: sangue, flemma o muco, bile gialla e bile nera, il cui equilibrio assicurava la buona salute. In psicologia viene detto u. quella disposizione affettiva di base o temperamento determinato da caratteristiche intrinseche costituzionali e da fattori acquisiti, come apprendimenti, esperienze, abitudini cui partecipano istanze emozionali ed istintive, capace di dare ad ogni stato d’animo una tonalità particolare alternante tra i due poli piacevole-spiacevole. Ha un ruolo preminente nella risposta emozionale individuale, che varia da soggetto a soggetto esprime sia la disposizione affettiva di base, sia un temporaneo stato affettivo può subire modificazioni in senso euforico o depressivo.Gli studi di neurofisiologia ci hanno mostrato che la regolazione del tono dell’u. è sotto la dipendenza di un centro diencefalico: si è definita questa regolazione funzione timica e, a seconda che l’u. sia esaltato o rallentato, si parla quindi di ipertimia o ipotimia più genericamente inoltre si parla di distimia per indicare ogni perturbazione dell’u.

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UMORE ACQUEO

Liquido chiaro, incolore, che è contenuto negli spazi dell’occhio davanti al cristallino nelle camere anteriore e posteriore. Esso è prodotto dal corpo ciliare, ed è costituito da acqua con una minima quantità di sali e sostanze proteiche disciolte. L’u. acqueo ha una funzione ottica in quanto fa parte dei mezzi di rifrazione dell’occhio, ed una funzione nutritiva, specie nei riguardi del cristallino, una funzione statica, poiché contribuisce a contenere la pressione intraoculare.

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UMORE VITREO

(O corpo vitreo), sostanza trasparente di aspetto gelatinoso che riempie tutta la cavità del bulbo oculare dietro il cristallino cioè la cavità posteriore del globo oculare, precisamente lo spazio compreso tra la superficie posteriore del cristallino e la retina esso è avvolto da una sottile membrana, la ialoide, formata da una condensazione dell’u. vitreo stesso alla sua periferia. Ha un’importante funzione come mezzo di rifrazione e di mantenimento della tensione oculare.

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UNCINATO, osso

Piccolo osso della mano, di forma piramidale, appartenente alla seconda fila delle ossa del carpo è così detto perché presenta, sulla sua faccia palmare, una sporgenza a forma di uncino.

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UNGHIA

Formazione annessa alla cute, che ricopre la superficie dorsale dell’estremità delle dita, sia alle mani sia ai piedi. Ha la forma di una lamina ovoidale a superficie convessa, ed è costituita da strati di cellule appiattite, completamente cheratinizzate, che derivano dall’epidermide con un processo analogo a quello che porta alla formazione della guaina dei peli. La superficie profonda dell’u. appoggia su epidermide modificata (letto ungueale), i margini laterali si insinuano in un infossamento della cute (doccia ungueale) e sono ricoperti da una ripiegatura della cute stessa (vallo ungueale) l’estremità prossimale o radice dell’u. si addentra nello spessore della cute e si connette con la parte prossimale ispessita del letto ungueale, che costituisce la matrice dell’u.: qui vengono aggiunte sempre nuove cellule alla radice dell’u., per cui la lamina ungueale si sposta continuamente in avanti scivolando sul letto ungueale, con un accrescimento di 0,5-1 mm la settimana.

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UNGHIA INCARNITA

Affezione determinata dall’approfondimento di uno o di entrambi i margini di un’unghia nei tessuti molli vicini si verifica di solito a livello dell’alluce, in rapporto all’uso di calzature troppo strette. Tale condizione comporta infiammazione del tessuto, con tumefazione, eventualmente anche suppurazione, dolore, e di conseguenza limitazione funzionale del dito ammalato.La terapia è chirurgica e richiede l’asportazione di parte o dell’intera u., e del tessuto infiammatorio esuberante, associata a trattamenti antibiotici e antiinfiammatori

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UNGUENTO

vedi POMATA

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UNGUIS

vedi LACRIMALE, osso

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UNITA' CORONARICA

(O unità cardiaca di terapia intensiva), reparto di cura abitualmente associato alla divisione di cardiologia, particolarmente attrezzato per il trattamento tempestivo di condizioni di emergenza cardiovascolare quali si possono manifestare nel corso di un infarto miocardico (tali per es. disturbi del ritmo, arresto cardiaco o altre complicazioni). Le u. coronariche sono particolarmente dotate di apparecchiature per indagini diagnostiche e per procedimenti terapeutici urgenti e sofisticati: monitor elettrocardiografici con sistema di allarme per ogni letto, defibrillatori elettrici, respiratori a mano ed automatici, stimolatori transtoracici non invasivi, strumentari per misurare la pressione arteriosa e quella venosa, per effettuare intubazioni, tracheotomie, cateterismi cardiaci. Esse devono inoltre disporre di personale particolarmente addestrato ed efficiente, che sia in grado di riconoscere le aritmie, di adeguare la velocità di infusione dei farmaci antiaritmici, vasoattivi, anticoagulanti e di eseguire una rianimazione, compreso l’eventuale shock elettrico. Il ricovero deve essere effettuato nelle prime ore della malattia , quando la struttura può fornire il massimo di efficacia terapeutica. Le u. coronariche hanno migliorato la qualità del trattamento dei pazienti affetti da infarto miocardio acuto determinando una significativa riduzione della mortalità e il miglioramento delle conoscenze sulla malattia.

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UOMO

Termine con cui si indica l’individuo adulto della specie umana. L’uomo è un essere che si evolve, sia come singolo che come specie nel suo complesso. Certamente anche altri animali cambiano nel tempo, trasformandosi profondamente sino a divenire qualcosa di completamente diverso da ciò che erano inizialmente. Ma gli altri animali, a differenza dell’u., non hanno memoria del proprio passato in senso storico: né come individui né come specie. L’u. ha invece una grande qualità: svolge azioni che vengono continuamente integrate in maniera attiva nel proprio patrimonio di conoscenze e di ricordi. L’u. ha cioè esperienza, nel senso che basa il proprio comportamento presente sulla conoscenza critica del passato, ed organizza il proprio futuro operando previsioni. Queste ultime sono formulate in base alle esperienze che l’u. ha condotto personalmente e/o che ha riconosciuto negli altri individui della propria specie. È la capacità di operare previsioni una delle qualità che maggiormente differenziano l’u. dagli altri esseri viventi. Per lui non esiste solo un presente o, nelle migliori occasioni, un passato: esiste anche un futuro da prevedere e da controllare. È proprio attraverso la capacità di costruire “scenari” futuri, in base all’analisi critica del passato, che viene esaltata la capacità dell’u. di controllare e modificare la natura e la realtà circostanti: la costruzione di qualsiasi sistema scientifico sarebbe impensabile senza l’elaborazione di previsioni. In questo caso infatti cadrebbe la possibilità di formulare ipotesi mentre proprio questa possibilità si costituisce come uno degli strumenti tra i più potenti di cui l’u. dispone per conoscere la natura, per conoscere se stesso, per conoscere gli altri individui. È questa un’altra caratteristica dell’u.: il coordinare le proprie azioni a quelle degli altri individui, collegandole all’ambiente in cui si è inseriti. L’u. cioè non può mai essere descritto come individuo singolo, bensì deve sempre essere visto collocato in un ambiente e posto in relazione ad altri uomini. Dalla famiglia alla fabbrica, alla scuola, a tutte le altre organizzazioni sociali, l’u. è sempre inserito in contesti definiti dai fattori ambientali in senso stretto e dalla presenza di altri individui. Si attua una interazione continua, tra il singolo, l’ambiente e gli altri individui, che è fonte di esperienza e di apprendimento. Si costituisce così un sistema relazionale a tre (individuo, gruppo sociale, ambiente) che risulta fondamentalmente indissolubile: è impossibile prenderne in considerazione una parte trascurandone le rimanenti due. Qualsiasi variazione intervenga a produrre cambiamenti in una componente del sistema, causa modificazioni anche nelle restanti parti. A questo punto diventa necessario, piuttosto che parlare di u., riferirsi al concetto di “sistema umano”, comprendendo in esso sia l’ambiente naturale in genere sia gli ambienti cosiddetti artificiali costruiti dall’u. stesso. In questa prospettiva, l’evoluzione della specie umana sovradetermina l’u. singolo in quanto tale: infatti quest’ultimo non può fare a meno di ciò che è stato, tanto che il presente può ben essere descritto come retroazione del passato. L’attuale condizione dell’u. è determinata dalla storia passata dell’evoluzione della specie, anche se questa evoluzione alla sua origine non poteva considerarsi a sua volta predeterminata. L’interazione tra singolo, specie ed ambiente, più il concomitante verificarsi di fattori casuali, ha indirizzato l’evoluzione in un verso piuttosto che in un altro. Ciò che è il presente, nel bene e nel male, non può essere ben valutato se non si tiene conto che esso è il risultato di scelte successive che l’u., magari inconsapevolmente, ha compiuto nel proprio passato. Non si può non considerare ciò quando si affrontano i problemi che l’u. oggi incontra. È stata tracciata una strada, e qualsiasi cambiamento richiede un pedaggio elevatissimo: si deve combattere infatti non contro il presente, bensì contro il passato che in quanto tale è immutabile. Il sottovalutare questo aspetto, pone l’u. occidentale contemporaneo nella condizione di impotenza operativa ad effettuare cambiamenti, ed impone un costo molto alto in termini sociali e psicologici. Lo stress e la depressione, disturbi tipici dell’u. contemporaneo, trovano le proprie radici nella sensazione che il singolo prova di essere schiacciato da una situazione esistenziale non riconosciuta come propria e vissuta come imposta. L’interdipendenza tra l’u. e l’ambiente che ha costruito intorno a sé è divenuta tale per cui risulta sempre più difficile distinguere quanto l’uno influenzi l’altro e viceversa. Nelle fabbriche, nella caotica vita delle grandi città l’u. si sente schiavo di un ambiente che lui stesso ha costruito. Molte di quelle malattie, che spesso vengono definite professionali, sono il risultato di questo disagio psicologico. Dalle ulcere agli incidenti casuali e ripetuti sul lavoro: ci troviamo sempre di fronte ad una paradossale reazione dell’individuo.
Inconsapevolmente comunica la propria insoddisfazione, la propria alienazione, attraverso la produzione di sintomi che in qualche modo giustificano la propria impotenza a modificare la realtà in cui è inserito. La complessità delle organizzazioni sociali contemporanee rende sempre più problematica ed articolata l’esistenza del singolo. Perciò una definizione dell’u. che sia rispondente alla complessità del mondo moderno potrebbe essere quella di soggetto relazionale strategico: “soggetto” in quanto individuo che compie azioni di cui è responsabile e consapevole “relazionale” perché è sempre inserito in contesti in cui si stabiliscono e si gestiscono relazioni con altri individui, e tra questi e l’ambiente “strategico” in quanto opera delle scelte e prende delle decisioni per conseguire obiettivi precisi.

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UOVO

(O ovulo o cellula uovo o ovocito), gamete femminile, portatore di un corredo cromosomico aploide, espulso dall’ovaio ad ogni ciclo mestruale durante l’età fertile. È il prodotto dell’ovogenesi, è una cellula di grandi dimensioni, fornita di abbondante citoplasma, circondata da una membrana detta zona pellucida.Nell’alimentazioneL’u. è un alimento lipoproteico che è prodotto dagli animali ovipari, entro una custodia di protezione costituita dal guscio. In quest’unica, enorme cellula sono presenti tutti i composti necessari per formare un organismo animale (funzione fisiologica comune a tutte le cellule-u. degli esseri viventi, che, se fecondate, danno origine ad un nuovo organismo). L’u. utilizzato per il consumo umano è quasi esclusivamente quello di gallina prodotto in allevamenti razionali di particolari razze ovaiole. Due uova che corrispondono circa a 100 g forniscono 150 kcal, contengono il 14% di proteine, che sono della qualità più completa ed equilibrata in aminoacidi essenziali, infatti è il termine di paragone usato per giudicare la qualità delle proteine contenute negli altri alimenti. Contengono inoltre l’11% di lipidi e una quantità di glicidi trascurabile. Le sostanze nutritive non sono omogeneamente distribuite: l’albume (parte più esterna e bianca) è meno ricco di proteine (11% contro 16%) e di lipidi (0,3% contro 32%) rispetto al tuorlo. Le proteine del tuorlo sono d’altissimo valore biologico perché sono costituite da tutti gli aminoacidi essenziali. Per il loro contenuto in fosforo, sono chiamate fosfoproteine. Il 60% delle proteine dell’albume (la parte bianca fluida) è costituito da ovoalbumina, che contiene in quantità apprezzabili, anche se inferiori rispetto al tuorlo, tutti gli aminoacidi essenziali. Tra le rimanenti proteine figura il lisozima, che è dotato di proprietà antibatteriche e che perciò rappresenta un fattore di protezione naturale. Il tuorlo è costituito per la maggior parte da fosfolipidi (lecitine): è da notare che gli acidi grassi presenti nella frazione lipidica sono per il 70% insaturi. Le uova (soprattutto il tuorlo) sono ricche anche di sali minerali (1%) di calcio, ferro, zolfo, potassio e soprattutto fosforo combinato organicamente con proteine e lipidi, e vitamine tra cui la A (anche se unicamente nel tuorlo), la B1, la B2, la PP e la biotina. È assente invece la vitamina C. Il colesterolo è presente in grande concentrazione (circa 200-250 milligrammi per 100 grammi), e questo è l’unico motivo per cui se ne sconsiglia un consumo eccessivo, soprattutto in soggetti sottoposti a dieta povera di colesterolo. L’ingestione delle uova provoca una secrezione di acido cloridrico assai inferiore a quella provocata dalla carne e dal pesce, perciò è uno dei cibi basilari in tutte le forme di gastrite e nelle ulcere. Le caratteristiche nutritive delle uova (presenza di grassi insaturi, di proteine ad alto valore biologico, di vitamine e sali minerali, carenza di glicidi e di purine) le rendono adatte a tutti gli stati patologici (eccetto le ipercolesterolemie). L’intensità del colore del tuorlo può dipendere dal mangime utilizzato: i mangimi ricchi di sostanze grasse danno tuorlo giallo-rosso molto intenso e carico viceversa i mangimi poveri di sostanze grasse danno un tuorlo di colore più chiaro. Ciò è dovuto all’azione dei carotenoidi e della vitamina A presenti nei mangimi ricchi di sostanze grasse. Va detto comunque che, in generale, questi accorgimenti (si usa anche mischiare della paprica alla normale dieta) non influenzano per nulla le caratteristiche nutrizionali dell’u., né tantomeno sono significative ai fini bionutrizionali le variazioni di colore del guscio. Quindi il colore del tuorlo e del guscio, non possono essere presi come criterio di qualità delle uova, né assicurano sul loro stato di freschezza. La convinzione che il consumo di uova sia sconsigliabile durante le terapie antibiotiche non ha alcun fondamento scientifico. Spesso le uova sono accusate di essere poco tollerate o, peggio, di favorire l’insorgere di alcuni disturbi digestivi e di malattie legate all’alimentazione. Niente di più falso: il più delle volte non sono tanto le uova a non essere tollerate, ma piuttosto è il loro modo di cottura che non è corretto o è inadeguato, specialmente se prevede l’uso di quantità abbondanti di grassi cotti.

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UR - UZ
URACO

Condotto che nell’embrione collega la vescica con l’ombelico esso corrisponde alla parte intraembrionale dell’allantoide (v.), ed è destinato a regredire trasformandosi in un cordone fibroso che in condizioni definitive di sviluppo unisce l’apice della vescica all’ombelico (legamento ombelicale medio). Raramente questo processo involutivo può non aver luogo, e allora persisterà una comunicazione abnorme tra la vescica e l’esterno, attraverso la quale l’urina può uscire in corrispondenza dell’ombelico (fistola urinaria ombelicale). Quando la regressione dell’u. è parziale si potranno avere un diverticolo all’apice della vescica, o un condotto a fondo cieco che si apre all’ombelico, o cisti del legamento vescico-ombelicale. Da residui dell’u. possono originare anche tumori (in genere localizzati all’apice della vescica).

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URANISMO

Omosessualità passiva maschile (vedi inversione sessuale).

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URANOSCHISI

Malformazione congenita del volto consistente in una fissurazione del palato duro, che si prosegue spesso fino al labbro superiore (labio-palatoschisi). La frequenza stimata di tale malformazione è uno ogni 800-1000 nati, e si riconosce una ereditarietà: il rischio di u. nel secondo nato di una coppia che ha avuto il primogenito affetto è stimato intorno a 1/25, mentre se anche uno dei genitori era portatore della lesione il rischio sale a uno su cinque. La palatoschisi favorisce le infezioni broncopolmonari da aspirazione, interferisce con l’alimentazione e con lo sviluppo del linguaggio: è correggibile chirurgicamente presso centri specializzati di chirurgia plastica e maxillo facciale. Il trattamento deve essere eseguito precocemente, e comunque prima del completo sviluppo del linguaggio al fine di evitare la comparsa di difetti di fonazione altrimenti difficilmente correggibili.

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URATI

Anioni organici di origine endogena. Di solito si indicano così i cristalli presenti nelle urine a pH acido e solubili con il riscaldamento. Si formano di solito in presenza di grandi quantità di acido urico, prodotto terminale del metabolismo delle purine, che possono essere introdotte con la dieta o sintetizzate dall’organismo. L’acido urico si forma per ossidazione delle purine ad opera di un enzima chiamato xantino-ossidasi e viene eliminato per due terzi dal rene. A pH 5,3 l’acido urico è per metà in forma di ione urato e per metà in forma di acido urico indissociato. Se il pH urinario aumenta, prevale le forma di urato, se diminuisce prevale la forma indissociata. Quest’ultima è quella che precipita dando luogo alla calcolosi uratica. Bastano anche lievissime variazioni di pH per far variare lo stato di dissociazione dell’acido urico, tanto che non è necessario che sia presente nelle urine in elevata quantità perché si formino dei cristalli. Rimane comunque il secondo più importante fattore di rischio.In presenza di u. sono quindi sconsigliati i cibi ricchi in purine (acciughe, sardine, interiora, selvaggina) ed è utile alcalinizzare le urine con bicarbonato di sodio o citrato di potassio, fino a far raggiungere ad esse un pH compreso fra 6 e 7. in caso di iperuricemia, sono indicati farmaci specifici, come l’allopurinolo.

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UREA

Composto organico di formula CO(NH2)2 anche detto carbammide. Si presenta in cristalli incolori, leggermente igroscopici, solubili in acqua. È il prodotto finale della degradazione metabolica delle proteine, metabolita terminale della degradazione dell’azoto la sua sintesi avviene nel fegato attraverso una sequenza metabolica, detta ciclo dell’u. Una volta prodotta dal fegato, l’u. passa nel sangue dove, in normali condizioni fisiologiche, si trova in concentrazioni variabili da 15 a 40 mg per 100 ml. Una sua maggiore concentrazione è sintomi di disfunzione dei reni (uremia). La sostanza è liberamente diffusibile attraverso le membrane sia del glomerulo sia dei tubuli. Pertanto l’u. si trova nell’ultrafiltrato glomerulare nella stessa concentrazione presente nel sangue, e può ritornare, in parte, al sangue attraversando passivamente le pareti tubulari. La sua elevata concentrazione nell’urina è la conseguenza dell’attivo riassorbimento tubulare di acqua e sali che supera in intensità il passaggio di u. dall’ultrafiltrato al sangue, per diffusione passiva. La sua eliminazione avviene con le urine nella misura di 20-30 g giornalieri. In tutte le malattie renali nelle quali vi sia una notevole diminuzione della funzionalità renale, l’eliminazione dell’u. viene ridotta, con conseguente aumento della sua quantità nel sangue. La determinazione dell’u. nel sangue viene di norma effettuata per valutare l’azoto totale non proteico, o azotemia, a cui in realtà concorrono, assieme all’u., la creatinina, l’acido urico, aminoacidi, peptoni e l’ammoniaca. Poiché la concentrazione nel sangue degli aminoacidi liberi è minima rispetto a quella di u., il valore dell’azotemia corrisponde in pratica alla concentrazione dell’u. circolante. L’u. di sintesi è impiegata come intermedio nella preparazione di vari farmaci (barbiturici, antiepilettici, ecc.).

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URECOLINA

(O betanecolo), è un estere della colina strutturalmente simile alla acetilcolina di cui possiede gran parte delle azioni farmacologiche. Produce vasodilatazione, diminuzione della frequenza cardiaca, aumento del tono e della motilità della muscolatura liscia gastrointestinale e delle vie urinarie, stimolazione della secrezione salivare, lacrimale, sudoripara, gastrica (sia di pepsina che di acido cloridrico). Degli effetti colinomimetici esso esercita esclusivamente quelli di tipo muscarinico, mentre manca degli effetti nicotinici a livello gangliare e della muscolatura striata. Si tratta quindi di una tipica sostanza di tipo parasimpaticomimetico. A differenza della acetilcolina non viene scissa idroliticamente dalle colinesterasi, per cui la sua azione è prolungata. L’azione parasimpaticomimetica è particolarmente spiccata a livello dell’apparato gastroenterico e della vescica urinaria, per cui il suo impiego è utile nella ipotonia gastrointestinale, nell’ileo paralitico, nella ritenzione urinaria e in tutti i disturbi gastrointestinali in cui si richieda stimolazione del parasimpatico. Si somministra per via orale o per via sottocutanea.

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UREMIA

Condizione patologica tossica che si instaura quando, per effetto di processi patologici di varia natura, l’attività funzionale dei reni è diventata insufficiente rispetto alle necessità dell’organismo. L’u. rappresenta il quadro terminale di tutte le forme gravi e irreversibili della patologia renale. L’u. è caratterizzata dalla ritenzione, nel sangue e negli altri liquidi organici, dell’urea e di altri prodotti terminali del metabolismo (specie del metabolismo delle proteine e degli aminoacidi), prodotti che normalmente vengono escreti con le urine. Il termine u. è spesso usato come sinonimo di insufficienza renale cronica, soprattutto per indicarne le fasi terminali.

Cause
Le cause più comuni di u. sono le glomerulonefriti croniche, le nefropatie tubulari ed interstiziali croniche, la nefropatia diabetica, la nefrosclerosi vascolare.

Sintomi
I sintomi variano a seconda dell’entità dell’insufficienza renale e della rapidità con cui essa si instaura, e dipendono anche dalla contemporanea compromissione funzionale di altri apparati, che si determina per effetto dell’u. stessa. Le prime manifestazioni si hanno quando la capacità filtrante dei reni si riduce al di sotto del 20-35%, e sono caratterizzate da aumento dell’azotemia, associato ad ipertensione, anemia, e ad altri segni quali aumento dell’acido urico e dei trigliceridi nel sangue, intolleranza ai carboidrati, diminuzione della capacità di concentrazione delle urine quest’ultima determina un aumento della quantità di urine che vengono eliminate (poliuria), e la necessità per il paziente di alzarsi anche di notte per urinare (nicturia). Quando la capacità filtrante dei reni si riduce al di sotto del 20-25%, l’anemia e l’ipertensione si aggravano, compaiono vari disturbi a carico dell’apparato digerente (perdita dell’appetito, nausea, vomito, odore urinoso dell’alito, stomatiti, diarrea, eventuale comparsa di ulcere peptiche), dell’apparato nervoso e muscolare (sonnolenza, apatia, perdita della memoria, astenia, disturbi della sensibilità e dell’eccitabilità neuromuscolare, e, negli stati terminali, attacchi convulsivi, stato stuporoso, coma), dell’apparato circolatorio (insufficienza cardiaca, pericardite, aggravamento della aterosclerosi), dell’apparato endocrino e del metabolismo (alterazioni della funzione delle paratiroidi, amenorrea, disturbi del metabolismo del glucosio, dell’insulina, dei lipidi), alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico e tendenza all’acidosi, suscettibilità alle infezioni, alterazioni cutanee (pallore dovuto all’anemia associato ad una colorazione giallastra che dipende dalla deposizione nella cute di metaboliti pigmentati dell’urea o urocromi, prurito, secchezza, eventuali lesioni da grattamento, ecchimosi, ematomi). L’u., se lasciata a sé, ha un decorso progressivo e può portate a morte per diverse complicazioni.

Terapia
La terapia, nelle fasi iniziali, mira soprattutto a rallentare la progressione della malattia attraverso varie misure intese ad abbassare la pressione arteriosa, a controllare l’anemia e lo squilibrio idroelettrolitico, a combattere le infezioni, a ridurre la produzione e l’accumulo di cataboliti proteici azotati (attraverso opportune norme dietetiche, in particolare mediante riduzione dell’apporto proteico).
Nei casi avanzati, o quando altre considerazioni lo richiedano, si ricorre al trapianto renale o alla dialisi (dialisi peritoneale, o emodialisi mediante rene artificiale). In generale si ricorre al trapianto renale nei soggetti giovani e per il resto sani, mentre l’emodialisi e la dialisi peritoneale vengono preferite nei soggetti anziani o in quelli che, per eventuali altre affezioni concomitanti, non tollererebbero la terapia immunosoppressiva e cortisonica necessarie per impedire il rigetto del trapianto. Entrambe le tecniche consentono comunque la riabilitazione effettiva di una percentuale elevata di pazienti.

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URETERE

Condotto di forma tubulare, lungo 25-30 cm (l’uretere destro è più corto di circa 1,5 cm) e del diametro di 6-8 mm, che collega il bacinetto renale con la vescica. Gli ureteri, uno per lato, decorrono verticalmente ai lati della colonna vertebrale e penetrano nel fondo della vescica ai due angoli esterni del cosiddetto trigono. Può essere suddiviso in una porzione addominale, che origina dal bacino renale con un segmento imbutiforme (infundibolo) e continua con un tratto di maggior calibro (fuso addominale), in una porzione pelvica e in una intramurale, che decorre nello spessore della parete della vescica. Quest’ultimo tratto dell’u. decorre nello spessore della parete vescicale, per cui quando la vescica è piena esso rimase chiuso: viene così impedito il reflusso dell’urina. La struttura anatomica dell’u. è identica a quella di calici, bacinetto. La parete degli ureteri è formata da uno strato di tessuto muscolare liscio (le fibre sono disposte longitudinalmente e circolarmente e determinano, contraendosi alternativamente, i fusi peristaltici), rivestito internamente da mucosa ed epitelio di transizione, così chiamato perché rappresenta una forma di passaggio fra l’epitelio pavimentoso e l’epitelio cilindrico, ed esternamente da uno strato di tessuto connettivo la parete degli ureteri è animata da movimenti peristaltici che aiutano la progressione dell’urina verso la vescica, ove essa entra a fiotti. L’u. può essere interessato da processi patologici di varia natura, dei quali i più importanti sono le anomalie malformative congenite (arresto di sviluppo, duplicità, anomalie di sbocco, diverticoli, dilatazioni cistiche, megauretere), i processi infiammatori (ureteriti, che in genere si associano ad infiammazioni del bacinetto renale o della vescica), calcolosi, tumori. Questi vari processi possono determinare una stenosi o una occlusione dell’u. ostacolando il deflusso dell’urina, con eventuale dilatazione delle vie urinarie a monte dell’ostacolo, sia dell’u. (idrouretere) sia del bacinetto renale (idronefrosi). I traumi dell’u. sono per la grande maggioranza dovuti a lesioni chirurgiche nel corso di interventi sullo scavo pelvico e in regione lombare. Il riconoscimento della lesione, alcune volte non facile (quando si tratti di tumori dell’utero, per esempio), è essenziale per una riparazione chirurgica immediata: questa è la via di scelta per risolvere al meglio il problema. In caso contrario, si istituisce una fistola urinosa che a lungo andare determina una compromissione renale: da qui la necessità di intervenire il più presto possibile. L’intervento ha lo scopo dì ricostruire la continuità del condotto e si esegue con diverse tecniche chirurgiche.

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URETERECTOMIA

Intervento chirurgico consistente nell’asportazione totale o parziale dell’uretere. Viene attuato quando affezioni di varia natura (quali restringimenti congeniti o acquisiti, tumori ecc.) dell’uretere ne abbiano compromesso la funzione. La continuità della via urinaria, interrotta dall’u., viene successivamente ristabilita con una anastomosi termino-terminale tra i due monconi ureterali sani e/o reimpianto dell’uretere. Il reimpianto può avvenire in vescica od in una neovescica confezionata chirurgicamente, per esempio utilizzando un’ansa duplicata di intestino tenue. L’u. costituisce inoltre il completamento indispensabile per la completa asportazione del rene corrispondente.

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URETEROCELE

Anomalia malformativa congenita che può interessare uno o entrambi gli ureteri consiste nella dilatazione cistica dell’estremità ureterale, in corrispondenza dello sbocco vescicale, per cui l’uretere protrude entro la cavità della vescica. Si verifica in un caso su 500 e più spesso nelle bambine. È ortotopico se si trova alla base della vescica, ectopico se è sul collo vescicale o nell’uretra. Provoca ostruzione del meato ureterale con idroureteronefrosi omolaterale.

Sintomi
I sintomi più frequenti sono dovuti alla frequenza delle infezioni urinarie e alla formazione di calcoli. Altri sintomi sono un ritardo di crescita, disturbi gastrointestinali e sovradistensione della vescica.

Diagnosi
La diagnosi viene effettuata con l’urografia endovenosa. L’ecografia può indurre il sospetto nel caso in cui evidenzia un rene non funzionante. Infine si esegue una cistografia minzionale, dal momento che un 15% presentano reflusso vescica-ureterale.

Terapia
Tale condizione, che può ostacolare l’eliminazione delle urine e favorire l’insorgenza di infezioni delle vie urinarie, richiede un intervento chirurgico correttivo. Nei bambini si può tentare in prima istanza l’approccio endoscopico, che ha successo in circa la metà dei casi.

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URETEROGRAFIA

Tecnica di indagine diagnostica che permette di visualizzare radiologicamente gli ureteri mediante un mezzo di contrasto introdotto per via endovenosa ed eliminato dal rene (u. discendente) o introdotto negli ureteri mediante cateterismo (u. ascendente o retrograda) (vedi PIELOGRAFIA).

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URETEROTOMIA

Intervento chirurgico consistente nell’apertura dell’uretere. L’u. è necessaria quando calcoli, corpi estranei, tumori benigni o maligni, malformazioni ureterali vengono ad ostacolare il deflusso urinario. Può essere eseguita con tecnica laparotomica o laparoscopica. Al termine dell’intervento viene inserito un catetere endouretrale, o stent, per consentire una cicatrizzazione ottimale della parete dell’uretere, prevenendo la formazione di fistole.

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URETRA

Condotto impari e mediano, a parete muscolomembranosa, che costituisce la porzione terminale delle vie urinarie attraverso l’uretra vengono emesse all’esterno le urine e, nel maschio, anche lo sperma. L’uretra inizia a livello della vescica. Nella femmina ha una lunghezza di 3-4 cm, decorre davanti alla vagina e parallelamente alla stessa, e si apre all’esterno con un orifizio (meato urinario) situato nel vestibolo della vagina, alla sommità di una piccola sporgenza detta papilla uretrale. La sua parete comprende uno strato interno mucoso e uno esterno muscolare. Nel maschio invece l’u. è lunga 18 cm ca la sua prima porzione, di 3 cm ca., decorre verticalmente ed è compresa nell’interno della prostata (u. prostatica) segue poi l’u. membranosa, breve segmento lungo poco più di 1 cm, che attraversa il piano muscolomembranoso del perineo. L’ultima porzione, la più lunga, è contenuta nel tessuto cavernoso che costituisce il corpo del pene e il glande (u. cavernosa). Il muscolo bulbocavernoso circonda il bulbo uretrale e contribuisce all’espulsione dell’urina. L’u. maschile termina in corrispondenza dell’apice del glande con un meato urinario. L’u. prostatica presenta, nella sua parete posteriore, una rilevatezza longitudinale mediana detta collicolo seminale sulla sua parte più sporgente si trova un infossamento a fondo cieco, l’utricolo prostatico ai lati di questo sboccano i due condotti eiaculatori, attraverso i quali viene immesso nell’u. lo sperma che si è accumulato nelle vescicole seminali ai lati del collicolo si hanno gli sbocchi delle ghiandole prostatiche. Alla mucosa che riveste la superficie dell’u. sono annesse ghiandole di vario tipo, che producono un particolare secreto mucoso. In ambo i sessi, la mucosa è costituita da un epitelio cilindrico stratificato, nel quale sono inserite delle ghiandole.La parete muscolare comprende delle fibre longitudinali interne e uno strato esterno circolare. L’elemento più importante di questo strato è costituito da un anello sfinterico che si trova a livello della parte posteriore del condotto e serve alla continenza dell’urina.L’u. può essere sede di diversi processi patologici, dei quali i più comuni sono costituiti dalle infiammazioni (uretriti). Non rare sono anche le malformazioni congenite, delle quali le più importanti si hanno nel maschio, con sbocco anomalo dell’u., anziché sulla sommità del glande, sulla superficie dorsale del pene (epispadia) o sulla superficie ventrale (ipospadia).

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URETRITE

Infiammazione acuta o cronica dell’uretra. Nella maggior parte dei casi essa è determinata da microrganismi patogeni che si impiantano in questo tratto delle vie urinarie. Difficilmente, si trova isolata senza il coinvolgimento della vescica, specialmente nelle donne dove il condotto uretrale è molto corto.

Cause
I germi possono provenire da organi vicini ammalati (vescica, prostata, uretere, reni), o da focolai di infezione lontani (tonsilliti, ascessi dentari), o direttamente dall’esterno, in genere in rapporto a contatti sessuali. L’infezione può essere sostenuta anche da germi già presenti nell’uretra, che diventano patogeni per diminuzione delle difese dell’organismo (così per es. nel diabete, nella gotta) o per particolari condizioni anatomiche locali (presenza di restringimenti uretrali, di diverticoli ecc.). I microrganismi più comunemente causa di u. sono Bacterium coli, stafilococchi, streptococchi, gonococchi, Trichomonas, Chlamydia trachomatis e Ureaplasma Urealyticum. Si possono avere anche uretriti dipendenti da irritazioni provocate da agenti meccanici (per es. in caso di cateterismo), o da sostanze chimiche (per es. per lavaggio dell’uretra con soluzioni disinfettanti troppo concentrate), o da congestione protratta (per es. nel caso di eccitamenti sessuali prolungati e intensi).

Sintomi
Le uretriti si manifestano, di solito dopo 10-15 giorni di incubazione, con bruciori, difficoltà e dolori all’emissione delle urine, secrezione catarrale o purulenta dal meato uretrale. Nelle forme croniche la sintomatologia è attenuata. Le uretriti infettive possono complicarsi con una diffusione dell’infezione a strutture vicine quali la prostata, o l’epididimo altra complicazione può essere costituita da restringimenti cicatriziali del lume uretrale, che possono ostacolare il deflusso dell’urina. Nei bambini le ostruzioni sottovescicali sono frequente causa di u. Le ostruzioni sottovescicali sono meno frequenti delle soprevescicali e prediligono il sesso maschile: le più comuni sono le valvole dell’uretra posteriore. Si tratta di pliche mucose che occludono più o meno il lume dell’uretra, appena sotto la prostata l’ostruzione al deflusso dell’urina causa l’ingrossamento dell’uretra prostatica e della vescica, la cui muscolatura parietale diventa ipertrofica. Nel lattante la presenza di valvole può dare una sintomatologia come da insufficienza renale con iperazotemia e squilibri elettrolitici in età successiva si hanno disturbi della minzione: minzioni molto frequenti, anche involontarie, che possono essere interpretate come enuresi, oppure un’incontinenza paradossale, per perdita di urina dalla vescica sempre troppo piena diventa, inoltre, apprezzabile, in sede sovrapubica, una massa addominale corrispondente al globo vescicale. In questi casi le infezioni urinarie sono particolarmente frequenti.Come conseguenza di infezioni croniche o di ripetuti traumatismi (ad esempio cateterismi), si può instaurare la stenosi dell’uretra, soprattutto dopo i 50 anni. Questa si manifesta con diminuzione del calibro e della forza del mitto, che talora assuma strani profili (mitto a ventaglio o biforcuto).

Diagnosi
La diagnosi è fatta tramite esame del tampone uretrale e l’urinocoltura. In caso di malformazioni, soprattutto nei bambini, utili sono la cistouretrografia e l’uretrocistoscopia, in occasione della quale è possibile talvolta eseguire la rimozione delle valvole.

Terapia
La terapia si fonda sulla somministrazione di antibiotici nelle forme microbiche, di blandi disinfettanti delle vie urinarie nelle forme non infettive. In età pediatrica ed in caso di ostruzioni uretrali, l’intervento chirurgico è sempre risolutivo nei casi diagnosticati e trattati con ritardo, la conseguente displasia renale può portare, fin dall’età infantile, a una condizione di insufficienza renale.

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URETRITE GONOCOCCICA

vedi BLENORRAGIA

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URETROGRAFIA

Tecnica di indagine diagnostica che permette di visualizzare radiologicamente il canale uretrale mediante mezzi di contrasto. Si può eseguire per via discendente al termine dell’indagine urografica (pielografia), oppure per via ascendente tramite catetere. Di solito durante l’esame s’indaga anche la vescica (uretro-cistografia retrogada). Consiste nell’iniezione di un mezzo di contrasto nell’uretra (canale per l’escrezione delle urine), al fine di opacizzarla insieme alla vescica e di effettuare un controllo radiologico. Fornisce un’immagine molto nitida della vescica e dell’uretra, più precisa ancora di quella ottenuta con un’urografia endovenosa. Consente di:- scoprire un tumore, benigno o maligno, della vescica - localizzare un restringimento dell’uretra - individuare, in caso d’infezioni ripetute delle vie urinarie superiori (pielonefriti), un riflusso anormale dell’urina verso l’uretere (il canale che collega il rene alla vescica). La possibilità di un’allergia allo iodio implica il rispetto di tutte le precauzioni d’uso. Quest’esame esige sempre importanti precauzioni d’asepsi, al fine d’evitare qualsiasi rischio d’infezione.

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URETRORRAGIA

Emissione di sangue dall’uretra. I caratteri dell’u., che corrispondono propriamente ad uno scolo di sangue dall’uretra, non devono essere confusi con l’emissione di sangue con le urine che costituisce invece l’ematuria. Il deflusso di sangue dall’uretra può d’altronde accompagnare i primi momenti della minzione. L’u. può dipendere da cause abbastanza diverse, quali traumi, processi infiammatori, calcolosi, tumori benigni o maligni, o altri processi patologici dell’uretra.

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URETROSCOPIA

Tecnica di indagine diagnostica che consiste nella esplorazione, sotto visione diretta, dell’uretra e delle sue formazioni interne viene eseguita con un apposito apparecchio (uretrocistoscopio) e consente di individuare la presenza di varie lesioni (per es. stenosi) diversamente difficili da diagnosticare con esattezza e di avere le informazioni utili ai fini della scelta dell’eventuale intervento chirurgico. L’esame viene effettuato con uno strumento molto sottile per non danneggiare l’uretra. Al fine di condurre un esame soddisfacente per il medico e privo di sofferenza per il paziente, l’esame va effettuato in anestesia.

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URETROTOMIA

Apertura chirurgica dell’uretra. L’u. viene utilizzata per la ricanalizzazione del condotto uretrale in presenza di ostacoli che ostruiscano il deflusso della urina (valvole, stenosi cicatriziali, tumori benigni o maligni, calcoli, corpi estranei ecc.). Le stenosi dell’uretra posteriore sono quasi sempre secondarie alla chirurgia prostatica o ad i traumi del bacino.Esistono diverse tecniche di u.: a freddo, laser, a cielo aperto. La metodica più attuale è l’u. endoscopica con laser Holmium, che deve però essere riservata ai pazienti con dimostrata continuità del canale uretrale, seppur ristretto.I pazienti in cui si abbia il sospetto, o la certezza, di una discontinuità uretrale vanno trattati con la riparazione chirurgica a cielo aperto.Nell’immediato post-operatorio è necessario mantenere in sede un catetere uretrale per circa 4 settimane, allo scopo di consentire la completa guarigione della parete uretrale, prevenendo la formazione di fistole. Dopo la rimozione del catetere il paziente viene sottoposto ad esami uroflussimetrici mensili, che servono a controllare che la stenosi non si riformi. Nel caso vi si questo sospetto, verrà eseguita una uretroscopia, con possibilità di un ritrattamento endoscopico nella stessa seduta.

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URICEMIA

Contenuto in acido urico del sangue. L’uomo non dispone di un enzima capace di metabolizzare ulteriormente l’acido urico per questo motivo questa sostanza, quando venga prodotta in eccesso o non venga eliminata (per lo più per via renale) con sufficiente rapidità, tende ad accumularsi nel sangue e nei tessuti determinando diverse manifestazioni morbose: gotta articolare acuta quando i cristalli di acido urico si depositano nel liquido e nei tessuti delle articolazioni, tofi per accumulo nei tessuti molli, calcoli renali o nefropatia uratica per precipitazione dell’acido rispettivamente nelle vie urinarie o nel tessuto renale. I valori normali di u. variano un poco a seconda dei metodi usati per le determinazioni: si ammette che nell’uomo siano da ritenere elevati valori superiori a 5-6 mg %, nella donna valori superiori a 4,5-5,5 mg %. La malattia che si accompagna a iperuricemia è per definizione la gotta valori elevati di u. si possono però osservare in molte altre condizioni, in parte per diminuita eliminazione di acido urico in corso di insufficienza renale: in parte come conseguenza di una esaltata demolizione di nuclei cellulari, come avviene in corso di leucemia, policitemia, broncopolmonite.

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URICO, acido

Prodotto finale del metabolismo delle purine, sostanze contenute nelle nucleoproteine esso deriva pertanto sia dai nuclei delle cellule introdotte nell’organismo con gli alimenti, sia dalla distruzione delle cellule dell’organismo stesso.

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URICOSURICI

Farmaci utilizzati nella terapia della gotta o come coadiuvanti in alcune terapie antiblastiche, i quali, inibendo a livello renale il riassorbimento degli urati, ne favoriscono l’eliminazione portando ad una diminuzione dei loro livelli ematici. I più utilizzati sono il probenecid, il sulfinpirazone, l’isobromidione. Sono acidi organici, agiscono a livello dei siti di trasporto a livello del tubulo renale. Tutti questi farmaci sono talora accompagnati da effetti collaterali generalmente lievi, che comprendono cefalea, nausea, vomito e, in qualche occasione, all’inizio della terapia, un riacutizzarsi dei dolori gottosi. È molto importante che il paziente beva molta acqua per mantenere elevato il volume urinario per minimizzare la possibilità che si formino i calcoli.

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URICURIA

Quantità di acido urico e di urati contenuta nelle urine essa dipende dalla funzionalità del rene così come dalla quantità di acido urico presente nel plasma. L’u. è particolarmente elevata nella gotta. L’acido urico è, nell’uomo, il prodotto finale della degradazione delle basi puriniche (tali sostanze entrano a far parte di importanti componenti cellulari, quali gli acidi nucleici). L’acido urico e i suoi sali sono poco solubili in acqua e tendono a precipitare anche nelle condizioni chimico-fisiche dei liquidi biologici. La concentrazione di acido urico nel sangue e nei fluidi interstiziali è relativamente bassa (2-6 mg per decilitro) e a essa corrisponde un’eliminazione urinaria di 0,5-1 g nelle 24 ore. L’acido urico viene filtrato dai glomeruli renali e viene riassorbito a livello del tubulo prossimale. Nelle urine se ne trova solo il 10% circa di quello che raggiunge il rene. Il riassorbimento avviene insieme a quello del sodio, per cui in caso di ipovolemia si riduce sia l’escrezione di sodio che quella di acido urico e, allo stesso modo, l’utilizzo prolungato di diuretici può provocare una deplezione di sodio così come di acido urico. Il ripristino di valori normali di acqua e sodio corregge anche l’uricemia. L’ingestione di cibi di origine animale, contenenti grandi quantità di basi puriniche, innalza il livello ematico dell’acido urico il cui eccesso, trattandosi di una sostanza a bassa soglia renale, viene prontamente riversato nell’urina. In questi casi il contenuto di acido urico nelle urine può aumentare grandemente, cosicché i sali di acido urico (gli urati) precipitano gradualmente nell’urina. Se in queste condizioni esiste anche un ristagno dell’urina nei tubuli collettori o nel bacinetto renale, la precipitazione degli urati può avvenire in tali sedi sotto forma di sedimento, ovvero di cristalli rosso-marroni detti renella pratica, o di franchi calcoli renali. Questo fenomeno avviene più facilemente a pH acido.

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URINA

Liquido prodotto dalla attività funzionale dei reni, che viene eliminato periodicamente all’esterno attraverso le vie urinarie, dopo essersi accumulato nella vescica. L’atto con cui le urine vengono emesse si definisce minzione.In condizioni normali l’u. è limpida, di colore giallo-citrino, con densità media compresa tra 1015 e 1022, e pH di norma acido, con valori attorno al 6. La quantità eliminata giornalmente, detta diuresi, si aggira sui 1500 ml, ma questo valore può variare notevolmente anche in condizioni fisiologiche in relazione al tipo di alimentazione, alla quantità di liquidi introdotti, all’entità della sudorazione. L’u. è essenzialmente una soluzione composta per il 95% ca. di acqua, e per la quota rimanente di diverse sostanze organiche e inorganiche.Formazione dell’u.Le pareti dei capillari glomerulari formano una vera e propria membrana filtrante attraverso la quale il sangue che circola nel glomerulo trasuda nella cavità della capsula di Bowman. Si tratta del fenomeno di ultrafiltrazione, principalmente prodotto dalla forte differenza che esiste tra la pressione del sangue e la pressione presente all’interno della capsula di Bowman. La membrana basale del glomerulo è liberamente permeabile all’acqua, ai sali inorganici e alle piccole molecole organiche trattiene invece le cellule (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine) e le grosse molecole proteiche (albumina, globuline, fibrinogeno). Il fluido filtrato nella capsula di Bowman ha quindi la composizione chimica del sangue arterioso privato della parte cellulare e delle frazioni proteiche tuttavia si tratta di preurina. La formazione di u. richiede l’intervento di complessi fenomeni di riassorbimento selettivo e di secrezione a livello delle altre parti del nefrone. Si calcola che i due reni producano nelle 24 ore fino a 180 litri di ultrafiltrato a livello glomerulare.Questo enorme volume giornaliero di fluido viene riassorbito dai tubuli, riducendo la quantità di u. finale a circa 1,5 1. 1 tubuli infatti riassorbono il 99% dell’acqua e grandi quantità di sali e di sostanze essenziali.Il normale svolgimento delle funzioni emuntorie renali dipende da:1) l’ampiezza del filtro glomerulare (numero di glomeruli funzionanti) 2) la pressione intraglomerulare 3) la pervietà dei capillari sanguigni e dei tubuli del nefrone 4) l’integrità delle cellule che rivestono i tubuli.Difetti a carico di uno di questi meccanismi provocano alterazioni dell’escrezione urinaria, che possono tuttavia, entro certi limiti, essere compensate dal rene stesso. Questa compensazione avviene mobilitando le capacità di riserva o meccanismi di emergenza, che aumentano l’impegno funzionale dei vari fattori condizionanti la diuresi. Non tutti i glomeruli sono contemporaneamente in stato di attività, ma si alternano nei compiti loro assegnati, cosicché nei reni lavora in media solo il 25% di essi. I rimanenti si trovano in uno stato di riposo, ma possono entrare in attività nel momento in cui ci fosse bisogno. La pressione del sangue nelle anse capillari del glomerulo è causa determinante dell’ultrafiltrazione di liquido nella capsula di Bowman. il rene elabora un enzima, la renina, capace di trasformare l’angiotensinogeno, prodotto dal fegato, in angiotensina, una sostanza che esercita vasocostrizione e aumenta quindi la pressione sanguigna sia a livello sistemico sia a livello glomerulare (tramite costrizione dell’arteriola efferente). In caso di bisogno, per mezzo della renina, la pressione del sangue arterioso glomerulare può essere aumentata, accrescendo il rendimento del processo di ultrafiltrazione. La mancanza di pervietà in uno dei segmenti del nefrone impedisce la formazione dell’u. L’occlusione dei capillari sanguigni glomerulari può portare all’esclusione forzata di un nefrone dall’attività funzionante.
In alcune malattie la pervietà stessa dei canali tubulari può venire compromessa in seguito a gravi alterazioni dei glomeruli che permettono il passaggio attraverso il filtro glomerulare di cellule (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) e proteine del sangue. Sia le cellule sia le proteine, a causa dell’ambiente acido che si viene a formare nelle parti distali dei tubuli contorti, possono coagulare assumendo la forma di cilindri solidi. Perciò, nelle malattie renali con lesioni del filtro glomerulare, si trovano nell’u., accanto alle proteine e agli elementi cellulari del sangue, anche cilindri di varia natura (ialini, grassi, granulosi, cellulari).Le cellule che tappezzano le pareti dei tubuli renali contribuiscono attivamente alla diuresi, compiendo il lavoro osmotico necessario per trasformare l’ultrafiltrato glomerulare (avente una concentrazione di sostanze disciolte pressoché uguale a quella del sangue) in u. definitiva, nella quale la concentrazione di sostanze disciolte e la densità (o peso specifico) sono nettamente superiori a quelle dei liquidi fisiologici. Tale lavoro consiste essenzialmente in un attivo riassorbimento di acqua e di sali di sodio dal filtrato glomerulare e richiede un notevole dispendio di energia che viene ricavata dai processi di respirazione cellulare.Il rene svolge un’attività di regolazione a carico di alcune fondamentali proprietà chimico-fisiche del sangue. Il significato generale di tale controllo è quello di contenere entro limiti di sicurezza le variazioni della composizione sanguigna che sono dovute alla continua attività metabolica dei tessuti e all’intermittente assorbimento alimentare. In particolare, verranno qui considerati i principali caratteri del sangue sottoposti alla regolazione renale.Contenuto dell’u.Le principali sostanze organiche presenti sono l’urea, l’acido urico, la creatinina, alcuni pigmenti (soprattutto l’urocromo) in quantità minime sono presenti anche acido ossalico, acido lattico, acetone, acido ippurico, indacano, composti solforati (solfoeteri, tiocianati, mercaptani), diversi ormoni e loro cataboliti. Tra le sostanze inorganiche sono cloruri, fosfati e solfati, salificati soprattutto con sodio, ed in minor quantità con potassio, calcio, magnesio.In condizioni patologiche possono comparire sostanze normalmente non presenti, quali glucosio, corpi chetonici, aminoacidi, pigmenti biliari, emoglobina, proteine plasmatiche, cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi), cellule sfaldate dalla mucosa delle vie urinarie o da eventuali formazioni patologiche (tumori della vescica o del bacinetto renale), cristalli, formazioni cilindriche dovute alla precipitazione entro i tubuli renali di materiale proteico o di cellule, che vengono poi eliminate e riproducono la forma del lume tubulare. Possono inoltre risultare notevolmente modificati anche i caratteri fisici delle urine, in particolare l’aspetto, che può essere torbido per la presenza di pus (piuria) o di sangue (ematuria), ed il colore. L’eliminazione di una quantità eccessiva di u. è definita poliuria mentre la riduzione e la soppressione della diuresi sono definite rispettivamente oliguria e anuria.Esame dell’u.L’esame delle urine costituisce un’indagine diagnostica di uso corrente e di notevole importanza in quanto può fornire elementi utili al riconoscimento di malattie del rene e delle vie urinarie, di malattie di altri organi e apparati, o di condizioni morbose generali dell’organismo. Esso viene condotto in genere in tre tempi, valutando dapprima le caratteristiche fisiche (volume, aspetto, reazione chimica, peso specifico), poi le caratteristiche chimiche (di solito è la ricerca di alcune sostanze di maggiore importanza diagnostica: proteine, sangue, glucosio, acetone, urobilinogeno, pigmenti biliari) infine si valutano al microscopio i caratteri del sedimento ottenuto con la centrifugazione di un campione di u.: così si può rilevare l’eventuale presenza di globuli rossi, di globuli bianchi, di cellule di sfaldamento, di cellule atipiche, di precipitati amorfi o cristallini, di cilindri, di microrganismi (batteri, miceti, protozoi).

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URINARIA

Consiste nella presenza di urina nella vescica o nelle vie urinarie superiori come conseguenza dell'incapacità delle stesse di svuotarsi. La presenza di urina nelle vie urinarie la differenzia dall'anuria. Si può verificare in caso di vescica neurologica (con ipertono dello sfintere vescicale, normo- o ipotono del detrusore): la vescica progressivamente si sfianca (si formano i diverticoli), si instaura il reflusso vescico-ureterorenale e lentamente la funzionalità renale si compromette inoltre l'urina ristagnando provoca infezione per la vescica stessa e per il rene a volte tanto gravi da mettere in pericolo di vita il paziente. Un'altra situazione in cui si può verificare è dopo interventi o manovre che abbiano coinvolto la vescica, come le laparotomie, i parti, gli interventi uroginecologici. Questa però è più spesso solo una situazione temporanea che si risolve spontaneamente in 2-3 giorni.

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URINARIO, apparato

Complesso delle strutture deputate alla produzione e alla eliminazione dell’urina. Con l’urina l’organismo si libera di prodotti di rifiuto del metabolismo (particolarmente dei prodotti terminali del metabolismo proteico: urea e acido urico) e anche di sostanze estranee solubili (quali farmaci e loro metaboliti, prodotti azotati o solforati derivati dai cibi ecc.) inoltre attraverso l’emissione delle urine viene controllato e mantenuto costante l’equilibrio idrico e quello osmotico dell’organismo. L’apparato u. è composto da due organi ghiandolari pari e simmetrici, i reni, che hanno la funzione di produrre l’urina, e da un insieme di cavità e di canali denominati vie urinarie, attraverso le quali l’urina viene eliminata.EmbriologiaLe strutture dell’apparato u. si differenziano, nel corso dello sviluppo embrionale, dal mesoderma e dalla cloaca. Dal mesoderma deriva il rene attraverso tre successivi abbozzi (pronefro, mesonefro e metanefro) dei quali solo l’ultimo darà origine al rene definitivo. Le vie urinarie derivano in parte dalla cloaca (estremità caudale dell’intestino primitivo) e in parte da una estroflessione che si sviluppa dal dotto del mesonefro in prossimità del suo sbocco nella cloaca. Sia durante le fasi dello sviluppo sia in condizioni definitive le strutture dell’apparato u. hanno stretti rapporti con quelle dell’apparato genitale, donde la trattazione di entrambe in un apparato urogenitale.Anatomia e fisiologiaI reni sono situati nella cavità addominale, contro la sua parete posteriore, in corrispondenza della regione lombare essi sono essenzialmente degli agglomerati di un gran numero di piccole unità dette nefroni. Il nefrone è costituito di un tubulo molto convoluto, il quale prende stretti rapporti con una fitta rete di vasi sanguigni capillari. A una delle sue estremità ciascun tubulo forma una struttura caliciforme, capsula di Bowman, che circonda una rete di vasi capillari derivati da una arteriola renale. L’insieme della capsula e dei vasi capillari costituisce un glomerulo renale. L’estremità opposta del tubulo si unisce a quella di altri tubuli a formare un tubulo collettore. I tubuli collettori sboccano nel bacinetto renale, che costituisce la prima porzione delle vie urinarie. In ogni nefrone avvengono essenzialmente tre processi: ultrafiltrazione del sangue che fluisce nei capillari del glomerulo, riassorbimento di acqua e di sostanze utilizzabili presenti nel liquido filtrato (quali glucosio, aminoacidi, ioni di sali minerali), secrezione di diverse altre sostanze destinate ad essere eliminate (ioni idrogeno e potassio, varie sostanze estranee). I diversi tratti di ogni tubulo renale sono specializzati nel trattare gruppi differenti di sostanze. L’urina che alla fine di questi processi passa nel tubulo collettore rappresenta solo l’1% ca. del volume di liquido filtrato a livello dei glomeruli, e la sua concentrazione può essere fino a quattro volte superiore a quella del sangue. L’insieme dei processi di filtrazione, riassorbimento e secrezione fa sì che il rene sia in grado di eliminare dal sangue i prodotti di rifiuto e contemporaneamente di conservare le sostanze utilizzabili presenti nel sangue stesso.Le vie urinarie comprendono diverse formazioni: i calici e i bacinetti renali, gli ureteri, la vescica e l’uretra. I bacinetti, uno per lato, sono strutture imbutiformi, appiattite in senso antero-posteriore, collegati al parenchima renale per mezzo di 6-9 tubi membranosi detti calici renali, i quali si raggruppano prima di confluire nel bacinetto. L’apice del bacinetto si continua in un condotto tubolare lungo 25-30 cm, l’uretere, che scende verticalmente in basso fino alla pelvi quivi l’uretere di destra e quello di sinistra sboccano in un organo cavo a parete muscolo-membranosa, la vescica, situato nella piccola pelvi dietro al pube.
La vescica funge da serbatoio nel quale si raccoglie l’urina che viene prodotta in continuazione dai reni.La vescica comunica con l’esterno attraverso un condotto impari e mediano, l’uretra. Il tratto iniziale dell’uretra è circondato da fasci di fibre muscolari lisce che costituiscono lo sfintere interno dell’uretra con la sua contrazione esso impedisce che l’urina esca spontaneamente dalla vescica. La vescica può accogliere notevoli quantità di urina, fino a 400 ml e più il suo svuotamento avviene a intervalli ed è determinato dalla contrazione delle pareti vescicali il bisogno di urinare incomincia a farsi sentire quando il volume vescicale è di ca. 150 ml. Lo svuotamento della vescica avviene tramite un meccanismo nervoso riflesso che ha i suoi centri nella porzione sacrale del midollo spinale. Il riflesso può essere temporaneamente inibito dai centri nervosi superiori e dalla volontà.L’uretra ha caratteristiche diverse nei due sessi. L’uretra femminile è lunga ca. 3,5 cm, decorre davanti alla vagina e sbocca nel vestibolo vaginale l’uretra maschile è molto più lunga (ca. 16-18 cm) e serve anche per l’emissione del liquido seminale essa attraversa la prostata, gli strati membranosi del perineo e infine, circondata da tessuto cavernoso, decorre nella parte infero-posteriore del pene (nell’angolo formato dai suoi due corpi cavernosi), percorrendolo fino alla sua estremità libera, ove essa si apre in corrispondenza della sommità del glande.La patologiaL’apparato u. può essere interessato da processi patologici di varia natura, i quali possono essere limitati al rene, o alle vie escretrici dell’urina, oppure possono coinvolgere reni e vie urinarie.Le anomalie. Relativamente comuni sono le anomalie malformative congenite anche quando di per sé non comportano conseguenze di rilievo esse possono tuttavia predisporre l’apparato u. ad altri processi patologici.Le infiammazioni sono dovute ad infezioni e sono favorite da tutte le condizioni che determinano il ristagno dell’urina (per es. calcoli, ipertrofia prostatica, tumori) spesso le infezioni diffondono in senso ascendente lungo le vie urinarie sino ad interessare il tessuto renale. Il ristagno dell’urina può portare alla dilatazione dell’uretere e del bacinetto renale determinando contemporaneamente atrofia del parenchima renale (idronefrosi). L’apparato u. può anche essere sede di tumori, benigni o maligni le sedi più frequenti sono il rene e la vescica.

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UROBILINA

Pigmento biliare, chimicamente identico alla stercobilina, presente nelle urine derivato per ossidazione dall’urobilinogeno. Il precursore è la bilirubina che dopo essere stata coniugata con l’acido glucuronico nel fegato, viene eliminata nella bile. Giunta nell’intestino tenue subisce un processo di riduzione divenendo urobilinogeno, di cui una parte va nelle feci (stercobilinogeno) ed una parte viene riassorbita dalla mucosa intestinale, torna in circolo e viene riportata nel fegato. Di qui può essere riversata nella bile o raggiungere il rene per essere ossidato ad u. ed essere escreto con le urine. Un eccesso di pigmento biliare nelle urine è facilmente riscontrabile, poiché conferisce loro un tipo colore scuro (urine ipercromiche).

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UROBILINOGENO

Pigmento che si forma nell’intestino per azione della flora batterica ivi presente sulla bilirubina contenuta nelle urine.

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UROCHINASI

Enzima presente nelle urine dei mammiferi e quindi anche dell’uomo, elaborato dalle cellule renali appartiene, come la streptochinasi (v.), alla categoria degli attivatori del plasminogeno. L’u. legandosi ad un recettore situato sulle cellule tumorali, controlla il distacco di queste cellule e quindi la loro migrazione a distanza per dare metastasi.

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UROCOLTURA

(O urinocoltura), tecnica di indagine diagnostica microbiologica che consiste nella coltura di urine su appositi terreni, allo scopo di ricercarvi la presenza di eventuali microrganismi patogeni. Essa richiede un prelievo di urina effettuato possibilmente direttamente in vescica, tramite un catetere vescicale sterile, in modo da evitare la contaminazione dell’urina da parte di germi presenti sul meato uretrale o sugli organi genitali esterni. Nella normale pratica clinica il prelievo è fatto dalle urine emesse al mattino con alcuni accorgimenti: dopo accurata pulizia con acqua del meato esterno ed eliminazione del primo getto, si raccolgono le urine in contenitore sicuramente sterile (metodo del mitto intermedio) in questo modo si limita la contaminazione del campione. Le urine vengono poi seminate su terreni di coltura per avere la riproduzione rapida dei germi eventualmente presenti e poterli quindi identificare. La presenza di germi dà luogo alla crescita di colonie batteriche dopo alcuni giorni. Si considera positivo un numero di oltre 10.000 batteri/ml. È indice di infezione delle vie urinarie.

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UROGENITALE, apparato

Termine usato per indicare l’insieme di organi o delle funzioni che riguardano gli apparati urinario e genitale. Comprende i reni, gli ureteri, la vescica, l’uretra in entrambi i sessi. Nell’uomo i testicoli, la prostata, le vescichette seminali, i dotti deferenti, il pene e nella donna le ovaie, le tube, l’utero, la vagina, la vulva, il clitoride.Lo studio della patologia u. ha subito negli ultimi tempi una vera e propria rivoluzione, basti l’esempio della patologia renale, che è stata sottoposta a rinnovati metodi classificativi e interpretativi su base essenzialmente immunologica e sulla pratica della biopsia renale in clinica, ai fini della predittività della terapia. Di grande ausilio il perfezionamento delle tecniche diagnostiche strumentali, con l’ecografia, la TAC, la RMN, la flussometria, che hanno consentito la limitazione al ricorso a metodiche invasive come l’arteriografia, la cavografia e la pielografia, che pure rimangono strumenti diagnostici di grande importanza, riservati ai casi in cui il quesito diagnostico ne giustifichi l’impiego. Così pure le innovazioni terapeutiche, con l’introduzione di farmaci che hanno reso possibile l’aver ragione di svariate situazioni patologiche. Per quanto concerne la patologia urinaria maschile legata alla patologia della prostata, l’applicazione di farmaci che determinano l’effettiva riduzione volumetrica dell’ipertrofia prostatica benigna e di altri che controllano la dinamica urinaria del soggetto prostatico, e, per le forme patologiche più strettamente interessanti il sesso femminile, di farmaci risolutivi delle diverse forme di cistite, e di quelli impiegati nella profilassi di situazioni imparentate con squilibri ormonali. Tutto ciò senza voler prendere in esame il campo oncologico, ove, perfezionate procedure chirurgiche associate ad adeguato trattamento farmacologico, hanno fatto registrare successi nel controllo di neoplasie come quelle del testicolo. L’apparato u. comprende vari organi deputati alla produzione, alla raccolta e alla eliminazione dell’urina. Gli organi genitali sono quelli addetti alla riproduzione nell’uomo in alcune parti le strutture anatomiche urinarie e genitali sono le medesime: nell’uretra maschile infatti passa sia l’urina che proviene dalla vescica, sia gli spermatozoi prodotti dai testicoli che devono fecondare l’uovo femminile. I reni sono organi pari e simmetrici che filtrano sangue e producono l’urina che a sua volta attraverso gli ureteri viene raccolta nella vescica, per poi essere a intervalli espulsa all’esterno attraverso l’uretra. La fisiologia urinaria è molto complessa sia per quel che riguarda i meccanismo di produzione, sia per quel che riguarda i meccanismi di raccolta e espulsione dell’urina. I reni infatti sono organi anche di regolazione della pressione sanguigna e del quantità di liquidi dell’intero organismo mediante sofisticati sistemi di concentrazione o di diluizione dell’urina, intervenendo e interagendo sull’equilibrio acido-base mediante sofisticati e assai delicati meccanismi di controllo. La vescica, che è il serbatoio di raccolta dell’urina, deve provvedere anche alla sua espulsione: al suo interno esistono numerosi recettori che segnalano il progressivo riempimento, cosicché la muscolatura che circonda la vescica stessa, contraendosi ne provoca lo svuotamento. Ma contemporaneamente deve avvenire l’apertura dei sistemi sfinteriali che consentono la contenzione dell’urina stessa, e una volta svuotata gli sfinteri devono di nuovo riprendere la loro tonicità.

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UROGRAFIA

Tecnica di indagine diagnostica radiologica dell’apparato urinario che si fonda sulla iniezione endovenosa, effettuata con modalità variabili, di un mezzo di contrasto radiopaco (si impiegano a questo scopo composti organici di iodio idrosolubili): tale sostanza viene eliminata attraverso i reni, e consente quindi la visualizzazione completa delle vie urinarie, che vengono studiate mediante radiogrammi effettuati ad intervalli di tempo.

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UROLITIASI

vedi CALCOLOSI URINARIA

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UROLOGIA

Branca delle scienze medico-chirurgiche che studia le malattie dell’apparato urogenitale maschile e femminile e delle ghiandole annesse e mette in atto i metodi di cura. Il campo d’azione dell’u. si esercita nell’ambito delle malattie chirurgiche dell’apparato urogenitale. Le malattie di carattere strettamente medico che concernono il rene costituiscono invece una branca autonoma che prende il nome di nefrologia.

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USO ESTERNO

Indicazione usata nella ricettazione dei medicinali. Essa distingue le pomate, gli unguenti, le polveri e in genere le forme farmaceutiche da applicare alla pelle, mucosa orale e nasale, eventualmente su abrasioni, ferite.

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USO INTERNO

Indicazione generica che comprende varie forme di somministrazione di un farmaco: per via orale per iniezione ipodermica, intramuscolare, endovenosa per via perlinguale per via rettale.

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USTIONE

(O scottatura), lesione provocata nei tessuti dall’azione di temperature elevate può formarsi in seguito al contatto con corpi caldi, o con sorgenti di calore, ma lesioni simili possono essere provocate anche da agenti chimici (alcali, acidi, fosforo ed altri), dall’elettricità, dalle radiazioni ionizzanti, da frizioni meccaniche intense o prolungate.Il danno tessutale è proporzionale alla temperatura ed alla durata dell’esposizione mentre la gravità di una u. dipende essenzialmente dall’estensione e dall’intensità delle alterazioni che presentano i tessuti. In base a quest’ultima si parla di:- u. di primo grado quando è interessata soltanto la cute, che si presenta arrossata e tumida - u. di secondo grado quando la cute, oltre ad apparire arrossata e gonfia, presenta anche vescicole più o meno estese, piene di liquido sieroso - u. di terzo grado quando si ha la necrosi della cute, o anche dei tessuti sottostanti, e la parte necrotica assume i caratteri di un’escara - u. di quarto grado quando si ha la carbonizzazione dei tessuti, con interessamento di strutture profonde (tessuto adiposo, muscoli, ossa).L’estensione delle ustioni viene comunemente espressa come percentuale rispetto alla superficie cutanea totale, e il corrispondente valore si può calcolare approssimativamente facendo riferimento alle diverse regioni corporee: la testa rappresenta il 9% ca., un arto superiore il 9%, metà del tronco il 18%, un arto inferiore il 18%, gli organi genitali l’1%. Nel bambino queste percentuali variano leggermente, poiché la percentuale di cute che copre la testa ed il tronco è maggiore che nel soggetto adulto. Quanto più estesa è la superficie ustionata, tanto più gravi sono le conseguenze: le alterazioni dei vasi sanguigni capillari nella zona colpita li rendono permeabili al plasma, ma non alle cellule del sangue, per cui si ha la fuoruscita di plasma nei tessuti con riduzione del volume di sangue circolante, e aumento della sua viscosità: si sviluppa così una condizione di shock, e questo fenomeno si verifica quando è interessato più del 15% di superficie cutanea (10% nei bambini). Inoltre l’u. può danneggiare i globuli rossi, con emolisi ed anemia, o con occlusione dei piccoli vasi ed impedimento alla circolazione. In pratica vengono considerate gravi le ustioni superiori al 20%, gravissime quelle superiori al 40% a parità di condizioni risultano più gravi le ustioni nei vecchi e nei bambini. Lo stato di shock si manifesta ca. 8 ore dopo una u. grave e, se non viene adeguatamente curato (meglio se prevenuto), porta a morte il paziente. Il decorso delle ustioni varia a seconda del loro grado in quelle di primo e di secondo grado l’evoluzione è favorevole, e la guarigione avviene nell’arco di pochi giorni senza formazione di cicatrice. Nelle ustioni di terzo e quarto grado si ha invece dapprima l’eliminazione della parte necrotica, che si stacca spontaneamente dopo 2-3 settimane la piaga che residua viene poi riparata con la formazione di una cicatrice, che può causare disturbi funzionali anche notevoli. In questi casi, se la zona ustionata non viene accuratamente protetta, si ha facilmente la sovrapposizione di infezioni batteriche, che in genere si manifestano 4-5 giorni dopo l’u. Tali infezioni sono sostenute soprattutto da stafilococchi, da streptococchi, da bacilli coliformi, e possono complicarsi con gravi sepsi. Le manifestazioni generali che accompagnano le ustioni più gravi comprendono quindi lo shock, che si manifesta nei primi giorni se il paziente supera questa fase segue un periodo più lungo di disturbi legati specialmente alle infezioni batteriche o ad alterazioni metaboliche con febbre, perdita di peso e dell’appetito, anemia, ipoproteinemia, alterazioni della funzione renale, eventualmente polmoniti, setticemie, o altre complicazioni infettive.

Terapia
La terapia corretta e tempestiva delle ustioni, attuata oggi in centri altamente specializzati, riesce a salvare in qualche caso soggetti ustionati fino al 70%. Gli esiti delle ustioni, si correggono con interventi di chirurgia plastica.
In caso di ustione, è subito fondamentale bagnare la parte corporea con abbondante acqua fredda per diversi minuti, allo scopo di rinfrescare la persona ferita e alleviarne il dolore. Un'ustione poco estesa può poi essere spalmata con pomate dedicate anche in ambiente domestico. Non si devono rimuovere le flittene, per evitare il rischio di infettare la ferita, e tutta la zona dev’essere toccata il meno possibile, se non per detergerla, disinfettarla e medicarla, ricordando che le ustioni vanno facilmente incontro a infezioni. Il paziente deve essere reidratato e, se molto sofferente, si possono somministrare analgesici o antinfiammatori. Un'ustione molto estesa o una lesione che colpisca un bambino, un anziano o un malato dev’essere sottoposta alla valutazione di un medico.

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UTERO

Organo cavo dell’apparato genitale femminile, situato nella piccola pelvi, tra la vescica, anteriormente, e il retto, posteriormente. Nella donna adulta, al di fuori dello stato di gravidanza, ha forma tronco-conica, con la base in alto e l’apice in basso, sensibilmente appiattita in senso dorso-ventrale, la sua forma può essere paragonata, grosso modo, a quella di una pera. Le dimensioni dell’u. variano a seconda dell’età della donna. Nelle neonate è lungo circa 3 cm, nella donna matura è lungo 6-9 cm e subisce un processo di atrofia in seguito alla menopausa. Nella donna che abbia già partorito, le sue dimensioni sono: 7-8 centimetri di lunghezza, 2,5 centimetri di spessore, 4 centimetri di larghezza. Il suo peso è di circa 50-70 grammi. Durante la gravidanza raggiunge i 35-37 cm e aumenta il suo volume di 30-40 volte. Si divide in tre parti: una maggiore, chiamata corpo che si divide a sua volta nel fondo (o cupola) e nel corpo propriamente detto, ai due estremi laterali del fondo sono presenti gli angoli tubarici, a livello dei quali l’u. si continua nelle salpingi uterine che lo collegano alle ovaie l’istmo, situato tra il corpo e il collo e la minore, chiamata collo o cervice, sul quale si inserisce la cupola vaginale esso costituisce la parte inferiore dell’u. e si divide a sua volta in due porzioni, la sopravaginale, situata al disopra della vagina, e la portio vaginale, o muso di tinca, che sporge libera in fondo alla vagina. La cavità che si trova all’interno del corpo è all’incirca triangolare, mentre nel collo si trova un canale, chiamato canale cervicale. Normalmente corpo e collo non sono allineati, ma formano fra di loro un angolo, aperto in avanti e in basso, di circa 120° (antiflessione dell’u.). Salpingi, ovaie e legamenti formano gli annessi uterini. L’u. è posto nel piccolo bacino ed è piuttosto mobile. Davanti ad esso si trova la vescica: i due organi sono separati da un cul di sacco, formato dal peritoneo. Posteriormente è situato l’intestino retto: anche qui il peritoneo si piega a formare un cul di sacco (scavo del Douglas), più ampio e più profondo del precedente. Secondo il maggiore o minore grado di riempimento della vescica o del retto, l’u. si sposta alquanto, ma in media si presenta quasi orizzontale, e il suo asse forma con la vagina, che si trova al di sotto, un angolo di 90° aperto in avanti (antiversione dell’u.). Questa posizione è importante perché in alcune condizioni patologiche può essere modificata. Pur godendo di una notevole mobilità, che gli consente le grandi variazioni di forma cui va incontro durante la gravidanza e durante il parto, l’u. è dotato di un valido apparato di sospensione costituito dai legamenti rotondi, tesi tra il fondo dell’u. e la parete anteriore della pelvi, dai legamenti larghi, tesi dai margini laterali dell’u. alle pareti laterali del bacino, dai legamenti u.-sacrali, dai legamenti u.-pubici, uterovescicali e cardinali e di un forte apparato di sostegno. Quest’ultimo viene chiamato nel suo complesso pavimento pelvico ed è costituito da due lamine muscolari, disposte a imbuto, che chiudono in basso il bacino. La prima, più profonda, è costituita dai muscoli elevatori dell’ano e ischio-coccigeo essi nel loro insieme hanno la forma di una coppa rivolta verso l’alto. La seconda, più superficiale, è costituita dal muscolo trasverso profondo del perineo.Le pareti dell’u. sono costituite da tre strati, che procedendo dall’esterno all’interno sono: il peritoneo, la tonaca muscolare (miometrio) e la mucosa (endometrio). È proprio nello spessore dell’endometrio che l’ovulo, qualora venga fecondato, va ad annidarsi. Perciò, mentre nell’ovaio avviene la maturazione dell’ovulo e l’ovulazione, nell’endometrio avviene tutta una serie di preparativi, per creare le condizioni più adatte ad accogliere l’ovulo fecondato.
Il susseguirsi delle varie fasi di questi preparativi è regolato dagli ormoni prodotti dall’ovaio. Queste modificazioni dell’endometrio prendono il nome di ciclo mestruale infatti, come punto di riferimento nella descrizione del ciclo uterino viene presa la mestruazione. All’inizio del ciclo, cioè dopo la fine della mestruazione, la mucosa ha uno spessore di 1-1,5 millimetri ed è rappresentata unicamente da quella sua porzione che viene chiamata strato basale. Essa è in attiva proliferazione ed è costituita da ghiandole tubolari semplici, che si dirigono in modo rettilineo verso la superficie e sono separate da abbondante tessuto connettivale. Il periodo che va dal 5° al 14° giorno dopo la fine della mestruazione prende il nome di fase follicolare proliferativa, perché in questo periodo la mucosa dell’u. si inspessisce fino a 6-8 millimetri, le ghiandole si allungano e diventano alquanto sinuose, assumendo un andamento a cavatappi. Questa nuova porzione inspessita della mucosa uterina prende il nome di strato funzionale.Il succedersi di tali fenomeni è stimolato dagli ormoni estrogeni che sono prodotti dal follicolo ovarico in via di maturazione. Intorno al 14° giorno del ciclo avviene l’ovulazione e il follicolo si trasforma in corpo luteo quest’ultimo produce il progesterone, l’ormone responsabile delle successive modificazioni della mucosa uterina. Si entra in questo modo nella fase luteale o secretiva: le ghiandole, che durante la fase precedente si erano sviluppate in modo completo, cominciano a secernere abbondantemente, mentre il tessuto connettivo che le circonda s’inturgidisce. Le piccolissime arterie che decorrono parallele alle ghiandole diventano tortuose e formano una fitta rete subito al di sotto della superficie della mucosa. Se l’ovulo liberato dall’ovaio è fecondato, viene ad annidarsi nell’endometrio. Se invece non è stato fecondato, il corpo luteo regredisce e di conseguenza diminuisce e cessa la produzione degli ormoni ovarici. Al 28° giorno avviene la mestruazione: il sangue stravasa nello spessore della mucosa, separando lo strato funzionale da quello basale il primo si distacca a brandelli, che vengono eliminati con il sangue. L’eliminazione di questo materiale dura 3 o 4 giorni e prende il nome di mestruazione. La quantità di sangue perduto in complesso a ogni mestruazione è di circa 100-200 grammi. Una proprietà del sangue mestruale è quella di non coagulare. Alle modificazioni cicliche che abbiamo descritto non partecipa la mucosa del collo: le ghiandole che vi si trovano, solo al 14°-16° giorno, quando cioè è appena avvenuta l’ovulazione e l’ovulo è fecondabile, producono un muco fluido e filante che facilita la salita degli spermatozoi. L’irrorazione sanguigna è assicurata dalle arterie uterine, rami dell’arteria ipogastrica, e dall’arteria ovarica. La rete venosa che raccoglie il sangue refluo dall’u. si dispone sulla superficie esterna a formare il plesso venoso uterovaginale, dal quale nascono tronchi venosi che si immettono nella vena iliaca interna e quindi nella vena cava inferiore. La rete linfatica risulta particolarmente sviluppata. L’innervazione è fornita dai rami del sistema simpatico e dal terzo e quarto nervo sacrale che formano il plesso nervoso uterovaginale.L’u. è l’organo destinato ad accogliere il prodotto del concepimento durante i 9 mesi del suo sviluppo funziona quindi come camera incubatrice. Le modificazioni che avvengono nell’ambito della parete uterina durante la gravidanza consentono di provvedere alle necessità vitali del feto durante tutto il periodo della gestazione. Infine, l’u., contraendosi, esplica un ruolo fondamentale nell’espulsione del feto durante il travaglio del parto.

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UTRICOLO

Piccola vescicola tondeggiante, del diametro di 2 mm ca. che fa parte, insieme al sacculo e ai canali semicircolari, delle formazioni del labirinto membranoso dell’orecchio interno.

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UTRICOLO PROSTATICO

Piccola formazione tubolare a fondo cieco presente nella prostata, che si apre nell’uretra in corrispondenza del collicolo seminale. È una struttura rudimentale che costituisce, nel maschio, l’omologo dell’utero e della vagina, di cui ha la stessa derivazione embriologica.

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UVEA

Tonaca vascolare dell’occhio, divisa in tre parti: iride (anteriore), corpo ciliare (intermedio), coroide (posteriore).IrideSi trova su un piano frontale davanti al cristallino in questa sede separa la camera anteriore dell’occhio dalla posteriore, facendole comunicare attraverso la pupilla. Ha la forma di un anello piatto che circonda la pupilla. Il suo diametro maggiore misura 12 millimetri, mentre quello pupillare varia tra 1 e 9 millimetri, in rapporto alla motilità iridea il diametro pupillare fisiologico è compreso tra 2,5 e 4 millimetri. Queste variazioni sono legate alla sua funzione principale, che è quella di regolare la quantità di luce che entra nell’occhio, comportandosi come il diaframma di una macchina fotografica. La ricca vascolarizzazione, inoltre, rende l’iride importante per il nutrimento del segmento anteriore dell’occhio. La motilità iridea è possibile per la presenza di due formazioni muscolari lisce o involontarie: il muscolo costrittore o sfintere della pupilla e il muscolo dilatatore. Nella struttura dell’iride, sulla faccia anteriore, si può osservare una linea circolare festonata, il collaretto irideo, che separa il terzo centrale (parte pupillare), dai due terzi periferici (parte ciliare). Nella prima sono presenti dei piccoli anfratti, detti cripte iridee. Nella zona intermedia della parte ciliare si osservano dei solchi di contrazione circolari e concentrici la zona più periferica di questa parte costituisce la radice dell’iride, che si trova in corrispondenza dell’angolo irido-corneale e posteriormente si impianta nel corpo ciliare. La caratteristica più evidente dell’iride è il colore, per la sua importanza nell’estetica del viso. Il colore dipende dall’interazione di due fattori: la presenza all’interno dell’iride di cellule pigmentate e di cellule cromatofore e l’esistenza sulla faccia posteriore di uno strato di epitelio pigmentato. Le cellule cromatofore contengono granuli giallastri e marroni, le cellule pigmentate e l’epitelio pigmentato posteriore contengono, invece, granuli nerastri. Nelle iridi chiare, azzurre o grigie, l’epitelio pigmentato è sottile e le cellule nello spessore irideo sono scarsamente pigmentate il contrario si realizza nelle iridi scure. In sezione microscopica si distinguono nell’iride quattro strati, che dall’avanti all’indietro sono: l’endotelio, lo stroma, lo strato delle cellule mioepiteliali e l’epitelio pigmentato. L’endotelio riveste la superficie anteriore senza penetrare nella profondità delle cripte, dove pertanto l’umore acqueo è in diretto contatto con lo stroma. Lo stroma ha natura connettivale fibrosa e contiene numerose cellule, tra cui quelle pigmentate, le cromatofore e i melanociti in prossimità del margine pupillare si riconoscono le fibre muscolari a decorso circolare dello sfintere. Dietro allo stroma è presente uno strato di cellule epiteliali modificate per la presenza di prolungamenti contrattili a decorso radiale: il loro insieme costituisce il muscolo dilatatore. Infine, l’epitelio pigmentato chiude l’iride verso la camera posteriore. La contrazione dello sfintere stira l’iride, restringendo la pupilla: questa condizione è definita miosi. La contrazione del dilatatore ripiega invece l’iride, provocando la midriasi, cioè la dilatazione della pupilla. L’antagonismo di questi due muscoli trova riscontro nella diversa innervazione vegetativa: parasimpatica per lo sfintere, ortosimpatica per il dilatatore. Il primo si contrae in risposta alla luce intensa (riflesso fotomotore) o alla messa a fuoco per vicino (riflesso di accomodazione-convergenza-miosi), mentre il secondo si contrae in situazioni con forte contenuto emozionale. L’iride è riccamente vascolarizzata da rami delle arterie ciliari, soprattutto anteriori, che formano il grande cerchio arterioso in periferia, ed il piccolo cerchio arterioso in corrispondenza del collaretto irideo tra questi decorrono vasi ad andamento radiale. Il sangue venoso viene in gran parte drenato, assieme a quello delle altre parti dell’u., verso il sistema delle vene vorticose.Corpo ciliareSi trova tra la radice dell’iride e la coroide ha sezione triangolare, con base anteriore e apice verso la coroide. La sua importanza è duplice: è la sede di produzione dell’umor acqueo, per cui è indispensabile alla nutrizione dell’occhio, e partecipa direttamente al meccanismo dell’accomodazione, in quanto contiene il muscolo ciliare e offre inserzione al cristallino.
Anche la forma del corpo ciliare è anulare, con una porzione anteriore rilevata (pars plicata o corona ciliare) e una posteriore piana (pars plana o orbicolo ciliare). La pars plicata è caratterizzata dalla presenza di circa 80 rilevatezze a decorso radiale, i processi ciliari, separati l’uno dall’altro da vallecole sia sui primi che sulle seconde si inseriscono le fibre del legamento sospensore del cristallino o zonula di Zinn. I processi ciliari producono l’umore acqueo. Ognuno di essi contiene nella parte interna lo stroma, un gomitolo di vasi capillari dipendenti dal grande cerchio arterioso dell’iride. Sulla superficie è presente un doppio strato epiteliale: quello esterno è pigmentato e continua l’epitelio pigmentato retinico, quello interno chiaro (epitelio ciliare), guarda verso la camera posteriore ed è caratterizzato da una elevata attività metabolica perché partecipa alla secrezione dell’umor acqueo. Il muscolo ciliare è localizzato nello spessore del corpo ciliare ed è formato da fibre muscolari lisce a decorso radiale, circolare e longitudinale. La contrazione del muscolo ciliare causa il rilasciamento della zonula per cui il cristallino, che è elastico, può aumentare il proprio diametro antero-posteriore e quindi il proprio potere diottrico. In questo modo l’occhio avvicina il punto di focalizzazione, permettendo la visione nitida di oggetti vicini. Questa azione è detta accomodazione ed è stimolata dallo sfuocamento dell’immagine e dalla convergenza dei bulbi nella visione per vicino. La contrazione del muscolo ciliare è governata dal parasimpatico. La pars plana costituisce la porzione più periferica del fondo oculare, oltre l’ora serrata retinica. In prossimità dell’ora serrata offre inserzione alla base del vitreo.CoroideLa coroide è essenzialmente uno strato vascolare compreso tra sclera e retina ed è ricca di melanociti. I vasi retinici maggiori decorrono negli strati esterni, mentre internamente, verso la retina, formano una rete capillare, la coriocapillare. Questa è separata dalla retina per mezzo della membrana di Bruch, a struttura collagene ed elastica, che risulta dall’unione della membrana basale della coriocapillare con quella dell’epitelio pigmentato retinico. La coriocapillare fornisce per diffusione nutrimento agli strati retinici esterni. La regolazione degli scambi metabolici tra queste strutture è opera della membrana di Bruch e dell’attività dell’epitelio pigmentato retinico. Il sangue refluo dalla maggior parte dell’u. viene drenato dalle vene vorticose, che hanno forma di ampolla e si trovano all’equatore del bulbo in numero di 1 o 2 per quadrante.

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UVEITE

Processo infiammatorio a carico dell’uvea che può essere diffuso, oppure localizzato ad una delle sue parti: coroide, corpo ciliare, iride (in questo secondo caso si parla rispettivamente di coroidite, ciclite, irite, irido-ciclite) il processo può coinvolgere anche altre strutture dell’occhio ad esempio la retina e la sclera. L’u. può avere carattere acuto, subacuto o cronico.

Cause
L’u. può essere determinata da traumi, o da agenti infettivi che si impiantano nell’occhio in conseguenza di ferite, o che vi pervengono per via sanguigna o linfatica da altri focolai di infezione: così possono essere in gioco germi piogeni, il bacillo della tubercolosi, il Treponema della sifilide, Protozoi come il Toxoplasma, virus (Citomegalovirus, virus della varicella, Herpesvirus), e anche funghi microscopici o Metazoi parassiti (per es. cisticerchi). A volte il processo infiammatorio non è dovuto all’azione diretta dell’agente infettivo, ma a reazioni di natura immunitaria indotte dallo stesso o scatenate da agenti fisici o tossici di varia natura. Una u. può costituire anche la manifestazione di malattie generali dell’organismo quali: artrite reumatoide, sarcoidosi, diabete, gotta. In molti casi la causa di una u. rimane sconosciuta.

Sintomi
L’infiammazione dell’uvea comporta fenomeni di congestione e di essudazione, con infiltrazione di leucociti tra le strutture uveali nelle forme a carattere acuto si può avere la rapida diffusione del processo a tutte le altre strutture dell’occhio: retina, corpo vitreo, sclera eccezionalmente si può avere anche l’evoluzione verso la suppurazione.Nelle uveiti croniche si può avere la formazione di granulomi.Una forma particolare di u. è la cosiddetta oftalmite simpatica, che si può sviluppare in conseguenza di un trauma oculare perforante che abbia interessato l’occhio controlaterale.

Terapia
La terapia delle uveiti, oltre alle misure dirette contro la causa responsabile, mira a ridurre l’infiammazione e a impedire il formarsi di aderenze tra l’iride e le strutture vicine.

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UVEOPAROTIDITE

(O uveoparotite), processo infiammatorio cronico granulomatoso a carico dell’uvea e della parotide è una delle manifestazioni che può assumere la sarcoidosi, e frequentemente si associa a interessamento di uno o più nervi cranici con eventuale paralisi degli stessi, e a localizzazioni cutanee, ossee, polmonari della malattia.

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IL DIZIONARIO DELLA SALUTE
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