Accedi

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

 D

D - DH
D, VITAMINA

La v. D è una v. liposolubile e può essere acquisita sia con l’ingestione che con l’esposizione alla luce solare. Il termine v. D è usato per indicare i composti steroidei che hanno l’attività biologica del colecalciferolo (v. D3) e del calciferolo (v. D2). Oltre a questi due composti esistono altre 10 sostanze con attività simile (provitamine), ma le più importanti restano la v. D3 e la D2: la prima presente nei tessuti animali, la seconda in cibi d’origine vegetale. Si depositano principalmente nel fegato, ma le riserve non sono cospicue. La trasformazione delle provitamine in v. ha luogo nel tessuto cutaneo questa reazione è catalizzata dai raggi ultravioletti e dipende quindi dall’esposizione ai raggi solari. L’effetto fisiologico più importante della v. D consiste nel facilitare la calcificazione dell’osso aumentando l’assorbimento del calcio assunto con la dieta. Tuttavia, l’azione specifica della v. D consiste nel tenere elevata la calcemia. Pertanto, se il calcio introdotto con la dieta è abbondante, l’effetto finale può essere la sua deposizione nelle ossa se il calcio è insufficiente, esso, per azione della v. D, è mobilizzato dall’osso e immesso nel sangue allo scopo di mantenere normale la calcemia. Inoltre la v. D è necessaria per una buona crescita dei bambini, in quanto, senza di essa, le ossa e i denti non calcificano bene. Essa è preziosa nel mantenere un sistema nervoso stabile, un’azione cardiaca e una coagulazione sanguigna normali, poiché tali funzioni sono collegate ad una buona utilizzazione da parte dell’organismo di calcio e fosforo. Gli oli di fegato di pesce sono la maggior fonte naturale di v. A e D.

Il latte di mucca, ma anche il latte umano, non contiene quantità sufficienti di v. D è deve perciò essere integrato o vitaminizzato. Attualmente i dosaggi di v. D vengono espressi in microgrammi di colecalciferolo (mg) invece che in Unità Internazionali (UI). L’equivalenza è 100 UI = 2,5 mg e 400 UI = 10 mg. Se presa in dosi eccessive, la v. D è la più tossica in assoluto. Il fabbisogno da parte dell’organismo di v. D può essere soddisfatto tramite l’esposizione ai raggi solari, che non ha conseguenze tossiche e l’ingerimento di piccole quantità di cibo. L’azione del sole sulla pelle può essere ostacolata dalla presenza di fattori come il fumo, i vetri od i vestiti.Chi vive in zone poco soleggiate o chi non può esporsi al sole, dovrebbe consumare almeno due tazze al giorno di latte vitaminizzato o una giusta quantità di tuorlo d’uovo, pesci grassi e fegato, secondo il grado di esposizione.Un eccesso di v. D aumenta l’assorbimento del calcio, che può portare alla rimozione del calcio dalle ossa ed a un accumulo nei tessuti molli, con la formazione di calcoli, come nei reni. Quantità eccessive possono determinare alti livelli di calcio e di fosforo nel sangue e una notevole escrezione di calcio nelle urine, e ciò provoca la calcificazione dei tessuti soffici, delle pareti dei vasi sanguigni e dei tubuli renali: tali disturbi si riassumono nella ipercalcemia. L’indurimento dei vasi sanguigni nel cuore e nei polmoni può portare alla morte. Un’aumentata attività cardiaca richiede più calcio, il quale viene fornito solo se vi è nel sistema sufficiente v. D. Sintomi di dosaggio eccessivo, in forma acuta, si manifestano con frequente urinazione, perdita dell’appetito, nausea, vomito, diarrea, stitichezza, debolezza muscolare, vertigini, stanchezza e calcificazione dei tessuti soffici del cuore, dei vasi sanguigni e dei polmoni e nei casi più gravi confusione, ipertensione, insufficienza renale e coma.Da una carenza di v. D consegue un inadeguato assorbimento del calcio da parte del tratto intestinale e una ritenzione di fosforo nei reni, apportando una mineralizzazione difettosa della struttura ossea. I sintomi della carenza di calcio sono uguali a quelli della carenza di v. D. L’incapacità delle ossa deboli di sopportare lo stress del peso si manifesta in deformazioni scheletriche.

Il rachitismo, un disturbo osseo dei bambini, è un effetto diretto della carenza di v. D. Segni di rachitismo sono l’indebolimento del cranio e delle ossa, con inarcamento delle gambe e della colonna vertebrale, ingrossamento dell’articolazione del polso, del ginocchio e dell’anca, muscoli scarsamente sviluppati e irritabilità nervosa.La v.D ha un ruolo importante durante la dentizione. Essa è necessaria per un buon sviluppo, crescita e rafforzamento della dentatura. Secondo Adelle Davis, la v. D serve anche a prevenire le carie dei denti e la piorrea, un’infiammazione degli alveoli dentali. La v. D protegge le persone in menopausa dall’osteoporosi causata dal cortisone. Attualmente vengono effettuati degli studi sul legame tra calcitrolo e osteoporosi. Sia la v. D che il calcio mantengono le ossa sane o forti durante la menopausa. La v. D previene la frattura dell’anca negli anziani. In uno studio scandinavo la v. D è stata collegata alla difesa dalla depressione.

Back to top
DACARBAZINA

Composto del triazene, appartenente al gruppo degli antineoplastici alchilanti. Esso richiede un’attivazione metabolica nel fegato prima di formare un agente alchilante attivo.La sua principale utilizzazione risiede nel trattamento del melanoma maligno, dove sembra essere efficace nel 20% dei casi. In associazione con altri farmaci la d. viene utilizzata nel trattamento del morbo di Hodgkin. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, come effetti di tossicità acuta provoca quasi sempre nausea, vomito, e diarrea, eccezionalmente reazioni anafilattiche come effetti di tossicità ritardata determina quali mielosoppressione, epatotossicità, nefrotossicità.

Back to top
DACRIOADENITE

Processo infiammatorio delle ghiandole lacrimali. Le dacrioadeniti si suddividono in forme acute o croniche.

Cause
Infezioni batteriche e virali. Tra le forme virali bisogna ricordare quella che può manifestarsi in corso di parotite, per l’affinità strutturale tra parotide e ghiandola lacrimale.

Sintomi
Le forme acute, dovute generalmente a infezione virale, sono caratterizzate dall’infiammazione acuta della ghiandola lacrimale principale con tumefazione della porzione esterna della palpebra superiore, che si presenta gonfia e dolente, con vivo dolore alla pressione e in qualche caso al movimento del bulbo.Le forme croniche sono meno comuni, generalmente dovute a infezione tubercolare od a patologie autoimmuni, si manifesta con una tumefazione dura e non dolente, che può deformare il margine della palpebra superiore l’alterata lacrimazione che ne consegue è non di rado causa di cheratocongiuntivite secca.

Diagnosi
Il rovesciamento della palpebra superiore permette di apprezzare la ghiandola infiammata, al di sotto della congiuntiva. Il dolore è particolarmente intenso quando viene colpita anche la parte orbitaria della ghiandola.

Terapia
È in relazione alla causa che ha determinato l’infiammazione. Nel caso di infezione batterica la guarigione si completa in 10-15 giorni con terapia antibiotica sia locale sia generale, mentre nel caso di d. virale la sintomatologia è più attenuata ma il decorso prolungato.

Back to top
DACRIOCISTITE

Processo infiammatorio dei sacchi lacrimali. È molto più frequente e alquanto più grave, rispetto alle infiammazioni che interessano le altre parti dell’apparato lacrimale. Generalmente, ha un decorso cronico.

Cause
Alla base di questa infiammazione quasi sempre c’è una stenosi (restringimento) congenita che ha sede tra il sacco lacrimale e il dotto naso-lacrimale. Quando per un fatto intercorrente la mucosa del dotto, già stenotico, si infiamma, il dotto viene completamente occluso. Il ristagno di lacrime nel sacco chiuso determina un’infiammazione della mucosa che lo riveste con conseguente facile impianto di germi piogeni (germi che producono pus, generalmente rappresentati da streptococchi e stafilococchi che, in queste condizioni di diminuzione della difesa della mucosa del sacco, proliferano facilmente).

Sintomi
Il primo sintomo è un’intensa lacrimazione inoltre la congiuntiva appare arrossata e presenta i classici segni di una congiuntivite. La pressione sulla regione del sacco lacrimale all’angolo mediale dell’orbita (cioè quello vicino al radice del naso), determina la fuoriuscita di un liquido bianco, viscoso, di aspetto simile al bianco d’uovo. Dato che il secreto può risalire le vie lacrimali e arrivare alla congiuntiva e alla cornea, anch’esse possono infettarsi. Perciò sono facilmente concomitanti alla d.: congiuntiviti, infiammazioni del bordo palpebrale (blefariti) e infiammazioni della cornea (cheratiti), che possono anche presentare l’aspetto di cheratite purulenta. Generalmente le dacriocistiti hanno carattere cronico (evoluzione lenta, senza sintomi molto appariscenti) talvolta, però, quando il ristagno della secrezione muco-purulenta è accentuato se nuovi agenti infettivi si aggiungono ai precedenti, l’infezione può decorrere acutamente. In questo caso, la cute della regione del sacco si gonfia e il gonfiore si diffonde alle palpebre, che diventano, insieme al sacco, dolenti al tatto. In seguito, la cute corrispondente al sacco diviene giallastra e si perfora e dalla perforazione fuoriesce un secreto purulento. Dopo questa manifestazione, i sintomi di infezione regrediscono e si verifica solo fuoriuscita di lacrime: si è istituita in tal modo una fistola lacrimale.

Terapia
Dato che il punto iniziale di tutto il processo è la stenosi che si istituisce tra il sacco lacrimale e il dotto naso-lacrimale, nei casi iniziali è possibile ristabilire la pervietà del dotto con un sondaggio delle vie lacrimali, che consiste nell’introduzione di una sottile sonda attraverso i punti lacrimali, fino al condotto naso-lacrimale. È necessario che l’operazione venga eseguita da uno specialista esperto. Ai sondaggi si alternano irrigazioni con antibiotici. Qualora con questi mezzi non si ottengano risultati apprezzabili, è necessario ricorrere all’intervento chirurgico (dacriocistorinostomia). Questo consiste nella formazione di una nuova via di comunicazione tra il sacco lacrimale e la cavità nasale, che permetta di ristabilire un facile deflusso delle lacrime.

Back to top
DAKIN-CARREL, soluzione di

Disinfettante per uso esterno dotato di buon potere battericida, costituito da una soluzione acquosa di ipoclorito di sodio (0,45 - 0,50%). È attualmente superato da preparati di più pronto impiego e con minor grado di tossicità.

Back to top
DALTONISMO

Anomalia congenita della percezione dei colori, descritta nel 1794 dal fisico britannico J. Dalton, che ne era affetto.

Cause
Tale anomalia, dovuta a un disturbo funzionale dei coni (particolari cellule della retina deputate alla percezione dei colori), viene trasmessa ereditariamente come un carattere recessivo legato al sesso i geni responsabili del d. sono situati sul cromosoma X e, poiché si tratta di geni recessivi, la malattia si manifesta in tutti i soggetti di sesso maschile che hanno il gene anomalo, e nelle femmine che hanno il gene anomalo in doppia dose, che sono cioè omozigoti: per questo motivo la frequenza del d. è molto più elevata nei maschi che nelle femmine. Donne daltoniche nascono solo da un padre daltonico e da una madre portatrice, mentre i maschi daltonici nascono da madre portatrice del gene e da padre normale. Per questo tipo particolare di trasmissione ereditaria, donne daltoniche coniugate con uomini normali hanno tutti i figli maschi daltonici e tutte le figlie femmine normali, ma portatrici, e quindi capaci di trasmettere l’anomalia alla prole uomini daltonici coniugati con donne normali hanno tutte le figlie normali, ma portatrici (le quali trasmetteranno l’anomalia a metà dei figli maschi), e tutti i figli maschi normali. Sono affetti da d. di vario grado il 4% ca. degli individui.

Sintomi
Il soggetto daltonico confonde varie sfumature di rosso con varie sfumature di verde nello spettro dei colori egli può distinguere solo il blu e il giallo, che risultano separati da una zona in cui le sue capacità di discriminazione sono deficitarie.In altre parole il d. è una cecità cromatica parziale: se l’asse di confusione è per il verde-rosso si parla di deuteranopia, se è per il rosso-blu/verde è la protanopia, se è per il violetto-giallo/ verde l’anomalia è definita tritanopia.

Diagnosi
L’esame del senso cromatico si basa sul riconoscimento dei colori operato dai coni foveali. Per uno screening possono essere presentate al paziente delle matassine di lana colorate oppure delle tavole nelle quali un insieme di tondini colorati descrivono dei numeri o dei simboli, come le tavole pseudoisocromatiche di Ishikara. Questi test sono concepiti in modo da indurre false risposte in caso di anomalie del senso cromatico. Per un esame clinico più approfondito si utilizza il test di Farnsworth che consiste in una serie di dischetti colorati (100 nella versione completa) che il paziente deve allineare in sequenza tonale.

Terapia
Non esiste.

Back to top
DANTRONE

Farmaco lassativo antrachinonico appartenente al gruppo degli irritativi, o lassativi di contatto, del quale fanno parte anche la senna ed il bisacodile (vedi bisacodil). Il d. viene usato molto raramente in quanto sono stati dimostrati effetti genotossici e cancerogeni (cancro colo-rettale) nei roditori in seguito ad uso cronico infatti il d. ed altri antrachinoni contengono nella loro struttura chimica dei gruppi reattivi dal potere mutageno.

Back to top
DAPSONE

Farmaco della classe dei sulfoni, ampiamente usato nella terapia antilebbra (vedi anche ANTILEPROMATOSI), ha effetto battericida grazie all’inibizione dell’enzima folato-sintetasi. È il farmaco di prima scelta per la sua buona efficacia e ridotta tossicità può essere utilizzato anche nei bambini ed in gravidanza. Si somministra per via orale o intramuscolare alle dosi di 100 mg/die per cicli di 30-40 giorni, con intervalli di una settimana. Sono descritte resistenze nel 10-30% dei casi, pertanto, di prassi si associa a rifampicina ed etambutolo. Gli effetti tossici secondari sono quelli che si riscontrano per i sulfoni in generale, cioè emolisi nei soggetti con deficit della G6PDH, dermatite, rash cutanei, epatite, febbre, cefalea, astenia, agranulocitosi è inoltre descritta una sindrome da d. simile alla mononucleosi.

Back to top
DARTOS

Sottile lamina di tessuto muscolare liscio, che aderisce intimamente alla faccia profonda della cute dello scroto.È un muscolo pellicciaio, che si contrae sotto l’azione del freddo e si rilascia con il caldo: con la sua contrazione, o semplicemente con la sua tonicità, determina il pieghettamento delle borse scrotali e il loro aspetto rugoso.Il d. si prolunga in alto sotto la cute del pene, del perineo e delle regioni inguinali, sperdendosi nel tessuto connettivo sottocutaneo corrispondente.

Back to top
DARWIN, spina di

(O tubercolo di Darwin), piccola sporgenza del margine libero del padiglione auricolare dell’uomo, al limite tra la parte superiore e la parte discendente dell’elice: è dovuta a un ispessimento della cartilagine dell’elice e corrisponde all’apice dell’orecchio degli altri primati. La spina di D. può costituire il punto di partenza di processi infiammatori della cartilagine dell’elice e della cute che la ricopre (condrodermatite), che si manifestano con la comparsa di un nodulo arrossato e molto doloroso.

Back to top
DATTILOFASIA

Tecnica usata dai sordomuti per esprimere, mediante segni convenzionali delle dita, delle mani o delle braccia, lettere o sillabe è più comunemente nota come alfabeto muto. Le moderne tecniche audiologiche e protesiche oggi consentono spesso il riconoscimento e l’amplificazione di residui uditivi anche modesti, spesso presenti anche nei casi più gravi di ipoacusia quindi l’insegnamento della lettura labiale e un’adeguata educazione foniatrica consentono un buon recupero sociale dei sordomuti senza che sia necessario far ricorso alla d.

Back to top
DATTILOSCOPIA

Esame e studio delle linee o creste epidermiche presenti sulla cute dei polpastrelli delle dita. Le creste sono in rapporto con le papille vascolonervose del derma sottostante, ma non vi corrispondono esattamente: in realtà la parte rilevata della cresta epidermica corrisponde al solco limitante due creste dermiche adiacenti.

I disegni formati dalle creste epidermiche e dai solchi, detti anche dermatoglifi, seguono uno schema di massima eguale in tutti gli individui. Ogni impronta è costituita da tre gruppi di segni, o sistemi:-basilare, formato dalle linee trasversali parallele alla piega interdigitale -marginale, formato dalle linee arcuate che seguono il margine esterno del polpastrello -centrale, costituito dal vortice o ansa, al centro.Entro questo schema di massima, il disegno varia da individuo a individuo, in un numero di combinazioni infinito, senza ripetersi mai. Da ciò l’interesse giudiziario di questo carattere, che permette di riconoscere l’identità di una persona. Il sistema dattiloscopico permette di identificare, mediante opportuni reattivi, impronte lasciate su oggetti.

Back to top
DAUNOMICINA

Antibiotico dotato di attività citotossica e antimitotica, usato come antineoplastico nel trattamento della leucemia acuta. Tra gli effetti collaterali vi è l’azione depressiva sul midollo osseo.

Back to top
DAY HOSPITAL

Particolare forma di assistenza ospedaliera che prevede un ricovero giornaliero seguito da una singola permanenza notturna se necessario.In regime di d. hospital si possono eseguire esami preoperatori, esami strumentali poco invasivi, cicli di terapie farmacologiche in pazienti cronici ecc.Oggi è una formula molto utilizzata anche per eseguire piccoli interventi chirurgici (day surgery) che di solito non richiedono anestesie generali o comunque di lunga durata, come le artroscopie, il gruppo delle endoscopie diagnostiche e piccolo operative gastroenterologiche (es.: gastroduodenodigiunoscopia, pancolonscopia) e ginecologiche (laparoscopie diagnostiche, salpingocromoscopie, isteroscopie diagnostiche e piccolo operative), interventi dermatologici o di chirurgia plastica ed estetica, ecc.

L’impiego di tale approccio organizzativo, molto favorito dalle organizzazioni sanitarie e dalle aziende ospedaliere in quanto consente un migliore utilizzo dei posti letto e la conseguente riduzione dei costi, richiede una accurata selezione delle procedure e dei pazienti da operare. È infatti essenziale che i pazienti e gli interventi vengano selezionati al fine di ridurre al minimo possibile le complicanze e le necessità di conversione del ricovero al regime ordinario. L’organizzazione di un servizio di day surgery richiede un lavoro di equipe che vede coinvolti i chirurghi e gli anestesisti ma anche il personale infermieristico e di assistenza, visto che la dimissione precoce prevede la possibilità per il paziente di usufruire di una disponibilità – telefonica e personale – quanto più efficace possibile nelle ore immediatamente successive alla dimissione.

Back to top
DCI

Sigla di Denominazione Comune Internazionale, che distingue le varie molecole di sintesi dotate di proprietà farmacologiche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha accettato il compito di catalogare tutte le DCI, che sono ormai oltre 5000, e che vengono definite anche con la sigla INN (International Nonproprietary Names, Nomi internazionali non commerciali).

Back to top
DE LA PEYRONIE, malattia di

(O Induratio Penis Plastica IPP) deriva dal nome del chirurgo che la scoprì nel 1743 è una malattia del pene la cui causa non è ancora ben nota. Si caratterizza con una fibrosi circoscritta della tunica albuginea, la guaina scarsamente vascolarizzata che riveste i corpi cavernosi del pene. L’area di fibrosi, definita genericamente placca, causa una limitazione dell’elasticità durante l’erezione della porzione di pene ove è localizzata e determina una curvatura verso il versante malato. Il riscontro frequentissimo delle placche sulla linea mediana del pene nella regione ventrale o dorsale di esso ha fatto pensare che alla base della malattia vi siano traumi o microtraumi ripetuti nel tempo a carico del pene eretto che determinano lesioni, anche minime, di quell’area della tunica albuginea che si trova a livello del setto di separazione tra i due corpi cavernosi (setto intercavernoso). I corpi cavernosi presentano un rivestimento formato da fibre circolari e fibre a decorso longitudinale che li rivestono consensualmente. Sulla linea centrale queste fibre si incontrano nel setto intercavernoso. Un trauma a pene eretto può scollare questi due strati di fibre lacerandoli. A queste lacerazioni, uniche o ripetute, conseguono i normali processi riparativi dell’organismo che all’inizio producono fenomeni di infiammazione locale e, nel tempo, probabilmente in individui predisposti,la formazione di una cicatrice. Questa costituisce la tipica placca della malattia di De la P. Questi processi cicatriziali, a causa della deposizione di calcio, si stabilizzano nel tempo formando placche calcifiche immodificabili, tipiche delle IPP stabilizzate. Con una certa frequenza la malattia si accompagna al diabete, alla gotta, all’ipertensione, all’aterosclerosi ed è spesso concomitante con altre patologie del tessuto connettivo. La malattia colpisce più spesso gli uomini tra i 50 e i 65 anni, molto più raramente soggetti giovani o anziani.

Sintomi
La malattia, nella metà dei casi, ha esordio improvviso, e nell’altra metà dei casi, esordio insidioso e lento nel tempo. Alcuni pazienti ricordano il trauma penieno accompagnato da vivo dolore durato da pochi minuti a qualche giorno, intercorso circa 1-4 settimane prima dell’insorgenza della curvatura. Gli altri non ricordano invece un evento traumatico preciso. Nel primo caso è possibile che il trauma abbia provocato una lacerazione sufficientemente importante da essere corredata da dolore e impotenza funzionale più o meno lunga, nel secondo caso probabilmente una serie di ripetuti microtraumi sono alla base della malattia.La malattia conclamata si manifesta con una fase acuta e una fase di stabilizzazione. Nella fase acuta il paziente lamenta dolore spontaneo o all’erezione e curvatura del pene in erezione e, meno frequentemente, anche in stato di flaccidità. Dopo circa 12-18 mesi, si verifica la fase di stabilizzazione in cui i processi infiammatori sono risolti e residua una placca calcifica inattaccabile dalla terapia medica. È importante trattare la patologia nella fase acuta, quella in cui l’infiammazione e i processi cicatriziali sono ancora in atto, per ridurre, con la corretta terapia, la formazione della cicatrice e il deposito dei sali di calcio. Alla malattia può associarsi un deficit erettile a causa del dolore e della curvatura, con il conseguente dolore alla penetrazione per entrambi i partner. Questo provoca un importante effetto psicologico negativo sull’attività sessuale, perché le modificazioni dei tessuti penieni coincidono con quelle che concorrono al determinismo delle disfunzioni erettili organiche.

Diagnosi
La diagnosi di IPP si fa con 4 semplici modalità:1) accurata raccolta della storia clinica del paziente (modalità e tempi di insorgenza, sintomi, manifestazioni associate, vita sessuale) 2) autofotografie, in almeno due proiezioni, che il paziente deve eseguire a pene eretto che permettono di calcolare l’esatto angolo di curvatura del pene 3) esame obiettivo che eseguito da mani esperte permette valutazioni estremamente precise dello stato di malattia 4) ecografia peniena a pene flaccido e in erezione farmacoindotta.

Terapia
Attualmente la terapia non chirurgica comprende trattamenti suddivisibili in 3 categorie:1) terapia farmacologica generale 2) terapia farmacologica locale 3) terapia con mezzi fisici.Queste terapie vengono impiegate nella fase iniziale della malattia (fase infiammatoria) per attenuare o bloccare quei fenomeni che portano alla formazione della placca.

È segnalata una regressione spontanea della malattia, con percentuali variabili dal 13 al 50 %, che rende ancora più difficile una valutazione scientifica sulla reale efficacia dei vari trattamenti proposti.

  1. Per quanto riguarda l’uso di farmaci da assumersi per bocca o per via iniettiva, non c’è un protocollo di trattamento standard. Il farmaco attualmente più utilizzato è la Vitamina E che attraverso un’azione eutrofizzante ed antifibroblastica, agisce positivamente sul rinnovamento cellulare ma la sua efficacia non è del tutto certa.
  2. Le vie di somministrazione per via locale sono due, la ionoforesi, con la quale ci si affida alla penetrazione del farmaco per via transdermica, attraverso l’uso di una corrente elettrica e l’infiltrazione tramite siringa peri o intraplacca. Come per la terapia farmacologica generale la terapia medica locale è considerata inutile quando la malattia si è stabilizzata e la placca presenta dei fenomeni di calcificazione, specie per placche particolarmente estese e deformanti. Anche in questo caso i farmaci utilizzati sono stati molti attualmente i più utilizzati, da soli o in associazione, sono il Verapamil e Cortisonici. Si utilizza anche la collagenasi che è un enzima che attacca il collagene, uno dei principali componenti delle placche di Peyronie.
  3. Con il termine di terapie con mezzi fisici si identificano quei trattamenti che utilizzano ultrasuoni o energie laser. Sono forme di trattamento ben tollerate, senza effetti collaterali, ma che non si sono dimostrate più efficaci rispetto ai trattamenti già illustrati.T. chirurgicaÈ bene precisarlo, è da consigliare solo nei casi più gravi che rendono veramente difficile avere normali rapporti sessuali e nei casi di malattia stabilizzata (da almeno sei mesi). Importante è valutare quando il paziente “non accetta” l’incurvamento del pene.Gli interventi di plastica ricostruttiva possono essere raggruppati in due tipi: - Rimozione di tessuto sano dalla parte opposta alla curvatura. Sono interventi di raddrizzamento senza escissione della placca. Gli interventi di semplice raddrizzamento, che possono essere anche eseguiti in anestesia locale, prevedono la creazione di una trazione controlaterale alla retrazione esercitata dalla placca e determinano un accorciamento del lato più lungo del corpo cavernoso (lato convesso) in modo da renderlo simmetrico al controlaterale. Effetto collaterale: accorciamento del pene.- Rimozione della placca e sostituzione con una “pezza” di pelle. Effetto collaterale: possibile parziale perdita della funzione erettile.Gli interventi prevedono 24-48h di ricovero.Qualora sia presente un deficit erettile irreversibile, il trattamento chirurgico prevede il posizionamento di una protesi peniena.
Back to top
DE TONI-CAFFEY, SINDROME DI

Forma patologica a probabile origine familiare che coinvolge lo scheletro e i tessuti adiacenti del bambino. È caratterizzata da febbre, irritabilità, edema dei tessuti molli e da neoformazione di tessuto osseo nella parte centrale di diverse ossa con ispessimento delle corticali. La mandibola è l’osso più colpito, meno frequentemente la clavicola, la tibia e l’ulna.La sindrome è di solito diagnosticata nei primi sei mesi di vita.Non è nota la causa della malattia, che comunque si risolve spontaneamente in breve tempo.

Back to top
DEAMBULAZIONE

Successione ritmica di movimenti degli arti inferiori accompagnati a movimenti di altri settori corporei, eseguiti per produrre uno spostamento lineare del corpo.Essa è la risultante di un complesso ciclico di atti elementari consistenti nell’alternarsi di movimenti flessori ed estensori dei diversi segmenti che compongono l’arto inferiore, incernierati nelle articolazioni dell’anca, del ginocchio, della caviglia e delle dita del piede.Questa successione di movimenti è scomponibile in due fasi:

- la fase portante, caratterizzata dall’appoggio al suolo di un arto sul quale grava il peso del corpo;

- la fase oscillante, caratterizzata dall’arto controlaterale arretrato rispetto al precedente e sgravato del peso corporeo. 

Da questa posizione inizia lo spostamento, dall’indietro in avanti, del secondo arto, che viene portato davanti al primo fino ad appoggiarsi al suolo a una distanza variabile. Con tale movimento il centro di gravità del corpo si sposta in avanti e grava sul nuovo arto. Scambiatisi in tal modo i ruoli, il ciclo deambulatorio riprende. Tutti questi movimenti sono accompagnati da una corrispondente serie di movimenti ritmici del tronco, del capo e degli arti superiori, aventi lo scopo di mantenere l’equilibrio dinamico del corpo. La d. quindi richiede l’intervento complesso di numerosi gruppi muscolari, agonisti e antagonisti, anche non direttamente interessati nel far muovere gli arti inferiori: la coordinazione tra le diverse parti interessate e l’aggiustamento continuo della postura e del tono muscolare, in modo da fornire una base stabile ai movimenti, dipendono dall’attività del cervelletto e delle strutture del sistema extrapiramidale. Il meccanismo fisiologico della d. può andare incontro a disturbi che conseguono ad alterazioni di una o più strutture implicate nella sua esecuzione.Si possono quindi verificare disturbi della d. quali effetti di lesioni di strutture articolari, ossee, muscolari e nervose. Le alterazioni più caratteristiche sono tuttavia determinate da lesioni del sistema nervoso centrale o periferico esse possono infatti conferire alla d. caratteri inquadrabili in schemi peculiari.Si distinguono così vari tipi di d.: anserina, atassica, cerebellare, parkinsoniana, del piede cadente, spastica e isterica.

  • D. anserina. È tipica delle malattie che interessano i muscoli del cingolo pelvico. In questi casi i muscoli affetti non possono svolgere regolarmente la funzione di mantenere la stazione eretta, per cui a ogni passo tutto il corpo subisce un’oscillazione ritmica da un lato all’altro, con carattere dondolante, quale si verifica nelle oche.
  • D. atassica. Si osserva in pazienti affetti dalla tabe dorsale, che è una manifestazione della sifilide terziaria.Ad ogni passo l’arto è sollevato più di quanto non sia necessario e viene poi lasciato cadere violentemente al suolo.Durante la marcia tutto il corpo presenta forti oscillazioni che sembrano compromettere la stabilità del paziente a occhi chiusi il paziente stesso cade facilmente.
  • D. cerebellare. È detta anche andatura da ubriaco, perché il paziente affetto da malattie del cervelletto perde la capacità di dosare armoniosamente i movimenti e assume un’andatura incerta, zigzagante, a gambe divaricate, col busto inclinato indietro e con tendenza a cadere lateralmente a ogni passo.
  • D. parkinsoniana. È presente nei pazienti affetti da morbo di Parkinson ed è caratterizzata da una successione di passi piccoli e rapidi, eseguiti con rigidità, col busto portato in avanti a tal punto che il malato tende a cadere.
  • D. del piede cadente. È caratteristica delle lesioni paralitiche dei muscoli estensori del piede. Non potendo sollevare la punta del piede che striscerebbe per terra, il paziente solleva a ogni passo il ginocchio in modo esagerato come se dovesse superare un ostacolo, assumendo quel carattere dell’andatura che viene detto steppage.
  • D. spastica. È osservabile nel paziente affetto da paralisi in fase spastica. La rigidità dell’arto in estensione, che consegue alla malattia, fa sì che il paziente porti l’arto molto in avanti facendogli compiere un movimento ad arco verso l’esterno (andatura falciante), appoggiando poi il piede sul bordo esterno. Nella diplegia spastica congenita, o morbo di Little, il paziente presenta ambedue gli arti irrigiditi, bloccati in estensione e in adduzione, con la punta del piede estesa. In tal modo l’andatura si fa estremamente difficile perché gli arti, portati in avanti con movimenti supplementari e artificiosi, si incrociano ostacolandosi a vicenda.
  • D. isterica. Non essendo legata a una vera e propria malattia degli organi di movimento o delle vie nervose, si presenta come un’imitazione incompleta e irregolare delle diverse andature sopra descritte, manifestandosi il più spesso con il semplice trascinamento passivo dell’arto che si vuole dimostrare ammalato.
Back to top
DEANAFILASSI

Condizione in cui si trova un individuo sensibilizzato, dopo che è stato messo ripetutamente a contatto con piccole dosi (iniettate nel derma) dell’antigene corrispondente. In tal caso l’antigene lega l’anticorpo in modo graduale e la successiva somministrazione di antigene anche in dosi letali non provoca alcuna reazione anafilattica.In tale condizione si trova anche l’organismo che abbia superato uno shock anafilattico per molto tempo infatti resta insensibile all’inoculazione dell’antigene che ha in precedenza scatenato lo shock.

Back to top
DEBRÉ-FANCONI, sindrome di

Forma patologica caratterizzata da disturbi dell’accrescimento con rachitismo resistente alla vitamina D, alterazioni scheletriche, perdita di glucosio, di aminoacidi e di fosfati con le urine.

Back to top
DECALCIFICAZIONE

Processo patologico che consiste nella perdita di sali di calcio da parte del tessuto osseo. Si può manifestare nel corso di diverse affezioni, sia interessanti l’intero organismo (per es. malattie endocrine quali l’iperparatiroidismo o il morbo di Cushing), sia limitate a un distretto scheletrico (traumi, fratture, disturbi di circolo, processi infiammatori, tumori primitivi o secondari) nel primo caso la d. interessa in modo diffuso tutto lo scheletro. La d. si osserva spesso come conseguenza di lunghe immobilizzazioni in apparecchi gessati per fratture o altri processi patologici, particolarmente agli arti inferiori, ove il carico agisce da stimolo alla deposizione di calcio nell’osso.Come conseguenza della d. le ossa interessate assumono un aspetto spugnoso e diventano fragili, andando incontro a fratture anche in seguito a traumi di lieve entità. La perdita di calcio dell’osso può essere seguita in alcuni casi dalla comparsa di focolai di calcificazione nei tessuti molli extrascheletrici.Per analogia, si parla di d. anche nei casi in cui il tessuto osseo risulta povero di sali di calcio per scarsa deposizione degli stessi (per es. in casi di osteomalacia o di rachitismo).La terapia, diretta soprattutto contro la malattia principale, si giova di diete ricche di calcio, di integratori per via orale e di alendronati, farmaci che stimolano la deposizione di osso.

Back to top
DECEREBRAZIONE

Separazione dei centri nervosi cerebrali dai centri posti inferiormente. Tale condizione viene ottenuta sperimentalmente in cani, gatti, scimmie, per lo studio dell’attività del midollo spinale, del bulbo, del cervelletto e del ponte. Si realizza mediante taglio all’altezza della lamina quadrigemina talvolta viene asportato il cervello. L’animale decerebrato perde la capacità di movimenti volontari e acquista una rigidità dovuta a maggior tono dei muscoli estensori, riesce a mantenere la stazione eretta, ma in maniera instabile. L’aumento del tono dei muscoli estensori è interpretato come conseguenza del venir meno di stimoli inibitori provenienti dai centri superiori, nei riguardi dei riflessi posturali spinali, con facilitazione della reazione di raddrizzamento. Nell’uomo la rigidità della d. è caratterizzata da una estensione con rotazione interna sia degli arti superiori sia degli arti inferiori ed è parzialmente riprodotta in caso di trauma cranico con segni di lesione del tronco encefalico. Nell’esame neurologico obiettivo in un paziente in coma, la comparsa di una risposta in decerebrazione in risposta ad uno stimolo doloroso, indica una disfunzione cerebrale grave.

Back to top
DECIBEL

Unità di misura del livello dell’intensità energetica del suono. È pari alla decima parte del bel.

Back to top
DECIDUA

(O caduca), denominazione con cui si indica la mucosa dell’utero durante la gravidanza, mucosa la cui struttura si è modificata in modo particolare per poter consentire l’impianto dell’uovo fecondato.La d., che risulta molto più spessa della mucosa uterina normale, è composta da uno strato superficiale a struttura compatta nel quale il tessuto connettivo interstiziale è costituito in gran parte da grosse cellule rotondeggianti o poliedriche, dette cellule deciduali, e da uno strato profondo, detto anche strato spugnoso, formato essenzialmente dalla porzione profonda delle ghiandole uterine, irregolarmente dilatate.Una volta avvenuto l’annidamento dell’uovo e fino al 4° mese di gravidanza si possono distinguere nella d. tre parti: la d. capsulare, che copre e incapsula la superficie dell’uovo la d. parietale, che riveste la porzione rimanente della cavità uterina, e la d. basale, che comprende la porzione sottostante la zona di impianto dell’uovo: quest’ultima, da cui dipende la nutrizione dell’embrione, subisce poi ulteriori modificazioni e partecipa alla formazione della placenta. Con il progredire della gravidanza, poiché l’embrione viene a occupare l’intera cavità uterina, la d. capsulare viene ad aderire a quella parietale e si fonde con essa formando un’unica membrana.Dopo il parto, con il secondamento, la d. si distacca e viene espulsa insieme con la placenta e le membrane che rivestono il feto (da qui l’altro nome di caduca).

Back to top
DECIDUI, denti

Sono i cosiddetti denti da latte, chiamati più esattamente decidui perché sono destinati a cadere, per lasciare il posto a quelli che poi formeranno la dentatura definitiva dell’adulto, cioè ai denti permanenti.

Back to top
DECLORAZIONE

Processo che permette di estrarre dalle acque il cloro o i suoi composti ivi presenti.La d. trova particolare applicazione negli impianti di potabilizzazione delle acque a valle del trattamento di disinfezione eseguito mediante clorazione, allo scopo di liberare le acque potabili dal cloro residuo e dai suoi composti (soprattutto clorofenoli) che conferiscono un sapore e un odore sgradevoli.

Back to top
DECOMPRESSIONE

Termine del linguaggio chirurgico indicante vari tipi di interventi che hanno lo scopo di diminuire la pressione alla quale, in condizioni patologiche, sono sottoposte talune strutture racchiuse in un involucro inestensibile o compresse da formazioni rigide. Interventi di questo tipo vengono attuati per esempio nel caso di processi patologici endocranici (ematomi o tumori) o endorachidei, o nel caso di gravi traumi degli arti tali da comportare una eccessiva tumefazione dei muscoli. In questo ultimo caso l’edema o l’emorragia nel compartimento osseofasciale della gamba, dell’anca o dell’avambraccio possono causare un marcato aumento della pressione distrettuale dei tessuti. (sindrome da ipertensione compartimentale).

La decompressione compartimentale deve essere attuata il prima possibile, attraverso un’incisione che liberi il contenuto intrappolato nel compartimento coinvolto (fasciotomia decompressiva). Il termine d. viene impiegato anche in medicina subacquea, per indicare la condizione cui si trova sottoposto l’organismo nel suo insieme durante la risalita dopo una immersione. Se la risalita non avviene seguendo determinate regole si possono manifestare gravi lesioni, dovute essenzialmente alla brusca espansione dei gas contenuti nelle cavità dell’organismo e alla loro rapida liberazione dal sangue e dai tessuti (barotraumatismo), lesioni la cui gravità dipende dalla profondità raggiunta, dalla durata dell’immersione, e soprattutto dalla velocità di risalita.

Quando un soggetto respira gas sotto pressione, i componenti dell’aria si sciolgono nel sangue e nei tessuti in relazione alla loro pressione parziale. Durante la fase di risalita subacquea (decompressione) se il soggetto per varie ragioni risale verso la superficie troppo rapidamente, senza rispettare l’indispensabile gradualità, si può avere la rapida liberazione nel sangue e nei tessuti di bolle di azoto con conseguente embolismo diffuso (malattia dei cassoni o embolismo gassoso). Oltre a tutte le misure rianimatorie del caso, si rende anche necessario attuare l’immediato trattamento del paziente in apposite strutture chiamate camere iperbariche o di decompressione che riportano il paziente alle pressioni ambientali in cui si trovava prima della risalita (ricompressione). Così facendo si può ridurre il volume delle bolle gassose ed eliminare i sintomi accusati dal paziente, procedendo successivamente alla progressiva e graduale d. secondo le opportune modalità.

Back to top
DECONTAMINAZIONE

Eliminazione o riduzione della contaminazione, di solito quella radioattiva, mediante pulizia delle superfici degli oggetti o dei locali contaminati, oppure mediante la separazione chimica delle sostanze radioattive che contaminano un prodotto.

Back to top
DECORTICAZIONE

Intervento chirurgico che si attua quando un viscere rivestito da una membrana sierosa abbia contratto con essa aderenze patologiche che ne limitino la normale attività.Ciò avviene a carico del cuore o del polmone, soprattutto quale esito di infiammazioni più o meno gravi che abbiano determinato una raccolta di liquido reattivo entro la cavità sierosa (per es. pericarditi, empiemi pleurici, tubercolosi polmonare).L’intervento ha lo scopo di scollare le aderenze e asportare le parti di sierosa ispessite e rigide, allo scopo di ripristinare le possibilità di espansione e di movimento del viscere interessato.

Back to top
DECUBITO

Atteggiamento del corpo che giace su un piano orizzontale. Nell’individuo sano varia secondo l’età (il bambino assume di solito un atteggiamento ventrale, l’adulto dorsale) e le abitudini: in tal caso non è significativo e si dice indifferente.Si distingue anche un d. preferito e un d. obbligato: quest’ultimo è sempre legato a condizioni patologiche e imposto dalle evenienze della malattia.Malattie respiratorie con fame d’aria obbligano a un d. ortopnoico, ossia seduto o semiseduto la pleurite a un d. laterale la meningite a un d. (o meglio posizione) a cane di fucile, con le ginocchia ripiegate verso il mento può essere prono nel caso di coliche addominali o di violenti dolori da ulcere gastriche o duodenali in cui il paziente comprimendo l’addome cerca di lenire il dolore. Infine si ha un d. passivo nei pazienti in stato soporoso o comatoso che giacciono in totale abbandono fisico e psichico.

Back to top
DECUSSAZIONE

Termine impiegato in anatomia per indicare il passaggio di fibre o di interi fasci nervosi da una metà all’altra del sistema nervoso centrale (per es. dei fasci nervosi piramidali a livello del bulbo, di parte delle fibre ottiche a livello del chiasma ecc.). Tale condizione anatomica rende ragione di come processi patologici localizzati in una parte dell’encefalo possano determinare disturbi nella metà opposta del corpo.

Back to top
DEFECAZIONE

(O evacuazione), atto con cui il contenuto intestinale (feci) viene espulso attraverso l’orifizio anale. Lo stimolo alla d. è dato dalla distensione del retto, esercitata dalle feci, che provoca in via riflessa la contrazione della sua muscolatura. La d., pur essendo un atto riflesso, può essere inibita dalla volontà attraverso la contrazione del muscolo sfintere esterno, o facilitata dal rilasciamento dello stesso muscolo. Quando il retto viene disteso, lo sfintere interno si rilascia essendo un muscolo involontario. Anche la distensione dello stomaco causata dal cibo provoca contrazioni del retto (riflesso gastrocolico) e bisogno di defecare. Per tale ragione di solito i bambini defecano subito dopo i pasti. Nell’adulto, l’abitudine e vari fattori individuali concorrono a determinare il momento della d., che spesso risulta condizionata da particolari situazioni ambientali.

La frequenza della d. è variabile: in condizioni normali vi sono individui che defecano una sola volta al giorno, altri due o tre volte, altri ancora ogni due o tre giorni, senza che questo fatto rappresenti una malattia. La d. frequente con emissione di feci semiformate o liquide viene definita diarrea e in genere costituisce un sintomo di molte malattie del tubo digerente, ma può manifestarsi anche in condizioni patologiche interessanti l’organismo in generale, o come espressione di disturbi puramente psicologici. Quando la frequenza delle defecazioni è ridotta e soprattutto la d. avviene con difficoltà, si parla di stipsi o stitichezza o costipazione. Anche questa condizione può essere la manifestazione di diversi processi patologici intestinali, o di disturbi generali dell’organismo più spesso tuttavia essa costituisce un disturbo funzionale della motilità intestinale a volte si instaura in conseguenza dell’abitudine a rimandare la d. quando se ne avverta lo stimolo in questi casi si parla di dischezia. La stipsi può costituire anche un meccanismo riflesso di difesa in tutti i casi in cui, a causa di processi patologici interessanti l’ultimo tratto dell’intestino retto (per es. emorroidi, ragadi, fistole anali ecc.), l’atto della d. diventi doloroso.

Back to top
DEFERENTE, dotto

Tratto delle vie genitali maschili che fa seguito all’epididimo e serve al passaggio dello sperma. Dalla sua origine, presso la coda dell’epididimo, si dirige verso l’alto partecipando alla costituzione del funicolo spermatico insieme con i vasi e i nervi del testicolo percorre poi il canale inguinale ed entra nella cavità addominale: qui esso descrive una curva a concavità mediale, costeggia la faccia laterale della vescica urinaria e ne raggiunge la faccia posteriore termina in corrispondenza della faccia posteriore della prostata ove, unitosi con l’apice della vescicola seminale, prende il nome di dotto eiaculatore.

Il dotto d. ha una lunghezza totale di 40 cm ca. e un diametro di 1-2 mm, che nella porzione terminale, detta ampolla del deferente, presenta delle dilatazioni. La sua parete è costituita da uno spesso strato di tessuto muscolare liscio, rivestito esternamente da connettivo e internamente da mucosa con epitelio cilindrico provvisto di ghiandole. Il dotto d. può essere interessato da processi patologici quali anomalie malformative, processi infiammatori (deferentiti), calcolosi, tumori, ai quali può conseguire l’obliterazione del lume del dotto stesso che se bilaterale comporta la sterilità.

Back to top
DEFERENTITE

Processo infiammatorio che interessa il dotto deferente.Può essere acuto o cronico, e di solito si produce per diffusione di processi infiammatori insorti inizialmente nella parete posteriore dell’uretra o nell’epididimo.La patologia infettiva più frequentemente interessata è il gonococco, ma anche lo stafilococco e il colibacillo (forme suppurative acute), ed il bacillo tubercolare (forme croniche). La d. è per lo più secondaria a una preesistente infezione dell’uretra posteriore e porta spesso al coinvolgimento dell’epididimo. Come conseguenza di una d. si possono stabilire occlusioni cicatriziali del condotto, così che risulta impedito il passaggio degli spermatozoi: se l’affezione è bilaterale si può avere quindi la sterilità.Talora l’asportazione chirurgica di un adenoma prostatico può predisporre alla d.

Sintomi
La sintomatologia è dominata, particolarmente nelle forme acute, dal dolore e dalla febbre nelle forme croniche i sintomi sono invece molto più attenuati.Nell’infezione da piogeni il dotto deferente risulta ingrossato e indurito per l’edema con un’essudazione purulenta nel suo lume.Nell’infezione tubercolare è ingrossato, indurito e a volte deformato dalla presenza di formazioni nodulari.

Terapia
Si basa sull’impiego di antibiotici, di antinfiammatori, di disinfettanti urinari.Sono indicate, a scopo preventivo, legatura e sezione del dotto deferente per impedire la diffusione all’epididimo di affezioni uretrali o vescicali.

Back to top
DEFERENZIALE, arteria

Tratto dell’arteria spermatica interna che, discendendo dall’aorta lungo il margine del muscolo psoas, penetra nel tragitto inguinale qui entra a far parte del funicolo spermatico accollata al dotto deferente dal quale prende il nome. Uscita dal tragitto inguinale penetra nello scroto, accompagnata agli elementi del funicolo spermatico, e si distribuisce al testicolo e all’epididimo.

Back to top
DEFERVESCENZA

Termine che indica la fase di regressione e di scomparsa di una febbre. Essa può avvenire più o meno lentamente (d. per lisi) oppure bruscamente (d. per crisi).

Back to top
DEFIBRILLATORE

Apparecchio con cui si effettua la defibrillazione (v.).Attualmente sono largamente usati i Defibrillatori Semiautomatici Esterni (DAE) e i defibrillatori elettrici particolarmente indicati nei gravi disturbi del ritmo quali il flutter ventricolare e la fibrillazione ventricolare.

Back to top
DEFIBRILLAZIONE

Terapia cardiologica di urgenza che viene praticata esclusivamente a pazienti privi di coscienza, respiro e polso (stato di arresto cardiorespiratorio), per interrompere gravi aritmie cardiache il cui protrarsi è incompatibile con la vita.I ritmi che più frequentemente causano arresto cardiocircolatorio sono:

  • la fibrillazione Ventricolare (FV : alterazione del ritmo cardiaco caratterizzata da caos elettrico con perdita di funzione di pompa del cuore e conseguente assenza clinica di polso)
  • la Tachicardia Ventricolare (TV: successione talmente rapida di impulsi elettrici da rendere le contrazioni cardiache inefficaci con conseguente assenza di circolo e polsi non apprezzabili spesso evolve in FV).

In entrambe le aritmie l’unico trattamento risolutivo “salvavita” è il ricorso alla d.: la probabilità di successo dell’uso di defibrillatori (manuali o semiautomatici) diminuisce rapidamente col passare del tempo ideale sarebbe riuscire ad intervenire entro 2-3 minuti dallo stabilirsi dell’aritmia. La d. consiste nell’erogazione di scariche di corrente elettrica continua attraverso elettrodi applicati alla superficie anteriore del torace collegati ad un apparecchio detto defibrillatore: i picchi di corrente attraversano, in un breve intervallo di tempo (4/20 di msec), una porzione sufficiente di massa miocardia (massa critica) rendendo il cuore refrattario all’onda di attivazione della aritmia ventricolare che viene pertanto interrotta. Allo stato di refrattarietà provocato dallo shock elettrico normalmente segue il ripristino del segnapassi naturale (nodo del seno) che ristabilisce il ritmo cardiaco e l’efficacia delle contrazioni cardiache.

Fattori che possono influenzare la soglia di d. e quindi l’efficacia dello shock elettrico sono: lo stato metabolico del miocardio, eventuali patologie cardiache, la temperatura corporea, la presenza in circolo di farmaci.Particolare attenzione va posta al paziente in ipotermia grave o bagnato.Attualmente sono largamente usati i Defibrillatori Semiautomatici Esterni (DAE) che incorporano un sistema di analisi del ritmo cardiaco in grado di indicare se la d. in presenza di quel particolare ritmo può essere efficace: in caso affermativo, il dispositivo carica i propri condensatori e, dopo conferma ed attivazione da parte dell’operatore, erogano lo shock elettrico.I DAE posseggono alta sensibilità e specificità per cui non vengono tratti in inganno dai movimenti del paziente (es. convulsioni o respirazione agonica..) il loro uso va riservato a bambini adulti (> 8 anni) o di peso superiore a 25 Kg.

Back to top
DEFIBRINAZIONE

Tecnica utilizzata quando, per motivi particolari di studio, si voglia avere a disposizione sangue privo di fibrina, reso pertanto incoagulabile. La stessa tecnica serve anche allorché si voglia raccogliere dal sangue la fibrina per studiarne la quantità e le caratteristiche, o per utilizzarla come substrato di reazioni enzimatiche (per es. reazioni di proteolisi). La tecnica è assai semplice e si ottiene agitando delicatamente il sangue appena prelevato, entro un recipiente che contenga palline di vetro: su queste, a mano a mano che si forma, viene a depositarsi la fibrina, che può in tal modo essere allontanata.

Back to top
DEFICIENZA MENTALE

(O frenastenia o oligofrenia), termine che indica uno stato anormale caratterizzato da un difetto permanente dell’intelligenza dovuto a cause ereditarie, congenite, prenatali e postnatali.L’anormalità psichica di un ascendente può essere la causa remota di una insufficienza mentale ereditaria se poi i genitori sono consanguinei, le tare ereditarie si sommano o si accentuano. Per fattori congeniti si intendono invece le conseguenze di una gravidanza anormale, quale si verifica, per esempio, negli stati di alcolismo, di intossicazione, o per effetto di trattamento con radio.Aggiungiamo a queste cause congenite le lesioni arrecate accidentalmente al cervello durante il parto. Tra le cause postnatali vi sono le malattie del sistema nervoso centrale, come l’encefalite e i traumi che possono colpire il cervello anche i traumi psichici prodotti da un ambiente sfavorevole o la mancanza di cure genitoriali sono causa di molti ritardi nello sviluppo. La classificazione della d. mentale è piuttosto labile perché valutabile solo in base ai risultati di test applicati per misurare il quoziente di intelligenza (Q.I.).

Più modernamente oggi si parla di ritardo mentale: è un disturbo eterogeneo caratterizzato da una funzionalità intellettiva inferiore alla norma e da compromissione delle capacità adattative, definito dalla classificazione internazionale dei disturbi psichici DSM-IV come funzionamento intellettuale generale significativamente al di sotto della media: la funzione intellettiva generale è misurata da test standard di intelligenza (Wechsler Adult Intelligence Scale o Wechsler Intelligence Scale for Children–Revised) all’interno dei quali si intende per sotto la media un quoziente intellettivo (QI) di circa 70 o meno. Il DSM-IV presenta diversi tipi di ritardo mentale, classificati a seconda del grado di compromissione intellettiva:- ritardo mentale lieve (storicamente denominato anche subnormalità): livello di QI da 50-55 a circa 70 - ritardo mentale moderato (noto anche come debolezza mentale o debilità): livello di QI da 35-40 a 50-55 - ritardo mentale grave (storicamente denominato imbecillità): livello di QI da 20-25 a 35-40 - ritardo mentale gravissimo (storicamente noto come idiozia): livello di QI al di sotto di 20 o 25 - ritardo mentale con gravità non specificata: quando vi sia un forte motivo di sospettare un ritardo mentale, ma l’intelligenza del soggetto non possa essere valutata con i test standardizzati, ad esempio nei bambini molto piccoli.

Back to top
DEFLORAZIONE

Rottura dell’imene generalmente in occasione del primo rapporto sessuale completo è accompagnata da sensazione di dolore e da modesta emorragia. In seguito l’imene cicatrizza e non ne rimangono che piccole escrescenze (caruncole mirtiformi) separate da incisure. La constatazione della d. ha rilevanza medico legale in casi di violenza carnale, di avvenuta o non avvenuta consumazione del matrimonio ecc. A tal fine deve esser tenuto presente che l’imene in un notevole numero di casi (imene compiacente) rimane integro anche dopo ripetuti coiti.

Back to top
DEFORMITA'

(O deformazione), alterazione permanente della forma del corpo o di una sua parte. Tale condizione può essere la conseguenza di processi patologici diversi, particolarmente di quelli che interessano l’apparato locomotore: tali per esempio traumi, rachitismo, osteomalacia, malattie osteoarticolari di natura infiammatoria o degenerativa. Anche disturbi funzionali quali ipotonie o paralisi di gruppi muscolari, o atteggiamenti viziati, soprattutto se agiscono durante l’epoca di accrescimento e sviluppo dell’organismo, possono condizionare modificazioni permanenti nella forma dello scheletro.

Un numero notevole di d. sono congenite, cioè presenti già al momento della nascita: queste forme sono più correttamente definite malformazioni e possono essere la conseguenza di malattie sofferte durante la vita intrauterina dal feto, che abbiano compromesso il regolare sviluppo di parti del suo organismo, oppure possono esprimere vere e proprie anomalie del patrimonio genetico, trasmissibili quindi come caratteri ereditari.

Back to top
DEGENERATIVA, reazione

In fisiologia sperimentale, scomparsa o diminuzione dell’eccitabilità faradica di un muscolo, con aumento dell’eccitabilità galvanica.Aggettivo che definisce una patologia a decorso più e meno rapido caratterizzata dalla progressiva alterazione delle funzioni dell’organo colpito fino alla totale perdita di funzione dell’organo stesso (miopia degenerativa, artropatia degenerativa).

Back to top
DEGENERATIVI, caratteri

Tratti somatici che nell’antropologia criminale di C. Lombroso venivano interpretati come una regressione evolutiva, un ritorno a uno stadio ancestrale essi sono: la microcefalia, la fronte bassa e sfuggente, l’abbondanza di capelli, il cosiddetto lobulo darwiniano dell’orecchio. Questi caratteri erano considerati indici di profonde alterazioni della personalità, in rapporto con le tendenze criminali.

Back to top
DEGENERATIVO

Termine spesso usato in patologia per caratterizzare o definire quei processi che si manifestano con fenomeni regressivi, o di sofferenza delle cellule dei tessuti, determinando una diminuita efficienza dei tessuti ed organi colpiti (vedi DEGENERAZIONE).Alcuni esempi di patologie degenerative: amiloidosi, statosi epatica, amiotrofia spinale, morbo di Parkinson, malattie degenerative retiniche.

Back to top
DEGENERAZIONE

Termine impiegato in patologia per indicare le modificazioni della struttura cellulare, evidenziabili al microscopio, che sono l’espressione di uno stato di sofferenza della cellula stessa, legato al turbamento del suo equilibrio metabolico. Tale condizione è però ancora reversibile, cioè capace di regredire completamente quando vengono meno le cause responsabili. I limiti tra d. e morte cellulare tuttavia sono mal definiti: gli stessi fattori capaci di provocare alterazioni degenerative cellulari reversibili possono infatti creare un danno irreversibile e determinare la morte della cellula quando agiscono in modo intenso o a lungo.

La d. cellulare si manifesta, all’osservazione al microscopio, con la comparsa nel citoplasma della cellula, o nell’interstizio, di quantità abnormi di determinate sostanze (acqua, sostanze lipidiche, calcio, glicogeno, sostanze proteiche) che fanno parte dei normali costituenti cellulari, ma che normalmente non sono evidenziabili come deposito.Possono essere in gioco fattori di varia natura: infezioni, intossicazioni, disturbi di circolo, ridotta ossigenazione del sangue ecc. A seconda della sostanza che si accumula nel citoplasma si distinguono diverse forme: d. vacuolare, grassa (o steatosi), ialina, mucoide, idropica, ecc.A seconda della sede si distinguono in degenerazioni cellulari (d. vacuolare, steatosi), extracellulari o interstiziali (d. ialina, amiloide e fibrinoide). In realtà molte di queste modificazioni non esprimono una condizione di sofferenza cellulare, ma piuttosto una reazione vitale della cellula stessa, una modificazione adattativa di fronte a mutate condizioni dell’ambiente che la circonda. Per questo si preferisce, al termine d., quello di metamorfosi (vacuolare, adiposa, idropica, ecc.), che risulta solo descrittivo e non impegnativo quanto a significato patologico.

Back to top
DEGLUTIZIONE

Atto con cui il cibo masticato nella bocca (bolo alimentare), oppure il sorso liquido viene spinto dalla bocca nella faringe e successivamente nell’esofago fino allo stomaco. La d. è un processo piuttosto complicato, per la cui normale esecuzione è necessaria una perfetta integrità del sistema nervoso. Il cibo, infatti, per passare dalla bocca all’esofago, deve attraversare la faringe sulla quale convergono più vie, rappresentate dalle cavità nasali, laringea, esofagea e da quella orale. La faringe costituisce il centro d’incrocio di due importanti linee di passaggio: la prima trasporta l’aria e decorre dalla parte più interna delle cavità nasali alla laringe e di qui ai polmoni l’altra, attraverso cui passa il cibo, corre dalla cavità orale all’esofago. È evidente che, durante la d. non solo il respiro sarà trattenuto per breve tempo, ma dovranno essere prese tutte le precauzioni affinché il cibo non trovi la via sbagliata, non passi cioè nella laringe, o, come si dice più comunemente, “vada di traverso”.

Il primo tempo della d., durante il quale il cibo passa dal dorso della lingua all’istmo delle fauci, viene controllato dalla volontà i tempi successivi, durante i quali il cibo attraversa la faringe, avvengono automaticamente. Il bolo, pertanto, viene sospinto all’indietro dall’azione della lingua, coadiuvata dalle guance. Il palato molle, alzandosi, chiude l’orifizio che fa comunicare le cavità nasali con la faringe, impedendo in questo modo, che l’aria possa entrare e trascinare erroneamente il cibo verso la laringe. Quest’ultima, poi, viene tempestivamente chiusa dal contemporaneo abbassamento dell’epiglottide e innalzamento della laringe, cosicché al bolo non resta che scegliere l’unica via aperta, quella dell’esofago. Una volta venuto a contatto con le pareti muscolari del canale esofageo, il bolo provoca un’onda peristaltica di contrazione, che scorre lungo tutto il tubo portando avanti il cibo fino alla valvola che chiude l’apertura superiore dello stomaco, chiamata cardias. Questo sfintere, normalmente contratto per impedire che il cibo rifluisca dallo stomaco, a questo punto si rilascia, permettendo al bolo di entrare nello stomaco. Inizia così la digestione gastrica.

Back to top
DEIESCENZA

In fisiologia, processo di rottura dei follicoli ovarici.- Riapertura spontanea di un taglio chirurgico o di una ferita dopo che i margini della stessa avevano aderito.

Back to top
DEITERS, nucleo di

(Prende il nome da Otto Friedrich Karl Deiters, patologo tedesco - Bonn 1834-1863), nucleo di cellule nervose situato sotto l’angolo laterale del IV ventricolo, nel midollo allungato, e al quale giungono in parte le fibre del nervo vestibolare (ramo del nervo acustico) e dal quale originano fibre dirette ai motoneuroni del midollo spinale.

Back to top
DÉJÀ VU

Particolare disturbo della coscienza e del senso della realtà caratterizzato dall’impressione di riconoscere un luogo che invece si vede per la prima volta o di rivivere un avvenimento o una situazione nuova come già vissuta nel passato. Il fenomeno è noto anche come crisi del giro uncinato, in quanto fu da J.H. Jackson (che lo descrisse in pazienti affetti da tumore del lobo temporale del cervello) attribuito a sofferenza dell’uncus, una parte dell’ippocampo. Nelle forme di epilessia temporale il fenomeno del d. vu può essere inquadrato tra le aure premonitrici della crisi convulsiva o come equivalente della crisi stessa, in quanto può presentarsi come manifestazione isolata non seguita dalla crisi convulsiva.

Back to top
DÉJÉRINE

Sindrome di (prende il nome da Jules Déjérine, neurologo francese - Plainpalais, Ginevra 1849 - Parigi 1917), denominazione con cui vengono indicate le polinevriti secondarie a infezione difterica e le sindromi caratterizzate da emiplegia e paralisi controlaterale del nervo ipoglosso.

Back to top
DEL SETTO

(O settoplastica), consiste nel riposizionamento del setto cartilagineo e osseo ed eventualmente, nella parziale asportazione delle parti in posizione anomala. Frequentemente la respirazione difficoltosa  dovuta anche alla ipertrofia delle mucose endonasali (turbinati), in questo caso si effettua, anche in combinazione con la settoplastica, la turbinectomia (asportazione chirurgica, elettrocoagulazione, laser).

Back to top
DELIQUIO

Temporanea perdita della coscienza, con caduta della pressione arteriosa, polso piccolo e frequente, sudorazione, pallore in qualche caso perdita di feci e urine per rilassamento degli sfinteri. È dovuto a temporanea insufficienza della circolazione cerebrale, e può conseguire a cause assai diverse: disturbi di circolo (legati ad arteriosclerosi, ipotensione, labilità vasomotoria), o anemia, emozioni violente e improvvise, affaticamento, talvolta anche lunga permanenza in piedi. Alcuni sintomi premonitori precedono a volte il d.: nausea, sudorazione, polso frequente, diminuzione della pressione arteriosa massima con aumento della minima.

Back to top
DELIRIO ACUTO

D. che insorge bruscamente è caratteristico delle psicosi deliranti acute, di reazioni paranoidi improvvise, ma può spesso essere originato da cause infettive o tossinfettive. In quest’ultimo caso si accompagna a febbre alta e agitazione e si risolve con il risolversi dello stato febbrile. Se la tossinfezione è grave e sono presenti iperazotemia e disidratazione si può avere anche l’esito di morte. Le psicosi deliranti acute vengono generalmente dominate dai moderni psicofarmaci e derivati.

Back to top
DELIRIO ALLUCINATORIO CRONICO

(O psicosi allucinatoria cronica), d. caratterizzato da un’insorgenza spesso acuta, con la tendenza però a svilupparsi e a sistematizzarsi. È stato studiato soprattutto da autori francesi come H. Hey, il quale ne indica la triade sintomatologica che lo individua: automatismo ideoverbale, automatismo sensoriale e sensitivo, automatismo psicomotorio. 

Il più importante dei sintomi è il primo. Il paziente sente voci, sovente minacciose, che lo assillano, lo perseguitano. A volte ha l’impressione che l’altrui pensiero s’intrufoli nel proprio e lo diriga, lo comandi in una sorta di telepatia che si realizza come imposizione di idee. Le più comuni allucinazioni sono quelle uditive, ma possono essere presenti anche allucinazioni visive, gustative, olfattive che si inquadrano nell’automatismo sensoriale e sensitivo. In genere il d. allucinatorio cronico ha un decorso evolutivo, che si accompagna però a una conservata lucidità delle capacità intellettuali da parte del paziente.

Back to top
DELIRIO

Disturbo del pensiero caratterizzato dalla presenza di idee deliranti, cioè di convinzioni intime del soggetto, non corrispondenti alla realtà, ma che esprimono la modificazione della sua esperienza, cioè dei suoi rapporti con il mondo. Il d. può essere semplice o sistematizzato, quando più idee deliranti si organizzano seguendo un’apparente logica interna. Il d. inoltre può essere confuso, se la coscienza è obnubilata, o lucido quando invece la coscienza è vigile. Se è ricco di illusioni o di allucinazioni è detto psicosensoriale.È detto interpretativo se invece le esperienze percepite sono erroneamente interpretate intuitivo, infine, se per una sorta di improvvisa illuminazione interiore il soggetto raggiunge l’assoluta intima certezza della realtà di un determinato fatto. I deliri hanno contenuto assai vario. Possono essere distinti in d. di persecuzione, d. depressivo, d. di grandezza, d. ipocondriaco, d. di gelosia e d. mistico. Il d. di persecuzione è il più frequente chi ne è affetto si crede erroneamente perseguitato da persone o da gruppi di persone con ogni mezzo materiale (veleni, assalti) o morale (diffamazione, calunnia ecc.) il d. di rivendicazione è una varietà del d. di persecuzione. Il soggetto si crede vittima di soprusi o di ingiustizie sofferte e cerca di ottenere giustizia (suppliche, querele, diffide ecc.) nel d. di influenzamento, invece, il malato è portato a ritenere che il suo agire, la sua volontà, il suo stesso pensiero siano forzati da influenze esterne di varia natura (onde elettriche, magnetiche ecc.).

- I deliri depressivi comprendono il d. di colpa, in cui il soggetto si accusa di avere commesso reati gravissimi contro la religione, contro la morale ecc. e si augura di essere punito, o cerca la punizione per le sue presunte colpe.Nel d. di negazione o d. nichilista (che ne è una varietà) la realtà addirittura è dissolta non esiste più nulla, non esistono i sentimenti, il corpo, non esistono le persone e il mondo esterno.

- Il d. di grandezza comprende il d. ambizioso (convinzione di essere il più forte, il più intelligente, il più bello ecc.), il d. erotico (assoluta certezza di essere amato da una persona in genere altolocata), il d. di potenza (convinzione di essere un personaggio importante, ministro, sovrano ecc.) o addirittura, nel d. di enormità, di essere al di sopra di tutti, di essere d’oro, immortale.

- Nel d. genealogico il malato è un discendente di un’illustre casata nobiliare, nel d. di riforma è inviato da Dio per modificare la società o la religione. Nel d. inventivo è autore di importanti invenzioni che molto spesso sono del tutto peregrine. Nel d. di trasformazione l’ambiente esterno, le cose e le persone sono modificate, o addirittura il mondo, l’universo stanno cambiando, verrà Dio in terra, la verità sarà interamente svelata.

- Nel d. ipocondriaco il soggetto ha la convinzione di essere seriamente ammalato (di avere un tumore, una malattia di cuore ecc.) o ha la convinzione di avere il cervello di sasso, i vermi nell’intestino ecc.- Nel d. di gelosia il soggetto ha la convinzione di essere tradito tutto il comportamento del paziente è allora assorbito da tentativi di provare le colpe della persona amata.

- Nel d. mistico il soggetto ha la certezza di vivere direttamente l’esperienza di una comunione divina.Numerosi sono stati i tentativi di spiegare il d. Gli psicanalisti lo interpretano tenendone in considerazione il contenuto.La terapia dei deliri è quella della malattia nella quale compaiono.

Back to top
DELIRIUM CORDIS

Locuzione latina usata per indicare un disturbo del ritmo cardiaco che si manifesta nel corso della fibrillazione atriale in questa aritmia il polso è completamente irregolare e costituito da pulsazioni di ampiezza non uniforme, che si susseguono in modo del tutto disordinato senza mai assumere una sequenza costante.

Back to top
DELIRIUM TREMENS

Locuzione latina usata per indicare un grave quadro morboso che insorge in modo acuto ed è caratterizzato da forte agitazione, disturbi della coscienza, allucinazioni e delirio.Esso compare nei soggetti affetti da alcolismo cronico e può essere scatenato da una ingestione abbondante di alcol o da malattie infettive, traumi, interventi chirurgici.Le allucinazioni sono soprattutto visive e sono riferite generalmente come assai terrifiche. Spesso il paziente si agita dicendo di vedere insetti che camminano sul suo corpo o sui muri. Il delirio può essere a contenuto vario, ma più generalmente è un delirio di gelosia. Il trattamento del d. tremens si basa essenzialmente sulla somministrazione di vitamine del gruppo B, di glucosio, insulina, estratti corticosurrenali.

Back to top
DELTOIDE, muscolo

Muscolo voluminoso e superficiale della spalla a cui dà la forma rotondeggiante. Il muscolo d. ricopre l’articolazione scapolo-omerale inserendosi sulla scapola e sulla clavicola da una parte, e sull’omero dall’altra.È innervato dal nervo ascellare e con la sua azione abduce ed eleva il braccio fino alla linea orizzontale.

Back to top
DELUSIONE

Termine proposto da alcuni autori peruviani per indicare i disturbi nella capacità di giudizio distinguendo così la d. dal delirio, che rimarrebbe limitato alle difficoltà e complicazioni della coscienza. La d. può determinare nell’individuo mutamenti conoscitivi di tipo creativo. Dà luogo molto più spesso a sconvolgimenti dell’equilibrio psichico, a comportamento disadattato e a severo deterioramento della personalità.Le cause sono rintracciabili nell’ambiente fisico, nelle limitazioni biologiche, nella complessità della struttura psicologica e nell’ambiente sociale. L’individuo può reagire in molti modi: fuga dalla situazione frustrante, rimozione del bisogno, regressione, aggressività, formazione reattiva con un comportamento esattamente opposto a quello a cui il bisogno avrebbe potuto condurre, razionalizzazione, proiezione della colpa, autismo, identificazione per la quale l’individuo viene a incorporare tratti che sono propri di un’altra persona.

Back to top
DEMENZA

Indebolimento delle funzioni mentali, dopo che queste hanno raggiunto il loro completo sviluppo. Il termine d. è pertanto impiegato per indicare il deficit dell’intelligenza acquisito dopo che questa ha già completato il suo sviluppo, cioè lo stato risultante da una diminuzione dell’intelligenza che si stabilisce nell’età adulta. Si tratta di un individuo che dopo aver raggiunto il livello massimo del suo sviluppo mentale presenta, in una certa fase della vita, una perdita, più o meno cospicua, di intelligenza. La diminuita prestazione riguarda un po’ tutte le funzioni mentali: particolarmente compromesse risultano la memoria, l’attenzione, la capacità critica e la capacità di giudizio.La d. si differenzia dalla regressione mentale infanto-giovanile in quanto in quest’ultimo caso il decadimento si manifesta prima che lo sviluppo mentale abbia raggiunto la sua pienezza.La d. è dovuta a lesioni diffuse del tessuto cerebrale, generalmente a carattere progressivo, È pertanto sempre dovuta ad alterazioni organiche del cervello. ovvero lesioni della sostanza cerebrale dimostrabili sul piano morfologico, provocate da diverse cause. Tra le principali vanno menzionate: i processi degenerativi atrofici che colpiscono il cervello (d. tipo Alzheimer) i disturbi della circolazione cerebrale (d. multinfartuale) alcune malattie infettive, come la sifilide (paralisi progressiva) i traumi cranici certe intossicazioni (per esempio l’alcolismo cronico). Quando il peggioramento delle capacità intellettive non è legato ad alterazioni organiche bensì a depressione del tono dell’umore l’impoverimento intellettivo si ha per mancanza di motivazione e si parla di pseudodemenza.

Cause
Le cause più diffuse di d. sono comunque rappresentate dalla d. tipo Alzheimer e dalla d. multinfartuale. La sindrome demenziale tipo Alzheimer raggruppa quei casi che un tempo erano suddivisi tra la d. senile e la d. presenile di Alzheimer. Dal punto di vista epidemiologico nella sindrome tipo Alzheimer distinguiamo dei casi sporadici dai casi caratterizzati da familiarità. La d. infartuale costituisce, sotto certi aspetti, un concetto rivoluzionario nei confronti di vecchie convinzioni. Prima di tutto l’incidenza di forme multinfartuali è minore rispetto alle forme tipo Alzheimer, e ciò non ci autorizza più a ricorrere alla vecchia terminologia di vasculopatia cerebrale ogni volta che un vecchietto comincia a dare segni di d. Non basta la presenza di un processo ateromatoso a livello delle arterie di grosso calibro e di un processo arteriosclerotico a livello di quelle di medio o piccolo calibro, affinché possa comparire una d. su base vascolare. Essa infatti s’instaura solo se si verificano più infarti a livello della corteccia cerebrale a seguito di occlusione delle arteriole perforanti che vascolarizzano la sostanza cerebrale profonda.Un sintomo utile per procedere alla diagnosi differenziale tra d. multinfartuale e d. di Alzheimer è la comparsa di segni neurologici sintomatici di lesioni locali. Con il termine di d. non si vogliono designare tutti gli stati di decadimento psichico che compaiono nella vecchiaia, ma soltanto quelli dovuti a un particolare processo morboso degenerativo che, colpendo primitivamente il cervello nella senilità, conduce a un’atrofia cerebrale diffusa.

Sintomi
Possono variare in rapporto alla causa, alla sede delle lesioni cerebrali, all’età di insorgenza ecc. è comunque possibile una descrizione generale e schematica dei disturbi più caratteristici della d. Tra i segni più precoci vanno notati l’indebolimento della memoria e dell’attenzione. Il difetto della memoria riguarda dapprima i soli avvenimenti recenti, mentre gli antichi vengono rievocati con esattezza. Successivamente il disturbo si estende agli avvenimenti meno recenti, finché anche i ricordi più remoti possono andare perduti. Spesso il demente riempie le lacune della memoria con dei falsi ricordi creati dalla sua fantasia (confabulazioni). L’incapacità di risolvere nuovi problemi si rivela pure precocemente: posto di fronte a una situazione non abituale, anche se semplice, il demente, che di solito non ha coscienza del proprio decadimento, commette grossolani errori.
Ne deriva una grave compromissione dell’efficienza lavorativa, soprattutto quando l’attività del soggetto si svolge al di fuori di un cerchio di regole rigidamente mantenute. La capacità di giudizio e di critica si deteriora rapidamente, così come il controllo etico della propria condotta: non raramente il demente commette atti contro la morale sessuale (esibizionismo, violenza carnale ecc.). Il pensiero è lento, frammentario e privo di una chiara direttiva: incapace di cogliere l’essenziale, il demente si sofferma su particolari del tutto insignificanti e vi insiste, perdendo a più riprese il filo del discorso. Frequentemente è compromesso anche l’orientamento nello spazio: il demente non trova la strada di casa e s’aggira senza meta e può avere persino difficoltà a orientarsi nell’ambito della propria casa. Per quanto riguarda l’affettività, è frequente una certa labilità emotiva: crisi di depressione possono alternarsi a crisi di eccitamento talvolta, invece, specie nelle fasi terminali, vi è uno stato di completa apatia. Tutti i disturbi suddetti tendono a peggiorare progressivamente e si giunge infine al più completo sfacelo mentale: nulla più nel comportamento del demente reca l’impronta dell’intelligenza è praticamente impossibile stabilire un contatto con lui: alle domande più elementari risponde in modo non appropriato o addirittura incomprensibile non ha la minima cura della propria persona non controlla più gli sfinteri e quindi perde le urine e le feci. L’aggravarsi del quadro è dovuto al fatto che le alterazioni cerebrali responsabili della d. si fanno, col passare del tempo, sempre più marcate, soprattutto nelle due forme più frequenti di d., la SDAT (tipo Alzheimer) e la multinfartuale.

Diagnosi
La diagnosi oltre che sulla valutazione dei segni e dei sintomi clinici si basa sull’esecuzione di test, su esami radiologici e, come già accennato, sull’esecuzione dell’esame obiettivo neurologico. Nonostante il fiorire di nuovi test clinici per la valutazione della comparsa di un deterioramento mentale, la scala Wechsler-Bellevue con le sue undici prove (sei di tipo verbale e cinque di tipo pratico) può fornire utili indicazioni sulle condizioni di diverse funzioni intellettive (orientamento spazio-temporale, capacità di concentrazione, di memoria a breve termine, coordinazione visuo-motoria ecc.). La valutazione del deterioramento mentale si basa sul concetto che alcune prove del test sono poco influenzate dal fisiologico decadimento cerebrale. Per valutare l’efficienza intellettuale, si può utilizzare il test delle Matrici Progressive di Raven. Consiste in 60 items divisi in 5 serie di 12 prove ciascuna, ordinate in base alla difficoltà. Ciascuna prova è costituita da un disegno a cui manca un pezzo e questo deve essere scelto in una serie di altri pezzi riproducenti un disegno simile, ma di cui solo uno è quello giusto. Per la valutazione della memoria a breve termine, la percezione e la coordinazione visuo-motoria possono essere anche utilizzati il Test dei Gettoni e il Test di Ritenzione visiva di Benton. Per una valutazione molto veloce della presenza di un deficit cognitivo si può utilizzare la Mini Mental Scale. La SCAG (Sandoz Clinical Assessment Geriatric) basa il punteggio sui dati clinici e comportamentali, per valutare la presenza di una sindrome psicorganica. La scala Hachinskj basando il punteggio sulla natura dei sintomi, è un prezioso strumento nella diagnosi differenziale tra d. multinfartuale e SDAT. Gli esami radiologici consistono nell’esecuzione della tomografia assiale computerizzata e della risonanza magnetica nucleare per la valutazione dell’atrofia cerebrale a livello degli emisferi.

Terapia
La terapia può consistere in interventi specifici: interventi di disintossicazione e disassuefazione nel caso della d. alcolica l’uso della penicillina in cicli e a dosaggi massicci nella d. da neurosifilide. Per quanto concerne la d. multinfartuale è indispensabile curare le malattie dismetaboliche che solitamente precedono la d. multinfartuale (ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia). Nel caso vi sia un aumento dell’aggregabilità piastrinica è utile la prescrizione di farmaci antiaggreganti piastrinici (acido acetilsalicilico, dipiridamolo, indobufene, ticlopidina). Al di là dell’intervento farmacologico sono indispensabili anche alcune norme d’igiene mentale.

Sarebbe auspicabile che la persona affetta da d. rimanesse a casa propria, un cambiamento con la collocazione in un posto sconosciuto solitamente peggiora le cose. Qualora le condizioni psicopatologiche siano tali da non consentire più la permanenza a domicilio sarebbe buona regola lasciare di notte una piccola luce accesa vicino al letto in modo che, quando si sveglia, il paziente possa orientarsi un po’ per riuscire a capire dove si trova. Di giorno è meglio porre sul comodino vicino al letto un oggetto familiare in modo che l’anziano possa riconoscere facilmente il proprio posto.

Back to top
DEMENZA PARALITICA

Malattia di origine luetica caratterizzata da due ordini di sintomi: neurologici e psichici. I primi sono piuttosto uniformi e caratteristici, mentre i secondi si presentano diversi da caso a caso pur avendo un carattere in comune: la demenza.La paralisi progressiva insorge generalmente in soggetti adulti a molti anni di distanza (15-20) dall’infezione luetica. I sintomi somatici più costanti sono i disturbi della parola, i disturbi pupillari, i tremori più incostanti sono gli attacchi apoplettiformi ed epilettici. I disturbi psichici sono inizialmente alquanto vaghi: i pazienti lamentano insonnia, cefalea, incapacità di concentrarsi, diminuzione della memoria di fissazione più tipici sono i mutamenti del carattere, osservati dai familiari: i paralitici generalmente assumono atteggiamenti molto stravaganti, possono abbandonarsi a eccessi sessuali o alcolici, diventano prodighi, possono avere improvvise e violente reazioni di fronte a stimoli di modesta entità.

Sintomi
Col progredire della malattia si stabiliscono vari quadri che danno luogo alle forme cliniche descritte per questa malattia. Nella forma espansiva i pazienti manifestano idee deliranti assurde: affermano di avere ricchezze favolose, comprano automobili costosissime, fanno regali dispendiosi e coerentemente a tali idee conducono la loro esistenza. Nella forma depressiva dominano la depressione dell’umore e le idee deliranti di rovina e nocumento. Nella forma demenziale semplice il paziente appare solitamente “instupidito”, apatico, inerte, a volte anche sudicio.

Diagnosi
La diagnosi è facilitata dalla positività delle prove di laboratorio specifiche e da modificazioni caratteristiche del liquido cefalorachidiano.

Terapia
La terapia è quella praticata nell’infezione luetica (penicillina, bismuto, eventualmente piretoterapia).

Back to top
DEMENZA PRECOCE

vedi SCHIZOFRENIA

Back to top
DEMENZA PRESBIOFRENICA

(O demenza senile), forma di d. caratteristica dell’età senile, insorgente di solito dopo i 60 anni di età, dovuta ad atrofia diffusa o circoscritta del cervello e caratterizzata da sintomi neurologici e psichici. Il quadro clinico della d. senile viene spesso raffigurato come una esagerazione caricaturale del decadimento psichico del vecchio in realtà vi sono degli elementi francamente patologici. Sintomi più precoci e costanti sono la perdita della memoria e la diminuzione dell’attenzione. Il malato dimentica gli avvenimenti più recenti, nei casi gravi anche i ricordi della gioventù praticamente impossibili risultano nuove acquisizioni culturali, la critica è povera e l’ideazione frammentaria.

Frequentissima è anche la labilità emotiva, con improvvisi e facili cambiamenti di umore, mentre altre volte l’affettività è indebolita o spenta. Come conseguenze di tali alterazioni si hanno variazione del comportamento del demente, il quale commette errori grossolani, atti stravaganti, può perdere il senso del pudore e del decoro o può limitare la sua vita a un cerchio di abitudini rigidamente fisse. Sintomi neurologici sono i tremori delle mani e del capo e l’accentuazione dei riflessi profondi.Il decorso della malattia è progressivo e le cure possono essere indirizzate solamente a correggere alcuni sintomi: così in caso di eccitamento troverà indicazione la somministrazione di sedativi.

Back to top
DEMENZA PRESENILE

Quadro demenziale, che interessa individui tra i quaranta e i sessant’anni, del quale si ignorano le cause, legato ad alterazioni degenerative del tessuto nervoso che conducono ad atrofia cerebrale. Si distinguono due forme: la malattia di Alzheimer e la malattia di Pick.Malattia di AlzheimerÈ caratterizzata da un decorso abbastanza rapido, circa quattro o sei anni, e da un quadro di d. globale alla quale si associano disturbi delle funzioni simboliche (agrafia, alessia, afasia, agnosia) possono comparire anche crisi epilettiche.Malattia di PickÈ caratterizzata da disturbi del lobo frontale (fatuità, perdita di iniziativa, disturbi etici) e deficit delle funzioni simboliche, sebbene in misura minore che nella malattia di Alzheimer.

Back to top
DEMENZA SENILE

vedi DEMENZA PRESBIOFRENICA

Back to top
DEMENZA TRAUMATICA

Un decadimento psichico irreversibile di un certo rilievo rappresenta un esito piuttosto raro nei traumi cranici.

Cause
Lo si può avere dopo un unico trauma molto violento, ma anche in seguito a lievi e ripetuti traumi. La sua insorgenza è più frequente nei soggetti anziani e arteriosclerotici in essi, infatti, il tessuto cerebrale, a causa delle alterazioni delle pareti vasali, è spesso mal nutrito e quindi in condizioni di vitalità precarie: il trauma può allora aggravare una situazione già critica.

Sintomi
I sintomi più comuni sono rappresentati dall’indebolimento della memoria (il difetto riguarda i fatti recenti) e della capacità di concentrazione dalla mancanza di interessi e di iniziativa dalla diminuzione o dalla perdita delle capacità di critica, di giudizio e di controllo. Il tono dell’umore è spesso orientato nel senso dell’euforia con loquacità, tendenza allo scherzo e mancanza di tatto altre volte, invece, prevale il malumore con frequenti scoppi d’ira è anche possibile che a episodi di eccitamento euforico si alternino episodi di depressione melanconica, realizzandosi così un disturbo analogo a quello tipico della psicosi maniacodepressiva: in questi casi si deve pensare che il trauma abbia agito non come causa diretta della psicosi, ma soltanto come causa scatenante, nel senso che ha facilitato il manifestarsi di disturbi che, anche senza di esso, prima o poi sarebbero comparsi. I sintomi propri della d. traumatica (condizione di per se stessa cronica e stabile) possono essere di intensità assai variabile da caso a caso: nelle forme più lievi i soggetti possono ancora essere in grado di attendere alle loro abituali occupazioni quando però queste siano semplici, schematiche e tali da non comportare la risoluzione di nuovi problemi né l’impegno delle funzioni psichiche più elevate.La d. postraumatica è spesso riconducibile all’instaurarsi di un disturbo della circolazione liquorale che porta a una condizione chiamata idrocefalo normoteso.

Diagnosi
Il quadro alla TAC è quello di una dilatazione dei ventricoli cerebrali, con assenza di dilatazione dei solchi corticali della volta e presenza di segni di riassorbimento transependimale del liquor. La fisiopatologia vede un mancato riassorbimento del liquor prodotto dai plessi dei ventricoli laterali a livello degli spazi subaracnoidei della volta, con progressiva dilatazione del sistema ventricolare ma senza aumento di pressione intracranica. La clinica di queste forme è caratterizzata da una triade di deterioramento mentale, disturbi della deambulazione (a piccoli passi), e incontinenza sfinterica.

Terapia
La terapia è chirurgica, volta a scaricare il liquor attraverso opportune valvole di derivazione ventricoloatriali o ventricoloperitoneali.

Back to top
DEMETILCLORTETRACICLINA

Derivato della clortetraciclina privato del gruppo metilico in posizione 6. La clortetraciclina è il capostipite del gruppo di antibiotici denominati tetracicline, isolate nel 1948 dallo Streptomices Aureofaciens (tetracicline). Le tetracicline sono antibiotici a largo spettro, batteriostatiche per molti batteri Gram negativi, Gram positivi, alcuni anaerobi, alcuni intracellulari (rickettsie, chlamidiae, micoplasmi, amebe). Attualmente non si usano più la clortetraciclina ed i suoi derivati, ma le molecole più recenti, come Doxiciclina, Minociclina, caratterizzate da un maggiore assorbimento gastrointestinale ed una durata di azione più lunga.

Back to top
DEMIELINIZZAZIONE

Processo patologico che interessa le guaine mieliniche delle fibre nervose e che porta alla loro scomparsa e alla proliferazione reattiva di cellule della nevroglia. La d. è un processo che si osserva frequentemente nella patologia del sistema nervoso: in tutte le lesioni della sostanza bianca (infarti, emorragie, tumori), come fenomeno secondario ad alterazioni delle cellule nervose, e soprattutto delle cosiddette malattie demielinizzanti. La mielina avvolge a manicotto gli assoni. Si distingue la mielina in centrale e periferica. La mielina centrale è quella del Sistema Nervoso Centrale (SNC) ed è costituita dagli oligodendrociti che con i loro prolungamenti avvolgono decine di volte l’assone ogni oligodendrocita avvolge più assoni.

La mielina periferica è quella del Sistema Nervoso Periferico (SNP) ed è prodotta dalle cellule di Schwann. Parallelamente la d. può essere centrale o periferica ed essere alla base di malattie demielinizzanti del SNC o SNP.La più famosa fra le malattie demielinizzanti del SNC è la sclerosi Multipla (SM). Un tempo si affermava che in tale malattia viene alterata primitivamente, per processi infiammatori, la sola guaina mielinica, mentre gli assoni sono poco interessati o rimangono inizialmente integri. Si credeva che solamente dopo tanti anni di distruzione mielinica, incominciassero a soffrire anche gli assoni. Oggi si sa invece che c’è precocemente una degenerazione assonale che comporta la morte del neurone per propagazione della lesione, fino al corpo cellulare.Nel SNC i prolungamenti degli oligodendrociti avvolgono a manicotto gli assoni lasciando liberi solo i nodi di Ranvier e questo consente la conduzione saltatoria tra i nodi (il potenziale d’azione deve essere prodotto solo nei nodi), rendendo la conduzione più veloce. Se c’è un focolaio di d. si verifica diminuzione della velocità di conduzione se si associa anche un danno dell’assone si ha l’alterazione o il blocco della conduzione. All’inizio della SM la mielina, per i fenomeni infiammatori acuti, si rigonfia e si frammenta. In tale fase della malattia non c’è danno assonale (in realtà in base alle recenti ricerche, come detto, il danno assonale c’è ma è minimo). Nel tempo la mielina persa è sostituita da proliferazione astrogliale con deposizione di fibre e quindi cicatrizzazione che porta a stiramento e frammentazione degli assoni. Quando l’assone non è ancora leso la riparazione è possibile in quanto la mielina può rigenerare. All’inizio della malattia complessivamente, il numero di assoni degenerati non è alto, per cui ci sono momenti con deficit funzionali dovuti esclusivamente alla infiammazione della mielina.

Quando la infiammazione viene meno, il paziente recupera. Pian piano, però il danno assonale si accumula, fino a superare una certa soglia, il paziente non recupera più come prima, e la malattia assume un decorso detto progressivo.Altro esempio di malattia demielinizzante è la malattia di Schilder.Il processo di d. può manifestarsi con sintomi assai diversi in rapporto alla zona di sistema nervoso che ne risulta colpita, ma si tratta comunque di sintomi che sono legati alla perdita di funzione degli assoni privi della guaina mielinica.Anche nelle leucodistrofie vi sono alterazioni della mielina, queste però sono legate ad alterazioni enzimatiche congenite, che determinano alterazione della sintesi o del metabolismo della mielina e quindi un processo di mielinizzazione anomala alla base di una malattia che è definita dismielinizzante. Si distinguono pertanto le malattie della mielina centrale in:demielinizzanti con danneggiamento di una mielina conformata normalmente dismielinizzanti o leucodistrofie, con mielina malconformata per errori della sua sintesi o del metabolismo, dovute a fattori genetici.Per quanto concerne le malattie demielinizzanti del SNP un esempio è la Sindrome di Guillain-Barré e più precisamente la sua forma più tipica di malattia, la variante demielinizzante (esiste anche una variante assonale). È la più frequente poliradicolonevrite infiammatoria acuta. In essa il nervo periferico presenta un caratteristico slamellamento della guaina mielinica, soprattutto le lamelle più esterne non sono più accollate le une alle altre, ma sembra che vi sia un’esfoliazione.

Back to top
DEMOGRAFIA SANITARIA

Disciplina che studia con metodo statistico i fatti morbosi che si verificano nella collettività. Comprende più branche: la statistica patologica, la statistica medica, la statistica dell’organizzazione igienico-sanitaria.La statistica patologica, che riassume le condizioni di sanità di una popolazione, elabora dati relativi a: morbosità, mortalità, letalità (rapporto tra casi di malattia e numero di morti per la stessa malattia), nascite patologiche, stati patologici (difetti di sviluppo, minorazioni, anomalie ad andamento non evolutivo), minorazioni psichiche e alienazioni mentali, geografia nosologica. La statistica patologica ha come presupposto l’esistenza di una classificazione delle malattie, o nosografia, certa o almeno universalmente accettata. A tale scopo sono state elaborate, nonostante l’opposizione di ragioni religiose di peso non indifferente, successive nomenclature nosologiche, periodicamente aggiornate.A partire dalla prima, elaborata in occasione del I Congresso internazionale di statistica di Bruxelles del 1853, sono state pubblicate numerose nomenclature sia di malattie che di cause di morte, a cura di varie conferenze internazionali.La VI Conferenza sanitaria internazionale del 1946 e successivamente l’Organizzazione Mondiale della Sanità delle Nazioni Unite hanno elaborato l’attuale nomenclatura, in vigore dal 1948 (in Italia dal 1951). Comprende una classificazione analitica (800 voci ca.) delle malattie, dei traumi e delle cause di morte una classificazione intermedia di 150 voci che riguarda le malattie e le cause di morte una classificazione abbreviata di 50 voci relativa alle sole cause di morte. Comprende anche alcune classificazioni speciali.

In Italia è in uso anche una nomenclatura ridotta a cura dell’Istituto Centrale di Statistica. È da notare che mentre le statistiche delle cause di morte si appoggiano a un sistema di rilevazione sicuro, quelle relative alla morbosità si avvalgono di fonti eterogenee e meno certe.Le rilevazioni di questi ultimi dati provengono dalle denunce obbligatorie delle malattie infettive, da censimenti in collettività, dalle statistiche di ospedali, case di ricovero, carceri, servizi sanitari delle forze armate, enti di previdenza e assistenza.Ne consegue che mentre i dati su una malattia contagiosa o sui traumatismi professionali riguardano l’intera popolazione, quelli relativi, per esempio limitati a una malattia cardiaca, sono parziali.La statistica medica comprende lo studio con metodo statistico delle costituzioni, delle alterazioni biologiche, delle diagnosi, delle prognosi e delle terapie, oltre allo studio con metodi antropologici della genetica, delle personalità psichiche della criminalità.La statistica dell’organizzazione sanitaria, infine, riguarda le condizioni del personale sanitario, dell’assistenza, della prevenzione e della cura le condizioni ambientali, quelle del bestiame e dei prodotti alimentari, dell’organizzazione igienico-scolastica, della sanità mentale.I dati rilevati sul piano mondiale nei vari campi della d. sanitaria sono pubblicati annualmente dalla Organizzazione Mondiale della Sanità nelle “Annual Epidemiological and Vital Statistics” i dati italiani sono pubblicati dall’ISTAT nell’“Annuario di statistiche sanitarie”. Una delle conclusioni più vistose della d. sanitaria è il profondo mutamento avvenuto nell’ultimo secolo per quanto riguarda la morbosità, la mortalità e la letalità, e quindi, come risultante, anche valori come la vita media. Il progressivo declinare delle malattie infettive, la diminuzione della letalità e quella della mortalità infantile, l’incremento delle malattie cardiocircolatorie e dei tumori sono dati che hanno caratterizzato le statistiche sanitarie di questo secolo.

Back to top
DEMONOPATIA

Particolare forma di delirio nel corso del quale il soggetto ritiene di essere posseduto da una forza del male che lo diriga nel linguaggio e ne determini il comportamento.È contraddistinta da uno sdoppiamento della personalità e da turbe della cenestesi.Il malato che si sente insidiato da forze demoniache presenta in modo caratteristico una grande varietà di allucinazioni psicomotorie e visive.

Back to top
DENATURAZIONE

Processo chimico che modifica la struttura secondaria, terziaria o quaternaria delle proteine rompendone i ponti disolfuro, senza però modificare la composizione e la sequenza degli aminoacidi, cioè senza rompere i legami peptidici.Tale processo ha diverse conseguenze:

- perdita delle attività biologiche della proteina (ad esempio inattivazione degli enzimi)

- coagulazione e aggregazione

- incremento della sensibilità ad altri enzimi litici, come quelli digestivi.

Le cause della d. possono essere: calore, valori estremi di pH e agenti chimici denaturanti. Ad esempio, le proteine alimentari vengono denaturate dalla cottura, e rese pertanto meglio aggredibili dagli enzimi intestinali.Azione denaturante è svolta anche dalla secrezione acida dello stomaco.

Back to top
DENDRITE

Ciascuno dei prolungamenti che originano dal citoplasma delle cellule nervose e che, in numero variabile a seconda del tipo di cellula, si ramificano in modo più o meno complesso prendendo connessioni con altre cellule nervose. Il complesso dei dendriti costituisce la porzione recettrice della cellula, che riceve gli stimoli a essa diretti, provenienti da altre cellule nervose, o da recettori sensitivi o sensoriali.

Ogni cellula nervosa è poi dotata di un altro prolungamento, in genere unico e molto lungo, detto neurite, specializzato nella conduzione e trasmissione degli stimoli originati nella cellula e diretti ad altre cellule nervose o a organi effettori (muscoli, ghiandole ecc.). Da un punto di vista funzionale i dendriti rappresentano la maggior parte della superficie recettrice del neurone, ricevendo per mezzo di sinapsi impulsi nervosi dalle terminazioni di altri neuroni con cui sono correlati.

Nell’insieme, quindi, il sistema dei dendriti svolge un compito fondamentale nell’attività più caratteristica del neurone, quella di integrazione delle informazioni che vi giungono attraverso le terminazioni afferenti.

Back to top
DENERVAZIONE

Interruzione delle connessioni nervose. Normalmente un muscolo si contrae in risposta a uno stimolo trasmesso dal nervo. Se si taglia il nervo si ha l’atrofia del muscolo e la comparsa di uno stato di eccitabilità anormale che si manifesta con fini contrazioni irregolari di singole fibre (fibrillazione).

Back to top
DENGUE

Malattia infettiva acuta, diffusa soprattutto nei paesi tropicali e subtropicali (Asia sud-orientale, Indonesia, Pakistan), provocata da un virus appartenente al gruppo dei Togavirus, che viene trasmesso all’uomo dalla puntura di diverse specie di zanzare appartenenti al genere Aedes (soprattutto alla specie Aedes aegypti).

La malattia ha in genere carattere epidemico e si manifesta dopo alcuni giorni di incubazione con la comparsa di febbre elevata, dolori muscolari e articolari, cefalea, ed eruzione cutanea simile a quella del morbillo e della scarlattina. Nelle forme più gravi, soprattutto nei bambini, può anche verificarsi la comparsa di emorragie cutanee o intestinali, con shock. Il decorso della malattia è di solito benigno, con regressione dei sintomi in 7-8 giorni.

Terapia
Si basa sull’impiego di sedativi e antinevralgici. La profilassi richiede sia la lotta alle zanzare, sia l’isolamento dei soggetti malati, per evitare che essi vengano punti con conseguente possibile diffusione del virus.

Back to top
DENSITOMETRIA OSSEA

Tecnica diagnostica chiamata anche mineralometria ossea computerizzata (MOc) per l’accertamento del grado di mineralizzazione delle ossa nelle malattie caratterizzate da osteoporosi. Il metodo si basa sul calcolo della massa minerale media di un osso misurando la diversa intensità con cui vengono arrestati i fotoni emessi da un isotopo radioattivo (iodio o americio) la misurazione, effettuata tramite un computer, viene condotta a livello del terzo distale dell’avambraccio, del collo del femore e della colonna vertebrale e dà risultati più sicuri della semplice radiografia, che mostra alterazioni evidenti solo quando la perdita di minerali è notevole. Alla d. ossea viene anche associata la risonanza magnetica nucleare, che pure fornisce buone immagini.

La malattia osteopenica e osteoporotica si riconosce ai raggi per l’esistenza di un’aumentata trasparenza con o senza crolli vertebrali. L’assottigliamento delle corticali delle ossa lunghe tubolari è un altro segno dell’osteoporosi generalizzata. Oggi la condizione d’osteoporosi viene meglio definita misurando la massa ossea (mineralometria) per mezzo di metodiche non invasive di densitometria fotonica computerizzata oppure a doppio raggio fotonico, o ancora con la densitometria a raggi X a doppia energia.Questa metodica impiega sorgenti radioisotopiche o a raggi X con duplice emissione fotonica. Con la prima tecnica si esegue il rilevamento minerale a livello del polso dove le ossa sono più superficiali con la seconda anche a livello della colonna vertebrale perché possono essere indagati anche segmenti ossei circondati da abbondanti parti molli.L’esame è controindicato in gravidanza, nel caso si usino metodiche che implicano l’impiego di radiazioni.Al termine dell’esame il paziente può riprendere subito le abituali occupazioni.I risultati sono pronti entro 24 ore.

Back to top
DENTATO, muscolo

Muscolo del dorso, suddiviso in due gruppi separati, quello superiore e quello inferiore, che prendono origine dalle vertebre toraciche e lombari rispettivamente, per inserirsi sulle coste posteriormente.

Back to top
DENTATURA

Complesso degli elementi dentali impiantati nei processi alveolari delle ossa mascellari: in rapporto al processo di dentizione si distinguono una d. decidua e una d. permanente.Nella d. decidua o temporanea o di latte si osservano 10 denti per ogni arcata: 4 incisivi, 2 canini e 4 molari  in quella permanente si osservano 16 denti per ogni arcata: 4 incisivi, 2 canini, 4 premolari e 6 molari.

I denti incisivi sono caratterizzati dalla forma piatta, tagliente, a scalpello, propria della corona. Questa è invece di forma conica e a punta nei denti canini. Incisivi e canini hanno un’unica lunga radice. La struttura dei denti premolari e molari è più complessa: essi sporgono di poco dalla mucosa e la loro corona è provvista di numerose cuspidi più o meno aguzze, atte a triturare i cibi. La radice è semplice e larga, con una divisione incompleta nei premolari, multipla nei molari. Generalmente l’eruzione degli ultimi molari è ritardata essi, detti anche denti del giudizio, a volte non sono perfettamente formati o, caso tutt’altro che raro, mancano del tutto.

Back to top
DENTE DECIDUO

(O dente di latte), d. che appartiene alla dentatura decidua o temporanea o da latte. Si differenzia dal d. permanente per il suo volume inferiore (1/3 ca.), il colore più chiaro, una corona più bombata con un cercine più caratteristico in corrispondenza del colletto, dove termina il rivestimento di smalto.

Back to top
DENTE

Organo di forma allungata, deputato al taglio e alla masticazione degli alimenti solidi, disposto sulle arcate dentarie delle ossa mascellari. I denti nel loro insieme costituiscono un complesso sistema che, mediante la triturazione e l’insalivazione, prepara il cibo, iniziandone la digestione fin dal primo momento della sua introduzione nella cavità orale.I denti, in particolare, sono le strutture della bocca che intervengono nella funzione masticatoria e nella fonazione. Inoltre, essi hanno grande importanza nell’influenzare l’aspetto estetico del viso infatti, a seconda della loro presenza od assenza, della loro forma, del loro numero, del loro colore, del loro stato igienico e di salute, possono alterare e mutare la fisionomia, denunciando, persino, aspetti del carattere, dell’educazione e talora economici dell’individuo.In condizioni definitive di sviluppo, il d. è costituito principalmente da una massa di particolare tessuto osseo, la dentina, che si differenzia dal tessuto osseo che compone lo scheletro per il fatto di essere priva di cellule è composta da una sostanza fondamentale ricca di fibre collagene e di sali di calcio: le fibre sono disposte in modo da formare lamelle orientate parallelamente alla superficie del d.

All’interno della dentina è scavata una cavità, detta cavità pulpare, che contiene la polpa del d., un tessuto connettivo ricco di vasi sanguigni e di nervi. La cavità pulpare è tappezzata da uno strato di cellule, gli odontoblasti, da cui dipende la formazione della dentina essi inviano sottili prolungamenti del loro citoplasma in canalicoli diretti radialmente per tutto lo spessore della dentina.Esternamente la dentina è rivestita dallo smalto in corrispondenza della corona (parte del d. che sporge nella cavità boccale), e dal cemento in corrispondenza della radice (parte del d. affondata nelle ossa mascellari). Lo smalto costituisce il tessuto più duro dell’organismo, ed è composto per il 95% da sali inorganici di calcio (fluoroapatite) e per il 5% soltanto da acqua e sostanze organiche il cemento è una varietà di tessuto osseo. Sul cemento si inserisce un sistema di fibre chiamate nel loro complesso periodonto, che fissano il d. nella corrispondente cavità dell’osso mascellare. L’apice della radice è attraversato da canalicoli che danno passaggio a vasi sanguigni e a nervi diretti alla polpa.I denti si formano nel corso dello sviluppo embrionale da altrettanti abbozzi, ciascuno dei quali risulta composto da due parti.La prima parte prende il nome di organo dello smalto, in quanto le cellule dello strato profondo, dette ameloblasti, producono questa particolare sostanza la seconda parte è denominata papilla dentaria, e darà origine alla polpa. I denti sono alloggiati in cavità dette alveoli scavate nelle ossa mascellari e sono tenuti in posizione dalla mucosa, detta gengiva, che si inserisce al punto di passaggio tra corona e radice (colletto), e dalle fibre del periodonto.

Back to top
DENTINA

Particolare varietà di tessuto osseo, detto avorio, che costituisce la componente più importante del dente. In condizioni definitive di sviluppo, la d. costituisce la parte principale del dente si differenzia dal tessuto osseo che compone lo scheletro per il fatto di essere priva di cellule è composta da una sostanza fondamentale ricca di fibre collagene e di sali di calcio: le fibre sono disposte in modo da formare lamelle orientate parallelamente alla superficie del dente.

Back to top
DENTIZIONE

Fenomeno che consiste nella comparsa o eruzione dei denti. Nel secondo mese della vita endouterina, nello spessore degli abbozzi fetali delle ossa mascellari si accumulano piccole masse di tessuto epiteliale, dovute alla proliferazione dell’epitelio buccale e dette germi dentari. Sono i primi abbozzi dei futuri denti da latte, chiamati più esattamente decidui perché sono destinati a cadere, per lasciare il posto a quelli che poi formeranno la dentatura definitiva dell’adulto, cioè ai denti permanenti. I germi dentari si sviluppano progressivamente, aumentano di volume, si arricchiscono di sali minerali, calcio e fosforo che li rendono duri, e prendono la forma caratteristica propria del dente al quale ognuno di essi dà origine. Nel frattempo, alla base dei denti decidui si sviluppano gli abbozzi dei denti permanenti, i quali, crescendo a loro volta, spingono i primi verso la superficie della gengiva e poi all’esterno.I primi a spuntare, sono gli incisivi centrali inferiori, che di solito compaiono insieme o a brevissima distanza l’uno dall’altro, seguiti poi dai superiori, dagli incisivi laterali, dai primi molari, dai canini e dai secondi molari. A trenta mesi il bambino ha venti denti, ha cioè completato la sua prima dentatura, composta esclusivamente da denti da latte. La comparsa del primo dentino, che in genere avviene intorno al settimo mese, è un avvenimento abbastanza importante nella vita del bambino. Tale periodo, fissato come normale, è naturalmente approssimativo: se a nove mesi il bambino è ancora senza denti, la mamma non ha ragione di preoccuparsi poiché un ritardo, anche di tre mesi, è del tutto normale.Estendendo al massimo i limiti di tempo, possiamo dire che a un anno il primo dente da latte deve essere spuntato. Soltanto un ulteriore ritardo può mettere in allarme e in tal caso è necessario ricercarne la causa, che spesso è riconosciuta in un disturbo più generale, legato a un’alimentazione sbagliata, a insufficiente apporto di vitamina D oppure a malattie dovute a disfunzione delle ghiandole endocrine. Gli incisivi centrali inferiori possono qualche rara volta essere presenti già alla nascita o comparire poco dopo. Sono i cosiddetti denti natali, che di solito sono in soprannumero rispetto a quelli da latte e crescono molto deboli, con lo smalto rovinato e senza radici.Cadono da soli, ma diventa necessario toglierli, senza che il lattante ne soffra, quando ostacolano la suzione al seno oppure quando sono malfermi, per evitare che il bambino inavvertitamente li inghiotta.Un dente, per spuntare all’esterno, deve farsi strada attraverso il sottile strato di mucosa gengivale che ricopre le ossa mascellari questo lieve trauma a volte disturba il bambino, specialmente quando l’eruzione è piuttosto difficile e si realizza in uno o due giorni, anziché rapidamente come di solito accade. Un sintomo precoce che permette di prevedere l’imminente comparsa dei denti è la salivazione particolarmente abbondante: il bambino sbava in modo insolito (spesso il davanti dei suoi abitini è bagnato di saliva), inoltre porta sempre le mani alla bocca, si succhia il pollice, mette in bocca ogni cosa e schiaccia tra le gengive gli oggetti duri, come se volesse morderli.Nei giorni che coincidono con l’eruzione di un nuovo dente, questi sintomi si fanno molto più accentuati e non di rado si manifesta uno stato di malessere generale. Il piccolo dorme meno, è agitato e irrequieto, piange per un nonnulla e vorrebbe essere coccolato più del solito, rifiuta pappe che fino al giorno prima mangiava volentieri, e talvolta è difficile trovare un alimento che gli sia gradito. Talvolta la temperatura corporea si eleva fino a 38-38,5°C, compare qualche scarica diarroica non giustificata da alcuna forma d’infezione intestinale. Le gengive sono arrossate, sul bordo si può vedere un piccolo punto bianco, simile a un granellino di riso, circondato dalla mucosa lievemente tumefatta e un po’ dolente.Non appena il dentino è spuntato i disturbi scompaiono, e tutto ritorna come prima. Non è necessaria alcuna terapia specifica una crosta di pane secco o un anello di osso da schiacciare tra le gengive potranno distrarre il bambino e gli serviranno anche per accelerare l’eruzione del dente. Talvolta può essere utile applicare sulle gengive liquidi appositi ad azione decongestionante e analgesica, soprattutto nei più piccini, per non compromettere, un tranquillo riposo notturno.Questi sintomi in alcuni bambini accompagnano costantemente la nascita di un nuovo dente e, non essendo giustificati dalla presenza di una vera malattia, si interpretano come una reazione dell’organismo all’eruzione dentaria.
Tuttavia anche se si tratta di manifestazioni benigne, essi vanno considerati sempre con una certa attenzione, e soprattutto con buon senso, per evitare di cadere nell’errore della vecchia credenza popolare, secondo la quale, nell’età della prima d., tutti i malesseri sono da attribuire ai denti: cosi facendo si può infatti correre il rischio di non riconoscere una malattia. Troppo spesso i denti da latte, appunto perché temporaneamente presenti e destinati a cadere, sono trascurati.Non va dimenticato però che essi non servono al bambino solamente per masticare, ma sono anche necessari, specialmente i primi molari, perché le arcate dentarie si affrontino in modo perfetto. Una regolare disposizione dei denti è indispensabile per dare al viso un aspetto piacevole e per rendere la masticazione facile ed efficace. I denti decidui sono lievemente distanziati l’uno dall’altro questa disposizione non è casuale, ma ha lo scopo di “tenere il posto” ai denti permanenti, grossi e più numerosi (32 anziché 20) la cui eruzione inizia a 6-7 anni.Da tutto ciò si capisce l’utilità dei primi denti, l’importanza di dedicare a essi particolare attenzione e quanto sia errato toglierli precocemente con la convinzione di favorire in tal modo lo sviluppo dei denti permanenti.I primi denti compaiono a 6-8 mesi l’eruzione avviene di solito nel seguente ordine: 6°-8° mese, incisivi mediani inferiori 8°-10° mese, incisivi mediani superiori 12°-14° mese, incisivi laterali superiori e inferiori entro il 24° mese, i primi molari e i canini entro i 2 anni e mezzo, i secondi molari. Gli incisivi centrali inferiori possono essere presenti già alla nascita o comparire poco dopo (denti natali). I denti decidui sono più piccoli, più arrotondati, più lisci e presentano un colore più bianco dei denti permanenti. A 6 anni inizia la seconda d. detta permanente, perché costituita da denti che formano la dentatura definitiva essa consta di 32 denti, il primo dei quali, e precisamente il primo molare superiore, compare a 6-7 anni, seguito dall’incisivo mediano superiore. Gli incisivi laterali superiori spuntano tra gli 8 e i 10 anni, e tra i 9 e gli 11 spunta il canino inferiore, seguito dal primo e dal secondo premolare e dal secondo molare. Il primo premolare spunta intorno agli 11 anni e il canino superiore intorno ai 12, e infine a 18-20 anni, talvolta anche verso i 30, gli ultimi molari, comunemente detti denti del giudizio.Un dente, per spuntare, deve farsi strada attraverso lo strato di mucosa gengivale questo lieve trauma, a volte, disturba il bambino, che non di rado accusa un malessere generale: è irrequieto, dorme poco, piange, rifiuta di mangiare. A volte compaiono anche febbre e diarrea. I disturbi tuttavia sono transitori e non richiedono una terapia specifica. Un ritardo nella eruzione dei denti può essere dovuto, oltre che a fattori costituzionali, anche a difetti di sviluppo, rachitismo, malnutrizione, disfunzioni endocrine.

Back to top
DENUNCIA SANITARIA

Atto con cui il medico ha l’obbligo di informare determinate autorità di alcuni fatti relativi alla sanità pubblica, da lui osservati nell’esercizio dell’attività professionale. L’art. 103 del testo unico delle leggi sanitarie del 27 luglio 1934 n. 1265 sancisce che sono obbligatorie le seguenti denunce: denuncia di nascita  denuncia della nascita di infante deforme  denuncia delle cause di morte  denuncia di tutti i fatti che possono interessare la sanità pubblica  denuncia di malattia infettiva e diffusiva o sospetta di esserlo  denuncia degli infortuni agricoli  denuncia delle malattie professionali  denuncia delle vaccinazioni antitifiche, antidifteriche e antipoliomielitiche eseguite  denuncia degli apparecchi radiologici  denuncia dei trattamenti terapeutici atti a causare la sterilità nella donna  denuncia dei casi di lesione, per qualunque causa acquisita, che siano o possano produrre una invalidità al lavoro, permanente, anche se parziale. L’omissione della d. sanitaria è in genere punita con un’ammenda.

Back to top
DENUTRIZIONE

Stato di generale scadimento dell’organismo a seguito di ipoalimentazione, digiuno, disturbi dell’apparato digerente che non consentono un normale assorbimento degli alimenti. Mancando l’apporto dei materiali nutritivi necessari, l’organismo sopperisce ai fabbisogni del metabolismo utilizzando le riserve accumulate nei tessuti vengono consumati, nell’ordine, il tessuto adiposo, il tessuto epatico, il sangue, il tessuto muscolare (il tessuto nervoso non diminuisce neppure negli stadi di estremo dimagramento).Contemporaneamente si ha un rallentamento dei processi anabolici e catabolici, più pronunciato per i primi. Il corpo può perdere, nello stato di d., fino al 40% del proprio peso una perdita più elevata non è compatibile con la vita.

La d. è responsabile, oltre che di varie avitaminosi, di una malattia frequente nei paesi tropicali (kwashiorkor) che colpisce i bambini di 1-3 anni di alcune popolazioni che, nutrendosi prevalentemente di vegetali, introducono una quantità di proteine insufficiente al loro sviluppo.Per mezzo di indagini piuttosto complesse, possiamo distinguere il magro sano dal dimagrito per cause patologiche (denutrito) valutando la distribuzione dell’acqua corporea e la massa dei distretti metabolicamente attivi dell’organismo: cioè la massa magra e la massa grassa. Nel magro costituzionale si nota una normalità assoluta. Il dimagrito, oltre ad avere troppo poco grasso ha una massa magra scarsa e una eccessiva quantità di acqua maldistribuita, nel senso che è troppo abbondante l’acqua extracellulare (quella contenuta nel sangue, nella linfa e negli interstizi fra le cellule) specie nel sangue, dove a una quantità relativamente abbondante di plasma fa riscontro una riduzione dei globuli rossi.Spesso gli anziani riducono in modo preoccupante la loro alimentazione, fino a presentare stati di d.La causa è in genere psicologica: il vecchio, talvolta, trovatosi solo, perde l’appetito perché in sostanza perde la voglia di vivere, si racchiude in se stesso e col tempo appassisce, quasi senza rendersene conto. Altre volte la cessazione dell’attività lavorativa oppure la vita presso parenti che lo trascurano, o dai quali crede di essere trascurato, oppure l’essere ricoverato in ospizi per vecchi deprime l’anziano che perde interesse per la vita.

Back to top
DEODORANTE

Sono detti deodoranti i prodotti attivi contro gli odori corporei che agiscono in senso antibatterico, lasciando immodificata la quantità di sudore. I più usati sono i sali di ammonio quaternario, l’irgasan, l’actamer, l’anobial, la TCC, il fenolsulfonato di zinco, il DCMX, le salicilanidi. Le più comuni preparazioni di deodoranti sono di diverso tipo:

- Liquidi. Si tratta di soluzioni acquose o idroalcoliche. Si applicano sulla pelle per mezzo di dosatori a sfera (roll-on). Il principio attivo è generalmente costituito da cloroidrossilattato di alluminio, che ha azione astringente e antibatterica.

- Stick. È, insieme allo spray, la formulazione più diffusa. Il primo deodorante stick venne messo in commercio nel 1928 ed era a base di acido borico e ossido di zinco. Alle soluzioni idroalcoliche, la gelidificazione è conferita dallo stearato di sodio: si ottengono in tal modo gli stick alcolici. Gli stick analcolici sono a base di glicole propilenico e butilenico non danno lo stesso senso di freschezza degli alcolici ma sono più tollerati dalle pelli delicate. Gli stick possono avere azione deodorante o antitraspirante.

- Polveri. Le polveri aspersorie sono generalmente usate per asciugare l’umidità della pelle dopo il bagno. Esse sono costituite da talco, amido, ossido di zinco, carbonato di magnesio variamente combinati, usati insieme o separatamente. Aggiungendo prodotti antibatterici o astringenti si ottengono polveri deodoranti e antitraspiranti, il cui uso è però limitato alle estremità inferiori.- Spray. Sono largamente usati, sia in veicolo alcolico che analcolico. Sono costituiti da cloridrato impalpabile di alluminio da solo o miscelato ad altre sostanze.

Back to top
DEONTOLOGIA MEDICA

Insieme di principi e norme che regolano la professione medica nei suoi aspetti etico-sociali e nei suoi riflessi legali. Si tratta di una materia solo parzialmente scritta e di incerta delimitazione: la tendenza più recente è portata infatti a escludere dalla deontologia quegli obblighi che già sono sanciti dalla legge comune. In Italia questa materia è stata raccolta in un Codice deontologico a cura della Federazione degli ordini dei medici nel 1953, più volte aggiornato: l’ultima versione è del 1998.

Back to top
DEPERSONALIZZAZIONE

Processo per cui l’individuo perde il senso della realtà e si sente estraniato dalla propria persona. I sintomi più comuni avvertiti dal soggetto sono: stati improvvisi di confusione, disorientamento spazio-temporale, un sentirsi spettatore. La d. può essere temporanea e consentire talvolta l’assunzione di un più preciso senso di realtà. Qualora coincida con un Super io troppo forte, conduce alla impossibilità di vivere e godere dei propri istinti dando luogo ad angoscia e aggressività. Causa di ciò sono spesso gli altri, le sconfitte in amore, nell’amicizia, nel lavoro. Gli stati più gravi sono presenti nella schizofrenia.

Back to top
DEPILAZIONE

Asportazione dei peli del corpo effettuata a scopo terapeutico, profilattico o estetico. La d. può essere attuata con vari mezzi: estrazione meccanica, chimica (ambedue eliminano solamente il pelo, lasciando intatto il follicolo pilifero, dando luogo pertanto a una d. temporanea) distruzione del follicolo mediante elettrolisi o diatermocoagulazione, consentendo una d. permanente.

Back to top
DEPISTAGE

Termine introdotto nel linguaggio medico per indicare la ricerca sistematica, in una popolazione più o meno estesa, dei soggetti affetti da una determinata malattia, soprattutto allo scopo di individuarne le forme iniziali e asintomatiche, a scopi di ricerca epidemiologica o per istituire una diagnosi precoce e una terapia tempestiva ed efficace. I soggetti interessati, che vengono individuati in genere per mezzo di esami semplici e di facile esecuzione, sono successivamente studiati con tecniche di indagine diagnostica più approfondite.Tra gli esempi più comuni di d. si possono annoverare quello della tubercolosi (mediante esame schermografico del torace o col test alla tubercolina), quello del cancro del collo dell’utero (mediante il Pap-test) o quello del cancro della mammella (autopalpazione e mammografia).

Back to top
DEPOLARIZZAZIONE

Termine usato per indicare la perdita di polarizzazione delle membrane biologiche. Quando il potenziale di membrana viene ridotto a un certo valore (soglia), per esempio per effetto di uno stimolo elettrico, si innesca nella membrana un ciclo di fenomeni che determina l’insorgenza e la propagazione del potenziale d’azione. Se la d. non raggiunge la soglia (stimolo sottoliminale), determina ugualmente uno stato di aumentata eccitabilità.

Back to top
DEPOT

Letteralmente deriva dalla lingua francese e significa deposito. In medicina viene riferito a particolari formulazioni di farmaci che consentono l’accumulo nei tessuti ed il graduale rilascio nel tempo della sostanza terapeutica somministrata. Il farmaco quindi è disciolto in particolari veicoli oleosi che ne consentono lo stoccaggio nel tessuto muscolare (tramite iniezione intramuscolare profonda) o nelle mucose (mediante ovuli).Alcuni esempi sono: analoghi del GnRH a somministrazione intramuscolare mensile o trimestrale, psicofarmaci a somministrazione intramuscolare mensile, estrogeni intravaginali a somministrazione settimanale.

Back to top
DEPRESSIONE

Particolare stato psicologico caratterizzato dalla presenza di ansia, incertezza, sfiducia in se stessi, paura del futuro. La d. si accompagna a numerose forme psicopatologiche, ed è uno dei sintomi più appariscenti delle psicosi maniaco-depressive. La presenza della d. non può però essere sempre rapportata alla malattia mentale. Nella vita quotidiana si incontra spesso il dolore, e con esso la frustrazione, l’insuccesso, la difficoltà a comunicare e a stabilire rapporti con altri. In tali occasioni non è raro il verificarsi di una reazione di tipo depressivo. In soggetti normali e sufficientemente equilibrati, la d. si presenta come effetto e conseguenza di eventi eccezionali che possono andare dal lutto per la scomparsa di una persona cara alla perdita del posto di lavoro. In soggetti predisposti a instabilità di umore, la d. può essere prodotta anche da eventi contrari normalmente giudicati ordinari e comuni. In ogni caso una reazione depressiva non può essere collegata al verificarsi di un singolo evento traumatico: in questo caso infatti la d. tenderà a essere di breve durata e a risolversi facilmente. Il problema nasce allorché ci si viene a trovare di fronte a una personalità già predisposta: in questo caso l’evento traumatico diviene il catalizzatore che favorisce l’insorgere di uno stato depressivo permanente. Il superamento e la risoluzione positiva dell’evento stesso non sono più sufficienti per riportare la serenità e l’equilibrio.La d., in diversi gradi di intensità, è molto diffusa e spesso è mascherata dalla presenza di altri sintomi psicopatologici. Non è raro incontrare alcolisti che sono divenuti tali tentando di fuggire la d. rifugiandosi nell’euforia alcolica. Numerose morti, apparentemente accidentali, possono ricondursi a un gesto disperato compiuto nel corso di una crisi depressiva. Tanti incidenti possono in realtà essere altrettanti suicidi o tentativi di suicidio.La sindrome depressiva è un disturbo psichico che fa parte dei disturbi dell’umore ed è caratterizzata da ripercussione su vari aspetti psichici e somatici.È ridotto il tono dell’umore, qualitativamente diverso dal comune senso di tristezza, comportando lamentosità, facile irritabilità, senso di vuoto interiore, angoscia, apprensione negativa e sono ridotti l’interesse o il piacere ricavati dalle abituali attività quotidiane (anedonia) sono presenti disturbi psicomotori costituiti da rallentamento psicomotorio, con difficoltà a concentrarsi, pensare, indecisione, riduzione dei movimenti spontanei, eccessiva stanchezza, con ridotta efficienza o inabilità lavorativa.Disturbi cognitivi si configurano in una valutazione pessimistica di sé, del mondo, del proprio futuro e rilettura in chiave negativa del proprio passato, con conseguente bassa autostima, autoaccusa, perdita di speranza, pessimismo, ricorrenti pensieri di morte e di suicidio, ecc.Disturbi somatici consistono in modificazione dell’appetito (spesso scarso) e del peso corporeo, alterazioni del sonno (per lo più insonnia con risveglio precoce), disregolazioni circadiane (alterazione della temperatura corporea e dei ritmi di secrezione ormonali), dolori localizzati in diversi distretti corporei, difficoltà digestive, alterazioni del ciclo mestruale, riduzione del desiderio sessuale, ecc.Elementi psicotici possono comparire in alcune forme depressive nel senso che compare in esse un disturbo del pensiero che può assumere caratteristiche deliranti, con contenuto congruo o incongruo con il tono dell’umore, con la presenza o meno di fenomeni allucinatori, per lo più di tipo uditivo.La d. è un disturbo presente in ogni età e si manifesta in modo diverso e peculiare in rapporto all’età Nell’infanzia è possibile che la depressione si presenti anche con difficoltà scolastiche, irritabilità, agitazione psicomotoria, sintomi somatici, fobie e, raramente, allucinazioni uditive.Nell’adolescenza l’umore è prevalentemente irritabile, associato a ipersensibilità ai rifiuti.Nell’anziano sono possibili quadri con accentuati sintomi somatici, di tipo cenestopatico-ipocondriaco, oppure forme con marcate alterazioni cognitive tali da simulare un quadro demenziale (Pseudodemenza).Forme cliniche della depressione- Depressione bipolare o psicosi maniaco-depressiva: forma in cui episodi depressivi maggiori si alternano a episodi maniacali o ipomaniacali.- Depressione unipolare: categoria costituita da quadri depressivi che non si alternano a episodi maniacali o ipomaniacali.- Disturbo depressivo maggiore: è la forma clinica di depressione grave descritta dalla classificazione internazionale (il cosiddetto DSM-IV), in cui un numero definito di sintomi è presente per almeno 2 settimane e di gravità tale da compromettere in maniera significativa il funzionamento dell’individuo.
Può avere caratteristiche catatoniche, atipiche, melancoliche , può esordire nel post-partum nel disturbo depressivo maggiore può prevalere ora l’uno ora l’altro degli aspetti psichici ed anche fisici che possono caratterizzare una sindrome depressiva. Ad esempio, nella Depressione mascherata il sintomo depressivo viene presentato, da parte del paziente, con proposizione di sintomi somatici in assenza di una patologia organica, mentre nella Pseudodemenza depressiva sono preponderanti i disturbi cognitivi (alterazioni della memoria, della concentrazione) a livello tale da poter simulare un quadro demenziale. Di particolare interesse è la forma con esordio nel post-partum che compare entro un mese dal parto, con possibile presenza di deliri, spesso riferiti al neonato (ad es., posseduto dal demonio), ideazione suicidaria, agitazione psicomotoria, rischio di infanticidio. L’andamento nel tempo del disturbo depressivo maggiore è variabile, il disturbo può presentarsi come unico episodio nel corso della vita dell’individuo o ripetersi nel corso del tempo, assumendo un andamento ricorrente, con o senza un recupero completo dei sintomi tra un episodio e l’altro. Il disturbo depressivo maggiore ricorrente può avere un andamento stagionale, con la presentazione degli episodi in relazione precisa con periodi dell’anno, tipicamente l’inverno

Cause
Le cause della d. sono numerose: essa è il sintomo terminale tramite cui si manifestano e emergono più profondi, complessi ed articolati problemi di natura psicologica.Certamente una grande influenza è data dalla famiglia e dall’atmosfera in cui si è stati educati. Anche l’ambiente sociale in cui si vive ha una notevole rilevanza: la presenza di vincoli rigidi ed eccessivi, in particolare se non esplicitati ma vissuti come impliciti e legati a valori morali, può essere un fattore che favorisce la diffusione della d.Anche l’opposto, cioè la riduzione dei vincoli e lo scadimento dei valori morali e culturali, può essere alla base di reazioni depressive. In altri termini, l’eccesso di autonomia affettiva così come la sua riduzione massiccia possono essere egualmente cause scatenanti la d.Molti sono gli studi di tipo neurobiologico tesi a dimostrare il substrato biologico della d. sul quale costruire la base razionale della terapia di tipo farmacologico, da affiancare a quella di tipo psicoterapeutico.Da tali studi sono emersi i seguenti risultati:- Alterazioni neurotrasmettoriali: le amine, quali noradrenalina,serotonina edopamina, sono ridotte in specifiche aree cerebrali. Farmaci potenzianti la trasmissione monoaminergica, in particolare farmaci che modificano selettivamente il metabolismo della serotonina (cosiddetti SSRI), incrementandone i livelli, migliorano i sintomi depressivi la base biologica della depressione è quindi da vedersi come una complessa interazione di sistemi neurotrasmettitoriali, in cui il deficit di un sistema si rifletterebbe su un altro.- Alterazioni a livello endocrino: l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con ipercortisolismo, alterazione del ritmo circadiano della secrezione del TSH.- Alterazioni immunologiche in corso di depressione sono rilevate ed oggetto costante di studio.- Alterazioni cronobiologiche: nel depresso si assiste ad alterazione della “architettura” del sonno e cioè ad una alterazione dei tempi delle varie fasi che lo compongono. La deprivazione di sonno determina un miglioramento della sintomatologia depressiva, peraltro transitorio.A tale eterogeneità di cause possibili corrisponde in qualche modo il fatto che la d. può essere distinta sotto il profilo patogenetico in endogena, esogena o psicogena o reattiva o nevrotica, sintomatica.La Depressione endogena: forma a origine biologica in cui non si evidenzia una relazione comprensibile e sufficiente tra le circostanze della vita del soggetto e la comparsa del disturbo depressivo.Depressione reattiva: forma in cui si evidenziano eventi vitali cui può essere ascrivibile l’esordio del disturbo, la cui origine è correlata alla personalità dell’individuo.Depressione endoreattiva: (Weitbrecht). Stato depressivo che prende avvio come una reazione a eventi causali di tipo psicologico, modificandosi nel tempo e assumendo caratteristiche di tipo endogeno-melancolico, per lo più con tematica di tipo ipocondriaco.Depressione sintomatica: può essere espressione di un sottostante disturbo medico o legata all’assunzione di farmaci.La depressione è particolarmente associata a malattie neurologiche, ad esempio con l’epilessia o con il morbo di Parkinson di cui può anche essere sintomo di esordio alla corea di Huntington o successiva ad un ictus, demenza, sclerosi multipla, neoplasie cerebrali e traumi cranici.
Altre condizioni mediche esprimono sintomi depressivi come sintomo di esordio o in associazione sono endocrinopatie, collagenopatie e malattie infettive.Esempi di farmaci con possibile azione depressogena sul tono dell’umore sono: alcuni contraccettivi, alfametildopa, flunarizina, cinnarizina, sostanze d’abuso, neurolettici, antiblastici.

Terapia
La d. maggiore va incontro a risoluzione spontanea in buona parte dei casi, anche se la durata di tali episodi è tale da compromettere il funzionamento dell’individuo per lungo tempo. La durata di un singolo episodio depressivo maggiore non trattato è in media di 6 mesi, con possibilità di cronicizzazione.Bisogna innanzitutto escludere le cause organiche di d. per cercare di risolvere la d. agendo su queste.In generale è ideale l’approccio integrato che prevede la sinergia di terapia farmacologia e psicoterapia.- La terapia farmacologia mira alla riduzione sintomatologica, alla ripresa del funzionamento psicosociale, alla remissione dell’episodio e alla prevenzione delle ricadute. Utilizza psicofarmaci antidepressivi.Gli ansiolitici non hanno dimostrato, da soli, di essere in grado di risolvere un episodio depressivo. Gli antipsicotici possono peggiorare la sintomatologia, ma anche essere utilizzati in forme specifiche (ad es., depressione psicotica) in associazione con antidepressivi. La farmacoterapia antidepressiva deve essere condotta a dosaggio corretto e per un tempo adeguato, almeno di 3-6 mesi. In alcuni casi (ad es., depressione cronica o ricorrente) può essere opportuna una terapia di mantenimento più protratta. Alcune forme rispondono a trattamenti specifici, nella forma stagionale, la terapia con luce brillante bianca ( Light therapy).La farmacoterapia è il trattamento di prima scelta nelle forme depressive maggiori, in particolare se di grado moderato-severo. - La Psicoterapia mirate alla risoluzione di aspetti peculiari e specifici della sindrome depressiva, quali struttura di personalità (terapia psicodinamica), relazioni sociali (terapia interpersonale), modificazione del comportamento (terapia comportamentale), modificazione della visione di se stessi, del mondo e del futuro (terapia cognitiva o cognitivo-comportamentale).- La terapia elettroconvulsivante (TEC) è utilizzata come trattamento di particolari forme depressive psicotiche, endogene, non rispondenti alla terapia farmacologia e che presentano gravi controindicazioni all’impiego dei farmaci.

Back to top
DERCUM, malatia di

(Prende il nome da Francis Xavier Dercum, medico statunitense – Filadelfia 1865-1931).

Back to top
DEREALIZZAZIONE

Disturbo della coscienza della realtà esterna. Il paziente avverte tutto ciò che lo circonda come strano, irreale. Tale disturbo è presente, associato o meno alla depersonalizzazione, nelle sindromi depressive e nella schizofrenia. Mayer-Gross riserva appunto questo termine a quei casi in cui il senso di strana ed estranea metamorfosi si riferisce al mondo esterno, preferisce invece il termine di “depersonalizzazione” per quei mutamenti che interessano il Sé.

Back to top
DERIVAZIONE CHIRURGICA

Termine che si applica genericamente a tutti gli interventi chirurgici che si propongono di deviare il flusso di un liquido organico (ad esempio sangue o liquido cerebrospinale) allo scopo di superare un ostacolo e di ridurre la pressione in un determinato sistema. La derivazione può essere creata facendo defluire il liquido all’esterno oppure, all’interno dell’organismo, in un viscere appartenente possibilmente allo stesso sistema o apparato (ad esempio: derivazione o shunt portosistemico in caso di ipertensione del sistema venoso portale oppure derivazione ventricolo-peritoneale in caso di idrocefalo).

Back to top
DERMA

Strato di tessuto connettivo fibroso che costituisce la parte profonda della pelle. È situato al di sotto dell’epidermide, dalla quale risulta separato da una sottile membrana (membrana basale), mentre nella sua parte più profonda è a contatto con il tessuto adiposo sottocutaneo.Dal d. dipende l’elasticità e la robustezza della cute esso inoltre dà passaggio a vasi sanguigni, vasi linfatici, nervi, e contiene particolari formazioni, dette annessi cutanei, che si sviluppano dall’epidermide: peli, ghiandole sebacee e ghiandole sudoripare. Vi sono infine contenute terminazioni nervose specializzate nella raccolta e trasmissione delle sensazioni percepite a livello della cute.Il d. ha uno spessore variabile da 1/2 a 3 mm la sua parte più superficiale è detta strato papillare in quanto presenta delle rilevatezze a forma di papille, che si ingranano in corrispondenti infossamenti nella faccia profonda dell’epidermide.Le papille del d. si insinuano fra gli zaffi intrapapillari dell’epidermide, creando una struttura complessa formata da due parti strettamente connesse fra loro. Nel d. papillare sono contenuti i vasi capillari sotto forma di eleganti anse, nonché le terminazioni nervose.La parte profonda del d., detta strato reticolare, differisce dallo strato superficiale in quanto ha struttura più compatta. La struttura che entra maggiormente nella composizione del d. è costituita dalle cosiddette fibre collagene. Seguono le fibre elastiche e le fibre reticolari. Le fibre collagene sono formate da fibrille elementari, le quali, osservate al microscopio elettronico, dimostrano la presenza di bande trasversali che si susseguono a intervalli regolari. Si tratta di una struttura definita periodica, in quanto le bande trasversali si succedono regolarmente con una sequenza caratteristica. Le fibre elastiche sono immerse fra le fibre collagene e hanno spesso un andamento “a molla”, o a cavaturacciolo: la loro funzione sarebbe quella di assicurare la normale elasticità alla cute. Le fibre reticolari sono finissime e abbisognano, per essere evidenziate, di particolari metodiche di colorazione, piuttosto complesse, durante le quali si deve realizzare la cosiddetta “impregnazione argentica del reticolo”. Queste fibre formano una specie di graticciata molto fine, avente funzione di sostegno. Fra le fibre si trovano alcune cellule, quali i fibroblasti, i macrofagi, ai quali si addice una funzione fagica, o di captazione di particelle nocive, microbi ecc. e i mastociti, deputati alla formazione di eparina e istamina ecc. (sostanze con azione anticoagulante e vasodilatante).Il d. può essere sede di processi patologici di varia natura, quali processi infiammatori, processi degenerativi a carico delle fibre, accumulo abnorme di sostanze diverse, tumori benigni, maligni, primitivi o metastatici.

Back to top
DERMATITE

Malattia della pelle caratterizzata dalla presenza di un processo infiammatorio acuto o cronico che ha sede nel derma. Tale processo infiammatorio può avere caratteri diversi quanto a estensione, tipi di cellule presenti, sede (nel derma superficiale o in quello profondo, attorno ai vasi o in rapporto con gli annessi cutanei ecc.). L’epidermide può partecipare secondariamente al processo e manifestare alterazioni di vario tipo quali ipercheratosi, iperplasia, edema, formazione di vescicole, di bolle, di croste ecc.

Possono determinare la comparsa di una d. fattori assai diversi, quali agenti chimici o fisici (d. da contatto), infezioni batteriche, fenomeni allergici (d. atopica), ipersensibilità a farmaci spesso la causa rimane sconosciuta. Le dermatiti comprendono quindi affezioni molteplici, con manifestazioni cliniche assai variabili, localizzate o generalizzate, a volte associate a malattie generiche dell’organismo, o con caratteri tali da integrare il quadro di sindromi cliniche caratteristiche. Anche la loro gravità può essere variabile: da affezioni fastidiose ma non pericolose (quali per es. gli eczemi o l’orticaria), fino a forme che per il contemporaneo interessamento di strutture viscerali importanti possono avere una evoluzione assai grave (per es. le vasculiti necrotizzanti o l’eritema multiforme).

Back to top
DERMATITE ATOPICA

Il 16% degli eczemi è rappresentato dalla d. atopica essa ha un andamento bifasico: la prima fase inizia nell’infanzia (durante il primo anno di vita) e si risolve spontaneamente verso il secondo la seconda si manifesta quasi sempre verso l’età scolare o la pubertà.

Cause
Mentre per la d. da contatto è facile riconoscere l’agente responsabile in una sostanza allergizzante, cui il malato si è ripetutamente esposto (resine sintetiche, oli, benzine, detersivi ecc.), nella d. atopica il contatto con sensibilizzanti non è determinante e il meccanismo responsabile del suo insorgere è complesso. Esiste un fattore costituzionale, cioè proprio di un individuo, che condiziona l’insorgere della malattia, chiamato con il termine atopia. I malati di d. atopica sono ipersensibili ad ogni stimolo cutaneo e questo stato di ipersensibilità è dovuto a particolari anticorpi. Non solo gli eczematosi costituzionali, ma anche i soggetti sofferenti di asma e di riniti allergiche (per esempio il raffreddore da fieno), presentano la stessa base predisponente (fattore costituzionale) che favorisce, talvolta, l’insorgere contemporaneo o successivo di queste tre malattie si realizza così la cosiddetta atopia. Le manifestazioni della d. atopica, inoltre, possono essere scatenate dalle più svariate cause: turbe digestive, errori dietetici, fattori nervosi, emozioni, particolari situazioni endocrine (pubertà, gravidanza, menopausa), cure locali irrazionali. Lunghi periodi di benessere (mesi, anni) separano gli episodi eruttivi della d. atopica e, talvolta, è possibile ricostruire un ritmo stagionale (invernale o primaverile), tipico di ogni soggetto.

Sintomi
Le prime manifestazioni cutanee compaiono precocemente: secondo i pediatri non prima del terzo mese, ma sono state segnalate anche nelle prime sei settimane di vita. Esse sono localizzate prevalentemente al viso e alle guance. Si tratta di chiazze arrossate, modicamente rilevate, con una superficie disseminata di fenditure piccolissime, di vescicolette, la cui rottura lascia fuoriuscire un essudato, seguito dalla formazione di una crosta bianco-giallastra che, quando la malattia è localizzata al cuoio capelluto, unisce in maniera caratteristica i capelli. Quando l’essudato è meno marcato, si formano croste biancastre di varie dimensioni, che si sfaldano in piccoli frammenti. Quasi sempre il quadro clinico è reso più complesso da lesioni secondarie provocate dal grattamento continuo, dovuto all’insopportabile prurito: le chiazze possono divenire sanguinanti, con abrasioni più o meno estese, talora molto ricche di essudato a causa del sovrapporsi di infezioni dovute a germi piogeni. Inoltre, accanto ai due elementi tipici dell’eczema acuto (eritema e vescicole), compaiono, qualora persista lo stimolo da trattamento, papule e una vera e propria lichenificazione. La d. atopica, che dapprima occupa solo il viso, a ondate successive invade il tronco e gli arti sino a interessare tutta la superficie corporea. La comparsa di nuove manifestazioni cutanee è preceduta da un irresistibile prurito, difficile a dominarsi, specialmente nei lattanti, che si grattano e si graffiano così da trasformare la regione interessata in una vasta piaga sanguinante. Nonostante questo esteso interessamento cutaneo, le condizioni generali del lattante sono buone, tanto più che la malattia colpisce prevalentemente soggetti di peso e sviluppo superiori alla norma. In generale, la malattia guarisce spontaneamente verso il secondo anno di vita talvolta si prolunga con le caratteristiche poussées sino alla pubertà. Dopo un periodo di remissione più o meno lungo, spesso addirittura dopo anni di silenzio, la d. atopica ricompare modificata nei caratteri e soprattutto strettamente localizzata in sedi caratteristiche. L’aspetto è quello di una forma lichenificata e comunque non essudativa le sedi tipiche sono le superfici flessorie delle grandi articolazioni. Altro carattere rilevante è la disposizione simmetrica: cavo popliteo, piega del gomito e viso, particolarmente intorno alle labbra. La nota dominante del quadro clinico è rappresentata dalle chiazze di lichenificazione: la cute è ispessita ed è nettamente aumentata la quadrettatura cutanea, che normalmente si osserva sulla cute. Il quadro clinico è spesso complicato dal sovrapporsi di infezioni, dovute a microbi e favorite dal grattamento (comparsa di pustole ed essudazioni). Anche in questo caso, il sintomo più evidente è un prurito molto intenso. Fra le complicazioni è da considerare la sindrome atopica.
L’asma insorge con più frequenza (dal 16,2 al 50%), il raffreddore da fieno si presenta nel 10-20%, mentre assai più rare sono altre sindromi allergiche quali la congiuntivite.

Terapia
L’incertezza della causa e del meccanismo d’azione e, quello che in fondo è più importante, l’imprevedibilità degli episodi eruttivi, rendono problematica la condotta terapeutica. Nella d. atopica della prima infanzia, i corticosteroidi locali, ancorché utili, devono essere usati con parsimonia. Si possono associare a creme a base di antibiotici, molto utili nei frequenti casi di concomitante infezione. Nella fase di lichenificazione sono indicate pomate a base di ittiolo o di catrame. Inutili e spesso dannose le pomate antistaminiche. La cura generale, indispensabile, si serve di farmaci antipruriginosi e antireattivi di una certa utilità si sarebbe rivelata la somministrazione del disodiocromoglicato, la cui attività dovrebbe consistere nel prevenire l’assorbimento di allergeni alimentari. La bonifica di focolai infettivi (dentari, tonsillari, appendicolari), è consigliabile nei casi in cui sia possibile dimostrare un rapporto con lo scatenarsi dell’eruzione. Si devono evitare i contatti con sostanze allergizzanti, anche se non sono direttamente capaci di scatenare la malattia. La cura richiede notevole costanza e oculatezza: è indispensabile intervenire tempestivamente alle prime avvisaglie di nuovi episodi eruttivi. Quando la malattia colpisce i bambini, i genitori devono sorvegliarli accuratamente per evitarne la generalizzazione. È frequente constatare la guarigione o notevole miglioramento in seguito a semplice cambiamento di clima in genere questi bambini, portati al mare o in montagna, migliorano spontaneamente.

Back to top
DERMATITE DA CONTATTO

Comprende tutti gli eczemi da contatto, fra i quali, molto importanti, gli eczemi professionali. Le dermatiti professionali da contatto sono affezioni cutanee causate dall’azione di sostanze usate durante l’esercizio di una data professione. Il loro numero è andato progressivamente crescendo durante l’ultimo trentennio, malgrado il progresso delle misure profilattiche (cioè quelle misure che prevengono la malattia). Le ragioni di questo aumento sono legate al notevole sviluppo industriale che ha portato un numero sempre maggiore di lavoratori a contatto di sostanze dermolesive (che ledono la cute), e ha introdotto l’uso di nuovi prodotti chimici (resine ecc.) capaci, non solo di sensibilizzare la cute, ma anche di lederla direttamente. Sulla base di criteri di valutazione statistico-sociale e medico-assicurativo, si può dire, con buona approssimazione, che l’1% circa dei lavoratori industriali contrae un eczema. Su di una popolazione di 20.000.000 di persone, questo equivale a una perdita di oltre 2.000.000 di giornate lavorative. Inoltre, gli eczemi rappresenterebbero il 50-80% di tutte le malattie a carattere professionale: sarebbero, quindi, di gran lunga le più frequenti. Tra le dermatosi professionali, oltre alle dermatiti da contatto che prevalgono nettamente, (più dell’80% dei casi), si possono osservare anche le follicoliti, le ipercheratosi, le ulcere dei cromatori ecc. Per quanto riguarda gli eczemi professionali, bisogna ricordare che i lavoratori più frequentemente colpiti da queste affezioni sono i muratori e i cementisti (33% circa dei casi). Seguono nell’ordine: i verniciatori, i lavoratori di materiale plastico, i nichelcromatori, i litografi, con una frequenza variabile dal 12 allo 0.6%. Circa i rapporti tra sesso e frequenza, la prevalenza dei maschi è solo apparente, perché là dove l’occupazione è uguale per i due sessi, la frequenza con cui si riscontra nelle donne è pari a quella che si verifica negli uomini.

Cause
Si ammette che questi eczemi abbiano un’origine di carattere esogeno: la sostanza sensibilizzante (provocante cioè la d.), può agire direttamente sulla cute sana, oppure, più frequentemente, su una cute già lesa per l’azione di diversi agenti irritanti. Quest’ultimo è il caso più comune e quindi, nella patogenesi di queste affezioni, si devono considerare non solo i fattori sensibilizzanti, ma anche i fattori preparanti (cioè quelli che predispongono alla sensibilizzazione). I fattori preparanti possono essere: stimolazioni fisiche o chimiche capaci di alterare l’integrità anatomo-funzionale della cute e i suoi meccanismi di difesa piccoli traumi cutanei gli stimoli radianti gli agenti ossidanti e i solventi dei grassi (benzina, petrolio, acetone e detersivi). Sulla cute alterata da questi fattori agiscono i fattori sensibilizzanti, cioè le sostanze che possono causare l’eczema. Il terreno individuale (cioè la costituzione individuale) ha una grande importanza, perché è sede di fattori che favoriscono l’insorgenza dell’affezione. I fattori individuali sono di tipo strutturale e funzionale. Lo strato corneo dell’epidermide è un elemento di difesa strutturale di grande valore. Gli individui con cute esile e sottile, come si riscontra nei biondi, hanno uno strato corneo sottile e, a parità di condizioni, ammalano più facilmente di eczema rispetto agli altri individui. Un’importante barriera di difesa funzionale è rappresentata dal mantello idrolipidico o mantello acido epicutaneo, dotato di potere neutralizzante contro le sostanze capaci di alterare l’equilibrio funzionale della cute. L’efficacia del mantello idrolipidico è in rapporto con la secrezione sebacea e i lipidi dello strato corneo, con la secrezione sudoripara e lo strato idrico, con gli aminoacidi e il pH della superficie della cute. Alterazioni di uno o più di questi sistemi di difesa favoriscono l’azione dei fattori preparanti e sensibilizzanti. Il meccanismo di sensibilizzazione più verosimile pare sia quello allergico, per cui un antigene entrato in contatto con la cellula di Langerhans provocherebbe a livello cutaneo la formazione di anticorpi, pronti a scatenare una reazione di tipo eczematoso quando avviene un nuovo contatto dell’antigene originale con la cute. Sono possibili fenomeni di sensibilizzazione crociata: l’individuo reagisce primitivamente o per modificazioni metaboliche subite nell’organismo a più sostanze aventi composizione chimica simile. Inoltre non è raro trovare casi di polisensibilizzazioni: queste sono reazioni eczematose ad allergeni chimici o microbici non aventi nessuna affinità fra loro e sono dovute a uno stato di spiccata reattività della cute.

Sintomi
La d. da contatto si manifesta attraverso varie fasi: all’inizio si ha la comparsa di un semplice eritema (rossore) con edema (gonfiore) circoscritto a questo segue la fase di vescicolazione, seguita dalla rottura degli elementi precedentemente formati, dall’essudazione sierosa e dalla formazione di abrasioni.
Nelle forme secche (cioè senza essudazione sierosa), la fase di vescicolazione è meno pronunciata che nella forma precedente ed è caratterizzata dalla desquamazione della cute in fini lamelle. Il prurito è intenso. La localizzazione iniziale è il dorso delle mani e degli avambracci, con estensione al viso, agli arti inferiori e alle regioni genitali. L’astensione dal lavoro e, soprattutto, l’allontanamento dal contatto con la sostanza sensibilizzante porta abbastanza rapidamente a guarigione le ricadute però sono facili anche a lunga distanza di tempo, ogniqualvolta si ripetono i contatti con la sostanza sensibilizzante. Frequenti sono le superinfezioni causate da microbi più rara è l’eritrodermia, cioè l’estensione dell’eruzione a tutta la superficie corporea.

Diagnosi
Per la diagnosi si impiegano i cosiddetti test epicutanei: si applica sulla cute indenne un quadrato di garza imbevuto della sostanza sospetta (cioè quella che si pensa essere la causa della sensibilizzazione), coprendola con un cerotto. Dopo 24 e 48 ore si eseguono i controlli necessari: il test è positivo se sono comparse sulla sede dell’applicazione l’eritema, la vescicolazione o l’essudazione. Esistono specifici centri di Dermatologia allergologica e professionale, presso i quali è possibile eseguire una serie di test epicutanei, i cosiddetti patch tests. Essi sono stati da alcuni anni standardizzati e resi accessibili a molti medici, specialisti dermatologi e medici del lavoro, allo scopo di consentire non solo la diagnosi eziologica di una d. da contatto professionale, ma anche di rintracciare, fra il personale, i soggetti già sensibilizzati verso una o più sostanze che vengono utilizzate nelle diverse lavorazioni e che pertanto, una volta a contatto con la pelle, determinerebbero nell’operaio addetto la comparsa di una d. da contatto professionale.

Terapia
La terapia locale tende a ridurre ed eliminare l’infiammazione e l’essudazione, a sterilizzare le infezioni cutanee, e a calmare il bruciore e il prurito. La terapia generale è di aiuto con la somministrazione di antiallergici. La notevole incidenza degli eczemi ha reso necessario anche l’adozione di misure profilattiche sia nei confronti dell’ambiente di lavoro e del tipo di lavorazione, sia nei confronti dell’individuo. Occorre rendere l’ambiente di lavoro il più innocuo possibile mediante l’uso di ventilatori, deumidificatori e aspiratori. La profilassi individuale comprende misure selettive per escludere da alcune lavorazioni che potrebbero essere causa di malattia, quei soggetti che abbiano sofferto o soffrano di eczema di qualunque tipo. Le misure igieniche generali consistono in attrezzature (docce, lavabi), per allontanare il più precocemente possibile gli elementi nocivi dalla superficie cutanea con mezzi non irritanti. Misure igieniche personali, invece, sono tutti quei mezzi protettivi che esercitano la loro azione direttamente sull’individuo come guanti, grembiuli e maschere. Se malgrado tutte queste precauzioni l’eczema ritorna, è opportuno effettuare un cambio di lavoro per evitare che la malattia diventi cronica.

Back to top
DERMATITE ERPETIFORME

È una rara dermatosi papulo-vescicolosa, di origine autoimmunitaria, caratterizzata, oltre che da peculiari aspetti clinici, da una sintomatologia pruriginosa molto ingravescente. La patologia insorge per lo più in soggetti di giovane età che possiedono una particolare predisposizione genetica e, nella gran parte dei casi, si associa a forme, anche fruste, di morbo celiaco, una enteropatia sensibile al glutine. La dermatosi ha un decorso estremamente cronico, con periodi di remissione e riesacerbazione che possono ripresentarsi anche per decenni.

Sintomi
È caratterizzata dalla comparsa simmetrica di lesioni papuloeritematose o papulo-orticarioidi, intensamente pruriginose, sulle quali insorgono vescicole, tra loro raggruppate, che sono caratterizzate da un distacco sub-epidermico.

Diagnosi
Come nel pemfigoide, per fare diagnosi di d. erpetiforme è indispensabile l’esame di immunofluorescenza diretta che evidenzia la presenza di immunoglobuline di tipo A all’apice delle papille dermiche.

Terapia
La regressione completa si ha solo in un terzo dei pazienti, mentre i rimanenti devono pressoché costantemente sottoporsi a specifiche terapie con diaminodifenilsolfone. Questo farmaco, elettivo per questa affezione, può essere somministrato solo sotto stretto controllo medico, data la gravità dei possibili effetti collaterali. Di particolare importanza appare poi, specie in pazienti con associata celiachia, la completa eliminazione del glutine dalla dieta.

Back to top
DERMATOFIBROMA

(O istiocitoma fibroso), tumore benigno della cute costituito da una proliferazione di cellule simili a fibroblasti con localizzazione nel derma.È considerato appartenente al gruppo dei tumori istiocitari in quanto le cellule che lo compongono presentano, in modo più o meno evidente, caratteri propri degli istiociti.Compare di solito in soggetti adulti, spesso preceduto da un trauma, specialmente nella cute degli arti, ove si manifesta come un nodulo duro contenuto nello spessore del derma, ricoperto da epidermide più intensamente pigmentata alla palpazione sembra un bottone fissato al di sotto dell’epidermide (fibroma “a pastiglia”).

Terapia
La terapia richiede l’asportazione del nodulo, il quale tuttavia può a volte recidivare.

Back to top
DERMATOGLIFI

Disegni formati dai rilievi (creste) della cute delle dita, delle palme delle mani e delle piante dei piedi. La differenziazione delle creste cutanee inizia durante il terzo mese di vita fetale e si completa entro la fine del quarto. Perciò le linee dermiche che costituiscono i d. sono determinate dalla crescita delle varie strutture sottostanti, compresi gli elementi scheletrici e muscolari di sostegno.Un disturbo nello sviluppo che intervenga durante la formazione delle creste può quindi produrre anormalità nei disegni cutanei.

I d., messi in evidenza nelle impronte digitali, vengono classificati, secondo il metodo proposto da F. Galton, in: vortici, anse, archi.La classificazione viene fatta secondo il numero dei trirradi presenti: due in un vortice, uno in un’ansa e nessuno in un arco (il trirradio è quel punto dal quale tre sistemi di creste divergono in tre differenti direzioni con angoli di 120°). Le anse possono inoltre essere radiali o ulnari, a seconda che siano aperte verso la parte radiale o quella ulnare del dito.Le configurazioni dei d. differiscono da una persona all’altra anche in piccoli particolari e sono in gran parte determinate geneticamente, per cui le mani di gemelli monozigotici somigliano l’una all’altra come le mani di uno stesso individuo.

I d. perciò costituiscono uno dei metodi per determinare la probabilità che dei gemelli siano monozigotici. Sono inoltre importanti in genetica medica in quanto alcune sindromi cromosomiche presentano un’insolita combinazione di d. In particolare, come è stato dimostrato per la sindrome di Down, possono aiutare a stabilire un indice di probabilità per una particolare diagnosi. Anche le pliche di flessione palmari e plantari, pur non essendo a rigor di termini d., vengono incluse nell’analisi dei d. in quanto si formano nello stesso periodo di sviluppo fetale e influiscono sull’andamento delle creste cutanee.Nell’1% ca. degli individui caucasici e in una percentuale più elevata di asiatici è presente sul palmo della mano una singola plica, invece delle comuni due pliche trasverse.Questo solco viene denominato plica scimmiesca ed è spesso presente in individui con malformazioni congenite o aberrazioni cromosomiche.

Back to top
DERMATOLOGIA

Branca delle scienze mediche che studia la cute, il tessuto sottocutaneo e i suoi annessi (peli, capelli, ghiandole sudoripare e ghiandole sebacee) e la patologia a essi correlata. L’introduzione nello studio dei tessuti di metodiche di indagine di immunofluorescenza e immunoenzimatiche con anticorpi poli e monoclonali contro proteine del citoscheletro e delle membrane cellulari ha costituito un notevole progresso in campo istopatologico.Le indagini di biologia molecolare costituiscono lo sviluppo più recente nella diagnostica istopatologica e hanno trovato una prima importante applicazione nello studio della patologia linfoproliferativa.Nell’insegnamento universitario così come nell’ordinamento ospedaliero la d. viene associata alla clinica delle malattie veneree.

Back to top
DERMATOMIOSITE

Malattia che è caratterizzata da una compromissione della cute, del tessuto sottocutaneo e dei muscoli scheletrici. Essa si manifesta con la comparsa in queste strutture di infiltrati infiammatori cronici che determinano alterazioni degenerative delle fibre muscolari. Poiché la malattia interessa in genere molti muscoli dei due lati del corpo si usa comunemente il termine di polimiosite. Maggiormente colpiti sono i muscoli prossimali degli arti (cioè dei cingoli scapolo-omerale, pelvico e delle cosce), quelli del tronco, del collo e quelli faringei (con conseguente disfagia, cioè difficoltà alla deglutizione).

Cause
Le cause della malattia sono sconosciute essa viene compresa nel gruppo delle malattie del collagene, o collagenosi, in quanto presenta a volte manifestazioni comuni con la sclerodermia, con il lupus eritematoso disseminato o con l’artrite reumatoide, e perché si ritiene possa essere condizionata da anomalie delle reazioni immunologiche dell’organismo.Vengono colpite più frequentemente le donne in età adulta, con manifestazioni cliniche non generalizzabili perché molto variabili.La polimiosite viene oggi classificata tra le malattie autoimmunitarie in quanto l’espressione di antigeni di membrana aberranti sarebbe responsabile della risposta immunitaria diretta contro il muscolo. Si sospetta che certi virus possano determinare l’attivazione del sistema immunitario innescando il processo. Alcune ricerche indicano particolarmente implicati virus coxackie di tipo B: infatti, la sequenza delle proteine della loro membrana è simile a quella di proteine della membrana muscolare e perciò gli anticorpi diretti contro il virus finiscono per danneggiare anche il muscolo. Va inoltre ricordato come spesso la malattia abbia un decorso viscerale e possa coinvolgere, con diversa gravità, cuore (aritmie), polmoni (polmonite interstiziale), reni (insufficienza renale acuta), e, soprattutto nei bambini, gli organi addominali (ulcere). La malattia inoltre può associarsi a diverse neoplasie maligne che andranno sempre escluse nel corso degli accertamenti diagnostici.

Sintomi
Alla diminuzione della forza si accompagnano spesso dolori, spontanei o suscitati dalla palpazione delle masse muscolari. La malattia, che non ha preferenza di età, può avere esordio acuto e decorso rapidamente progressivo: in alcuni giorni o in poche settimane l’insufficienza muscolare diventa grave e possono presentarsi anche difficoltà respiratorie in altri casi invece l’inizio della sintomatologia è subdolo, insidioso, e l’evoluzione cronica (ma comunque sempre più rapida di quella delle distrofie). Le manifestazioni muscolari si localizzano di preferenza alla muscolatura del cinto scapolare e del cinto pelvico, con debolezza specie all’atto di svestirsi o salire le scale. Coesistono sintomi generali. Nei casi più tipici le manifestazioni cutanee sono caratterizzate da chiazze arrossate ed edematose, particolarmente al viso, al collo, agli arti. quali febbricola e senso di malessere.

Diagnosi
Una diagnosi precoce è di estrema importanza: infatti un tempestivo e adeguato trattamento corticosteroideo permette spesso di ottenere ottimi risultati. Importanti per una corretta diagnosi risultano gli esami sierologici (livelli elevati di enzimi muscolari) e strumentali, tra cui l’elettromiografia e in particolare la biopsia muscolare.

Terapia
La malattia si combatte efficacemente con la somministrazione di corticosteroidi, che inizialmente devono essere somministrati ad un dosaggio elevato calcolato in base al peso corporeo del paziente sono stati utilizzati con buoni risultai anche farmaci immunosoppressori.

Back to top
DERMATOMO

Strumento chirurgico costituito da una lama affilatissima che serve per ricavare sottili strati di cute, aventi spessore e ampiezza determinati, usati a scopo di trapianto. I dermatomi a mano hanno forma di un coltello a lama rettangolare munita di una controlama a taglio smussato, regolabile a vite per ottenere il lembo cutaneo dello spessore voluto. Nei modelli azionati elettricamente o ad aria compressa la lama ha la forma di una larga lametta da barba ed esegue movimenti alterni orizzontali anche questo modello è munito di una controlama regolabile a vite. La zona di cute ove verrà eseguito il prelievo (dorso, addome, cosce) deve essere ben depilata, disinfettata e successivamente lubrificata con olio di vaselina sterile in modo da agevolare lo scorrimento dello strumento.

Back to top
DERMATOSI

Termine generico, impreciso, che viene spesso impiegato per indicare le malattie della pelle, soprattutto relativamente a quelle ad andamento cronico.Esempi di patologie cutanee sono: la d. papulosa nigra, che è costituita da piccole palule facciali multiple che è considerata una variabile della cheratosi seborroica la d. pustolosa erosiva del cuoio capelluto, patologia non rara, si presenta di solito negli anziani calvi dopo un trauma del capo, con pustole sterili ed erosioni che guariscono con esito cicatriziale.

Back to top
DERMATOTOMO

vedi DERMATOMO

Back to top
DERMOABRASIONE

Procedimento chirurgico che consiste nell’asportare a piatto, per mezzo di un corpo abrasivo, gli strati più superficiali della pelle, allo scopo di ottenere, con la rigenerazione di nuova epidermide, un miglioramento del suo aspetto.L’indicazione principale di tale trattamento terapeutico è rappresentata dagli esiti cicatriziali, al viso, di acne giovanile, ma essa può venir impiegata utilmente anche in caso di rughe superficiali, di angiomi piani, di lievi cicatrici da ustioni.Ogni corpo abrasivo può essere utile per praticare una d. (per esempio, pietra pomice, carta vetrata, frese ecc.). Ma oggi si preferisce impiegare strumenti costituiti da rulli di carta speciale, rivestiti da una sostanza abrasiva speciale che, possedendo una superficie ruvida uniforme, permettono al dermatologo-chirurgo di effettuare abrasioni ben controllate, senza pericolo alcuno di provocare danni, come lacerazioni o strappi.

La d. può essere praticata su pazienti, previa anestesia locale, se si tratta di piccole zone cutanee, o in anestesia generale, se la superficie cutanea da abradere è estesa o se il paziente, per uno stato psichico di emotività e di ipereccitabilità, non consente al dermatologo-chirurgo di lavorare con tranquillità e con l’indispensabile precisione e l’opportuna accortezza.

Back to top
DERMOGRAFISMO

Abnorme reattività della cute di alcuni soggetti di fronte a stimoli di natura meccanica. Passando sulla pelle una punta smussata si ottiene nei soggetti normali una linea bianca, che scompare rapidamente in taluni soggetti invece appare o una stria di colore rosso acceso o una formazione di rilievo bianco-rosa, dovute rispettivamente a vasodilatazione e a vasocostrizione. In altri casi si ottiene un arrossamento doloroso, notevolmente più esteso della linea tracciata. Il d. è indice della reattività del sistema neurovegetativo le manifestazioni sopra descritte non hanno un significato preciso ma si riscontrano in malattie allergiche, in alcune intossicazioni e in soggetti neuropatici.

Il d. permette di diagnosticare una precisa entità dermatologica quale l’orticaria dermografica. Essa si definisce in base alla comparsa di una risposta eritemato-edematosa e pruriginosa della cute che si evidenzia dopo pochi minuti. Viene abitualmente distinta in orticaria con d. semplice o con d. sintomatico.Il d. semplice si caratterizza per la comparsa di pomfi dopo la stimolazione cutanea e per l’assenza di prurito la reazione pomfoide avviene dopo circa 6-7 minuti e tende a regredire dopo 20 minuti.Il d. sintomatico è sempre accompagnato da prurito, e si evidenzia dopo 1- 3 minuti dallo stimolo, e si esaurisce in 3-5 minuti. Questo fenomeno può anche essere associato a patologie come il diabete, tireopatie e infezioni parassitarie.

Back to top
DERMOIDE, cisti

La cisti d. si può considerare come una sorta di formazione rotondeggiante, a lenta crescita, costituita da una parete e da una massa interna di cheratina. Vi sono vari tipi di cisti, di dimensioni assai variabili, dal piccolo milio del volto alle formazioni gigantesche di alcune cisti trichilemmali del cuoio capelluto. Le cisti possono andare incontro a fenomeni suppurativi con tumefazione acuta della zona e formazione di tramiti da cui fuoriesce abbondante materiale purulento.

Back to top
DERMOMIOTOMO

Porzione del mesoderma che nell’embrione, durante la quarta settimana di vita intrauterina, si differenzia come la struttura dalla quale prenderanno origine parte del derma e la maggior parte della muscolatura scheletrica. Il d. corrisponde alla porzione dorsolaterale dei somiti, e con il procedere dello sviluppo si differenzia in due parti, una esterna detta dermotomo e una interna detta miotomo.

Back to top
DERMOREAZIONE

vedi CUTIREAZIONE

Back to top
DERMOSCOPIA

(Detta anche dermatoscopia o microscopia ad epiluminescenza) tecnica diagnostica non invasiva usata dai dermatologi per osservare le lesioni pigmentate. Permette di ottenere informazioni sulla morfologia delle lesioni cutanee pigmentali non ottenibili ad occhio nudo.

Tale metodica, grazie all’epiluminescenza, rende gli strati superficiali della pelle trasparenti aumentando così l’accuratezza diagnostica delle lesioni pigmentate cutanee di oltre il 25% rispetto alla sola osservazione ad occhio nudo. In pratica ha permesso di ridurre il numero di escissioni non necessarie di lesioni benigne (portando dalla asportazione di 1 melanoma ogni 18 nevi in epoca pre-d., alla escissione di 1 melanoma ogni 4-5 nevi grazie all’uso di tale strumento).

Back to top
DERMOSIFILOPATOLOGIA

Termine non più utilizzato in medicina che indicava la disciplina che studiava le malattie della pelle e le malattie trasmesse per contagio sessuale (malattie veneree), che tradizionalmente sono sempre state considerate insieme.

Back to top
DERMOTOMO

Regione del mesoderma embrionale dalla quale prende origine parte delle strutture connettivali del derma corrisponde alla porzione dorso-laterale del mesoderma para-assiale dei somiti quando, verso la fine della quarta settimana, essi appaiono differenziati in tre regioni distinte la regione ventromediale è detta sclerotomo, quella intermedia miotomo.

Back to top
DESAMETASONE

Cortisonico sintetico, derivato fluorurato del prednisolone di cui ha le azioni e le indicazioni terapeutiche. Ha un’attività antinfiammatoria circa 6 volte maggiore di quella del prednisolone e circa 30 volte maggiore di quella del cortisone, inoltre non ha effetti sodio ritentivi. Può essere somministrato per via orale, intramuscolare o endovenosa.

Localmente può essere applicato sulla cute mediante creme e unguenti oppure nelle vie respiratorie mediante inalazione. Gli effetti collaterali e tossici sono quelli dei farmaci cortisonici.

Back to top
DESENSIBILIZZAZIONE

Insieme dei processi che portano alla diminuzione o all’abolizione dello stato di abnorme sensibilità propria di alcuni soggetti nei confronti di determinate sostanze. La d. viene praticata soprattutto nei casi di malattie allergiche, e in particolare nelle forme di allergia cutanea e respiratoria, mediante somministrazione dell’allergene responsabile a dosi progressivamente crescenti, in modo da realizzare una graduale diminuzione della sensibilità del paziente verso l’allergene stesso.

La scelta degli estratti di allergene dipende dai risultati delle prove diagnostiche (cutireazioni, intradermoreazioni) effettuate l’allergene viene introdotto per via sottocutanea o intradermica. Nelle forme allergiche ad andamento stagionale è spesso opportuno ripetere più cicli di terapie desensibilizzanti per 2-3 anni consecutivi. Una d. aspecifica può essere attuata in associazione con quella specifica o isolatamente, qualora l’agente allergizzante non sia individuabile: essa consiste nella somministrazione di farmaci come il calcio, l’iposolfito di sodio o di magnesio, oppure in trattamenti capaci di attenuare o inibire le reazioni di tipo allergico (per es. istaminoterapia, piretoterapia).

Back to top
DESESSUALIZZAZIONE

Processo psichico in base al quale il soggetto tende a eliminare ogni motivazione, ogni elemento e contenuto sessuale dalle proprie rappresentazioni, dai conflitti e dalle esperienze emozionali. Consiste in un meccanismo di difesa che permette all’individuo, attraverso una fuga dalle pulsioni libidiche, di non rinnovare la possibilità di esperienze frustranti. Questa tendenza trova comunque uno sfogo e una parziale gratificazione nei processi di razionalizzazione e idealizzazione di cui è alla base.

Back to top
DESIDERIO

Movimento psichico tendente a colmare una mancanza nel soggetto. Nella definizione data da J. Lacan il d. riveste un ruolo fondamentale nella vita psichica, essendo la vera e propria espressione delle pulsioni istintuali. Il d. umano, eternamente incolmabile (d. del d., e a volte d. di avere un d. insoddisfatto), si costituisce in relazione alla mancanza radicale costitutiva del soggetto, mancanza il cui modello biologico potrebbe rinvenirsi nella separazione dalla madre attraverso il taglio del cordone ombelicale.

Il d. sorge da una frustrazione e, facendo nascere sentimenti e passioni, si pone alla base dell’agire umano. Però al d. non segue necessariamente un atto di volontà, anche se a questo è necessario il d. per estrinsecarsi.

Back to top
DESIPRAMINA

Farmaco antidepressivo triciclico analogo all’imipramina. Il suo effetto più importante è l’elevazione del tono dell’umore insieme ad una attività stimolante sul sistema nervoso centrale (disinibente) inoltre non ha attività sedativa. Pertanto è indicato nel trattamento delle forme depressive dove prevalgano astenia ed inibizione. Le controindicazioni comprendono: glaucoma, ipertrofia prostatica, cardiopatie gravi, epilessia, tireotossicosi, epatopatie, nefropatie.

Gli effetti collaterali sono atropino-simili (atropina, antimuscarinici), ipotensione, convulsioni, ormonali (iperprolattinemia), effetti extrapiramidali (tremori), aumento di peso, mielodepressione, epatotossicità. Durante l’assunzione di questo farmaco, così come di altri antidepressivi triciclici, bisogna controllare il peso ed effettuare esami ematochimici per il monitoraggio della funzionalità epatica e midollare.

Back to top
DESMOIDE

Raro tumore che appartiene al gruppo delle proliferazioni di tessuto fibroso, con comportamento intermedio tra proliferazione fibrosa esuberante e fibrosarcoma a basso grado di malignità. Il tumore è costituito da tessuto fibroso ben differenziato che forma masse di consistenza duro-elastica.I desmoidi si suddividono in base alla sede d’insorgenza in forme addominali, intra-addominali ed extra-addominali.Forme addominali, si sviluppano di solito nei muscoli retti della parete addominale, soprattutto in donne nel 2°- 4° decennio di vita, particolarmente in quelle che hanno avuto gravidanze.Forme intra-addominali, insorgono nel mesentere e nella parete pelvica, spesso in associazione con malattie a trasmissione ereditaria, come la malattia di Gardner (poliposi familiare del colon).Forme extra-addominali, a carico dei muscoli delle spalle, del torace, delle gambe. L’incidenza è uguale nei due sessi.I desmoidi che si sviluppano in sedi diverse dall’addome (per es. sulla parete toracica o agli arti) hanno un carattere più aggressivo: queste forme, pur senza dare metastasi a distanza, possono recidivare ripetutamente estendendosi a tessuti sempre più profondi tanto da risultare impossibile la loro asportazione radicale.

Terapia
È necessaria l’asportazione chirurgica. Se non rimossi completamente tendono a recidivare molto raramente metastatizzano, in tali casi si parla di fibrosarcomi a basso grado.

Back to top
DESOSSICORTICOSTERONE

Ormone mineralcorticoide prodotto dalla zona glomerulare della corteccia surrenale. Il d. è usato nella terapia sostitutiva dell’insufficienza corticosurrenale per ristabilire l’equilibrio idrosalino, il volume plasmatico e la pressione arteriosa. Non ha effetto sui sintomi dell’insufficienza surrenalica da carenza di glicocorticoidi. Si somministra per via intramuscolare e per innesto sottocutaneo.

Back to top
DESOSSIRIBONUCLEASI

Enzima appartenente alla classe delle idrolasi, che scinde le lunghe catene polinucleotidiche che compongono l’acido desossiribonucleico (DNA) in frammenti costituiti da pochi nucleotidi.
La d. è presente in vari organi e tessuti, ed è particolarmente abbondante nel succo pancreatico.
La d. bovina è dotata di proprietà cicatrizzanti e inoltre, per la sua proprietà di fluidificante degli essudati (azione diretta topica sul secreto bronchiale), è usata, generalmente in forma di nebulizzazione, nella cura di bronchiti, bronchiectasie ecc.

Back to top
DESQUAMAZIONE

Processo che consiste nel distacco, dalla superficie dell’epidermide, di squame, cioè di piccole lamelle biancastre formate dall’aggregazione di cellule degli strati superficiali, completamente cheratinizzate e non più vitali, destinate a essere sostituite da cellule degli strati sottostanti. La d. è un fenomeno che avviene già in condizioni normali, ed è particolarmente evidente in alcune regioni del corpo, come per esempio nel cuoio capelluto, ove le squame costituiscono la forfora. Il processo della d. può risultare assai accentuato in molte malattie della pelle, quali ittiosi, psoriasi, pitiriasi, lichen, dermatiti esfoliative, eritrodermie, esantemi di diversa natura.

Back to top
DESTROCARDIA

Rara anomalia congenita di posizione del cuore, per cui esso risulta situato nell’emitorace destro anziché in quello sinistro, così da apparire come l’immagine speculare, simmetrica, del cuore normale l’apice è diretto in basso a destra, le cavità arteriose sono a destra, quelle venose a sinistra. La d. può essere un’anomalia isolata in tal caso essa è quasi sempre associata a gravi malformazioni cardiache (stenosi aortica, stenosi o atresia dell’arteria polmonare, difetti del setto interventricolare ecc.). Più spesso invece la d. è solo parte di una malformazione più complessa, ereditaria, interessante tutti i visceri della cavità toracica e addominale, che occupano una posizione invertita (d. con situs viscerum inversus totalis): il fegato, il duodeno, il cieco, l’appendice e il colon ascendente sono posti a sinistra, la milza, lo stomaco, il colon discendente e il sigma a destra.

Tale anomalia è perfettamente tollerata, in quanto il cuore risulta perfettamente normale a volte viene scoperta per caso all’autopsia, oppure la diagnosi viene fatta nel corso di una visita medica effettuata per altri motivi.Con la d. non va confusa la destroposizione, in cui il cuore viene a trovarsi nell’emitorace destro in conseguenza di processi patologici diversi (quali versamenti pleurici, aderenze pleuriche retraenti, ernie diaframmatiche, pneumotorace ecc.) i quali, attraverso la trazione o la compressione del mediastino, ne provocano lo spostamento verso destra.

Back to top
DESTROMETORFANO

vedi BECHICI

Back to top
DESTROMORAMIDE

Potente analgesico di sintesi ad attività circa 5 volte maggiore di quella della morfina. L’azione insorge rapidamente: 5-10 minuti dopo somministrazione parenterale e 10-25 minuti dopo somministrazione orale.

Back to top
DETARTRAGGIO

Operazione con cui il dentista procede alla rimozione dei depositi di tartaro sopra e sottogengivali. Un tempo eseguito mediante l’uso di appositi attrezzi manuali (ablatori del tartaro), oggi si esegue prevalentemente mediante l’uso di piccole frese poste in rapidissima rotazione dai moderni trapani da dentista ultraveloci.Il d. è un’operazione importante per il mantenimento dell’igiene orale, e dovrebbe essere eseguito periodicamente, almeno una volta all’anno o più frequentemente se le concrezioni si formano con maggiore rapidità.Un eccessiva deposizione del tartaro costituisce, infatti, fattore predisponente alla insorgenza di parodontopatie dovute all’azione irritante sulle gengive causata dal deposito delle concrezioni di sali minerali che vengono a depositarsi sulle superfici linguali e vestibolari dei denti.

Back to top
DETERGENTE

(Soluzione d., latte d., crema d., ecc), sostanza che modifica le forze di tensione superficiale. Sostanze capaci di eliminare le impurità (sporco, grasso, ecc.) grazie alla modificazione della tensione superficiale delle sostanze con cui aderiscono alla superficie.Esistono svariati tipi di d., che presentano potere diverso a seconda dei principi attivi che contengono.

Back to top
DETRUSORE, muscolo

Termine con cui viene indicato l’insieme dei fasci muscolari presenti nella parete della vescica urinaria, in quanto la loro contrazione (che avviene contemporaneamente al rilasciamento del muscolo sfintere della vescica che tiene chiuso l’orifizio interno dell’uretra) determina l’espulsione dell’urina.La contrazione del muscolo d. è determinata da impulsi che decorrono nei nervi del parasimpatico, mentre dall’ortosimpatico derivano fibre nervose che inibiscono il muscolo d. e promuovono invece la contrazione dello sfintere.

Back to top
DEUTEROSCOPIA

Forma di allucinazione che presenta al soggetto l’immagine della sua persona al di fuori di lui, come allo specchio, con l’impressione angosciosa di un raddoppiamento della personalità.Detta anche autoscopia esterna, si manifesta nella fase ipnagogica del sonno, negli stati confusionali o oniroidi, nella schizofrenia. Se poi tali allucinazioni speculari si ripetono con frequenza, si stabiliscono, per interpretazione secondaria, veri deliri di influenza o di possesso.

Back to top
DEVASCOLARIZZAZIONE

Chiusura di un vaso sanguigno che veicola sangue arterioso, con conseguente carenza od assenza di apporto ematico in un organo o tessuto. La d. è un fenomeno che può avvenire acutamente o progressivamente.D. Acuta. In caso di embolia, trombosi arteriosa, o traumi, con sofferenza acuta del territorio irrorato che presenta tutti i sintomi della ischemia, tranne nel caso in cui si instaurino meccanismi di compenso, che permettono l’apertura di vasi collaterali che suppliscano al deficit di apporto ematico (vedi ISCHEMIA).

D. Progressiva. Come nel diabete mellito o nelle arteriopatie obliteranti a decorso progressivo (malattia di Buerger). Ad esempio, nel diabete scompensato, il progressivo deterioramento delle cellule endoteliali vascolari, dovuto agli alti livelli di glucosio plasmatici, determina una alterazione della parete vascolare fino alla occlusione delle arteriole e dei capillari nel microcircolo. Ciò determina sofferenza ischemica dei tessuti irrorati, tipicamente a livello degli arti inferiori, con ulcere e discromie cutanee, fino alla perdita delle dita (piede diabetico), oppure a livello dei glomeruli renali, con diminuzione del filtrato glomerulare fino alla insufficienza renale.

Back to top
DEVITALIZZAZIONE

Intervento di chirurgia dentaria che consiste nell’estirpazione della polpa (pulpectomia), eseguita sotto anestesia locale con appositi strumenti chirurgici, talvolta previa applicazione a contatto con la polpa di pasta o fibra arsenicale. La d. è la terapia d’elezione dei processi infiammatori della polpa dentaria (pulpiti), ma si esegue comunque prima dell’otturazione di un dente affetto da carie profonda che abbia interessato la polpa stessa.

Back to top
DEXFENFLURAMINA

Farmaco anoressizzante, agisce inducendo il rilascio di notevoli quantità di serotonina da sinapsi nel sistema nervoso centrale, ha un’azione serotoninergica, ma non noradrenergica e, soprattutto, agisce aumentando la secrezione della sostanza e non diminuendone il riassorbimento.Questa molecola, insieme alla fenfluramina, è stata ritirata dal mercato mondiale perché responsabile della comparsa di ipertensione polmonare e di indurre lesioni alle valvole cardiache in soggetti trattati con questo farmaco anoressizzante.

Back to top
DFP

vedi DIISOPROPILFLUOROFOSFATO

Back to top
DHEA

(O deidroepiandrosterone) ormone cortico steroide, prodotto dalle cellule della corteccia surrenale, dal testicolo, dotato di attività androgena. Il nostro organismo ne produce giornalmente da 15 a 30 mg, nella femmina è quasi tutto prodotto dal surrene, nel maschio un terzo è prodotto dal testicolo e due terzi dal surrene. È soprattutto attivo nella sua forma solfato (DHEA-S). È un debole androgeno ed esercita la sua funzione dopo la conversione nel più potente testosterone a livello periferico. Possiede effetti poco chiari sul sistema immunitario e cardiovascolare. Viene prodotto fisiologicamente in piccole quantità ed è regolato dall’ACTH ipofisario tuttavia nelle sindromi adrenogenitali, a causa di un congenito deficit enzimatico, le vie di sintesi degli steroidi vengono deviate verso la produzione eccessiva di questo ormone. È stato osservato un picco di produzione dell’ormone nell’adulto di 20-30 anni: i livelli medi tenderebbero poi a scendere con l’età fino a raggiungere, intorno ai 70-80 anni, il 30% dei valori di picco. Questa osservazione ha iniziato una serie di studi finalizzati alla valutazione del ruolo del DHEA nei processi dell’invecchiamento, fino all’ipotesi di somministrare DHEA esogeno in uomini e donne nella ricerca di una “pillola di lunga vita”. Numerosi esperimenti condotti negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ‘90 hanno evidenziato effetti positivi del DHEA sulla memoria, sulla distribuzione del grasso corporeo, sulla densità ossea e sulla aterosclerosi.Studi recenti hanno ipotizzato un ruolo del DHEA solfato nella risposta allo stress: gli individui capaci di secernerne in quantità maggiore in condizioni di stress acuti (privazione di cibo e di sonno, sopravvivenza in ambienti ostili, ecc) reagirebbero in maniera migliore allo stress mantenendo maggiore lucidità e migliore capacità funzionale.

Back to top
DI - DM
DI GUGLIELMO, malattia di

(Prende nome dal medico italiano Giovanni Di Guglielmo - San Paolo del Brasile, 1886 - Roma, 1961), rara affezione, detta anche eritremia acuta o mielosi eritremica acuta, caratterizzata da un processo proliferativo di tipo tumorale maligno a carico delle cellule eritropoietiche (da cui cioè derivano i globuli rossi), con arresto della maturazione e comparsa in circolo di cellule immature e atipiche. La malattia colpisce con maggior frequenza soggetti in età infantile, con sintomi simili a quelli delle leucemie acute con evoluzione progressiva, poco influenzata dalla terapia.

Back to top
DIABETE

Termine con cui un tempo venivano indicati tutti gli stati morbosi caratterizzati da eccessiva e persistente eliminazione di urine. Il significato è andato in seguito modificandosi fino a indicare alcune malattie del metabolismo nelle quali si ha perdita con le urine di determinate sostanze, per esempio di glucosio (d. mellito) o di alcuni aminoacidi (d. amminico) o di iodio (d. iodico) ecc., il cui metabolismo risulta per varie ragioni alterato, così che esse non possono venire utilizzate dall’organismo.

Back to top
DIABETE BRONZINO

Forma di d. mellito che costituisce una delle manifestazioni dell’emocromatosi, rara malattia che colpisce quasi esclusivamente i maschi caratterizzata da una alterazione del metabolismo del ferro per cui questo viene assorbito in maggior quantità a livello dell’intestino e si accumula in diversi organi e tessuti. Il d. bronzino è così detto per la tipica pigmentazione bruna della cute dovuta ad accumulo di melanina e di emosiderina. Da non confondersi con il morbo bronzino.

Back to top
DIABETE INSIPIDO

Malattia caratterizzata da eliminazione di grandi quantità di urina (da 5 a 20 e più litri al giorno) e da conseguente sete tormentosa e insaziabile è dovuta a lesioni dei centri nervosi dell’ipotalamo o del lobo posteriore dell’ipofisi o ancora delle loro vie di collegamento. Sono questi i centri che regolano l’equilibrio idrico-salino dell’organismo attraverso la produzione di principi attivi ormonali tra cui l’ormone antidiuretico o adiuretina. La loro alterazione, la quale può essere determinata per esempio da traumi, da tumori o da altri processi patologici, determina incapacità dei tessuti a trattenere acqua e sali e dei tubuli renali a riassorbire acqua dal filtrato glomerulare. Vedi antidiuretico, ormoneLa terapia richede la somministrazione di estratti di postipofisi (che contengono l’ormone adiuretina) per iniezione sottocute o anche per applicazione sulla mucosa nasale attraverso la quale essi vengono assorbiti.Una forma rara di d. insipido è dovuta a insensibilità delle cellule dei tubuli renali a risentire dell’azione dell’ormone antidiuretico (d. insipido nefrogeno). Tale condizione, che viene trasmessa ereditariamente come un carattere recessivo legato al sesso, ha prognosi grave e viene curata essenzialmente con misure dietetiche che sono finalizzate ad assicurare una sufficiente introduzione di liquidi.

Back to top
DIABETE MELLITO

(O d. zuccherino), forma più comune e meglio conosciuta di d., cui nel linguaggio comune di solito ci si riferisce quando si parla di d. Nella sua forma conclamata il d. mellito è un’affezione caratterizzata da un aumento stabile della quantità di glucosio nel sangue (iperglicemia) e di conseguenza dalla comparsa di questa sostanza nelle urine (glicosuria). Tale condizione è in rapporto con un difetto di insulina, ormone prodotto dal pancreas, o con una riduzione dell’attività di tale sostanza: da ciò dipende l’iperglicemia, alla quale fanno seguito tutta una serie di disturbi a carico del metabolismo glucidico, lipidico e protidico. Più in particolare distinguiamo un d. primitivo comprendente: d. insulino-dipendente (IDDM, tipo I), d. non insulino-dipendente (NIDDM, tipo 2) suddiviso a sua volta in: NIDDM senza obesità, NIDDM con obesità, tipo 2 del giovane (MODY). Vi è poi un d. secondario: malattie pancreatiche, alterazioni ormonali, da farmaci, anomalie del recettore insulinico, sindromi genetiche.

Il d. mellito è da considerare una sindrome, cioè un quadro morboso che può essere l’effetto di cause di natura diversa, le quali possono agire con meccanismi differenti, e nelle quali giocano, interagendo in modo variabile, fattori ereditari e fattori ambientali. Così un d. mellito può manifestarsi, come già detto, come conseguenza di altre malattie: per es. pancreatiti croniche, tumori del pancreas, emocromatosi, malattie endocrine quali l’acromegalia, il morbo di Cushing, o l’ipertiroidismo, lesioni cerebrali, oppure può seguire all’uso protratto di alcuni farmaci (per es. ormoni corticosteroidi, alcuni diuretici).

Queste forme di d. secondario sono tuttavia una minoranza: la maggior parte dei casi di d. mellito infatti è rappresentata da forme le cui cause sono ancora incerte (d. mellito primitivo o idiopatico).Il d. mellito primitivo è un’affezione relativamente comune che, specie nei paesi ad alto tenore di vita, colpisce fino al 5% della popolazione, costituendo, per le complicazioni cui può dar luogo, un’importante causa di mortalità. Prima di manifestarsi con sintomi clinici, può evolvere per un tempo anche lungo in modo silente, e può essere allora svelato solo da indagini di laboratorio o da prove funzionali (si parla di d. latente quando, pur in assenza di sintomi clinici, si ha già un abnorme aumento della glicemia, di d. biochimico quando la glicemia è ancora nei limiti della norma, ma con le prove funzionali si può svelare una ridotta tolleranza al glucosio).Con il manifestarsi dei sintomi clinici la malattia può assumere poi caratteri diversi per gravità, evoluzione, sensibilità alle diverse terapie. Così si distinguono due forme principali: il d. mellito a insorgenza giovanile (tipo 1) e quello a insorgenza in età matura (tipo 2). Nel d. tipo 1 la patogenesi è legata alla distruzione delle cellule beta-pancreatiche, su base autoimmune per il d. tipo 2 abbiamo una ridotta sintesi di insulina ed una resistenza all’azione della stessa più in particolare nel tipo 1 si osserva la seguente sequenza patogenetica: predisposizione genetica – insulto ambientale – insulite – trasformazione delle cellule beta da self a not self – attivazione del sistema immunitario – distruzione della cellula beta – d. mellito. Nel tipo 2, come già detto, oltre ad un deficit di secrezione è presente una resistenza all’azione insulinica, dovuta verosimilmente ad un problema recettoriale e post-recettoriale il numero delle cellule beta invece è intatto.Anche nell’ambito di queste forme tuttavia si ha una certa eterogeneità di casi, in rapporto probabilmente ai meccanismi diversi con cui si può realizzare il deficit di attività dell’insulina: si ritiene infatti che possano agire alterazioni genetiche delle cellule produttrici dell’ormone (per es. maggiore suscettibilità agli agenti lesivi, senescenza precoce ecc.), oppure infezioni virali, meccanismi autoimmunitari, diete incongrue, sintesi di insuline ad attività biologica deficiente ecc.

Per quanto riguarda i fattori ereditari la loro partecipazione è molto più frequente nelle forme di d. a insorgenza nell’età matura che non in quelle di tipo giovanile.Il sintomo clinico più costante del d. mellito è rappresentato dall’aumento della quantità di urine eliminate (poliuria): questa è dovuta all’aumento di glucosio nel sangue e al suo passaggio nelle urine. La perdita di liquidi viene compensata attraverso una maggiore introduzione di acqua e altri liquidi stimolata dalla sete (polidipsia) si manifesta poi anche un aumento della ingestione di cibi (polifagia) per la necessità di compensare la quantità di energia che non può essere ricavata dal glucosio. La non utilizzazione del glucosio, sempre per un compenso energetico, comporta una mobilizzazione dei grassi dai depositi (con aumento nel sangue di acidi grassi liberi e dei trigliceridi). La loro metabolizzazione non è però completa in assenza di ossidazione del glucosio, e si accumulano nel sangue i cosiddetti corpi chetonici (chetosi diabetica) rappresentati dall’acetone e dagli acidi acetacetico e acido beta-idrossibutirrico. Clinicamente l’esordio tipico della chetosi è con anoressia, nausea, vomito e poliuria, talvolta dolori addominali e alterazioni dello stato di coscienza.L’acetone viene eliminato a livello polmonare con l’aria espirata, conferendo all’alito il caratteristico odore (alito acetonemico) gli acidi aumentano l’acidità del sangue (acidosi diabetica) con sofferenza del sistema nervoso centrale che può arrivare sino al coma (coma diabetico). Se a questo punto non si interviene tempestivamente con iniezioni endovenose di glucosio e di insulina, può sopravvenire la morte. Esaurite le scorte lipidiche, come fonte di energia alternativa, si ha l’utilizzazione delle proteine (negativizzazione del bilancio azotato).

Infine con le urine si ha la perdita di sodio e di potassio l’abbassamento della concentrazione sanguigna del potassio, che si verifica nelle fasi terminali della malattia, comporta disturbi muscolari e cardiaci.La tendenza alla chetosi e alla acidosi si ha particolarmente nelle forme di d. a insorgenza giovanile.Accanto a questi disturbi del metabolismo nel soggeto diabetico si instaurano poi importanti alterazioni a carico dell’apparato vascolare. Nei grossi vasi arteriosi si ha una maggiore incidenza, una insorgenza precoce, e una maggiore gravità di lesioni aterosclerotiche. A carico dei piccoli vasi invece si manifestano lesioni di vario tipo che nel loro insieme prendono il nome di microangiopatia diabetica e comportano danni di grado variabile dei diversi organi e apparati, particolarmente del rene e della retina.Nel soggetto diabetico sono particolarmente frequenti anche i disturbi a carico dei nervi periferici (neuropatia diabetica) con sintomi variabili (dolori, disturbi della sensibilità e della motilità, alterazioni dei riflessi ecc.) che a volte costituiscono le prime manifestazioni della malattia. I disturbi metabolici e le lesioni vascolari possono portare a complicazioni di vario tipo. La chetoacidosi e il coma diabetico, che prima della scoperta dell’insulina costituivano la causa di morte nella metà circa dei casi di d., oggi sono in rapporto essenzialmente a terapia errata, o a scarsa educazione del paziente nel comprendere l’importanza della malattia e dei suoi diversi sintomi essi possono tuttavia essere scatenati anche da stress di diversa natura, quali malattie intercorrenti, in particolare le infezioni acute. Le alterazioni vascolari possono provocare infarto del miocardio, disturbi di circolo fino alla cancrena degli arti inferiori (ulcere diabetiche), disturbi visivi fino alla cecità (retinopatia diabetica), alterazioni anche gravi della funzione renale (nefropatia diabetica). I soggetti diabetici vanno inoltre facilmente soggetti alle infezioni, specialmente alla cute, alle vie urinarie.
Il decorso clinico di un d. è comunque estremamente variabile mentre alcuni pazienti progrediscono rapidamente verso un andamento complicato da episodi di chetoacidosi e da disturbi vascolari, altri possono rimanere stazionari per tutta la vita, con scarse manifestazioni sistemiche.

Diagnosi
La diagnosi del d. si fonda sulla determinazione del glucosio nel sangue a digiuno e sulla valutazione delle sue variazioni a intervalli regolari di tempo dopo somministrazione per via orale di una certa quantità di glucosio.

Terapia
La terapia del d. mellito si fonda sull’adozione di norme dietetiche in modo da contenere al massimo le fluttuazioni del glucosio nel sangue, sull’impiego di insulina o di farmaci ipoglicemizzanti orali per abbassare la glicemia l’insulina è alla base della terapia di tutte le forme di IDDM e in alcune forme di NIDDM in cui non si riesca ad ottenere un buon controllo glicemico con gli altri presidi. Problemi particolari sono poi costituiti dal d. in gravidanza (per il rischio aumentato di morte intrauterina del feto o di nascita di neonati di peso superiore ai 4 kg con possibili complicazioni durante il parto) per il fatto che la condizione gravidica comporta un aggravamento del d. e come possibile conseguenza predispone alla gestosi in gravidanza è più difficile mantenere il controllo glicemico e spesso si impone una modificazione del regime terapeutico nel corso della gravidanza stessa l’euglicemia è condizione indispensabile per ridurre al minimo i rischi del d. gestazionale. Altre condizioni particolari provengono dal d. nell’età infantile e dalla eventualità che soggetti diabetici debbano sottoporsi a interventi chirurgici (che comportano uno stress metabolico al quale l’organismo diabetico è meno abile ad adattarsi).

Back to top
DIABETE RENALE

Malattia caratterizzata dalla presenza di glucosio nelle urine, senza che, a differenza di quanto si verifica nel più comune d. mellito, sia aumentato il contenuto di glucosio nel sangue. Si tratta di una condizione rara, ereditaria, legata a un’anomalia dei tubuli contorti del rene, la cui capacità di riassorbire il glucosio dal filtrato glomerulare è ridotta.Il d. renale non comporta alcun sintomo clinico e non richiede alcuna terapia esso viene di solito scoperto casualmente a seguito di esami delle urine praticati per altri motivi.

Back to top
DIABETIDE

Termine generico con cui si indicano i processi patologici a carico della cute che si manifestano nel corso del diabete mellito. Si tratta generalmente di processi infiammatori dovuti a infezioni da germi piogeni (foruncolosi, piodermiti) o da funghi microscopici (candidosi), che sono favorite nel loro insorgere dalle minori capacità di difesa dell’organismo diabetico.

Altre lesioni cutanee più strettamente legate al disturbo metabolico sono invece i fenomeni di degenerazione e necrosi delle fibre collagene nel derma (necrobiosi lipoidica) e gli accumuli di lipidi (xantomi).

Back to top
DIADOCOCINESI

Capacità di eseguire rapidamente movimenti alternati e successivi, per esempio di supinazione e pronazione delle mani o di estensione e flessione delle dita. Essa risulta alterata o perduta (adiadococinesi) in caso di lesioni del cervelletto.

Back to top
DIAFANOSCOPIA

(O transilluminazione), esame di alcune parti del corpo mediante illuminazione per trasparenza. Si usa soprattutto come metodo di esame dei seni paranasali transilluminandoli con un apparecchio, il diafanoscopio. Questo è costituito essenzialmente da una lampadina, molto luminosa, montata su un manico e protetta da una custodia di metallo e vetro.

L’esame si esegue in un ambiente completamente oscuro: per lo studio del seno mascellare il diafanoscopio viene introdotto nella bocca del paziente, che viene quindi invitato a chiudere le labbra sul manico dello strumento normalmente da entrambi i lati compare un’area luminosa sotto lo zigomo e un’altra sotto l’orbita, le pupille divengono particolarmente lucenti e il paziente ha una sensazione soggettiva di luminosità.

Per lo studio del seno frontale la lampada del diafanoscopio viene appoggiata all’angolo supero-interno dell’orbita e il seno frontale traspare abbastanza chiaramente, con il contorno superiore, policiclico, ben visibile. La trasparenza dei seni mascellari e frontali si riduce in seguito a processi patologici di varia natura come infiammazioni, polipi o tumori, che ne invadono la cavità o aumentano lo spessore delle pareti.

Back to top
DIAFANOSCOPIO

vedi NEGATIVOSCOPIO

Back to top
DIAFISI

Parte intermedia delle ossa lunghe, compresa tra le due epifisi. Ha la forma di un tubo irregolarmente cilindrico costituito da osso compatto, contenente all’interno una cavità occupata dal midollo osseo.La d. si accresce nel senso della lunghezza per l’attività delle cartilagini di coniugazione interposte tra la d. e l’epifisi, mentre l’accrescimento in senso trasversale è dovuto all’attività del periostio.

Back to top
DIAFORESI

(o iperidrosi), sudorazione abbondante oltre i limiti normali di 300/500 ml al dì può essere generalizzata o localizzata ad alcuni distretti.La d. Rappresenta un meccanismo fisiologico di regolazione della temperatura corporea, e si ha particolarmente dopo un lavoro muscolare intenso, o in caso di permanenza a un clima molto caldo. Si può manifestare anche nella fase di defervescenza (cioè di calo della febbre), dopo l’assunzione di farmaci diaforetici o di stupefacenti. Essa costituisce un fenomeno patologico quando è la conseguenza di impulsi nervosi anomali come nelle lesioni del sistema nervoso centrale o della sfera emotiva (isterismo, distonie neurovegetative).

In soggetti obesi si ha spesso una d. persistente, localizzata particolarmente alle ascelle, all’inguine, alle mani e alla fronte. L’intervento chirurgico di simpaticectomia toracica impiegato per la cura della d. consiste nell’l’interruzione dei gangli e delle fibre nervose responsabili e si può effettuare con tecnica mininvasiva videotoracoscopica, attraverso piccoli accessi tra le coste.

Back to top
DIAFORETICI

Sostanze che provocano o aumentano la sudorazione. Farmaci ad attività diaforetica sono la pilocarpina, molto usata in passato a tale scopo, e l’eserina. Un effetto diaforetico indiretto, per azione sui meccanismi della termoregolazione, è indotto anche dagli antipiretici.

Back to top
DIAFRAMMA

In anatomia, muscolo che separa la cavità toracica dalla cavità addominale. Di forma appiattita, disposto a volta con la convessità verso la cavità toracica, comprende una parte lombare, una parte costale e una parte sternale. La parte lombare è formata da diversi fasci chiamati pilastri (mediali, intermedi e laterali). I pilastri mediali delimitano una fessura attraverso cui passa l’aorta e, al di sopra di questo orificio, delimitano un’altra fessura (orificio esofageo) per il passaggio dell’esofago. La parte costale si inserisce sulle ultime 6 coste e si ingrana nel muscolo trasverso dell’addome. La parte sternale, la più piccola, è rappresentata da un fascetto di fibre muscolari che si portano dall’estremo inferiore dello sterno all’indietro.

Tutti i fasci muscolari del d. si raccolgono in alto, in un tendine centrale (centro frenico) a forma di foglia di trifoglio, formato da fasci di fibre intrecciati in vario senso. A destra dell’orificio esofageo, si apre un altro orificio per il passaggio della vena cava inferiore. La superficie concava del d. è rivestita dal peritoneo, quella convessa dalla pleura diaframmatica. Durante la contrazione che si ha nell’inspirazione, il d. si sposta in basso aumentando di molto il volume intratoracico lo spostamento è normalmente di circa 1,5 cm, ma può arrivare a 7 cm nell’inspirazione profonda. Il d. può, con una certa frequenza, essere sede di ernie. Uno o più visceri addominali fuoriescono dall’addome e sporgono nella cavità toracica, facendosi strada attraverso una porta erniaria aperta nel muscolo. Le zone diaframmatiche che più frequentemente danno passaggio a un’ernia sono gli spazi tra i fasci muscolari e l’orificio esofageo.

Back to top
DIAGNOSI

Identificazione della malattia, affezione o lesione, della sua sede e della sua natura. All’identificazione si arriva attraverso la valutazione dei vari sintomi e segni presentati dal malato, fatta basandosi sul ragionamento analogico. Il procedimento compiuto dal medico sull’ammalato per formulare una d. si attua in due fasi.

La prima fase è l’osservazione dei sintomi il medico deve distinguere i sintomi essenziali da quelli di importanza secondaria e stabilire quali sintomi dello stato morboso sono primitivi e quali vanno considerati come conseguenza dei primi.

Successivamente, dopo aver chiarito i rapporti fra i diversi sintomi, deve decidere a quale delle diverse malattie note corrisponde maggiormente lo stato morboso studiato.

Il quadro morboso solo raramente si presenta tanto tipico da permettere la sua identificazione con una delle malattie descritte dalla patologia: si può dire allora che la d. è diretta, perché i sintomi rilevati sono talmente caratteristici di un dato processo da non permettere errori. Ma nella quasi totalità dei casi, tale individuazione può essere fatta con sicurezza solo dopo aver istituito un confronto fra gli schemi dei diversi quadri morbosi e i sintomi di quello da diagnosticare, e dopo aver valutato le differenze e le somiglianze presentate dai complessi sintomatici. Pertanto la d. può esser considerata un procedimento analogico. Così schematizzato il procedimento diagnostico, e tenendo presente che essenzialmente è frutto di analogie, è facile comprendere come si sia tentato, negli ultimi anni, di automatizzarlo. Per esempio mediante l’impiego di un calcolatore elettronico capace di eseguire una analisi matematica di un tracciato elettrocardiografico è possibile compiere una d. elettrocardiografica nell’arco di tempo di pochi secondi.

Back to top
DIAGNOSI PRENATALE

Complesso di indagini grazie alle quali è possibile accertare l’esistenza di malattie fetali. La d. prenatale ha tratto grande beneficio dall’ecografia in gravidanza, con la quale è stato possibile scoprire eventuali malformazioni fetali.Le tecniche possono essere divise in dirette ed indirette.Le tecniche dirette o invasive sono l’amniocentesi, la biopsia dei villi coriali (villocentesi o CVS) e la funicolocentesi (o cordocentesi), che consentono di ottenere cellule del feto, sulle quali effettuare analisi cromosomiche ed eventualmente anche studi biochimici e sul DNA.Le tecniche indirette (tritest e duotest) permettono di individuare le gravidanze con rischio aumentato per patologie malformative (sindromi genetiche di cui la più frequente è la trisomia 21 o Sindrome di Down).Vengono anche definite come indagini di screening per anomalie fetali. Si avvalgono del dosaggio di marcatori sierici materni, di valutazioni ecografiche fetali che vengono incrociate con i fattori di rischio materni e l’epoca gestazionale.

Il BI-test si esegue intorno alla 12° settimana (confermata ecograficamente) e prevede il dosaggio della PAPP-A, ß-HCG che vengono incrociate con l’età materna, permettendo di calcolare il rischio individuale. Si parla di test combinato quando si associa il BI-TEST alla misurazione della cosiddetta plica nucale fetale (o translucenza nucale che rappresenta un segno ecografico di S. di Down quando è superiore al valore di normalità).

Il TRI-TEST viene eseguito intorno alla 16° settimana e prevede il dosaggio di afeto proteina, estriolo e ß-HCG che crociati insieme all’età materna e all’epoca gestazionale (confermata ecograficamente), permettono di stimare il rischio specifico individuale.

Il QUADRUPLO TEST prevede l’associazione del TRI-TEST con il dosaggio della inibina A.

Tutti questi test non andrebbero proposti singolarmente poiché si rischierebbe di portare molte più donne alle indagini invasive senza aumentare la proporzione di feti con S. di Down individuati, aumentando invece il numero di feti sani persi a causa delle complicazioni delle procedure invasive.Tutti questi esami indiretti devono essere preceduti da un colloquio con la coppia, che consenta loro di capire il significato probabilistico dei test in modo da decidere con tranquillità e consapevolezza se fare o non fare questi test ed eventualmente quelli di tipo invasivo. Nei casi identificati ad alto rischio si dovrebbe consigliare alla coppia un indagine diagnostica, come l’amniocentesi.

Le indicazioni per l’esecuzione delle tecniche dirette sono: età materna superiore ai 35 anni, figli precedenti con anomalie cromosomiche, genitori con riarrangiamenti cromosomici o familiarità per malattie genetiche o malattie metaboliche, anomalie del feto all’esame ecografico o test di screening positivo.

Back to top
DIAGNOSTICA

Insieme di procedimenti e di tecniche utilizzati per formulare una diagnosi. Il campo della d. si estende a tutti gli stati morbosi che possono verificarsi nell’organismo gli elementi su cui il medico si fonda per formulare una diagnosi sono in parte clinici, in parte di laboratorio, e in parte anatomopatologici.La d. clinica si avvale dei rilievi raccolti dall’ammalato e sull’ammalato mediante l’anamnesi e l’esame obiettivo.

La d. di laboratorio utilizza quei rilievi chimici, radiologici, fisici e strumentali che, opportunamente impiegati, orientano il medico nella interpretazione fisiopatologica di uno stato morboso e quindi permettono un inquadramento più completo e circostanziato della malattia. LA d. anatomopatologica, praticata con lo studio al microscopio di biopsie, o con l’autopsia, individua la natura delle lesioni, riuscendo così a definire una condizione morbosa che molte volte non è riconoscibile con l’esame clinico o con indagini di laboratorio e strumentali.La d. può essere suddivisa secondo gli organi e gli apparati o secondo i campi in cui viene applicata: si parla perciò di d. medica e chirurgica, o radiologica, batteriologica, biochimica, pediatrica, dermatologica ecc.

Back to top
DIALISI

Termine impiegato per indicare una tecnica di depurazione del sangue fondata sui processi fisico-chimici.

Viene impiegata per liberare l’organismo da sostanze indesiderate o tossiche, di natura esogena o endogena, che non possono essere agevolmente o sufficientemente eliminate dagli emuntori naturali, in particolare dal rene. Essa, che ha lo scopo di allontanare dal sangue sostanze aventi dimensioni molecolari piuttosto piccole, riportare a quantità regolari i liquidi organici e a concentrazioni normali le sostanze inorganiche in essi disciolte, è attuata secondo due principali procedimenti: la d. peritoneale e la d. extracorporea, con rene artificiale.

Back to top
DIALISI EXTRACORPOREA

Questa modalità di depurazione extracorporea del sangue, cui meglio si adatta il nome di emodialisi, utilizza, come detto, l’apparecchiatura nota come “rene artificiale” questo consta essenzialmente di superfici dializzanti di modello variabile (a superficie piana, a tubo, a spirale) riproducenti, seppure in modo imperfetto, lo schema approntato dalla natura nell’apparato renale.

Il sangue prelevato dal paziente a livello di un’arteria viene fatto scorrere nell’apparecchiatura ove, sull’altro versante della membrana, circola il liquido dializzante. A questo il sangue del paziente cede le proprie scorie, prima di essere nuovamente immesso nell’organismo attraverso una vena. Per facilitare l’operazione si crea di solito una comunicazione artificiale tra un’arteria e una vena approntando chirurgicamente una fistola arterovenosa, che viene ogni volta collegata al rene artificiale per mezzo di un adatto raccordo.

Di norma si scelgono due vasi del braccio, la vena cefalica e l’arteria radiale.Una limitazione di questo metodo, oltre alla necessità di rendere il sangue incoagulabile una volta portato all’esterno dell’organismo, con pericolo quindi di emorragie, è rappresentata proprio dalla fistola arterovenosa: questa infatti può essere mal tollerata dai pazienti cardiopatici a causa dell’alterazione emodinamica che essa comporta.Nonostante tali inconvenienti l’emodialisi consente la sopravvivenza di pazienti nefropatici gravi o del tutto privi di reni che, prima della sua introduzione, avrebbero avuto possibilità di sopravvivere solo per tempi assai brevi.

Back to top
DIALISI PERITONEALE

Applica il principio chimico-fisico delle membrane dializzatrici alla membrana peritoneale, la quale, per le sue caratteristiche biologiche e per la sua considerevole estensione in superficie, bene si presta a tale funzione essa si lascia attraversare dall’acqua, dagli elettroliti e dall’urea ma non dalle cellule del sangue né dalle proteine plasmatiche.

La d. peritoneale viene attuata introducendo nella cavità peritoneale una sonda collegata al contenitore del liquido dialitico questo viene fatto defluire nella cavità, ove permane per due ore ca., svolgendo la sua attività depuratrice.Composizione e concentrazione della soluzione fanno sì che le sostanze tossiche presenti nel sangue passino nel liquido dializzante, che verrà poi fatto defluire attraverso la stessa sonda d’entrata ed eliminato. Tale tecnica non può essere attuata quando processi patologici a carico del peritoneo, in atto o pregressi, ne riducano la superficie. È indicata qualora non sia facile ottenere un accesso vascolare periferico sufficiente (es. nei pazienti anziani). La maggiore complicazione di questa tecnica è rappresentata dalle peritoniti.

Back to top
DIAPEDESI

Fuoriuscita di elementi figurati del sangue dal letto circolatorio per passaggio attraverso la parete di vasi di piccolo calibro. La d. dei globuli rossi si osserva in condizioni patologiche che comportino una sofferenza e una abnorme permeabilità o fragilità dei vasi sanguigni capillari. La d. dei granulociti, che venne descritta per la prima volta da Cohnheim nel 1867, si osserva nei processi infiammatori e dipende dai movimenti ameboidi dei granulociti stessi, che vengono richiamati nella sede dell’infiammazione per fenomeni di chemiotassi. La d. dei linfociti si ha a livello delle venule postcapillari dei linfonodi qui essi lasciano il circolo ematico per circolare nei tessuti e nei vasi linfatici.

Back to top
DIARREA

Disturbo consistente nella emissione di feci liquide o poltacee, con aumento nella frequenza delle evacuazioni.

Cause
Una d. può essere provocata innanzitutto da condizioni patologiche proprie dell’apparato digerente. Così possono essere causa di diarree acute l’ipermotilità intestinale, brusche modificazioni delle abitudini alimentari (d. del turista), stati tossinfettivi (infezioni tifoparatifiche, dissenteria bacillare o amebica, colera), allergie verso sostanze alimentari (latte e latticini, frutta, pesci, crostacei), intossicazioni (alcol, tabacco, carni guaste, funghi, mercurio, arsenico). Possono essere causa di diarree croniche infiammazioni di parti del tubo digerente o di ghiandole annesse (gastriti, duodeniti, ileiti, coliti, pancreatiti, colecistiti), avitaminosi, parassitosi. Anche malattie che non interessano direttamente l’apparato digerente possono causare d.: per esempio malattie cardiovascolari (cardiopatie scompensate, stasi portale, embolia e trombosi mesenteriche), nervose (psicosi, tabe, nevrastenia, isterismo), urinarie (uremia, prostatiti, ritenzioni urinarie), endocrine (morbo di Basedow, diabete, morbo di Addison). In ogni caso la d. è determinata da un aumento della motilità della muscolatura intestinale, da un aumento delle secrezioni e dell’essudato intestinale e, forse, da un difettoso assorbimento dell’acqua a livello dell’intestino. Si determina così un aumento del numero delle evacuazioni, mentre le feci assumono una consistenza poltacea o decisamente liquida, talora essendo commiste a muco, pus o sangue la loro quantità può essere molto variabile.Si associano solitamente dolore addominale (che precede di poco, accompagna e segue, con senso di tenesmo, ogni evacuazione), meteorismo, tensione addominale, borborigmi e gorgoglii intestinali.Nelle forme più gravi può esservi disidratazione o dimagrimento, in quelle tossinfettive febbre più o meno elevata nelle forme gravissime la disidratazione può portare a un collasso cardiocircolatorio.

Terapia
Accanto al trattamento specifico dei fattori causali (antibiotico o sulfamidico a permanenza intestinale), richiede la somministrazione di astringenti intestinali (sottonitrato di bismuto, acido tannico o acetiltannico), antispastici (derivati della belladonna e dell’oppio) e, meglio, di antidiarroici di sintesi che, oltre a diminuire la motilità intestinale, aumentano anche il riassorbimento di acqua. Nelle forme più gravi con disidratazione sono indicate soluzioni fisiologiche o glucosate isotoniche per fleboclisi o ipodermoclisi e analettici cardiocircolatori. Nelle forme leggere di d. sono sufficienti alcuni accorgimenti dietetici.

Back to top
DIARREA DEL VIAGGIATORE

Malattia diventata di attualità da quando è notevolmente aumentato il flusso turistico nei paesi caldi, tropicali e subtropicali. Questa forma patologica si contrae attraverso gli alimenti e le acque, inquinati da virus (specialmente rotavirus ed enterovirus) e batteri (specialmente coli, salmonelle, yersinie, proteus). La sintomatologia, che compare alcuni giorni dopo l’infezione, è caratterizzata da diarrea, febbre elevata, dolori addominali si risolve per lo più spontaneamente o con somministrazione di antibiotici.

Back to top
DIARTROSI

Tipo di articolazione tra due ossa che consente una notevole mobilità ai due capi articolari.La caratteristica principale delle d. è di possedere una cavità posta fra i due capi articolari, detta cavità articolare grazie ad essa le due superfici articolari possono scorrere liberamente l’una sull’altra. Le d., quindi, appartengono alla categoria delle articolazioni mobili. Esse presentano alcune strutture fondamentali comuni che sono:

  • le superfici articolari hanno forma variabilissima e sono quasi sempre foggiate in maniera tale che l’una si adatti all’altra. Sono molto lisce perché ricoperte di un sottile rivestimento cartilagineo (la cartilagine articolare);
  • la capsula articolare è costituita da un involucro esterno connettivale detto membrana fibrosa, che avvolge l’articolazione fissandosi ai contorni delle superfici articolari. In alcune parti questa membrana è rafforzata da fasci fibrosi che ricevono il nome di legamenti articolari. Sulla sua superficie interna è applicata una sottile lamina, pure di natura connettivale, la membrana sinoviale;
  • la cavità articolare corrisponde allo spazio compreso fra le due superfici articolari e ha perciò, in genere, la forma di una sottile fessura, riempita da un liquido giallastro che lubrifica le pareti, denominato sinovia o liquido sinoviale.

All’articolazione sono annessi i legamenti, che in taluni casi sono strettamente aderenti alla capsula fibrosa, dalla quale derivano per un ispessimento della sua parete (legamenti articolari) in altri casi sono estranei alla capsula (legamenti a distanza) in altri casi, infine, sono localizzati nella cavità articolare stessa (legamenti intrarticolari). Altre strutture talvolta presenti nelle articolazioni sono i dischi intrarticolari, formazioni fibro-cartilaginee disposte fra una superficie articolare e l’altra e i menischi che, a differenza dei dischi, sono perforati al centro.

Le d. presentano notevole varietà di forma, secondo il tipo di movimento che ciascuna di esse deve svolgere, e possono essere classificate in:

  • artrodia, quando le superfici articolari sono piane e gli spostamenti dei due capi articolari avvengono parallelamente alla loro superficie (per esempio, l’articolazione fra le ossa cuneiformi e le ossa metatarsali del piede);
  • enartrosi, quando uno dei due capi articolari ha la forma di un segmento di sfera, per cui sono resi possibili i movimenti in tutte le direzioni (l’articolazione dell’anca o coxo-femorale);
  • articolazione a sella, quando una superficie articolare è concava in un senso e convessa nel senso perpendicolare al primo (l’articolazione del trapezio con il primo metacarpale);
  • condilartrosi, quando i due capi articolari hanno forma ellissoidale (per esempio, l’articolazione omero-radiale);
  • articolazione trocleare o ginglimo angolare, quando un capo articolare ha la forma di una puleggia (l’articolazione omero-ulnare);
  • articolazione trocoide o ginglimo laterale, quando un capo articolare ha forma cilindrica e ruota in un anello osteo-fibroso (l’articolazione radio-ulnare a livello del gomito).

Gli ultimi quattro tipi di articolazione permettono unicamente movimenti angolari.

 

Back to top
DIASCOPIA

Tecnica per esplorare la cute premendo una lastrina di vetro (diascopio) contro la pelle. La pressione esercitata allontana il sangue e ciò permette di rilevare piccoli stravasi emorragici, noduli, pigmentazione anomala.

Con il termine diascopia (sinonimo di diafanoscopia o transilluminazione) si indica anche un sistema fotografico che utilizza l’illuminazione per trasparenza per riprendere alcune cavità corporee (es. seni facciali, testicoli). In questo modo è possibile osservare la presenza di versamenti o ispessimenti delle pareti.

Back to top
DIASTASI

Allontanamento permanente di due superfici articolari, che si produce per processi traumatici e patologici. Si tratta più spesso di traumi che, ledendo il complesso capsulo-legamentoso di una articolazione, permettono l’allontanamento dei rispettivi capi articolari.

Le forme più comuni sono:

  • la d. dell’articolazione tibiotarsica (tra tibia e perone a livello della caviglia);
  • la d. della sinfisi pubica durante la gravidanza, particolarmente nelle donne che hanno avuto molti parti.

La terapia, quando necessaria, prevede la riduzione, cioè il ripristino di una situazione articolare normale tramite il riavvicinamento dei capi articolari diastasati.Questo può essere ottenuto con un intervento chirurgico o in modo incruento e mantenuto con una immobilizzazione in gesso.Si definisce d. anche l’allontanamento tra due monconi di frattura dovuto a interposizione di parti molli, quali i muscoli, o allo spostamento per la violenza del trauma. Anche questa d. va corretta, eventualmente con intervento chirurgico, per evitare gravi ritardi di consolidazione.

Back to top
DIASTEMA

Spazio esistente fra due denti, che il più delle volte sono gli incisivi centrali superiori e gli inferiori. Frequentemente, ma non sempre, si accompagna alla presenza di un frenulo notevolmente spesso.

Si tratta di un difetto estetico che può essere corretto con opportuni procedimenti di ortodonzia.

Back to top
DIASTOLE

Fase del ciclo cardiaco, della durata di circa 0,4 secondi, durante la quale la muscolatura del cuore si rilascia e le sue cavità si riempiono di sangue. Nel periodo diastolico le valvole semilunari (aortica e polmonare) sono chiuse mentre le valvole atrioventricolari (mitrale e tricuspide) sono aperte. Per l’elasticità delle arterie, le cui pareti sono state distese dal volume di sangue precedentemente espulso dai ventricoli, il sangue continua a defluire verso i vasi periferici nei ventricoli frattanto si verifica un afflusso di sangue dalle grosse vene attraverso gli atri, non esistendo alcun ostacolo al passaggio del sangue. Il periodo diastolico del cuore termina quando gli atri entrano in contrazione, contribuendo per una piccola frazione (25%) al riempimento totale dei ventricoli.

La d. ventricolare invece dura ancora per un breve istante e termina quando i ventricoli iniziano a contrarsi: le valvole atrioventricolari di conseguenza si chiudono. In questo momento si genera nel cuore il primo tono cardiaco. L’inizio della d. viene denominato, per la precisione, protodiastole in questo periodo la muscolatura ventricolare, ancora contratta, inizia a rilasciarsi. La pressione all’interno dei ventricoli diminuisce e praticamente pochissimo sangue defluisce ancora dai ventricoli alle grosse arterie.Quando la pressione endoventricolare scende al di sotto della pressione esistente nell’aorta e nell’arteria polmonare, le valvole semilunari si chiudono per un breve periodo tutte le valvole della cavità ventricolare sono chiuse e la pressione al suo interno va progressivamente diminuendo.

La d. vera e propria, intesa come periodo di riposo della muscolatura cardiaca, ha luogo allorché le valvole atrioventricolari si aprono e il sangue contenuto negli atri entra nelle cavità ventricolari. Approssimativamente la d. dura dal II al I tono cardiaco di ogni ciclo. Durante questo periodo l’elettrocardiogramma è muto. Il principale fenomeno fisiologico che caratterizza la d. è il riempimento dei ventricoli. Esso non è un fenomeno attivo, nel senso che il cuore non esercita una forza aspirante che richiama il sangue nelle cavità cardiache dipende unicamente dalla differenza di pressione tra le grosse vene da un lato, gli atri e i ventricoli dall’altro.

Back to top
DIATERMIA

Applicazione di corrente a elevata frequenza sul corpo umano a scopo terapeutico. Fra gli effetti della corrente elettrica a frequenza sufficientemente elevata sul corpo umano è particolarmente importante quello termico che in alcuni casi porta benefici effetti su tutto l’organismo o su determinati organi in particolare, provocando aumento generale dei fenomeni del ricambio, iperemia con stimolazione generale del sistema endocrino, nonché effetti analgesici e antispasmodici.

La d. è indicata particolarmente in determinati stati morbosi: nevralgie in periodo subacuto, paralisi spastiche, ipertensione, artriti subacute e croniche ecc.La quantità di energia elettrica fornita nella d. al paziente è notevole, ma data l’elevata frequenza in gioco gli effetti di stimolo sulle strutture nervose e muscolari sono pressoché nulli.

Back to top
DIATERMOCOAGULAZIONE

(O elettrocoagulazione), applicazione medicochirurgica di corrente ad alta frequenza che viene concentrata in un punto provocando, per effetto termico, una distruzione e una rapida coagulazione cellulare.La d. trova impiego in chirurgia per sezionare mediante uno strumento chiamato elettrobisturi tessuti profondi o per ottenere l’emostasi di piccoli vasi, in ginecologia per la cura delle erosioni della mucosa cervicale, in dermatologia per la cura di piccole lesioni cutanee (quali verruche, condilomi, fibromi penduli ecc.).

Back to top
DIATESI

Accentuata predisposizione dell’organismo verso determinate malattie tra di loro affini. Si tratta di un fenomeno strettamente legato alla costituzione del soggetto, trasmesso ereditariamente, espressione di una particolare forma di reazioni dell’organismo, che peraltro non presenta apprezzabili alterazioni della sua struttura o delle sue funzioni, di fronte a stimoli privi di effetto sull’organismo normale, o anche in assenza di qualsiasi stimolo.

Sono state distinte numerose d., e il termine è usato anche per indicare in modo molto generico la predisposizione di un organismo a presentare determinate manifestazioni morbose. Si è parlato così di d. artritica, essudativa, linfatica, allergica, emorragica, angiodistrofica ecc.

Back to top
DIATESI ARTRITICA

Predisposizione morbosa verso quelle malattie, comunemente dette artritiche, che sono in rapporto con disturbi del ricambio, quali la gotta, il diabete, l’obesità, le calcolosi, l’artrosi. Nell’infanzia sarebbero manifestazioni di d. artritica i disturbi dell’apparato digerente, respiratorio e cutaneo.

Back to top
DIATESI ESSUDATIVA

Abnorme tendenza della cute e delle mucose alle manifestazioni infiammatorie di tipo essudativo (congiuntiviti, riniti, bronchiti, angine catarrali, eczemi, ecc.).

Back to top
DIATESI LINFATICA

vedi LINFATISMO

Back to top
DIATESI NEUROARTRITICA

vedi NEUROARTRITISMO

Back to top
DIAZEPAM

Farmaco derivato della benzodiazepina. Ha effetto ansiolitico, anticonvulsivante, miorilassante, ipnotico. Ha molteplici indicazioni grazie alla sua maneggevolezza ed agli scarsi effetti collaterali. Viene usato nelle psiconevrosi di tipo ansioso, negli stati di ansia che accompagnano molte malattie organiche, nella crisi epilettica e in alcune malattie psicosomatiche.

È utile anche nelle psiconevrosi moderatamente depressive e nella sindrome da astinenza nel corso della riabilitazione dei pazienti affetti da alcolismo cronico o da altre tossicomanie. È indicato anche come rilassante muscolare in molte malattie dell’apparato locomotore e del sistema nervoso centrale e periferico associate a spasmi muscolari. La tossicità è modesta. Può dare talvolta sonnolenza, nausea, astenia, cefalea, ipotensione, soprattutto quando è usato a dosi elevate.

L’uso prolungato può indurre abitudine e la sospensione brusca può dare luogo a una sindrome da astinenza. Deve essere usato con cautela nei pazienti debilitati o con malattie epatiche o renali e in alcune psicosi. In gravidanza non andrebbe somministrato cronicamente nel primo trimestre. Si somministra per via orale, endovenosa, intramuscolare.

Back to top
DIAZOSSIDO

Farmaco antipertensivo che agisce sulla muscolatura liscia dei vasi. Il suo impiego è ristretto a situazioni di emergenza clinica. Provoca ritenzione di sodio e riduce la tolleranza ai carboidrati. Per ottenere un effetto ipotensivo deve essere somministrato rapidamente in vena. Provoca una immediata riduzione della pressione arteriosa e i suoi effetti durano qualche ora.

Back to top
DIBUCAINA

(O nupercaina), uno degli anestetici locali più efficaci e ad azione prolungata, anche se piuttosto tossico. Era usato nell’anestesia di superficie, di infiltrazione e spinale, attualmente sostituito da analoghi prodotti meno tossici come la Xilocaina, Mepivacaina, Bupivacaina, etc. Numero di dibucaina

Per un corretta valutazione del rischio operatorio è essenziale determinare questo parametro che consente di evidenziare gli individui con un normale livello sierico di colinesterasi ma portatori di varianti genetiche di quest’enzima in grado di provocare depressione respiratoria. In questi pazienti, testando l’attività colinesterasica in presenza di un suo inibitore naturale, il cloridrato di dibucaina, si è visto che l’enzima conserva quasi invariabilmente la sua attività.I valori di riferimento sono: 70-90% nei soggetti normali 30-70% nei soggetti eterozigoti o minore del 30% nei soggetti omozigoti.

Back to top
DIC

Sigla di Disseminated Intravascular Coagulation.

Back to top
DICLOFENAC

Farmaco antinfiammatorio non steroideo. Possiede notevoli proprietà antinfiammatorie e analgesiche, per cui viene usato principalmente nelle forme artritiche, artrosiche e nella artrite reumatoide, ma anche in alternativa ai narcotici nel dolore postoperatorio, nelle coliche renali ed epatiche e nelle prime fasi della terapia del dolore da cancro.

Come tutti i FANS, può avere effetti lesivi sulla mucosa gastrica e provocare nausea, dolori addominali, e problemi epatici. Pertanto, in caso di terapie prolungate, sarebbe consigliabile controllare ogni mese la funzionalità epatica.

Back to top
DICLORFENAMIDE

Inibitore della anidrasi carbonica.

Back to top
DICLOTRIDE

vedi IDROCLOROTIAZIDE

Back to top
DICROTISMO

Fenomeno per cui, in alcune malattie, alla palpazione di un’arteria periferica ogni pulsazione viene apprezzata come costituita da due pulsazioni immediatamente succedentisi, di cui la seconda più piccola della prima. È dovuto a un’esagerazione dell’onda dicrota normalmente presente durante la fase discendente dell’onda pulsatoria, espressione del rimbalzo della colonna di sangue alla chiusura delle valvole semilunari aortiche. Si manifesta in caso di ipotonia delle pareti vasali, quale si ha per esempio in malattie infettive acute.

Back to top
DICUMAROLO

Composto chimico ad attività anticoagulante indiretta, capace di contrastare l’azione della vitamina K.Causa una diminuzione della produzione epatica dei fattori emocoagulativi vitamina K-dipendenti (protrombina, fattore VII, IX, X) e conseguentemente una diminuzione della coagulabilità del sangue. La azione farmacologia è piuttosto lunga, almeno 18 h, dipendendo dalla velocità di sintesi di tali fattori da parte del fegato. Questo è un problema non indifferente nel caso di emorragie da sovradosaggio, in quanto il tempo per neutralizzare l’effetto anticoagulante è lungo. Si può ovviare a questo problema somministrando vitamina K o, nei casi più urgenti, sangue intero o plasma.

Il farmaco, derivato dal d., attualmente più usato per la sua maggiore maneggevolezza è il Warfarin sodico. I dicumarolici sono indicati per la prevenzione delle recidive trombotiche in pazienti che abbiano avuto infarto cardiaco, ictus, embolia polmonare, trombosi venosa profonda ripetuta e per prevenire tali patologie in pazienti cardiopatici (es. con fibrillazione atriale) o con trombofilia ereditaria. Vanno sospesi almeno 10 gg prima degli interventi chirurgici, sostituendoli con l’eparina a basso peso molecolare.La somministrazione è per bocca, ed in genere si sovrappone per un certo periodo di tempo alla somministrazione sottocutanee di eparina a basso peso molecolare, fino a raggiungere l’effetto terapeutico desiderato.

L’effetto terapeutico di scoagulazione deve essere attentamente monitorato, per non sottodosare (rischio di trombosi) né sovradosare (rischio di emorragia) il farmaco, tramite prelievo di sangue, con controllo dei parametri coagulativi, ed in particolare l’INR (International Normal Ratio), che deve avere valore compreso tra 2,0 e 4,0 a seconda della patologia da trattare. All’inizio del trattamento può essere necessario eseguire tale controllo anche giornalmente. Le controindicazioni sono le seguenti: storia clinica di patologie del sistema coagulativo in senso emorragico (es. emofilia), ipertensione severa, insufficienza renale, gravidanza, ulcera peptica,interventi chirurgici recenti, emorragie cerebrali pregresse, TBC attiva.

Back to top
DIDANOSINA

Farmaco antiretrovirale inibitore nucleosidico della trascriptasi inversa (NRTI). Agisce bloccando la conversione dell’RNA virale in DNA. È stata la seconda molecola registrata per la terapia dei pazienti sieropositivi HIV.Recentemente si è notata una alta percentuale di fallimenti terapeutici se la d. viene associata al tenofovir. Gli effetti collaterali includono la neuropatia periferica, la pancreatite e la diarrea.

Back to top
DIENCEFALO

Porzione dell’encefalo embrionale individuabile nel corso della quinta settimana di vita intrauterina, quando l’encefalo stesso appare formato da cinque vescicole che si succedono in senso anteroposteriore e che sono denominate, nell’ordine: telencefalo, diencefalo, mesencefalo, metencefalo, mielencefalo. Il d. deriva dalla differenziazione della parte caudale della primitiva vescicola cerebrale anteriore o prosencefalo. Risultano derivati dal d., in condizioni definitive di sviluppo, i nuclei del talamo, dei corpi genicolati mediali e laterali, e dell’ipotalamo le strutture dell’epitalamo il lobo posteriore e il peduncolo dell’ipofisi. Il pavimento del d. continua in avanti e lateralmente nelle vescicole ottiche, dalle quali deriveranno la retina e le fibre del nervo ottico. La cavità del d. costituirà invece la maggior parte del terzo ventricolo cerebrale.

Back to top
DIERESI

In chirurgia uno degli atti che compongono un intervento chirurgico ed in particolare tutte quelle manovre strumentali che realizzano la separazione di tessuti fra loro eseguita con strumenti meccanici o con mezzi fisici (calore, corrente elettrica, laser, ultrasuoni). Tale separazione si definisce:

- incisione se effettuata con strumenti che realizzano un taglio lineare (bisturi a lama bisturi elettrico o ad ultrasuoni laser harmonic scalpel);

- dissezione se operata in tutto o in parte per via smussa con l’ausilio di forbici, pinze, spatole, batuffolini di garza montati su pinze, le dita della mano (d. digitale o digitoclasia) o altri strumenti a punte smusse;

- sezione se la separazione dei tessuti o delle strutture anatomiche è completa.

La d. termica (diatermia) si pratica con l’elettrobisturi (monopolare o bipolare): l’effetto della coagulazione o di taglio dipende dal tipo di corrente erogata all’elettrodo attivo dello strumento.

Back to top
DIETA

Regime alimentare necessario per la conservazione della salute e del benessere dell’individuo. Per conservare il proprio organismo in perfetto stato nutrizionale e funzionale ogni individuo deve alimentarsi consumando ogni giorno la razione alimentare a lui adatta, in rapporto all’età, allo stato di salute e alla vita di relazione. L’insieme degli alimenti che la compongono devono essere digeriti bene e, attraverso la funzione del tubo digerente, rielaborati ed assorbiti in modo che una sufficiente quantità di principi essenziali per il metabolismo arrivi al sangue.

Una d. ottimale deve comprendere, oltre all’acqua, un’adeguata quantità di proteine, grassi, carboidrati, minerali e vitamine. Il valore calorico di una d. deve essere uguale all’energia spesa come lavoro e come calore perché il peso si mantenga costante. Se le entrate caloriche sono insufficienti vengono consumate sostanze di riserva e si ha dimagrimento se al contrario le entrate sono eccessive si ha ingrassamento. Il fabbisogno calorico giornaliero di una persona in normali condizioni fisiche è di circa 2500-3000 kcal. Tale numero di calorie può essere fornito con una d. che contenga proteine, grassi e glucidi in varie proporzioni. Se la razione alimentare è squilibrata a favore di uno dei suoi componenti, dopo un tempo più o meno lungo l’individuo va inevitabilmente soggetto a malattie metaboliche e da malnutrizione.È raccomandabile l’introduzione di almeno 1 g di proteine per chilogrammo di peso corporeo, che assicurano, a un uomo di 70 kg, 280 kcal. Il resto del fabbisogno calorico viene coperto con grassi e glucidi in proporzioni che dipendono da vari fattori (gusti, possibilità economiche ecc.). Sono raccomandabili 60 g di grassi (558 kcal) e 520 di carboidrati (2160 kcal ca.).

Anche la qualità delle sostanze nella d. ha una certa importanza. Non devono mancare le proteine di origine animale che compongono gli aminoacidi nelle proporzioni richieste per la sintesi proteica tra quelle vegetali non tutte presentano tali requisiti e alcune mancano addirittura di certi aminoacidi.I lipidi devono contenere un’adeguata quantità di acidi grassi insaturi oltre a quelli saturi. Il fabbisogno di sali e vitamine per quanto basso deve essere assicurato nella d.È ovvio che, a parità di condizioni, la d. deve subire delle varianti a seconda delle stagioni è cosa nota che una d. sufficiente durante l’inverno diventa eccessiva nel periodo estivo in estate i grassi devono essere ridotti al minimo e i carboidrati, pur dovendo costituire la parte prevalente del valore energetico delle razione, devono essere forniti, in buona parte, dalle insalate, dalle patate e dalla frutta zuccherina.Per stimolare le funzioni gastrointestinali depresse dal caldo, è bene che i cibi siano conditi con erbe aromatiche e con spezie e si deve concedere anche qualche nervino (caffè, tè, vino, birra).Quando fa molto caldo è bene che la razione giornaliera non superi le 2000 kcal e venga divisa in quattro piccoli pasti. Durante l’inverno, poiché le basse temperature esterne sottraggono calore al corpo, è bene che la razione alimentare sia particolarmente ricca di grassi (è opportuno ricordare che i grassi liberano da 1 g 9 kcal, invece che 4 come i protidi e i glucidi).Ciò che è stato finora esposto vale per individui in stato normale di salute, ma non per esempio per i gastroenteropatici e per gli individui in particolari condizioni (gravidanza, allattamento), per i quali il medico deve prescrivere diete speciali a base di alimenti combinati in regimi alimentari di valore terapeutico.Per seguire una buona dieta, bisogna anzitutto ricordare che il cervello, per la sua attività, ha soprattutto necessità di zucchero e fosforo (utilizzabile sotto forma di fosfolipidi).La quota di proteine, poi, per oltre la metà deve essere costituita da proteine animali (carni, uova, pesci, latte, formaggi).

Di grande importanza è anche l’assunzione di vitamine, particolarmente di quelle appartenenti al gruppo delle vitamine B.Inoltre, perché un regime alimentare sia veramente efficace, deve anche seguire delle norme precise che consentano a stomaco, fegato, reni e, in generale, a tutti gli organi del nostro corpo, di lavorare in modo adeguato senza tuttavia sovraccaricare l’attività del cervello.Vediamo adesso quali sono le principali regole da osservare:- sforzarsi di seguire orari ben determinati e costanti per prima colazione, pranzo, cena.L’orario fisso risponde ad una rigorosa necessità del nostro apparato gastrointestinale che è essenzialmente abitudinario. Una variazione degli orari può talvolta disturbare notevolmente, oltre all’organismo, anche la nostra attività intellettuale - non caricare eccessivamente la quantità di cibo durante pranzo e cena: le abbuffate sono sempre negative per il nostro cervello - gli alimenti devono essere semplici, non elaborati, non complicati da un’eccessiva presenza di grassi e da salse di difficile digestione - bisogna evitare di bere alcolici forti o abusare del caffè, mentre può essere utile un bicchiere di vino (non di più) a pranzo o a cena - sarebbe anche utile, durante i pasti, evitare qualsiasi tipo di discussione, alle quali, purtroppo, invece facilmente indulgono particolarmente proprio gli intellettuali - consumare i pasti senza fretta, masticando lentamente per favorire la digestione.Nei pazienti affetti da malattie di lunga durata la giusta d. ha una importanza fondamentale non sono infatti rari i casi in cui l’esito delle più perfette terapie medico chirurgiche viene compromesso dall’insorgenza di squilibri e carenze dovuti a incongrua alimentazione.

Back to top
DIETETICA

(O dietologia). Branca della medicina che tratta dei regimi alimentari: si basa sulla conoscenza dei fabbisogni nutritivi dell’organismo da un lato e sulla composizione degli alimenti dall’altro, e si realizza nella prescrizione delle diete.

Back to top
DIETILSTILBESTROLO

Estrogeno di sintesi non steroideo che venne impiegato, per lo più in America alla fine degli anni ‘40, per prevenire l’aborto, il parto pretermine, la morte fetale endouterina, le complicanze del diabete gestazionale, nonché per trattare la preeclampsia. In un decennio, circa 5 milioni di donne americane hanno assunto questo farmaco. Ciò che non si conosceva all’epoca erano gli effetti di questa sostanza sul feto, sia maschio che femmina.

Nel maschio si sono evidenziate tutta una serie di anomalie benigne a carico dell’apparato urogenitale, fra cui criptorchidismo, ipospadia, stenosi uretrale, ecc. e non trascurabili sono gli effetti sulla fertilità, legati al cattivo funzionamento degli spermatozoi.Nelle femmine, si sono riscontrate anomalie benigne a carico del tratto genitale che, a seconda delle statistiche, arrivano fino al 90%. Tuttavia il rischio maggiore è quello legato all’insorgenza di una grave forma tumorale, detta adenocarcinoma a cellule chiare, della vagina o della cervice.

La probabilità è tanto maggiore quanto più precoce è stata l’esposizione al farmaco e soprattutto se la madre lo ha assunto prima della 12° settimana, per un periodo prolungato e ad alti dosaggi. Come nell’uomo, ma probabilmente in questo caso le dimensioni del problema sono maggiori, anche nelle donne possono presentarsi segni di sterilità, infertilità o subfertilità.In certi casi l’ormone sembrava assunto dalle madri non direttamente, ma attraverso l’ingestione di carni di animali con esso trattati. Questo tumore, inoltre, colpisce le donne giovani, di solito fra i 17 e i 20 anni ed è molto aggressivo. Anche nelle forme diagnosticate presto, grazie ad una sorveglianza stretta delle bambine esposte, la terapia, chirurgica, è demolitiva.

Back to top
DIETOLOGIA

vedi DIETETICA

Back to top
DIFENIDRAMINA

Farmaco a forte azione antistaminica e modica azione anticolinergica. È usata nel trattamento di talune allergie, nella terapia del morbo di Parkinson e nelle sindromi di movimento. Si somministra per via orale e parenterale vi sono anche preparati per applicazioni locali. L’effetto collaterale principale e la sedazione, quindi non devono essere assunti se ci si deve mettere alla guida di veicoli a motore.

Back to top
DIFENILIDANTOINA

vedi FENITOINA

Back to top
DIFESA, meccanismi di

In Immunologia. Processi messi in atto dall’organismo per difendersi dall’invasione di agenti estranei (quali batteri, virus, sostanze organiche ecc.), da cui il nostro corpo è circondato e che possono penetrare e moltiplicarsi al suo interno, provocando un’infezione che potrebbe anche essere mortale.

Una prima linea di difesa contro questi microrganismi è costituita dalla pelle che rappresenta una difesa innata e aspecifica al loro insediamento all’interno del nostro corpo questa barriera esterna, tuttavia, sarebbe insufficiente se non esistessero diverse sostanze capaci di proteggere internamente le mucose, come il muco (che si trova nel rinofaringe) o il lisozima (un enzima presente nella maggior parte delle secrezioni) o ancora gli acidi gastrici, che rappresentano dei meccanismi supplementari, attraverso i quali l’organismo è protetto dagli agenti esterni.Intervengono anche fattori meccanici, come per esempio il movimento delle ciglia vibratili a livello dell’epitelio respiratorio che permette di espellere i microrganismi nello stesso modo le diverse secrezioni (lacrimale, nasale, salivare ecc.) assicurano l’eliminazione meccanica dei germi.La seconda linea di difesa contro i germi (dopo il superamento delle barriere esterne) è l’insieme del sistema reticolo-istiocitario, una difesa circolante costituita da cellule fagocitarie, grosse cellule capaci di divorare, inglobandoli, gli eventuali corpi estranei penetrati nell’organismo.Oltre a queste diverse cellule, un ruolo essenziale è giocato anche da alcuni fattori presenti nei liquidi corporei. In primo luogo bisogna citare le diverse proteine del complemento, frazione proteica contenuta nel siero del sangue che rafforza la risposta immunitaria attaccando e “rompendo” vari tipi di cellule compresi batteri e microrganismi in genere, ovunque sia avvenuta una reazione antigene-anticorpo.Infine, per quanto riguarda le infezioni virali, le cellule dell’organismo sono in grado di produrre una proteina, chiamata ínterferone, che possiede la proprietà di interferire con la replicazione virale.In Psicoanalisi.

Sono meccanismi di difesa tutte quelle azioni che l’io riesce ad attivare per proteggersi dall’Es. Accade cioè che dall’inconscio possono premere impulsi di vario genere che l’Io, in quanto componente consapevole e razionale della persona, non vuole o non è in grado di accettare. A questo punto vengono messi in azione dei meccanismi che bloccano la strada all’Es e proteggono il soggetto da una possibile esplicita emergenza di contenuti non desiderati.Naturalmente l’attivazione di meccanismi di d. implica l’impiego di energie psichiche che, rivolte a controllare i contenuti inconsci non accettati, non possono essere impiegate per altri scopi. È abbastanza normale che l’individuo, anche adulto, faccia ricorso all’uso di meccanismi di d.: di fronte agli insuccessi, alle frustrazioni, e ai tanti eventi contrari della vita quotidiana l’Io ricerca e trova mezzi per difendersi dall’angoscia e dalla paura.L’attivazione dei meccanismi di d. è un processo psicologico che si svolge in modo dinamico e inconscio: il soggetto non si rende conto di utilizzare tali strumenti per proteggere il proprio Sé.Fare una elencazione precisa dei meccanismi di d. è molto difficile: in un certo senso, l’Io per difendersi utilizza tutto ciò che può avere a disposizione. È possibile comunque fare riferimento ad alcune tipologie che più frequentemente si presentano.- Rimozione. È il meccanismo di d. più conosciuto. È come se l’Io sbarrasse la via all’Es: i contenuti presenti nella memoria inconscia, e non desiderabili dal soggetto, vengono rimossi, nel senso che è come se non esistessero più.Apparentemente tali ricordi sono del tutto dimenticati, ma solo apparentemente. Infatti continuano a premere per emergere a livello di coscienza, e l’Io deve continuamente mobilitare energie psichiche per conservarli nella condizione di r. Eventi improvvisi o particolarmente traumatici possono ridurre le capacità di difesa dell’Io: in questo caso i contenuti rimossi possono affacciarsi all’improvviso a livello di coscienza, con tutta la loro carica emotiva che può assumere valori distruttivi. In altri casi i contenuti rimossi possono emergere a livello di coscienza quando le difese dell’Io sono più deboli, come accade durante il sogno quanto tali contenuti si presentano sotto forme simboliche.Altre volte ancora possono manifestarsi in occasione del lapsus, quando cioè piccole dimenticanze o banali errori di comportamento assumono significati simbolici collegati in qualche modo ai valori dei contenuti rimossi.- Formazione reattiva. È un meccanismo particolare e sotto certi aspetti sorprendente.


È presente nei confronti di una persona, oggetto, situazione o altro, un particolare sentimento (odio, crudeltà, ostinazione ecc.). Questo sentimento viene visto dall’Io come pericoloso e trasformato nel suo contrario (rispettivamente amore, gentilezza, disponibilità ecc.). Naturalmente il sentimento originario permane, e preme per emergere. Ciò può accadere in situazioni di particolare tensione emotiva. In molti casi l’amore esasperato per gli animali può nascondere un profondo ma inconscio sentimento di odio e di sadismo. Così inversamente un odio esplicitato può coprire un inconfessato amore.

- Identificazione. In una situazione di forte dipendenza emotiva, il soggetto tende a identificarsi con un’altra persona assumendone i comportamenti e gli atteggiamenti. Tale meccanismo è una modalità tipica di reazione di fronte a situazioni che producono incertezza e che sono effetto di fallimenti e frustrazioni.

- Isolamento. Consiste in un processo particolare per cui eventi, desideri e fatti non graditi e spiacevoli dal punto di vista affettivo vengono ricordati in quanti tali, perdendo però il collegato valore affettivo. In altri termini, ciò di cui l’Io ha timore è che emergano a livello di coscienza contenuti inconsci disturbanti dal punto di vista emotivo-affettivo. Il meccanismo dell’isolamento permette che venga isolato l’evento in quanto tale, non più pericoloso in quanto deprivato della componente emotivo-affettiva.

- Annullamento. Consiste nell’attivazione di comportamenti che hanno l’effetto di annullare, agli occhi del soggetto, le conseguenze relative ad un proprio desiderio inconscio non accettato. Se un individuo nutre un desiderio inconscio di fare del male ad una persona, può attivare dei conportamenti rivolti a guarire ed a curare altre persone od animali: questi comportamenti acquistano così il significato di azioni di riparazione valide ad “annullare” gli effetti specifici collegati al proprio desiderio di violenza.

- Negazione. Molto semplicemente si nega una parte o anche tutti i dati della realtà esterna, quando hanno un valore di attentato all’esistenza dell’Io. Ci si oppone a fatti della vita quotidiana, anche oggettivi, negandoli tramite lo sviluppo di fantasie o l’attivazione di comportamenti che simbolicamente modificano i dati del reale a proprio vantaggio.

- Proiezione. È un meccanismo di d. molto comune ed usuale: si vedono negli altri atteggiamenti, intenzioni, desideri che sono invece propri. Non di rado il “sentirsi perseguitati” è l’effetto di tale azione di proiezione di propri vissuti e desideri su chi è intorno. Accade così che a volte “si vede ciò che si vuole vedere”, come si verifica nel caso di genitori che proiettano sui figli dei propri vissuti e li valutano non per ciò che effettivamente sono, bensì attraverso il filtro dei propri desideri proiettati. In tale azione proiettiva non è difficile, a lungo andare, perdere il senso e il contatto con la realtà.

- Rivolgimento contro il Sé. È un meccanismo di difesa tipico dell’età infantile. Il soggetto, non potendo dirigere verso l’esterno e realizzare i propri desideri, tende a rivolgerli verso se stesso. È come se il soggetto si identificasse momentaneamente con l’oggetto del desiderio in modo che l’azione rivolta verso se stesso acquisti simbolicamente il valore di un’azione diretta verso l’oggetto esterno. Il bambino che si fa del male molto probabilmente in quel momento sta facendo del male a un oggetto esterno che non può raggiungere o su cui non può sfogare la propria rabbia.

- Regressione. Il soggetto tende a regredire, cioè a ritornare su comportamenti e situazioni appartenenti ad una fase precedente della propria vita. Solitamente tale fase era stata vissuta come rassicurante e protettiva.Sintomaticamente la regressione si manifesta quando alle persone vicine vengono attribuiti ruoli e richiesti comportamenti tipici dei personaggi che nella storia della vita individuale hanno svolto funzioni di protezione in contesti rassicuranti.

- Razionalizzazione. Il soggetto tende a ricercare ed a dare spiegazioni e giustificazioni estremamente razionali a comportamenti o desideri che hanno invece una natura squisitamente emotiva e irrazionale. Il soggetto cioè non riesce ad accettare la propria spinta emotiva, nega anzi la sua presenza e giustifica i suoi effetti in base a considerazioni di natura razionale. I meccanismi di d. solitamente non agiscono mai isolatamente, ma ne sono presenti più di uno contemporaneamente, e la loro azione è rivolta a mantenere stabile l’identità dell’Io, dando sollievo all’angoscia e alla paura.

Back to top
DIFTERITE

Malattia infettiva contagiosa causata da un agente specifico, il Corynebacterium diphtheriae.

Cause
Il Corynebacterium diphteriae è un bacillo rettangolare gram-positivo, lungo da 1 a 8 millesimi di millimetro, immobile, che infetta solamente l’uomo. Diffusa in tutto il mondo, nei Paesi sviluppati è quasi scomparsa grazie alla vaccinazione di massa. Anche in Italia si verificano solo pochi casi all’anno. Negli ultimi 30 anni è diventata una malattia così rara da rivivere solo nei ricordi dei medici più anziani.La d. predilige i climi temperati ed ha la sua massima incidenza in autunno. La d. viene trasmessa dagli ammalati, sia direttamente che indirettamente, ma possono trasmetterla anche soggetti convalescenti o guariti (portatori) sono colpiti specialmente i bambini. Le mucose dell’uomo, a livello delle fauci o della laringe, sono la sua residenza preferita qui vive, si riproduce e danneggia il suo ospite in due modi: localmente, distruggendo le cellule epiteliali e dando il via alla formazione delle pseudo-membrane, formate da un ammasso di cellule morte, bacilli morti e vivi, globuli bianchi, tenuti insieme da una trama di fibrina, e, a distanza, con la produzione di tossina. La tossina difterica rapidamente si diffonde a tutto l’organismo e danneggia in modo particolare il tessuto nervoso, il miocardio, il surrene e il rene. La virulenza del bacillo (da cui dipendono le forme più o meno gravi di malattia), è in rapporto diretto con la quantità di tossina prodotta. Nell’ambiente esterno esso resiste discretamente all’asciutto e al freddo, mentre i raggi del sole lo distruggono con grande rapidità. I bacilli che stanno sui frammenti di pseudo-membrane casualmente espulsi all’esterno con un colpo di tosse rimangono a lungo vitali, da ciò deriva la possibilità che libri, giocattoli, o altri oggetti che il malato abbia avuto vicino siano veicolo d’infezione, benché il contagio in pratica sia possibile solo in modo diretto da uomo ad uomo.

Sintomi
Il periodo di incubazione della malattia è breve (2-8 giorni). Le manifestazioni cliniche variano notevolmente da caso a caso sia in rapporto alla primitiva localizzazione del germe sia in rapporto all’età del soggetto colpito. È una malattia dell’età infantile, raramente un adulto la contrae.Nell’organismo del bambino le varie sedi d’infezione sono più o meno frequenti a seconda dell’età. Il neonato e il lattante, nei primi cinque mesi, sono protetti contro la d. dagli anticorpi che hanno ricevuto dalla madre nell’ultimo periodo di vita endouterina. A volte però il Corynebacterium colpisce il neonato di pochi giorni, trovando nella ferita ombelicale la sua localizzazione favorita e dando la d. ombelicale, per fortuna ormai rarissima.Nel lattante la forma più frequente è la rinite difterica che inizialmente assomiglia ad un comune raffreddore, la sintomatologia, inizialmente banale, tende però a peggiorare con la comparsa di pseudo-membrane grigie, estese al labbro superiore e alla mucosa del naso, da cui esce una secrezione vischiosa striata di sangue. Il decorso non è mai grave.La manifestazione più comune è la d. faringea o angina difterica, con localizzazione dei batteri sulle tonsille, di cui il batterio distrugge l’epitelio, producendo grandi quantità di tossina che in breve tempo, essendo le tonsille riccamente vascolarizzate, trasportata dal sangue, invadendo l’intero organismo. Il periodo d’incubazione della malattia è breve, 6-7 giorni, dopo di che inizia la febbre, di solito non troppo elevata, la cute si fa pallida, il cuore accelera il suo ritmo e i bambini più grandi lamentano spesso un vivo dolore e un senso di costrizione alla gola che si accentua con la deglutizione.

Back to top
DIGASTRICO, muscolo

Muscolo del collo situato nella regione sopraioidea, formato da due porzioni carnose riunite da un tendine intermedio. È innervato da rami del nervo mandibolare e facciale abbassa la mandibola.

Back to top
DIGERENTE, apparato

Complesso degli organi e delle strutture anatomiche dai quali dipendono l’assunzione degli alimenti, la loro trasformazione in sostanze semplici, tali da poter essere assorbite dai liquidi circolanti e distribuite alle cellule, ed infine anche l’eliminazione delle scorie inutili o dannose. L’insieme dei processi che rendono possibile l’assorbimento e l’assimilazione degli alimenti è definito digestione.L’apparato d. è strutturato come un lungo tubo, esteso dall’apertura della bocca sino all’ano la sua lunghezza complessiva è di ca. 11 m al condotto, distinto in diverse porzioni, sono collegate formazioni ghiandolari che producono diversi tipi di secreti. Nella bocca il cibo viene preparato, e poi attraverso la faringe e l’esofago viene avviato agli organi dove propriamente ha luogo la digestione: stomaco ed intestino tenue nell’intestino crasso le scorie vengono accumulate, private della maggior parte del loro contenuto di acqua, ed eliminate ad intervalli attraverso l’ano. Altri prodotti di rifiuto vengono eliminati attraverso il fegato con la bile o attraverso la mucosa dell’intestino crasso.EmbriologiaL’apparato d. si sviluppa nell’embrione dall’endoderma e da due invaginazioni dell’ectoderma che con esso si mettono in comunicazione: lo stomodeo (dal quale si forma la parte anteriore della cavità buccale) e il proctodeo (che dà origine al canale anale). L’endoderma e l’ectoderma dello stomodeo e del proctodeo danno origine alla mucosa che tappezza la cavità del tubo digerente e alle strutture ghiandolari annesse dal mesoderma derivano invece i rivestimenti muscolari, connettivali e sierosi che ne completano la struttura. Durante la vita embrionale il tubo digerente primitivo è unito alla parete anteriore e a quella posteriore del corpo da due membrane sierose, denominate rispettivamente mesentere ventrale e mesentere dorsale, che ne seguono gli spostamenti durante la fase di accrescimento e di differenziazione delle sue diverse parti il mesentere ventrale in seguito regredisce e scompare quasi completamente.Anatomia e fisiologiaAnalizzando in maniera più approfondita le varie parti in cui viene suddiviso l’apparato d. si considerano, nell’ordine: la cavità buccale, la faringe, l’esofago, lo stomaco e l’intestino.- La cavità buccale. È la prima porzione dell’apparato d. e comunica con l’esterno attraverso la rima buccale, delimitata dalle labbra. La cavità buccale vera e propria è preceduta da uno spazio detto vestibolo della bocca, compreso tra le guance e le labbra da un lato e le arcate dentarie e gengivali dall’altro. La cavità buccale vera e propria si estende posteriormente alle arcate gengivodentarie sino all’istmo delle fauci, ove comunica con la faringe. Sul pavimento della cavità buccale è presente un organo muscolare, la lingua, la cui superficie è ricca di ghiandole e di recettori sensitivi e sensoriali. Alla cavità buccale sono annesse le ghiandole salivari, che producono un secreto, detto saliva, contenente enzimi (in particolare la ptialina, che scinde l’amido in maltosio) i quali danno inizio ai processi digestivi. Le ghiandole salivari comprendono formazioni voluminose (ghiandole parotidi, sottomandibolari e sottolinguali) e piccole ghiandole disseminate nello spessore della mucosa che riveste la cavità buccale (ghiandole salivari minori). La cavità buccale è adibita all’assunzione, alla masticazione e alla insalivazione del cibo questo viene così trasformato in un bolo che viene spinto nella faringe attraverso una serie di movimenti in parte volontari e in parte riflessi questi movimenti nel loro complesso sono definiti deglutizione.


Quando le arcate dentarie sono serrate, la cavità buccale è virtuale quando invece sono divaricate, essa diventa uno spazio ovoidale, delimitato lateralmente dalle guance, superiormente dal palato, anteriormente dalle labbra e inferiormente dalla lingua e dal pavimento buccale.- La faringe. È un breve condotto muscolo-membranoso che si continua in un condotto tubolare, lungo circa 25 cm, denominato esofago. La faringe, oltre che tra la bocca e l’esofago, è inserita anche tra il naso e la laringe a questo livello si ha quindi un incrocio tra la via digerente e la via respiratoria.A livello della zona di passaggio tra la cavità buccale e la faringe (zona che viene definita istmo delle fauci) la mucosa forma una piega (detta palato molle) che prolunga posteriormente il palato osseo e lateralmente due pieghe (dette pilastri palatini) tra le quali sono accolti accumuli di tessuto linfatico, che costituiscono le cosiddette tonsille palatine.- L’esofago. Discende dal collo nel torace e lo percorre situandosi nella parte posteriore del mediastino a livello del diaframma esso penetra nella cavità addominale per collegarsi con la porzione del tubo digerente ivi contenuta. Mentre nella bocca il cibo subisce importanti modificazioni che danno l’avvio ai processi della digestione, faringe ed esofago costituiscono solo una sede di transito del bolo alimentare. La porzione del tubo digerente contenuta entro la cavità addominale comprende lo stomaco e l’intestino.- Lo stomaco. È una dilatazione del tubo digerente che ha la forma di una sacca, la cui parete interna è sollevata in pliche variamente convolute l’apertura che lo mette in comunicazione con l’esofago è detta cardias, quella che lo fa comunicare con l’intestino è detta piloro. La sua mucosa contiene ghiandole che secernono acido cloridrico ed enzimi (particolarmente enzimi proteolitici) l’ambiente acido che si crea nella cavità dello stomaco risulta particolarmente adatto sia alla digestione che alla sterilizzazione degli alimenti introdotti. Questi nello stomaco si trasformano in un liquido a reazione acida detto chimo, che viene sospinto nell’intestino.- L’intestino. Costituisce la sede ove si completano i fenomeni di scissione digestiva del cibo e dove il materiale alimentare ormai trasformato viene assorbito. La funzione assorbente della mucosa intestinale è esaltata dalla presenza di sollevamenti della stessa, in forma di pliche o di piccole digitazioni dette villi, grazie ai quali la superficie intestinale di assorbimento viene ad essere notevolmente aumentata. Le scorie non utilizzate sono sospinte verso l’estremità anale del tubo digerente.Nell’intestino, che ha la forma di un lungo tubo, si distinguono due segmenti principali, l’intestino tenue e l’intestino crasso. L’intestino tenue viene a sua volta suddiviso in duodeno, digiuno e ileo. Il duodeno fa seguito allo stomaco, con il quale comunica a livello del piloro è lungo circa 20 cm, ed è fissato alla parete posteriore dell’addome, ove forma un’ansa attorno alla testa del pancreas. Nel duodeno sboccano i condotti escretori di due importantissime strutture ghiandolari annesse al tubo digerente, il fegato e il pancreas. Il primo secerne la bile, che svolge un ruolo fondamentale nella digestione e nell’assorbimento dei grassi il secondo invece produce un succo molto ricco di enzimi, i quali hanno funzioni specifiche nella digestione di proteine, acidi nucleici, carboidrati, lipidi. Nel duodeno l’ambiente è marcatamente alcalino, a differenza di quanto si ha nello stomaco. L’intestino digiuno, così detto perché all’autopsia lo si ritrova generalmente vuoto, fa seguito al duodeno, e la zona di passaggio tra i due è costituita dalla cosiddetta flessura duodenodigiunale o angolo di Treitz. L’intestino ileo è così denominato perché situato vicino all’osso ileo del bacino esso termina in corrispondenza di una formazione detta valvola ileocecale, a livello della quale inizia l’intestino crasso. Tra digiuno e ileo non vi sono limiti anatomici precisi complessivamente questo tratto dell’intestino è lungo circa 7 m è molto mobile ed è collegato alla parete posteriore dell’addome mediante una piega del peritoneo detta mesentere, entro la quale decorrono i vasi ed i nervi diretti all’intestino.L’intestino crasso, così detto perché ha un diametro maggiore di quello dell’intestino tenue, costituisce l’ultima porzione del tubo digerente e viene distinto in diversi segmenti: cieco, colon (a sua volta distinto in colon ascendente, trasverso e discendente), sigma e retto quest’ultimo si apre all’esterno in corrispondenza dell’ano.


L’intestino cieco ha la forma di un diverticolo a fondo chiuso, nel quale si apre una porzione assottigliata, ricca di strutture linfatiche, detta appendice cecale.Complessivamente, l’intestino crasso ha una lunghezza di circa 2 m e in esso avviene fondamentalmente solo l’assorbimento di acqua e di elettroliti ciò comporta l’addensamento del contenuto intestinale, che si accumula nell’ultimo tratto di intestino assumendo le caratteristiche delle feci. Queste vengono emesse all’esterno con l’atto della defecazione, che è un atto riflesso ma controllato dalla volontà, e che viene attivato dalla distensione dell’intestino retto.Mentre la bocca ha una conformazione anatomica ed una struttura istologica del tutto particolari, le porzioni restanti del tubo digerente hanno un’organizzazione strutturale simile essa risulta fondamentalmente costituita da uno strato interno mucoso, attorno al quale si dispone uno strato muscolare. La mucosa dell’esofago è tappezzata da un epitelio piatto pluristratificato nello stomaco e nell’intestino è invece rivestita da un epitelio ricco di strutture ghiandolari, che hanno caratteristiche variabili nei diversi tratti del tubo digerente, in rapporto alle loro diverse specializzazioni ed alla sequenza precisa con cui i vari processi digestivi si svolgono.Nella mucosa dello stomaco e dell’intestino si trovano inoltre diversi tipi di cellule endocrine appartenenti al cosiddetto sistema endocrino diffuso gli ormoni prodotti influenzano l’attività secretoria e peristaltica dei diversi tratti del tubo digerente.Al di sotto della mucosa si trova uno strato di tessuto connettivo lasso detto sottomucosa. Lo strato muscolare della parete è formato da lamine di fibrocellule muscolari lisce, che negli strati interni hanno un decorso trasversale, in quelli esterni un decorso longitudinale rispetto all’asse del tubo digerente.L’attività degli strati muscolari della parete, coordinata da riflessi nervosi che in parte si realizzano nell’ambito della parete stessa e in parte vengono coordinati nei centri del sistema nervoso centrale, comporta movimenti di segmentazione e di peristalsi e movimenti pendolari, i quali determinano un continuo mescolamento del contenuto intestinale (che facilita i processi di digestione e di assorbimento) e la sua progressione verso l’estremità anale del tubo digerente.Esternamente allo strato di tessuto muscolare si trova uno strato di tessuto connettivo lasso questo nello stomaco e nell’intestino può essere rivestito più o meno completamente dal peritoneo, il quale può formare dei legamenti o mesi che collegano o fissano le strutture dell’apparato d. alle pareti della cavità addominale.Lungo tutto il tubo digerente, al di sotto dell’epitelio mucoso, si trova una grande quantità di tessuto linfatico, diffuso o in noduli solitari o aggregati esso costituisce una componente quantitativamente molto importante del sistema immunitario e risponde a stimoli antigenici con la produzione di anticorpi che in parte vengono anche secreti nel lume del tubo digerente stesso.La patologiaIl tubo digerente può essere sede di processi patologici numerosi e assai diversi tra loro. Innanzitutto malformazioni congenite, dipendenti da alterazioni dei processi di organogenesi intervenute durante il periodo embrionale o fetale esse possono riguardare la posizione dei vari segmenti o di tutto il tubo digerente (come nel situs viscerum inversus) si possono avere inoltre atresie, stenosi, diverticoli, fistole (a carico di uno o più dei suoi segmenti). Relativamente comuni sono i processi infiammatori, acuti o cronici, specifici o aspecifici i disturbi di circolo (infarti o alterazioni ischemiche d’altro tipo, varici) i tumori benigni e maligni le ulcerazioni della parete determinate dall’azione del succo gastrico acido (ulcera peptica) gli spostamenti anomali di visceri o di loro parti (come per es. nelle ernie, nelle invaginazioni, nei volvoli). Inoltre l’apparato d. può essere interessato secondariamente in corso di malattie generali dell’organismo (quali malattie infettive, endocrine, metaboliche ecc.) o di malattie di altri organi (per es. malattie renali ed epatiche). L’incidenza dei diversi processi patologici e il tipo di disturbi e di sintomi che essi provocano variano a seconda della sede interessata. Le malattie della bocca determinano in genere dolore e difficoltà alla masticazione e alla deglutizione dei cibi. Anche le lesioni della faringe e dell’esofago si manifestano con difficoltà alla deglutizione, accompagnata spesso dalla sensazione che il bolo alimentare si arresti ciò può essere determinato, oltre che da processi patologici, anche da disturbi puramente funzionali (quali spasmi della muscolatura esofagea, particolarmente a livello del cardias), o da processi patologici di strutture attigue, che comportino compressione dell’esofago.Le malattie dello stomaco e del duodeno determinano una serie di disturbi dei processi digestivi, che si manifestano con dolori, bruciori, acidità, nausea, vomito, rigurgiti, senso di peso o di malessere ecc.Questi disturbi vengono a volte definiti genericamente come dispepsia, e possono essere in rapporto anche con malattie di altri organi, o manifestarsi indipendentemente da condizioni patologiche vere e proprie, come disturbi puramente funzionali, a volte in relazione a turbe psichiche di tipo nevrotico.Le malattie dell’intestino tenue possono determinare disturbi della digestione e dell’assorbimento degli alimenti in alcune condizioni, particolarmente in presenza di processi infiammatori, il transito del contenuto intestinale viene accelerato ne risulta l’eliminazione di feci liquide o semiliquide, con un aumento nel numero delle scariche.
Processi patologici della parete intestinale possono anche provocare un arresto del transito (occlusione intestinale). Le malattie dell’intestino crasso possono determinare un’accelerazione nel transito del contenuto intestinale (col risultato di una diarrea), o al contrario il suo rallentamento e quindi una stipsi. Anche questi disturbi possono essere funzionali, indipendenti cioè da alterazioni patologiche a carico della parete.L’indagine diagnostica nelle malattie dell’apparato d. si fonda su indagini cliniche, su esami endoscopici (che consentono anche il prelievo di frammenti di tessuto per esami istologici, o anche l’esecuzione di veri e propri interventi chirurgici, quali l’asportazione di polipi), su esami radiografici, sull’esame chimico, batteriologico e microscopico di campioni di succo gastrico o di succo duodenale o di feci.

Back to top
DIGESTIONE

Insieme dei processi per mezzo dei quali i cibi che sono introdotti nell’organismo vengono modificati e ridotti a composti semplici, solubili oppure solubilizzabili in acqua, atti a essere assorbiti e assimilati. Il processo della d. è stato interpretato in vario modo nelle diverse epoche. Dapprima esso venne inteso come cozione, termine di difficile interpretazione che solo in parte corrisponde all’idea di cottura, cioè alle modificazioni ottenute con il calore. La dottrina della cozione, che domina tutta la medicina classica, è in seguito perfezionata dalla concozione, altro termine difficilmente interpretabile. Nel XVII sec. le teorie meccaniciste fanno prevalere il concetto di triturazione, simile a quello che avviene nello stomaco muscolare degli uccelli con J.B. van Helmont diventa una fermentazione, divisa in sei diverse fasi.

La natura chimica della d. gastrica è infine chiarita da L. Spallanzani e da Beaumont.La d. si svolge attraverso varie fasi, che hanno luogo nei diversi tratti del tubo digerente, per l’intervento di una serie di enzimi contenuti nei succhi con i quali i cibi vengono a contatto: saliva, succo gastrico, succo pancreatico e succo intestinale. La saliva contiene un’amilasi, detta ptialina, che scinde l’amido cotto.Il succo gastrico contiene acido cloridrico e un gruppo eterogeneo di enzimi proteolitici detti pepsine che scindono le proteine in polipeptidi. Il succo pancreatico contiene enzimi che scindono l’amido (amilasi pancreatica), i trigliceridi (lipasi pancreatica), le proteine (tripsina, chimotripsine, carbossipeptidasi, elastasi), gli acidi nucleici (ribonucleasi e desossiribonucleasi), la lecitina (fosfolipasi A). La mucosa intestinale produce enzimi che scindono le proteine (enterochinasi, aminopeptidasi, dipeptidasi), gli oligosaccaridi (oligosaccaridasi), gli acidi nucleici (nucleasi).

D. dei carboidrati. La trasformazione dei carboidrati (cereali, patate, legumi ecc.) inizia nel cavo orale a opera della ptialina contenuta nella saliva in grado di scindere gli zuccheri. Nello stomaco le destrine vengono in contatto con i succhi gastrici ai quali si mescolano per poi transitare nell’intestino tenue. Qui la d. delle destrine prosegue per l’intervento dell’amilasi pancreatica, un enzima simile a quello salivare, attivato dall’acido cloridrico dei succhi gastrici. Nel lume intestinale, dopo l’azione dell’amilasi pancreatica si trovano zuccheri più semplici (maltosio, lattosio, saccarosio) detti disaccaridi, che sotto l’azione dei microvilli della parete intestinale e dei suoi enzimi (maltasi, invertasi, lattasi) vengono ulteriormente scissi in monosaccaridi pronti per essere assorbiti dai villi e passati al circolo portale e da qui a tutto l’organismo.

D. delle proteine. Le proteine sono molecole molto complesse la cui scissione inizia nello stomaco per opera della pepsina, un enzima secreto dalle ghiandole della parete gastrica, attivata dall’acido cloridrico. Prosegue nell’ambito intestinale con l’aiuto di enzimi secreti dal pancreas, tripsina, chimotripsina, carbossipeptidasi, la cui attività determina una progressiva demolizione della molecola proteica fino a ottenere un prodotto assimilabile dall’organismo: gli aminoacidi. Essi passano al sangue, attraverso la vena porta che giunge al fegato: qui gli aminoacidi sono in parte trattenuti e in parte distribuiti poi in tutto l’organismo. L’organismo umano utilizza gli aminoacidi per la sintesi cellulare delle proteine specifiche per ogni tessuto e organo, cioè per la costruzione della materia vivente.D. dei lipidiL’assorbimento dei grassi è più lento di quello delle proteine e dei carboidrati. Nello stomaco vengono separati dalle altre sostanze alimentari, poi nel duodeno vengono emulsionati (cioè ridotti in minute goccioline) dalla bile e quindi attaccati dalla lipasi: questo enzima, prodotto dal pancreas, scinde i grassi in monogliceridi (glicerolo e acidi grassi).

Back to top
DIGESTIVI

Farmaci che possono favorire la digestione gastrica stimolando la secrezione cloridropeptica, nel qual caso vengono detti eupeptici, o sostituendo uno o più componenti del succo gastrico, nel qual caso sono detti sostitutivi. I moderni d. ad azione sostitutiva contengono anche enzimi pancreatici (lipasi, amilasi ecc.) per facilitare la digestione intestinale, in caso di carenza di tali enzimi (deficit ereditari od in seguito a malattie pancreatiche, come la pancreatine acuta) si somministrano in preparazioni gastroresistenti per impedire l’attacco da parte del succo gastrico.

Back to top
DIGITALE

(O Digitalis), genere di piante dalle quali si ricavano farmaci cardiocinetici, detti digitalici. In particolare da Digitalis purpurea si estrae la digitalina (o digitale), da Digitalis lanata si estrae la digossina, che con i suoi derivati forma i digitalici oggi più usati.Hanno effetti terapeutici e citotossici.

Back to top
DIGITALICI

Farmaci cardiocinetici estratti da piante dei generi digitale e strofanto, detti anche glucosidi cardioattivi, dei quali la digossina può essere considerata il prototipo.Gli effetti di questi farmaci a livello cardiaco sono molteplici, sia sulla funzione meccanica che su quella elettrica, e si esplicano contemporaneamente: aumento della contrattilità, della gittata e della velocità di contrazione cardiaca, diminuzione della conduzione atrio-ventricolare e della frequenza cardiaca. Pertanto essi sono usati nello scompenso cardiaco, nel controllo della frequenza cardiaca in caso di fibrillazione atriale o tachicardia sopraventricolare.Sono controindicati se l’infarto è recente (aumentano il consumo di ossigeno miocardio con rischio di estensione dell’area infartuata), nei blocchi atrio-ventricolari incompleti, nelle bradicardie, nelle tachicardie ventricolari, nella sindrome di Wolff Parkinson White e nell’ipopotassiemia.I d. sono farmaci poco maneggevoli, in quanto il margine di sicurezza che separa gli effetti terapeutici da quelli tossici è molto ridotto.Gli effetti tossici si hanno per concentrazioni ematiche di d. superiori a 1,8 ng/ml, con le seguenti manifestazioni: aritmie cardiache, extrasistoli ventricolari, anoressia,nausea e vomito, cefalea, confusione mentale, parestesie, delirio, disturbi della visione (aloni verdi, scotomi e diplopia), astenia, alterazioni ematologiche (diminuzione delle piastrine, aumento degli eosinofili).Pertanto i d. vanno somministrati in dosi ridotte, e controllandone ripetutamente i dosaggi ematici, negli anziani, nell’insufficienza renale, ipotiroidismo, pneumopatie croniche, scompenso cardiaco grave e nelle alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico (ipopotassiemia, ipomagnesiemia, ipercalcemia).

Back to top
IL DIZIONARIO DELLA SALUTE
A B C D E F
G H I J K L
M N O P Q R
S T U V W X
Y Z        

Questo sito utilizza i cookies per offrire una migliore esperienza di navigazione. Maggiori informazioni
Chiudendo questo banner acconsenti all'uso dei cookies.