Frequently Asked Questions

A - AD
A, gruppo sanguigno

Uno dei quattro gruppi sanguigni. È suddiviso in due sottogruppi: A1, più frequente, e A2. Il gruppo A è frequente in Europa (43% ca.), nell’Asia occidentale, in parte dell’America settentrionale e dell’Australia, mentre è generalmente meno comune. Nell’Asia orientale e sudorientale e nell’area del Pacifico. L’appartenenza a un gruppo sanguigno dipende dalla presenza o dall’assenza di alcune sostanze, chiamate agglutinogeni, sui globuli rossi di ogni individuo. Così, un individuo che ha l’agglutinogeno A appartiene al gruppo A, quello con l’agglutinogeno B risulta del gruppo B, quello che li ha entrambi fa parte del gruppo AB, e infine quello che non li possiede appartiene al gruppo 0 (zero). Il gruppo A può donare il proprio sangue ad altri di gruppo A o AB, e riceverlo da quelli di gruppo A o 0 questo perché il siero del sangue dei soggetti di gruppo A contiene agglutinine anti-B, che hanno la capacità di “agglutinare” i globuli rossi, ossia di farli ammassare assieme e di renderli quindi inutilizzabili. Le agglutinine sono dunque di due tipi: le anti-A e le anti-B. È evidente che nel plasma di un individuo le agglutinine presenti devono essere quelle che non fanno ammassare i suoi globuli rossi.

A, vitamina

Detta anche retinolo, è presente nei tessuti degli animali e dei pesci d’acqua salata, particolarmente nel fegato. La v. A viene assunta direttamente o sotto forma di provitamina, il beta-carotene, con l’alimentazione. Le verdure gialle (es.: carote, peperoni) o la frutta (es: albicocche, pesche), così come le foglie delle verdure verdi sono le principali sorgenti alimentari di provitamina A. Nei prodotti animali come latte, il grasso, il fegato e i reni si ritrova v. A. Il retinolo e i caroteni sono liposolubili. Il fabbisogno giornaliero negli adulti è di 2,4 mg di beta-carotene (4000 UI) o di 0,3 mg di retinolo (1000 UI)  è aumentato del 50% in gravidanza e durante l’allattamento.La v. A è importante per la vista (è presente nelle cellule sensoriali della retina e costituisce il precursore della rodopsina), per la cute, per il corretto accrescimento corporeo. Il primo sintomo di carenza di v. A è la cecità notturna (emeralopia, secondario ad una alterazione del processo biochimico di rigenerazione della rodopsina), seguito da xeroftalmia (corneificazione della cornea fino a cecità) e disturbi della crescita. Sono stati descritti, in seguito alla somministrazione in bambini e adolescenti di dosi elevate di v. A sintetica quadri di ipervitaminosi, caratterizzati da cefalea, ispessimento del periostio delle ossa lunghe, caduta dei capelli.

AB, gruppo sanguigno

Uno dei quattro gruppi sanguigni. È suddiviso in due sottogruppi, A1B e A2B. I soggetti che appartengono al gruppo AB sono detti ricettori universali, perché possono ricevere il sangue da individui di tutti gli altri gruppi, mentre possono donarlo solo a quelli del loro stesso gruppo. Il gruppo AB è raro (3% ca. dei soggetti di razza europea).

ABASIA

Disturbo della motilità che consiste nell’impossibilità di camminare, pur in assenza di lesioni del sistema nervoso centrale e periferico. Può essere un sintomo nevrotico. Spesso si associa all’astasia, cioè all’incapacità di mantenere la stazione eretta.

 

ABBAGLIAMENTO

Fenomeno che si produce quando una luce molto intensa colpisce l’occhio senza consentire alla pupilla di adattarsi all’aumento di radiazione luminosa. Disturbo transitorio. Se la radiazione supera la capacità di adattamento della pupilla, la radiazione consuma completamente la rodopsina, il pigmento contenuto nei bastoncelli della retina e utilizzato nel meccanismo della visione. Poiché passa un intervallo di tempo di qualche minuto prima che il pigmento sia risintetizzato, l’occhio abbagliato per un po’ non riesce a vedere nitidamente. Tale disturbo è funzionale e transitorio nelle più comuni forme di a., come quelle dovute alle luci abbaglianti delle autovetture, al passaggio improvviso dall’ombra alla luce intensa del sole, ai flash fotografici.Danni permanenti Vi sono invece forme di a. più gravi che comportano lesioni irreversibili della retina: per esempio quelle che si producono fissando a lungo il sole durante un’eclissi o esponendo ripetutamente gli occhi a sorgenti luminose molto intense come l’arco elettrico di una saldatrice senza la protezione di opportuni schermi. In questi casi si ha una vera e propria ustione circoscritta della retina con una riduzione permanente dell’acuità visiva.

 

ABBASSALINGUA

Strumento utilizzato per consentire una ampia visualizzazione del cavo orale e della faringe. Si tratta di un oggetto piatto, dalla forma allungata e con estremità arrotondate, generalmente in legno o in acciaio. L’a. deve essere appoggiato a piatto sul terzo medio della lingua, effettuando una leggera pressione verso il basso e chiedendo al paziente di pronunciare la lettera “A”: in tal modo si ottiene una maggiore apertura buccale e la vibrazione dell’ugola, che consentono una corretta esplorazione di bocca e gola.Attenzione deve essere posta a non appoggiare l’a. troppo vicino alla base della lingua ed alla faringe, in quanto ciò scatena i riflessi della tosse e del vomito.

 

ABBRONZATURA

Aumento della pigmentazione cutanea che si ottiene con l’esposizione del corpo ai raggi ultravioletti (UV) emessi dal sole o da sorgenti artificiali (per es. lampade al quarzo). Il colorito più scuro della pelle è dovuto all’aumento della quantità di melanina in essa presente. La melanina è un pigmento che viene prodotto da un particolare tipo di cellule, i melanociti, presenti nell’epidermide, lo strato della pelle sottostante il sottilissimo strato corneo. La sua funzione è quella di proteggere il derma (strato più profondo) dagli effetti dannosi delle radiazioni solari. I melanociti vengono attivati a produrre melanina da un ormone specifico secreto dall’ipofisi (MSH = ormone melanocitostimolante). La formazione della melanina è una funzione complessa  essa avviene in corrispondenza di organuli cellulari detti melanosomi. La sostanza base per la formazione della melanina è la tirosina.Soltanto gli albini non hanno pigmento  per questo motivo la loro cute male si adatta ai raggi del sole e alla luce intensa. Quando una cute normale si espone ai raggi del sole, viene favorito l’aumento della melanina: l’aumento di questa sostanza si manifesta con la comparsa dell’a. Una volta abbronzati, è possibile esporsi ai raggi solari senza il pericolo di scottature.Radiazioni solari dannose e innocueL’energia solare raggiunge la terra attraverso radiazioni di intensità e lunghezza d’onda diverse. Per fortuna le radiazioni di lunghezza d’onda più corta non arrivano fino a noi: si tratta dei raggi cosmici, che non superano l’atmosfera, e dei raggi ultravioletti C (UVC), che ustionano senza stimolare l’a., bloccati dallo strato di ozono (purtroppo oggi solo parzialmente per il fenomeno del “buco dell’ozono”). I raggi solari di lunghezza d’onda maggiore, che raggiungono la nostra pelle penetrandovi più o meno in profondità, sono i raggi ultravioletti UVB e UVA, i raggi luminosi e i raggi infrarossi.Abbronzarsi senza dannoLe prime ore del mattino e quelle che precedono il tramonto sono ricche di raggi ultravioletti B e A, che stimolano l’attività dei melanociti.La melanina che essi producono è uno scudo difensivo del nostro organismo contro i danni che anche questi raggi possono provocare se l’esposizione alla luce è eccessiva e incontrollata (scottature ed eritemi gli UVB e precoce invecchiamento della pelle gli UVA). Una formula da non dimenticare e valida per qualsiasi tipo di pelle è “per gradi, nelle ore giuste, protetti”.Aiutiamo le difese naturali dell’organismoLa ricerca cosmetologica in questo specifico campo ha raggiunto obiettivi insperati “copiando” i meccanismi dell’autoriparazione naturale propri dell’organismo ed è oggi in grado di rafforzarne e integrarne le difese. Esistono:schermi composti di sostanze minerali (ossido di zinco, talco, mica ecc.) che bloccano le radiazioni solari (UVC e infrarossi compresi) filtri che proteggono dagli ultravioletti in maniera selettiva abbronzanti, a base di tirosina e melanina artificiale, che potenziano l’attività dei melanociti riparatori, a base di vitamina E e C (azione antiossidante, cioè anti-radicali liberi) emollienti, a base di glicerolo, aloe, sorbitolo, eidratanti contro l’azione inaridente degli UV, degli infrarossi e del sale marino ristrutturanti ed elasticizzanti contro l’invecchiamento della pelle a opera degli UVA, a base di vitamina A, B2 ecc.Resta comunque il fatto che la pelle è un tessuto resistente ma per certi aspetti delicato e che i raggi del sole hanno un’azione benefica se ben dosati, ma possono essere anche molto pericolosi: vari studi scientifici li ritengono infatti responsabili dell’insorgenza di alcune forme di cancro della pelle.

 

ABDUCENTE, nervo

Nervo rappresentante il VI paio dei nervi cranici, che permette i movimenti laterali dell’occhio. Prende origine dal tronco encefalico, tra il midollo allungato e il ponte di Varolio, e fuoriesce dalla cavità cranica attraverso l’orbita oculare.Qui innerva il muscolo retto laterale dell’occhio consentendogli di contrarsi e di ruotare il bulbo oculare verso l’esterno.Tali movimenti vengono a mancare in caso di lesioni del nervo, causando lo strabismo convergente.

 

ABDUTTORI, muscoli

Muscoli che con la loro azione determinano lo spostamento laterale di un arto. Questa è in realtà l’azione prevalente di tali muscoli in quanto ciascun movimento articolare risulta dalla contrazione di più muscoli, così come ciascun muscolo può concorrere a più movimenti articolari.- Nell’arto superiore svolgono attività di abduzione il muscolo deltoide e il sovraspinato, che si inseriscono sul tronco e sull’omero con il contributo, in parte, anche del muscolo trapezio dorsale  a livello dell’avambraccio il flessore radiale del carpo, il lungo radiale  nella mano l’abduttore lungo del pollice, l’abduttore breve del pollice.- Nell’arto inferiore agiscono come a. i muscoli glutei grande, medio e piccolo, e il muscolo piriforme, che si inseriscono sul bacino e sul femore  a livello della coscia il tensore della fascia lata  tra i muscoli della gamba l’estensore lungo comune delle dita, i peronei anteriore e laterali, lungo e breve  a livello del piede gli a. dell’alluce e del quinto dito, gli interossei dorsali secondo, terzo e quarto.

 

ABDUZIONE

Spostamento di un arto o di una sua parte in senso laterale, con allontanamento dalla linea verticale mediana del corpo. Per le dita della mano si fa invece riferimento a una linea ideale passante per il dito medio e nel piede a una linea passante per il secondo dito. L’a. è realizzata da determinati muscoli che prendono il nome di abduttori. Il movimento opposto all’a. viene definito adduzione.Un particolare movimento di a., detto anche “divergenza”, si ha nel bulbo oculare a opera del muscolo retto laterale.

 

ABERRAZIONI CROMOSOMICHE

Alterazioni del patrimonio genetico caratterizzate da modificazioni del numero o della morfologia dei cromosomi. Più spesso spontanee, possono anche venir provocate da radiazioni ionizzanti, farmaci, alcuni virus  una volta instaurate, si mantengono nelle generazioni cellulari successive. Possono interessare i cromosomi sessuali, o gli altri cromosomi (autosomi), o più raramente entrambi.Alterazioni nel numero dei cromosomiDerivano da un errore durante la meiosi, il processo di divisione delle cellule sessuali da cui prendono origine i gameti (ovociti e spermatozoi), per cui uno o più cromosomi restano dalla parte “sbagliata”  tali anomalie numeriche possono consistere nella presenza di un numero inferiore (monosomia) o superiore (polisomia) di cromosomi.La sindrome di Down è la più frequente malattia associata a un’anomalia numerica ed è dovuta alla presenza di tre copie, invece che due, del cromosoma 21 (trisomia del cromosoma 21)  le più rare trisomie 13 e 18 si associano ad anomalie gravi e complesse che portano a morte precoce.Anomalie numeriche dei cromosomi del sesso si hanno nella sindrome di Klinefelter, individui maschi che hanno un cromosoma X in più (XXY), nella sindrome di Turner, in cui l’individuo è femmina e il suo corredo cromosomico è caratterizzato dalla presenza di un unico cromosoma sessuale del tipo X (XO) e in altre rare condizioni..Alterazioni nella morfologia o nella struttura dei cromosomiSono la conseguenza di rotture cromosomiche seguite da una riorganizzazione dei cromosomi stessi in combinazioni anomale. Così si può avere la perdita di una parte di cromosoma (delezione)  la presenza in un cromosoma di un segmento ripetuto due volte (duplicazione)  la rottura del cromosoma in due punti seguita dalla ricomposizione dei frammenti dopo che il segmento cromosomico compreso tra i due punti di rottura è ruotato di 180° (inversione)  il trasferimento di un segmento cromosomico su un altro cromosoma (traslocazione)  la formazione di cromosomi ad anello quando la rottura avviene all’estremità di entrambi i bracci che in seguito si riuniscono.

 
ABITUDINE

Può definirsi come il permanere stabile, nella memoria di un individuo, di rapporti e associazioni tra uno stimolo e la sua risposta.Consiste sostanzialmente nell’acquisizione di modelli di comportamento stabili, di cui sovente non si ha più consapevolezza, che vengono automaticamente attivati di fronte al presentarsi di stimoli/eventi simili.I comportamenti abitudinari sono quelli che più comunemente vengono presi come criteri di valutazione per descrivere i tratti individuali di personalità. Infatti si presentano come sintesi finale degli apprendimenti di natura emotiva e affettiva effettuati sino a quel momento.

 
ABLAZIONE

Termine che designa l’asportazione chirurgica, o mediante mezzi fisici o chimici, di una qualsiasi parte anatomica, più frequentemente riferito al distretto cutaneo.L’a. di un organo o di un viscere viene invece preferibilmente indicata aggiungendo al nome dell’organo stesso il suffisso -ectomia (per es. appendicectomia, asportazione dell’appendice).

 
ABORTO, minaccia di

DIAGNOSI

I sintomi della minaccia d’a. sono sostanzialmente gli stessi dell’a. in atto  differiscono da essi, però, per la loro minore intensità. Il dolore in corrispondenza della regione lombo-sacrale è poco intenso e può anche mancare  talora può essere accompagnato da leggere fitte intermittenti di tipo colico, corrispondenti alle contrazioni dell’utero.Le perdite di sanguesono piuttosto scarse: la loro abbondanza, assieme all’intensità del dolore, è segno che il meccanismo di distacco dell’embrione dal suo impianto nell’utero e della sua espulsione è già in fase avanzata. All’esame ostetrico, il medico ha modo di stabilire con maggior precisione se si tratti di minaccia di a. o di a. in atto: nel primo caso, infatti, l’orifizio del collo dell’utero è chiuso e non si rileva materiale fetale in via d’espulsione. Poiché il dolore può anche mancare, qualsiasi perdita di sangue dai genitali deve immediatamente insospettire la gestante e indurla a rivolgersi al medico.Per avere un’ideadelle probabilità di impedire l’a., quando si presenti una minacciad’a., bisogna tenere presente quanto è stato detto a proposito delle cause dell’a. stesso. Se esso è determinato da cause ovulari, il che si verifica nel 60-70% dei casi, evidentemente la terapia non è in grado di impedire l’interruzione della gravidanza. Se sono in gioco altre cause, invece, le possibilità di successo sono abbastanza buone, a condizione che la terapia sia instaurata tempestivamente e che sia il più possibile diretta contro la causa che ha determinato la minaccia stessa.

TERAPIA

La cura consiste anzitutto nell’assoluto riposo a letto e nella somministrazione di farmaci che riducano la contrattilità della muscolatura dell’utero (oppiacei,spasmolitici). È utile anche l’uso di vitamine, soprattutto le vitamine C, K ed E. Inoltre si somministrano composti ad azione analoga a quella delprogesterone, che diminuisce l’eccitabilità della muscolatura dell’utero. Oltre che con questa terapia sintomatica (perché è diretta contro il sintomorappresentato dalle contrazioni del miometrio che tendono a espellere l’uovofecondato), occorre intervenire con una cura che agisca contro la causa che specificatamente ha determinato la minaccia d’a..Specialmente quando entrano in gioco cause ormonali (a. ripetuto) occorre somministrare gliormoni necessari per ristabilire l’equilibrio alterato.Di grande utilità è il periodico dosaggio della gonadotropina corionicaurinaria materna, per verificare l’efficienza ormonale del prodotto del concepimento e per stabilire l’entità del trattamento cui la paziente deve essere sottoposta.Il riposo a letto e la cura devono essere protratti per almeno una settimana dopo che sono cessate le perdite di sangue  attenzioni particolari devono essere prese in corrispondenza delle mancate mestruazioni, che rappresentano periodi nei quali la muscolatura uterina è particolarmente eccitabile.Il proseguimento della gravidanza dipende in molti casi dal rigore con cui le prescrizioni del medico sono rispettate.

 
ABORTO

Con il termine a. s’intende l’interruzione della gravidanza prima che il feto sia capace di vita autonoma extrauterina (generalmente sotto la ventesima settimana)  tale limite può tuttavia variare da paese a paese.In alcuni Stati quale indice di riferimento per valutare la maturità del feto ci si basa sul suo peso anziché sull’epoca della gravidanza: considerando limiti inferiori della vitalità i 500-1000 g, si definisce come a. l’espulsione di un feto di peso inferiore ai 500 g.La definizione che abbiamo dato dell’a. non implica necessariamente che l’interruzione della gravidanza sia seguita anche dall’espulsione del feto e dei suoi annessi: si parla, infatti, di a. completo quando l’intero prodotto del concepimento è espulso  di a. incompleto, quando una parte di esso è espulsa, mentre una parte è trattenuta all’interno dell’utero  di a. ritenuto o interno, quando avviene la morte del prodotto del concepimento, senza che esso sia espulso.

 
ABRASIONE

Lesione degli strati più superficiali della cute che, nella zona interessata, si presenta arrossata e ricoperta da piccole squame di epidermide. L’a. si produce a seguito di traumi non gravi determinati dall’urto, con striscio, di un corpo contundente con la superficie corporea, oppure dall’urto, sempre con striscio, della superficie corporea con un’altra superficie sufficientemente dura e resistente.Si può verificare tangenzialmente alla superficie colpita, oppure con un diverso angolo di incidenza: in tal caso insieme all’a. si ha anche contusione dei tessuti sottostanti.Secondo l’entità del trauma si ha un semplice sollevamento degli strati cornei della cute oppure una lesione di strati cutanei più profondi.L’a. provoca la fuoruscita di liquidi che formano una sottile crosta giallastra  questa assume un colorito scuro quando sono coinvolti anche piccoli vasi sanguigni con fuoriuscita di sangue.Pur rappresentando una lesione lieve, l’a. può costituire la porta di ingresso di infezioni anche assai gravi (per es. il tetano) specie se è inquinata da terriccio o da materiali settici.Il trattamento dell’a. richiede un’accurata pulizia, disinfezione e protezione con medicazioni sterili.La guarigione avviene in pochi giorni senza che permangano cicatrici.In medicina legale lo studio della sede, della forma e del numero delle abrasioni rappresenta un ausilio utilissimo per l’interpretazione corretta della dinamica di eventi criminosi.

 
ABREAZIONE

Concetto legato strettamente alla teoria psicoanalitica.È una scarica emotiva che si produce a seguito di un riesame circa la propria situazione emotivo-affettiva.In tale occasione trovano uno sfogo le idee e le esperienze inconsce, rimosse a suo tempo a causa del contenuto non accettabile da parte del soggetto.L’a. è di solito inserita come momento significativo delle psicoterapie che utilizzano il modello psicoanalitico-freudiano.Secondo tale modello, si giunge al punto in cui le esperienze emotivo-affettive rimosse riemergono dall’inconscio a livello di coscienza. Tale improvvisa comparsa di contenuti, fondamentalmente rifiutati, provoca nell’individuo una scarica emotiva che ha una funzione catartica, liberatoria.In questo modo il soggetto riesce ad accettare i contenuti prima rifiutati, favorendo la scomparsa dei sintomi psicopatologici che avevano accompagnato la rimozione dei contenuti disturbanti.

 
ABULIA

Disturbo psichico caratterizzato da inerzia della volontà nel prendere una decisione o nel mettere in atto una determinata azione, pur avendo il soggetto la consapevolezza della necessità di compierla.L’a. è un disturbo che si manifesta in diverse malattie psichiatriche: neuroastenia, psicastenia, schizofrenia.

 
ABUSO DI FARMACI

Consumo smodato o non corretto di sostanze normalmente impiegate a scopo terapeutico, perseguendo scopi non medici, spesso per modificare lo stato di coscienza e della percezione sensoriale (es. oppiacei), o per cercare di migliorare certe prestazioni (es. gli steroidi anabolizzanti nel body building, le amfetamine per migliorare le prestazioni psichiche).

 
ABUSO

Uso illecito, non corretto.

 
ACALASIA

Disturbo motorio caratterizzato da mancato rilasciamento della muscolatura di uno sfintere. La sede più nota dell’a. è il cardias (punto di passaggio tra esofago e stomaco): a. esofagea o cardiospasmo. In questa malattia, in risposta alla deglutizione si verifica un incompleto rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore associato all’assente o incoordinata attività peristaltica di tutto l’esofago con progressiva sua dilatazione.

SINTOMI
I sintomi sono dovuti all’accumulo di cibo nel fondo dell’esofago. Si accusa principalmente difficoltà ad inghiottire i cibi solidi e liquidi.Tale difficoltà è via via sempre più marcata, ma può anche variare di intensità da un giorno all’altro.Altri sintomi sono rappresentati dal rigurgito e dalla perdita di peso.

DIAGNOSI
L’indagine radiologica, rx esofago-gastro-duodeno con bario, permette di porre diagnosi di sospetto di malattia,infatti la diagnosi di certezza viene posta con l’esecuzione della manometria. Tale esame permette di registrare e caratterizzare i movimenti peristaltici dell’esofago e dello sfintere esofageo inferiore. La gastroscopia è indispensabile per escludere la presenza di lesioni maligne che posso presentarsi con gli stessi sintomi.

TERAPIA
L’obiettivo della terapia è quello di ottenere il rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore in modo da permettere il passaggio dei cibi nello stomaco.Questo può essere ottenuto grazie a dilatazioni meccaniche, mediante un intervento chirurgico o con l’utilizzo di farmaci (procinetici, nitrati).

 
ACANTOSI

Termine anatomopatologico che definisce una iperplasia (cioè un eccessivo sviluppo) dello strato epidermico, che si manifesta con cute secca e ruvida, che si solleva in creste e rilievi. Può essere isolata, in zone del corpo sottoposte ad attrito (es. piedi) o diffusa a diverse zone del corpo, soprattutto intorno ai genitali e sulla nuca, e fortemente pigmentata. Quest’ultimo caso rappresenta una vera e propria patologia, detta a. nigricans, che può essere spia di un processo morboso che coinvolge gli organi interni (soprattutto l’apparato digerente). La diagnosi viene fatta tramite biopsia cutanea.

 
ACAPNIA

Termine usato per indicare la diminuzione della concentrazione di anidride carbonica nel sangue. Si manifesta con aumento delle riserve alcaline, diminuzione di frequenza del respiro, caduta di pressione, aumento della frequenza cardiaca. È più correttamente definita ipocapnia. Le disfunzioni corporee che portano alla riduzione della pressione arteriosa dell’anidride carbonica (PaCO2) sono piuttosto rare. L’iperventilazione isterica, cioè il sintomo nevrotico caratterizzato da un aumento della frequenza e dell’intensità del respiro, può condurre a una condizione di alcalosi, cioè a un’eccessiva concentrazione di sostanze alcaline nel sangue, con aumento del suo pH  in questi casi far respirare il soggetto dentro un sacchetto, per breve tempo, è un rimedio efficace e veloce. Altre cause sono legate a farmaci (salicilati, progesterone), disordini del sistema nervoso centrale, insufficienza epatica ed embolia polmonare. Il rene è in grado di compensare con la massima efficacia questa condizione, tramite la produzione di acido lattico e la perdita di ioni HCO3- con le urine.

 
ACCELERAZIONE, effetti dell’

Complesso delle alterazioni funzionali che insorgono nell’organismo umano quando è sottoposto a forti variazioni dell’a. di gravità, cioè dell’a. con cui si muove un corpo in un campo gravitazionale.Quando si verificanoSi verificano nelle manovre aeree acrobatiche (virate strette, risalite improvvise, discese in picchiata ecc.) e nei voli spaziali, circostanze in cui l’organismo è sottoposto a valori di accelerazione fino a 12 volte maggiori di quella normale.Quali sono gli effettiIl peso di tutte le parti del corpo aumenta in proporzione venendo a gravare sullo scheletro, sui visceri e sui liquidi organici, generando disturbi anche gravissimi.Quali sono le alterazioniLe alterazioni conseguenti alle accelerazioni di gravità dipendono soprattutto dalla direzione nella quale la forza accelerante viene applicata, dalla grandezza della forza, dalla durata di applicazione.Se l’a. è in senso verticale può far accumulare troppo sangue negli arti inferiori con conseguente irrorazione insufficiente del cervello e quindi perdita di coscienza o, viceversa, si possono avere disturbi alla visione, emorragie al bulbo oculare o emorragie interne al cervello. In caso di fortissima a. si possono avere anche incrinature e fratture della colonna vertebrale. Se l’a. è diretta orizzontalmente si ha accumulo di sangue nella parte anteriore o posteriore del corpo  nel primo caso si hanno ancora emorragie al bulbo oculare, mentre il secondo caso è il più favorevole per sopportare forti accelerazioni. Coricato sul dorso l’uomo può sopportare senza danno permanente accelerazioni anche molto forti purché si tratti di pochi secondi. Per tempi più lunghi sopravvengono visione nera, cecità permanente, emorragie interne e fratture ossee. Le accelerazioni dei missili che portano veicoli spaziali con uomini a bordo non possono superare gli 8-12 g (g = accelerazione di gravità), limite che vale anche per la violenta decelerazione di una cabina spaziale al rientro nell’atmosfera terrestre.Una “protezione” indispensabilePer sopportare meglio le forti accelerazioni i piloti di aviogetti sono dotati di una tuta speciale, che prende il nome di “tuta anti-g”, e gli astronauti di una tuta spaziale per proteggere gli organi e le parti del corpo più suscettibili di danneggiamento.Gli effetti delle violente accelerazioni sono oggetto di ampia ricerca da parte della medicina spaziale.In sede sperimentale sono stati studiati sistemi per neutralizzare, almeno in parte, gli inconvenienti a essi legati, e per permettere all’organismo di sopportare per un certo tempo, senza danno, questo stato eccezionale ricorrendo ad allenamenti eseguiti a terra con speciali apparecchiature, come “slitte a razzo”, dove l’uomo viene posto, di volta in volta, in diverse posizioni allo scopo di individuare quelle più idonee a aumentare i limiti di tollerabilità.

 
ACCERTAMENTO DELLA MORTE

Atto tecnico mediante il quale il sanitario verifica l’avvenuto decesso. Insieme alla constatazione ed alla dichiarazione fa parte dell’insieme di procedure attuate per legge al momento dell’exitus.L’a della morte si esegue impiegando la tecnica tanato-diagnostica (clinica e, all’occorrenza, strumentale) e si basa non solo sull’accertare l’arresto delle funzioni vitali, ma anche nello stabilire l’irreversibilità della cessazione di tali funzioni.

 
ACCERTAMENTO SANITARIO

Insieme di tutte le attivita diagnostiche necessarie, oltre all’esame obiettivo, per formulare una diagnosi e quindi prescrivere una terapia (ad es. indagini strumentali, esami di laboratorio)  sono inclusi in questo gruppo le visite fiscali, le perizie, le consulenze tecniche, i test di paternità, le visite prematrimoniali, le indagini di identificazione personale, i riscontri relativi a specifiche idoneità o invalidità.

 
ACCESSO

Termine che indica la comparsa improvvisa di un sintomo (per es. a. doloroso, a. febbrile) o di un gruppo di sintomi (per es. a. convulsivo, a. isterico, a. eclamptico), più spesso nel contesto di una malattia già in atto, ma anche come manifestazione unica isolata.Nel linguaggio comune si usa anche il termine crisi (per es. crisi dolorosa, crisi asmatica), che però riveste un significato diverso.Accesso venosoVia di ingresso al sistema venoso periferico o centrale. Il periferico è utile per le terapie più leggere e per tempi ridotti  il centrale è utilizzato per terapie nutrizionali in pazienti che non si possono alimentare attraverso le normali vie e per valutare la pressione venosa centrale in pazienti in precarie condizioni di equilibrio dei liquidi intracorporei.Accesso chirurgico. Definisce il tipo di taglio effettuato per accedere ad un determinato distretto anatomico.

 
ACCESSORIO, nervo

Nervo rappresentante l’XI paio dei nervi cranici. È un nervo motore e una sua porzione si unisce per un certo tratto al nervo vago. Il nervo a. origina con due serie di radici: una esce dalla metà inferiore del bulbo (porzione bulbare), l’altra esce dal primo tratto del midollo spinale (porzione spinale). Quest’ultima entra nel cranio attraverso il foro occipitale e qui si unisce alla porzione bulbare formando un tronco comune che a sua volta fuoriesce dal cranio attraverso il foro giugulare.All’uscita il nervo a. si sdoppia di nuovo in due porzioni: una interna che si accolla per un tratto al nervo vago, al quale fornisce il contingente di fibre nervose destinato ai musculi laringei (attraverso il ramo del nervo vago detto nervo ricorrente) ed il contingente destinato alla faringe  una esterna che innerva i muscoli trapezio e sternocleidomastoideo. Le lesioni di questo nervo compromettono la mobilità delle zone innervate  le lesioni del nervo ricorrente (per patologia tiroidea o per interventi chirurgici al collo), comportano la perdita della fonazione.

 
ACCLIMATAMENTO

Adattamento dell’organismo alle condizioni climatiche di un ambiente al quale non è abituato. Il periodo necessario per raggiungere il nuovo equilibrio varia da soggetto a soggetto, perché dipende dalla reazione dell’organismo, che può essere più o meno pronta: l’a. si completa nell’arco di alcuni giorni (fino a qualche settimana), finché scompaiono gradualmente gli effetti nocivi delle variate condizioni ambientali, che si manifestano con malessere, debolezza generale, facilità ad ammalarsi ecc. Le più comuni variazioni ambientali che l’organismo può trovarsi a dover affrontare sono le variazioni di altitudine e di temperatura.Variazioni di altitudineAd altitudini elevate la pressione di ossigeno è ridotta e l’organismo deve compensare la diminuita pressione parziale di questo gas nell’aria inspirata. Si possono distinguere tre fasi nel corso di questi processi:- Fase a breve scadenza. Si ha un aumento delle pulsazioni cardiache e degli atti respiratori: ciò permette di mantenere il necessario apporto di ossigeno ai tessuti, ma comporta un abnorme lavoro per il cuore e per la funzione respiratoria.- Fase di adattamento. Aumentano il numero di globuli rossi (poliglobulia) e la quantità di emoglobina nel sangue  accresce così la capacità del sangue di trasportare ossigeno dai polmoni ai tessuti.- Fase di a. Compaiono altre modificazioni del sangue e del metabolismo che richiedono, per instaurarsi, un tempo più o meno lungo secondo l’altitudine. In questa fase permangono, anche se in modo attenuato, le modificazioni funzionali instauratesi nelle fasi precedenti. Le modificazioni di a. sono evidenti soprattutto in chi risiede permanentemente ad altitudini elevate (popolazioni delle montagne himalayane, delle Ande, minatori del Cile e del Perù).I disturbi di un’ascesa troppo rapida sono noti come “mal di montagna” o “mal delle altitudini” e comprendono mal di testa, debolezza, mancanza di respiro, aumento delle pulsazioni cardiache, a volte nausea e vomito. Tali sintomi possono comparire nel giro di qualche ora o anche dopo qualche giorno.Variazioni di temperaturaL’a. dell’organismo umano a climi caratterizzati da temperature elevate avviene attraverso due fasi:- Fase di adattamento. Comporta la dilatazione dei vasi capillari periferici e l’aumento della sudorazione  ciò consente una maggiore dispersione del calore e quindi il mantenimento dell’equilibrio termico.In clima secco questo adattamento è veloce e senza particolari problemi fisici, più lento in caso di clima caldo-umido per la difficoltà di sudorazione.- Fase di a. Alle prime modificazioni funzionali fanno seguito, dopo un certo tempo, anche modificazioni metaboliche più graduali e più stabili, con minor produzione di calore da parte dei tessuti e adattamento ottimale al nuovo stato.Nell’adattamento dell’organismo umano al caldo e al freddo intervengono anche fattori artificiali quali il vestiario: indumenti di idoneo tessuto, ampi, e di colore bianco (per es. quelli dei beduini) riflettono i raggi del sole e permettono la traspirazione per la difesa dal caldo  indumenti di lana o di pelo mantengono invece il calore corporeo impedendone l’eccessiva dispersione.

 
ACCOMODAZIONE

Proprietà dell’occhio di mantenere nitida la visione degli oggetti posti alle diverse distanze. Si realizza attraverso modificazioni di curvatura di una lente convessa posta all’interno dell’occhio, il cristallino, per effetto della contrazione del muscolo ciliare a essa collegato. Grazie a ciò i raggi luminosi che compongono l’immagine cadono sempre a fuoco sulla retina. Quando l’occhio è allo stato di riposo i raggi paralleli provenienti da un oggetto teoricamente posto all’infinito (punto remoto) formano il loro fuoco sulla retina  ma quanto più gli oggetti si trovano vicini all’occhio tanto più i raggi che da essi provengono diventano divergenti. In questo caso se le strutture oculari non subissero alcuna modificazione, essi colpirebbero la retina prima di arrivare al fuoco: l’immagine risulterebbe così sfocata e indistinta. Invece quanto più un oggetto è posto vicino all’occhio tanto più il muscolo ciliare si contrae, aumentando la convessità del cristallino, e di conseguenza l’immagine risulta nitida.Il punto prossimo è la distanza minima al di sotto della quale non si può modificare la curvatura del cristallino: perciò gli oggetti posti più vicino del punto prossimo non possono formare una immagine nitida sulla retina. Il potere accomodativo dell’occhio diminuisce con l’aumentare dell’età, per la progressiva diminuzione dell’elasticità del cristallino: in tal caso l’occhio si dice presbite. Oltre che nella presbiopia si hanno disturbi dell’a. anche nell’astenopia accomodativa (condizione di stanchezza del muscolo ciliare) e nello spasmo della a. (dovuto a contrazione spastica del muscolo ciliare, che blocca l’a. al punto prossimo così che il soggetto può vedere distintamente solo gli oggetti posti a distanza ravvicinata).

 
ACCOMODAZIONE, spasmo dell'

Spesso, per varie cause, si instaura una contrazione continua del muscolo ciliare che determina un aumento di curvatura del cristallino. Anche in questo caso l’occhio è a fuoco su una distanza fissa, che, contrariamente al caso precedente, è molto vicina all’occhio: si ha cioè un avvicinamento del punto remoto (cioè il punto più lontano della visione distinta) al punto prossimo (cioè il punto più vicino).

CAUSE
Generalmente lo spasmo si verifica in soggetti giovani in caso di sovraffaticamento  è frequente negli ipermetropi ed è favorito dall’astigmatismo (v.).

SINTOMI
I genitori notano che il bambino tiene la testa molto vicina al libro, non vede la lavagna  questo potrebbe far pensare a una miopia, ma il bambino si lamenta insistentemente di cefalee quando legge.

DIAGNOSI
Visita oculistica.

TERAPIA
Prescrizione di lenti correttive.

 
ACCRESCIMENTO, disturbi dell'

A salvare la crescita da un esaurimento troppo precoce, intervengono normalmente alcuni fattori, le cui azioni, pur manifestandosi a livelli diversi, sono in perfetto equilibrio.Tra i regolatori della crescita, gli ormoni, prodotti dalle ghiandole endocrine, e in particolare dalla tiroide, dall’ipofisi, dalla corteccia surrenale e dalle gonadi (durante l’adolescenza), occupano un posto di prima importanza  ad essi si aggiungono fattori nervosi e psichici, e i non meno determinanti fattori ereditari e razziali, che caratterizzano il tipo di costituzione. Sono note le somiglianze tra padre e figlio o tra fratelli, e pare persino che nei componenti di una stessa famiglia le varie tappe dello sviluppo si compiano nello stesso modo.Di fronte a un bambino minuto, che cresce poco, pur essendo perfettamente sano, possono notevolmente diminuire le perplessità diagnostiche, scoprendo che la madre o i fratelli maggiori, a quell’età, si erano comportati allo stesso modo  e così pure è più probabile che nasca un figlio “piccolo” da genitori di bassa statura che non da una coppia d’individui alti. A determinare uno sviluppo armonico intervengono anche fattori esterni quali il tipo d’alimentazione, il clima, l’attività fisica, le malattie e l’ambiente in cui il bambino vive.Fattori di diversa natura possono interferire in tutte le diverse fasi in cui avviene l’a. dell’organismo. Quando essi si instaurano durante la vita embrionale potranno alterare il processo di organogenesi determinando malformazioni tanto più gravi quanto più precocemente essi agiscono.A livello dei diversi tessuti differenziati, poi, condizioni ambientali normali o patologiche possono agire influenzando negativamente i processi accrescitivi (ipotrofia e atrofia), oppure possono indurre una eccessiva proliferazione del tessuto (iperplasia e ipertrofia) a volte associata ad alterazione dei caratteri cellulari e strutturali del tessuto (displasia, metaplasia). In questo senso anche i processi tumorali, in quanto processi proliferativi anomali di un tessuto, possono considerarsi disturbi dell’a. Infine, a livello dell’intero organismo, i disturbi dell’a. possono manifestarsi con quadri clinici molto vari, dei quali i più noti sono il gigantismo e il nanismo.È molto difficile, proprio per i molti fattori in causa, definire esattamente quale deve essere la statura “normale” nelle varie età, tenendo presente anche che dal momento in cui nasce, fino all’età adulta, ognuno cresce e si sviluppa in base a caratteristiche strettamente personali. Di fronte a un individuo la cui statura si stacca dalla media, in difetto o in eccesso, è necessario, per questo complesso di ragioni, procedere con cautela prima di definirlo un nano o un gigante.Alcuni bambini, infatti, rallentano improvvisamente la crescita, e per un certo periodo rimangono piccoli rispetto ai coetanei, fino a che un bel giorno riprendono ad allungarsi e, riguadagnando il ritardo, diventano adulti di statura normale. Se il difetto di statura persiste e si accentua col passare degli anni, si può veramente parlare d’ipoevolutismo o di nanismo.Valutare lo stato di nutrizione non è facile, e benché disturbi molto gravi siano appariscenti e inequivocabili, altri, più lievi, passano spesso inosservati per lungo tempo. In genere la valutazione è fatta in base alla variazione del peso, in rapporto all’età e alla statura  ciò è giusto entro certi limiti poiché, se consente di classificare, per esempio, un bambino troppo alto, ma molto magro, non permette, d’altra parte, di identificare il folto gruppo di soggetti che, nonostante abbiano il peso concordante con l’età e con l’altezza, sono dei “malnutriti”.

 
ACE

(Angiotensin Converting Enzyme) sigla che indica l’enzima di conversione dell’angiotensina. Gioca un ruolo chiave nella regolazione del tono dei vasi sanguigni. Si tratta di una proteina che a livello polmonare trasforma l’angiotensina I in angiotensina II: quest’ultima è la più potente molecola vasocostrittrice presente nel corpo umano.L’ACE è anche capace d’inattivare la bradichinina, una sostanza vasodilatatrice. Il dosaggio dell’ACE nel sangue può risultare utile nella diagnosi di sarcoidosi.

 
ACEBUTOLOLO

Farmaco beta–bloccante cardioselettivo. Usato nella terapia dell’angina e delle aritmie cardiache (tachiaritmie).Agisce diminuendo la frequenza e la contrattilità del muscolo cardiaco, quindi riducendo la richiesta di ossigeno da parte del cuore, fattore determinante nello scatenare la sintomatologia anginosa.Statisticamente diminuisce la mortalità nei pazienti affetti da angina.

 
ACEFALIA

Mancanza della testa congenita.

ACE-INIBITORI

Gruppo di farmaci oggi impiegati diffusamente nella terapia cronica dell’ipertensione, contro la quale agiscono, come dice il loro nome, inibendo l’enzima ACE (che converte l’angiotensina I in angiotensina II) e quindi determinando vasodilatazione periferica: in particolare non solo inibiscono l’angiotensina II, che è un potente vasocostrittore, ma ritardano anche la degradazione di un potente vasodilatatore (bradichinina) e alterano la sintesi di prostaglandine. Il primo ACE-inibitore fu trovato nel veleno di una vipera (Bothrops jararaca) e il riconoscimento della sua struttura chimica permise di preparare degli ACE-inibitori sintetici, di cui si conoscono ormai una cinquantina di varietà, tutte riconoscibili per il suffisso “-pril” del loro nome farmacologico (captopril, enalapril, lisinopril ecc.).Detti farmaci sono ormai comunemente impiegati nella terapia dell’ipertensione insieme con diuretici, calcioantagonisti, betabloccanti. Sono sempre più importanti non solo in pazienti con ridotta frazione di eiezione cardiaca ma anche in pazienti con associata angina poichè riducono la frequenza di infarti e di morti. Hanno come effetto collaterale l’insorgenza di tosse secca.

 
ACETABOLO

Cavità di forma pressoché emisferica situata sia a destra che a sinistra del corpo, nella parte laterale del bacino. In essa prende alloggio la testa del femore a formare l’articolazione dell’anca o articolazione coxofemorale. Sul fondo dell’a. prende impianto un corto e robusto legamento cordoniforme che si fissa alla testa femorale. Il bordo superiore dell’a. è rinforzato da una sporgenza che rende più solida la connessione articolare.L’a. può essere sede di alterazioni morfologiche che stanno alla base di una patologia multiforme la cui manifestazione più tipica è rappresentata dalla lussazione congenita dell’anca.

 
ACETAZOLAMIDE

Farmaco del gruppo degli inibitori dell’anidrasi carbonica. I farmaci di tale gruppo sono stati i precursori dei moderni diuretici, essi bloccano il riassorbimento renale del bicarbonato di sodio, provocando l’eliminazione urinaria del bicarbonato e riduzione delle riserve di bicarbonati dell’organismo.Oggi sono raramente utilizzati come diuretici ma hanno le seguenti specifiche indicazioni: glaucoma, alcalinizzazione delle urine, alcalosi metabolica, malattia da alta quota.

 
ACETILCOLINA

Sostanza sintetizzata dal sistema nervoso per reazione tra colina e acetil-coenzima A, catalizzata dall’enzima colinacetilasi.L’a. esercita una funzione fondamentale come mediatore chimico della trasmissione degli impulsi nervosi a livello delle fibre dette “colinergiche”. L’a. entra in azione in particolare a livello delle sinapsi del sistema nervoso ortosimpatico, delle giunzioni del sistema nervoso parasimpatico, della placca motrice della muscolatura scheletrica e delle sinapsi eccitatorie del sistema nervoso somatico centrale. L’a. è accumulata nelle terminazioni nervose all’interno di vescicole  sotto lo stimolo di impulsi nervosi le vescicole aderenti alla membrana pre-sinaptica si rompono e liberano l’a. nello spazio sinapstico  a questo punto l’a. può andare a occupare appositi recettori situati sulla membrana post-sinaptica, depolarizzandola, consentendo in tal modo il passaggio dell’impulso. Molti distretti del sistema nervoso centrale contengono a. e gli enzimi deputati alla sua sintesi (acetiltransferasi) e alla sua distruzione (acetilcolinesterasi). L’azione dell’a. è di breve durata, essendo rapidamente distrutta nell’organismo. Le ricerche sembrano aver dimostrato che la vulnerabilità elettiva dei neuroni colinergici legata alla diminuzione dell’enzima colinacetiltransferasi è responsabile della forma di demenza senile detta malattia di Alzheimer.

 
ACETILSALICILICO, acido

<p style="text-align: justify;">Derivato dell&rsquo;acido salicilico. &Egrave; una delle sostanze analgesiche pi&ugrave; usate (costituisce, per esempio, l&rsquo; Aspirina&Acirc;&reg;) ed &egrave; dotata anche di attivit&agrave; antipiretica, antiinfiammatoria e antiaggregante piastrinica.Attivit&agrave; analgesica/antinfiammatoriaNei processi infiammatori e nei dolori di varia natura (cefalea, dolori mestruali, nevralgie ecc.) l&rsquo;acido a. esplica la sua azione inibendo la sintesi delle prostaglandine a livello dei tessuti infiammati e diminuendo la soglia dei recettori degli stimoli dolorifici.Attivit&agrave; antipireticaL&rsquo;acido a. abbassa la temperatura corporea negli stati febbrili di varia natura attraverso un aumento del flusso sanguigno periferico e della sudorazione.Attivit&agrave; antiaggregante piastrinica&Egrave; anche usato come fluidificante ematico, sfruttando la sua azione di antiaggregante, nella prevenzione di malattie tromboemboliche (per es. infarto cerebrale o cardiaco) e nelle vasculopatie periferiche su base aterosclerotica.Effetti collateraliL&rsquo;acido a. ha effetto lesivo sulla mucosa gastrica dove pu&ograve; dare microemorragie &nbsp;&egrave; preferibile quindi somministrare il farmaco dopo i pasti. A causa del suo potere gastrolesivo &egrave; sconsigliato in pazienti affetti da ulcera peptica o gastrite emorragica. L&rsquo;impiego di preparazioni per endovena, tamponate (Bufferin, Ascriptin), o che non si solubilizzano a livello gastrico (Kilios, Cemirit), riduce ma non esclude questo effetto collaterale. Se assunto alle dosi pi&ugrave; elevate e per lunghi periodi pu&ograve; manifestare un&rsquo;azione tossica sul midollo osseo, a livello epatico e renale. L&rsquo;ipersensibilit&agrave; ai salicilati pu&ograve; comunque manifestarsi anche assumendo piccole dosi, sotto forma di eruzioni cutanee o fenomeni anafilattici. Se ne sconsiglia l&rsquo;uso nei bambini sotto i 12 anni con malattie virali per il rischio di gravi effetti collaterali a livello epatico e renale (sindrome di Reye).</p>

ACETONE

Uno dei corpi chetonici che si formano nell’organismo dalla trasformazione metabolica dei grassi.Si forma nel sangue quando l’organismo impiega i grassi anziché il glucosio per produrre energia.Se si verifica questa circostanza, significa che l’insulina a disposizione delle cellule non è sufficiente o che queste non sono in grado di utilizzare quella che si trova nel sangue e quindi non riescono a trasformare il glucosio presente nel sangue in energia.L’a. passa alle urine dove può essere dosato. La produzione di a.si verifica nel diabete scompensato.

 
ACETONEMIA

Presenza di acetone nel sangue. L’acetone, l’acido acetacetico e l’acido beta-idrossibutirrico nel loro insieme costituiscono i cosiddetti “corpi chetonici”. Queste sostanze derivano dal metabolismo dei grassi, degli zuccheri e delle proteine e normalmente sono presenti solo in tracce, in quanto l’organismo se ne libera eliminandoli attraverso il rene o utilizzandoli a scopi metabolici.Il loro aumento può essere l’espressione di condizioni patologiche diverse e si osserva soprattutto nel diabete mellito. Poiché l’acetone è volatile, esso può in tali condizioni essere eliminato anche attraverso l’aria espirata, conferendo così all’alito il suo odore caratteristico (alito acetonemico).

 
ACHILIA

Condizione patologica caratterizzata da mancanza totale della secrezione dei succhi gastrici. Tale evenienza è alquanto rara  frequente è invece la diminuzione più o meno accentuata di detta secrezione: in questo caso si parla di ipochilia. Lo stomaco costituisce la parte del tubo digerente in cui gli alimenti, dopo essere stati masticati e insalivati, si accumulano, vengono mescolati con il succo gastrico secreto da ghiandole presenti nella sua parete, sono parzialmente digeriti e trasformati in chimo. La funzione digestiva svolta dallo stomaco è legata soprattutto alla digestione delle proteine. La secrezione di succo gastrico, come quella salivare che viene stimolata dalla sola vista o dal solo pensiero del cibo, inizia prima che il cibo entri nello stomaco, in modo che questo sia già preparato a ricevere il prodotto della masticazione.Nel processo di secrezione gastrica, infatti, si possono distinguere diverse fasi: una fase nervosa o riflessa, una fase gastrica e una fase intestinale. La prima fase della secrezione gastrica è essenzialmente di natura riflessa: la vista e l’odore del cibo stimolano i centri nervosi del vago  l’eccitazione, quindi, si trasmette alle ghiandole che tappezzano la mucosa dello stomaco, in modo che queste iniziano la loro attività secretoria. Quando poi il cibo entra nella bocca e viene masticato, la stimolazione riflessa si fa ancora più forte e la secrezione di succo gastrico diviene molto abbondante.Si calcola che, se il gusto dei cibi è tale da soddisfare il palato di chi li inghiotte, la quantità di succo gastrico, che viene secreta durante questa prima fase della digestione, può raggiungere la metà di tutta quella che viene prodotta durante l’intero periodo digestivo nello stomaco. I “piaceri della tavola” assumono così un’importanza decisiva nel processo della digestione, e la tendenza a dare eccessiva importanza al numero di calorie di ciascun cibo, trascurandone il gusto e persino l’aspetto, è da considerare negativamente.Dopo circa mezz’ora dall’ultimo boccone passato attraverso le fauci, la secrezione riflessa ha termine. Il cibo si trova ancora nello stomaco e, affinché la digestione sia completa, la secrezione di succo gastrico deve continuare. A questo punto entra in gioco la seconda fase del periodo digestivo, detta appunto fase gastrica della secrezione. Questa ha inizio soltanto in seguito all’entrata del cibo nello stomaco ed è indipendente da qualsiasi influsso nervoso riflesso, perché ha luogo anche quando tutte le vie nervose dello stomaco sono state tagliate. Le ghiandole vengono inizialmente stimolate dalla distensione delle pareti dello stomaco ad opera della massa del cibo. Tuttavia uno stimolo ben maggiore viene prodotto per via chimica. Sono infatti presenti, nella carne e in molti vegetali, speciali sostanze, dette secretagoghe, in grado di stimolare la mucosa dello stomaco a produrre un ormone, la gastrina, che attraverso la corrente sanguigna giunge alle ghiandole gastriche e le induce ad aumentare il flusso delle secrezioni. La gastrina, la cui secrezione può essere anche indotta da stimoli vagali, oltre a stimolare la secrezione gastrica, ha un effetto eccitante sulla motilità della muscolatura dello stomaco. Infine, si ha la cosiddetta fase intestinale perché lo stimolo prende origine dall’intestino tenue. Anche in questo caso il meccanismo non è nervoso, ma sfrutta l’azione di vari ormoni gastrointestinali che svolgono attività inibitoria sulle cellule gastriche bloccando la produzione di acido. Turbe della secrezione, che interessano una o più sostanze componenti il succo gastrico, si osservano tipicamente nelle gastriti croniche atrofiche e nelle gastriti alcoliche: in queste affezioni difatti le ghiandole della mucosa perdono la loro capacità secretiva. L’alterato assorbimento di vitamina B12 per il deficit di fattore intinseco conduce all’anemia perniciosa. È anche possibile l’insorgenza di anemia sideropenica per la diminuita produzione di HCl (acido cloridrico) necessario per la riduzione del Fe+++ a Fe++ forma nella quale il ferro viene assorbito nell’intestino tenue.I sintomi dell’a. sono legati alla deficiente digestione dei cibi e consistono in un persistente senso di peso epigastrico, nel prolungamento della digestione, nel lieve deperimento organico  l’alito è cattivo, la lingua biancastra, l’alvo irregolare.

 
ACHILLE, tendine di

Grosso e robusto tendine che, prendendo origine dai muscoli del polpaccio, va a inserirsi sulla faccia posteriore del calcagno.Il tendine di A. agisce come forza applicata di una leva di secondo grado, dove il fulcro è rappresentato dall’appoggio sull’avampiede e la resistenza dal peso corporeo che grava in corrispondenza dell’articolazione tibio-tarsica (caviglia). La più frequente manifestazione patologica a carico del tendine di A. è rappresentata dalla sua rottura, che si può verificare in occasione di sforzi anche non particolarmente violenti  essa può essere all’inizio parziale e completarsi dopo alcuni giorni.Manifestazioni patologiche correlate al tendine di A. sono infiammazioni della borsa retrocalcaneare e della borsa retroachillea.

 
ACHILLEO, riflesso

Movimento di flessione plantare del piede che si ottiene percuotendo con un martelletto il tendine di Achille. È dovuto a una contrazione involontaria del muscolo tricipite della gamba, ed è presente in tutti i soggetti sani pur potendo tuttavia mancare anche in assenza di lesioni neurologiche (per es. negli anziani). La sua valutazione è importante nell’esame neurologico.

 
ACICLOVIR

Farmaco antivirale, analogo della guanosina, che interferisce selettivamente con la sintesi dell’enzima DNA polimerasi virale, e non danneggia le cellule umane.Si utilizza nelle infezioni da Herpes Virus labiale (Herpes Simplex tipo 1), genitale (Herpes Simplex tipo 2), Varicella-zoster, nelle encefaliti Herpetiche.È disponibile in compresse, fiale e pomata.Gli effetti collaterali sono nulli nella terapia locale con pomata, rari nella terapia per bocca (disturbi intestinali e cefalea), importanti a livello del rene e del fegato nella terapia endovena (somministrabili solo a pazienti ospedalizzati). Non andrebbe usato in gravidanza in quanto gli effetti tossici sul feto non sono certi.

 
ACIDIFICANTI

Farmaci che modificano il ricambio in senso acidosico. Vengono utilizzati a scopo terapeutico quando sia necessario variare il preesistente pH urinario, sia nelle infezioni delle vie urinarie per rendere sfavorevole l’ambiente ai germi, sia per prevenire e curare la formazione di calcoli. A tale fine si utilizzano l’acido mandelico e sali acidi come il cloruro di calcio e il cloruro d’ammonio ad anione non metabolizzabile nell’organismo.

 
ACIDO-BASE EQUILIBRIO

Il grado di acidità di una soluzione è dato dalla concentrazione di ioni idrogeno (H+). Nella pratica l’acidità è misurata dal pH, che è il co-logaritmo decimale della concentrazione idrogenionica. Il pH si mantiene nel sangue intorno a 7,35 - 7,45. Variazioni anche modeste del pH ematico (± 0,6) possono causare la morte. Il mantenimento di un equilibrio acido - basico soddisfacente è affidato ai polmoni e ai reni. L’organismo produce quotidianamente una gran quantità di anidride carbonica, la quale può essere considerata come un "acido volatile" che viene eliminato dai polmoni. L’eliminazione dei radicali acidi fissi, non volatili, è invece affidata al rene che mette in opera tre meccanismi fondamentali per tamponare gli idrogenioni: il sistema dei fosfati (nel lume dei tubuli renali ogni fosfato cattura un idrogenione, trasformandosi da fosfato bibasico a monobasico), il sistema dei bicarbonati (nel lume tubulare gli idrogenioni vengono catturati dal bicarbonato che è poi trasformato in acqua e anidride carbonica, quest’ultima è ritrasformata in bicarbonato che viene riassorbito da tubuli  queste reazioni chimiche sono mediate da un enzima chiamato anidrasi carbonica), l’escrezione di ammoniaca (le cellule tubulari producono ammoniaca che è liberamente diffusibile  ogni molecola di ammoniaca che passa nel lume tubulare si lega a un idrogenione trasformandosi in ione ammonio che viene eliminato con le urine).Questi sistemi tampone sono in grado di assicurare un pH stabile nel sangue sia attraverso l’eliminazione degli idrogenioni sia attraverso il recupero di basi (soprattutto bicarbonato di sodio). La difesa da un eventuale eccesso di basi (alcalosi) è affidata a un’eliminazione urinaria di bicarbonato.Esiste infatti una "soglia" per il riassorbimento dei bicarbonati corrispondente al valore ottimale di bicarbonato nel sangue. Perciò quando i bicarbonati nel sangue superano questo valore - soglia non vi è più riassorbimento tubulare e queste basi vengono perse con l’urina.

 
ACIDOSI

Condizione patologica a carico dell’equilibrio acido-base del sangue e dei liquidi interstiziali dell’organismo, in rapporto con la presenza di un eccesso di radicali acidi o una riduzione delle basi. In condizioni normali il valore medio del pH del sangue e dei liquidi interstiziali è compreso tra 7,35 e 7,45 e viene mantenuto costante grazie alla presenza nel sangue di sistemi tampone capaci di neutralizzare le valenze acide o basiche in eccesso. I limiti estremi di pH compatibili con la vita sono 6,85 e 7,65. In condizioni di a. fino a un certo punto l’organismo mantiene invariato il valore del pH (a. compensata), attraverso una progressiva riduzione della quantità di basi disponibili.Si parla di a. scompensata quando l’organismo non è più in grado di tamponare questo squilibrio, così che compare uno spostamento dei valori di pH verso l’acidità  è bene comunque ricordare che un pH nei range di normalità non è sinonimo di normale equilibrio acido-base poiché possono essere innescati meccanismi di compenso.L’a. può essere dovuta a insufficiente eliminazione di anidride carbonica dai polmoni con la respirazione (a. respiratoria): ciò si osserva comunemente in malattie polmonari quali l’enfisema, nelle fibrosi diffuse e nelle malattie cardiopolmonari, dove perciò si verificherà la condizione di ipercapnia, con aumento della pressione parziale dell’anidride carbonica nel sangue arterioso (PaCO2 maggiore di 45 torr): in questo caso avremo un aumento di H2CO3 nei fluidi corporei.I sintomi dell’a. respiratoria sono rappresentati essenzialmente da una colorazione bluastra della cute e delle mucose visibili (cianosi) in rapporto con la scarsa ossigenazione del sangue e, nei casi gravi, anche da disturbi neurologici (torpore, confusione mentale, fino al coma).L’a. può essere dovuta anche a disturbi metabolici (a. metabolica) comportanti un accumulo di acidi (per es. nel coma chetosico nel diabete), oppure una perdita di bicarbonati (in malattie renali come l’insufficienza renale cronica, diarree profuse).I sintomi della a. metabolica sono paragonabili a quelli della forma respiratoria.La ventilazione risulta maggiore rispetto a quella osservata nei casi acuti (esitando in una riduzione della PCO2 e pertanto della concentrazione di H+) e, nelle acidosi metaboliche croniche, l’aumento della ventilazione è misurato in relazione all’aumento dei bicarbonati nel liquido cerebro-spinale.

 
ACINESIA

(O Acinesi). Perdita o diminuzione di quel complesso di movimenti automatici (quali le modificazioni dell’espressione del volto, l’attività gesticolatoria che accompagna il linguaggio, le oscillazioni degli arti superiori durante il cammino, alcuni moti istintivi) che caratterizzano l’attività motoria spontanea del soggetto normale.Si osserva in alcune affezioni neurologiche (morbo di Parkinson) e psichiatriche (schizofrenia catatonica).

 
ACINO

Struttura anatomica microscopica costituente l’unità funzionale di organi ghiandolari. Così l’a. pancreatico è formato da un gruppo di cellule ghiandolari e dal dotto escretore cui fanno capo  l’a. epatico è formato dalla porzione di tessuto che circonda uno spazio portale. Si parla di a. polmonare riferendosi al bronchiolo respiratorio, ai condotti alveolari e agli alveoli che da esso dipendono.

 
ACLORIDRIA

vedi ANACLORIDRIA

 
ACME

Il periodo dell’evoluzione di una malattia durante il quale i diversi sintomi presentati dal paziente raggiungono la loro massima intensità  la malattia è quindi in un certo modo in una fase stazionaria.Il termine è usato anche per indicare la punta più alta della curva febbrile.

 
ACNE ROSACEA

Malattia completamente diversa dall’a. volgare e dall’a. giovanile.Colpisce soprattutto soggetti di sesso femminile tra i 40 e i 50 anni, interessando il viso: naso, guance e anche la fronte, il mento, le tempie. Si inizia con un arrossamento facciale dovuto a una congestione cronica dei vasi capillari e delle piccole vene che rimangono poi permanentemente dilatati (couperose). Ciò porta a un ispessimento cutaneo diffuso con comparsa di papule e pustole in gittate successive, spesso scatenate da strapazzi alimentari. Nei casi datanti da lungo tempo il naso assume un colorito violaceo e aumenta di volume (rinofima), poiché si realizzano una stasi nei vasi linfatici e un aumento del tessuto connettivo del derma. Nell’a. rosacea mancano i comedoni. La malattia ha un’evoluzione cronica e le lesioni tendono a scomparire con la vecchiaia. L’a. rosacea si osserva di solito in persone affette da disturbi dell’apparato digerente (gastriti, ernie diaframmatiche, stitichezza, cattiva digestione), spesso aggravati da cattive abitudini alimentari o da disturbi ormonali, focolai di infezione cronica, reazioni vasomotorie della cute a stimoli fisici.

TERAPIA
Hanno importanza provvedimenti di carattere generale (somministrazione di vitamine, di antibiotici in caso di infezione, correzione dei disturbi digestivi e circolatori) localmente è importante l’accurata e frequente pulizia del viso, eventualmente utilizzando preparati a debole azione antisettica.

 
ACONDROPLASIA

Condizione patologica caratterizzata da un difettoso accrescimento scheletrico per un disturbo dei processi di maturazione e di ossificazione a livello della cartilagine di coniugazione nelle ossa lunghe degli arti: queste rimangono corte, pur accrescendosi normalmente nelle altre direzioni, così come normalmente si accrescono le ossa del cranio, della faccia e del tronco.Il soggetto acondroplasico pertanto manifesta una forma di nanismo detto disarmonico, in quanto caratterizzato da una sproporzione tra le dimensioni degli arti e il resto del corpo. L’a. è una malattia ereditaria a trasmissione dominante (anche se l’80% dei casi sono sporadici, cioè dovuti a una mutazione genetica insorta ex novo e non ereditata dai genitori). Molti soggetti nascono morti o muoiono nei primi giorni di vita. Se sopravvivono possono raggiungere anche un’età avanzata, poiché in genere l’alterazione scheletrica non si accompagna ad altre anomalie. La loro statura in età adulta può variare da 1 a 1,40 m.Tipici acondroplasici sono i nani del circo equestre: essi hanno un aspetto caratteristico, con la testa piuttosto grossa, il naso largo e appiattito alla radice, il collo corto piantato su un tronco normalmente sviluppato in altezza e che contrasta fortemente con le braccia e le gambe cortissime e tozze. Già nel neonato è possibile riconoscere quest’anomalia, poiché balza facilmente all’occhio la sproporzione tra la testa enorme, il corpo più o meno normale e gli arti corti, che diventerà sempre più evidente in seguito. La radiografia dello scheletro mostra le ossa lunghe degli arti spesse e massicce, alle cui estremità però manca quasi completamente la porzione cartilaginea a carico della quale l’osso si sviluppa in lunghezza. È questo l’unico difetto dei piccoli acondroplasici  essi, infatti, si svilupperanno e cresceranno normalmente in tutto il corpo, fuorché nelle gambe e nelle braccia, che conserveranno, rispetto al tronco, le stesse proporzioni che avevano alla nascita. I nani acondroplasici mettono i denti, imparano a camminare e a parlare al momento giusto  alla pubertà hanno uno sviluppo sessuale regolare e quando entrano nella vita sociale, l’intelligenza vivace e brillante spesso li aiuta a superare le difficoltà di un’esistenza tra individui “normali”.La terapia è in pratica inesistente  la correzione precoce delle deformità e l’allungamento degli arti, attualmente reso possibile dall’applicazione di sofisticate tecniche ortopediche, consente un buon miglioramento delle funzioni motorie e dell’aspetto estetico.

 
ACQUA

Composto chimico (formula chimica H2O = 2 atomi di idrogeno legati a un atomo di ossigeno) indispensabile a tutte le forme viventi del nostro pianeta per effettuare il proprio ciclo vitale. L’a. svolge una funzione fondamentale in tutti i processi biologici in quanto costituisce il principale solvente delle sostanze di cui l’organismo è composto, e pertanto il mezzo nel quale si svolgono i fenomeni fisico-chimici che caratterizzano l’attività delle cellule.Gli alimenti contengono a., in modo particolare la verdura (valore medio 90%), la frutta (dall’80 al 90% circa), le carni, i pesci, ecc. Molti altri cibi commercializzati allo stato secco (paste alimentari, farine, riso, ecc.) assorbono forti quantità di a. nella cottura e contribuiscono pertanto a un suo apporto. Essa costituisce l’ambiente favorevole alle molteplici reazioni chimiche ed enzimatiche che danno luogo sia alle alterazioni degli alimenti sia allo sviluppo e al metabolismo dei microrganismi, tanto che l’esclusione o l’allontanamento dell’a. (concentrazione, essiccamento, disidratazione, liofilizzazione) è un efficace sistema di conservazione degli alimenti.L’organismo umano è composto per la maggior parte di a. (circa il 75% nel bambino e il 60% nell’anziano). Di essa ca. il 39% del peso corporeo totale è contenuta entro le cellule (a. intracellulare) in quantità variante secondo i tipi di tessuto: il tessuto nervoso, il sangue, il tessuto muscolare ne sono particolarmente ricchi  molto minore è invece il contenuto di a. nel tessuto osseo e in quello adiposo. Il restante 23% ca. del peso corporeo, costituisce l’a. extracellulare, parte della quale è contenuta negli interstizi dei tessuti, parte entro il sistema circolatorio a costituire il plasma sanguigno.Il fabbisogno d’a. da parte dell’organismo serve a riequilibrare le perdite (circa 2.500-2.700 ml al giorno), che sono notevolmente influenzate dalle condizioni ambientali (temperatura e grado igrometrico dell’aria) e dal tipo di alimentazione, che può essere più o meno ricca di sali sodici e potassici.Il contenuto di a. nell’organismo è mantenuto costante attraverso l’equilibrio fra quella introdotta e quella perduta. L’organismo umano non dispone di vere e proprie riserve d’a. e la perdita del 10% dell’a. corporea totale può già determinare disturbi gravi. La privazione dell’a. porta a morte ancor prima della privazione del cibo: in particolari condizioni, favorenti la disidratazione, la morte può sopraggiungere in due o tre giorni  la sopravvivenza massima non supera comunque i 4-6 giorni.Acqua introdottaDell’a. che entra giornalmente nell’organismo, 1000-1500 ml ca. sono rappresentati dall’a. assunta come tale  una quantità minore, e che tuttavia può raggiungere anche i 1000 ml in dipendenza del tipo di dieta, è introdotta con il cibo. All’apporto esterno viene inoltre ad aggiungersi la quantità (200-400 ml al giorno) che si forma nell’organismo per effetto dei processi ossidativi che hanno luogo nel corso del metabolismo degli alimenti.Acqua eliminataL’a. viene perduta dall’organismo con le urine (1500 ml ca. al giorno), con le feci (150 ml ca. al giorno) e per evaporazione attraverso la cute e l’aria espirata (800-1000 ml ca. al giorno). Il mantenimento dell’equilibrio idrico è affidato soprattutto ai reni, che riducono o aumentano l’eliminazione dell’a. attraverso le urine sotto il controllo dell’ormone antidiuretico (ADH), che viene prodotto dall’ipofisi, e dell’aldosterone, un altro ormone che viene prodotto dalle ghiandole surrenali.Strategie protettiveSe l’apporto di a. è insufficiente per ridotta assunzione (per es. nei soggetti in stato di incoscienza o con disturbi della deglutizione, oppure in condizioni ambientali sfavorevoli) o quando se ne abbia una forte perdita (eccessiva sudorazione, febbre, aumento dell’attività respiratoria, ipertiroidismo, diarree, vomiti, diabete ecc.), si ha un aumento della secrezione di ADH: ciò comporta un maggior riassorbimento di a.

 
ACQUA OSSIGENATA

(O perossido di idrogeno), la cui formula chimica è H2O2. Ha la proprietà di liberare, se esposta all’aria, ioni ossigeno attivi, che neutralizzano i batteri. La sua efficacia è limitata dalla breve durata di azione, in quanto l’ossigeno rapidamente si volatilizza. È consigliata nella detersione delle ferite, soprattutto se lacere e sporche, in quanto durante l’applicazione sviluppa piccole bolle che puliscono la zona in profondità.

 
ACQUA POTABILE

Acqua naturale che possiede requisiti chimici, fisici, organolettici e biologici che la rendono adatta all’uso alimentare e domestico.La disponibilità di a. potabile è in relazione alle risorse idriche superficiali e a quelle sotterranee  non tutte queste fonti sono però effettivamente utilizzabili o perché sono altamente contaminate o perché non raggiungibili.Le acque che possono essere più vantaggiosamente utilizzate per l’alimentazione sono quelle sorgive che sgorgano da aperture del terreno e provengono da strati più o meno profondi (falda). Secondo la natura del terreno attraversato, queste acque contengono sali e gas disciolti a differenti concentrazioni e hanno una temperatura più o meno elevata, con una portata spesso irregolare secondo le precipitazioni e la natura del terreno. Alcune acque di sorgente contengono quantità minime di sali  se la percentuale dei sali (il cosiddetto residuo fisso fino a 180°C) è inferiore ai 200 mg/l sono dette acque oligominerali. La gran maggioranza delle acque di sorgente ha un contenuto salino da 0,6 a 1 g/litro: sono le più adatte come acque potabili. Sopra 1 g di sali/litro, le acque acquistano odore e sapore particolari, hanno azioni osmotiche specifiche e spesso sgorgano a temperature elevate  costituiscono allora il gruppo delle acque minerali o acque termali utilizzate a scopo terapeutico.Il contenuto salino complessivo di un’acqua si esprime come durezza totale  la durezza dovuta ai bicarbonati, che scompare durante l’ebollizione, si chiama durezza temporanea, mentre quella che residua durezza permanente (carbonati di calcio e magnesio, solfati, cloruri, ecc.). Acqua con 5 gradi di durezza è considerata dolce, tra i 5 e i 20 gradi moderatamente dura e sopra i 30 gradi molto dura. La durezza delle acque porta a inconvenienti notevoli sia nel campo nutrizionale (un’acqua troppo dura favorisce l’accumulo organico di calcio) sia in quello industriale (incrostazioni, ecc.). Per eliminare l’eccessiva durezza si fa ricorso ai trattamenti d’addolcimento (eliminazione dei sali che producono le incrostazioni).Le acque superficiali destinate all’approvvigionamento idrico debbono possedere, già prima di essere sottoposte al trattamento di potabilizzazione, determinate caratteristiche fisiche e chimiche, i cui limiti di ammissibilità sono definiti per legge.L’insieme delle caratteristiche igienico-sanitarie, chimiche e fisiche costituisce i requisiti di potabilità cui deve rispondere un’acqua che sia immessa al consumo umano. Dal punto di vista batteriologico, il maggior pericolo presentato da un’acqua consiste nel possibile inquinamento di tipo fecale delle falde acquifere a causa delle infiltrazioni, attraverso il terreno, d’acque cloacali  l’inquinamento può avere come conseguenza la presenza di batteri patogeni nell’acqua da bere. Il primo requisito deve essere, quindi, l’assenza di germi patogeni e una presenza di Escherichia coli (germe indicatore di contaminazione fecale) inferiore a 10 cellule per litro.Dal punto di vista chimico bisogna escludere inquinamenti di origine sia organica sia inorganica. A questo fine è necessario analizzare l’acqua e verificare il livello delle sostanze organiche, dell’ammoniaca e dei cloruri (inquinamento organico in atto), dei nitriti e dei nitrati (inquinamento organico estinto) e degli inquinanti inorganici (metalli pesanti, solventi, idrocarburi, pesticidi, ecc.) che possono essere presenti a causa di infiltrazioni nella falda derivanti da industrie circostanti.Infine un’acqua, per essere destinata al consumo da parte dell’uomo, deve essere limpida, incolore, inodore, fresca (da 6 a 12°C), aerata, mediamente salina.Il caso più favorevole di approvvigionamento idrico è rappresentato da sorgenti di qualità idonea e di portata sufficiente  in questo caso, che avviene generalmente in montagna o in collina, l’acqua deve soltanto essere catturata in tubazioni di raccolta e di distribuzione (acquedotti). Nelle zone di pianura si ricorre a trivellazioni più o meno profonde per utilizzare l’acqua delle falde acquifere  l’acqua affluisce poi nei pozzi o è prelevata con pompe. Queste acque sono talvolta usate senza alcun trattamento. Le acque ricche di rifiuti organici e di materiali in sospensione, provenienti da falde superficiali o dai laghi e dai fiumi, devono invece subire un trattamento di potabilizzazione per essere adatte all’uso alimentare. Il primo trattamento è quello della sedimentazione e della filtrazione, eventualmente abbinato alla precipitazione delle sostanze organiche in sospensione. Prima dell’immissione nelle reti di distribuzione si effettuano i trattamenti di sterilizzazione. La sterilizzazione delle acque è effettuata con diversi sistemi, quali la clorazione, l’ozonizzazione, il trattamento con raggi ultravioletti, l’applicazione del calore. Il più usato è indubbiamente la clorazione, perché è il più economico e il più semplice. Si usa il cloro gassoso in bombole, cloroammine e biossido di cloro, mentre poco usati sono gli ipocloriti. Si ricorda infine che quando l’a. potabile manchi, sia insufficiente ai bisogni della popolazione o sia insalubre, il Comune può essere, con decreto del Prefetto, obbligato a provvedersene (Reg. Decreto 1265 del 27-7-1934 art. 248).Giudizio di potabilità È formulato in base a indagini svolte sul terreno di provenienza (studio della falda idrica e rilievo della sua portata) o sul quale l’acqua scorre, e all’analisi fisica, chimica e biologica effettuata sull’acqua stessa.L’esame dei caratteri fisici e organolettici riguarda soprattutto la temperatura, l’odore e il colore.Analisi chimica qualitativa e quantitativaÈ volta alla determinazione dei principali parametri quali il pH, la durezza e il contenuto percentuale di sali di ammoniaca, nitriti, nitrati, sostanze organiche e metalli pesanti.Esame biologico Deve escludere la presenza di germi patogeni mediante la determinazione, sul campione, del numero di colonie batteriche (Bacterium coli non oltre il limite di 10-20 per litro).

 
ACROANESTESIA

CAUSE
È causata da malattie del sistema circolatorio (morbo di Raynaud, tromboangioite obliterante o morbo di Bürger, arteriopatia arteriosclerotica o diabetica) o del sistema nervoso talvolta la si osserva in soggetti isterici.
SINTOMI
Solitamente associata ad altri sintomi che concorrono a chiarire la diagnosi della malattia, l’a. si manifesta con la soppressione graduale dei diversi tipi di sensibilità (tattile, termica e dolorifica) alle dita o anche a tratti più estesi dell’estremità affetta.
TERAPIE
La terapia è in relazione al tipo di malattia responsabile: farmaci vasodilatatori per le affezioni vascolari, vitamine per le affezioni nervose, psicoterapia nell’isteria.

 
ACROCEFALIA
 

Malformazione del cranio caratterizzata da un abnorme sviluppo in altezza della regione occipitale che si accompagna a uno schiacciamento laterale e sagittale della testa (“cranio a torre”).La fronte è molto alta, verticale, e dal suo vertice la volta cranica ridiscende molto obliquamente fino all’occipite.L’a. è dovuta alla precoce saldatura di alcune suture della volta cranica, e può essere in rapporto a sifilide congenita o a rachitismo. A volte si associa alla fusione di due o più dita delle mani o dei piedi (sindattilie) o ad altre anomalie nel quadro di sindromi malformative più complesse.

ACROCIANOSI

Colorazione bluastra delle estremità (soprattutto mani e piedi) dovuta al ristagno di sangue venoso.La scarsa ossigenazione del sangue sembra essere accentuata da un associato spasmo del circolo capillare. Il fenomeno è generalmente asintomatico (al limite le estremità possono essere avvertite come molto fredde e presentarsi umide al tatto) ma viene percepito come antiestetico. Migliora con il massaggio  sono stati proposti numerosi approcci terapeutici (farmaci e/o fitoterapici), tutti generalmente poco efficaci.

ACRODINIA

Rara malattia neurologica che colpisce quasi esclusivamente i bambini al di sotto dei quattro anni, dovuta all’intossicazione cronica da mercurio. All’inizio del XIX secolo tuttavia si osservò una forma simile con carattere epidemico negli adulti.La malattia evolve in due fasi. Nella prima fase il bimbo presenta riniti, spossatezza, malessere generale e si mostra apatico e irritabile e rifiuta il cibo  compaiono formicolii alle mani e ai piedi, ove si osservano anche cianosi e accentuata sudorazione. Tale fase dura alcune settimane dopodiché la malattia entra nella fase stazionaria, che dura alcuni mesi. In essa i disturbi descritti si fanno più intensi, mani e piedi si arrossano intensamente e si coprono di vescicole, l’astenia e i sintomi psichici si aggravano in modo notevole, compaiono aumento della pressione arteriosa, tachicardia, talvolta aumento dei valori della glicemia.

 
ACROFOBIA

Paura di permanere in luoghi elevati (cime di montagne, torri, piani alti di edifici) o di usare mezzi che puntano rapidamente verso l’alto. Si traduce generalmente in una sensazione di vertigine che rende molto penoso o addirittura impossibile l’accesso a tali luoghi.L’a. è una delle manifestazioni più frequenti della nevrosi fobica.

 
ACROMATOPSIA

Disturbo congenito della visione del colore, che consiste nella totale mancanza di percezione dei colori fondamentali, delle loro gradazioni e le mescolanze che risultano dai colori fondamentali.

CAUSE
Dipende dalla mancanza nella retina dei coni, i recettori delle sensazioni visive colorate, e può essere determinato da anomalie malformative congenite, o può conseguire ad alterazioni degenerative della retina (come per es. nelle retiniti pigmentose).
SINTOMI
Cecità totale per i colori: il soggetto riesce a distinguere solo le diverse intensità luminose dei colori, quindi vede tutto “in bianco e nero”.
DIAGNOSI
Visita oculistica.
TERAPIA
Non esiste.

 
ACROMEGALIA

Malattia del sistema endocrino dovuta a eccessiva produzione cronica di ormone somatotropo da parte dell’ipofisi anteriore.

CAUSE
Si manifesta con un progressivo aumento di volume delle ossa e delle parti molli questi fenomeni sono più evidenti alle estremità, onde il nome della malattia. Nella quasi totalità dei casi l’eccesso di produzione dell’ormone è dovuto alla presenza nell’ipofisi anteriore di un tumore benigno (adenoma) costituito di quelle stesse cellule che secernono l’ormone somatotropo in condizioni normali. Questo ormone se prodotto in eccesso prima che l’accrescimento corporeo abbia raggiunto lo stadio adulto (chiusura delle epifisi ossee) determina il gigantismo quando invece lo sviluppo corporeo si è già completato e l’accrescimento in lunghezza delle ossa non è più possibile si ha accrescimento delle ossa nel senso dello spessore, come avviene appunto nell’a. Tale malattia compare infatti attorno ai 30 anni, colpendo con maggiore frequenza le femmine. Non è una patologia comune, avendo un’incidenza di circa quattro nuovi casi per milione di popolazione ed una prevalenza di 80 per milione. Il gh (ormone somatotropo o della crescita) induce la secrezione di una proteina, denominata somatomedina C (IGF-1), che sostanzialmente funge da mediatore per gli effetti del GH. A monte dell’ipofisi, l’ipotalamo regola la produzione di GH attraverso la secrezione di una fattore stimolatorio (GHRH) e di uno inibitorio (somatostatina) in circa il 30-40% dei casi si riscontra una mutazione della proteina G, solitamente deputata nella cascata stimolatoria dal GHRH al GH, che, in un certo senso, attiva permanentemente in senso secretorio la funzione delle cellule somatotrope. Raramente un tumore ipotalamico (tipo gangliocitoma) può essere responsabile del quadro acromegalico, così come alcune forme di tumore euroendocrino (per es. pancreas o carcinoide bronchiale). Altrettanto di rado può far parte della neoplasia endocrina multipla (tipo MEN 1) o della sindrome di McCune-Albright (un’endocrinopatia ipersecretoria).

SINTOMI
Il suo inizio è lento e subdolo molto spesso si rende evidente con l’aumento di volume di mani e piedi, con disturbi mestruali, con modificazioni progressive dell’aspetto del volto i cui lineamenti si fanno marcati e grossolani. Le ossa lunghe si accrescono solo in larghezza, si inspessiscono, ma non si allungano, perciò la statura dell’individuo rimane invariata. Si realizza invece uno sviluppo anormale, eccessivo, specie là dove esistono ancora le cartilagini, soprattutto al viso le arcate orbitarie e gli zigomi diventano sporgenti, il naso si ingrossa, la mandibola protrude, il viso assume così un aspetto sgradevole, completamente diverso da quello originario. Tutti gli organi aumentano di volume: la lingua s’ingrossa, tanto da non permettere più nei casi più gravi la chiusura della bocca le mani e i piedi non si allungano ma diventano tozzi (spesso il soggetto è costretto a portare misure di scarpe e cappelli più grandi del solito) le corde vocali, che sono costituite da cartilagine, s’ingrossano anch’esse, determinando un mutamento della voce, che diviene profonda, mascolina anche nelle donne la cute è pastosa, inspessita, rugosa aumenta la quantità dei peli corporei nella donna può essere presente irsutismo per stimolazione diretta del follicolo pilifero da parte dell’ormone della crescita. Se si studia il metabolismo di questi soggetti, si mettono in evidenza i segni tipici del lavoro che l’ormone della crescita sta compiendo gli zuccheri nel sangue aumentano, dato che è ostacolata la loro utilizzazione da parte delle cellule, mentre è possibile osservare una ridotta eliminazione delle sostanze proteiche, che vengono utilizzate in misura eccessiva. I grassi, scissi e mobilizzati dai luoghi di deposito, sono presenti nel sangue in quantità lievemente aumentata.
Esistono poi, a volte, altri sintomi, dovuti a interferenze di altri ormoni, la secrezione dei quali è anch’essa squilibrata. Nella gran parte dei casi la malattia porta a lungo andare alla scomparsa dell’istinto sessuale. Spesso si associa anche una alterata funzionalità della tiroide. In molti pazienti si sviluppa ipertensione arteriosa. Sono inoltre frequenti neuropatie periferiche dovute alla compressione delle strutture nervose a causa dell’aumento della massa fibrosa.La malattia evolve lentamente, nel corso di 2-3 decenni e si arricchisce di nuovi sintomi: alterazioni del metabolismo (diabete), disturbi della funzione genitale, disturbi visivi e cefalea dovuti a compressione dei nervi ottici e di strutture nervose da parte del tumore in espansione. Lasciata a sé evolve sino a uno stadio finale caratterizzato da grave scadimento organico.

DIAGNOSI
La diagnosi dipende dall’alto grado di sospetto clinico ed è confermata dal riscontro di alti livelli di GH (> 10 µg/l), accompagnati da un elevato livello sierico di IGF-1 e/o da un fattore di crescita insulino-simile legante la proteina 3 (IGF-BP3). Elevati livelli di GH sono però presenti in condizioni tipo insufficienza renale e anoressia nervosa, peraltro clinicamente ben diverse dall’a. Una volta confermata l’anormalità dei parametri biochimici è indicato eseguire un esame RMN con contrasto al gadolinio, spesso imbattendosi in un riscontro di un macroadenoma (> 10 mm) nel 15% dei casi però presenta un microadenoma che può rendere conto dell’esordio lento e subdolo della malattia. Scintigrafia e TC-total body possono essere di supporto (tumori neroendocrini, carcinoidi etc.).

TERAPIA
Il trattamento dell’a. si avvale di terapia chirurgica (adenomectomia trans-sfenoidale o altri interventi in caso di sedi ecopiche) con buoni risultati e basso indice di mortalità se diviene indispensabile l’approccio transcranico la mortalità sale al 3-4% complicanza frequente è l’ipopituitarismo dovuto all’asportazione di tessuto ipofisario in eccesso, pertanto è necessario valutare attentamente la funzione ipofisaria pre- e post-operatoria. Altra modalità di trattamento è costituita dalla terapia radiante, solitamente nei casi refrattari alla terapia chirurgica: radioterapia a supervoltaggio convenzionale o, oggi da preferirsi, gamma-terapia chirurgica mediante stereotassi rappresentano le alternative disponibili fattore limitante è dato dalla vicinanza dell’ipofisi al chiasma ottico (punto di incrocio dei nervi ottici alla base cranica). La terapia medica è effettuata con gli agonisti dopaminergici (bromocriptina) o gli analoghi della somatostatina (Octeotride).

 
ACROMIA

Alterazione circoscritta o diffusa della cute caratterizzata da assenza o marcata riduzione della sua normale pigmentazione. A. diffusa e congenita si ha nell’albinismo, in cui vi è un difetto nella sintesi della melanina, dal quale dipende la colorazione scura della pelle.Acromie maculari circoscritte si hanno anche in altre malattie congenite quali la sclerosi tuberosa.Chiazze depigmentate di forma e distribuzione irregolare si hanno nella vitiligine, malattia cutanea le cui cause sono sconosciute. Vi sono infine acromie secondarie che costituiscono manifestazioni occasionali o residue di numerose affezioni (lue, lebbra, pitiriasi versicolor) o che compaiono a seguito di esposizione a radiazioni ionizzanti o a sostanze chimiche (idrochinone, composti mercuriali).

 
ACROMION

Porzione della scapola che sporge lateralmente e segna il punto più elevato e laterale del profilo della spalla. Sull’a. prendono inserzione alcuni legamenti dell’articolazione scapolo-omerale, e con esso prende contatto l’estremità laterale della clavicola a formare un’articolazione poco mobile (articolazione acromionclaveare).Sul contorno dell’a. prendono inserzione le fibre del muscolo deltoide e le fibre più laterali del muscolo trapezio.

 
ACROPARESTESIA

Affezione caratterizzata da sensazioni di formicolio, bruciore, costrizione, intorpidimento a carico delle estremità degli arti, generalmente secondaria a malattie del sistema circolatorio (tromboangioite obliterante o morbo di Bürger, arteriopatia obliterante diabetica, tromboangioite arteriosclerotica, malattia di Raynaud) o del sistema nervoso (nevriti). Se determinata da disfunzioni circolatorie, può essere accompagnata da disturbi del trofismo (desquamazione cutanea, perdita dei peli ecc.) e perfino da cancrena della parte interessata. In presenza di questi sintomi è opportuno sottoporsi ad accertamenti quali l’ecoDoppler arterioso e venoso, pletismografia, elettromiografia e qualsiasi altra indagine ritenuta necessaria alla determinazione della causa primaria. Un attento esame neurologico del distretto interessato può orientare la diagnosi. Se la lesione è nervosa, può accompagnarsi a paralisi della parte interessata.

TERAPIA
È a base di vasodilatatori e di vitamine del gruppo B giovano inoltre elettroterapia, massaggi e movimenti passivi per le lesioni a carico dei nervi.

 
ACTH

Sigla di Adreno-Cortico-Tropic-Hormone, adrenocorticotropo, ormone (vedi ormone ADRENOCORTICOTROPO).

 
ACTING-OUT

(Ingl., passaggio all’azione), concetto originario del modello psicoterapeutico psicoanalitico: indica una particolare forma di reazione al processo psicoanalitico cui si è sottoposti che porta all’espressione dei propri vissuti emotivi conflittuali attraverso l’azione piuttosto che con il linguaggio. È considerato come un tentativo di scarica della tensione emotiva, ottenuta mediante una reazione alla situazione attuale, come se fosse questa la causa scatenante il conflitto interno.L’a. non si manifesta solo nella situazione atipica della psicoterapia, ma anche nella vita di tutti i giorni quando, pressati da una forte tensione emotiva, si prendono improvvise decisioni di radicali cambiamenti Si presenta come un insieme di azioni messe in atto d’impulso e che sconvolgono, cambiandole radicalmente, le regole che governano la vita di ogni giorno. Quando cioè la pressione emotiva fa correre il rischio che si evidenzino contenuti inconsci non accettati, l’a. diventa un mezzo per fuggirli e continuare a ignorarli.

ACTINOMICOSI
 

È una malattia infettiva indotta da diverse specie appartenenti all’ordine degli Actinomicetali. È diffusa in tutto il mondo e può colpire oltre all’uomo anche bovini, suini, equini, ovini. In particolare Actinomyces bovis colpisce il bestiame e l’uomo, Actinomyces israeli soltanto l’uomo. Quest’ultimo microrganismo è spesso un ospite innocuo della mucosa del cavo orale, specie nei soggetti che presentano una situazione a carico del cavo orale (cripte tonsillari) e in particolare dei denti (carie dentarie) molto compromessa. L’uomo si infetta in genere accidentalmente attraverso punture di schegge di legno o spine vegetali che portano il microrganismo.

SINTOMI
L’infezione si localizza in prevalenza alla bocca o alle regioni cervicofacciali (lingua, faringe, naso, labbra, ghiandole salivari) più raro è invece l’interessamento di organi profondi quali l’intestino, il polmone, la pleura.Nelle zone interessate il microrganismo determina l’insorgenza di un processo infiammatorio cronico a lenta evoluzione, con formazione di infiltrati che tendono a suppurare e ad aprirsi all’esterno con ulcerazioni e fistole il pus contiene piccoli grani gialli, costituiti da ammassi di germi riconoscibili al microscopio.L’interessamento polmonare nella maggior parte dei casi è la conseguenza di una aspirazione di materiale infetto proveniente da un focolaio primitivo presente nel cavo orale, ma può anche avvenire per estensione della malattia per continuità. La sintomatologia è caratterizzata da tosse, escreato mucopurulento striato di sangue, febbre, dolore pleurico, decadimento delle condizioni generali.Il quadro clinico richiama molto quello di una grave polmonite o di un empiema (raccolta di pus nella pleura, la membrana sierosa che riveste il polmone) facilmente si può avere la comparsa di ascessi o fistole nella parete toracica.L’a. si osserva in tutti i Paesi, ma l’introduzione in terapia della penicillina ha reso rara la forma cronica della malattia.

TERAPIA
La terapia si basa sulla somministrazione di antibiotici, associata al trattamento chirurgico delle lesioni.

ACTINOTERAPIA

vedi ATTINOTERAPIA

 
ACUFENI OGGETTIVI

Molto rari, sono dovuti a rumori effettivi, spesso percepibili anche da osservatori esterni.Vengono solitamente distinti in quattro diversi gruppi:- di origine temporomandibolare, dovuti a disturbi dell’articolazione omonima che, per la sua vicinanza con l’orecchio, trasmette anche i più deboli scricchiolii delle superfici articolari - cavitari (cioè delle cavità dell’apparato uditivo)- muscolari (da contrazione dei muscoli del palato, della faringe, della cassa timpanica) - vascolari (i più frequenti), che possono dipendere da malattie o anomalie dei vasi arteriosi in prossimità dell’orecchio  il più delle volte si tratta di aneurismi (dilatazioni) dell’arteria carotide, ma possono anche essere tumori a livello della vena giugulare o altre malformazioni vascolari.Gli acufeni vascolari hanno in genere carattere pulsante (vedi scheda ACUFENI).

 
ACUFENI SOGGETTIVI

Gli a. soggettivi sono molto più frequenti, e dovuti a cause molto più varie, rispetto a quelli definiti “oggettivi” si tratta di sensazioni sonore di natura molto diversa, non provocate da agenti esterni ma causate da attività spontanee o patologiche proprie dell’apparato uditivo. Essi vengono classificati in base alla sede anatomica della lesione o della malattia che li provoca.Orecchio esternoLe affezioni dell’orecchio esterno che provocano ronzii all’orecchio sono soprattutto quelle forme che portano all’occlusione del condotto uditivo. In circa la metà di questi casi, il ronzio - più spesso unilaterale (cioè percepibile a un solo orecchio) anche quando l’affezione è bilaterale, cioè estesa a entrambe le orecchie - si accompagna ad altri disturbi come un abbassamento di udito (ipoacusia), una sensazione di orecchio chiuso, un rimbombo nell’orecchio della propria voce (autofonia).Gli a., in questi casi, regrediscono con la pulitura del condotto, a meno che non residuino piccole lesioni timpaniche.Orecchio medioL’orecchio medio causa ronzii auricolari soprattutto in casi di otiti catarrali, otiti congestizie e stenosi tubarica (condizione in cui si ha un restringimento delle tube di Eustachio). Anche in questo caso gli a. si accompagnano a sensazione di orecchio chiuso, ipoacusia e autofonia.Orecchio internoL’orecchio interno è la sede tipica d’insorgenza degli a., dal momento che proprio dentro il delicatissimo scheletro osseo e fibroso che costituisce il labirinto acustico è compreso l’organo dell’udito, con le sue finissime strutture nervose. Come l’onda sonora (ossia un fenomeno vibratorio), trasmessa dall’esterno attraverso l’orecchio medio e i liquidi labirintici, viene trasformata in impulso nervoso, così qualsiasi variazione della pressione dei liquidi labirintici (su cui si ripercuotono gli sbalzi della pressione sanguigna) e qualsiasi mutamento della loro costituzione chimico-fisica provocano impulsi abnormi che vengono percepiti dall’individuo sotto forma di sensazioni acustiche.Anche cause traumatiche possono provocare a. dell’orecchio interno, sia che il trauma si esplichi attraverso bruschi sbalzi della pressione atmosferica, a cui le orecchie sono molto sensibili, sia che si tratti di un trauma esterno che interessa la scatola cranica e secondariamente l’orecchio, sia che si tratti di un’azione traumatica che interessa direttamente l’apparato acustico.Numerose sostanze introdotte dall’esterno, danneggiando l’orecchio interno, danno come primo segno un ronzio fra queste il chinino, i salicilati, l’arsenico e la streptomicina. L’abuso di tabacco, e anche un eccessivo consumo di alcol, possono provocare nevriti generalizzate o localizzate che si manifestano spesso con ronzii. Nelle malattie del fegato, e in quasi tutte le malattie del metabolismo, il riassorbimento da parte dell’organismo di sostanze tossiche prodotte dagli organi malati può provocare ronzii persistenti.In molti casi, tuttavia, il ronzio resta di origine misteriosa. Se ne può localizzare la sede d’insorgenza, determinare il tipo acustico e i caratteri, ma le origini del disturbo sfuggono anche a indagini molto precise. Si ritiene allora che l’acufene sia dovuto a lesioni di tipo degenerativo delle cellule acustiche, del nervo acustico oppure delle vie e dei centri acustici del sistema nervoso. L’ipotesi che queste lesioni siano a loro volta dovute a un difetto dell’irrorazione sanguigna, per alterazione dei vasi capillari o per aumento della viscosità del sangue, non sempre trova conferma. Di conseguenza le terapie mediche con farmaci attivi sui vasi (vasodilatatori) o sul sangue (antiaggreganti), spesso prescritte per il trattamento di questo tipo di a., non sempre risultano efficaci.
In questi casi, purtroppo numerosi, si può ugualmente intervenire con farmaci sintomatici (atti cioè a far scomparire i sintomi), quali i sedativi del sistema nervoso che interrompono o attenuano lo stimolo insorto in maniera abnorme.

 
ACUFENI

Rumori di diverso tipo (ronzii, fischi, scrosci) avvertiti in modo continuo o intermittente e con diversa intensità in uno o entrambi gli orecchi, per effetto di processi patologici di varia natura interessanti l’orecchio interno, il nervo acustico, o strutture anatomiche vicine. Essi possono arrecare notevole disturbo e indurre talora vere alterazioni psichiche.

ACUITA'

(O acutezza visiva), capacità dell’occhio di percepire gli oggetti di piccole dimensioni, ovvero la minima distanza alla quale due punti vengono visti distinti. L’a. visiva viene determinata mediante particolari tavole dette ottotipi, costituiti da lettere o segni di varia grandezza. Le lettere a caratteri più piccoli sono inscritte in un quadrato di 7,3 mm di lato. Alla distanza di 5 m il lato del quadrato è visto sotto un angolo visivo di 5 minuti primi (un minuto primo è uguale a 1/60 di grado), poiché lo spessore delle barre che costituiscono la lettera è la quinta parte del quadrato, essa sarà vista sotto un angolo visivo di un minuto primo. Per distinguere una E da una F dell’ultima riga, l’angolo visivo dell’occhio in esame deve essere di un minuto primo, perché deve poter avvertire la presenza o la mancanza del trattino orizzontale che distingue la E dalla F. Quindi il soggetto che riesce a leggere a 5 m di distanza i caratteri piccoli ha un angolo visivo di 1 minuto primo, che per convenzione equivale al massimo della capacità visiva (10/10). Il visus è espresso con una frazione decimale: tanto maggiori sono le dimensioni del più piccolo carattere percepito quanto minore è l’acutezza visiva. Al di sotto di 1/10 il visus viene espresso in cinquantesimi: ad es. il visus di 2/50 corrisponde alla lettura a 2 m di distanza dei caratteri più grandi di un ottotipo da 5 m. Anche il visus di 1/50 è espressione di una residua funzionalità maculare. Visus più bassi sono convenzionalmente definiti con la percezione del movimento della mano (motu manu) o della semplice percezione luminosa. Esistono ottotipi per bambini o analfabeti che sono costituiti da simboli o disegni delle stesse dimensioni angolari delle lettere presenti nei tabelloni in precedenza descritti.

 
ACUSTICO, nervo

Nervo rappresentante l’VIII paio dei nervi cranici.È un nervo sensoriale che trasporta al cervello gli eccitamenti raccolti dal labirinto dell’orecchio. Poichè il labirinto è costituito da due parti dette rispettivamente vestibolo e coclea (o chiocciola), destinati l’uno a ricevere le sensazioni spaziali inerenti all’equilibrio corporeo, l’altro le sensazioni uditive, il nervo a. è formato da due distinte porzioni, la vestibolare e la cocleare. Dai loro recettori periferici, i sottili filamenti nervosi provenienti dal vestibolo e dalla coclea si riuniscono nei rispettivi nervi vestibolare e cocleare  questi poi si fondono nel tronco unico del nervo a. Tale tronco entra nella cavità cranica dopo un decorso all’interno dell’osso temporale e penetra nell’encefalo nuovamente diviso nelle rispettive porzioni, che poi si dirigono ai singoli nuclei e alle rispettive aree sensoriali.Una lesione del nervo a. comporta la diminuzione o la perdita dell’udito (sordità di percezione) e dell’equilibrio (vertigine).Le sordità di percezione sono dovute a una lesione (infiammatoria, degenerativa, traumatica) delle formazioni nervose dell’orecchio interno, e in particolare delle cellule sensoriali cigliate dell’organo del Corti, del nervo acustico e delle vie acustiche, cioè le vie nervose che collegano l’orecchio con i centri più elevati del cervello, e permettono, di conseguenza, non solo la percezione ma anche il riconoscimento cosciente dei suoni. Queste sordità difficilmente possono essere curate, e mentre per quelle di trasmissione la caduta del tono principale è sulle frequenze basse, in questi casi prime a cadere sono le frequenze elevate. Di conseguenza un debole di udito di tipo “percettivo” inizialmente può udire bene la voce di conversazione, che è racchiusa in valori di frequenza che non superano i 2000 c.p.s. (cicli per secondo o Hertz), e non accorgersi così dell’inizio della malattia. Inoltre nelle sordità percettive è compromessa oltre all’audizione dei suoni per via aerea, come si verifica nelle sordità di trasmissione, anche quella dei suoni inviati per via ossea, ossia mediante il vibratore.La vertigine, nella forma più tipica, nasce da malattie del sistema vestibolare che possono colpire l’orecchio interno ossia il labirinto, il nervo vestibolare, o i nuclei vestibolari posti nel tronco dell’encefalo. Tra queste, la neurite vestibolare si manifesta con il quadro clinico della perdita improvvisa della funzione vestibolare: una grande crisi di vertigine che insorge all’improvviso, si accompagna a nausea e vomito, rende il paziente incapace di camminare o di stare in piedi, costringendolo a porsi nel letto, sdraiato su un fianco e a occhi chiusi. I disturbi persistono per alcuni giorni, con intensità decrescente e vanno poi gradualmente attenuandosi fino a scomparire quasi completamente nell’arco di alcune settimane. Si ritiene che la causa sia un’infiammazione virale del nervo vestibolare che porta ad una paralisi del nervo stesso e che in effetti è spesso preceduta da un’influenza, da un raffreddore, da una infiammazione virale delle prime vie aeree. La graduale diminuzione dei disturbi è dovuta al processo di compenso vestibolare per cui il sistema vestibolare del lato sano, adiuvato dalle informazioni ricavate dalla vista e dai propriocettori, viene a sostituire la funzione del lato colpito. Proprio per favorire tale compenso è preferibile che al paziente non vengano somministrati farmaci sedativi o che sopprimono la funzione vestibolare, se non nella fase più critica iniziale. Per contro il paziente deve essere stimolato a muoversi e a svolgere diverse forme di attività fisica, talora secondo un preciso programma di riabilitazione vestibolare, allo scopo di accelerare e perfezionare il processo di compenso.

 
ADATTAMENTO

Processo dinamico che descrive l’insieme delle relazioni che si stabiliscono tra gli individui e tra questi e l’ambiente che li circonda. L’a. è caratterizzato dalla presenza di risposte (comportamentali, affettive) congruenti alle sollecitazioni di diversa natura che dall’ambiente si dirigono verso l’individuo e/o gruppi di individui. Perché possa manifestarsi a., è necessario che si verifichino alcune condizioni essenziali: la presenza di un codice di comunicazione comune e condiviso (deve essere reso possibile un corretto scambio di informazioni tra gli individui, e tra questi e l’ambiente  la non comprensione delle comunicazioni in corso produce isolamento e dipendenza)  la presenza di almeno un fattore, di qualsiasi natura, cui poter rapportare i comportamenti individuali e/o di gruppo (deve esistere un sistema di misura - sistema di valori, insieme di bisogni - da utilizzare come strumento di valutazione dei comportamenti messi in atto e, allo stesso tempo, come obiettivo definito che giustifichi i comportamenti stessi)  la presenza di una struttura organizzata e codificata di modelli di comportamento (è necessario che nell’ambiente in cui ci si muove esistano dei modelli di comportamento - comunque motivati e giustificati - cui rapportare i propri comportamenti secondo i criteri della diversità e della eguaglianza)  la presenza di una storia (questa assolve alla funzione di “memoria” dei sistemi interattivi in cui l’individuo è collocato: senza di essa non possono verificarsi le già indicate condizioni favorevoli al prodursi di a.).L’a. è dunque un processo dinamico tramite cui l’individuo e/o gruppi di individui interagiscono attivamente tra loro e con l’ambiente. Ciò vuol dire che l’a. non è passiva accettazione di quanto accade intorno a noi ma un processo interattivo, per cui se è vero che gli individui si adattano a mutamenti ambientali, è anche vero che l’ambiente risente direttamente dei cambiamenti che avvengono tra gli individui. Pertanto le quattro condizioni sopra indicate sono da intendersi non in maniera statica: il loro prodursi è da collocarsi in una logica di continua evoluzione e cambiamento. Quando quelle condizioni descrivono processi interattivi troppo rigidi e ripetitivi, producono isolamento, alienazione, sofferenza psichica. Quando i processi descritti sono troppo labili, variabili, incerti producono disorientamento, incomprensione, fragilità psichica.L’a. non deve intendersi come sinonimo di “dipendenza”: prevede invece la messa in atto di comportamenti attivi, funzionali al cambiamento più che alla conservazione. In molti casi può considerarsi come il punto di arrivo di un complesso processo di maturazione, che l’individuo affronta sin dal momento della nascita. Le tappe fondamentali di tale processo sono: l’individuazione e appropriazione dei codici comunicazionali presenti nell’ambiente che ci circonda, per meglio conoscerlo e per poter intervenire su di esso  la giustificazione dei comportamenti messi in atto in base a principi che trascendono i singoli individui  l’elaborazione di schemi organici e razionali entro cui collocare le proprie e le altrui azioni  la valutazione della storia propria e dell’ambiente in termini di interpretazione del passato, valutazione del presente, formulazione di previsioni per il futuro. L’a. si traduce in una accettazione di sé e degli altri e nella valorizzazione dei contesti in cui si opera alla ricerca di eventuali stimoli al cambiamento: la capacità di adattarsi è infatti congruente con la capacità di percepire le spinte innovative presenti nell’ambiente che ci circonda.

 
ADDITIVI ALIMENTARI

<<Per “additivo alimentare” si intende qualsiasi sostanza, normalmente non consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, di trasformazione, di preparazione, di trattamento, di imballaggio, di trasporto o immagazzinamento degli alimenti, che si possa ragionevolmente presumere diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti direttamente o indirettamente.>> (Ministero della Salute).

Dalle prime forme di additivazione, utilizzate in epoca pre-industriale e derivate dall’esperienza, come ad esempio la salatura della carne e del pesce, l’uso di aceto nelle conserve o l’aggiunta del limone alla verdura per evitare l’annerimento, negli ultimi decenni si è passati ad un notevole incremento nell’uso degli a., come conseguenza dell’evoluzione tecnologica. L’aggiunta dell’additivo infatti permette l’uso di un alimento prodotto in zone geografiche molto distanti da quelle di produzione. Esistono a. naturali, ossia costituenti naturali di alimenti (come l’acido citrico e la lecitina) e a. prodotti industrialmente, sicuri dal punto di vista tossicologico, il cui uso è consentito solo in caso di documentata esigenza tecnologica. Tra gli a. più comuni vi sono i coloranti e gli edulcoranti

 
ADDOME ACUTO

Complesso di sintomi e segni, a richiamo addominale, a insorgenza improvvisa e violenta e che ha la sua più evidente manifestazione nel dolore.

CAUSE
Le cause dell’a. acuto sono numerose e sono legate al rapido istituirsi di un qualsiasi processo patologico a carico dei vari organi ed apparati contenuti nell’addome, fra cui le lesioni traumatiche addominali, le peritoniti acute, le appendiciti acute, le occlusioni intestinali di varia natura, le torsioni di visceri normali o ammalati sul loro peduncolo (milza, cisti ovarica), le rotture di tube uterine, la trombosi dell’arteria mesenterica o la rottura di un aneurisma dell’aorta addominale o di suoi rami, la pancreatite acuta.

SINTOMI
Il sintomo più rilevante è rappresentato dal dolore che può essere localizzato in un punto o diffuso a tutto l’addome, o irradiato alle regioni circostanti, ma sempre intenso e tormentoso. Altri sintomi possono essere nausea, vomito, pallore, sudorazione.I segni clinici sono rappresentati da una importante contrattura di difesa evocata alla palpazione, tensione o tumefazione dell’addome, alterazioni della peristalsi, frequenza elevata del polso, disidratazione.L’a. acuto è una condizione di emergenza che pone sempre difficili problemi diagnostici e spesso richiede l’ intervento chirurgico.

 
ADDOME

(O ventre), parte del corpo compresa tra torace e bacino  è un’ampia cavità le cui pareti anteriore, laterali e posteriore sono costituite da masse muscolari cui si aggiunge posteriormente anche il tratto lombare della colonna vertebrale. Superiormente il muscolo diaframma separa l’a. dalla cavità toracica, mentre nella parte inferiore si continua nel bacino.L’a. contiene organi del tubo digerente (stomaco, duodeno, intestino tenue e crasso), il fegato, la colecisti, il pancreas, la milza, i surreni, i reni e gli ureteri, oltre a importanti strutture vascolari e nervose (vena cava inferiore, tratto addominale dell’aorta ecc.) e a tessuto connettivo interposto tra le varie formazioni. Una membrana sierosa, il peritoneo, tappezza internamente le pareti dell’a., riveste parte degli organi e forma una cavità (cavo peritoneale) che in condizioni normali è ridotta a piccoli spazi irregolari contenenti una piccola quantità di liquido sieroso. Le regioni anatomiche Nella parete anteriore dell’a. vengono distinte diverse regioni in rapporto alla necessità di localizzare gli organi interni o processi patologici di varia natura quando si procede, con l’ispezione o la palpazione, all’indagine semeiologica di questa parte del corpo. L’a. viene così suddiviso in nove regioni: tre mediane e sei laterali. Le regioni mediane procedendo dall’alto in basso sono: l’epigastrio, corrispondente pressappoco allo stomaco, il mesogastrio con l’ombelico, l’ipogastrio. Le regioni laterali, in numero di tre per ciascun lato, a partire dall’alto sono: l’ipocondrio, la regione epicolica o fianco, la fossa iliaca. Queste diverse regioni vengono delimitate da due linee verticali, parallele tra loro, tracciate come prolungamento delle emiclaveari (linee immaginarie passanti per il punto di mezzo della clavicola) e due orizzontali tracciate su punti anatomici ben precisi che sono: in alto la cartilagine della nona costa di ciascun lato e in basso la spina iliaca antero-superiore di ciascun lato. La forma esterna dell’a. è molto variabile, anche in condizioni normali, in rapporto all’età, al sesso, al tipo costituzionale, alla maggiore o minore quantità di tessuto adiposo sottocutaneo. In condizioni patologiche si può avere un aumento di volume per la presenza di liquido libero nella cavità peritoneale o contenuto in cisti, per aumento di contenuto di gas nell’intestino, oppure si può avere un infossamento della parete (addome a barca) nelle condizioni di grave dimagramento o denutrizione.

 
ADDUTTORI, muscoli

Muscoli che con la loro azione determinano lo spostamento di un arto verso la linea verticale mediana del corpo.- Nell’arto superiore svolgono attività di adduzione i muscoli pettorali, grande dorsale, grande rotondo e sottoscapolare, che si inseriscono sul tronco e sull’omero  nell’avambraccio il flessore ulnare del carpo e il cubitale posteriore  nella mano gli adduttori del pollice e del mignolo.- Nell’arto inferiore agiscono come adduttori i muscoli pettineo, gracile crurale e i quattro adduttori: lungo, breve, grande e minimo (tali muscoli si inseriscono sul bacino e sul femore)  a livello della gamba i tibiali anteriore e posteriore e l’estensore proprio del quinto dito, gli interossei plantari primo, secondo e terzo, e il primo interosseo dorsale.

 
ADDUZIONE

Spostamento di un arto o di una sua parte in senso mediale, con avvicinamento alla linea verticale mediana del corpo.Per le dita della mano si fa invece riferimento a una linea ideale passante per il dito medio, nel piede a una linea passante per il secondo dito. L’a. è realizzata a opera di determinati muscoli che prendono il nome di adduttori. Un particolare movimento di a. si ha nel bulbo oculare a opera del muscolo retto mediale: esso avviene sull’asse verticale ed è meglio definito convergenza.Il movimento opposto alla a. viene definito abduzione.

 
ADENITE

Infiammazione acuta o cronica di una ghiandola  comunemente tuttavia il termine viene riferito solo alle linfoghiandole. (vedi LINFADENITE)

 
ADENOCARCINOMA

Tumore maligno epiteliale con struttura microscopica di tipo ghiandolare.Hanno in genere una struttura adenocarcinomatosa i tumori che originano da tessuti ghiandolari (tumori maligni dello stomaco, dell’intestino, della mammella, dell’utero, della prostata). In talune sedi le cellule tumorali producono abbondante muco dando alla massa del tumore un aspetto gelatinoso (a. gelatinoso o mucoso). Alcuni tra gli a. sono ormono-dipendenti (mammella, prostata).

 
ADENOIDECTOMIA

Trattamento chirurgico d’elezione in casi di iperplasia e ipertrofia delle adenoidi con tendenza alla cronicizzazione. Le adenoidi (come le tonsille) sono formazioni di tessuto linfo-epiteliale, localizzate nella parte posteriore della faringe, in corrispondenza dello sbocco posteriore delle coane (cavità nasali)  di norma esse sono piuttosto voluminose durante l’età infantile e possono ostruire in modo parziale o totale lo sbocco delle coane, causando seri problemi respiratori.Il bambino con ipertrofia adenoidea respira con la bocca semiaperta, in modo rumoroso soprattutto durante il sonno (russa)  ha frequenti faringiti e otiti ed è a rischio di pericolose crisi d’apnea notturne.Solo nelle forme che causano una sintomatologia ostruttiva grave e potenzialmente pericolosa, si ricorre all’asportazione chirurgica (a.), che tende ad essere procrastinata il più possibile sia perché col passare degli anni il tessuto linfoide-adenoideo “fisiologicamente” si riduce di volume, sia perché la recidiva post-chirurgica dell’ipertrofia (con crescita di nuovo tessuto linfoide) rappresenta un’evenienza non rara nel bambino al disotto dei 7-8 anni.

 
ADENOIDI

Vegetazioni a forma di grappolo che occupano la parte alta della laringe e la parte posteriore delle fosse nasali  sono costituite da tessuto linfatico della tonsilla faringea, esuberante e ipertrofico soprattutto nei bambini tra i 2 e gli 8 anni. In alcuni casi, a causa d’infezioni ricorrenti, di fenomeni allergici o d’altri fattori non sempre conosciuti, le adenoidi aumentano molto di volume e ostruiscono in modo parziale o totale lo sbocco delle coane, causando seri problemi respiratori. Il bambino con ipertrofia adenoidea con il tempo sviluppa un caratteristico aspetto del volto detto facies adenoidea: bocca aperta, labbra secche, naso affilato, labbro superiore corto, palato ogivale  si può avere anche ritardo nello sviluppo intellettuale e generale.Frequentemente le a. si infettano e vanno incontro a processi infiammatori che si possono estendere all’orecchio, alle tonsille, alla laringe, ai bronchi. Questo complesso quadro clinico viene anche definito adenoidismo. La terapia consiste in provvedimenti medici nelle forme lievi, e nell’asportazione nelle forme più gravi che tende ad essere procrastinata il più possibile, sia perché col passare degli anni il tessuto linfoide-adenoideo “fisiologicamente” si riduce di volume, sia perché la recidiva post-chirurgica dell’ipertrofia (con crescita di nuovo tessuto linfoide) rappresenta un’evenienza non rara nel bambino al di sotto dei 7-8 anni.

 
ADENOIPOFISI

Parte dell’ipofisi a struttura ghiandolare. Comprende la parte anteriore, che costituisce la porzione principale dell’organo, la parte intermedia e la parte tuberale. È irrorata dalle arterie ipofisarie superiori ed inferiori, mentre una fitta rete capillare circonda il peduncolo che la connette all’ipotalamo, importante struttura che rilascia i releasing and inibiting hormones (RH e IH), ormoni che favoriscono il rilascio o l’inibizione degli ormoni ipofisari. Nella parte anteriore si distinguono diversi tipi cellulari, diversamente specializzati:

- cellule acidofile (alfa ed epsilon) che producono rispettivamente l’ormone somatotropo o ormone della crescita (gh) e la prolattina. Tra queste esiste un altro tipo cellulare che produce l’ormone ACTH (adrenocorticotropo).

- cellule basofile (beta, gamma, delta) che producono rispettivamente l’FSH (follicolo-stimolante), l’LH (luteinizzante) ed il TSH (tireotropo).

- cellule cromofobe, generalmente considerate come elementi di riserva.Nella parte tuberale ci sono cordoni di cellule cubiche e cilindriche dal significato sconosciuto. Nella parte intermedia viene prodotto l’MSH (ormone stimolante i melanociti).

 
ADENOMA

Tumore benigno originato da strutture ghiandolari.Come tutti i tumori benigni si accresce lentamente e si presenta come un nodulo ben delimitato, oppure, se origina da una superficie mucosa, si presenta come una escrescenza polipoide. Le sedi ove si osserva più frequentemente sono la mucosa del grosso intestino, la prostata, la mammella, l’ipofisi, la tiroide. Quando origina da una ghiandola endocrina può produrre una eccessiva quantità dell’ormone proprio della ghiandola tanto da provocare disturbi generali nell’organismo. In rari casi si possono avere contemporaneamente più adenomi a carico di diverse ghiandole endocrine quali l’ipofisi, le paratiroidi, il pancreas, i surreni (adenomatosi poliendocrina)  si instaurano allora complesse sindromi cliniche che spesso ricorrono nella stessa famiglia, in quanto probabilmente in rapporto a fattori genetici trasmessi ereditariamente. Gli adenomi, pur essendo tumori benigni, possono a volte essere localizzati in sedi profonde che ne rendono difficile l’asportazione chirurgica (per es. gli adenomi ipofisari) oppure subire un processo di trasformazione maligna e diventare adenocarcinomi.

 
ADENOPATIA

Termine generico indicante un qualsiasi processo patologico che interessi una ghiandola. Nel linguaggio medico corrente, tuttavia, con tale termine ci si riferisce per lo più a un processo patologico di tipo non specifico che abbia colpito una linfoghiandola  in tal caso sarebbe comunque da preferirsi il termine di linfoadenopatia. La dizione di a. satellite sta a indicare la partecipazione delle linfoghiandole poste in prossimità di un organo a un processo patologico che abbia colpito l’organo stesso.

 
ADENOSARCOMA

Tumore maligno nel quale coesistono due tipi di strutture, individuabili con l’esame microscopico: una componente a struttura epiteliale ghiandolare (adenoma) e una componente a struttura connettivale (sarcoma), entrambe interessate da un processo proliferativo di tipo tumorale. Un esempio tipico si ha a livello renale, nel nefroblastoma, oppure nell’utero.

 
ADENOSINA

Nucleoside formato dall’aminoacido adenina e dal ribosio, o ribonucleotide dell’adenina. Viene utilizzato come farmaco antiaritmico per le sue proprietà alfa-agoniste. È utilizzato particolarmente nella terapia endovenosa a breve termine delle aritmie sopraventricolari associate ad ipotensione, nelle quali ha un’efficacia pari al 90%. Gli effetti collaterali sono dispnea, vampate, lieve ipotensione, bradicardia (rallentamento del battito cardiaco).

 
ADENOVIRUS

Virus a DNA con diametro 70-80 nm appartenenti alla famiglia Adenoviridae, così denominati perché isolati per la prima volta da tessuto tonsillare umano, ma in seguito ritrovati anche nelle vie respiratorie e nel tubo digerente, anche di animali.Non tutti gli a. sono patogeni. Più frequentemente colpiscono i bambini. Il sintomo più comune è una intensa rinite, ma possono causare anche bronchiolite e polmonite. Alcuni tipi possono causare la febbre faringocongiuntivale, caratterizzata da congiuntivite bilaterale, febbricola, faringodinia (mal di gola), rinite e ingrossamento dei linfonodi cervicali  si risolve spontaneamente dopo 1-2 settimane.Negli adulti causa più frequentemente faringodinia, febbre spesso elevata, ingrossamento delle tonsille, può portare anche alla polmonite.

 
ADERENZA

Adesione patologica contratta tra organi o visceri contigui in seguito a processi infiammatori (infezioni, sostanze irritanti) o interventi chirurgici. È costituita da tessuto fibroconnettivale, formato sui materiali prodottisi con l’infiammazione (per es. essudati incompletamente riassorbiti durante la fase di guarigione) o con il trauma chirurgico. L’estensione delle aderenze è per lo più proporzionata al tipo, all’intensità e alla durata del processo infiammatorio. Il loro aspetto può variare da quello di una semplice e sottile briglia, a quello di vaste membrane sclerotiche che non permettono più di individuare un piano di separazione tra le strutture coinvolte. La loro presenza può essere ben tollerata dall’organismo, ma spesso la loro estensione e la ridotta mobilità che ne consegue, possono richiedere un intervento chirurgico atto a migliorare la mobilità e/o i sintomi dolorosi  esempi sono le vaste aderenze pleuriche che non consentono la libera espansione del polmone o quelle coinvolgenti gli organi addominali che possono causare sindromi occlusive. Con l’avvento delle nuove tecniche di chirurgia mininvasiva (laparoscopia, toracoscopia) è possibile risolvere tali patologie in maniera meno cruenta assicurando un decorso postoperatorio più rapido.

 
ADH

Sigla di Anti-Diuretic Hormone, antidiuretico, ormone (vedi ANTIDIURETICO, ORMONE).

ADIADOCOCINESIA

Perdita della capacità di compiere in rapida successione movimenti opposti, come aprire e chiudere le mani. Tale sintomo è indicativo di una lesione del cervelletto ed esprime un disturbo dell’innervazione di gruppi di muscoli antagonisti.

 
ADIPOCITA

Cellula costituente fondamentale del tessuto adiposo o grasso.La cellula adipocitica è grande (circa 150 micron), rotondeggiante se osservata singolarmente, o poliedrica se in contatto con altre.Essa ha un nucleo spostato in posizione periferica per la presenza di una grossa gocciola lipidica o liposoma.Gli adipociti si uniscono tra loro in ammassi, con l’interposizione di scarsa sostanza intercellulare, a loro volta ripartiti in lobuli, che costituiscono il tessuto adiposo, di colore giallo negli esseri umani, bianco negli animali.

 
ADIPOSI DOLOROSA

Malattia del tessuto adiposo caratterizzata dalla comparsa di formazioni nodulari sottocutanee di tale tessuto. Dolenti spontaneamente o alla palpazione, le masse adipose sono localizzate prevalentemente alla parte alta del tronco (spalle) e alla radice delle cosce. Non se ne conosce la causa. È frequente in donne dopo la menopausa e si può accompagnare a disturbi psichici. Non esiste cura specifica se non l’asportazione chirurgica delle masse adipose quando siano mal tollerate per posizione o dolorabilità.

 
ADIPOSITÀ

Eccessivo accumulo di grasso nel tessuto sottocutaneo. Si parla di obesità quando il pannicolo adiposo risulta più o meno uniformemente distribuito, di lipomatosi quando è raccolto in masse. Il termine a. viene usato anche per indicare l’infiltrazione adiposa di organi profondi quali per esempio il cuore (adipositas cordis) in soggetti particolarmente obesi.

 
ADIPOSO, tessuto

Tessuto connettivo composto da cellule di forma vescicolosa nel cui citoplasma sono accumulate, sotto forma di finissime gocce, sostanze di natura lipidica (in prevalenza grassi neutri) che gli conferiscono un caratteristico colore giallastro. Il tessuto a. si trova nelle sedi più diverse: al di sotto della cute a formare il pannicolo adiposo sottocutaneo, negli spazi retroperitoneali, nel mesentere e nell’omento, negli interstizi tra i muscoli, nelle articolazioni, nel midollo osseo, nelle guance, nell’orbita dietro ai bulbi oculari. Il tessuto a. ha diverse importanti funzioni:

- costituisce una notevole riserva di sostanze energetiche e di acqua

- agisce come coibente limitando la dispersione di calore dalla superficie corporea

- facilita l’adattamento delle diverse parti dell’organismo fra di loro.

Nell’uomo la differenziazione del tessuto a. inizia negli ultimi 3-4 mesi di vita intrauterina e prosegue poi nei primi anni di vita, per diventare in alcuni soggetti rilevante durante l’età adulta, anche se con notevolissime variazioni individuali in rapporto alla razza, al sesso, alla costituzione, allo stato di nutrizione.In condizioni normali esso costituisce il 10% ca. del peso totale, valore che aumenta notevolmente nei soggetti obesi. In generale nella donna il tessuto a. è più sviluppato che nell’uomo, particolarmente in certe sedi: mammelle, natiche, radici degli arti, regione periombelicale. Nel maschio esso tende ad accumularsi prima ai fianchi, poi al torace e all’addome.Il suo equilibrio è regolato da fattori ormonali (ormoni corticosurrenali, insulina, ormoni sessuali) e da fattori nervosi. Accumuli patologici si hanno nell’obesità, e in alcune malattie endocrine (per es. morbo di Cushing, ipotiroidismo, distrofia adiposo-genitale, diabete grasso ecc.). Il tessuto a. è strettamente collegato al metabolismo generale di cui segue le oscillazioni, aumentando quando la quantità di alimenti introdotta supera il fabbisogno in rapporto al consumo di energia, e viceversa nella condizione opposta che porta al dimagramento, in cui la sua quantità può ridursi enormemente.

 
ADIUVANTI

Nella terminologia medica, sostanze di varia natura usate nella pratica di laboratorio per potenziare le risposte immunitarie dell’organismo. Gli a., iniettati con la sostanza verso la quale si vuole immunizzare l’organismo, possono agire rendendone più lento l’assorbimento e quindi più efficace la produzione di anticorpi, oppure possono esercitare un’azione generica di stimolo sul sistema immunitario. Il più noto è l’adiuvante di Freund (emulsione acquosa di gocce di olio e bacilli tubercolari uccisi).

 
ADP

(Adenosin-Di-Phosphate), estere fosforico dell’adenosina con due radicali fosforici, da cui il nome acido adenosindifosforico. L’estere con un radicale fosforico è l’AMP (acido adenosinmonofosforico), quello con tre radicali fosforici è l’ATP (acido adenosintrifosforico). Si tratta di composti chimici presenti in tutte le forme viventi, d’importanza fondamentale nei processi del metabolismo cellulare. L’ATP, o adenosintrifosfato, è una grossa molecola molto ricca di energia (formata da una base purinica, l’adenina, da uno zucchero a cinque atomi di carbonio, il ribosio, e da tre molecole di acido fosforico), che funziona come una batteria  quando si trova come ATP può cedere energia e trasformarsi in ADP, o adenosindifosfato  quando si trova come ADP può essere considerata una batteria scarica la quale, se non viene caricata, può far arrestare la macchina e impedire così che si verifichi la contrazione. Il ricaricamento avviene successivamente a spese dell’energia contenuta nel creatinfosfato e di quella proveniente dal metabolismo degli zuccheri.

 
ADRENERGICHE, fibre

Fibre nervose che in corrispondenza delle loro terminazioni periferiche contengono noradrenalina. Sono fibre dette postgangliari (in quanto originano da particolari strutture nervose situate ai lati della colonna vertebrale dette gangli spinali) che si dirigono perifericamente a innervare la muscolatura liscia dei visceri e dei vasi sanguigni e la muscolatura cardiaca. La noradrenalina liberata dalle terminazioni nervose costituisce il mediatore chimico che trasmette l’impulso nervoso ai vari organi. In questi ultimi l’effetto della noradrenalina può essere eccitatorio in alcune sedi, inibitorio in altre, per la presenza di due diversi tipi di recettori (detti recettori alfa e beta).I recettori alfa hanno azione eccitante sulla muscolatura liscia dei vasi sanguigni, del muscolo radiale dell’iride, degli sfinteri intestinali, della milza  hanno invece azione inibente sulla muscolatura liscia della parete intestinale. I recettori beta hanno azione eccitante sulla muscolatura cardiaca e azione inibente sulla muscolatura liscia dell’albero bronchiale, della parete intestinale, dei vasi coronarici e di quelli della muscolatura scheletrica.

 
ADRENERGICI

vedi SIMPATICOMIMETICI

 
ADRENOCORTICOTROPO, ormone

(O corticotropina o ACTH), ormone prodotto dalle cellule basofile nella parte ghiandolare dell’ipofisi.L’azione dell’ormone a. si esplica a livello della corteccia delle ghiandole surrenali (o corticale del surrene), ove provoca un incremento nella sintesi e nella secrezione degli ormoni corticoidi glicoattivi (cortisolo e corticosterone).La secrezione dell’ormone a. non avviene in modo continuo, ma a ondate irregolari (8 ca. nelle 24 ore), e i picchi più elevati si hanno nelle prime ore del mattino. È controllata da centri nervosi dell’ipotalamo mediante la secrezione di una sostanza detta CRF (dall’ingl. Corticotropin Releasing Factor) o corticoliberina. L’ipotalamo a sua volta è influenzato da stimoli di natura psichica, nervosa e ormonale: in particolare la concentrazione degli ormoni corticoidi glicoattivi nel sangue influenza con un meccanismo di inibizione retrograda la secrezione dell’ormone a. agendo a livello dell’ipotalamo e dell’ipofisi. La secrezione di ormone a. aumenta particolarmente in condizione di stress.In condizioni patologiche una ipersecrezione di ormone a. si ha nell’insufficienza surrenalica cronica (morbo di Addison), in caso di tumori ipofisari a cellule corticotrope, di microcitomi polmonari e di diversi tumori endocrini. Livelli di ormone a. circolante molto bassi si hanno quando c’è un eccesso di ormoni glucocorticoidi circolanti che esercitano un effetto inibitorio sulla secrezione ipofisaria di a.  questo avviene nel caso di quantità abnormi di glucocorticoidi prodotti da tumori surrenalici (morbo di Cushing), o introdotti nell’organismo a scopo terapeutico (per esempio il cortisone)  in quest’ultimo caso può verificarsi un’atrofia della corticale del surrene, che può anche non regredire col ripristino dei livelli normali di ormone a. in circolo.Per questo motivo l’ormone a. trova un impiego terapeutico soprattutto nel corso di una prolungata somministrazione di cortisonici, per evitare che si instauri un’atrofia irreversibile della corteccia surrenale.

 
ADRENOGENITALE, sindrome

Sindrome clinica caratterizzata da sintomi a carico dell’apparato genitale provocati da eccessiva secrezione di ormoni sessuali (androgeni o estrogeni) da parte della corteccia surrenale. È conosciuta anche come virilismo surrenalico. Può essere dovuta alla presenza di un tumore surrenalico funzionante, le cui cellule cioè mantengono la capacità secretiva endocrina, oppure ad anomalie metaboliche congenite delle cellule surrenali, con deficit parziale o totale di enzimi chiave della sintesi degli steroidi  pertanto le vie di sintesi vengono deviate verso la produzione di androgeni. Spesso si ha un difetto nella produzione di altri ormoni corticosurrenalici, con la comparsa di altri sintomi a carico del metabolismo glucidico e idrico-salino, talvolta incompatibili con la vita.Le forme più importanti sono:- Deficit di 21-idrossilasi (la forma classica si può presentare con perdita di sale e virilizzazione).- Deficit di 11-beta-idrossilasi (la forma classica si presenta con virilizzazione ed ambiguità genitale nella donna, virilismo e pubertà precoce nel maschio).- Deficit di 17-alfa-idrossilasi (amenorrea – cioè mancanza di mestruazioni - nella donna, pseudoermafroditismo e ipertensione nel maschio)- Deficit 3-beta-idrossisteroidodeidrogenasi.- Deficit 20/22 desmolasi.Nelle forme in cui si ha eccessiva secrezione di ormoni androgeni, se il soggetto è un bambino maschio si avrà uno sviluppo precoce dei caratteri sessuali e della muscolatura, e una crescita scheletrica accelerata. Questi sintomi saranno meno evidenti se la malattia insorge quando il soggetto ha completato il suo sviluppo.Nella femmina al contrario si avrà regressione di alcune caratteristiche sessuali secondarie associata a comparsa di caratteri mascolini (caduta dei capelli, abbassamento del tono della voce, aumento di volume del clitoride, regressione delle mammelle, comparsa di peli alle guance). Se la condizione patologica agisce già durante la vita intrauterina, come per esempio in caso di difetti metabolici, si manifestano anche alterazioni degli organi genitali esterni che possono risultare ambigui o addirittura simili a quelli del maschio, tanto che la neonata può venire erroneamente denunciata all’anagrafe come di sesso maschile. Alcune di queste forme possono venire corrette con opportuna terapia ormonale  quelle dovute a un tumore richiedono invece l’intervento chirurgico. Le malformazioni degli organi genitali esterni potranno essere corrette con un intervento di chirurgia plastica.Molto più rari sono i casi di sindrome dovuti a eccessiva produzione di ormoni estrogeni da parte della corteccia surrenale  sono sempre dovuti a un tumore e interessano di solito soggetti maschi, con sintomi caratterizzati da aumento di volume delle mammelle, rarefazione della barba e dei peli, diminuzione del desiderio sessuale.

 
ADSORBENTE

Sostanza in polvere che, quando ingerita, l’organismo non è in grado di assorbire né di digerire. Esempi di a. sono il carbone animale, la pectina (forma un gel), il caolino (una argilla), le sostanze colloidali. Tali composti agiscono rivestendo le mucose dell’apparato digerente, legandosi alle sostanze irritanti e lesive, impedendo che aggrediscano i tessuti. Infatti, vengono utilizzati per proteggere il tratto gastroenterico dall’azione di sostanze lesive (es. avvelenamenti, tentativi di suicidio) o nella terapia sintomatica della diarrea.

 
AE - AL
AEROBICA, ginnastica

Tipo di ginnastica a corpo libero che aumenta la richiesta di ossigeno da parte dell’organismo.La sua tecnica prevede movimenti continui, generalmente eseguiti al ritmo di una musica vivace che rende piacevole la pratica della ginnastica, e si propone come fine il modellamento del corpo.La tecnica.Scopo della ginnastica a. è allenare gradualmente una persona in modo che possa mantenere, per un periodo di almeno 10 minuti, un ritmo cardiaco di 130 battiti al minuto. In tal modo, i muscoli vengono riforniti abbondantemente dal flusso sanguigno, si rafforzano, si sviluppano e, attraverso opportuni esercizi, si rimodellano fino ad arrivare a una forma corporea più armoniosa.La gradualità.È di estrema importanza che gli esercizi di ginnastica a. siano progressivi, seguano cioè uno schema ben preciso, e che nel corso della loro esecuzione non vengano interrotti improvvisamente.Tra un allenamento e l’altro si deve osservare un giorno di riposo. Non ci si deve preoccupare se all’inizio i muscoli fanno male.A poco a poco il corpo acquista un certo allenamento e gradualmente il dolore passa. La gradualità è di estrema importanza, soprattutto se l’a. viene praticata da una persona di una certa età.Anche le persone anziane, se in buona salute, possono praticare la ginnastica a.: le sequenze per arrivare all’accelerazione dei battiti devono comunque essere eseguite con più cautela.La musicaTutti gli esercizi di ginnastica a. vengono eseguiti al suono della musica che rende l’allenamento divertente, fornisce il ritmo necessario e stimola i movimenti.È importante che ogni sequenza di esercizi venga completata simultaneamente alla fine del brano musicale prescelto e che il successivo inizi senza soluzione di continuità. In tal modo, il ritmo non viene interrotto  questo è un fatto importante se si vuole costruire gradualmente un’accelerazione degli esercizi.L’abbigliamentoSi consiglia di indossare un body aderente ed elasticizzato, in modo che sostenga le parti del corpo ma al tempo stesso non stringa e lasci liberi nei movimenti.Si devono indossare scarpe da ginnastica con suola piatta, alta circa 2 cm. Negli esercizi di ginnastica a. si utilizzano infatti sia il tallone sia la punta del piede e quindi entrambi devono essere protetti da un adeguato strato di suola.Sono utili gli scaldamuscoli per dare supporto alle caviglie e mantenerle calde in modo da favorire la circolazione sanguigna.La respirazioneNella ginnastica a. un’attenzione particolare va data alla respirazione perché, a causa del ritmo, è piuttosto difficile eseguirla correttamente.La regola generale è che si espira, cioè si butta fuori il fiato, quando si esegue uno sforzo e si inspira nel momento del rilassamento.Tra una sequenza di esercizi e l’altra, è necessario intervallare mezzo minuto di respirazione profonda.Quando può essere utileLa ginnastica a. dà energia a tutto l’organismo ed è adatta a tutte le età, purché si goda di buona salute e in particolare non si soffra di problemi cardiocircolatori. Aiuta a dimagrire, irrobustisce i muscoli, riduce la cellulite, corregge i difetti di postura, conferendo al corpo un aspetto più gradevole.Come si svolge una lezione di ginnasticaLa sessione inizia con un esercizio di riscaldamento. Si saltella segnando il passo, poi si eseguono leggeri movimenti di flessione del busto e di rotazione. Si accelera poi il ritmo degli esercizi fino a raggiungere il massimo di velocità possibile: a questo punto si rallenta gradatamente il ritmo. È importante non interrompere di colpo i movimenti, per evitare che manchi il respiro.

 

AEROBIO

In biologia, organismo che, per vivere, ha bisogno dell’ossigeno e quindi dell’aria, cioe deve vivere in aerobiosi. Questa è una condizione di organismi animali e vegetali in cui l’energia indispensabile alla vita viene fornita da reazioni chimiche che sfruttano l’ossigeno dell’aria o quello sciolto nell’acqua. L’aerobiosi è condizione indispensabile agli organismi superiori. In condizione di anaerobiosi vivono invece molti batteri e protozoi.

 

AEROFAGIA

Eccessiva ingestione di aria che si verifica con l’introduzione degli alimenti o la deglutizione di saliva, in soggetti ansiosi o con cattive abitudini alimentari (mangiare troppo rapidamente masticando poco e male). L’aumento del contenuto di aria nello stomaco può essere tuttavia dovuto ad altre cause come malattie dello stomaco o di altri organi addominali.

SINTOMI
Senso di ripienezza e di gonfiore allo stomaco, sensazione di mancanza di respiro, eruttazioni frequenti e abbondanti, flatulenza ed eventualmente disturbi del ritmo cardiaco (palpitazioni).

TERAPIA
La terapia si basa sulla somministrazione di farmaci sedativi, sostanze adsorbenti (carbone vegetale), antischiuma, procinetici oppure, nel caso di a. secondaria ad altra malattia, sulla cura di quest’ultima.

 

AEROSOLTERAPIA

Tecnica terapeutica che utilizza la somministrazione di farmaci aerosolizzati. L’aerosol è la dispersione finissima di sostanze solide o liquide in un mezzo gassoso, prodotte da particolari apparecchi detti aerosolizzatori, che raggiungono l’albero respiratorio inalate per via orale o nasale mediante l’uso di una maschera o di appropriate cannule. In queste condizioni la sostanza che viene inalata può raggiungere le più fini diramazioni dell’albero bronchiale e gli alveoli polmonari, esercitando quindi un’azione molto diffusa e potendo anche venire assorbita dal sangue. Viene attuata in questo modo una terapia a effetto principalmente locale a base di farmaci rilascianti la muscolatura bronchiale, di balsamici e di antibiotici.Con una corretta inspirazione aerosolica, l’ottima diffusibilità a livello alveolocapillare consente di ottenere un effetto terapeutico paragonabile alla somministrazione per via venosa. L’a. trova applicazione soprattutto nella cura delle malattie acute e croniche dell’apparato respiratorio e delle prime vie aeree.Tra le affezioni delle vie aeree superiori, la più comune è il raffreddore, che, pur essendo un’infezione il più delle volte banale, soprattutto nei primi 2 o 3 anni di vita, si ripete con la frequenza di 7-8 volte in un anno  la malattia è sostenuta da moltissimi tipi di virus cui, soprattutto nella prima infanzia, si possono associare batteri (pneumococchi, Haemophilus influenzae, stafilococchi). La recettività all’infezione varia molto da soggetto a soggetto e anche nello stesso individuo da momento a momento  esistono tuttavia dei “fattori predisponenti”, quali il freddo, l’umidità, i piedi bagnati, cattiva nutrizione che possono avere un’influenza non trascurabileI sintomi della bronchite, di solito, sono preceduti da quelli di un’infezione delle vie respiratorie “alte”, un fugace raffreddore, cui fa seguito la tosse, ad insorgenza graduale, prima secca poi produttiva, il processo infiammatorio in atto a livello della mucosa bronchiale causa la secrezione da parte delle cellule epiteliali di un’eccessiva quantità di muco vischioso o purulento (il catarro) che i bambini più grandi riescono ad espellere, espettorando dopo aver tossito. Il bambino piccolo, che non è capace di tossire ed espettorare, ingoia il catarro che è eliminato con le feci e talvolta con il vomito, in seguito ad eccessi di tosse particolarmente violenti e ravvicinati. In questi casi è soprattutto indicata l’a. con farmaci antinfiammatori e/o mucolitici, broncodilatatori a volte anche antibiotici.

 

AFACHIA

Condizione refrattiva conseguente all’assenza di cristallino.

CAUSE
Può essere congenita o conseguente a intervento chirurgico, che viene generalmente effettuato in caso di opacità del cristallino stesso.

SINTOMI
L’occhio afachico, mancando del cristallino, che è una lente convergente del potere di ca. 9 diottrie, è ipermetrope, vede cioè bene solo da lontano.

DIAGNOSI
Visita oculistica

TERAPIA
L’afachia veniva tradizionalmente corretta con l’uso di occhiali di forte potere oppure, in particolare nei casi monolaterali, con lenti a contatto. Attualmente è possibile anche la correzione chirurgica dell’a. infantile. Questa viene realizzata impiantando nel corso dell’intervento un cristallino artificiale, che realizza una condizione refrattiva analoga a quella fisiologica, detta pseudofachia, oppure cucendo sulla cornea un lenticolo ottenuto modellando opportunamente una cornea di donatore, in modo da attribuirle il potere refrattivo adeguato (intervento di epicheratofachia). Nell’intervento chirurgico di eliminazione della cataratta, all’esportazione del cristallino opacizzato segue l’impianto di un cristallino artificiale, con risultati in genere soddisfacenti.

 

AFFERENTE

Dicesi di via nervosa, vaso sanguigno e linfatico, canalicolo o dotto con direzione centripeta nei confronti di una struttura organica. Sono dette afferenti per esempio le fibre nervose che portano lo stimolo dai recettori a un neurone del midollo spinale.

 

AFFETTIVITÀ

Insieme delle emozioni che caratterizzano la vita interiore degli individui. In questo senso l’a. è il risultato dell’interazione tra le pulsioni inconsce individuali e la vita di relazione quotidiana.Tutte le valutazioni che inconsciamente vengono elaborate circa gli eventi della vita quotidiana si trasformano in attributi che vengono riferiti agli eventi stessi. In tale modo un particolare tipo di a. descrive il rapporto emotivo che si stabilisce tra il soggetto e l’ambiente (del quale ambiente fanno parte anche altri individui). In questo caso l’a. definisce la coloratura emotiva dei rapporti e dei legami interattivi umani.Grande importanza nella determinazione dell’a. è da attribuire alle esperienze relazionali trascorse. L’educazione ricevuta, le abitudini acquisite, il clima culturale di appartenenza sono tutti parametri che contribuiscono a indirizzare l’a. verso specifiche linee di sviluppo.

 

AFLATOSSINE

Sostanze cancerogene di provenienza alimentare. Vengono elaborate da funghi microscopici, specialmente aspergilli, che contaminano facilmente, soprattutto in paesi caldo-umidi, i cereali conservati e le arachidi. Le intossicazioni da a. riguardano soprattutto gli animali, nei quali provocano gravi alterazioni a carico del fegato e non pochi casi di carcinoma epatico. Poiché quest’ultimo è particolarmente frequente in quelle popolazioni in cui le contaminazioni di cereali e arachidi sono più diffuse, si ritiene che le a. possano essere catalogate tra i pochi, sicuri fattori di cancerogenesi alimentare nell’uomo.

 

AFONIA

Perdita totale della voce dovuta a una lesione della laringe, a seguito di infiammazioni di varia natura, tumori, paralisi dei nervi motori. Talvolta l’a. è funzionale, dovuta a turbe di ordine psichico (a. isterica).

 

AFRODISIACO

Sostanza che si ritiene capace di stimolare temporaneamente il desiderio sessuale e che quindi favorirebbe il rapporto sessuale fisiologico. Gli afrodisiaci hanno credito nelle tradizioni popolari di molti paesi, ma nella maggior parte dei casi non hanno riscontro scientifico e in alcuni casi sono altamente tossici.Sostanze che possono stimolare il desiderio sessuale come l’alcool, la cocaina e la marijuana non vengono usate a scopo terapeutico non solo per la loro tossicità, ma anche perché la loro azione è incostante e principalmente psichica e si manifesta a condizione che esista una particolare predisposizione in tal senso  esse stimolano il sistema nervoso centrale suscitando processi psichici a sfondo erotico e deprimendo contemporaneamente il potere critico e i freni inibitori.Una blanda azione afrodisiaca di questo tipo viene attribuita anche alla canfora e ad alcuni oli essenziali, come menta e mentolo.La yohimbina e la quebrachina, alcaloidi ricavati dalla corteccia di piante esotiche, sono tra gli afrodisiaci più usati anche in terapia  essi agiscono sul midollo sacrale e i centri parasimpatici aumentandone l’eccitabilità riflessa. La yohimbina provoca una vasodilatazione prevalentemente nel distretto pelvico.Il testosterone, ormone androgeno, non si limita a stimolare il centro dell’erezione, ma investe anche l’insorgere del desiderio sessuale, regola i centri psichici, l’attività e l’anatomia delle gonadi e degli organi copulatori. Può essere un rimedio efficace anche nella frigidità femminile, sebbene a dosi elevate possa portare a mascolinizzazione. Tuttavia i prodotti a base di testosterone, o comunque quegli ormoni che provocano un aumento del testosterone circolante (gonadotropine, antiestrogeni, Lh-rh, etc.) vengono in genere utilizzati solo in quei casi in cui è presente un deficit androgenico (ipogonadismi), dati i numerosi effetti collaterali che possono derivarne.Il ginseng, ricavato da radici di piante esotiche, contiene sostanze chimicamente simili agli ormoni sessuali, che spiegano i buoni risultati talvolta ottenuti in campo terapeutico.Effetto a. si può avere con sostanze chimiche irritanti che vengono ingerite o applicate esternamente sulle mucose e sui genitali. Molte sostanze normalmente usate nell’alimentazione, che contengono principi irritanti per le vie urinarie, sono blandi afrodisiaci a effetto secondario. Tra queste lo zenzero, la senape, il pepe, i capperi, i tartufi, la noce moscata, ecc.Bisogna infine ricordare che molte sostanze considerate afrodisiache, quali la cantaridina o la stricnina, possono essere letali e che altre, quali la yohimbina, non possono essere ingerite senza prima assicurarsi del perfetto funzionamento di fegato e reni.Le nuove molecole impiegate nel trattamento della disfunzione erettile (impotenza) come il Sildenafil e l’apomorfina svolgono un’azione concreta nel migliorare l’erezione ma non provocano alcun aumento del desiderio sessuale. Non possono quindi essere considerate degli afrodisiaci.

 

AFTA

Ulcerazione superficiale della mucosa orale o faringea (più raramente genitale), spesso multipla.

CAUSE
Nessun batterio o virus oggi noto è risultato responsabile della malattia, anche se è probabile una predisposizione genetica familiare la maggior parte dei pazienti presenta autoanticorpi contro componenti della mucosa orale mentre una piccola percentuale risulta associata ad altre condizioni, quali enteropatia glutine-sensibile, anemia perniciosa, anemia da carenza di ferro o di folati.È di comune osservazione la concomitanza di fattori scatenanti quali traumatismi locali, intolleranza verso alcuni alimenti, stress psicofisico.

SINTOMI
L’a. è preceduta nel suo insorgere da una vescicola effimera circondata da alone rosso vivo, molto dolente. Le lesioni, accompagnate qualche volta da adenopatia (ingrossamento e dolore ai linfonodi) e febbre, scompaiono in genere in 5-10 giorni, ma hanno tendenza a recidivare dopo un breve periodo di regressione.

TERAPIA
Non esiste terapia specifica. Un certo beneficio può essere ottenuto con applicazioni topiche a base di tetracicline e preparazioni cortisoniche, medicamenti anestetici o di barriera.

 

AGAMMAGLOBULINEMIA

Condizione patologica caratterizzata da mancanza di gamma-globuline nel plasma o da una loro notevolissima riduzione (ipogammaglobulinemia).È la forma più diffusa di disordine immunologico.Alla frazione delle gamma-globuline plasmatiche appartengono le immunoglobuline (anticorpi) prodotte dalle cellule del sistema immunitario: la loro mancanza conduce a una incapacità da parte dell’organismo di reagire alle infezioni, soprattutto da batteri.Sono state identificate diverse forme di a.  per lo più si tratta di affezioni ereditarie, congenite, legate al mancato sviluppo di quella parte del sistema immunitario cui compete la produzione delle immunoglobuline. Si tratta, nella forma completa, cioè dove si rilevi la carenza in tutte le classi anticorpali, di condizioni rare, che oltre alla suscettibilità alle infezioni si caratterizzano per la mancanza nella milza e nei linfonodi di plasmacellule (cellule che producono anticorpi) e centri germinativi. Le forme incomplete (disgammaglobulinemie) si presentano con un’insufficienza selettiva di una classe o sottoclasse di anticorpi.Secondo l’O.M.S. si parla di a. quando la concentrazione plasmatica di immunoglobuline è minore di 100 mg/100 ml. La forma più diffusa è la carenza di IgA, anticorpi secretori implicati prevalentemente nella risposta immunitaria a livello delle mucose (digerenti, respiratorie etc.), esponendo il soggetto a frequenti infezioni nei distretti carenti  solitamente la prognosi è buona servendosi di terapie adeguate per controllare queste infezioni. In un’altra forma più grave (a. di Bruton) è indispensabile la somministrazione periodica di immunoglobuline per via endovenosa.Il deficit nella sintesi delle immunoglobuline può presentarsi come fenomeno singolo o associato a deficienze più gravi interessanti anche altre componenti del sistema immunitario. In questi ultimi casi la totale incapacità dell’organismo a difendersi porta a morte molto precocemente con gravi infezioni generalizzate. Nei casi meno gravi invece le infezioni possono venire dominate con la terapia antibiotica o con la somministrazione di gamma-globuline dall’esterno. Esistono anche forme acquisite di ipogammaglobulinemia, da ridotta produzione di queste proteine (per es. in leucemie o tumori quali i linfomi, che interessano in modo diffuso le strutture del sistema immunitario), oppure da eccessiva perdita di proteine (per es. attraverso l’urina in casi di malattie renali come la sindrome nefrosica, o attraverso l’intestino in alcune affezioni della mucosa intestinale).

 

AGAR

Gelificante di ampio uso commerciale, che si trova nella parete cellulare di diverse specie di alghe rosse, in particolare in alcune specie del genere Gelidium. L’a. viene usato come agente solidificante nella preparazione di dolci, creme e lozioni, come pure in quella del pesce e della carne in scatola  come addensante o emulsionante nei gelati e nei dolci surgelati  come agente chiarificante nella produzione del vino e della birra  e nell’industria tessile, per preparare la bozzima, una soluzione collante che viene fatta assorbire ai filati e che li rende resistenti, lisci e flessibili. In laboratorio l’a. è un eccellente terreno di coltura per i batteri, perché non viene solubilizzato dai sali, né consumato dalla maggior parte dei microrganismi.L’a., estratto dalle alghe mediante bollitura, viene fatto raffreddare e seccare, e poi venduto in fiocchi o in panetti.Originariamente era chiamato agar-agar, una parola malese che indica un’alga locale, e veniva prodotto nell’Estremo Oriente. Oggi è lavorato anche in altre regioni che si affacciano sul Pacifico, ad esempio in California e in Australia.

 

AGENESIA

(O aplasia), assenza di una parte dell’organismo, per esempio un tessuto, un organo o un complesso di organi. Le sue cause sono riferibili a mancato sviluppo dell’abbozzo embrionale della parte interessata o a una sua precoce distruzione. Quando si ha soltanto uno sviluppo parziale si parla di ipoplasia. La gravità dell’a. dipende dall’importanza dell’organo o della parte colpita e dalla capacità dell’organismo a sopperire a tale mancanza.Alcuni tipi di a. possono essere perfettamente tollerati: tali la mancanza di uno o più arti (amelia), la mancanza delle mammelle (amastia). Altri non sono compatibili con la vita e altri ancora, pur compatibili con la vita, portano a gravi disturbi dovuti alla mancata funzione dell’organo assente: come nel caso di ipotiroidismo da assenza della tiroide, o di deficit dei meccanismi di difesa immunitari da assenza del timo.

 

AGEUSIA

Perdita della sensibilità gustativa. Si osserva in alcuni casi di paralisi del nervo facciale.

 

AGGLOMERATO

Letteralmente significa unione di particelle incoerenti mediante l’azione di una sostanza intermediaria, che funziona da legante. In medicina, questo termine esprime un fenomeno per cui le cellule si uniscono grazie alla presenza di specifici anticorpi, che legano gli antigeni di membrana a guisa di ponte intercellulare, causandone appunto l’a. o agglutinazione. Questa reazione anticorpale viene sfruttata come test diagnostico in alcune malattie infettive, ad es. la sifilide.

 

AGGLUTINAZIONE

Reazione immunologica tra antigene e anticorpo. È il fenomeno per cui anticorpi specifici presenti nel sangue e diretti contro antigeni di membrana delle cellule, ne causano l’agglomeramento. Le cellule con medesima carica elettrica si respingeranno vicendevolmente mentre l’anticorpo, neutralizzando tali cariche, favorirà la formazione di ammassi cellulari, potendo persino funzionare da ponte tra due elementi cellulari. Tipica reazione di a. è quella che utilizza globuli rossi di montone, alla cui membrana vengono legati antigeni specifici  questo nuovo sistema globulo rosso-antigene viene messo insieme con il sangue di un soggetto che, se conterrà anticorpi diretti verso quell’antigene, causerà l’agglutinazione dei globuli rossi. L’a. viene sfruttata per l’accertamento diagnostico di alcune malattie (per es. sierodiagnosi di Widal per il tifo addominale, sierodiagnosi di Wright per la brucellosi, anemie emolitiche da anticorpi, ricerca del fattore reumatoide) e per la determinazione dei gruppi sanguigni.

 

AGGLUTININA

Anticorpo avente la proprietà di agglutinare un antigene specifico (in genere globuli rossi o batteri). Le agglutinine più note sono le agglutinine alfa e beta del siero di sangue umano, che agglutinano i globuli rossi contenenti rispettivamente gli agglutinogeni A e B (vedi AGGLUTINAZIONE).

 

AGGLUTINOGENO

Antigene particolare capace di determinare la formazione dell’agglutinina corrispondente e di provocare agglutinazione. Tra i più noti sono gli agglutinogeni A e B, sostanze di natura polisaccaridica presenti nelle membrane dei globuli rossi che, con l’a. O, sono alla base della differenziazione dei gruppi sanguigni.

 

AGITAZIONE

Modo di essere e di comportarsi di un soggetto, indotto da impulsi emotivi o affezioni organiche e caratterizzato da manifestazioni incoordinate dell’attività psichica e di quella motoria. Nell’ambito di una definizione così vasta e generale è opportuno far riferimento ai gradi diversi secondo i quali uno stato di a. può realizzarsi e alle diverse forme che esso può assumere. Una condizione di forte disagio soprattutto psichico è tipica generalmente di stati nevrotici fortemente avvertiti dal paziente come tali.Anche intensi dolori fisici (nevralgie, dolori da neoplasie, dolori anginoidi) possono provocare reazioni di insofferenza accompagnate da a. psichica.Più appariscenti e più complessi sul piano clinico sono i quadri di a. psicomotoria che insorgono nel corso di deliri cronici o di episodi deliranti acuti, caratterizzata da atti turbolenti e disorganizzati, impulsi aggressivi, comportamenti paradossali. L’a. psicomotoria nell’accesso isterico assume spesso le caratteristiche di una vivace espressività a tinte erotiche o aggressive, una palese platealità delle manifestazioni che ne rendono pressoché inequivocabile il riconoscimento. Accessi violenti sono infine rinvenibili in altre affezioni psichiatriche e in malattie di ordine neurologico (epilessia, alcuni tumori cerebrali ecc.).La terapia si avvale di psicofarmaci ad azione sedativa.

 

AGNOSIA

Incapacità di dare significato agli stimoli percepiti attraverso i sensi.I centri sensitivi e sensoriali possiedono un’area strettamente adibita alla percezione delle sensazioni (nel caso della sensibilità uditiva, per esempio, l’area 41-42, detta sensouditiva) e un’area periferica (nel nostro esempio, l’area 22, detta psicouditiva) destinata ad apprezzare il significato di queste sensazioni e a integrarle con altre di genere differente (per esempio, il significato di una sensazione acustica è colto in modo più adeguato se questa viene associata ad altre sensazioni, visive, tattili ecc.). Ciò rende ragione della possibilità che alcune lesioni della corteccia, quando colpiscano le aree parasensitive o parasensoriali (circostanti cioè ai centri sensitivi e sensoriali primari), determinino un disturbo particolare consistente nell’incapacità di riconoscere e di identificare la natura degli oggetti, dei quali pur si è in grado di apprezzare le proprietà fisiche (essendo integre le vie sensitive e i centri sensitivi primari): si parla in tali casi di a. (tattile, acustica o ottica).Nell’a. gli organi di senso quindi non sono compromessi e le vie di conduzione sono intatte e trasportano integralmente le impressioni sensoriali alle diverse aree cerebrali, dove tuttavia non vengono riconosciute per la presenza di lesioni a questo livello. Le lesioni delle aree cerebrali possono essere provocate da emorragie, trombosi, traumi, tumori ecc. Poiché le aree cerebrali ove i singoli stimoli giungono per essere integrati a livello psichico superiore sono piuttosto distanti l’una dall’altra, non è facile che tipi diversi di a. possano comparire associati. A seconda delle sensazioni interessate al deficit si riconoscono un’a. visiva, un’a. uditiva e un’a. tattile.Nell’a. visiva o cecità psichica, il malato è in grado di descrivere esattamente tutte le proprietà degli oggetti che vede, ma non riesce a riconoscerli, non sa cioè integrare le sensazioni visive e attribuire loro un significato  l’identificazione gli sarà consentita quando faccia ricorso agli altri sensi, per esempio al tatto.Nell’a. uditiva o acustica o sordità psichica, il soggetto non è in grado di riconoscere i rumori e i suoni anche se li ode perfettamente.L’a. tattile o stereoagnosia comporta il non riconoscimento di un oggetto al tatto: l’individuo, a occhi chiusi, sarà perfettamente in grado di cogliere e analizzare con la palpazione le caratteristiche di un oggetto, ma non riuscirà a risalire da questa al suo riconoscimento.

 

AGOASPIRAZIONE

Variante dell’agobiopsia. Eseguita mediante un ago sottile, l’a. si esegue su masse patologiche che diano clinicamente l’impressione di essere costituite da materiale fluido delimitato da tessuto solido, di essere, cioè, delle cisti.Il materiale così ottenuto viene esaminato al microscopio (esame citologico) e consente di specificare la natura della raccolta patologica, che può essere rappresentata da siero, da sangue, da materiale necrotico, ma può anche contenere cellule, normali o degenerate o maligne. Spesso. L’a. costituisce anche la terapia temporanea delle cisti qualora il loro contenuto venga aspirato interamente.

 

AGOBIOPSIA

Campionamento (prelievo) di una piccola porzione di tessuto tramite l’inserzione di un ago cavo, spesso eseguito sotto controllo radiologico od ecografico. Il piccolo cilindro di tessuto così ottenuto viene inviato per l’esame istologico al microscopio. La procedura è praticamente indolore (in caso di puntura di aree particolarmente sensibili è possibile farla precedere da una leggera anestesia di superficie) e consente la valutazione di masse o lesioni sospette palpabili o identificate con tecniche di diagnostica per immagini.

 

AGONIA

Periodo che precede la morte, caratterizzato sostanzialmente da un progressivo indebolimento delle funzioni vitali.

 

AGONISTA

Termine riferito a:- Muscolo che contraendosi collabora con un altro muscolo a provocare un determinato movimento di un arto o di un’altra parte del corpo.- Sostanza chimica in grado di generare una risposta biologica di per sé o di aumentare l’effetto di altre sostanze. Sono ad esempio chiamati antagonisti, quei farmaci che mimano l’azione di sostanza endogene, legandosi allo stesso recettore con effetti analoghi.- Contrario di antagonista. Sono chiamate antagoniste quelle molecole che legandosi allo stesso recettore inibiscono, parzialmente o totalmente, l’effetto di un a. attraverso lo stesso recettore.

 

AGOPUNTURA

Pratica terapeutica della medicina tradizionale cinese, tuttora coltivata da molti medici cinesi e giapponesi e che va gradualmente acquistando credito anche presso il mondo occidentale. Sia la teoria dell’a. sia la tecnica di applicazione sono molto complesse e fanno parte di una concezione scientifico-filosofica non facilmente rappresentabile alla mente di un occidentale.I testi su cui si basa risalgono al 2500 a.C.: il principale è il Canone della medicina dell’imperatore Huang Ti. Secondo la teoria ivi contenuta, ogni cosa fa capo ai due principi Yang e Yin, attivo, solare e maschile il primo, con significato di caldo, luce, vita  passivo, lunare e femminile il secondo, che si richiama al freddo, all’oscurità, alla morte. Nel corpo sono contenuti organi e visceri, Yin i primi, Yang i secondi  ad essi corrispondono sulla superficie del corpo delle linee, i meridiani, 12 per ogni lato, anche essi di natura Yang o Yin. Altra corrispondenza tra gli organi e l’esterno è quella data dal polso.La “dottrina del polso”, altro cardine della medicina cinese antica, ebbe un periodo di grande splendore intorno al II sec. a.C. e trovò sistemazione in un trattato detto Il classico del polso, nel 280 d.C., a opera di Wang Shu-ho. Il polso si palpa in vari punti e a vari livelli, sia a destra sia a sinistra: si hanno quindi tre localizzazioni per ogni lato e due livelli: superficiale e profondo. Si distinguono 12 polsi che hanno anche vari caratteri come ritmo, ampiezza, durata  consentono l’ispezione degli organi e dei visceri (a ogni polso ne corrisponde uno) nonché del loro stato. Analoghi segni si possono cogliere sui meridiani e da essi rilevare lo stato degli organi cui corrispondono. I meridiani hanno duplice significato: sono linee lungo le quali circola l’energia vitale (infatti alcuni sono centripeti, altri centrifughi) e allo stesso tempo linee di congiunzione di molti punti dalle diverse caratteristiche. I punti indicano l’affezione dell’organo e permettono di influire su di esso mediante l’a. Il punto sensibile, detto di allarme, si rivela doloroso alla palpazione quando l’organo corrispondente è colpito  altri punti notevoli sono quelli di dispersione e di tonificazione. Nella patologia cinese antica i processi morbosi si possono ricondurre a difetto o eccesso di energia, concepita come una vera forza vitale prodotta dagli organi e destinata a essere distribuita all’organismo. Anch’essa è divisa secondo i principi Yang e Yin: energia mentale o morale, cosciente, la prima  legata al sangue e alla materia, la seconda. La salute del corpo e di ogni singolo organo è legata all’equilibrio di queste due energie  uno squilibrio, dovuto a infinite cause che vanno dalla ingestione di cibi Yang o Yin a molteplici fattori ambientali, genera negli organi uno stato di ipertonia o ipotonia che deve essere corretto.A tale scopo viene usata l’a. che si pratica con aghi diversi, a seconda dell’effetto che si vuole raggiungere: quelli fatti con metalli Yang, rossi o gialli, hanno un potere eccitante, mentre gli aghi di metallo Yin, argento e zinco, hanno effetto sedativo. Devono penetrare nei tessuti per pochi millimetri o, al massimo, per un centimetro e mezzo: la durata della puntura varia e di solito l’ago viene ritirato appena cessa la contrattura dei tessuti attraversati. Un lieve massaggio con l’unghia del pollice facilita l’introduzione e la rende meno dolorosa  l’estrazione dell’ago non dovrebbe provocare né dolore, né sangue. L’a. ha una provata efficacia non soltanto nelle malattie psicosomatiche, nelle affezioni dolorose, nei disturbi funzionali, ma in molte altre malattie, con esclusione evidente delle lesioni organiche e delle malattie infettive. Esiste tuttavia anche una interpretazione restrittiva del fenomeno, che fa rientrare l’a. nella fisioterapia e le chiede solo il risultato pratico di calmare il dolore nelle nevralgie o di risolvere coliche, contratture spastiche, postumi di paralisi. Per quanto concerne la base scientifica dell’a., finora sono falliti tutti i tentativi fatti per dimostrare l’esistenza di speciali recettori nello spessore della cute.Quando è indicataL’a. può ottenere risultati nel trattamento del dolore muscolare e osteo-articolare, ed è in questo ambito che viene prevalentemente utilizzata, almeno nei paesi occidentali. L’a. si è dimostrata efficace in presenza di nevralgia del trigemino, sciatalgia, cefalea e in casi di “dolore dell’arto fantasma”, così chiamato perché viene riferito a un arto sottoposto ad amputazione.Tosse, asma e in generale affezioni infiammatorie delle vie aeree possono venire trattati con l’a.
La stimolazione di alcuni punti particolari sembra essere in grado non solo di alleviare ma anche di prevenire le malattie di raffreddamento.Nausea, dolori addominali, vomito e stitichezza sembrano essere alleviati dall’a. La tecnica è particolarmente efficace in caso di mestruazioni dolorose (dismenorrea), e viene utilizzata anche nella regolazione della ciclicità mestruale e nella riduzione della leucorrea (perdite bianche vaginali). L’a. è talvolta utilizzata nella terapia di alcuni disturbi emotivi, quali la depressione, l’ansia e l’insonnia.

 

AGORAFOBIA

Paura di attraversare uno spazio aperto, accompagnata spesso da vertigini e angoscia. L’a. induce il soggetto a evitare di attraversare piazze, strade, spazi aperti ecc. Nei casi più gravi l’individuo rimane quasi sempre in casa o esce solo se accompagnato. A volte l’a. è accompagnata da attacchi di panico, crisi di forte paura o disagio a cui si associano svariati sintomi (disturbi del respiro, tachicardia, sudorazione, sensazione di svenimento, tremori, timore di morire ecc.). Secondo S. Freud l’individuo che soffre di a. infligge al suo io una restrizione per sfuggire a un pericolo istintuale.

 

AGRAFIA

Incapacità di scrivere dipendente dall’incapacità di riconoscere il significato delle parole come conseguenza di affezioni cerebrali. Essa di rado esiste singolarmente, essendo spesso associata ad afasia. Gli individui affetti da questo tipo di disturbo possono conservare parzialmente la capacità di copiare o di scrivere sotto dettatura. La sola possibilità terapeutica dell’a. è legata alla rieducazione funzionale.

 

AGRAMMATISMO

Incapacità di esprimersi costruendo il periodo sintatticamente corretto. Il soggetto, per esempio, impiega il verbo sempre all’infinito, o mette le parole disordinatamente nella frase.

 

AGRANULOCITOSI

Grave sindrome clinica caratterizzata da marcata riduzione fino alla completa scomparsa (più rara) dei granulociti neutrofili nel sangue circolante e nel midollo osseo, in assenza di una malattia ematologica che la giustifichi.Nella maggior parte dei casi è dovuta all’azione tossica di sostanze medicamentose che in soggetti predisposti provocano un grave danno al midollo osseo. Tali per esempio il piramidone e alcuni suoi derivati, alcuni antiepilettici, tranquillanti, citostatici, antibiotici ma altre cause sono le radiazioni ionizzanti o agenti chimici come il benzene. Poiché la principale attività dei leucociti neutrofili è la difesa contro le infezioni, la manifestazione clinica principale di questa condizione è la comparsa di gravi infezioni provocate da comuni germi (streptococchi, stafilococchi ecc.) particolarmente alla cute, ai polmoni, alle mucose della cavità orale  in questa sede si sviluppa una grave forma di angina, con ampie ulcerazioni. Tali sintomi insorgono di solito bruscamente con febbre alta, nausea, vomito, senso di prostrazione e dolori diffusi. In breve tempo si sviluppa il quadro di una infezione generalizzata.La prognosi è grave. La terapia si basa sull’impiego di antibiotici e di cortisonici. Alcune condizioni reversibili si attuano con meccanismo di tipo immunologico, non sempre noto, ed hanno un decorso più favorevole.

 

AIDS

Sigla di Acquired Immuno-Deficiency Syndrome, (sindrome da immunodeficienza acquisita). Identificata per la prima volta nel 1979 a New York e San Francisco, ha in breve tempo raggiunto dimensioni epidemiche.

CAUSE
La sindrome da immunodeficienza acquisita è caratterizzata dalla comparsa di un grave deficit immunitario combinato, acquisito in seguito all’infezione da parte di un retrovirus, il virus dell’immunodeficienza o HIV (Human Immunodeficiency Virus), di cui esistono due tipi simili, HIV1 e HIV2. Il virus responsabile dell’immunodeficienza acquisita è debolmente contagioso e resiste poco nell’ambiente esterno. Il virus si trova nel sangue, nello sperma, nel liquido vaginale e nel liquido pre-eiaculatorio e si trasmette soltanto attraverso il sangue e la via sessuale. La trasmissione sessuale è oggi nel mondo la modalità di trasmissione più diffusa dell’infezione da HIV. I rapporti sessuali, sia omosessuali che eterosessuali, possono trasmettere l’infezione.Questa avviene attraverso piccolissime lesioni dei genitali che si verificano durante il rapporto sessuale e che consentono al virus, presente nello sperma e nelle secrezioni vaginali, di entrare nell’organismo.Ovviamente tutte le pratiche sessuali che favoriscono traumi possono provocare un aumento del rischio di trasmissione. Per questo motivo i rapporti anali sono a maggior rischio: la mucosa anale è infatti più fragile e meno protetta di quella vaginale e quindi il virus si trasmette più facilmente. La trasmissione della malattia può verificarsi anche dalla madre al bambino, durante la gravidanza o il parto e avviene in circa il 20% dei bambini nati da madri infette.L’HIV è un retrovirus, cioè un virus a RNA che viene trascritto a DNA all’interno delle cellule grazie a una trascrittasi inversa. Può rimanere libero nel citoplasma, ma soprattutto integrarsi nel DNA del nucleo delle cellule, rimanendo quiescente o divenendo attivo: in tal caso produce molecole di cui ha portato i geni, in modo da riprodursi e moltiplicarsi.L’attivazione del virus è molto variabile e dipende dallo stato di attivazione della cellula: in particolare l’attivazione del virus dell’AIDS è in relazione alla presenza di altri virus, così come di qualunque tipo di stimolazione immunitaria. L’originalità di questo virus risiede nella capacità di infettare quasi esclusivamente le cellule del sistema immunitario, soprattutto macrofagi e linfociti T-helper amplificatori e regolatori. Il recettore di questo virus è una molecola di superficie caratteristica di queste cellule, la molecola CD4. In questo modo l’HIV indebolisce il sistema immunitario fino ad annullare la risposta contro virus, batteri, protozoi e funghi.Quando una persona entra in contatto con l’HIV può diventare sieropositiva, vale a dire che presenta la positività alla ricerca di anticorpi dell’HIV nel siero. Ciò significa che l’infezione è in atto e che è possibile trasmettere il virus ad altre persone. Il tempo che intercorre dal momento del contagio all’effettiva comparsa degli anticorpi contro l’HIV nel sangue viene chiamato “periodo finestra”. Questo periodo dura mediamente 4-6 settimane, ma può estendersi anche fino a 6/8 mesi. Durante questo periodo anche se la persona risulta sieronegativa è in grado di trasmettere l’infezione.Pur essendo sieropositivi, è possibile vivere per anni senza alcun sintomo e accorgersi del contagio solo al manifestarsi di una malattia. Il tempo trascorso tra il contagio e le manifestazioni cliniche evidenti della malattia conclamata viene definito periodo di incubazione. L’infezione da HIV è caratterizzata da un tempo di incubazione molto lungo e molto variabile da persona a persona (anni).L’interpretazione della fase di latenza clinica rimane controversa. Inizialmente si pensava che il virus si moltiplicasse rapidamente al momento della prima infezione, che poi la risposta immunitaria del soggetto distruggesse le cellule colpite, a eccezione di quelle in cui il virus rimaneva quiescente, infine, che le riaccensioni di attivazione cellulare portassero alla distruzione di parte del sistema immunitario, la cui efficacia andava successivamente diminuendo, permettendo all’infezione di amplificarsi sempre più. Sembra, invece, attualmente chiaro che il virus non diventi mai del tutto silente e distrugga tutti i giorni una piccola parte del sistema immunitario, fino al suo crollo.
Bisogna anche supporre che il virus sia ugualmente capace di paralizzare precocemente le capacità di autoriparazione del sistema immunitario, poiché altrimenti questi danni quotidiani non avrebbero conseguenze finali gravi. Si ipotizza anche un ruolo aggravante della risposta immunitaria anti-HIV: da un lato il virus ricoperto da anticorpi può più facilmente infettare i macrofagi portatori dei recettori per queste molecole, dall’altro dei fenomeni autoimmuni potrebbero contribuire alla distruzione del sistema immunitario, aggiungendosi all’effetto diretto del virus stesso. Qualunque sia il meccanismo, il virus installato nel cuore del sistema immunitario finisce per portare alla scomparsa delle cellule CD4 e poi di tutto il sistema immunitario.La presenza dell’HIV nell’organismo determina una risposta immunitaria costituita da anticorpi e da una reattività cellulare citotossica, che non è in grado di eradicare l’infezione, poiché non sono mai stati riportati casi convincenti di guarigione.Gli anticorpi diretti contro il virus sono abbondanti e riconoscono sia il suo involucro sia dei costituenti interni del virus o alcune molecole secrete. Alcuni anticorpi hanno un’attività bloccante sull’infezione di colture cellulari ma non sembrano in grado di impedirla totalmente. Bisogna poi notare che l’efficacia degli anticorpi bloccanti di un dato malato è molto limitata al ceppo infettante e di poca efficacia sul ceppo virale di un altro malato o su varianti del virus che compaiono e si sviluppano in tempi successivi nello stesso individuo. Sembra ci siano anche dei linfociti T citotossici specifici per il virus.Le cellule bersaglio del virus sono una sottopopolazione di linfociti T: T4/helper. L’infezione virale dei T4 determina nel giro di alcuni mesi o anni la distruzione pressoché completa dei T4.Dal momento che i linfociti T4 costituiscono le cellule implicate in quasi tutte le modalità di risposta immunologica, la loro riduzione numerica determina un vero e proprio sconvolgimento dell’intero sistema immunitario, finché l’individuo colpito finisce col trovarsi completamente privo di ogni difesa nei confronti dei diversi agenti infettivi, compresi quelli che abitualmente si comportano come agenti poco patogeni. Sono così spiegate le numerose e gravi infezioni da batteri e funghi, altrimenti innocui, che diventano infezioni mortali nei pazienti con AIDS.Infine, la genesi delle alterazioni neurologiche tipiche della malattia è legata a un’azione diretta del virus anche contro le cellule del sistema nervoso centrale che vengono distrutte così come succede ai linfociti T4.

SINTOMI
In circa la metà dei casi si osserva 6-8 settimane dopo il contagio una sindrome da prima infezione caratterizzata da sintomi banali: sindrome simil-influenzale, aumento di volume dei linfonodi, angina (mal di gola), eruzione cutanea, astenia. Molto raramente questa sindrome evolve senza soluzione di continuità verso un grave deficit immunitario, rapidamente mortale di solito, invece, tutto rientra nella normalità senza nessun trattamento nel giro di qualche settimana. Nel sangue del soggetto infettato non vi sono ancora anticorpi contro il virus dell’AIDS e il virus stesso può essere evidenziato solo incostantemente. Da questo momento, però, i soggetti portatori del virus possono contagiare altri. La sieroconversione, cioè la comparsa degli anticorpi, avviene verso il terzo mese, in modo clinicamente inapparente, senza cioè che appaia qualche sintomo che faccia sospettare l’AIDS. Per parecchi anni il soggetto contagioso sarà portatore asintomatico del virus. Questa latenza clinica è molto variabile a seconda del soggetto: è in parte legata alle proprietà del ceppo virale infettante, ma soprattutto dipende dall’ambiente e da altre infezioni contratte dal soggetto, ivi compresa una reinfezione con l’HIV. L’emilatenza media è di 8 anni, cioè dopo questo intervallo di tempo solo la metà dei portatori del virus è entrata nella fase di malattia conclamata attualmente sono conosciuti casi di portatori clinicamente inapparenti da una quindicina di anni. La latenza clinica è generalmente più lunga nei soggetti infettati dall’HIV2, che predomina in Africa, rispetto ai soggetti portatori dell’HIV1, ma vi è una grande variazione individuale che rende meno categorica questa affermazione.La malattia conclamata è costituita da complicanze infettive e tumorali. Durante la fase iniziale possono comparire manifestazioni autoimmuni, tra cui la più frequente è una trombocitopenia da autoanticorpi che porta a porpora o una ipergammaglobulinemia. Sono anche possibili insufficienze midollari più globali. Le complicazioni infettive sono costituite da un lato da forme gravi o croniche causate da germi abituali, dall’altro da infezioni dette opportuniste, dovute a germi abitualmente non pericolosi, che viceversa diventano altamente patogeni nei soggetti con AIDS, in cui mancano del tutto le difese immunitarie contro i germi. Tra queste infezioni le più frequenti sono la tubercolosi e le micobatteriosi atipiche, la toxoplasmosi (in particolare oculare o cerebrale), le pneumocistosi polmonari, le candidosi (in particolare dell’apparato digerente), l’infezione da Cytomegalovirus, le criptococcosi.
È frequente la diarrea cronica o recidivante. I malati dimagriscono regolarmente, molto al di sotto dei valori normali, fino a una vera e propria cachessia. Le complicazioni tumorali sono costituite dal sarcoma di Kaposi e dai linfomi, in particolare di tipo B, legati a un cattivo controllo immunitario da parte dei linfociti T e all’iperstimolazione linfocitaria B che ne risulta.

PROGNOSI
La definizione dei fattori prognostici è importante per stabilire parametri oggettivi utili per seguire l’evoluzione di un malato, per apprezzare gli effetti della terapia, o per decidere il momento opportuno per l’impiego della terapia. Ciononostante, nessuno dei fattori prognostici permette di predire con certezza in un dato malato l’evoluzione a lungo o anche a medio termine dell’infezione. Essi permettono però di valutare in un dato momento il rischio di complicanze in un certo soggetto.I fattori legati al virus stesso sono la quantità di virus valutata nelle colture per amplificazione genica quantitativa o con il dosaggio degli antigeni virali rilasciati nel circolo. L’abbondanza del virus è un fattore prognostico negativo. La diminuzione degli anticorpi, in particolare la scomparsa degli anticorpi diretti contro la molecola p24, è prognosticamente negativa. I parametri linfocitari quantitativi dello stato del sistema immunitario sono il numero dei linfociti e soprattutto il numero dei linfociti CD4. Si è potuto dimostrare che il numero dei linfociti CD4 diminuiva regolarmente durante il periodo della latenza clinica. Vi è anche una diminuzione sulla superficie degli eritrociti del numero dei recettori CR1 per il frammento C3b del complemento. I parametri umorali importanti sono il tasso di beta2-microglobulina, di IgA e di neopterina: la neopterina testimonia la distruzione cellulare, le IgA il cattivo controllo dei linfociti T sulla produzione degli anticorpi e la beta2-microglobulina l’attivazione del sistema immunitario. Gli aumenti del tasso di queste molecole si correlano generalmente molto bene tra di loro e con una cattiva prognosi.

DIAGNOSI
La presenza di anticorpi anti-HIV viene utilizzata per la diagnosi di questa patologia, per la quale si esige la presenza di anticorpi diretti contro costituenti di superficie e costituenti interni del virus.La sola presenza degli anticorpi anti-HIV non è sufficiente per fare diagnosi di AIDS, si definisce solo la sieropositività al virus e quindi la pregressa infezione.Per la diagnosi di AIDS è necessario che l’individuo abbia contratto malattie opportunistiche o sia portatore di encefalopatia da HIV o di tumori legati all’infezione da HIV o conta dei linfociti < 200/ml.

TERAPIA
Contro l’immunodepressione sono state sperimentate terapie con l’interferone e altri immunomodulatori contro il virus esistono alcuni farmaci antiretrovirali divisi in analoghi nucleosidici inibitori della trascrittasi inversa (Zidovudina, nota anche come azidotimidina o AZT, Didanosina, Zalcitabina e altri) e inibitori delle proteasi (Ritonavir, Saquinavir, Indinavir, Nalfinavir) contro le infezioni opportunistiche vengono impiegati con qualche successo adatti antibiotici e antifungini.Le esperienze cliniche hanno dimostrato la superiore efficacia della combinazione di più farmaci rispetto alla monoterapia. Sono inoltre in sperimentazione classi di farmaci mirate alla stimolazione e al supporto del sistema immunitario piuttosto che ad una diretta azione antivirale La terapia è attualmente in genere composta da un cocktail di tre farmaci antiretrovirali, e permette di ridurre la carica virale e migliorare la situazione immunitaria. La messa a punto di un vaccino rappresenterà la soluzione ideale e definitiva dei problemi connessi all’infezione con l’HIV. La difficoltà di tale ricerca è variabile a seconda degli agenti infettivi. Quando un agente infettivo è stabile, senza variazioni da un ceppo all’altro, e gli anticorpi sono sufficienti a neutralizzarlo, si può sperare in risultati positivi in tempi brevi. Il risultato è molto meno scontato quando un virus cambi rapidamente, si completi con ricombinazioni con altri ceppi o altri virus della stessa famiglia e sia necessaria una reattività cellulare per bloccare la sua infettività: questo è sfortunatamente il caso del virus dell’AIDS (-- vedi scheda AIDS).

 

AIKIDO

Tecnica sviluppata alla fine dell’Ottocento in Giappone dal maestro Morihei Uyeshiba, a partire dal tai chi chuan, disciplina che, a sua volta, deriva dalle antiche arti marziali dell’Estremo Oriente  fu perfezionata nel corso dei secoli dai monaci cinesi, cui il ricorso alle armi era proibito, come mezzo contro le aggressioni. Da tecnica di difesa, il tai chi divenne con il passare del tempo una disciplina, detta anche “meditazione in movimento”, che porta alla pace interiore grazie all’equilibrio tra le forze opposte e complementari che interagiscono tra di loro e che regolano l’universo, lo yin e lo yang.Kung fu e a.Dal tai chi si sviluppò in Cina il kung fu, la cui traduzione letterale significa “l’uomo abile in grado di mostrare la sua capacità di usare l’energia vitale”. Il kung fu, che consiste in una serie di esercizi in cui si deve dimostrare la propria energia e abilità di combattimento, manifesta lo yang, elemento maschile e dominatore per eccellenza. L’a., al contrario è un metodo di prevenzione che simboleggia lo yin, cioè l’elemento femminile. Tutte le sequenze di esercizi che vengono suggerite dall’a. si propongono, infatti, di prevenire e di neutralizzare la forza yang che si manifesta come aggressione.Sotto la guida di un maestro, si impara a dominare il proprio istinto di reazione scegliendo di non attaccare.La disciplina richiede una preparazione accurata che ha lo scopo, con l’aiuto di pratiche di meditazione, di insegnare a raccogliere le proprie energie per utilizzarle nel modo più consapevole.Quando può essere utileL’a. è una disciplina, secondo i suoi cultori, che può risultare utile in casi di problemi fisici che abbiano una componente psicologica: ansia, depressione, insonnia, cattiva digestione, colite.La pratica costante dell’a. si può rivelare efficace nel ridurre sia le tensioni psicologiche che quelle muscolo-articolari.

 
ALALIA
 

Incapacità di articolare la parola per un difetto di conformazione degli organi della fonazione (laringe, lingua, bocca ecc.) o per qualche disturbo delle vie nervose periferiche che innervano tali organi. Ne consegue che la parola non viene articolata in maniera corretta sia in modo globale che in particolari settori o anche in singoli suoni.La correzione dell’a., meglio definibile come dislalia, consiste nella rieducazione funzionale.

ALASTRIM

vedi VAIOLO BIANCO

ALBERO

Si definisce con questo termine una struttura anatomica costituita da diramazioni, via via più sottili, o una forma schematica della discendenza familiare di un individuo.

 
ALBERO CIRCOLATORIO

Insieme dei vasi sanguigni e delle loro successive ramificazioni (vedi CIRCOLATORIO, apparato).

 
ALBERO GENEALOGICO

Schema utilizzato in genetica che prende in considerazione una coppia di individui e i loro discendenti, per più generazioni, con riferimento alla trasmissione ereditaria di un carattere (vedi EREDITARIETÀ).

 
ALBERO RESPIRATORIO

Comprende la trachea e i bronchi (dai loro rami più grossi, dopo che si biforcano al termine della trachea, fino ai bronchioli terminali). È il complesso di condotti che permettono lo scambio dell’aria tra polmoni e ambiente esterno (vedi RESPIRATORIO, apparato).

 
ALBINISMO

Condizione patologica caratterizzata da mancanza di pigmentazione della cute, dei peli, dei capelli, dell’iride. L’a. è dovuto a un difetto congenito del metabolismo, trasmesso come carattere ereditario, che comporta la deficienza di un enzima, la tirosinasi. Questo è necessario per la sintesi della melanina, il pigmento da cui dipende la colorazione scura delle strutture indicate. L’a. si può osservare sia nell’uomo che negli animali (topi, cavie, conigli ecc.), i quali risultano caratterizzati da pelame bianco e occhi rossi. Nell’uomo tale condizione è rara (1 caso su 20.000 ca.), ma compare con particolare frequenza tra gli Indiani bianchi della Costa di San Blas (Panama), in cui 7 individui su 1000 sono albini. Il difetto pigmentario può essere totale e allora il soggetto si presenta con cute di color bianco-cereo  capelli, sopracciglia e altri peli di color biondo pallido o bianco, iride rossa, in quanto per la mancanza di pigmento lascia trasparire il colore dei capillari sanguigni. Spesso coesistono altre anomalie quali difetti visivi, epilessia, deficit intellettivo, sordomutismo, nanismo o altre anomalie scheletriche. Tali soggetti manifestano intolleranza alla luce, con fotofobia, diminuzione dell’acutezza visiva e alterazioni cutanee caratterizzate da precoce invecchiamento della cute e insorgenza di tumori sulle parti esposte (mancando l’azione protettiva della melanina nei confronti delle radiazioni solari). L’a. può anche essere parziale  la deficienza di pigmento interessa allora solo un’area circoscritta della cute o dei capelli. L’a. è legato a un gene recessivo localizzato su un autosoma (quindi non legato al sesso) per cui solo gli omozigoti per tale gene lo manifestano.

 
ALBRIGHT, malattia di

Quadro clinico, la cui causa resta sconosciuta, caratterizzato da disturbi endocrini (pubertà precoce), displasia fibrosa delle ossa, alterazione della pigmentazione (macchie a caffè). La malattia colpisce sia le donne che gli uomini, in un rapporto di 3 a 2, e ha una gravità variabile. La sindrome di Mc Cune Albright (MAS) prende nome dai due ricercatori che la descrissero per la prima volta nel 1937, ed è una patologia genetica non ereditaria. La mutazione genetica determina un’eccessiva attività della proteina G (che regola la proliferazione cellulare) e una eccessiva stimolazione autonoma delle cellule colpite nei diversi organi.

SINTOMI
Nelle ghiandole endocrine ha luogo un’eccessiva produzione di ormoni, che causa pubertà precoce. Raramente è compromessa la fertilità, tanto che molte donne affette da MAS partoriscono bambini sani. Nei maschi, la pubertà precoce è accompagnata anche da crescita accelerata, odore particolare e acne. Circa il 50% dei malati presenta disfunzioni tiroidee (gozzo, noduli o cisti). Inoltre, è possibile l’eccessiva produzione dell’ormone della crescita, provocata talora da tumori dell’ipofisi, che generalmente non formano metastasi, ma possono portare danni all’ipofisi e al nervo ottico.Nelle ossa, dà luogo ad abnorme proliferazione e funzionamento delle cellule che formano l’osso e dei loro progenitori (cellule staminali), che di conseguenza generano un osso patologico, deformabile e fragile.Venendo alle anomalie della pelle, sono tipiche le aree di pigmentazione aumentata in forma di macchie color caffelatte dai bordi irregolari e contorno definito. Si manifestano spesso già nei bambini e possono interessare zone più o meno ampie di cute, senza determinare problemi di carattere medico.

DIAGNOSI
Non è possibile in fase prenatale può essere eseguita nell’infanzia (sofferenza ossea o pubertà precoce) in un neonato il sospetto può essere indotto dalle macchie caffelatte. Conferme possono venire dalla storia del paziente, da una valutazione clinica e da test specifici (radiografici e del sangue).

TERAPIA
Solo sintomatica, per i vari disturbi (cure ormonali per ritardare la pubertà, interventi chirurgici sui tumori, sulle lesioni dell’ipofisi, sulle cisti benigne alle ovaie e sulla tiroide, bifosfonati per ridurre il danno osseo).

 
ALBUGINEA

Membrana di colorito biancastro che avvolge il testicolo. Oltremodo resistente e inestensibile, di spessore 0,5-1 mm. Esternamente è ricoperta dall’epiorchio. È costituita da tessuto connettivo molto compatto, che le conferisce una notevole resistenza meccanica, e possiede una ricca innervazione alla quale è legata la dolorabilità del testicolo. Dalla faccia profonda, riccamente vascolarizzata (tonaca vascolosa) si distaccano numerosi sepimenti (setti testicolari) che percorrono in senso radiale il testicolo, confluendo in una struttura definita mediastino, dividendolo in piccoli lobuli (circa 300). Con la sua compattezza l’a. protegge il testicolo dai traumi e con la sua innervazione risponde in modo assai sensibile a tutte le situazioni patologiche (traumi, infiammazioni) che comportano un aumento di volume dei tessuti in essa contenuti.

 
ALBUMINA

Proteina semplice, contenente zolfo, che rappresenta la frazione proteica quantitativamente maggiore del plasma sanguigno (sieroalbumina). È prodotta dal fegato e contribuisce in modo fondamentale al mantenimento della normale pressione oncotica del plasma. È la proteina plasmatica in assoluto più rappresentata ed è in grado di legare numerose sostanze tra cui ormoni, farmaci, bilirubina. I livelli sierici normali sono compresi tra 3,5 e 5,5 gr/100 ml. La condizione di disidratazione (malnutrizione e malassorbimento, ipertiroidismo, gravidanza, epatopatia, edemi, ascite, ustioni) corrisponde ad un aumento relativo dell’a., che pertanto è un indice affidabile per valutare l’idratazione dell’individuo. L’ipoalbuminemia porta alla formazione di edemi e versamenti nella cavità peritoneale, pleurica e pericardica, dovuti essenzialmente alla diminuzione della pressione oncotica del plasma con conseguente spostamento di fluidi dall’ambiente intracellulare a quello extracellulare.

 
ALBUMINURIA

Presenza di albumina nelle urine. Quando, come accade in genere, insieme all’albumina sono presenti anche altre proteine del plasma, si dovrebbe parlare di proteinuria. In condizioni di normalità il filtro renale riassorbe completamente tutte le proteine presenti nel sangue. L’a. può comparire in corso di patologie primitive del rene o sistemiche (diabete, ipertensione arteriosa, malattie autoimmunitaria e preeclampsia,ecc.). la presenza di a., come di proteinuria, è indice di danno renale.

 
ALCALINIZZAZIONE

Processo chimico che rende alcalina o basica una determinata soluzione  ne aumenta cioè il suo pH (logaritmo negativo della concentrazione dello ione idrogeno) a valori superiori a 7, che è il punto di pH dell’acqua distillata, o di una soluzione neutra, ovvero una soluzione che contiene ioni idrogeno (H+) e ioni idrossido (OH-) in uguali concentrazioni. L’a. delle urine è un processo che si può ottenere utilizzando inibitori dell’anidrasi carbonica (farmaci diuretici), che aumentano l’escrezione urinaria di bicarbonati e/o tramite l’infusione stessa di bicarbonati. Tali presidi terapeutici possono essere utilizzati in caso di sovradosaggio di aspirina (acido salicilico), sia accidentale che a scopo di suicidio, allo scopo di alcalinizzare le urine e far aumentare l’escrezione urinaria di salicilati.

 
ALCALOIDI DELLA SEGALE CORNUTA

Hanno molteplici e differenti applicazioni cliniche: la brompcriptina viene utilizzata nell’iperprolattinemia, l’ergotamina nella terapia della emicrania, la metil-ergometrina nelle emorragie post-partum.Effetti collaterali sono disturbi gastrointestinali (diarrea, nausea e vomito)Il sovradosaggio provoca vasospasmo prolungato con ischemia delle estremità degli arti e, raramente, infarto intestinale. In questi casi sembra utile l’infusione venosa di un potente vasodilatatore (nitroprussiato di sodio).Controindicazioni all’uso sono malattie vascolari di tipo ostruttivo, malattie del collagene, gravidanza.

 
ALCALOIDI DELL'OPPIO

(Es.morfina, codeina, meperidina, tramandolo, metadone, fentanil, buprenorfina), le proprietà terapeutiche di questo gruppo di a. sono numerose e assai diverse fra loro:- Effetti sul sistema nervoso centrale: analgesia, euforia, sedazione, depressione respiratoria, effetto anti-tosse (soprattutto codeina), miosi, rigidità del tronco, emesi.- Effetti periferici: riduzione della frequenza cardiaca, stipsi, reflusso biliare, riduzione della funzionalità renale, riduzione del tono uterino durante il travaglio di parto (meccanismo non ancora chiarito), arrossamento cutaneo e prurito.- Uso clinico: analgesia (dolore da malattie neoplastiche, travaglio di parto), edema polmonare acuto, tosse, diarrea, anestesia in chirurgia.Effetti indesiderati e collaterali sono abitudine e dipendenza, sindrome da astinenza alla sospensione (febbre, pupille dilatate, dolori muscolari, vomito, pelle d’oca, sensazione di freddo, ansia, lacrimazione e rinorrea), nausea, stipsi, depressione respiratoria.Il sovradosaggio provoca depressione respiratoria e coma. In caso di sovradosaggio di farmaci oppioidi, o di overdose, si utilizza un farmaco antagonista, il Naloxone, che contrasta tutti gli effetti indesiderati di tali sostanze e revoca rapidamente i sintomi.

 
ALCALOIDI

Classe di composti organici comprendente numerose sostanze azotate che in soluzione danno una reazione alcalina. Principi attivi di molte piante medicinali, ma ora anche sintetizzati in laboratorio, sono ampiamente impiegati in medicina per la loro pregevole azione farmacologica.

 
ALCALOSI

Condizione patologica a carico dell’equilibrio acido-base del sangue e dei liquidi interstiziali dell’organismo, in rapporto con la presenza di un eccesso di basi o con una riduzione dei radicali acidi. In condizioni normali il valore medio del pH del sangue e dei liquidi interstiziali è di 7,35 e viene mantenuto costante grazie alla presenza nel sangue di sistemi tampone capaci di neutralizzare le valenze acide o basiche in eccesso. I limiti estremi di pH compatibili con la vita sono 6,85 e 7,65.Si parla di a. compensata quando l’organismo riesce a contrastare l’eccesso di basi senza che si abbia variazione del pH se si verifica invece uno spostamento dei valori di pH verso l’alcalinità si ha a. scompensata che può portare alla tetania.

CAUSE
L’a. può essere dovuta a un aumento della frequenza e della profondità degli atti respiratori tale da portare a una eliminazione eccessiva di anidride carbonica (a. respiratoria). Questa forma si osserva soprattutto in soggetti ansiosi, specie di sesso femminile, in relazione a emozioni violente, oppure molto più raramente in caso di lesione dei centri respiratori.Anche nella respirazione ad alta quota, in aria povera di ossigeno, l’aumento della frequenza respiratoria, necessario per consentire un’adeguata ossigenazione dei tessuti, può condurre a una condizione di a.Quando il disturbo è prolungato, intervengono meccanismi di compenso a livello renale, con aumento dell’eliminazione di bicarbonati, di sodio, di potassio e una diminuzione nella escrezione di cloruri.

SINTOMI
Sono rappresentati essenzialmente da disturbi della sensibilità periferica, da tremori o nei casi più gravi da spasmi e contratture muscolari. L’a. può essere dovuta anche a svariate condizioni che comportano un aumento nella concentrazione di bicarbonati nel sangue, non accompagnata da equivalente aumento nella concentrazione di anidride carbonica (eccessiva somministrazione di bicarbonato a scopo terapeutico, perdita di radicali acidi nei vomiti protratti, perdita di potassio nelle terapie diuretiche prolungate).A questa situazione, detta a. metabolica, l’organismo reagisce diminuendo l’attività respiratoria in modo da ridurre l’eliminazione di anidride carbonica e aumentando d’altro canto l’eliminazione di bicarbonati attraverso il rene. I sintomi della a. metabolica sono caratterizzati da senso di stanchezza muscolare e da aumento dell’eccitabilità che può portare a vere e proprie crisi di tetania.

TERAPIA
Varia in rapporto alla causa che la determina (psicoterapia, sedativi, respirazione in ambiente ricco di anidride carbonica, somministrazione di sali di potassio per bocca o per via endovenosa ecc.).

 
ALCAPTONURIA

Malattia ereditaria, che viene trasmessa come un carattere recessivo, caratterizzata dall’escrezione attraverso le urine e dall’accumulo nei tessuti di alcaptone o acido omogentisinico, che non può essere metabolizzato per la mancanza congenita di un enzima deputato alla sua trasformazione. Le urine dei pazienti, lasciate all’aria, assumono una colorazione bruno-scura, dovuta a fenomeni di ossidazione e polimerizzazione dell’acido omogentisinico in esse contenuto. È questo di solito il segno che permette di diagnosticare la malattia sin dall’infanzia. Il lento accumulo di acido omogentisinico nei tessuti connettivi (ocronosi) e soprattutto nelle cartilagini articolari predispone ad alterazioni degenerative delle stesse, con comparsa di artriti anche gravi. A parte queste lesioni articolari, la malattia ha un decorso benigno. L’unica terapia possibile è il trattamento sintomatico dei disturbi articolari.

 
ALCHILANTI, sostanze

Gruppo di sostanze chimicamente eterogenee caratterizzate da una elevata reattività chimica e dalla capacità di formare, mediante i propri radicali alchilici, complessi a legame covalente con i gruppi funzionali di molte molecole organiche. La loro importanza biologica consiste nella capacità di legarsi stabilmente ai gruppi funzionali (soprattutto radicali fosforici, sulfidrilici, carbossilici, amminici, imidazolici) di molecole biologicamente attive, modificandone la struttura e le proprietà biochimiche. Tappa preliminare di questo processo è la trasformazione delle sostanze a. in prodotti intermedi ad elevata reattività chimica attraverso una ridistribuzione intramolecolare dei legami chimici. È importante, per il loro effetto farmacologico, il legame che le sostanze a. contraggono con le basi puriniche e pirimidiniche che sono parte integrante della molecola del DNA. Tale azione si traduce in un’alterazione delle proprietà chimiche e funzionali del DNA. La conseguenza di ciò è un danno cellulare che diventa evidente soprattutto nella fase riproduttiva, quando si verifica la duplicazione del materiale genetico. La capacità di colpire direttamente il materiale genetico, che presiede alla regolazione delle funzioni vitali di accrescimento, differenziazione e riproduzione cellulare, conferisce alle sostanze a. notevoli proprietà citotossiche, mutagene, carcinogene e teratogene.Il fatto che il danno si manifesti soprattutto nel corso della divisione cellulare rende i tessuti indifferenziati e a più rapida proliferazione cellulare più suscettibili all’effetto tossico delle sostanze a.Questa parziale selettività di azione è alla base dell’impiego di queste sostanze nella chemioterapia dei tumori maligni.Le sostanze a. di interesse farmacologico vengono classificate in 5 gruppi sulla base della loro struttura chimica:- mostarde azotate come la mecloretamina, la ciclofosfamide e il clorambucile - etilenimine come la trietilenmelamina e la trietilentiofosforamide - alchilsulfonati come il busulfano - nitrosuree come la carmustina e la lomustina - triazeni come la dacarbazina.Le sostanze a. trovano impiego, in associazione con altri antineoplastici, soprattutto nei tumori dei tessuti linfo-emopoietici (leucemie croniche, linfomi, mielomi) e nei carcinomi della mammella e dell’ovaio.L’azione terapeutica delle sostanze a. è tuttavia accompagnata da gravi effetti collaterali tra cui depressione del midollo osseo con alterazioni ematologiche, disturbi gastrointestinali, disturbi mestruali, impotenza, sterilità, alopecia, riduzione delle difese immunitarie.

 
ALCOL

Comunemente si intende con tale termine l’a. etilico (etanolo), un sedativo-ipnotico, ottenibile per via sintetica o tramite processi di distillazione dal vino. Viene utilizzato come disinfettante di tessuti o di piccolo strumentario (a. denaturato, soluzione acquosa al 70%), nella preparazione di campioni istologici e anatomici, come veicolo di sostanze farmacologicamente attive, come bevanda a scopo alimentare o voluttuario, o come mezzo terapeutico. L’inezione di etanolo al 90-95% (alcolizzazione) all’interno di determinate lesioni tumorali (per es. noduli di epatocarcinoma), per via percutanea sotto guida ecografia, o a cielo aperto, durante una seduta operatoria, in quantità variabile in relazione alle dimensioni del tumore, è una valida tecnica alternativa alla resezione chirurgica con una bassa incidenza di complicanze, che determina la distruzione completa delle lesioni stesse.Allo stesso modo si può infiltrare con piccole quantità di etanolo, gangli o strutture nervose in modo da ottenere un effetto analgesico duraturo (ad es. terapia del dolore intrattabile nella pancreatite cronica o terapia della nevralgia del trigemino).L’abuso di a. (alcolismo), determinato dal consumo eccessivo e protratto di bevande contenenti a. etilico, rappresenta in diversi paesi uno dei maggiori problemi per la salute pubblica. L’a. può essere responsabile di abitudine e dipendenza fisica che viene rivelata dalla comparsa di una sindrome da astinenza caratterizzata da agitazione motoria, ansia, insonnia, nausea e vomito, cefalea e talvolta crisi epilettiche, allorquando l’assunzione cronica viene interrotta bruscamente. Il consumo protratto di etanolo causa inoltre danni importanti a fegato, pancreas e tratto gastrointestinale, all’apparato cardiovascolare, al sistema nervoso, al sistema endocrino ed immunitario. Le morti legate al consumo di a. sono principalmente causate da cirrosi epatica, neoplasie, accidenti cardiovascolari e suicidio.

 
ALCOLEMIA

Presenza di alcol etilico nel sangue. La misurazione dell’a. ha importanza per dimostrare uno stato di ubriachezza, anche se non si può fissare un limite preciso poiché la tolleranza all’alcol etilico varia da soggetto a soggetto. Comunque, un tasso alcolemico che superi 300 mg/100 ml determina sempre alterazioni del comportamento.In molti paesi europei norme legislative vietano la guida di autoveicoli ai soggetti il cui tasso alcolemico sia superiore a certi valori, per lo più attorno a 100 mg/100 ml  tale valore di a., cui non corrisponde ancora alcun sintomo preciso di ebbrezza, può essere raggiunto, in un soggetto adulto del peso di 70 kg, con l’ingestione di 12,5 dl di birra a 5°, o di 7 dl di vino bianco a 9°, o di 5 dl di vino rosso a 12°. Una piccola quantità di alcol etilico si forma nel metabolismo degli zuccheri, ed è quindi presente nei liquidi organici indipendentemente da ogni ingestione di bevande alcoliche.

 
ALCOLISMO

Insieme di disturbi provenienti da un’intossicazione dell’organismo in seguito all’abuso di bevande alcoliche. Gli effetti dannosi provocati dalle bevande alcoliche sono dovuti in genere all’azione dell’alcol etilico. Questo, una volta ingerito, viene rapidamente assorbito a livello dello stomaco e dell’intestino e attraverso il sangue si diffonde a tutti i tessuti dell’organismo, raccogliendosi però in maggiore quantità nel fegato e nel cervello. L’assorbimento è più rapido a digiuno, mentre viene rallentato dalla presenza nello stomaco di cibi  i fenomeni legati all’azione immediata dell’alcol si manifestano quindi con maggiore evidenza quando l’ingestione avviene a digiuno piuttosto che durante i pasti: nel secondo caso, infatti, l’alcol raggiunge una concentrazione nel sangue minore che non nel primo, dato che la sua eliminazione inizia subito, prima ancora che tutto l’alcol sia stato assorbito. Anche se incomincia subito, l’eliminazione è piuttosto lenta in confronto alla velocità dell’assorbimento  questo fatto spiega facilmente perché una bevanda che venga assunta poche ore dopo un’altra abbia un effetto superiore a quello che si osserverebbe qualora essa fosse ingerita da sola: data la lentezza dell’eliminazione dell’alcol, gli effetti delle due introduzioni successive finiscono infatti, almeno in parte, per sommarsi. L’eliminazione dell’alcol dall’organismo avviene per il 10% ca. attraverso i polmoni, i reni e la cute, e per il 90% mediante ossidazione dell’alcol  l’alcol viene metabolizzato, cioè ossidato, “bruciato” soprattutto nel fegato e tale processo inizia immediatamente, e poiché ogni grammo di alcol bruciando fornisce 7 calorie, l’ingestione delle bevande alcoliche dà molto precocemente una sensazione di energia. A differenza poi degli altri alimenti, l’alcol viene subito utilizzato e non accumulato  è questa la ragione per cui molti bevitori ingrassano: la combustione dell’alcol fa infatti risparmiare le altre sostanze (idrati di carbonio, proteine e grassi) che vengono pertanto immagazzinate sotto forma di glicogeno e di grasso come materiali di riserva. La distruzione dell’alcol si svolge attraverso varie fasi fino alla formazione di anidride carbonica (CO2) e di acqua (H2O): la prima tappa di questo processo di degradazione comporta la formazione di aldeide acetica (acetaldeide), che viene successivamente trasformata in acido acetico. In seguito a somministrazione prolungata compaiono alterazioni a carico del tubo digerente e delle funzioni epatiche. Tuttavia, la struttura più sensibile rimane forse la cellula nervosa, il cui metabolismo viene profondamente alterato.Concentrazioni patologiche L’alcol etilico, indipendentemente da ogni introduzione dall’esterno, è un componente normale del sangue: si tratta di quantità (inferiori a 1 mg/100 ml) che non hanno alcun significato tossico, minime rispetto a quelle presenti in alcune bevande alcoliche. La tossicità delle bevande alcoliche è proporzionata al loro contenuto in alcol etilico, cioè alla loro gradazione alcolica. Essa, che per la birra s’aggira attorno al 3-5% e per i vini da pasto è compresa tra l’8 e il 12%, raggiunge per i liquori superalcolici (whisky, cognac, acquavite ecc.) il 35-60%.Quando la concentrazione dell’alcol nel sangue raggiunge i 200 mg/100 ml compaiono i primi segni di intossicazione  essi diventano netti e poi gravi con 250-450 mg/100 ml e con un’alcolemia più elevata (500-700 mg/100 ml) si ha pericolo di morte. Questo vale per un individuo normale  un alcolista cronico può sopportare tassi alcolemici di 1000-1200 mg/100 ml, senza che compaiano gravi disturbi mentre in un soggetto normale, porterebbero fatalmente a gravi fenomeni di avvelenamento. Nell’ambito dei disturbi psichici prodotti dall’alcol va posta una fondamentale distinzione fra quelli dovuti all’intossicazione acuta e quelli dovuti all’intossicazione cronica. Infatti, mentre nel primo caso i disturbi scompaiono con l’eliminazione dell’alcol dall’organismo e non sono quindi osservabili nei periodi di astinenza, nel secondo essi persistono anche dopo l’eliminazione dell’alcol ingerito, e l’astinenza, anche prolungata, non è sufficiente a farli scomparire completamente.Intossicazione acutaÈ rappresentata dalle tipiche manifestazioni di ubriachezza comune. Dopo uno stadio iniziale di eccitamento psicomotorio subentra una fase caratterizzata da una riduzione dell’efficienza psichica globale con diminuzione dell’attenzione, rallentamento delle percezioni, incoordinazione dei movimenti, difficoltà di parola, vertigini, nausea, vomito e sonnolenza fino al coma.

Nello stadio successivo tutte le capacità risultano menomate: ne deriva che l’ubriachezza può essere causa di infortuni sul lavoro e incidenti stradali. Per questo in alcuni paesi si procede alla misurazione dell’alcolemia o alla rilevazione di alcol nell’alito con un apposito apparecchio quando si sospetti che l’automobilista guidi in stato di ebbrezza alcolica.In alcuni individui (epilettici, psicopatici impulsivi, convalescenti) si osserva che l’ingestione di bevande alcoliche in quantità modeste provoca gravi manifestazioni caratterizzate da uno sconvolgimento psichico con violento eccitamento psicomotorio: si parla in questo caso di “ubriachezza patologica”. La cura dell’a. acuto si basa sullo svuotamento dello stomaco per allontanare eventuali residui di alcol e sulla somministrazione di analettici, farmaci che stimolano l’attività respiratoria e circolatoria.Intossicazione cronicaDeriva da una prolungata e irrefrenabile abitudine a bere, anche perché l’organismo si è ormai assuefatto all’alcol e necessita di quantità sempre maggiori. Negli alcolisti cronici l’alcolemia raggiunge valori molto più elevati che nei normali (fino a 1000-1200 mg/ 100 cc), senza che per questo compaiono gravi disturbi. Si dovrebbe dunque ammettere che l’accresciuta tolleranza dipenda da una specie di assuefazione, non ancora esattamente nota nella sua natura, delle cellule dell’organismo, e in special modo di quelle del sistema nervoso che si adattano a una concentrazione ematica dell’alcol notevolmente più alta di quella normalmente sopportata dai non bevitori. Tuttavia negli alcolisti cronici, dopo anni di grande tolleranza, finisce molto spesso per stabilirsi una spiccata intolleranza, per cui quantità anche minime di alcol provocano gravi fenomeni tossici. I disturbi prodotti dall’a. cronico, che è considerato una tossicomania, sono di ordine psichico e fisico. Per quanto riguarda i disturbi mentali si distinguono due diversi tipi di alterazioni: decadimento di tutte le funzioni psichiche tendenti a progressivi peggioramenti  manifestazioni psicotiche, più gravi delle precedenti anche se talvolta episodiche e transitorie: le cosiddette psicosi alcoliche.Le principali sono il delirium tremens, l’allucinosi alcolica, la psicosi di Korsakoff e il delirio di gelosia.- Il delirium tremens è la psicosi più frequente negli alcolisti cronici. Spesso preceduto da sintomi premonitori (insonnia, ansia e incubi notturni), più raramente da accessi epilettici, insorge bruscamente uno stato confusionale con grave perturbamento della coscienza. Gli elementi più caratteristici del quadro sono rappresentati dal disorientamento nello spazio e nel tempo, dall’insorgere di illusioni e allucinazioni prevalentemente visive, con apparizioni di animali ripugnanti (le cosiddette zoopsie), spesso accompagnate da un delirio a carattere professionale (che ripete cioè l’ambiente naturale di vita e le attività abituali del soggetto), da una grande irrequietezza psichica e motoria e da tremore  si hanno inoltre profusa sudorazione e facile tendenza al collasso cardiocircolatorio. Tale sintomatologia dura in genere pochi giorni e si risolve rapidamente con un sonno prolungato, dal quale il soggetto si risveglia apparentemente guarito.- Nell’allucinosi alcolica la coscienza è lucida, le allucinazioni sono uditive e su di esse si impianta un delirio di persecuzione. Il soggetto vive in preda all’ansia, non dorme, aggredisce presunti nemici. Questi disturbi regrediscono fino a scomparire nello spazio di pochi giorni o di qualche settimana  sono però frequenti le forme recidive o a decorso cronico.- La psicosi di Korsakoff è caratterizzata da gravi lacune nella memoria, colmate da falsi ricordi (confabulazioni) che sono un prodotto della fantasia del paziente. Ai disturbi mentali si accompagnano dolori e paralisi muscolari (polinevrite alcolica). La malattia ha una durata di parecchi mesi e regredisce soltanto se l’individuo si astiene completamente dall’alcol.- Il delirio di gelosia, che spesso ha decorso cronico, è dovuto generalmente alla riluttanza della moglie a concedersi a un marito ubriaco. L’a. cronico, oltre a lesioni cerebrali responsabili delle diverse sintomatologie psichiche descritte, determina anche alterazioni a carico di altri apparati: in primo luogo gli organi dell’apparato digerente (gastrite cronica con grave atrofia della mucosa, pancreatite cronica, epatopatia etilica inizialmente con accumulo di grassi nelle cellule epatiche- detta steatosi - seguita da una alterazione strutturale fibrotica dell’organo che porta a una progressiva insufficienza funzionale conosciuta come cirrosi). Un’altra importante manifestazione patologica che si osserva nell’a. cronico è una serie di disturbi a carico della sensibilità e della motilità, soprattutto degli arti, dovuti a lesioni del sistema nervoso periferico (polinevrite alcolica). Possono essere interessati anche il nervo ottico e la retina, con diminuzione dell’acutezza visiva. Sintomi di sofferenza si possono avere anche a carico del tessuto muscolare, dalla muscolatura scheletrica al muscolo cardiaco. A livello della cute sono frequenti le dilatazioni dei piccoli vasi sanguigni capillari, soprattutto al volto (“faccia da bevitore”). Coesistono poi quasi sempre segni di carenza vitaminica. Un altro sintomo frequente è l’impotenza, che può esasperare il delirio di gelosia eventualmente presente.La terapia dell’a. cronico è difficile, anche perché deve tener conto di eventuali disturbi psichici coesistenti, delle implicazioni di natura sociale, del declino psichico e morale spesso presente in questa fase della malattia. La soppressione completa dell’alcol, poi, determina in questi pazienti gravi sintomi di astinenza: tremori, malessere generale, irritabilità, nausea, vomito, allucinosi, deliri, crisi convulsive. Pertanto si rende necessario associare alla terapia con i farmaci (vitamine del gruppo B, sedativi e farmaci che, interferendo con il metabolismo dell’alcol etilico, provocano disturbi che ne rendono praticamente impossibile l’assunzione) un’opportuna psicoterapia. PsicologiaL’a. definisce l’ampia gamma di comportamenti, sintomi e alterazioni di natura organica che si accompagnano all’uso smodato e abituale di alcol. Non si può parlare di a. trovandosi di fronte a una persona in stato di ebbrezza, se si tratta di un episodio isolato e occasionale della vita di un individuo. Però tale ricorso episodico all’alcol, pur non potendosi definire di per sé come sintomo di un a. latente, può essere un primo segnale di debolezza psichica: non riuscendo a far fronte con le proprie risorse psicologiche al prodursi di nuove situazioni ed esperienze, si utilizza l’alcol che apparentemente fornisce nuova forza, energie e coraggio sino ad entrare nella logica di un suo uso abituale e sempre più smodato. L’azione immediata dell’alcol si presenta con una sensibile riduzione dell’autocontrollo dell’individuo il quale prova quindi una sensazione di aumentata fiducia in se stesso, che fondamentalmente però risulta immotivata a una analisi oggettiva. Inoltre, in particolare nella prima fase dell’ebbrezza alcolica, si avverte la sensazione di essere estremamente profondi e acuti nei ragionamenti e nell’analisi della realtà. Si ha invece una riduzione consistente delle capacità di critica e di analisi, che danno luogo ad osservazioni superficiali e confuse. In altri casi l’allegria e l’euforia cedono il passo a malinconia e depressione, stati psicologici questi ultimi caratterizzati da autocommiserazione e autocompassione. Quando l’episodio dell’ubriachezza risulta isolato, al termine dell’ebbrezza il soggetto prova acuti sensi di colpa e di imbarazzo ricordando l’episodio. Tali sgradevoli sensazioni di per sé impediscono il ripetersi dell’evento, almeno a breve termine, e il soggetto è così in grado di reinserirsi senza conseguenze nella vita di tutti i giorni. Ben diversa è la condizione dell’alcolista che trova nella sgradevolezza dell’episodio una motivazione in più per riviverlo. Infatti tale sgradevolezza vale come stimolo a cercare di dimenticare/superare l’episodio nell’euforia prodotta proprio tramite l’assunzione ulteriore di alcol.

Si entra così in un circuito ripetitivo senza fine.Sono importanti fattori d’ordine costituzionale, legati a particolari caratteristiche abnormi della personalità, che creano una speciale predisposizione o tendenza. Molto spesso si tratta di persone con problematiche psichiche: depressi, che ricercano nell’alcol un sollievo alla propria tristezza e al proprio pessimismo, anancastici, che bevono per liberarsi dalle proprie ossessioni, deboli nella volontà, incapaci di sottrarsi all’abitudine anche se non inveterata, impulsivi ecc. Alcuni studi riconducono l’alcoldipendenza a un deficit enzimatico trasmesso geneticamente, tuttavia tali affermazioni necessitano ancora di conferme. Altri studi ritengono responsabili dell’instaurazione del meccanismo della dipendenza i neurotrasmettitori cerebrali. Sembra che i neurotrasmettitori implicati nell’insorgenza della dipendenza siano la dopomina, la serotonina, le endorfine e le encefaline. Sovente è in gioco un complesso di inferiorità o il desiderio di evadere da una situazione spiacevole. Ciò è facilmente comprensibile, considerando che l’alcol produce sempre, in una prima fase, uno stato di eccitamento e di euforia, per cui difficoltà, sia interiori sia esterne, preoccupazioni, ansie, timori, vengono sottovalutati, minimizzati o addirittura dimenticati e rimpiazzati da fantasie piacevoli. Questo iniziale stato di eccitamento è dovuto al fatto che le funzioni psichiche più complesse ed elevate, che normalmente esercitano un’azione di controllo e di dominio su quelle più elementari, attinenti alla vita istintivo-affettiva, vengono per così dire “paralizzate”, inibite dall’alcol, cosicché le funzioni psichiche inferiori possono liberamente manifestarsi, esprimendosi in un comportamento spontaneo e istintivo. In molti casi nel determinare l’a. giocano un ruolo non indifferente fattori sociali e ambientali, come il frequentare certe compagnie, lo svolgere particolari lavori o professioni che offrono, più o meno giustificatamente, frequenti occasioni di bere.L’ampia diffusione dell’a. e i suoi effetti devastanti per l’individuo hanno favorito il costituirsi di numerose organizzazioni che lottano contro il fenomeno: famosa tra queste è la Alcolisti Anonimi.Lo studio delle conseguenze che derivano dall’abuso di bevande alcoliche riveste grande interesse dal punto di vista medico-psichiatrico per la frequenza e la gravità dei disturbi psichici dovuti a questa particolare forma di intossicazione voluttuaria. Il criterio più ovvio per distinguere tra chi, facendo dell’alcol un uso moderato, è da considerarsi un semplice e normale bevitore, e chi invece, abusandone, è da classificare come alcolista sembrerebbe quello di fissare un limite massimo di assunzione, al di sopra del quale il bevitore diventa alcolista.Alcuni hanno creduto di poter fissare questo limite in 1 l di vino (a 10 gradi) per l’uomo e in 1/2 l per la donna (al giorno). Tali dosi sono apparse eccessive a molti. Del resto, la grande variabilità individuale nella tolleranza all’alcol, dipendente da fattori per la massima parte sconosciuti, rende inaccettabile ogni criterio di ordine quantitativo.A un criterio psicologico si ispira invece chi ritiene che ciò che fa di un bevitore un alcolista non è tanto la quantità ingerita quanto piuttosto l’essere in un particolare stato di dipendenza psichica nei confronti dell’alcol, per cui egli è spinto a continuarne l’uso da un desiderio irrefrenabile, quasi si trattasse di una necessità inderogabile. Si verrebbe cioè a creare una condizione analoga a quella che tipicamente caratterizza le tossicodipendenze. Mentre però nelle vere tossicodipendenze alla dipendenza psichica se ne accompagna una fisica, dovuta al fatto che la sostanza stupefacente diventa un fattore necessario, indispensabile all’organismo, per cui quando se ne sospende bruscamente la somministrazione insorgono disturbi anche molto gravi (i cosiddetti fenomeni di astinenza), nell’a. la comparsa di una sindrome di astinenza a seguito dell’improvvisa sospensione dell’alcol è messa in dubbio da parecchi studiosi e non è comunque mai così marcata come per gli stupefacenti, e inoltre, sul piano psicologico, più che con una vera e propria dipendenza (desiderio invincibile, necessità), abbiamo in realtà a che fare con un’abitudine, cioè con un desiderio che non ha i caratteri dell’assoluta necessità, vale a dire dell’impossibilità di fare a meno della bevanda, come succede invece per gli stupefacenti, e che può pertanto ancora essere troncata da una volontà sufficientemente forte.Più soddisfacente e rispondente all’esigenza di una descrizione obiettiva dei fatti risulta il criterio di considerare alcolista colui che beve più di quanto possa tollerare, cioè colui che continua a bere anche dopo aver constatato i dannosi effetti dell’alcol sul suo organismo, e questo indipendentemente dalla quantità assunta e dai motivi psicologici che possono indurre il soggetto a persistere nel vizio.

 
ALDOSTERONE

Ormone steroide prodotto dalle cellule della zona glomerulare nella corteccia surrenale. Appartiene al gruppo degli ormoni corticosteroidi detti mineraloattivi, in quanto agiscono soprattutto sul metabolismo degli elettroliti.È il principale regolatore del volume dei liquidi extracellulari (come il sangue) e del metabolismo del potassio.Il meccanismo di azione dell’a. è simile a quello di altri ormoni steroidi, e avviene tramite proteine citoplasmatiche recettrici specifiche  attraverso la sintesi di RNA messaggero e di proteine nella cellula bersaglio viene modificata, a livello della membrana, la capacità di trasporto degli ioni sodio, potassio e idrogeno.La secrezione dell’a. è regolata principalmente da tre diversi meccanismi: sistema renina-angiotensina, potassio e ACTH. Il meccanismo principale è costituito dal sistema renina-angiotensina e dai diversi fattori che lo influenzano: diminuzione della concentrazione di ioni sodio entro il lume dei tubuli renali, abbassamento della pressione arteriosa media nell’arteria renale, tutte le condizioni che aumentano l’attività del sistema nervoso vegetativo ortosimpatico. L’angiotensina agisce direttamente sulle cellule della zona glomerulare surrenalica. Con meccanismo indipendente anche le variazioni della concentrazione di potassio nel sangue agiscono direttamente sulle cellule della corteccia surrenale influenzando la secrezione dell’a. (un aumento della potassiemia stimola la secrezione dell’a. e viceversa). Anche l’ormone adrenocorticotropo ipofisario, come già detto, può influenzare la secrezione di a., particolarmente in condizioni di stress.L’a. favorisce il riassorbimento del sodio a livello dei tubuli renali  poiché la ritenzione di sodio comporta anche ritenzione di acqua, quest’azione dell’ormone ha un effetto importante nella regolazione del volume dei liquidi extracellulari  riassorbendo sodio si determina una caduta del potenziale transmembrana, aumentando il flusso degli ioni positivi nel lume tubulare (pertanto sempre a livello dei tubuli renali, e indipendentemente dal riassorbimento del sodio, l’a. favorisce la secrezione di potassio e di ioni idrogeno). Un’azione simile si esplica a livello delle ghiandole sudoripare, salivari e del tratto gastroenterico.

 
ALESSIA

Incapacità di comprendere il significato delle parole scritte. Se il disturbo si manifesta in forma pura viene definito anche cecità verbale: si ha la capacità di leggere, ma non di comprendere ciò che si legge.Spesso si associa ad altre disfunzioni del linguaggio, l’afasia e l’agrafia, in rapporto a lesioni di varia natura dei centri nervosi del linguaggio.

 
ALESSITIMIA

Condizione di incapacità a riconoscere ed esprimere con parole le proprie emozioni e sentimenti, fa parte dei disturbi della affettività. È un sintomo frequentemente presente nei pazienti psicosomatici, che dimostrano un vocabolario molto scarso, se non assente, per esprimere i propri moti interiori. Ipotesi che tentano di spiegare questo fenomeno risiedono nella neurofisiologia e psicodinamica.

TERAPIA
La terapia della a. è compresa nell’insieme di provvedimenti farmacologici, psicoterapici e psicoanalitici che mirano alla ricostituzione della personalità del paziente psicosomatico.

 
ALEXANDER, tecnica di

(Metodo Alexander). Tecnica terapeutica che si propone di migliorare la salute fisica e mentale di una persona attraverso il cambiamento della sua postura abituale. Lo scopo è ottenere equilibrio perfetto e scioltezza di movimenti utilizzando la quantità minima possibile di energia, senza sottoporre il corpo ad alcuna tensione. Se praticata correttamente e con costanza, la tecnica permette di muoversi senza fatica, di liberarsi dalle tensioni fisiche e psichiche e, spesso, di trovare sollievo nel caso di dolori che ormai si sono installati stabilmente. All’inizio può essere utile farsi guidare da un istruttore specializzato, ma, una volta appresa, la tecnica può essere applicata in qualsiasi circostanza senza alcuna assistenza.Uso positivo e uso negativo del proprio corpoSecondo l’australiano F. Matthias Alexander (1869-1955), ideatore del metodo, ciascuno di noi può fare del proprio corpo un uso positivo o un uso negativo. Usare in modo positivo il proprio corpo significa muoverlo con il massimo equilibrio e il miglior coordinamento possibile allo scopo di utilizzare l’esatta quantità di energia necessaria per eseguire una particolare azione, senza sprecare cioè alcuna forza. Dall’uso positivo del proprio corpo traggono vantaggio tutti gli organi.Se il corpo è ben eretto, la respirazione sarà più efficace e il sangue potrà fluire liberamente attraverso tutti gli organi che non vengono compressi da posture scorrette. Le vertebre rimangono distanziate tra loro senza essere schiacciate e il peso del corpo viene distribuito uniformemente su tutta la spina dorsale. I nervi che si diramano dalla colonna vertebrale non vengono pressati e, in tal modo, inviano stimoli nervosi corretti agli organi, consentendo un funzionamento ideale.Quando può essere utileQuesto metodo dovrebbe consentire di risparmiare una quantità notevole di energie arrecando un beneficio a tutti gli organi del corpo. In particolare, la tecnica di A. si è dimostrata utile in caso di disturbi alla colonna vertebrale, allo stomaco, agli organi genitali femminili, a coloro che soffrono di emicrania e anche di malattie psicosomatiche e di depressione.

 
ALFA-1 ANTITRIPSINA

Globulina plasmatica che, nell’esame elettroforetico del siero, migra nella zona alfa 1  viene sintetizzata dalle cellule epatiche e inibisce l’attività della tripsina e di altre sostanze proteolitiche. Ha acquistato interesse terapeutico da quando si è accertato che nell’enfisema polmonare è carente.

 
ALFA-2 MACROGLOBULINA

Proteina sierica, sintetizzata dal fegato, che aumenta nelle nefrosi, nel diabete e nelle epatopatie in genere e durante le malattie infiammatorie.Valori di normalità tra i 3 gr/l e i 6 gr/l.

 
ALFA BLOCCANTI

Farmaci che bloccano l’attività alfa-drenergica delle catecolamine, cioè adrenalina e noradrenalina, inibendone competitivamente, in modo reversibile o irreversibile, il legame con i recettori alfa.In tal modo determinano principalmente una azione vasodilatatrice con riduzione della pressione arteriosa.Sono: fentolamina, tolazolina, derivati della segale cornuta come l’ergotamina e la diidroergotamina, fenossibenzolamina, prazosina, terazosina, doxazosina, metisergide, labetalolo (alfa-beta bloccante).Vengono utilizzati nella terapia delle vasculopatie periferiche, dell’ipertensione (in tal caso sono abitualmente associati ad altri farmaci), nella diagnosi e nella terapia del feocromocitoma, nello shock e in alcuni casi di cefalea. I derivati della segale cornuta sono anche utilizzati nella terapia delle emorragie uterine data la loro attività contratturante sulla muscolatura liscia uterina.I possibili effetti collaterali comprendono: ipotensione ortostatica, tachicardia, congestione nasale, secchezza delle fauci, miosi e sedazione.

 
ALFAFETOPROTEINA

(aFP) Glico-proteina sierica, sintetizzata dal fegato e dal sacco vitellino durante la vita intrauterina. Si verifica un aumento dell’a. in caso di cirrosi epatica e nei fenomeni tumorali a carico di fegato, testicolo e ovaio. Proprio perché la sua concentrazione nel sangue aumenta in concomitanza di tumori, viene utilizzato quale marcatore neoplastico nella diagnosi differenziale con malattia benigna, quale indice prognostico e di risposta al trattamento, come riconoscimento precoce di progressione della malattia e infine come monitoraggio della terapia nella malattia avanzata. Il dosaggio si esegue effettuando un normale prelievo sanguigno. Valore normale: inferiore a 15 micro gr/l ed è determinabile solo con metodi immunoenzimatici molto sensibili e specifici. Il dosaggio della aFP rientra oggi nella cosiddetta “Diagnostica prenatale” (Bi-test, TRI-test e test integrato)  l’elaborazione statistica di dati di laboratorio, ecografici (plica nucale) ed anamnestici della gestante (familiarità per malattie gentiche) permettono di dare alla coppia una stima del rischio di avere un figlio affetto da patologie genetiche (Sindrome di Down, difetti del tubo neurale, ecc.).

 
ALFA TALASSEMIA

In questo caso si ha una sintesi ridotta di catene polipeptidiche alfa  tale sintesi dipende da quattro geni e si hanno quadri diversi a seconda che siano interessati uno o più dei geni stessi: da forme silenti, prive di un quadro clinico apprezzabile, a forme incompatibili con la vita, tali da determinare la morte intrauterina del feto. Il quadro clinico dipende da numero di geni deleti: nel caso di delezione di un solo gene (-a/aa) non si rileva alcuna anomalia ematologica ma si instaura la sola condizione di portatore silente. Nel caso dell’alterazione dei due geni (- -/aa oppure -a/-a) si hanno emazie microcitiche e ipocromiche, con grado lieve di emolisi e anemia. La delezione di tre geni (- -/-a) determina un quadro emolitico più serio, ma solitamente ben compensato. La delezione dei quattro geni (- -/- -) provoca la sintesi di sola Hb Barts (quattro catene gamma), condizione incompatibile con la vita.L’anomalia talassemica può associarsi ad altre anomalie della sintesi emoglobinica, con quadri clinici ed ematologici complessi. Il riconoscimento delle diverse forme di t. richiede indagini ematologiche complesse, in particolare l’esame elettroforetico dell’emoglobina. Poiché non esiste alcuna terapia specifica, è molto importante la prevenzione della malattia, possibile solo attraverso l’individuazione dei soggetti portatori dell’anomalia e l’opera di persuasione dei consultori prematrimoniali.

 
ALGIA

Dolore localizzato, perlopiù senza alterazioni evidenti della regione interessata. Come suffisso compone molti termini come ad esempio: nevralgia (dolore ascritto ad un nervo), mialgia (dolore muscolare), otalgia (dolore ad un orecchio).

 
ALGIDISMO

(O algidità), raffreddamento del corpo e in particolare delle estremità che si osserva in alcune situazioni morbose gravi accompagnate da collasso circolatorio (per es. traumi, emorragie gravi).

 
ALGINATI

Sali dell’acido alginico. Queste sostanze formano uno strato che galleggia sulla superficie del contenuto gastrico, riducendo il reflusso e proteggendo la mucosa esofagea. Sono impiegati per il trattamento dei sintomi minori della malattia da reflusso gastroesofageo. Fanno parte degli ingredienti dei preparati per la cattiva digestione, che contengono in proporzioni variabili antiacidi, alginati, dimeticone e olio di menta piperita.

 
ALGOALLUCINAZIONE

Forma di allucinazione psicosensoriale che consiste nella sensazione di intensi dolori in assenza di processi morbosi atti a determinarli.

 
ALGOGENO

Detto di sostanza o stimolo che produca dolore.

 
ALGOLAGNIA

Perversione sessuale per cui si prova piacere erotico con il dare dolore fisico al partner (a. attiva che corrisponde al sadismo), e col riceverne (a. passiva che corrisponde al masochismo).

 
ALGOR

Raffreddamento del corpo. Il termine viene usato particolarmente per indicare il raffreddamento del corpo dopo la morte (a. mortis). La misura esatta della temperatura ha qualche interesse medico-legale, poiché il tempo necessario all’instaurarsi dell’a. è variabile secondo la situazione del cadavere e dei processi morbosi antecedenti alla morte.

 
ALIENAZIONE

Termine coniato agli inizi dell’Ottocento indicante l’infermità che colpiva i pazienti affetti da malattie mentali  successivamente, ampliandone il significato, il concetto di a. è passato a indicare l’insieme dei problemi di comunicazione che si manifestano nelle cosiddette “società avanzate”. In quest’ultimo senso l’a. si presenta come fenomeno collettivo, che interessa tutti: da chi vive in un proprio piccolo mondo di affetti e situazioni consolidate, a chi apparentemente dimostra di possedere una vita brillante e dinamica. Ciò che caratterizza l’a. è la presenza di una disturbante sensazione secondo cui tutto quello che viene fatto non sembra avere senso. Ci si trova così in un mondo costituito da atti ripetuti e ormai meccanici, senza che si individui un qualche fine a cui possano essere riferiti. Altro fattore significativo è la sensazione di inutilità provata nello stabilire rapporti con gli altri: in particolare ci si accorge di non capire e di non essere capiti. Sembra un paradosso il fatto che nella società dominata dai mezzi di comunicazione di massa (mass-media), dalla facilità con cui si riescono a superare enormi distanze per comunicare, ci si possa trovare nella condizione di non essere in grado di comunicare con il proprio vicino. Eppure è questo il senso della a.: perdita di interesse a comunicare con gli altri, indifferenza verso gli avvenimenti che non ci riguardano direttamente, fuga in un mondo ristretto e sempre più personale.Le cause sono diverse, e possono variare da situazione a situazione. È però possibile rintracciare una comune matrice nella stereotipia comportamentale e comunicazionale che rende a volte superflua la comunicazione stessa, essendo questa prevedibile e scontata  e non potendo non comunicare si entra in un paradosso di cui l’a. è la manifestazione sintomatica.

 
ALIMENTAZIONE

Processo fisiologico che consiste nell’assunzione di alimenti da parte dell’organismo vivente al fine di soddisfare il proprio fabbisogno plastico ed energetico.Le trasformazioni che le sostanze alimentari subiscono nell’organismo vivente vanno considerate sotto due aspetti: trasformazioni chimiche degli alimenti ingeriti, che prendono il nome di metabolismo materiale, e trasformazioni dell’energia chimica degli alimenti in altre forme di energia (calore, lavoro ecc.), che prendono il nome di metabolismo energetico. Esiste un flusso continuo di materia e di energia che entra nel corpo dall’ambiente e all’ambiente ritorna  calcolando le entrate e le uscite, è possibile conoscere i rispettivi bilanci. Il bilancio può essere attivo nel caso in cui le entrate prevalgono sulle uscite e materia ed energia rimangono immagazzinate nell’organismo  passivo quando si ha demolizione di sostanza organica  in equilibrio quando entrate e uscite si equivalgono e a una determinata quantità di azoto, carbonio, idrogeno, ossigeno introdotti corrisponde l’escrezione di una uguale quantità di tali elementi.La scienza dell’a. è nata molto recentemente, tuttavia il suo sviluppo assume un aspetto sempre più vasto, grazie anche alle sempre maggiori conoscenze sul destino degli alimenti nell’organismo. Nel calcolare la razione alimentare di un individuo si deve tener conto del fabbisogno calorico, cioè della quantità complessiva di energia, espressa in calorie, necessaria all’organismo, e del fabbisogno qualitativo, legato ai singoli principi nutritivi. I fabbisogni di riferimento dell’uomo e della donna sono rispettivamente di 3200 e 2300 calorie giornaliere  questi dati variano naturalmente in rapporto a fattori costituzionali, all’età, al clima, alle abitudini di vita e alla presenza di particolari condizioni quali la gravidanza e l’allattamento. Per quanto riguarda il fabbisogno qualitativo, la legge dell’isodinamismo degli alimenti, detta anche dell’equivalenza calorica, formulata da M. Rubner, dice che la produzione di calore animale può essere assicurata con diversi principi nutritivi che possono essere scambiati tra di loro in proporzione al loro valore calorico. In realtà questa legge è soggetta a molte restrizioni, poiché l’organismo ha bisogno di tutti i principi nutritivi, anche se per ottenere le calorie necessarie può bruciareindifferentemente l’uno o l’altro alimento. Una nutrizione bilanciata deve fornire sufficienti calorie, soprattutto provenienti da glucidi e lipidi, e inoltre amminoacidi essenzialiPer seguire una buona dieta, bisogna anzitutto ricordare che il cervello, per la sua attività, ha soprattutto necessità di zucchero e fosforo (utilizzabile sotto forma di fosfolipidi).La quota di proteine, poi, per oltre la metà deve essere costituita da proteine animali (carni, uova, pesci, latte, formaggi).Di grande importanza è anche l’assunzione di vitamine, particolarmente di quelle appartenenti al gruppo delle vitamine B.Inoltre, perché un regime alimentare sia veramente efficace, deve anche seguire delle norme precise che consentano a stomaco, fegato, reni e, in generale, a tutti gli organi del nostro corpo, di lavorare in modo adeguato senza tuttavia sovraccaricare l’attività del cervello.Vediamo adesso quali sono le principali regole da osservare:- sforzarsi di seguire orari ben determinati e costanti per prima colazione, pranzo, cena.L’orario fisso risponde ad una rigorosa necessità del nostro apparato gastrointestinale che è essenzialmente abitudinario.Una variazione degli orari può talvolta disturbare notevolmente, oltre all’organismo, anche la nostra attività intellettuale - non caricare eccessivamente la quantità di cibo durante pranzo e cena: le “abbuffate” sono sempre negative per il nostro cervello - gli alimenti devono essere semplici, non elaborati, non complicati da un’eccessiva presenza di grassi e da salse di difficile digestione - bisogna evitare di bere alcolici forti o abusare del caffè, mentre può essere utile un bicchiere di vino (non di più) a pranzo o a cena - sarebbe anche utile, durante i pasti, evitare qualsiasi tipo di discussione, alle quali, purtroppo, invece facilmente indulgono particolarmente proprio gli intellettuali - consumare i pasti senza fretta, masticando lentamente per favorire la digestione.

Alimentazione nell’infanzia
In questa fase della vita, due sono i problemi da affrontare nella scelta della dieta corretta e razionale. Il primo è l’allattamento al seno nei confronti di quello artificiale  il secondo è quando incominciare lo svezzamento, o meglio, quando è l’epoca giusta per introdurre i cibi solidi nella razione giornaliera.Riguardo al primo punto vi è da rilevare un deciso ritorno all’allattamento al seno, dai più considerato favorevolmente, dopo alcuni anni in cui la “guerra” tra latte materno e latte “artificiale” (quello in polvere o quello vaccino) sembrava doversi evolvere definitivamente a favore del latte artificiale. Il latte materno possiede infatti una migliore qualità nutrizionale, contiene maggiori quantità di lattalbumina, una proteina che è presente anche nel latte vaccino, ma in quantità minore rispetto a quello umano. La lattalbumina è più adatta alle esigenze nutrizionali del lattante di quanto lo sia la caseina, la proteina tipica del latte vaccino. Il latte materno contiene inoltre dei fattori protettivi immunologici assai importanti per la tutela della salute del bambino nei primi mesi di vita.Il latte materno, inoltre, è dosato fisiologicamente, mentre con l’allattamento artificiale può essere difficoltosa l’esatta somministrazione delle giuste quantità di latte. L’allattamento al seno è importante anche sotto l’aspetto psicologico, perché favorisce l’instaurarsi di uno stretto rapporto affettivo tra madre e figlio. Infine, si è riscontrato che è difficile incontrare casi d’obesità infantili tra i bambini allattati al seno.Il periodo critico per l’instaurarsi dell’obesità infantile è rappresentato dagli ultimi 3 mesi di gravidanza e dai primi 9 mesi di vita.Nei primi anni di vita gli errori, anche inconsapevoli, che conducono ad un’ipernutrizione si ripercuotono sul numero di cellule del tessuto adiposo, che pertanto si ritroveranno in massimo numero anche nell’organismo diventato adulto. Ciò è dimostrato statisticamente. Il 70-80% dei casi d’obesità infantile persiste anche in età adulta  il 50% di adulti obesi, lo erano da piccoli. Il motivo sta nel fatto che nei primissimi anni di vita l’aumento del tessuto adiposo comporta anche un aumento del numero di cellule adipose  così un individuo con un maggior numero di cellule adipose tenderà ad ingrassare più facilmente anche nelle età successive.Sull’instaurarsi dell’obesità infantile può avere un certo peso anche uno svezzamento precoce, come è stata la tendenza negli ultimi dieci anni. In realtà, la tendenza non era solo quella di una precoce introduzione di cibi solidi nella dieta, ma anche quella di fornire precocemente cibi solidi di elevato contenuto calorico. Se si pensa agli anelli della catena: allattamento artificiale - tendenza al super dosaggio - introduzione precoce d’alimenti solidi d’elevato contenuto calorico, si può facilmente comprendere il meccanismo che può favorire il sovrappeso nel corso del primo anno di vita. Attualmente la tendenza è di iniziare lo svezzamento non prima del quarto mese ed essere subito orientati su alimenti proteici o protettivi (carne, pesce, uova, verdura, frutta), con la minima presenza necessaria di lipidi e glucidi.A. durante la gravidanzaL’importanza di un’adeguata a. in gravidanza è intuitiva. L’a. ha una diretta influenza sulla salute della gestante, sull’andamento della gravidanza e sullo stato di nutrizione del neonato.La gestante dovrebbe trovarsi all’inizio della gravidanza possibilmente intorno al suo peso ideale, stabilito in base all’età, all’altezza e alla costituzione, e conservarlo durante i primi 3 mesi, dopodiché l’aumento deve essere graduale fino a raggiungere al momento del parto il massimo di 8-10 kg circa.Durante i primi 3 mesi, pertanto, basterà mantenere una dieta il più possibile varia ed equilibrata, con particolare attenzione all’apporto proteico, vitaminico e salino, senza aumentare la quota calorica complessiva. Le proteine devono essere prevalentemente d’alto valore biologico, in altre parole provenire dalle carni, pesce, uova e formaggi. Le proteine vegetali (contenute in pasta, pane, legumi) non sono sufficienti, infatti, a coprire il fabbisogno d’aminoacidi “essenziali”.Un’altra fonte di squilibrio alimentare in gravidanza è rappresentata dagli “attacchi di fame”, che sono soddisfatti con il ricorso ad alimenti ricchi di glucidi (pane, pasta, dolciumi), che oltre a provocare squilibri fra i vari nutrienti, a scapito di solito delle proteine, predispongono a notevoli incrementi di peso. È necessario quindi controllare la quantità di glucidi introdotta quotidianamente, ricordando che la fame esagerata è spesso dovuta a fattori psicologici, più che ad un reale bisogno di cibo.Dal secondo trimestre, si cominciano ad avere esigenze specifiche: il fabbisogno proteico aumenta gradatamente da 1 g a 1,5/2 g il giorno per chilo di peso corporeo. La stessa esigenza si presenta per i sali di calcio e fosforo necessari alla formazione dello scheletro e per il ferro indispensabile nella formazione dei globuli rossi del sangue.
Una somministrazione inadeguata provocherebbe gravi carenze soprattutto alla madre (decalcificazione, anemie) perché il feto toglierebbe dalle sue riserve tutto quanto gli serve. Si ricorda che il calcio e il fosforo abbondano nel latte, nei latticini e nelle uova  il ferro è contenuto soprattutto nel fegato di animali, nei legumi e nel tuorlo d’uovo, nonché nella frutta secca. In questo periodo della gestazione anche il fabbisogno di vitamine aumenta, specie la A e la D in stretto rapporto all’aumentato fabbisogno di calcio e fosforo. La necessità di vitamine del gruppo B aumenta invece in relazione all’aumento dell’apporto calorico glucidico. Per quanto riguarda la forma di somministrazione delle vitamine, è preferibile assumerle per via normale, cioè tramite alimenti, anziché sotto forma di preparazioni farmaceutiche. La loro utilizzazione in questo modo risulta migliore e più completa perché vi si trovano in rapporti equilibrati e in associazioni che ne favoriscono l’utilizzazione e l’assorbimento a livello intestinale. Le vitamine abbondano nella frutta e nella verdura cruda, nonché nei cereali integrali e nei prodotti comunque non raffinati. La quota lipidica, cioè i grassi, non subisce in gravidanza variazioni particolari in senso quantitativo rispetto alla norma (1 g/kg di peso corporeo)  la loro presenza tra l’altro è necessaria perché “veicoli” nell’assorbimento di alcune vitamine liposolubili (A, D, E, K), che sono di particolare importanza. Qualitativamente sono da preferire i grassi liquidi insaturi (oli vegetali) rispetto ai grassi solidi (margarine, burro) e questo per la maggior presenza nei primi di acidi grassi essenziali (acido linoleico, ecc.). I glucidi, infine, sono in genere più graditi dalla gestante, ma sono anche i maggiori responsabili dell’eccessivo aumento di peso. Il loro fabbisogno aumenta con l’avanzare della gravidanza parallelamente all’aumento di dispendio energetico che la gestazione comporta, ma anche in funzione del livello di attività fisica e lavorativa della gestante. È opportuno dare la preferenza agli amidi (pane, pasta, patate, cereali, legumi) rispetto agli zuccheri semplici (zucchero, dolci). Per quanto riguarda il consumo di alcol e caffè è opinione comune che un bicchiere di vino a pasto e due caffè al giorno si possono prendere con tutta tranquillità, ma si tratta di una convinzione del tutto errata, soprattutto per quanto riguarda l’alcol. In gravidanza è bene cessare del tutto il consumo di alcol e smettere di fumare.Alimentazione durante l’allattamentoDurante l’allattamento è necessario un maggior apporto di energia e di alcuni principi nutritivi, per compensare le perdite dovute alla produzione di latte. L’energia occorrente deriva soprattutto dagli alimenti e in parte dall’energia immagazzinata nelle riserve corporee durante la gestazione. In pratica si calcola che per secernere la quantità media di latte giornaliera (circa 850-1.000 ml) occorrono alla donna 500 kcal in più rispetto al fabbisogno quotidiano normale.La nutrice deve bere molto, poiché l’acqua è il costituente fondamentale del latte.La proporzione tra i diversi nutrienti in rapporto alle calorie globali deve subire alcune modificazioni  in particolare, va aumentata la quota calorica assegnata alle proteine  fino al 20% delle calorie totali giornaliere, a scapito di quella glucidica (50%), mentre la quota lipidica resta stabile sul 30% circa.Oltre ai cereali, ai pesci e a carni magre, al fegato e ai lipidi prevalentemente d’origine vegetale, gli alimenti da preferire sono latte latticini, formaggi e frutta e verdura.A. nell’età scolare e nell’adolescenzaIn condizioni di normalità e buona salute nell’età scolare e nell’adolescenza ogni prescrizione dietetica dovrebbe perdere di significato  numerosi studi hanno, infatti, dimostrato che ogni bambino avviandosi a diventare adulto se lasciato ad un regime di dieta libera sia riguardo alla qualità del cibo sia riguardo al numero delle razioni alimentari, mangerà, in modo più o meno vario, tutto ciò che gli serve per vivere e crescere in modo regolare.L’età scolare e l’adolescenza sono fasi molto delicate e importanti in cui l’organismo rapidamente si trasforma e la velocità d’accrescimento staturale può raggiungere, in certi periodi, anche i 10 centimetri l’anno comportando, oltre all’allungamento delle ossa, un aumento di volume della massa muscolare, del tessuto adiposo e di tutti gli organi  tutto ciò non potrebbe accadere se, attraverso l’a., non fosse fornito al corpo il materiale necessario a costruirsi.Il fabbisogno energetico previsto dai LARN (Livelli di Assunzione Raccomandata dei Nutrienti) corrisponde a: 1.900-2.000 kcal al giorno dai 7 ai 9 anni, 2.000-2.250 kcal dai 10 ai 12 anni, 2.250-2.500 kcal oltre i 13 anni  tali stime, dal significato ovviamente orientativo, sono state calcolate prevedendo un discreto livello d’attività fisica e devono quindi essere ridotte del 15% se i ragazzi conducono vita sedentaria.Molto importante è ricoprire tale fabbisogno adottando una dieta varia, nella quale siano giornalmente presenti alimenti appartenenti ai quattro gruppi fondamentali: vale a dire latte e derivati, carne, cereali, verdura e frutta: moderando il consumo di cibi a elevata densità calorica quali dolciumi, formaggi, frutta secca, bevande zuccherate e cercando di ripartire la razione calorica giornaliera in modo da assumere il 25% delle calorie con la prima colazione (purtroppo molto spesso “saltata”), il 35-40% a pranzo, il 10-15% a merenda, il 25-30% a cena.L’obesità, dovuta di solito a iperalimentazione associata a vita sedentaria è il disturbo di più frequente riscontro tra gli scolari della scuola dell’obbligo  fortunatamente molto più rara è la condizione opposta, di rifiuto totale del cibo, che caratterizza l’anoressia mentale, malattia complessa, talvolta molto difficile da trattare, che si riscontra prevalentemente nelle giovani fanciulle.In questa fase della vita possono verificarsi anche situazioni di carenza alimentare come, per esempio, un relativo deficit di calcio legato alla necessità di fronteggiare la maggior richiesta derivante dal rapido accrescimento delle ossa e un deficit di ferro legato a un aumento della massa sanguigna (che è in funzione della massa corporea) e, nelle femmine, alle perdite ematiche correlate ai flussi mestruali.
La correzione di questi stati carenziali si attua ovviamente somministrando adeguati medicamenti, ma non bisogna dimenticare che essi possono essere prevenuti semplicemente rinforzando l’abitudine ad assumere quotidianamente un bicchiere di latte (molto ricco di calcio) e non lasciando mancare nella dieta alimenti ricchi in ferro quali carne, fegato, uova, legumi e farine integrali.La classica dieta mediterranea a base prevalentemente d’amidi (pasta, pane), grassi vegetali (olio d’oliva), cereali e verdura è ottimale anche per il bambino in età scolare e per l’adolescente: essa fornisce, infatti, la giusta quantità di principi nutritivi e, se usata con oculatezza, consente di attuare precocemente una profilassi nei confronti d’obesità, diabete e malattie cardiovascolari.A. nell’età adultaLa problematica posta dall’a. nell’età adulta ha fatto intraprendere numerosi studi sulle relazioni tra dieta e stato di salute. Allo stato attuale delle conoscenze sembrano assodate delle correlazioni tra alcune malattie e la dieta seguita dalla maggioranza della popolazione nelle società industrializzate.Nei maschi uno dei problemi più seri riguarda la relazione tra lipidi e arteriosclerosi. La relazione è multifattoriale, cioè oltre alla dieta ci sono altri importanti fattori di rischio tra cui il fumo, l’ipertensione e il diabete. Comunque, il disordine alimentare, cioè l’a. eccessiva o irrazionale, è uno dei più importanti. Infatti, l’opinione corrente è che un’elevata presenza di grassi saturi e di colesterolo nella dieta, associata ad un eccesso calorico costituisca un rischio più elevato di incorrere nei danneggiamenti delle arterie. La situazione è complicata dal fatto che non tutti i lipidi presenti nel sangue sarebbero dannosi. Alcuni di essi possono essere di beneficio, come le lipoproteine ad alta densità (HDL = High Density Lipoprotein). Sembra che più alta è la concentrazione di HDL nel sangue, minore sia il rischio di malattie a carico del sistema circolatorio. Una dieta che tenga conto di tutti questi fattori dovrebbe prevedere:- riduzione dell’apporto calorico globale - moderata riduzione del contenuto lipidico totale della dieta a non più del 25% delle calorie totali - aumento degli acidi grassi polinsaturi nella dieta.Un problema connesso all’a. delle donne è l’uso della pillola anticoncezionale, che può interferire nel metabolismo di certi nutrienti. Per esempio, l’utilizzo della vitamina B6 è ridotto, come pure quello dell’acido folico e, forse, anche quello della vitamina B12.A. nella vecchiaiaDopo i 65 anni di età molti sono i motivi che possono rendere difficile un’a. equilibrata: difficoltà di masticazione e di deglutizione, mancanza di appetito per insufficiente attività fisica e irrigidimento della dieta entro schemi fissi. Generalmente la razione di un individuo anziano deve essere poco abbondante e contenere quantità adeguate di cibi ricchi di proteine (latte e formaggi), di vitamine e di sali minerali (calcio e ferro), pochi grassi, pochi zuccheri. Dal punto di vista calorico infatti il fabbisogno diminuisce con la riduzione dell’attività fisica ed è uguale a 2000 calorie ca. o poco più.Nelle donne in menopausa uno dei problemi è costituito dall’osteoporosi. Questa malattia, che causa fragilità ossea e fratture, è più frequente nei soggetti di sesso femminile rispetto a quello maschile e non può essere curata solo con un supplemento di calcio. L’osteoporosi può essere favorita da una cronica carenza di calcio nella dieta nel corso anche di parecchi anni, specie nelle donne con prolungate assenze mestruali con età inferiore a 35 anni. Si sa, infatti, che il maggior apporto di calcio nell’osso avviene nell’età giovanile, sotto effetto degli ormoni femminili.A. nello sportUn numero sempre maggiore di persone si avvicina allo sport per semplice divertimento, per mantenersi in forma, per cercare di perdere qualche chilo superfluo o perché vuole diventare un atleta di professione.Una corretta a. è indispensabile in occasione d’ogni attività fisica, anche la meno impegnativa. Innanzi tutto, in previsione di qualsiasi impegno fisico, allenamento e gare, è consigliabile di non sovraffaticare l’apparato digestivo con l’assunzione di un pasto eccessivamente abbondante. È opportuno invece dare la preferenza ad alimenti che forniscono elevate quantità d’energia con il minimo impegno dell’apparato digerente. La quota glucidica (la più importante) deve essere assicurata da alimenti ricchi d’amido facilmente digeribile (non accompagnato da alte percentuali di cellulosa che può ostacolarne la completa utilizzazione): pane ben cotto, fette biscottate, grissini, cracker, pasta, riso e soprattutto zuccheri semplici come il glucosio che è più rapidamente utilizzato a livello muscolare.

La preferenza per gli zuccheri semplici o per gli amidi deve essere in rapporto alla minore o maggiore durata dell’esercizio fisico  gli amidi, infatti, hanno un assorbimento e un’utilizzazione relativamente lenta  gli zuccheri semplici, specie il glucosio, rapidissima.Per quanto riguarda i grassi, sono da preferire gli oli vegetali e il burro crudo. Essi comunque non devono essere presenti nella dieta in grandi quantità perché richiedono tempi di digestione piuttosto lunghi.La razione proteica dovrebbe essere coperta in buona parte da proteine animali ad alto valore biologico (carne e pesce non grassi, uova, latte e formaggi)La dieta di uno sportivo è diversa secondo l’impegno che deve affrontare (allenamento o gara). Nell’allenamento, l’a. ha un ruolo molto importante e deve adattarsi progressivamente ai bisogni nutrizionali modificati dall’incremento del lavoro muscolare. Dev’essere pertanto non solo equilibrata, ma anche quantitativamente maggiore in proporzione ai bisogni specifici del soggetto.L’a. di uno sportivo in periodo d’allenamento è sufficiente quando, superata la fase iniziale del periodo d’allenamento, il peso si mantiene costante, indipendentemente dall’entità del lavoro muscolare dell’atleta.La dieta deve essere ripartita in tre-quattro pasti principali.Ogni tipo d’assunzione va però sospesa almeno mezz’ora prima della gara.Negli ultimi anni è stato valutato il ruolo di sostanze antiossidanti come protettori dai radicali liberi, che aumentano durante l’esercizio fisico. Tali sostanze, spesso proposte come supplementi dietetici, sono rappresentate generalmente da vitamine C ed E, selenio, zinco, bioflavonoidi, coenzima Q, L-cisteina ed altri. Tali supplementi, tuttavia non devono eccedere le quantità fisiologicamente necessarie come razione giornaliera.

 
ALIMENTAZIONE CON SONDA

Modo di introdurre alimenti nel tubo digerente indipendentemente dalla volontà del soggetto. Questa tecnica di alimentazione viene adottata quando esistano condizioni che impediscono al malato di nutrirsi secondo la norma: ciò avviene, per esempio, negli stati di incoscienza prolungata conseguente a gravi traumi cranici, nel corso di talune malattie psichiatriche nelle quali il malato si rifiuta di assumere cibo, nei restringimenti dell’esofago conseguenti a traumi, ingestione di caustici, tumori. Tale tipo di a. forzata si realizza quasi sempre per mezzo di un lungo tubo di gomma o altro materiale plastico di dimensioni convenienti (5 mm ca. di diametro), che viene introdotto, attraverso la cavità nasale o attraverso la bocca, nell’esofago e spinto fino allo stomaco. In altri casi, quando cioè non è possibile il transito del sondino per tale via, si inserisce direttamente nello stomaco la sonda adibita all’alimentazione attraverso un’apertura praticata chirurgicamente nella parete dell’addome. In tal modo si fanno defluire, per mezzo di una siringa, alimenti in forma semiliquida composti da quantità equilibrate di proteine, zuccheri, grassi, sali minerali e vitamine. Questo tipo di a. consente la nutrizione dell’ammalato per un tempo sufficientemente lungo, ma non può essere protratto all’infinito anche per le complicazioni che possono conseguire alla presenza del sondino stesso.

 
ALIMENTAZIONE MACROBIOTICA

La macrobiotica, (macro=grande e bios=vita), è un regime dietetico che agisce soprattutto a livello di prevenzione per mantenere l’individuo nelle migliori condizioni di salute psicofisica  può anche servire alla cura di alcuni disturbi digestivi.È basata su un’antica filosofia cinese (taoismo) secondo cui la realtà è formata dal rapporto tra due energie: Yang (maschile) e Yin (femminile). E la salute è il frutto di un giusto rapporto tra le due energie.La macrobiotica si basa perciò essenzialmente sulla ricerca, nell’a., dell’equilibrio tra le due forze opposte e complementari dello yin e dello yang perché quando questo equilibrio si rompe subentrano le malattie. Sono cibi molto yang il sale, la carne, le uova, il pollo, il pesce, il formaggio salato  sono cibi bilanciati i cerali, i legumi, i semi, i semi oleosi, la frutta  sono cibi moltoYin:lo zucchero, il miele, il te, il caffè, l’alcol, le spezie, i succhi di frutta, il latte, lo yogurt, la panna.Secondo la dieta macrobiotica bisogna mangiare poco e nutrirsi soprattutto di cereali preferibilmente integrali e in chicchi ma che possono essere consumati anche sotto forma di pane, pasta, fiocchi, gallette ecc Consigliato caldamente è il consumo di verdure di mare (alghe) e zuppe o minestre insaporite con salsa di soya.Sono considerati da evitare tutti gli alimenti raffinati ed eccitanti (zucchero, caffé, droghe ed alcolici). Lo zucchero in particolare va eliminato totalmente poiché particolarmente dannoso alla salute e in grado di generare dipendenza.

 
ALIMENTAZIONE MEDITERRANEA

Seguire una a. mediterranea significa mangiare certi alimenti il più possibile naturali e “genuini”, seguendo una tradizione alimentare tipica dell’area mediterranea: pasta, legumi, pane, verdura, frutta, pesce, formaggi, olio d’oliva vergine o, meglio ancora, extravergine.Secondo uno degli ultimi studi sull’argomento, pubblicato sul prestigioso British Medical Journal dal prof O.H. Franco e colleghi nel 2004, un’a. mediterranea ideale comprenderebbe il consumo quotidiano di vino (1 bicchiere), pesce (ameno 4 volte alla settimana), frutta e verdura (400 gr al giorno), aglio, mandorle e una piccola porzione di cioccolato. Un’a. di questo tipo sarebbe in grado di ridurre il rischio di malattie cardiovascolari di almeno il 75% nei soggetti con età maggiore di 50 anni, ed anche di appagare la golosità di molti.

 
ALIMENTAZIONE PARENTERALE

(O nutrizione parenterale), modalità di somministrazione artificiale di sostanze nutritive che viene posta in atto nei casi in cui l’alimentazione per la via naturale sia impedita o resa difficile da circostanze patologiche diverse. Tra queste: gli stati di denutrizione, di digiuno forzato (gravi traumi con stato di incoscienza protratto, digiuno postoperatorio ecc.) e tutte le situazioni che vedano impegnata in qualche modo la via digerente (restringimenti dell’esofago, stenosi del piloro, enteriti, malassorbimento intestinale ecc.).Da molto tempo si è tentato di sopperire alla carenza della nutrizione naturale con sostituti più o meno adatti. In tal senso le trasfusioni di sangue intero o di plasma hanno giocato, e giocano, un ruolo importantissimo. Queste tuttavia forniscono all’organismo sostanze proteiche dalla struttura troppo complessa perché possano essere facilmente e rapidamente utilizzate. Inoltre le stesse sostanze, che provengono da donatori eterogenei, mantengono la proprietà di stimolare reazioni allergiche e finiscono per essere eliminate prima che utilizzate. Si è perciò concluso che per sopperire ai gravi stati carenziali è necessario fornire all’organismo sostanze elementari da sintetizzare (gli aminoacidi che costituiscono le proteine) e l’energia calorica necessaria per operare tali sintesi (zuccheri, come fonti di energia).La sperimentazione e l’esperienza clinica hanno consentito di mettere a punto avanzate tecniche di preparazione delle sostanze da infondere e adatte modalità di somministrazione. Le preparazioni farmaceutiche usate constano di soluzioni di amminoacidi puri (in proporzioni corrispondenti a quelle dell’uovo intero) all’8,5% e di soluzioni di glucosio variabili dal 20 al 50%. Il totale dei liquidi infusi si aggira intorno ai 3 l al giorno. Tuttavia le sole soluzioni di aminoacidi e di glucosio non possono sopperire in modo totale alle necessità dell’organismo  per tale motivo esse devono venire integrate con l’aggiunta di sali minerali (sodio, potassio, cloro, calcio, magnesio, ferro ecc.) e di vitamine (A, B, C ecc.). Altre sostanze quali oligoelementi (rame, zinco ecc.) e acidi grassi essenziali vengono somministrate con il sangue intero o il plasma.La grande quantità di glucosio impiegato può chiedere l’uso contemporaneo di insulina, che viene dosato in base alla glicemia.L’elevata concentrazione delle diverse sostanze provoca facilmente nelle vene periferiche irritazioni e flebiti  per questo motivo si preferisce infondere le soluzioni attraverso un sottile catetere inserito nella vena succlavia  in tal modo la velocità elevata del flusso sanguigno e il grande calibro della vena diluiscono rapidamente le sostanze riducendone gli effetti indesiderabili.Le tecniche di a. parenterale prevedono anche l’impiego di soluzioni di grassi, che tuttavia non hanno ancora dato risultati definitivamente soddisfacenti.L’a. parenterale così condotta rappresenta una tecnica delicata non completamente scevra di rischi  essa tuttavia costituisce un ausilio validissimo che, potendo essere protratto per moltissimi mesi, è capace di assicurare all’organismo una vita metabolica praticamente normale e può consentire, senza interferenze, l’attuazione di interventi terapeutici multipli e complessi.

ALIMENTAZIONE VEGETARIANA

Un’alimentazione vegetariana presuppone da parte di chi la segue una scelta che generalmente affonda le sue radici in due motivi principali: quello eticoreligioso e quello salutistico.Della carne sono messi in risalto i difetti: il contenuto di colesterolo e di grassi saturi (accusati di elevare il tasso di colesterolo nel sangue) e di purine (legate alla formazione d’acido urico).

 
ALISTERESI

Diminuzione del contenuto di calcio nelle ossa. Può essere un processo circoscritto, eventualmente associato ad altre manifestazioni patologiche nei tessuti vicini: in tal caso esprime una reazione secondaria del tessuto osseo a cause diverse quali traumi, processi infiammatori acuti o cronici, inattività ecc. In altri casi l’a. è un processo diffuso a tutto lo scheletro, ed esprime allora un disturbo nel metabolismo dell’osso  come tale si può osservare in diverse malattie quali il rachitismo, l’osteomalacia, l’osteoporosi senile, malattie endocrine, carenze nutrizionali o vitaminiche. Viene messa in evidenza da una maggiore trasparenza delle ossa colpite ai raggi X.

 
ALITO

Aria che in assenza di condizioni patologiche si presenta inodore espirata normalmente attraverso la bocca.

 
ALITOSI

(O alito cattivo), sintomo presente in molte malattie, diverse per natura e origine. Normalmente l’alito non ha odori particolari, pur potendo assumere caratteristiche diverse in rapporto al tipo di alimenti introdotti. Anche una cattiva igiene della bocca e dei denti può causare alito cattivo per la fermentazione dei residui alimentari. Infine possono modificare i caratteri dell’alito alcune sostanze introdotte nell’organismo a scopo voluttuario o terapeutico (alcol, cloroformio, etere, composti arsenicali).In condizioni patologiche l’a. può comparire in malattie del cavo orale (stomatiti, tonsilliti, carie dentaria, piorrea alveolare, tumori ulcerati), in varie affezioni dell’esofago o dello stomaco comportanti un ristagno di alimenti (stenosi esofagee o piloriche, tumori), nelle malattie polmonari (tubercolosi, ascessi, cancrena), in alcune malattie metaboliche (diabete), nell’insufficienza epatica.In alcune condizioni l’odore dell’alito può essere caratteristico tale da permettere di riconoscere la malattia.

 
ALLANTIASI

vedi BOTULISMO

 
ALLANTOIDE

Annesso embrionale, che si sviluppa nel corso della quarta settimana di vita intrauterina come un diverticolo allungato, che dalla porzione caudale dell’intestino primitivo si estende entro il peduncolo addominale dell’embrione fino al corion. La parte di a. che rimane compresa entro l’embrione costituisce un condotto, l’uraco, che dopo la quinta settimana si oblitera e persiste come un cordone fibroso che collega l’apice della vescica all’ombelico (legamento ombelicale medio). Anche la porzione extraembrionale regredisce, e si riduce in frammenti che possono persistere entro il funicolo ombelicale sino alla fine della gravidanza. L’allantoide, pur restando poco sviluppata, riveste comunque un’importanza notevole in quanto i vasi che si differenziano nel mesoderma circostante si estendono nel corion e partecipano alla vascolarizzazione della placenta. In condizioni definitive di sviluppo possono persistere residui dell’uraco sotto forma di isolotti di cellule epiteliali entro lo spessore del legamento ombelicale medio  da questi residui si possono formare cisti, o possono originare tumori, benigni o maligni.Quando per un disturbo dello sviluppo l’uraco rimane pervio e non regredisce, si ha una comunicazione anomala tra la vescica e l’ombelico, con la possibilità che l’urina fuoriesca attraverso quest’ultimo (fistola urinaria ombelicale).

 
ALLATTAMENTO

La prima nutrizione del neonato. Si distinguono un allattamento naturale (materno o mercenario), un allattamento artificiale e un allattamento misto.

 
ALLATTAMENTO ARTIFICIALE

Nei casi in cui non è possibile attuare un a. al seno adeguato, è d’obbligo ricorrere a quello artificiale. Il latte vaccino è l’alimento che meglio sostituisce il latte di donna, meno usati perché più rari e difficilmente conservabili sono il latte d’asina e quello di capra., tra i due latti però esistono differenze sostanziali che rendono il latte vaccino, così com’è, inadeguato per il lattante. Le differenze di composizione salienti sono:- l’elevato contenuto proteico (35 g/litro anziché 9 g), costituito da molta caseina (che richiede una laboriosa digestione) e da proteine eterologhe, che possono causare l’insorgenza d’intolleranza alimentare, non è infrequente, infatti, l’allergia alle proteine del latte vaccino - un elevato contenuto di sali (720 mg/litro di ceneri anziché 210) - il calcio e il fosforo presenti in un rapporto quantitativo poco favorevole all’utilizzazione da parte del bambino - la scarsa quantità di lattosio - un minor contenuto di vitamina D e d’importanti minerali (ferro, rame, iodio, cromo) - l’assenza di fattori immunodifensivi.La differenza di composizione tra latte materno e latte vaccino fa sì che questo debba essere opportunamente trattato prima dell’impiego, in particolare deve essere diluito, con l’aggiunta di acqua bollita o oligominerale, allo scopo di ridurne il contenuto di proteine e sali. Il grado di diluizione è adattabile in base alla tolleranza individuale. La diluizione, però, riducendo di pari passo la concentrazione dei grassi e dei glucidi (questi ultimi già presenti nel latte vaccino con un tenore più basso che in quello materno) riduce il valore calorico del latte, per cui sarà necessario aggiungere al latte diluito opportuni principi integratori che saranno preferibilmente rappresentati, per i primi tempi, da un’associazione di malto-destrine (presente in commercio) o da mucillagini di riso o di orzo, e più avanti da farine diastasate e precotte.Per quel che riguarda l’uso di latti artificiali, in Italia non vengono usati comunemente quelli evaporati o condensati di impiego comune all’estero  nel nostro paese la preferenza è riservata al latte in polvere che offre il vantaggio di una maggior garanzia di sterilità e di una più semplice preparazione nei confronti del latte vaccino. Una prima distinzione fra i latti in polvere è operata in base al contenuto di grassi, distinguendosi latti interi, mezza crema e totalmente scremati.Per l’a. vengono in genere impiegati i mezza crema riservando l’impiego dei latti totalmente scremati ai casi di bambini immaturi o con tolleranza ai grassi assai ridotta. Particolarmente raccomandati sono inoltre i latti acidificati per la loro più facile tollerabilità, specie nei bambini con disturbi gastroenterici. L’acidificazione può essere ottenuta con meccanismo biologico o chimicamente. Attualmente non si ricorre più al latte vaccino fresco, ma si cerca di usare i latti in polvere, preparati dall’industria, utilizzando come materia prima il latte vaccino, che viene però lavorato e modificato in modo da ottenere un alimento le cui caratteristiche si avvicinano il più possibile al latte di donna. I più usati nei primi mesi di vita sono i latti cosiddetti “adattati”, la cui formulazione corrisponde a quell’indicata dall’ESPGAN (Società europea di gastroenterologia pediatrica e nutrizione), ritenuta la più idonea all’alimentazione del lattante. In commercio si trovano molti latti adattati che differiscono fra loro solo per aspetti relativamente trascurabili  sono tutti ugualmente validi, il loro contenuto in minerali, oligoelementi e vitamine è “fisiologicamente utile” e il sapore molto buono li rende graditi al bambino. I latti adattati imitano, ma non potranno mai uguagliare, le caratteristiche biologiche del latte materno che, poiché alimento “vivo”, rimane “unico e inimitabile”  essi, tuttavia, sono sempre perfettamente tollerati e possono essere usati dalla nascita allo svezzamento.Nei primi mesi di vita è assolutamente da evitare l’uso del latte vaccino fresco  e anche dopo il sesto mese è preferibile proseguire l’allattamento usando ancora latti formulati, denominati latti di “proseguimento”, un po’ diversi dai precedenti e più adatti al bambino ormai “cresciuto”.La composizione dei latti di proseguimento si avvicina di più a quella del latte vaccino, da cui, tuttavia, differisce per il contenuto proteico ancora piuttosto basso, per la quota lipidica integrata con oli d’origine vegetale e per il contenuto di ferro e oligoelementi notevolmente maggiore. Nell’allattamento artificiale il numero delle poppate e il calcolo della razione calorica giornaliera non differiscono sostanzialmente da quelli seguiti per l’allattamento al seno  benché ad ogni pasto, sia somministrata la stessa quantità di latte, seguendo uno schema forse un po’ più rigido, la razione giornaliera va calcolata in base al fabbisogno calorico e proteico del lattante, è comunque sempre importante cercare di rispettare il più possibile le “esigenze” indicate dal bambino.I latti formulati presenti in commercio sono per lo più in polvere e devono essere ricostituiti, al momento dell’uso, rispettando esattamente le proporzioni di diluizione indicate sulla confezione di vendita, ma soprattutto dal pediatra.Da poco tempo si sta sempre più diffondendo l’uso di latti formulati liquidi, vale a dire messi in vendita già ricostituiti, solo da riscaldare.Infine l’a. di bambini con sindromi di malassorbimento o forme di intolleranza richiede l’uso di latti speciali come il latte di soia, i latti asodici o aclorurati, i latti privi di lattosio ecc.Come per l’a. al seno il bambino si tiene seduto sulle ginocchia, sostenendogli il capo e le spalle col braccio sinistro, la mano destra offre il poppatoio tenendolo col fondo rivolto verso l’alto di modo che la tettarella sia sempre piena di latte: questo per evitare che durante la suzione, il bambino ingerisca una quantità eccessiva d’aria. I fori della tettarella non devono esser né troppo grandi né troppo piccoli, ma sufficienti a lasciar gocciolare il latte lentamente. È inoltre indispensabile osservare condizioni d’assoluta igiene nella pulizia dei poppatoi e nella preparazione del latte.La preparazione del biberonPer preparare il biberon di latte è consigliabile seguire alcune norme d’indiscutibile utilità:- utilizzare per la ricostituzione del latte, acqua potabile bollita, o meglio, un’acqua oligominerale, non gasata, a temperatura ambiente - usare esattamente la quantità d’acqua e di polvere prescritte - non bollire mai il latte ricostituito, né quello già liquido, entrambi devono solo essere intiepiditi a bagnomaria oppure usando lo scaldabiberon - è preferibile preparare il biberon ad ogni pasto, se è preparato in anticipo deve essere conservato in frigorifero sino al momento dell’uso - il latte avanzato dal bambino va buttato e non utilizzato per la poppata successiva - dopo ogni poppata il biberon, la tettarella e tutti gli oggetti che sono serviti per la preparazione del latte devono essere accuratamente lavati e sterilizzati. La sterilizzazione può essere fatta in vari modi: a vapore (per 10 minuti) oppure con bollitura (per 20 minuti), usando apposite pentole, predisposte per contenere 3 o 6 biberon  oppure a freddo mediante un metodo chimico che prevede l’uso di soluzioni disinfettanti a base d’ipoclorito di sodio, tenuto in apposite vaschette e rinnovato ogni 24 ore. La sola sterilizzazione a freddo può non dare sufficienti garanzie, quindi è consigliabile sterilizzare tutto col calore, almeno una volta al giorno.Il succhiottoPuò essere tranquillamente concesso nei primi mesi di vita, poiché sarebbe veramente crudele togliere al bambino che lo desidera, il piacere di continuare a succhiare, oltre il momento della poppata.È tuttavia importante seguire alcuni accorgimenti:- scegliere, fin dall’inizio, i succhiotti piatti (non a ciliegia), di gomma morbida e non forati  anche le tettarelle usate nell’allattamento artificiale devono essere morbide, di forma anatomica e con fori piuttosto piccoli - non dare mai il succhiotto “sporco” di zucchero o di miele - essere molto accorti nella pulizia e nella sterilizzazione, e soprattutto iniziare a limitarne il più possibile l’uso quando il bambino si avvicina a compiere l’anno d’età.

 
ALLATTAMENTO MISTO

Consiste nell’integrazione dell’a. materno, qualora questo non sia sufficiente a coprire il fabbisogno del bambino, con quello artificiale. L’allattamento misto può essere realizzato con aggiunta a ogni pasto fino a raggiungere la razione necessaria, valutata con la doppia pesata (prima e dopo il pasto al seno)  oppure alternando ai pasti al seno materno quelli con latte vaccino o latte in polvere. Quest’ultimo sistema è più indicato in prossimità del divezzamento (intorno al terzo mese di vita) oppure nel caso di madri che per ragioni di lavoro siano costrette ad allontanarsi dal figlio per più di 4 ore (vedi scheda ALLATTAMENTO).

 
ALLATTAMENTO NATURALE

Con l’allattamento naturale il lattante assume il latte direttamente dal seno materno o da quello della nutrice (a. mercenario). L’a. materno è la forma di nutrizione più idonea per il lattante. A parte la composizione del latte di donna, ideale per tutti i lattanti (salvo controindicazioni specifiche), il latte materno contiene anticorpi che, con quelli passati attraverso la placenta nella vita fetale, aumentano le resistenze del bambino alle infezioni batteriche e virali.Già in utero il neonato acquisisce la capacità di inghiottire e deglutire  il feto deglutisce, infatti, ogni ora, circa 20 ml di liquido amniotico che passa nell’intestino, è riassorbito, eliminato attraverso il rene e di nuovo deglutito. Subito dopo il parto, il bambino è quindi pronto ad alimentarsi, tanto che riesce ad afferrare il capezzolo appena è avvicinato al seno materno.Superata la fatica del parto, appena la mamma è disponibile, e naturalmente se lo desidera, sarebbe corretto attaccare il bambino al seno fin dalla quinta o sesta ora di vita allo scopo di perseguire importanti obiettivi: stimolare precocemente la ghiandola mammaria a produrre il latte, permettere al neonato la suzione del colostro, evitare l’ipoglicemia neonatale e rendere il rapporto d’interazione madre-bambino il più naturale possibile.Tutto ciò può essere realizzato già in ospedale col sistema del rooming in, che consiste nel tenere il bambino in culla accanto al letto della mamma, al fine di facilitare l’allattamento del neonato “a domanda”, sfruttando la sua capacità d’autoregolazione e, al tempo stesso, soddisfacendo pienamente le sue esigenze nutritive.L’a. “a domanda” non richiede ovviamente regole fisse: il neonato è allattato “a volontà” ogni volta che, piangendo, ne manifesta il bisogno. Ogni bambino possiede meccanismi di regolazione dell’appetito perfettamente adeguati ai propri bisogni, che dipendono a loro volta dalle caratteristiche genetiche  esigenze che non possono essere ignorate, ma che vanno il più possibile assecondate. Stabilire rigidamente quantità e orari per la poppata non solo sarebbe errato, ma si può considerare un indesiderabile abuso.All’inizio dell’a, le poppate possono essere anche molto frequenti (ogni 2 ore), con notevole impegno della mamma, d’altro canto questo consente una buona stimolazione della ghiandola mammaria, utilissima per un tempestivo avvio della montata lattea. Questa compare a varia distanza dal parto a seconda che la donna sia primipara o pluripara. Col passare dei giorni, infatti, la secrezione di latte diventa sempre più abbondante, le richieste del bambino si fanno meno frequenti e il numero delle poppate si riduce a 5 o 6 nelle 24 ore.Il numero dei pasti quotidiani è generalmente di 6 nel primo e secondo mese, 5 nel terzo e nel quarto, dopo il quinto - sesto mese si riducono a 4. L’intervallo tra le poppate, considerato teoricamente di circa 3 ore in base al tempo di svuotamento dello stomaco, varia in rapporto alla quantità di latte assunta ogni volta, in genere non è mai costante nell’allattato al seno poiché variabile è la quantità di latte prodotta dalla nutrice durante la giornata  per esempio: è quasi sempre molto abbondante il latte per la prima poppata del mattino, poiché si accumula durante il riposo notturno che dovrebbe essere di circa 6 ore sia per la mamma sia per il piccolo.Con l’a. “a domanda” non è necessario interrompere un sonno tranquillo solo perché è giunta l’ora della poppata, né si deve lasciar piangere disperatamente il bambino perché non è ancora l’ora  tutto deve avvenire nel modo più sereno possibile seguendo i naturali ritmi biologici del lattante.Il latte materno, pur avendo una composizione variabile nel corso della giornata, non è mai inadeguato alle esigenze nutritive del bambino.Il latte è prodotto utilizzando i principi nutritivi che la donna nutrice assume con la propria alimentazione che, pertanto, dovrà essere il più possibile equilibrata, ricca di proteine, sali minerali, vitamine  non occorre, tuttavia, che la dieta abituale sia variata, ma semplicemente arricchita di carne, pesce, uova, frutta e verdura fresche e soprattutto di liquidi. 

È preferibile evitare solo alcuni alimenti come cavoli, aglio, cipolla, asparagi, che essendo molto aromatici potrebbero alterare il sapore del latte  inoltre è consigliabile limitare il consumo di alcolici, tè e caffè, non fumare più di 4 o 5 sigarette il giorno, per evitare l’accumulo di sostanze eccitanti che passando nel latte recano disturbo al bambino. Anche i farmaci, poiché vengono escreti nel latte, devono essere assunti con estrema cautela e sempre sotto controllo medico.Nei primi 3 o 4 giorni il secreto della ghiandola mammaria non è ancora latte, ma colostro: un liquido molto ricco di proteine (7-8 g/ml) di anticorpi e sali minerali particolarmente adatto a nutrire il bambino appena nato. Entro 10-15 giorni la composizione del colostro si trasforma fino ad assumere quella definitiva del latte cosiddetto “maturo”. Tra la terza e la quinta giornata si ha la montata lattea, che segna l’inizio della secrezione vera e propria del latte: le mammelle diventano turgide e la mamma avverte la sensazione di una forte tensione unita alla necessità di sentirsele svuotare.Per tutto il periodo dell’a., la secrezione lattea è mantenuta da un particolare meccanismo ormonale, innescato e tenuto attivo dalla suzione  per questo motivo è importante non solo attaccare il bambino al seno il più precocemente possibile, ma continuare ad attaccarlo ad ogni pasto fin dai primissimi giorni, anche se la quantità di colostro prima, e di latte, poi, appare piuttosto scarsa. Nell’attesa della montata lattea i neonati più voraci si possono saziare somministrando qualche cucchiaino di soluzione glucosata.Il latte materno fornisce circa 65-70 calorie ogni 100 grammi  al giorno sono necessari 140-160 grammi di latte ogni kg di peso, per soddisfare il fabbisogno calorico del lattante, che corrisponde a 110-120 calorie per chilo.Nell’a. “a domanda” il numero dei pasti varia proprio perché la quantità di latte assunta è ogni volta diversa, quindi per valutare quanto mangia il bambino è necessario considerare non tanto la quantità di latte che egli succhia ad ogni poppata, bensì quella totale assunta nelle 24 ore, che deve ovviamente corrispondere alle necessità nutritive di quel particolare momento.Per quanto nel bambino alimentato al seno il calcolo della razione alimentare e calorica sia meno importante di quello allattato artificialmente, è consigliabile controllare che un lattante riceva giornalmente almeno 110 calorie per kg di peso nel primo quadrimestre e 95 calorie ca. per kg di peso nel secondo e nel terzo. Un neonato il cui peso sia inferiore ai 2500 g viene in genere attaccato al seno 7 volte al giorno con un intervallo di 3 ore fra un pasto e l’altro  quando il peso del lattante raggiunge i 2500 g il numero dei pasti viene ridotto a 6 con un intervallo di 3 ore e mezzo. Solo quando il peso supera i 4 kg (in genere alla fine del primo mese di vita) l’intervallo fra un pasto e l’altro può essere prolungato a 4 ore  in questo caso il numero dei pasti viene ridotto a 5. Per quanto riguarda la razione giornaliera di latte, è ovvio che questa vada calcolata in base al fabbisogno calorico giornaliero e suddivisa per il numero dei pasti. I pareri dei pediatri sono discordi sull’importanza di alimentare un neonato nei primi giorni di vita a una sola mammella per pasto o a entrambe le mammelle  nel primo caso lo svuotamento completo che si verifica evita il ristagno di latte e il conseguente pericolo di riduzione meccanica della secrezione, nel secondo caso la suzione per effetto meccanico stimolerebbe una secrezione abbondante. Alcuni farmaci possono influire sulla secrezione di latte sia stimolandola (estratti preipofisari, placentari, di decidua, tiroxina, vitamina B12 ad alte dosi) sia deprimendola (estrogeni e progesterone a forti dosi, testosterone, purganti salini).È necessario che una donna durante il periodo dell’a. riceva un apporto calorico elevato, intorno a 3200 calorie pro die (700 oltre il normale), con apporto proteico giornaliero di almeno 100 g. È pure indispensabile che non abusi di tè, caffè e alcoolici: così pure sono indicati il riposo e la limitazione del fumo. Si deve inoltre ricordare come sia importante controllare che una nutrice riceva un adeguato apporto di minerali (calcio, fosforo e ferro) e di vitamine (A, D e C).Esistono controindicazioni temporanee o permanenti dell’a. materno, che possono riguardare la madre e il bambino. Fra le cause materne di ordine generale che rendono controindicato l’a. figurano in primo luogo le malattie infettive acute per il pericolo di contagio: fra queste l’epatite virale e la tubercolosi  quest’ultima soprattutto per quel che riguarda le forme aperte  nelle forme chiuse l’a. può essere possibile solo se la malata è guarita da tempo. L’a. è pure controindicato nelle donne cardiopatiche o portatrici di nefropatie acute o croniche  soprattutto in quest’ultimo caso le necessarie limitazioni della dieta determinano uno scarso apporto proteico al bambino. È pure opportuno sconsigliare l’a. alle madri gravemente nevrotiche o gravemente miopi. Non controindicano invece l’a. la lue congenita, la gravidanza, la ricomparsa di mestruazioni. Fra le affezioni locali che controindicano l’a. vanno menzionate la ipogalattia spiccata e le malformazioni del capezzolo. Le ragadi e i processi infettivi della mammella (mastite) indicano solo la sospensione temporanea dell’a. Le controindicazioni all’a. al seno da parte del bambino sono rappresentate da malformazioni della bocca o del naso  nell’allergia al latte di donna e nell’ittero da latte materno (controindicazioni permanenti).L’a. sarà controindicato solo temporaneamente nel caso di infezioni delle prime vie aeree (rinite) o della bocca (stomatite) per la difficoltà di suzione che si verifica in queste forme.Per quanto riguarda l’a. mercenario, quello cioè effettuato con il ricorso alla balia, sarà necessario controllare che la nutrice sia esente da malattie infettive. In alcuni centri di puericultura inoltre sono state recentemente istituite banche del latte umano. Il latte viene raccolto in perfetta asepsi in recipienti sterili e successivamente viene sottoposto a sterilizzazione. In genere viene conservato a bassa temperatura  è possibile comunque la conservazione per essiccamento e liofilizzazione.

 

 
ALLENAMENTO

Complesso di accorgimenti attraverso i quali si abitua progressivamente l’organismo a una data attività atletica, migliorandone gradualmente le risorse fisiche e psichiche. La preparazione dell’atleta presenta tre componenti: l’a. fisiologico (o a. generico o preparazione pre-atletica), l’a. specifico e l’a. psichico.- A. fisiologico. Mira, attraverso esercizi fisici, a sviluppare in modo armonioso il corpo del futuro atleta e ad abituarlo alla fatica sportiva in modo da ottenere una sempre maggior resistenza, evitando sprechi di energia.- A. specifico. Ha lo scopo, attraverso una serie di esercizi ripetuti con determinate modalità, di far acquistare all’atleta la maggior capacità nel praticare un determinato sport. Naturalmente i sistemi di questo tipo di a. variano secondo lo sport  hanno però tutti una finalità in comune: conferire all’atleta tecnica e stile.Il ripetersi del lavoro muscolare compiuto durante l’a. induce nell’organismo una serie di adattamenti che consentono all’atleta il massimo rendimento muscolare durante l’attività sportiva e un rapido recupero nella fase di riposo. Queste modificazioni riguardano tutti i principali sistemi e apparati dell’organismo.Nelle masse muscolari si riscontra un aumento di volume dovuto all’incremento del numero delle fibre e dei capillari sanguigni  inoltre anche le reazioni biochimiche che in esse si svolgono subiscono variazioni: tali fenomeni portano a una maggiore potenza, a un’aumentata resistenza all’esercizio fisico e a un migliore rendimento muscolare.Non sempre però l’aumento della potenza muscolare si accompagna a un aumento della resistenza: un sollevatore di pesi, per esempio, sopporta carichi notevoli sulle braccia, ma non è adatto a una corsa di 100 m.Importanti modificazioni si instaurano a carico del sistema cardiovascolare: la frequenza del battito cardiaco si abbassa (bradicardia) dopo un certo periodo di a., e l’ossigenazione dei tessuti è migliore, al contrario di quanto avviene in un soggetto non allenato in occasione di un esercizio muscolare durante il quale la frequenza del battito cardiaco raggiunge valori elevati, e il ritorno alle condizioni normali, cessato l’esercizio, avviene in un periodo molto più lungo.La coordinazione neuromuscolare diventa più efficace, i riflessi sono più pronti e l’esecuzione dei movimenti muscolari è più sciolta e automatica.Tra le modificazioni biochimiche, caratteristica è la diminuzione dell’acido lattico che si riscontra in un soggetto allenato. L’acido lattico rappresenta una scoria derivante dal metabolismo dei muscoli che lavorano, e la sua diminuzione, nel soggetto allenato, significa che i muscoli lavorano con un miglior rendimento per cui i segni della fatica muscolare compaiono tardivamente.Il grado di a. raggiunto può essere valutato attraverso una serie di test che evidenziano lo stato morfologico e funzionale dei vari organi e apparati dell’atleta.- A. psichico. Nella preparazione atletica riveste un’indubbia importanza. Perché durante la competizione dia il meglio delle sue possibilità, l’atleta deve possedere un perfetto equilibrio psichico: un soggetto ansioso, facilmente emozionabile, privo di fiducia nelle proprie capacità è condannato all’insuccesso  al contrario un individuo dotato della volontà di vincere può dare un’ottima prestazione e ottenere successi insperati. Da qui la sempre più diffusa tendenza ad affiancare al tecnico uno psicologo.Un razionale a. fisiologico e specifico e una buona preparazione psichica permettono all’atleta di raggiungere quella condizione ottimale che in gergo viene definita forma. È facilmente intuibile come tutti e tre i tipi di a. ricordati debbano essere effettuati sotto la guida di personale qualificato. I risultati raggiunti dall’atleta dipendono in gran parte dall’abilità e dall’esperienza dell’allenatore: dietro ogni affermazione sportiva c’è sempre, salvo qualche rara eccezione, il suo contributo tecnico, morale e umano. A questo punto occorre sottolineare anche il ruolo svolto dal medico nell’a.: una perfetta preparazione atletica non può prescindere da un costante controllo da parte del medico sportivo, il quale deve verificare che nell’organismo dell’atleta si attuino regolarmente tutti gli adattamenti fisiologici, giudicare se la tecnica seguita è la più adatta all’atleta o se lo sottopone a uno sforzo troppo gravoso, valutare il grado d’a. raggiunto (mediante gli appositi test), assistere l’individuo dal punto di vista psicologico ed eventualmente studiare con il tecnico il sistema più idoneo per aiutarlo. Il tipo, il ritmo e la durata dei vari esercizi dell’a. variano non solo secondo lo sport, ma dipendono anche dall’allenatore, che generalmente preferisce seguire una formula che lui stesso ha messo a punto. Le tecniche seguite sono quindi numerose e vengono via via modificate in base agli obiettivi da raggiungere. In passato, per esempio, era molto seguita la scuola finlandese che aspirava a far acquistare all’atleta la massima resistenza: la tecnica da essa applicata, fortleg, consisteva in corse prolungate all’aperto, alternate ad allunghi veloci. Il sistema finlandese fu più volte modificato e perfezionato e si giunse all’interval training, ovvero a. ad intervalli. Per fare un esempio, immaginiamo di dover allenare un soggetto per la corsa dei 400 m: invece di far eseguire l’intero percorso tutto in una volta, si faranno eseguire i primi 100 m a velocità sostenuta  seguirà un intervallo durante il quale il soggetto rallenterà fin quasi a fermarsi, per riprendere altri 100 m con velocità maggiore, e così sino al termine della corsa con intervalli ogni 100 m. Gli intervalli e l’entità dello sforzo variano secondo la valutazione fisica dell’atleta formulata dall’allenatore. In genere si preferiscono intervalli di breve durata a quelli lunghi. Questa tecnica viene adottata nell’atletica leggera, nel canottaggio, nel calcio, nella pallacanestro e si va estendendo ad altri sport.

 
ALLERGENE

Sostanza che, penetrata nell’organismo, determina, in soggetti predisposti, uno stato di sensibilizzazione, per cui successivi contatti con la medesima sostanza scatenano una reazione di ipersensibilità con manifestazioni cliniche assai variabili: fenomeni infiammatori a carico delle prime vie aeree quali riniti, crisi di asma bronchiale allergica, manifestazioni cutanee quali dermatiti, orticaria, eczemi, disturbi intestinali, disturbi oculari quali congiuntiviti, ecc.Gli allergeni più facilmente in causa nello scatenare l’accesso asmatico nei bambini sono i Dermatofagoidi contenuti nella polvere di casa, i pollini fra cui Graminacee e Parietaria, le sostanze alimentari (intolleranza alle proteine del latte vaccino) e i farmaci.I Dermatofagoidi, i pollini, la forfora e il pelo degli animali sono invece i responsabili della rinite allergica, che spesso si associa alla congiuntivite.Vie di contattoGli allergeni possono provenire dall’ambiente esterno o anche dall’interno dell’organismo. Gli allergeni esogeni possono giungere all’organismo per via inalatoria: Dermatofagoidi, pollini  per via digestiva: latte vaccino  per contatto con la cute: nichel lattice ecc.Gli allergeni sono tuttavia innocui per la maggior parte degli individui: infatti solo una piccola parte dei soggetti che con essi abbiano contatto sviluppa una condizione di ipersensibilità allergica.EreditarietàSi ritiene che questa giochi un ruolo importante nella predisposizione dell’organismo ai fenomeni allergici. Sarebbero comunque importanti anche la natura chimico-fisica dell’a. e le modalità con cui esso viene a contatto con l’organismo. L’identificazionezione dell’a. responsabile di una certa manifestazione patologica allergica può essere assai difficile e avviene con particolari test (PRICK-TEST, PRIST, RAST, ecc.).

 
ALLERGIA

Condizione patologica caratterizata da un abnorme reattività del sistema immunitario in seguito al contatto con determinate sostanze. La reazione allergica è la conseguenza di una reazione tra antigene e anticorpo. La sostanza estranea che viene a contatto con l’organismo determina in questo la formazione di particolari proteine dette anticorpi, alle quali si unisce. Da questa unione origina una serie di reazioni biologiche che porta alla liberazione di sostanze farmacologicamente molto attive (istamina, bradichinina, serotonina e altre), responsabili dei diversi sintomi con cui la reazione allergica si manifesta.Il termine anafilassi viene per lo più riservato a quelle forme che sono indotte dall’introduzione di sostanze nell’organismo, che furono anche le prime forme di reazione immunitaria con conseguenze patologiche chiaramente individuate a cui sembra potenzialmente suscettibile tutta la popolazione e non solo una parte di essa. In base al tempo che intercore tra il contatto organismo/allergene e la comparsa dei sintomi si possono distinguere reazioni allergiche di ipersensibilita immediata e ritardata.Ipersensibilità immediataLa reazione allergica può manifestarsi già dopo pochi minuti dal contatto dell’organismo con l’allergene quest’ultimo si lega a un anticorpo circolante nel sangue e nei liquidi organici, prodotto dal soggetto allergico. Tale anticorpo appartiene alla classe delle immunoglobuline E (IgE) e ha la proprietà di legarsi alle superfici cellulari determinando la liberazione di istamina e altre molecole con modificazioni del tessuto che si manifestano attraverso sintomi diversi a seconda della sede interessata. Così se l’allergene viene inalato si configureranno quadri clinici definiti come allergie di tipo respiratorio se l’allergene entra in contatto con i tessuti dell’apparato digerente si manifesteranno le allergie alimentari, mentre se il contatto avviene attraverso la cute si manifesteranno le allergie cutanee.Altre espressioni di condizione allergica possono essere alcune forme di gastroenterite acuta, l’orticaria, l’edema angioneurotico (che colpisce soprattutto il volto, le palpebre, le labbra) e anche manifestazioni generalizzate più gravi, con difficoltà respiratoria, caduta della pressione, stato di shock (shock anafilattico).Ipersensibilità ritardataAltre volte invece la reazione allergica richiede un intervallo di tempo più lungo (24-72 ore) prima di manifestarsi, a causa dell’intervento di cellule specializzate dette linfociti. Appartengono a questo secondo gruppo alcune forme di a. che compaiono in malattie infettive e soprattutto le dermatiti cutanee da contatto.

TERAPIA
La terapia delle malattie allergiche richiede innanzitutto l’individuazione della sostanza alla quale il soggetto è sensibile, ottenibile mediante appositi test.Quindi sarà necessario allontanare il soggetto dal contatto con l’allergene specifico e instaurare un trattamento desensibilizzante con diverse modalità.Spesso l’individuazione dell’allergene non è possibile e allora la terapia è aspecifica, diretta cioè a contrastare i sintomi o altre manifestazioni collaterali della malattia, e si vale di antistaminici, cortisonici, simpaticomimetici, sedativi.

 
ALLERGOMETRIA

Tecnica di indagine diagnostica delle malattie allergiche che ha lo scopo di identificare le sostanze responsabili della reazione allergica. Si attua mettendo a contatto della cute del paziente le sostanze sospette, per vedere quale di esse determina una manifestazione di ipersensibilità (arrossamento, edema, comparsa di vescicole).I test più in uso sono:- Test epicutanei. L’allergene contenuto in un dato supporto viene applicato alla cute integra mediante un cerotto  sono usati soprattutto per scoprire la causa di eczemi da contatto.- Test cutanei. L’allergene viene fatto penetrare nell’epidermide mediante scarificazione o mediante micropunture (es. prick test, uno dei più diffusi).- Test percutanei (o percutireazioni). L’assorbimento del materiale antigenico deposto sulla cute viene favorito massaggiando la stessa.- Test intracutanei (o intradermici). L’allergene viene iniettato nel derma.- Test su sangue del paziente e cioè la ricerca delle IgE totali e specifiche (PRIST e RAST) che sono quelle più diffuse. L’affidabilità dei test dipende dall’allergene. I test cutanei e il RAST forniscono risultati molto buoni per gli allergeni da inalazione (Dermatofagoidi, peli o forfora di animali, pollini, ecc.) e per i veleni degli insetti.Molto meno affidabili sono i test diagnostici nell’evidenziare gli allergeni alimentari e i farmaci.Questo si può spiegare considerando che sia i farmaci sia gli alimenti subiscono nell’organismo dei processi di metabolizzazione, scissione e degradazione, quindi molte volte l’allergia può manifestarsi verso uno di questi prodotti di derivazione e non verso l’alimento o il farmaco in origine.I test di eliminazione consistono nell’osservare se, allontanando l’allergene sospettato di causare allergia, le condizioni e la sintomatologia clinica del bambino migliorano. Sono molto usati nel sospetto di allergia alimentare. Una delle diete di eliminazione più conosciuta è quella di McEwen. Si tratta di una dieta oligoallergenica in cui cioè si utilizzano alimenti che ben raramente provocano allergia. Nel sospetto di allergia alle proteine del latte vaccino nei primi mesi di vita sarà necessario ricorrere, o ai latti di soia, o agli idrolisati, o alle diete elementari. I latti di soia vengono sempre meno utilizzati perché sono frequenti i casi di intolleranza sia al latte vaccino sia alla soia. I test di provocazione servono a riprodurre la sintomatologia dopo esposizione a un allergene sospetto. Vi sono test di provocazione nasale, bronchiale, congiuntivale, con farmaci e alimenti.Poiché con il test di provocazione è possibile scatenare una sintomatologia molto grave fino all’anafilassi, è necessario che queste prove siano compiute in ambiente ospedaliero.

 
ALLOANTICORPO

Anticorpo prodotto contro antigeni individuali, detti alloantigeni, cioe presenti solo in alcuni individui e non in tutti, nell’ambito della stessa specie.

 
ALLOANTIGENE

Sostanza che definisce le differenze antigeniche che caratterizzano gli individui nell’ambito della stessa specie. Gli a. svolgono un ruolo determinante nel rigetto dei trapianti dei tessuti allogenici e vengono denominati antigeni di istocompatibilità.

 
ALLOPATIA

Principio fondamentale della medicina ippocratica. Ampliandone il significato ne deriva il metodo di somministrare rimedi opposti agli effetti del male: per esempio, l’applicazione di ghiaccio sulle parti infiammate. Il termine si contrappone a omeopatia.

 
ALLOPURINOLO

Farmaco inibitore della produzione di acido urico (gruppo degli inibitori della uricogenesi). Blocca l’enzima xantina-ossidasi, impedendo cosi la sintesi dell’acido urico, derivato del metabolismo delle proteine. Viene utilizzato principalmente nella terapia della gotta, soprattutto nei casi con compromissione renale, o quando i farmaci uricosurici non siano sufficientemente efficaci o mal tollerati. Non deve essere somministrato nell’attacco gottoso acuto in quanto può aggravarlo, né deve essere improvvisamente sospeso se assunto da tempo. Il trattamento va iniziato una o due settimane dalla fine dell’attacco acuto, con basse dosi, da aumentare gradualmente. Inoltre, può essere somministrato in corso di terapia citotossica per neoplasie, condizione in cui vi è appunto stato iperuricemico. Gli effetti collaterali sono: disturbi gastrointestinali, febbre, rash cutanei, alopecia, linfoadenopatie, raramente alterazioni renali ed epatiche.

 
ALLORITMIA

Disturbo del ritmo cardiaco caratterizzato dalla presenza di extrasistole (battiti cardiaci fuori tempo nel ritmo) che si intercalano con regolarità nella successione dei battiti normali. Il disturbo, legato a sofferenza del muscolo cardiaco o a turbe neurovegetative, o a intossicazioni da caffè, da tabacco ecc., è facilmente percepito al polso.L’a. talvolta non dà alcun segno di sé, rappresentando un reperto casuale  spesso si manifesta con sensazioni di tuffo al cuore o di fremito alla regione cardiaca, raramente accompagnato da sensazioni dolorose. Con l’esame elettrocardiografico non solo se ne mette in luce la presenza, ma è possibile identificare più precisamente il punto di insorgenza del disturbo.

 
ALLOSSANA

Potente fattore diabetogeno, come tale è usato nella sperimentazione, soprattutto nell’ambito della scienza dell’alimentazione. In terapia è usato come antineoplastico nell’adenoma delle cellule insulari del pancreas.

 
ALLOTRIOFAGIA

Perversione patologica del gusto, per cui il malato è attirato da sostanze ripugnanti come feci, terra, vermi ecc. L’allotriofagia si manifesta in alcune psicopatie e in casi di anchilostomiasi.

 
ALLUCE

Primo dito del piede, di solito è quello di maggiori dimensioni. Al contrario delle altre dita del piede è costituito da due sole falangi, poiché manca della falange intermedia.

 
ALLUCINAZIONE

Stato psichico di un soggetto che abbia l’intima convinzione di una sensazione attuale, mentre nella realtà nessuno stimolo atto a determinare quella sensazione è presente ai suoi sensi. Nella terminologia psichiatrica vanno distinte dalle allucinazioni: le illusioni, in quanto deformazioni di dati sensoriali reali, come il riconoscere, per esempio, una melodia nel rumore del treno  le interpretazioni, giudizi falsi su dati sensoriali anch’essi reali, per esempio il ritenere come rivolto a se stessi un richiamo qualunque  le allucinazioni fisiologiche dei soggetti normali, come il sogno  infine le allucinosi, in quanto fenomeni psicosensoriali che non impegnano generalmente il soggetto nella credenza della loro realtà.Le allucinazioni vengono poi classificate secondo lo schema di Baillarger in due gruppi:- allucinazioni psicosensoriali, quando hanno precisi attributi di sensorialità e che possono riguardare tutte le attività sensoriali, per cui si hanno allucinazioni visive, olfattive, gustative, acustiche, tattili ecc. - allucinazioni psichiche, in cui l’attività allucinatoria viene vissuta dal soggetto non più come impressione sensoriale, ma come pensiero o sentimento: per esempio voci interne, eco del pensiero. Queste ultime sono anche dette pseudoallucinazioni in quanto manca loro quel carattere di sensorialità che dovrebbe esser proprio dei fenomeni allucinatori. Alcune allucinazioni sono poi componenti caratteristiche di stati morbosi, come le zoopsie (visioni di animali) dell’alcolismo cronico e quelle dei cocainomani. Vario è il comportamento del soggetto che allucina: può fuggire come davanti ad animali feroci, oppure proteggersi da nemici minacciosi, rispondere a voci immaginarie, fissare lo sguardo, tendere l’orecchio, apprestare operazioni difensive come mettersi tamponi nelle orecchie.

 
ALLUCINAZIONE IPNAGOGICA

Fenomeno dello stato di sonnolenza che precede il sonno. Esso consiste in una successione di immagini visive, progressivamente incoerenti, a cui il soggetto assiste riconoscendone la irrealtà.

 
ALLUCINAZIONE IPNOPOMPICA

Fenomeno psicosensoriale analogo alle immagini ipnagogiche, proprio della fase ipnopompica del sonno, cioè di quella fase che precede il risveglio.

 
ALLUCINOGENI

Sostanze capaci di provocare fenomeni psicologici abnormi, d’abitudine transitori, simili a quelli spontaneamente riscontrabili in alcune malattie mentali, e tipicamente nella psicosi schizofrenica. Per questo motivo gli a. vengono anche denominati psicodislettici, psicotomimetici o deliriogeni. I fenomeni psichici provocati dagli a. interessano soprattutto la percezione (allucinazioni, esperienze illusionali), l’affettività (alterazioni dell’umore), nonché il pensiero (alterazioni del corso del pensiero e del contenuto ideativo), finendo col compromettere l’intero comportamento. L’interesse della scienza per gli a. è relativamente recente, come pure recente è la loro diffusione soprattutto fra i giovani nel mondo occidentale (la droga), al fine di realizzare condizioni di liberazione dall’angoscia che finiscono per determinare situazioni di dipendenza da questi farmaci (tossicomanie). Altro sinonimo con cui gli a. vengono oggi indicati è misticomimetici: tale definizione testimonia del persistere, anche nella nostra cultura, dell’antica credenza che attribuiva a questi farmaci la proprietà di far accedere a superiori dimensioni dell’esperienza, provviste di valore positivo.Gruppi principali:- derivati indolici (dietilamide dell’acido lisergico o LSD, dimetiltriptamina, bufotenina, derivati dell’armina, adrenocromi) - derivati feniletilaminici (mescalina, amfetamina e derivati) - anticolinergici centrali (ditran, fenciclidina) - derivati tetraidrocannabinolici (hashish, marijuana) - sostanze a struttura chimica diversa e meno conosciuta (per es. i derivati dell’Amanita muscaria).Il più noto degli a., la mescalina, è contenuto nel peyotl, una cactacea messicana. Usata dagli Aztechi per indurre l’estasi religiosa, venne introdotta in Europa e impiegata a scopo sperimentale nel 1926.Lo studio chimico della segale cornuta, che causò in passato disturbi psichici di massa in popolazioni che si erano alimentate con farine contenenti il fungo parassita Claviceps purpurea, condusse a individuare nell’acido lisergico il responsabile specifico delle manifestazioni tossiche (1934). Nel 1938 venne scoperta l’azione allucinogena di un suo derivato, la dietilamide dell’acido lisergico, comunemente nota con la sigla LSD. Tale sostanza è attiva a dosi molto basse, dell’ordine del milionesimo di grammo. Gli effetti sul corpo interessano soprattutto la sfera neurovegetativa (con nausea, vomito, sensazioni di freddo, aumento della pressione sanguigna, dilatazione delle pupille), e il sistema nervoso centrale (incoordinazione motoria, aumento dei riflessi ecc.). Di maggiore interesse sono gli effetti psichici, che configurano una sindrome relativamente costante. Il paradigma di questi quadri è particolarmente fornito dalla mescalina e dall’LSD. Sul piano affettivo si riscontra l’insorgere progressivo di uno stato di ansietà, che può dare una tonalità terrificante all’intera esperienza. È però possibile che si sviluppi invece una discreta euforia, che può evolvere sia verso sentimenti estatici, sia verso gravi crisi di furore. Il pensiero si fa veloce, aumenta la distraibilità del soggetto, sino a trasformare l’ideazione in un caotico vortice di associazioni. L’abituale modo di vivere lo spazio e il tempo finisce con l’essere profondamente sconvolto: tutto appare in movimento, il peso e le distanze si annullano, suoni e colori acquistano una vivezza insolita. L’immagine stessa del proprio corpo è sentita ingigantita, rimpicciolita, trasformata  gli arti possono sembrare disarticolati. Tutto l’ambiente appare mutato. Appaiono visioni complesse, arabeschi dai colori insoliti, sino a configurare una sorta di sogno ad occhi aperti, al quale il soggetto assiste spesso senza perdere la consapevolezza del carattere abnorme dell’esperienza.La proposta di un impiego terapeutico degli a. nelle malattie mentali, a scopo catartico o esplorativo, eventualmente nel corso di una psicoterapia, non ha sinora trovato un reale consenso da parte degli psichiatri.Per contro si va sempre più diffondendo, sino ad assumere proporzioni allarmanti, l’uso degli allucinogeni fra i giovani. Una propaganda insensatamente entusiastica, accompagnata da sovrastrutture filosoficheggianti e da considerazioni critiche sulla società del “benessere”, spesso pienamente giustificate, finiscono col fornire una copertura ideologica a soluzioni tossicomaniche delle difficoltà proprie della crisi giovanile nella nostra società. Si tratta di un problema di proporzioni inquietanti, che coinvolge le responsabilità dell’uomo politico e dello scienziato, i quali non si devono limitare a un’azione repressiva o a segnalare i danni anche somatici prodotti da queste droghe. Si deve infatti in primo luogo intendere la stretta correlazione esistente fra il generico disagio giovanile, la sofferenza individuale di chi adotta comportamenti tossicomani e un assetto sociale che, tendendo a negare i valori fondamentali dell’uomo, induce a soluzioni evasive, con cui molti giovani tentano, anche a prezzo di un dissolvimento personale, di recuperare un’illusoria identità positiva che non trovano nella famiglia e nella società.

 
ALLUCINOSI

Termine impiegato differentemente da diversi autori per esprimere significati diversi:- sindrome psichica acuta, presente talvolta nei soggetti intossicati cronici dall’alcol e caratterizzata dalla triade sintomatologica: coscienza lucida, stato depressivo-ansioso, turbe psicosensoriali per lo più di tipo uditivo - delirio, accompagnato da allucinazioni - disturbo vissuto con il senso della estraneità, senza una vera partecipazione affettiva ed emotiva per cui al fenomeno viene attribuito un significato di visione fantastica, a differenza dell’allucinazione, nella quale il soggetto vive il disturbo con il senso della realtà - a. peduncolare, che è un aspetto particolare dell’a. Il malato vede immagini colorate, umane o animali, dotate di movimento, che si svolgono davanti a lui come in un film. Quasi sempre il disturbo assume carattere allucinatorio.

 
ALLUME

Solfato di alluminio e potassio, impiegato come astringente ed emostatico  costituente delle matite emostatiche.

 
ALLUMINIO

Elemento chimico, metallo. In forma di idrossido e utilizzato come farmaco antiacido nella terapia e nella profilassi della ipersecrezione gastrica, nell’ulcera peptica ed esofagite da reflusso. Ha come effetto collaterale principale la stipsi, per questo è in genere associato ad idrossido di magnesio.

 
ALLUMINOSI

Malattia polmonare provocata dall’inalazione di polveri di alluminio o di un suo ossido.

CAUSE
Appartiene al gruppo delle pneumoconiosi in cui si riuniscono tutte le affezioni dovute a penetrazione di materiale estraneo nei polmoni, per lo più in rapporto a particolari condizioni di lavoro o ambientali che espongono il soggetto a introdurre aria inquinata da polveri. L’a. si osserva soprattutto in lavoratori dell’industria degli abrasivi, delle vernici, dei fuochi artificiali. La polvere di alluminio provoca un processo infiammatorio cronico localizzato nel tessuto interstiziale del polmone, che evolve lentamente verso la fibrosi, determinando così un ostacolo agli scambi gassosi tra aria inspirata e sangue.

SINTOMI
La malattia si manifesta, a distanza di tempo variabile da pochi mesi a molti anni dall’inizio all’esposizione, con difficoltà respiratoria che peggiora nel corso della malattia, tosse secca, cianosi, fino all’insufficienza respiratoria. La malattia, come tutte le pneumoconiosi, è una patologia lentamente progressiva e irreversibile.

DIAGNOSI
La diagnosi viene posta in base all’amamnesi, all’esame obiettivo del paziente, alla diagnostica per immagini (tac torace, RX torace), alle prove di funzionalità respiratoria.

TERAPIA
La terapia prevede l’allontanamento dalla polvere di alluminio, il riposo, l’ossigeno-terapia, l’ uso di farmaci broncodilatatori (efficaci solo nelle prime fasi di malattia) e di cortisone. Oggi in casi molto selezionati si può proporre il trapianto polmonare.

 
ALOE

(Dall’arabo mare o amaro) con questo termine vengono definite circa 240 piante grasse tipiche dei climi caldi, appartenenti alla famiglia delle Gigliacee. Proviene dalle Indie occidentali nel mar dei Caraibi, dalle Barbados e dalle Antille olandesi, da regioni tropicali del Mediterraneo, India, Antille, Arabia, coste africane e Australia.Tra le oltre 240 specie menzionate solo 4 sono state studiate a sufficienza e sono riconosciute avere notevoli poteri nutrizionali.In effetti l’a. contiene più di 75 nutrienti e più di 200 composti attivi tra cui 12 vitamine, 18 aminoacidi tra cui 8 aminoacidi essenziali e 20 minerali.La meglio studiata e conosciuta è la berbadensis miller o vera.Per gli scopi terapeutici vegono usati il succo condensato e seccato, ottenuto dai tubuli pericilici esterni delle spesse foglie e ricchi in antrachinoni, e il gel estratto dalle parti centrali della foglia che al contrario sono prive di antrachinoni ma sono ricche in acqua, enzimi, fattori di crescita, acidi organici e mono- e polisaccaridi.L’a. in forma di gel, ricca in acemannani, viene utilizzata come cicatrizzante, citoprotettore gastrico, antinfiammatorio, battericida, contro le verruche e i condilomi e alcuni esplicano anche un suo effetto come immunomodulante e antitumorale.Da una recente ricerca è infatti emerso che la molecola che si estrae dall’a. vera, chiamata aloe-emodina, abbia una particolare efficacia anche nei tumori neuroectodermici che costituiscono il 12% dei tumori che colpiscono i bambini, e garantisca un livello molto basso di tossicità.Il contenuto ricco in antrachinoni dell’a. in forma condensata è responsabile del suo effetto lassativo ed è altresì responsabile dei suoi effetti tossici quali la diarrea e la possibile comparsa di una pigmentazione della mucosa colica (pseudomelanosis coli) sospetta per probabile lesione precancerogena.È controindicata, inoltre, durante l’allattamento in quanto passa al neonato attraverso il latte e durante il periodo mestruale e la gravidanza, perché causa iperemia dei visceri pelvici potendo provocare metrorragie ed aborto.

 
ALOPECIA

Assenza di capelli o di peli per cause congenite o acquisite. Sebbene possa riguardare tutto il sistema pilifero, è il cuoio capelluto a essere più frequentemente interessato, in modo diffuso o limitatamente ad aree circoscritte.

CAUSE
Le cause sono assai diverse e non sempre facilmente individuabili. Esistono forme di a. congenita, rare e spesso trasmesse come carattere ereditario in associazione con altre stigmate malformative. Molto più frequenti sono invece le a. acquisite. Spesso esse sono una manifestazione transitoria e reversibile che compare nel corso di malattie generali dell’organismo. Tra le causa note va riportata l’eccessiva produzione di sebo in seguito a alterazioni ormonali (vedi a. seborroica o androgenica)Con il termine di telogen effluvium vengono definite alopecie da cause diverse che hanno in comune un caratteristico, rapido e prematuro passaggio dei capelli dallo stadio di anagen a quello di telogen, con conseguente diffusa caduta dei medesimi. L’esito non è mai un’a. totale, ma solo un diradamento diffuso. In genere sono tutte caratterizzate da un decorso acuto, con insorgenza circa 3 mesi dopo il verificarsi dell’evento precipitante. Si possono manifestare alopecie conseguenti a malattie febbrili acute che vanno da una comune sindrome influenzale con iperpiressia ad una broncopatia, o a qualsiasi altra malattia febbrile di solito di natura infettiva. Nella sifilide si può verificare un telogen effluvium dopo 3-5 mesi dall’inizio del periodo secondario, oppure si può avere la comparsa di una tipica a. areolare. Una copiosa caduta di capelli si verifica normalmente dopo il parto. Durante la gravidanza, infatti, a partire dal secondo trimestre, si ha una drastica riduzione della percentuale di capelli in telogen dal normale 20% al 10% e una maggiore permanenza nella fase di anagen, dovuta probabilmente all’aumento degli estrogeni che si verifica in tale circostanza. Pertanto capelli che cronologicamente sarebbero giunti al termine del ciclo, in realtà continuano a crescere perché rimasti nella fase di anagen. Al momento del parto, in seguito all’improvvisa caduta del tasso ematico di estrogeni, si ha un accelerato passaggio dei capelli in telogen e una abbondante caduta, più che una vera a., che si estrinseca in un telogen effluvium. Alopecie nel corso di gravi malattie cachetizzanti, malattie del sangue, malattie immunitarie (lupus, sclerodermia), in situazioni di malnutrizione o di denutrizione come anche nella carenza di ferro a livello tissutale, sono pure di frequente riscontro. Numerosi farmaci (anticoagulanti, citostatici,ecc.) e intossicazioni croniche (da arsenico, mercurio, tallio, benzodiazepine) possono provocare alopecie diffuse con meccanismi d’azione diversi e spesso sconosciuti tutte queste sono reversibili alla sospensione del farmaco. Vari tipi di a. si possono verificare nel corso di disfunzioni endocrine. Nell’ipopituitarismo si ha secchezza, assottigliamento, fragilità e caduta di tutti i peli, compresi quelli ascellari, pubici e i capelli. Nell’ipotiroidismo si ha una diffusa perdita dei capelli e dei peli del corpo, con particolare interessamento delle sopracciglia. Nell’ipertiroidismo si sviluppa pure a. in una notevole percentuale di casi. Un’a. a chiazze irregolari con capelli radi, fragili e secchi si può avere nell’ipoparatiroidismo. Anche il diabete scompensato può causare a. Si deve ricordare, inoltre, che eccessive manipolazioni in corso di trattamenti cosmetici, permanenti, massaggi troppo energici, la spazzolatura frequente e prolungata sono tutte condizioni che provocano una caduta di capelli da trazione, analoga a quella osservabile nella tricotillomania. Quest’ultima situazione è frequente nei bambini che presentano problemi psicologici e portano frequentemente le mani ai capelli stirandoli. Anche il casco e l’asciugacapelli sia per danno diretto dovuto al calore sia per una stimolazione della seborrea, sono dannosi per i capelli.A. seborroica o androgeneticaUna causa molto comune di a. si ha con l’eccessiva secrezione di sebo da parte delle ghiandole sebacee del cuoio capelluto.

Tale tipo di a. si ha soprattutto in soggetti maschi e insorge attorno ai 20 anni evolvendo poi lentamente, a volte con esacerbazioni stagionali o in rapporto a condizioni di affaticamento fisico o intellettuale. Essa inizia di solito alle tempie che si espandono in modo simmetrico, interessa poi a uno stadio intermedio la sommità del cuoio capelluto e infine può lasciare soltanto una mezza corona di capelli (calvizie ippocratica). Tale forma si può avere anche nella donna, nella quale tuttavia solo eccezionalmente può portare alla calvizie. Oltre all’eccessiva secrezione di sebo intervengono a determinare questo tipo di a. sicuramente anche altri fattori, e particolarmente una predisposizione ereditaria. La cura si basa su trattamenti generali (spesso inefficaci) tesi a ridurre la secrezione sebacea (vitamine del gruppo B, trattamenti ormonali) più efficaci invece sono i trattamenti locali (frequenti shampoo, massaggi, trattamenti con lozioni aventi lo scopo di attivare la circolazione nel cuoio capelluto).Nella donna esistono almeno tre forme diverse di a. androgenetica:- a. androgenetica di tipo maschile, molto rara, del tutto identica a questa anche nella sua evoluzione - a. androgenetica di tipo femminile, molto frequente, con caratteristiche sue particolari- a. post-menopausale, considerata una variazione della precedente.In tutte queste forme esiste sempre un fattore genetico che permette il manifestarsi dell’a. in presenza di un adeguato stimolo androgenico. Nell’a. androgenetica di tipo maschile vi sono sempre gravi squilibri ormonali, spesso con una escrezione urinaria di testosterone uguale o superiore a quella di un uomo normale. Un’a. di tipo maschile si può manifestare anche in donne, geneticamente predisposte, sottoposte a terapie con ormoni androgeni o anabolizzanti a dosi elevate per almeno alcuni mesi.L’a. androgenetica di tipo femminile è la forma più frequente nella donna. Si manifesta con una rarefazione dei capelli a corona, la quale risparmia sempre una sottile frangia di capelli in regione frontale che si continua con una fascia laterale e posteriore di capigliatura normale. Nelle fasi più avanzate si può arrivare ad una a. analoga a quella di tipo maschile con la sola differenza che permane quasi sempre questa sottile frangia di capelli sulla fronte.

TERAPIA
Alle pazienti con una a. legata a un metabolismo androgeno alterato si possono somministrare estroprogestinici o farmaci antiandrogeni come il ciproterone acetato o lo spironolattone.A. Areata o area CelsiÈ una a. circoscritta piuttosto frequente. È ugualmente diffusa in entrambi i sessi. Sembra che vi sia anche una certa predisposizione di tipo familiare.L’eziologia è tuttora sconosciuta. Importante è l’ipotesi dell’origine psicosomatica che, anche se difficilmente dimostrabile, trova molti consensi. Spesso nell’anamnesi di questi pazienti o meglio in un approccio psicoanalitico, si possono rinvenire traumi di natura psicoaffettiva, sindromi conflittuali o ansiose di cui a volte il paziente stesso non è cosciente. Accanto ad esse esiste anche una teoria autoimmunitaria si è osservato infatti che un denso infiltrato infiammatorio, costituito prevalentemente da linfociti, è presente intorno alla parte inferiore dei follicoli nella prima fase della malattia.Clinicamente l’a. areata inizia con una o poche chiazze rotondeggianti od ovalari, nettamente circoscritte, del diametro di uno o più centimetri, localizzate più frequentemente al capillizio e alla barba, ma può interessare qualsiasi distretto cutaneo ove siano normalmente presenti peli. In un primo tempo nelle fasi attive della malattia, la chiazza si estende centrifugamente con progressiva caduta dei peli in periferia, finché si stabilizza e rimane tale per qualche tempo. Nelle chiazze in fase attiva di estensione si osserva perifericamente la presenza di capelli tronchi, resi fragili dalla malattia, facilmente estraibili, senza provocare dolore, con un bulbo assottigliato e atrofico, definiti per il loro aspetto “capelli a punto esclamativo” che sono caratteristici di questa affezione.Tuttavia si tratta di una malattia funzionale, in cui non vi sono lesioni permanenti e irreversibili del follicolo pilifero pertanto solitamente entro un lasso di tempo che può variare da qualche mese a qualche anno, si ha la tendenza alla ricrescita dei peli.

TERAPIA
La psicoterapia unita alla somministrazione di sedativi per via generale, sembra essere utile per curare questa forma di a. Localmente si possono applicare cortisonici fluorurati con risultati discreti tuttavia spesso i capelli ricresciuti per effetto dei cortisonici ricadono quando si sospende la terapia.

Questo vale anche per i cortisonici somministrati per via generale nelle forme più estese e più gravi di a. areata o di a. totale o universale. Sempre nei casi più estesi si sono ottenuti buoni risultati con la fotochemioterapia (PUVA), ma incostanti e transitori. Recentemente, seguendo l’ipotesi di malattia autoimmune, è stata proposta una nuova terapia mediante applicazione topica di una sostanza nota come potente irritante e sensibilizzante: il dinitroclorobenzene (DNCB). Dai risultati sembra che questa sostanza, impegnando essa stessa i linfociti, li allontani dai follicoli piliferi. Più recentemente ancora è stata presa in considerazione la possibilità di un trattamento meccanico in grado di stimolare, in corrispondenza della ricca rete vascolare del cuoio capelluto, il flusso di sangue locale: il che equivale ad una migliore nutrizione dei follicoli piliferi. Si tratta dell’applicazione di ventose azionate elettricamente, sul cuoio capelluto  esse alternando momenti di risucchio e di rilassamento, esplicano una specie di massaggio oscillante che dai valori normali di flusso sanguigno (compreso tra 15 e 40 ml di flusso al minuto per 100 cm cubi di cuoio capelluto) li aumentano sensibilmente fino a 90 ml di flusso al minuto per 100 cm cubi di cuoio capelluto. Queste modificazioni circolatorie indotte con il metodo descritto è probabile che inducano una migliore irrorazione dei follicoli, con conseguente ripresa funzionale dell’attività proliferativa delle cellule del bulbo che prelude ad una ricrescita dei capelli.

 
ALOPERIDOLO

Farmaco neurolettico appartenente al gruppo dei butirrofenoni. Tra i farmaci di questo gruppo è il più utilizzato ed è prevalentemente impiegato come deliriolitico nelle psicosi. Possiede anche azione sedativa, antiemetica e antivertiginosa. Può potenziare l’effetto sedativo dei barbiturici e può essere utilizzato nella sindrome da astinenza da alcool.Tra gli effetti collaterali vengono contemplati effetti cardiovascolari (tachicardia, ipotensione), irrequietezza motoria, iperriflessia, convulsioni, disfonia, movimenti ritmici involontari di parti del volto, inibizione dell’attività sessuale, amenorrea, ipotiroidismo, disturbi nella minzione, stipsi, secchezza delle fauci, disturbi visivi, ittero, leucopenia e dermatosi cutanee.L’ utilizzo dei butirrofenoni è controindicato nelle persone fortemente depresse, nei cardiopatici gravi, durante la gravidanza e l’allattamento, nelle persone affette del Morbo di Parkinson o epilettiche.

 
ALPRAZOLAM

Farmaco ansiolitico appartenente al gruppo delle triazolo 1,4-benzodiazepine. Esplica i suoi effetti legandosi ai recettori del complesso GABAergico. Le benzodiazepine potenziano la neurotrasmissione GABAergica a tutti i livelli del sistema nervoso. L’acido gammabutirrico (GABA) è il maggiore neurotrasmettitore inibitore del sistema nervoso centrale.Il farmaco ha azione ansiolitica, sedativa-ipnotica, anticonvulsivante e miorilassante.Viene principalmente utilizzato nella terapia dei disturbi d’ansia.Gli effetti collaterali possibili sono astenia, sonnolenza, riduzione di capacità mentali quali memoria e concentrazione.Al pari di tutte le benzodiazepine, il farmaco, in seguito ad una somministrazione continuata, può indurre tolleranza ovvero una diminuita capacità di risposta che si esplica con la necessità di aumentare la dose per mantenere gli stessi effetti. Inoltre, quando usato cronicamente, può causare farmaco-dipendenza, per cui una brusca interruzione dell’assunzione del farmaco porterà alla comparsa di una sindrome da astinenza, caratterizzata da ansia, disturbi del sonno, nausea, sudorazione profusa, dolori muscolari.Le principali controindicazioni sono la gravidanza, l’allattamento, la miastenia gravis e il glaucoma ad angolo chiuso.

 
ALVEOLO

Termine con cui in anatomia si indicano strutture a forma di piccola cavità o celletta, uniche o raccolte in formazioni più complesse.

 
ALVEOLO DENTARIO

Piccola cavità scavata nelle ossa mascellari e nella mandibola, in cui è infisso il dente. Al fondo di ogni alveolo, che può essere suddiviso in più loculi a seconda del numero di radici del dente, si trovano canalicoli attraverso cui passano vasi e nervi diretti al dente.

 
ALVEOLO GHIANDOLARE

Porzione terminale, a forma tondeggiante, di certi tipi di ghiandole. Vi sono ghiandole formate da un unico alveolo che comunica con l’esterno per mezzo di un proprio dotto escretore (ghiandole alveolari semplici) e ghiandole formate da più alveoli, il cui prodotto di secrezione confluisce in un sistema di dotti escretori comuni (ghiandole alveolari composte).

 
ALVEOLO POLMONARE

Piccola dilatazione a forma di vescicola anfrattuosa, costituente la porzione più periferica, terminale, dell’albero bronchiale. Gli alveoli polmonari fanno seguito ai bronchioli e hanno una parete molto sottile nella quale decorrono vasi sanguigni capillari. A questo livello avvengono gli scambi gassosi tra l’aria introdotta con la respirazione e il sangue. L’ossigeno, che è trasportato con la funzione ventilatoria negli alveoli dall’ambiente esterno, viene a contatto con il sangue che scorre nei capillari alveolari con l’intermediario della membrana alveolo-capillare. Il sangue che proviene dai tessuti in attività è povero di ossigeno (tensione parziale dell’ossigeno di 40 mm Hg) e ricco di anidride carbonica (tensione parziale dell’anidride carbonica di 45 mm Hg)  a livello del sistema alveolo-capillare si riscontra un passaggio di ossigeno verso il sangue e di anidride carbonica in senso inverso.

 
ALVO

Termine che indica il canale intestinale nel suo complesso. Si usa anche per definire la funzione della defecazione: a. normalmente canalizzato in caso di normalità  a. stitico, diarroico o, addirittura, a. chiuso in caso di problemi più o meno gravi della funzione. La ritardata evacuazione delle feci o un’evacuazione di feci meno abbondanti e di maggiore consistenza della norma (stitichezza), se insorgono improvvisamente, devono sempre far pensare a una causa organica, mentre le forme croniche sono di solito dovute a fattori funzionali.L’evacuazione frequente di feci liquide o poltacee (diarrea) può essere dovuta a numerosissime forme morbose, non necessariamente a carico dell’apparato digerente  quando la diarrea non è un episodio passeggero, magari chiaramente attribuibile a un eccesso alimentare o ad altra causa scevra di gravi conseguenze, è bene non ricorrere subito a rimedi sintomatici, bensì tentare di precisare una diagnosi e quindi praticare la terapia causale più appropriata.L’a. chiuso alle feci e ai gas può diventare un’emergenza chirurgica in quanto la mancata evacuazione e l’assenza del passaggio di aria possono indicare la presenza di una ostruzione intestinale (occlusione intestinale - ileo meccanico). Cause di ileo meccanico possono essere: volvolo, intussuscezione, masse che occupano il lume intestinali come tumori o ascessi.L’a. può essere chiuso alle feci e ai gas anche in risposta a patologie infiammatorie addominali (ileo paralitico o dinamico): appendicite, diverticolite, malattia infiammatoria pelvica, ecc.

 
ALZHEIMER-PERUSINI, malattia di

Forma di demenza in cui la corteccia risulta sensibilmente assottigliata, a causa della degenerazione delle cellule nervose. La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che con G. Perusini per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici.

CAUSE
In più del 90% dei casi l’esordio è sporadico nel 5-10% dei casi si osserva familiarità, cioè la presenza di una demenza d’A. nei parenti di primo grado tende a incrementare il rischio di contrarre la malattia. È verosimile che sia un complesso di fattori, ancora tutto da precisare e variabile da persona a persona, a determinarne lo sviluppo. È stata anche chiamata in causa l’ingestione d’alluminio (ma 30 anni di ricerche non hanno mai colto un nesso chiaro tra quest’elemento chimico e l’A.) ed è stato attribuito pure un ruolo ai traumi alla testa violenti (che hanno prodotto una perdita di conoscenza). Di certo, è coinvolto il patrimonio ereditario, visto che, nel 5-10 % dei casi, è rintracciabile un’alterazione a carico di particolari geni. Questo processo degenerativo distrugge lentamente le cellule del cervello: da una proteina detta APP, deriva un frammento chiamato beta-amiloide, e in chi è colpito dall’A. un’anomalia altera la struttura di tale frammento, che nel tessuto cerebrale s’accumula abnormemente formando placche capaci di danneggiare irrimediabilmente i neuroni. S’è scoperto inoltre che da un gene deriva una sostanza, una proteina chiamata ApoE, e la presenza nell’organismo di una certa varietà di questa molecola (l’ApoE4) segnala un rischio teorico maggiore d’ammalarsi.

SINTOMI
I sintomi della malattia sono di tipo cognitivo (perdita di memoria, disorientamento) e comportamentale (agitazione, insonnia, aggressività, allucinazioni).La demenza di A. si manifesta con lievi problemi di memoria, fino a concludersi con severi danni ai tessuti cerebrali, ma la rapidità con cui i sintomi si acutizzano varia da persona a persona. Nel corso della malattia i deficit cognitivi si acuiscono e possono portare il paziente a gravi perdite di memoria, a porre più volte le stesse domande, a perdersi in luoghi familiari, all’incapacità di seguire indicazioni precise, ad avere disorientamenti sul tempo, sulle persone e sui luoghi, ma anche a trascurare la propria sicurezza personale, l’igiene e la nutrizione.

DIAGNOSI
Si basa sulla clinica che deve sostanzialmente escludere la possibilità che la sindrome demenziale possa essere dovuta a cause trattabili. Prezioso è l’ausilio della Risonanza magnetica, che consente di ottenere un’immagine della struttura del cervello molto particolareggiata la Tac, utile per misurare gli spessori cerebrali la Spect, che valuta il flusso del sangue nel cervello (ridotto nei malati di A.) la pet, che coglie particolari cambiamenti nel funzionamento cerebrale (per esempio, un anormale uso dello zucchero, il principale combustibile dei neuroni).

TERAPIA
Nel cervello opera un neurotrasmettitore coinvolto nella comunicazione tra le cellule nervose: l’acetilcolina.Un enzima, l’acetilcolinesterasi, ha invece il compito di smaltire l’acetilcolina dopo che questa ha compiuto la sua funzione.È risultato che non c’è sufficiente acetilcolina nel cervello dei malati di A., per cui la terapia, inibendo con determinati farmaci l’enzima che degrada l’acetilcolina, punta a mantenere nel cervello una più elevata concentrazione di acetilcolina integra.Altri farmaci, inoltre, possono aiutare a contenere i problemi di insonnia, di ansietà e di depressione. Un nuovo medicinale è la memantina, approvata dalla Food and Drug Admimistration per il trattamento della malattia di A. in fase moderata-severa. Rappresenta il capostipite di una nuova classe di farmaci per il trattamento della demenza, bloccando in modo selettivo gli effetti dell’ipereccitazione indotta dal glutammato.Misure generaliPer quanto possibile, fare in modo che il paziente viva in un ambiente ordinato, così che possa svolgere la propria attività e occupazione evitare i cambiamenti di ambiente (i malati sono persone vulnerabilissime allo stress, progressivamente incapaci di adattarsi ai mutevoli fatti della vita).

È inoltre importante che i familiari ricevano un’assistenza psicosociale. L’A. e le altre demenze, infatti, non si guariscono ma è possibile curare molte condizioni di malattia, in particolare quelle che provocano la maggior sofferenza.Dai primi segni della perdita della memoria alle fasi più avanzate, quando compaiono sintomi che non danno pace, come i deliri, le allucinazioni, la depressione, i disturbi del sonno, la continua attività motoria, una buona assistenza può creare attorno al paziente e alla sua famiglia condizioni di serena protezione, che permettono di affrontare in modo più equilibrato l’evolvere degli eventi. Fra le varie terapie non farmacologiche proposte per il trattamento della demenza di A., la terapia di orientamento alla realtà (ROT, Reality Orientation Therapy) è quella per la quale esistono maggiori evidenze d’efficacia (seppure modesta).Questa terapia è finalizzata a orientare il paziente rispetto alla propria vita personale, all’ambiente e allo spazio che lo circonda tramite stimoli continui di tipo verbale, visivo, scritto e musicale.

 
AM - AN
AMALGAMA

Termine riferito a una lega del mercurio con altri metalli. In ambito odontoiatrico viene utilizzata un’amalgama di argento per le otturazioni dentarie.

 
AMANTADINA

Farmaco antivirale appartenente al gruppo delle adamantanamine che comprende anche la rimantadina. Impedisce l’ingresso del virus all’interno delle cellule sensibili. Ha azione nei confronti di alcuni mixovirus, come ad esempio il virus dell’influenza A (ma non la B), il virus della rosolia, ed alcuni virus oncogeni.Il farmaco è quindi impiegato nella profilassi dell’influenza A per prevenire i contagi interfamiliari, per proteggere soggetti ad alto rischio quali anziani e bambini e limitare la diffusione generalizzata del virus in caso di epidemia e nei soggetti ad alto rischio che risultano intolleranti o allergici al vaccino.Viene anche utilizzato nella terapia del morbo di Parkinson probabilmente per una sua azione potenziatrice dell’azione dopaminergica.Possibili effetti collaterali sono sonnolenza, depressione, tremori, crisi convulsive, irritabilità, irrequietezza, agitazione, insonnia, allucinazioni, vertigini, difficoltà di concentrazione, disturbi della parola, confusione, cefalea, nausea, vomito, insufficienza cardiaca congestizia, ipotensione posturale, ritenzione urinaria, riduzione dell’appetito e livedo reticularis.Il suo uso è controindicato in caso di ulcera peptica, epilessia, gravidanza e insufficienza cardiaca congestizia.

 
AMARTIA

Anomalia malformativa che si determina durante lo sviluppo embrionale, caratterizzata da una mescolanza abnorme di tessuti, con eccesso di uno o più di essi. L’alterazione può essere di grado diverso: da reperto evidenziabile solo con l’esame al microscopio a formazioni esuberanti di tessuto con aspetto similtumorale (amartomi), fino a interessare distretti estesi di un apparato o di più apparati a costituire sindromi malformative complesse. Sono amartie per esempio i comuni nevi pigmentati e gli angiomi della cute, i lipomi congeniti, i condromi ecc. Le amartie possono avere un accrescimento sincrono a quello degli altri tessuti dell’organismo, oppure accrescersi in modo più o meno autonomo e progressivo fino a costituire o a trasformarsi in veri e propri tumori, benigni o maligni.

 
AMARTOMA

Particolare tipo di lesione benigna, simil-tumorale, caratterizzata da una differenziazione cellulare aberrante che produce cellule o tessuti disorganizzati, ma specializzati ed originari di quel distretto in cui insorge. L’origine di queste lesioni è congenita. Si differenzia dalla neoplasia benigna proprio per la completa somiglianza strutturale al tessuto di appartenenza. Ad esempio, un a. polmonare può contenere tessuto cartilagineo, abbozzi di bronchi ed alveoli, isole di tessuto linfatico e vascolare, o prevalentemente uno di questi componenti. Altri siti di insorgenza sono il fegato, le vie biliari, il sistema nervoso, i testicoli, etc. Gli amartomi di piccole dimensioni sono solitamente asintomatici e scoperti casualmente durante indagini effettuate per altri scopi. Raramente sono voluminosi e provocano sintomi da compressione. Dato che la diagnosi differenziale tra a. e neoplasia è clinicamente impossibile, normalmente gli amartomi vengono asportati chirurgicamente ed inviati all’esame anatomopatologico.

 
AMASTIA

Termine indicante la mancanza congenita di una mammella (amastia unilaterale) o di entrambe (amastia bilaterale).

 
AMAUROSI

Perdita completa della vista, non associata ad alterazioni patologiche delle strutture oculari. Può essere dovuta a lesioni delle vie ottiche o dei centri nervosi relativi, in rapporto a traumi, processi infiammatori, alterazioni degenerative, emorragia, ischemia, tumori, intossicazioni (per es. da nicotina, mentolo, solfuro di carbonio, barbiturici, etilismo cronico, uremia).

 
AMBIDESTRO

Viene indicato con tale termine un individuo in grado di utilizzare con uguale abilità, tanto la mano destra quanto la sinistra o entrambi i piedi. Tale capacità può essere il risultato di una attitudine innata dell’individuo o al contrario frutto di un addestramento particolare.

 
AMBIENTE

Molteplicità di eventi, spesso sfocati e non chiaramente individuati, in cui si colloca il fenomeno osservato. L’interesse della psicologia è rivolto prevalentemente ad analizzare le relazioni che si stabiliscono tra i diversi elementi che costituiscono l’a., e tra questi e l’oggetto o gli oggetti dell’osservazione. La domanda cruciale è la seguente: quanto l’uomo deve all’ambiente e quanto invece a fattori ereditari? L’a. ha un’influenza determinante nel dirigere lo sviluppo della personalità individuale. Il particolare clima affettivo esistente in famiglia influenza l’individuo sin dal momento della nascita, fornendogli modelli morali a cui rapportare i propri comportamenti e con cui valutare quelli degli altri. L’autonomia o la dipendenza individuali sono altrettante caratteristiche di personalità la cui formazione è direttamente influenzata dall’a.Da un punto di vista socio-culturale, l’a. è responsabile della formazione di stereotipi che vengono trasmessi ai singoli e da questi fatti propri, ma il singolo individuo, a sua volta, ha la possibilità di intervenire sull’a. accettando o rifiutando quanto gli viene proposto.Naturalmente l’accettazione e il rifiuto sono due poli opposti di una scala dotata di innumerevoli valori intermedi: la singola persona può scegliere uno di tali valori operando così una maggiore o minore integrazione con l’a. Un aspetto particolare è dato dal fatto che non si verifica mai una completa integrazione o un completo rifiuto verso l’a.: comunque sia vi saranno sempre degli atteggiamenti di differenziazione o degli atteggiamenti di accettazione. Esiste cioè un generale equilibrio tra i diversi elementi costituenti un a.  equilibrio che però non è statico, ma piuttosto oscillatorio. Le diverse componenti possono cambiare valore e attestarsi su posizioni diverse, senza però che la modificazione superi certi livelli: altrimenti causerebbe una probabile profonda alterazione dell’a., tanto profonda da renderlo irriconoscibile rispetto a ciò che era prima.In psicologia il concetto di a., caro all’ecologia, è espresso con due concetti, sistema e contesto, che sembrano meglio rispondere alle esigenze dei nuovi modelli di analisi e di intervento che si vanno sviluppando. In particolare per quanto riguarda lo studio sistematico delle problematiche che emergono nelle relazioni tra due o più individui, si preferisce parlare di sistema di relazioni e di contesti.

 
AMBIENTE INTERNO

Concetto, introdotto dal fisiologo C. Bérnard, che si riferisce al mezzo nel quale vivono le cellule di un organismo superiore (per es. un mammifero) e corrisponde al liquido interposto tra una cellula e l’altra, detto liquido interstiziale. Le sue caratteristiche chimiche e fisiche sono mantenute costanti con il rifornimento di sostanze nutritive e l’eliminazione di scorie operata dal sangue, intermediario tra l’a. esterno (tramite gli apparati digerente, respiratorio, urinario ecc.) e l’a. interno (per diffusione attraverso le pareti dei capillari sanguigni).Per definizione un organismo unicellulare è di a. interno.

 
AMBIVALENZA

Termine reso celebre dalla psicoanalisi nell’ambito della quale esso indica la presenza simultanea di emozioni e disposizioni d’animo contraddittorie verso una stessa persona o uno stesso oggetto. Si tratta, cioè, di un atteggiamento affettivo nel quale sono individuabili due opposti sentimenti (per es. amore e odio), che si trovano a convivere forzatamente, senza riuscire a conciliarsi. In questo senso, l’a. è da distinguere dall’impasto degli istinti (Triebmischung) che è fusione delle cariche psichiche di istinti di specie opposta, i quali danno luogo a un nuovo istinto. Nell’a. invece, gli istinti agiscono ciascuno per conto proprio e in contrasto, pur sussistendo l’uno accanto all’altro. Il termine, introdotto da E. Bleuler, è stato sviluppato concettualmente da S. Freud che ne ha fissato i caratteri peculiari.

 
AMBLIOPIA

Diminuzione dell’acutezza visiva di uno o di entrambi gli occhi su base funzionale, quindi non associata ad alterazioni patologiche delle strutture oculari.

CAUSE
Può essere un sintomo di malattie generali o di intossicazioni, più spesso però è unilaterale e associata a difetti della vista quali lo strabismo e l’anisometropia (v.) che, determinando la visione di immagini doppie, non consentono la visione binoculare: in tal caso il soggetto involontariamente esclude dalla visione uno dei due occhi. Anche se l’occhio, magari con l’ausilio di lenti correttive, è in grado di focalizzare correttamente le immagini sulla retina, il sistema nervoso non riesce a utilizzarle. L’a. non è stata ancora spiegata in modo soddisfacente: probabilmente si tratta di un fenomeno del sistema nervoso centrale . L’a. strabica è praticamente una complicanza dello strabismo concomitante, caratteristico dell’infanzia. Le immagini retiniche dell’occhio deviato sono soppresse, cioè non vengono percepite: a livello cerebrale si instaura progressivamente il blocco delle immagini provenienti dall’occhio deviato. In altri casi, invece, e più spesso negli strabismi alternanti con un angolo di deviazione elevato, non avviene la soppressione delle immagini provenienti dall’occhio deviato, ma il cervello si adatta a questa condizione sviluppando un’altra anomalia sensoriale, la corrispondenza retinica anomala. In tale condizione l’immagine che si forma su una parte eccentrica della retina dell’occhio deviato, divenuto il punto corrispondente alla fovea dell’occhio fissante, non viene bloccata ma proiettata nella stessa direzione dell’immagine formata sulla fovea dell’occhio che fissa. Il cervello, in pratica, si abitua a considerare come fovea un punto retinico extrafoveale dell’occhio deviato, ma l’efficienza di questa alterata visione binoculare è minima e si accompagna a una grave riduzione dell’acutezza visiva.

SINTOMI
Difficilmente individuabili l’a. può instaurarsi essenzialmente tra la nascita e l’inizio della scuola elementare, per cui tutti i bambini dovrebbero essere visitati da un oculista in età prescolare (per esempio a 3 anni).

DIAGNOSI
Visita oculistica.

TERAPIA
La terapia di queste forme richiede la correzione del difetto e la rieducazione dell’occhio ambliope mediante bendaggio di quello sano.

 
AMEBA

Nome comune di alcuni generi di Protozoi che comprendono specie di acqua dolce, di acqua marina e parassiti di animali e uomini. Con il termine a. più particolarmente si indica il protozoo Entamoeba histolytica, parassita che causa l’amebiasi.

 
AMEBIASI

Si intende per amebiasi la presenza nell’organismo umano di un protozoo, Entamoeba histolytica, indipendentemente dalla comparsa di manifestazioni cliniche. La malattia amebica è invece caratterizzata dall’invasione della parete intestinale da parte del parassita.L’infestazionene dell’organismo avviene attraverso l’ingestione di alimenti inquinati contenenti le forme cistiche del parassita emesse con le feci. Le cisti vivono a lungo nell’ambiente esterno. Nell’intestino tenue, per effetto dei succhi gastrici, le membrane delle cisti vengono disciolte e si originano i trofozoiti che si moltiplicano e passano nell’intestino crasso, ove si localizzano e compiono il loro ciclo di sviluppo provocando infiammazione e ulcerazioni della mucosa.L’infezione è diffusa. La diffusione della malattia in un’aera geografica è determinata da fattori sociali, economici, igienici. La gravità della malattia è condizionata dalla coesistenza di fattori quali la malnutrizione, la gravidanza, l’allattamento ecc. Il contagio avviene dal portatore sano, dal convalescente o dal portatore cronico, che eliminano con le feci le cisti, le quali, resistendo a lungo nell’ambiente, contagiano le acque, il terreno, gli alimenti (specialmente le verdure). Il malato in fase acuta non è contagioso perché non elimina le cisti, ma solo il parassita, che non sopravvive nell’ambiente. Non è perciò necessario l’isolamento del malato, tuttavia si consiglia prudenza nella manipolazione delle feci e della biancheria, specialmente nella fase conclusiva della malattia.

SINTOMI
Possono essere molto vari in relazione all’organo invaso dall’ameba si potranno, perciò manifestare sintomi intestinali o extra-intestinali.L’infezione può decorrere in maniera asintomatica, oppure può provocare inappetenza, dolori e coliche addominali e diarrea. Tale disturbo può diventare sempre più grave (10-20 scariche diarroiche) con emissione di feci sanguinolente, dimagramento e disidratazione. Tali sintomi tendono però ad attenuarsi spontaneamente e la malattia assume così un andamento subacuto o cronico con periodi di benessere alternati a periodi in cui ricompaiono i sintomi, simulando altre patologie gastro-intestinali.Le manifestazioni extra-intestinali dalla malattia amebica possono manifestarsi a carico del fegato, e del polmone. L’ascesso epatico è la manifestazione extraintestinale più comune, caratterizzata dalla comparsa di febbre elevata e dolore addominale intenso.

DIAGNOSI
Con l’esame microscopico delle feci è possibile riconoscere la presenza del parassita.

TERAPIA
Si basa sulla somministrazione di farmaci antiamebici (emetina, metronidazolo) in caso di ascessi è invece necessario l’intervento chirurgico con svuotamento della raccolta ascessuale.

 
AMEBICIDI

Farmaci utilizzati nella terapia dell’amebiasi nelle sue diverse forme cliniche (dissenteria amebica e ascessi amebici da Entamoeba histolytica).Vengono suddivisi i a. tissutali, attivi anche nella amebiasi extraintestinale, e a. di contatto, attivi solo nell’amebiasi intestinale in quanto non vengono assorbiti a livello intestinale.Vengono utilizzati in associazione tra di loro in schemi terapeutici diversi a seconda dei casi in modo da aumentarne l’efficacia.Il primo gruppo comprende i nitroimidazoli tra cui il metronidazolo, l’emetina, la deidroemetina, la clorochina e la mepecrina.Al gruppo degli a. di contatto appartengono invece la paromomicina, la diloxanide furoato e altri derivati della dicloroacetamide, il difetarsone, i derivati della chinolina (la diiodoidrossichinolina), le tetracicline e l’eritromicina.La notevole efficacia degli a. tessutali nei confronti degli ascessi epatici ha limitato il ricorso alla chirurgia e alle manovre interventistiche di aspirazione evacuativa solo agli ascessi complicati o di grandi dimensioni.

 
AMENORREA PRIMARIA

Il fatto che all’epoca della pubertà (12-13 anni) non compaiono mestruazioni può essere legato sia a cause direttamente connesse con l’apparato genitale (cause genitali) sia a cause che solo indirettamente agiscono sulla funzione genitale (cause extragenitali).

CAUSE
Tra le cause genitali vanno ricordate le gravi malformazioni dell’apparato sessuale (mancanza o insufficiente sviluppo delle ovaie e dell’utero). Vi possono poi essere casi in cui il meccanismo regolatore della funzione ovarica e mestruale agisce regolarmente: queste ragazze, all’epoca della pubertà, presentano un regolare sviluppo corporeo, con comparsa di peli al pube e alle ascelle, sviluppo delle mammelle e degli organi genitali esterni, tuttavia non hanno mestruazioni. Si pensa che esista un’insensibilità della mucosa uterina agli stimoli ormonali (estrogeni e progesterone) provenienti dall’ovaio.Le cause extragenitali sono svariate. Possono essere legate alle disfunzioni del diencefalo e dell’ipofisi, che modificano o aboliscono la produzione degli ormoni ipotalamici e ipofisari questi ultimi, stimolando l’ovaio, causano la produzione di estrogeni e di progesterone. Sempre nel campo del sistema endocrino, una grave deficienza dell’attività della tiroide (cretinismo) può essere causa di a. primaria. Tra gli altri fattori ricordiamo i gravi stati di denutrizione, le avitaminosi, le malattie infettive croniche (soprattutto la tubercolosi), le anemie gravi. Poiché l’a. è un sintomo, è importante scoprire l’alterazione che la determina, e ciò richiede visite accurate e approfonditi esami clinici.

DIAGNOSI
Secondo la causa che ha determinato l’a. primaria, la possibilità di riuscita della terapia è variabile. Nei casi di mancanza o di insufficiente sviluppo dell’utero e dell’ovaio, il medico non ha a sua disposizione alcuna cura efficace. Nei casi in cui l’apparato genitale è sufficientemente sviluppato, bisogna accertare le cause di un’alterata correlazione funzionale tra l’ipotalamo, l’ipofisi e l’ovaio. Oggi questo è facilmente accertabile attraverso esami ormonali o test dinamici.Gli esami ormonali misurano la quantità degli ormoni ipofisari (FSH e LH) e degli ormoni ovarici (estrogeni e progesterone) nel sangue o nelle urine. I test dinamici si effettuano mediante prove di stimolo con ormoni ipotalamici (Releasing Hormones) adesso disponibili anche nella pratica diagnostica.

TERAPIA
È possibile così stabilire a che livello esiste il deficit funzionale ed impiegare terapia stimolante (clomifene citrato o estrogeni coniugati ad alte dosi) o terapia sostitutiva (gonadotropine ipofisarie o urinarie estrattive), se il disturbo è a livello ipotalamo-ipofisario. Se invece il disturbo è a livello ovarico, una volta accertata la causa, la terapia sarà anche in questo caso stimolante (clomifene citrato o gonadotropine umane) oppure sostitutiva (estrogeni e progestativi somministrati con modalità sequenziali o continue).Quando l’a. è determinata da malattie infettive, denutrizione ecc., le cure suddette non devono essere praticate mentre bisogna agire contro la malattia in causa: spesso, infatti, la comparsa delle mestruazioni è il segno della guarigione o del miglioramento della malattia stessa.Lo stesso vale in alcuni casi di a. psicogena, quando cioè la mancanza di mestruazioni dipende da disturbi della sfera psichica o da eccessivo dimagramento per esagerate diete o per anoressia nervosa. Il trattamento rivolto verso la causa determinante è in genere sufficiente a indurre una normale funzione mestruale, senza per altro intervenire con terapie stimolanti o sostitutive sul sintomo clinico ginecologico.

 
AMENORREA SECONDARIA

Con questo termine si indica la cessazione della funzione mestruale dopo un periodo in cui questa si è svolta regolarmente. Ciò, al di fuori della gravidanza e dell’allattamento, durante i quali l’interruzione delle mestruazioni è fisiologica, è dovuto a uno stato patologico. Come nell’a. primaria, le cause determinanti la comparsa dell’a. secondaria possono essere distinte in genitali ed extragenitali.

CAUSE
Tra le cause genitali ricorderemo anzitutto quelle condizioni che, determinando la distruzione (o l’asportazione) di uno degli organi direttamente implicati nella funzione mestruale, ne causano la definitiva scomparsa. Esse sono: l’asportazione chirurgica delle ovaie o dell’utero, l’interruzione della funzione ovarica per mezzo di raggi X, la distruzione della mucosa dell’utero per mezzo di applicazioni di radium all’interno della cavità uterina, la distruzione dell’endometrio da parte dell’endometrite tubercolare ecc. In tutti questi casi non esiste alcuna possibilità di attuare una terapia efficace.Tra le cause più importanti dell’insorgenza dell’a. secondaria, si evidenziano anche quellelegate a un’alterazione della funzione dell’ipofisi, tra cui il morbo di Simmonds, dovuto a lesioni distruttive del lobo anteriore dell’ipofisi. Questo morbo si verifica in alcuni casi in seguito al parto, oppure in seguito alla distruzione del tessuto dell’ipofisi causata da traumi, metastasi di tumori maligni ecc. In tali condizioni, cessando gli stimoli causati dagli ormoni ipofisari sull’ovaio, la sua funzione cessa. Il morbo di Simmonds è accompagnato da una grave diminuzione dell’attività di tutte le ghiandole endocrine che si trovano sotto il controllo dell’ipofisi. Si tratta di una condizione molto grave, e la cura non può essere che sostitutiva.Alcuni tumori dell’ipofisi, di per sé benigni (adenomi), possono essere causa di a. secondaria sia perché comprimono o distruggono il tessuto ghiandolare della ghiandola sia perché producono grandi quantità di alcuni degli ormoni ipofisari a scapito degli altri, determinando gravi squilibri endocrini. Gli ormoni ipofisari prodotti in eccesso, infatti, stimolano la funzione di altre ghiandole endocrine, la cui azione è antagonista a quella dell’ovaio.Poiché il ritmico succedersi delle fasi del ciclo mestruale nella mucosa uterina dipende dall’azione degli ormoni prodotti dall’ovaio (estrogeni e progesterone) o, più precisamente, dalla quantità degli uni rispetto all’altro, in modo che predomini l’azione degli uni o dell’altro, uno squilibrio fra le quantità di questi ormoni può essere causa di a. In effetti, mentre una notevole deficienza della produzione di estrogeni impedisce che l’endometrio entri nella fase proliferativa (fatto che costituisce la premessa necessaria perché possano determinarsi la fase secretiva e la mestruazione), un’eccessiva produzione di estrogeni può determinare a., perché, se la quantità di progesterone è normale, l’azione di quest’ultimo non è sufficiente a far entrare l’endometrio nella fase secretiva. Si verifica così un arresto dell’endometrio in fase proliferativa. Questa condizione si può osservare, per esempio, nel caso di cisti follicolarí e di ovaio policistico. L’eccessiva produzione di progesterone (cisti lutemiche, luteomi ecc.) invece determina l’arresto del ciclo in fase secretiva.Infine, una causa di a. secondaria può essere la menopausa precoce dovuta ad esaurimento del patrimonio follicolare ovarico in età ancora giovane. La diagnosi è semplice con l’aiuto di dosaggi ormonali (alti valori di gonadotropine) e, se necessario, con una biopsia ovarica che documenta la precoce senescenza del tessuto ovarico. La terapia in questo caso è sostitutiva e viene prolungata per diversi anni. I fattori uterini determinanti l’a. secondaria sono da ricercare o nell’atrofia dell’endometrio, causata da un allattamento eccessivamente prolungato, o nella distruzione della massima parte dell’endometrio stesso, in seguito a ripetuti raschiamenti.Tra le cause extragenitali, gli stati di grave denutrizione possono determinare l’interruzione della funzione mestruale: ciò è stato osservato nel corso di carestie causate per esempio dalla guerra (amenorrea di guerra). Oggi una delle condizioni in cui più comunemente si presenta l’a. secondaria è l’anoressia nervosa.Anche cambiamenti ambientali e bruschi cambiamenti di clima possono essere cause di a. più o meno prolungata. Un esempio interessante di questo fenomeno è l’a. delle donne esquimesi per la durata della notte polare. I fattori nervosi e psichici possono avere notevole importanza nel determinare l’instaurarsi dell’a.: traumi psichici, improvvise e violente emozioni ecc. agiscono probabilmente sull’ipofisi attraverso le sue connessioni con l’ipotalamo, determinandone la cessazione o la diminuzione dell’attività. Varie malattie mentali (per esempio la schizofrenia) possono essere accompagnate da a., come pure alcune terapie effettuate in casi di malattie mentali (sedativi a forti dosi).Molte malattie endocrine, al di fuori di quelle che direttamente colpiscono l’ipofisi, possono causare l’interruzione del ritmico succedersi delle mestruazioni. Tra queste, le malattie della tiroide (ipo e ipertiroidismo) e quelle delle ghiandole surrenali (morbo di Addison, tumori virilizzanti). Ricordiamo, infine, varie gravi malattie generali: le malattie infettive gravi e prolungate (tifo, tubercolosi), le malattie di cuore gravi, il diabete, l’obesità, le malattie renali, le anemie gravi.

DIAGNOSI
Data l’estrema varietà di cause che possono essere alla base dell’insorgenza di un’a. secondaria, la diagnosi si presenta complessa. Per poter essere posta con precisione, essa richiede una serie di esami, che permettono di determinare lo stato funzionale in cui si trovano le varie parti dell’apparato genitale. Questi devono essere ripetuti a brevi intervalli di tempo e per un periodo sufficientemente lungo per poter rilevare le varie modificazioni cicliche.

TERAPIA
Nei casi di insufficienza ipofisaria, la terapia sarà sostitutiva con dosi bilanciate di gonadotropine umane. Questo tipo di trattamento risulta di grande utilità non tanto per ripristinare il normale ritmo mestruale quanto per indurre l’ovulazione, allo scopo di favorire l’instaurarsi di una gravidanza.La terapia dell’a. dipendente da cause extragenitali consiste nella cura della malattia che l’ha determinata: la guarigione è generalmente accompagnata dalla ricomparsa delle mestruazioni.La cura mediante la somministrazione di ormoni sessuali varia secondo il meccanismo che ha determinato l’insorgenza dell’a.: in generale è simile a quella descritta per l’a. primaria. Nei casi di eccessiva produzione di estrogeni da parte dell’ovaio, si ricorre alla terapia con progesterone che, controbilanciando l’eccessiva azione degli estrogeni, permette la ripresa del ciclo mestruale. Per le stesse ragioni, nei casi di iperproduzione di progesterone, vengono somministrati estrogeni.

 
AMENZA

Grave sindrome psichica, il cui quadro può presentarsi nel corso di diverse psicopatie, caratterizzata da un’intensa agitazione psicomotoria, incapacità di orientamento nello spazio e nel tempo, ansia, disturbi alla memoria, idee deliranti. È stata considerata da T.H. Meynert (1881) come un quadro clinico a sé, conseguente a malattie infettive, intossicazioni, lesioni cerebrali o violente scosse emozionali.

 
AMETROPIA

Condizione di anormalità dell’occhio per cui i raggi luminosi provenienti da un punto lontano, teoricamente posto all’infinito e che costituiscono l’oggetto della visione, non convergono in un unico punto (detto fuoco) della retina, come si ha invece nell’occhio normale: la visione risulta indistinta. Tale anomalia è dovuta ad alterazione del cristallino o della cornea quali si hanno nella miopia, nell’ipermetropia, nell’astigmatismo.La correzione di questi difetti viene ottenuta mediante l’uso di opportune lenti: divergenti nella miopia, convergenti nell’ipermetropia, sferocilindriche nell’astigmatismo.

 
AMFETAMINE

Stimolanti del sistema nervoso centrale e del sistema nervoso simpatico. Le più note sono l’amfetamina e la metamfetamina. A dosi terapeutiche l’azione di stimolo sul sistema nervoso simpatico è modesta e si manifesta con aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, dilatazione delle pupille. Molto più importante l’azione di stimolo sul sistema nervoso centrale, che ne ha determinato l’impiego nella pratica. L’effetto psicostimolante si manifesta con alterazioni dell’umore in senso euforizzante, iperattività psicomotoria, aumento dell’attenzione e della capacità di concentrazione, facilitazione della parola, irrequietezza, insonnia, diminuzione del senso di fatica e dell’appetito.Tali effetti si manifestano soprattutto in condizioni di affaticamento. In realtà gran parte del miglioramento delle prestazioni fisiche e mentali prodotto dalle a. è imputabile alla diminuzione della sensazione di fatica e di sonno. D’altra parte è effettivamente migliorata solo l’esecuzione di compiti mentali semplici mentre l’effetto sulle prestazioni complesse è meno evidente.Le a. possono d’altra parte produrre effetti spiacevoli come confusione, disorientamento, disforia, stati di ansia e di agitazione, delirio, tremori, logorrea, irritabilità, allucinazioni, impotenza, disturbi vasomotori, cefalea, convulsioni. In ogni caso l’effetto psicostimolante è seguito da un rimbalzo negativo, con depressione psichica e fisica. Le a. sono state usate in passato e talvolta vengono ancora usate per la terapia dell’obesità, in quanto riducono la sensazione di appetito, ma per questo impiego sono state sostituite da altri farmaci più specifici. Le a. possono dare assuefazione e dipendenza, per cui la loro commercializzazione e distribuzione è sottoposta a restrizioni legislative. È diffuso, ma in misura molto diversa nei diversi paesi, l’uso illegale e non medico delle a., come droga socializzante e capace di elevare il tono dell’umore.L’impiego prolungato di a. determina un tipo di intossicazione cronica caratterizzata da assuefazione, bisogno di ricorrere a dosi progressivamente maggiori, dipendenza prevalentemente di tipo psichico. Inoltre, può determinare una psicosi allucinatoria di tipo paranoide e alterazioni vascolari irreversibili a carico del sistema nervoso centrale. L’intossicazione acuta da iperdosaggio si manifesta con segni fisici a carico dell’apparato cardiovascolare e gastrointestinale e con segni di eccitazione centrale. Il trattamento comporta l’impiego di neurolettici, alfa-bloccanti e acidificanti (per favorirne l’eliminazione renale).

 
AMFOTERICINA

Farmaco della classe degli antifungini, utilizzato per la terapia delle micosi sistemiche gravi (candidosi profonde, aspergillosi, criptococcosi, istoplasmosi). Viene somministrato per via endovenosa, molto diluito e molto lentamente a causa degli effetti collaterali locali (flebiti) e sistemici (febbre, brividi, cefalea, nausea, vomito). Per ridurre gli effetti collaterali sistemici si possono associare farmaci antipiretici ed antinfiammatori 30-45’ prima della somministrazione di a. B. Sono stati descritti insufficienza renale (prevenibile con adeguata idratazione), insufficienza epatica acuta, alterazioni elettrolitiche fino al coma ed alterazioni della coagulazione. Si può impiegare in gravidanza, ma, data la sua tossicità, il suo utilizzo è esclusivamente in ambiente ospedaliero.

 
AMIANTO

Nome comune dell’asbesto, responsabile di una grave pneumoconiosi. La polvere d’amianto, fatta di minuscoli cristalli, può essere causa di tumori polmonari e soprattutto di tumori della pleura.

 
AMIGDALA

L’amigdala è un’area del cervello, dalla forma di una mandorla, da tempo ritenuta importante nei processi emotivi e coinvolta anche nella memoria emozionale. Il termine amigdala viene utilizzato anche per indicare formazioni anatomiche che, nell’aspetto, sono simili a una mandorla: amigdala palatina (sinonimo di tonsilla palatina), amigdala tubarica ecc.

 
AMIKACINA

Farmaco antibiotico appartenente al gruppo degli aminoglicosidi, attivi soprattutto sui batteri Gram negativi e micobatteri, oltre che sui Gram positivi. Viene impiegata nelle infezioni resistenti alla gentamicina e tobramicina (proteus, stafilococchi resistenti). La somministrazione è endovenosa o intramuscolare. Gli effetti tossici piu temuti sono a carico dei reni, dell’VIII nervo cranico (funzioni acustica e vestibolare), pertanto bisogna usare la minima dose efficace ed evitare di associare altri farmaci potenzialmente oto o nefrotossici.

 
AMILASI

Enzima responsabile della digestione dell’amido (sostanza polisaccaridica) attraverso la degradazione a un composto più semplice, il disaccaride maltoso (formato da 2 sole molecole di glucosio). Più precisamente si distinguono un’a. salivare (ptialina, che può agire solo sull’amido cotto) e un’a. pancreatica (amilopsina), che agiscono in fasi diverse della digestione (rispettivamente nelle fase orale e nella fase intestinale). Processi morbosi a carico delle ghiandole che producono amilasi (ghiandole salivari e pancreas) possono comportare il passaggio nel sangue di un quantitativo abnorme di enzima. La determinazione della a. nel sangue viene quindi eseguita quando vi sia sospetto di pancreatite acuta, di occlusione dei dotti salivari o pancreatici, di infiammazione delle ghiandole salivari: in tutti questi casi i valori di amilasi nel siero, che di norma sono compresi tra 60 e 170 U (unità amilasiche secondo Somogyi), presentano un aumento superando, talora, soprattutto in caso di pancreatite acuta, le 1000 U. Il riscontro di un innalzamento dell'amilasi e della lipasi aumentano la probabilità di un interessamento pancreatico.

 
AMILOIDE

(O sostanza a.), materiale proteico a struttura fibrillare che si deposita a livello extracellulare in modo localizzato ad alcuni organi oppure in modo diffuso, configurando un complesso di malattie definite con il termine amiloidosi. Le manifestazioni cliniche sono molteplici e diverse a seconda degli organi interessati. L’a. si forma da diversi precursori (immunoglobuline, beta2microglobuline, sostanza A dell’a.) anche se è sconosciuto il meccanismo che porta alla formazione della struttura fibrillare tipica della proteina. È costituita per il 95% da materiale amorfo a struttura fibrillare e per il 5% dalla sostanza P a struttura non fibrillare. Il processo di identificazione si basa sulla ricerca delle tipiche fibrille di a. tramite colorazione con rosso Congo e successivo esame al microscopio elettronico a luce polarizzata.

 
AMILOIDOSI

Processo patologico caratterizzato dalla deposizione e dall’accumulo negli interstizi tra le cellule di diversi tessuti di una sostanza detta amiloide, cioè simile all’amido, per le proprietà dimostrate di colorarsi con lo iodio allo stesso modo di questo polisaccaride. In realtà si tratta di una sostanza proteica a struttura fibrillare il cui meccanismo preciso di formazione e di accumulo non è ancora noto.L’a. può comparire in diverse situazioni: secondariamente a infezioni croniche (per es. tubercolosi, osteomieliti), a neoplasie (plasmocitoma, macroglobulinemia di Waldenstrom), ad artrite reumatoide oppure può non associarsi ad alcuna malattia e a volte anzi rappresentare una condizione ereditaria. Può colpire contemporaneamente diversi tessuti (fegato, rene, muscolatura cardiaca, surrene, intestino ecc.) o formare masse isolate, singole, dette tumori amiloidi.

SINTOMI
I sintomi dell’a. sono in rapporto alle sedi interessate, in quanto la deposizione della sostanza amiloide provoca una progressiva scomparsa delle strutture proprie dell’organo colpito. Le manifestazioni più gravi si hanno quando sono interessati i reni, con possibilità di insufficienza renale e uremia. Insufficienza cardiaca, alterazioni dell’assorbimento intestinale, disturbi neurologici possono essere altre espressioni della malattia, che di regola ha un decorso lento ma progressivo.

 
AMILORIDE

Farmaco diuretico, appartenente al gruppo dei diuretici risparmiatori di potassio. Antagonizza gli effetti dell’aldosterone a livello renale, favorendo l’eliminazione di acqua e sodio e la ritenzione di potassio. Viene usato nella terapia dell’ipertensione, dello scompenso cardiaco congestizio, della cirrosi epatica e della sindrome nefrosica, nonché nell’iperaldosteronismo. Spesso è associato ad altri farmaci diuretici che fanno eliminare troppo potassio (es. amiloride + idroclortiaziede). Gli effetti collaterali possono essere disturbi gastrointestinali, vertigini, anoressia, secchezza delle fauci, iperpotassiemia. Controindicato nei bambini, in gravidanza, nell’insufficienza renale cronica.

 
AMIMIA

Diminuzione o scomparsa della capacità di manifestare involontariamente i propri sentimenti con l’espressione del volto. L’affezione è tipicamente rappresentata, con altri sintomi, nel morbo di Parkinson: il malato presenta complessivamente un aspetto tetro, con il viso immobile, lo sguardo fisso, i lineamenti cascanti. Può dare resoconto dei fatti più disparati senza offrire l’impressione di parteciparvi minimamente  così pure gli avvenimenti che si svolgono nel mondo circostante sembrano non suscitare alcun coinvolgimento. Nell’a. restano al contrario conservati i movimenti volontari (sorridere, alzare le sopracciglia), che vengono eseguiti tuttavia con una certa limitazione.

 
AMINOACIDO

Sostanza organica, contenente nella sua molecola un gruppo aminico ed un gruppo acido. Gli aminoacidi sono i costituenti fondamentali delle proteine, grandi molecole azotate, indispensabili alla formazione della materia vivente e che catalizzano le reazioni biologiche fondamentali del nostro corpo. Gli aminoacidi contengono almeno il 16% di azoto, e questa condizione li differenzia dai carboidrati e dai grassi. Il fegato produce all’incirca l’80% degli aminoacidi necessari, il rimanente 20% deve essere ricavato da fonti esterne (alimentazione). Gli aminoacidi non sintetizzabili a livello epatico vengono detti essenziali. Tutti gli aminoacidi essenziali sono presenti nella carne, ma variamente presenti nei legumi secchi (piselli, ceci, fagioli, lenticchie). Pertanto, una dieta puramente vegetariana prevede una saggia associazione di legumi secchi per assumere tutti gli aminoacidi essenziali.L’assorbimento degli aminoacidi si realizza per l’11% a livello gastrico, per il 60% a livello duodenale, per il 28% a livello del colon, tale assorbimento è rapido nel duodeno e nel digiuno (tratto dell’intestino tenue) ed avviene lentamente nell’ileo. Tutte le proteine che ingeriamo vengono assorbite sotto forma di aminoacidi

 
AMINOFILLINA

Farmaco del gruppo delle metilxantine, simile alla teofillina. Le metilxantine sono sostanze reperibili principalmente in te, caffe, cacao. La a. viene utilizzata nella terapia dell’asma bronchiale, in quanto determina il rilasciamento della muscolatura liscia bronchiale e la dilatazione delle arterie polmonari, grazie alla inibizione dell’enzima fosfodiesterasi.Gli effetti collaterali possono essere disturbi gastrointestinali, cefalea, irritabilità, insonnia, depressione, disturbi respiratori, aritmie, ipotensione, convulsioni. Controindicazioni all’utilizzo sono tachiaritmie, infarto, shock, ulcera peptica, epilessia.

 
AMINOGLICOSIDI

Gruppo di antibiotici attivi verso Gram +, ma soprattutto su Gram- e micobatteri.Hanno attività battericida o batteriostatica a seconda della dose, ed agiscono inibendo irreversibilmente la sintesi proteica dei microrganismi (legano ed inattivano i ribosomi batterici). Capostipite del gruppo è la streptomicina, seguita da gentamicina, tobramicina, amikacina, kanamicina, etc. Vengono utilizzati per la terapia di infezioni da germi intracellulari (TBC), brucellosi, peste, tularemia  infezioni gravi sistemiche, meningee, cardiache, respiratorie ed urinarie da Gram-.Gli effetti collaterali possono essere nefrotossicità ed ototossicità (vertigini, ipoacusia, sordità). Controindicazioni: gravidanza.

 
AMINOSALICILATI

Farmaci derivanti dall’acido acetilsalicilico utilizzati nella terapia e nella profilassi delle recidive delle malattie infiammatorie croniche intestinali (colite ulcerosa e morbo di Crohn). Agiscono bloccando la cascata dell’infiammazione inibendo l’enzima cicloossigenasi. Alcuni dei più utilizzati sono la sulfasalazina, la mesalazina, la olsalazina. Esistono formulazioni per bocca e clismi. Effetti indesiderati si verificano in un quinto dei pazienti (nausea, cefalea).

 
AMIODARONE

Farmaco antiaritmico, indicato nelle fibrillazioni atriali, nelle aritmie ventricolari resistenti ad altri farmaci, e molto efficace in terapia cronica.Gli effetti collaterali possono essere disturbi gastrointestinali, cefalea, bradicardia, ipotensione, depositi giallo-bruni sulla cornea, disturbi del visus, ipotiroidismo nell’8% dei casi per somministrazioni superiori ai 6 mesi (l’a. contiene iodio). Controindicazioni all’utilizzo sono turbe della conduzione, ipotensione, bradicardia, blocco atrio-ventricolare, patologie della tiroide, gravidanza.

 
AMIOTONIA

Perdita patologica dello stato di lieve contrazione che tutti i muscoli posseggono in condizioni normali e che in fisiologia è noto come tono muscolare. I gruppi di muscoli colpiti appaiono ridotti di volume e di consistenza, con aspetto tipicamente flaccido. L’a., che si osserva anche a seguito di disturbi della circolazione, è per lo più legata a malattie neurologiche, interessanti sia il tronco cerebro-spinale che i suoi rami periferici ivi comprese le neuropatie diabetica e alcolica. È conosciuta anche una forma di a. congenita che colpisce i bambini, generalmente non grave, con tendenza alla guarigione spontanea nel tempo.

 
AMIOTROFIA

Diminuzione progressiva del normale trofismo dei muscoli e delle connesse capacità funzionali. Tale fatto può essere conseguenza di alterazioni intrinseche ai muscoli, come nei casi di miopatie primitive, oppure di lesioni interessanti il sistema nervoso centrale o le sue diramazioni periferiche. I muscoli colpiti appaiono ridotti di volume, flaccidi  i movimenti da essi prodotti sono insufficienti.

 
AMITRIPTILINA

Farmaco antidepressivo, con spiccata attività sedativa e nessuna attività stimolante. Fa parte degli antidepressivi triciclici, che agiscono inibendo la ricaptazione neuronale di dopamina serotonina e noradrenalina. Controindicazioni all’utilizzo sono gravidanza, anziani, cardiopatie gravi, epatopatie, epilessia, glaucoma ed ipertrofia prostatica.

AMMICCAMENTO

Movimento involontario verticale delle palpebre, che determina l’omogenea distribuzione del fluido lacrimale sulle congiuntive, mantenendole umide.

 
AMMICCAMENTO, riflesso di

Evocabile mediante la stimolazione del nervo sopraorbitario (ramo branca oftalmica del trigemino). Lo studio di questo riflesso fornisce utili informazioni nei pazienti con lesione del V e VI nervo cranico.

 
AMMONIACA

Gas incolore, irritante, ottenuto per sintesi da idrogeno e azoto, la cui formula è NH3. Normalmente se ne utilizza la soluzione acquosa per la pulizia domestica, o per il trattamento immediato delle punture di insetti. Ha forte azione tossica, i suoi vapori irritano gli occhi, e l’esposizione prolungata provoca nausea, tosse e vomito. Il contatto con la cute provoca bruciore. Se accidentalmente ingerita, è necessaria la lavanda gastrica per impedire il danneggiamento della mucosa dell’apparato digerente.Nell’organismo umano l’a. è prodotta durante il metabolismo delle proteine, viene quindi trasformata dal fegato in urea ed eliminata dai reni. L’a. viene dosata nel sangue per controllare la funzionalità epatica e renale.

 
AMMONIEMIA

Presenza di ammoniaca nel sangue. In condizioni fisiologiche la quantità d’ammoniaca contenuta nel sangue è 50 µg ca. per 100 ml. L’ammoniaca si forma nell’organismo per l’attività di molti tessuti, ma in massima parte proviene dal metabolismo delle proteine alimentari e perciò la sua più importante sede d’origine è l’intestino. Dall’intestino essa passa nel fegato dove viene trasformata in urea  nel cervello invece viene inattivata dall’acido glutammico, con cui si combina a formare glutammica   un’altra piccola quantità è eliminata dal rene con le urine sotto forma di ione ammonio. In condizioni patologiche essa si accumula nell’organismo in quantità eccessive. Ciò accade soprattutto nelle malattie del fegato (come nella cirrosi epatica), che compromesso nelle sue funzioni, non può esplicare la sua attività disintossicante. Inoltre nel fegato cirrotico l’alterazione anatomica del parenchima epatico determina un ostacolo al normale passaggio del sangue, proveniente dall’intestino. Questo comporta che la maggior parte dell’ammoniaca ritorni nella circolazione ematica senza essere depurata dal filtro epatico. Di qui l’aumento dell’a, che agisce negativamente sul sistema nervoso giocando un ruolo considerevole nel determinare l’insorgenza di confusione mentale e del coma epatico.

 
AMNESIA

Alterazione delle capacità mnemoniche, che può interessare globalmente o parzialmente la facoltà di ricordare.Si osserva nelle malattie cerebrali, specie se conseguenti a difetti di circolazione, oppure a seguito di traumi cranici. Tale alterazione può riguardare la collocazione temporale dei ricordi, oppure taluni aspetti limitati della realtà. Nel primo caso l’a. è di tipo anterogrado se riguarda la facoltà di ritenere gli avvenimenti a mano a mano che essi si svolgono  è invece di tipo retrogrado se la funzione lesa è quella di richiamare avvenimenti passati. In particolare a seguito di una commozione cerebrale possono venir cancellati dal ricordo i momenti che hanno preceduto o seguito l’avvenimento traumatico (a. antero-retrograda)  tale “vuoto di memoria” può con il tempo ridursi o talvolta scomparire totalmente. Nei soggetti anziani in modo più o meno accentuato si osserva abbastanza facilmente un tipo di a. anterograda che riguarda avvenimenti del passato recente, mentre permane il ricordo di avvenimenti più lontani nel tempo.

 
AMNIO

vedi AMNIOS

 
AMNIOCENTESI

Puntura della cavità amniotica  viene effettuata per mezzo di un apposito ago, attraversando la parete dell’addome e quella dell’utero, con lo scopo di prelevare una piccola quantità di liquido amniotico, che può essere sottoposto a indagini di vario tipo.Il prelievo del liquido amniotico, a fine diagnostico, può essere effettuato, con scopi diversi, precocemente o tardivamente nel corso della gravidanza: si distinguono un’a. precoce, che si esegue prima della diciottesima settimana, preferibilmente tra la sedicesima e la diciottesima, e un’a. tardiva che si esegue dopo la ventesima settimana, di solito nel 3° trimestre.L’a. si esegue di solito per via transaddominale sotto guida ecografica. La tecnica del prelievo è semplice: si usano aghi lunghi almeno 10-12 centimetri, del diametro di 1-1,2 millimetri, a punta molto affilata e si adottano le usuali norme d’asepsi. I rischi dell’a. precoce sembra siano piuttosto ridotti  in particolare vi è motivo di ritenere che sia alquanto remoto il pericolo di provocare un aborto (0,7%), un’infezione del liquido amniotico, una perdita di liquido amniotico. Nell’a. tardiva, le possibili complicazioni fetali sono: provocazione del travaglio di parto prima del termine, quando il feto non ha ancora raggiunto un sufficiente grado di maturità, o traumi fetali.L’a. precoce serve all’individuazione d’anomalie cromosomiche, malattie recessive legate al sesso, malattie ereditarie non legate al sesso, malattie genetiche individuabili con l’analisi del DNA. Per tali ragioni, quest’esame si consiglia alle donne d’età superiore ai 35 anni, poiché con l’età aumenta il rischio di tali patologie, e alle coppie con storia familiare di malattie cromosomiche. Infine, con l’a. precoce si possono individuare malformazioni del tubo neurale attraverso il dosaggio dell’alfa-feto proteina.Lo studio delle caratteristiche del liquido amniotico estratto mediante a. nella seconda metà della gravidanza serve soprattutto per la diagnosi di maturità fetale e per la valutazione delle condizioni fetali in caso d’immunizzazione antieritrocitaria. Esaminiamo i parametri solitamente valutati.- Dosaggio della creatinina. Questa sostanza aumenta progressivamente nel liquido amniotico e riflette lo stato di maturità e di funzionalità del rene fetale. È possibile correlare i valori della creatinina amniotica sia con lo stato di funzionalità del rene del feto sia con una curva che riporta il progressivo aumento di questi valori secondo l’età gestazionale.- Dosaggio della birilubina. La maggior importanza di questo test è lo studio dei casi d’anemia emolitica del neonato da incompatibilità del gruppo.- Rapporto lecitina-sfingomielina. A mano a mano che il feto si avvicina al termine della gravidanza, il tessuto polmonare matura e dagli alveoli vengono emesse all’esterno, insieme al liquido bronchiale che arricchisce il liquido amniotico, queste due sostanze, insieme con altri fosfolipidi cosiddetti surfattanti. L’aumento della lecitina nel liquido amniotico rappresenta quindi un indice di maturazione del polmone fetale e siccome la sfingomielina rimane costante, il rapporto sarà tanto più alto, quanto più il feto sarà maturo a respirare una volta nato.Quest’esame diventa indispensabile quando l’ostetrico decide per motivi preventivi di far nascere il feto prima del termine. Infatti, è soprattutto l’immaturità del tessuto respiratorio la principale causa di mancata sopravvivenza di feti prematuri o immaturi, per il manifestarsi di quella cosiddetta sindrome respiratoria da membrane ialine, così frequente a verificarsi in questi casi.- Dosaggio di alcuni ormoni steroidi. Tale dosaggio può essere utile nella valutazione dello stato di salute del feto e della funzionalità placentare. Alcuni ormoni sono prevalentemente elaborati dal feto, altri dalla placenta, altri infine dal sinergismo funzionale del feto e della placenta insieme.Questo è sufficiente a spiegare l’utilità dei test in questione che, da soli o uniti ad altri, rappresentano dei preziosi indici diagnostici per valutare l’età, lo stato di salute e la maturità dell’organismo fetale.- Esame delle cellule. Anche le cellule sospese nel liquido amniotico sono molto utili.

Esse derivano in parte dalla membrana amniotica, in parte dalla cute del feto e dalle mucose di organi in contatto con l’esterno. Esse possono essere studiate da un punto di vista morfologico (per esempio cromatina sessuale), citochimico o immunologico (determinazione del gruppo sanguigno)  inoltre possono venire coltivate e fornire così il substrato per indagini citogenetiche, per indagini sulla struttura del DNA o biochimiche, intese a rilevare eventuali alterazioni metaboliche congenite.Lo studio della composizione chimica, dei caratteri fisici e delle cellule presenti nel liquido amniotico può consentire di valutare il grado di maturità e il sesso del feto, di riconoscere eventuali condizioni di sofferenza fetale o di immunizzazione materno-fetale da fattore Rh, di individuare alcuni tipi di malformazioni. La coltura in vitro di cellule amniotiche consente poi, attraverso l’analisi del loro cariotipo, di diagnosticare prima della nascita malattie cromosomiche (quale per es. la sindrome di Down). Con colture cellulari è possibile anche riconoscere agenti infettivi, o individuare diverse forme di malattie metaboliche ereditarie. Poiché si tratta spesso di condizioni per le quali non esiste alcun trattamento efficace, l’a. offre quindi la possibilità, eventualmente, di interrompere la gravidanza.L’a. viene prescritta in tutti i casi in cui vi possano essere fattori di rischio per il nascituro, come ad esempio precedenti familiari di una malattia cromosomica, genetica o malformativa  incompatibilità sanguigna fra madre e feto  sospette malformazioni del feto o infezioni del liquido amniotico. In caso di a. precoce, con risultato sfavorevole, può essere proposto l’aborto terapeutico.Possono costituire fattori di rischio all’esame i problemi della coagulazione, dovuti ad una malattia o ad una terapia. Inoltre, se la madre ha un fattore Rh negativo, bisogna applicare contemporaneamente una terapia preventiva (siero anti-D).L’a. si esegue di solito per via transaddominale sotto guida ecografica. La tecnica del prelievo è semplice: il ginecologo ostetrico, dopo aver adottato le usuali norme di asepsi (disinfezione della pelle e uso di campi sterili), utilizza un ago lungo almeno 10-12 cm, del diametro di 1-1,2 mm, a punta molto affilata con il quale aspira da 10 a 20 cm cubi di liquido amniotico, che deposita in provette destinate all’analisi.L’anestesia locale o generale non è necessaria se non per motivi psicologici in caso di pazienti molto ansiose. La paziente deve svuotare la vescica subito prima dell’esame.Terminato il prelievo, si toglie rapidamente l’ago e si protegge la parte per qualche ora con una garza.L’esame dura 20 minuti, e la puntura vera e propria solo qualche secondo.Al termine dell’esame il medico controlla l’attività cardiaca del feto ed effettua talvolta una verifica ecografica. Nei due o tre giorni successivi all’esame la paziente deve osservare un assoluto riposo, tenendo controllata la temperatura.In caso di febbre, perdite di sangue o contrazioni, deve consultare il medico.

 
AMNIOGRAFIA

vedi AMNIOSCOPIA

 
AMNIORESSI

Rottura delle membrane che avvolgono il feto. Il termine viene impiegato per indicare la rottura provocata artificialmente, quando sussistano determinate condizioni, allo scopo di facilitare e accelerare l’espletamento del parto.

 
AMNIOS

(O amnio o membrana amniotica), membrana che avvolge l’embrione, prolungandosi anche sulla superficie del funicolo ombelicale  essa delimita una cavità (cavità amniotica) entro la quale è contenuto un liquido acquoso (liquido amniotico) che ha funzioni protettive nei confronti dell’organismo in via di sviluppo. La cavità amniotica, dapprima molto piccola, in seguito si ingrandisce così che l’a. viene a contatto con la superficie interna del corion (la membrana esterna che avvolge l’embrione), dalla quale risulta separato soltanto da uno strato sottile di cellule del mesoderma extraembrionale. Briglie fibrose o aderenze che uniscono parti diverse della superficie dell’a. possono osservarsi associate a diverse malformazioni fetali. In casi rari l’a. ed eventualmente anche il corion possono rompersi nel corso della gravidanza e retrarsi, così che il feto continua per qualche tempo a svilupparsi entro la cavità uterina (feto extraamniotico o extracoriale).Viene definita amnion nodosum una condizione patologica caratterizzata dalla presenza, sulla superficie dell’a. rivolta verso il feto, di noduli multipli grigio-giallastri, di 1-2 mm di diametro, che sono costituiti da ammassi di cellule cheratinizzate dell’epidermide fetale: si osserva quando il volume del liquido amniotico risulta abnormemente scarso (oligoidramnios).

 
AMNIOSCOPIA

(O amniografia), procedimento attuato nella tradizionale pratica ostetrica, utilizzandoun apposito strumento, detto amnioscopio, formato da un tubo di diametro vario che viene introdotto nel collo uterino. Il calibro dello strumento è commisurato al grado di dilatazione del collo. L’applicazione allo strumento di una sorgente luminosa consente di esplorare l’interno dell’utero gravido e di valutare lo stato del feto e del liquido amnioticoL’a. è un procedimento diagnostico semplice e indolore. Mettendo in opera le comuni cautele di sterilità e di delicatezza manuale, essa è priva di rischi sia per la madre sia per il feto, salvo, eventualmente, quello di provocare una rottura intempestiva delle membrane, quindi vige la regola di non eseguire quest’esame prima della 36a settimana. L’esame è utile per ricercare una sofferenza fetale, e quando il collo è permeabile. Durante l’ultimo mese di gravidanza patologica (diabete, ipertensione arteriosa, ritardo nella crescita fetale), quando la gravidanza supera il temine o durante il travaglio.Scopo dell’esame è quello di valutare il colore del liquido amniotico nella gravidanza a termine, in assenza di rottura di membrane. Il colore chiaro del liquido indica benessere fetale, un colore scuro suggerisce problemi nell’ossigenazione fetale. Poiché spesso la sofferenza fetale asfittica si accompagna ad emissione di meconio e quindi a viraggio del colore del liquido amniotico ad una tinta verdastra. L’a., serve come mezzo di diagnosi di sofferenza fetale nell’ultimo periodo di gravidanza, soprattutto dopo la quarantaduesima settimana. Le indicazioni principali all’a. si pongono nelle ultime 5 settimane di gestazione ogni volta che si sospetti uno stato di sofferenza fetale, ma soprattutto in tutti i casi in cui la durata cronologica dell’amenorrea superi le 40 settimane. Infatti, finché il liquido amniotico è sicuramente limpido, vi è la ragionevole presunzione che il feto non sia in pericolo.Le controindicazioni all’a. sono poche e non sono assolute. Tuttavia attualmente non viene praticata spesso, in quanto poco specifica nell’individuazione di problemi fetali ed invasiva. Si preferisce invece la misurazione ecografia del liquido amniotico (AFI), metodica piu specifica e non invasiva.Costituiscono comunque fattori di controindicazione un’infezione erpetica nota, alla fine della gravidanza, la placenta previa (collocata in posizione anormale, tanto da ostruire l’orifizio cervicale). L’a. non può essere effettuata se il collo dell’utero è chiuso. Al termine dell’esame possono verificarsi contrazioni uterine dolorose, lieve sanguinamento della cervice uterina, rottura delle membrane. Occorre assicurarsi dell’assenza di un deflusso di liquido dalla vagina.

 
AMNIOTICA, membrana

vedi AMNIOS

 
AMNIOTICO, liquido

Liquido contenuto nella cavità amniotica, nel quale il feto è immerso. Esso ha la funzione di proteggere dai traumi l’organismo in via di sviluppo, evita che si stabiliscano aderenze tra le varie parti del feto e le membrane, di mantenerlo in un ambiente a temperatura costante, e inoltre di consentirne i movimenti, i cambiamenti di posizione e lo sviluppo simmetrico delle sue parti. Inoltre, rappresenta un potente ammortizzatore nei confronti dei colpi che potrebbero danneggiare il feto attraverso la parete dell’addome materno. Infine, il liquido a. è deglutito dal feto, che in questa maniera può provvedere parzialmente al proprio approvvigionamento d’acqua e di sali.Il liquido a. viene prodotto in parte dalle cellule che tappezzano la membrana dell’amnios, poi, in parte, dal trasudato proveniente dai vasi del corion e del funicolo, la maggior parte però deriva dal sangue materno  negli ultimi mesi di gravidanza vi si aggiunge anche l’urina che viene prodotta dal feto. Esso è soggetto ad un continuo ricambio, poiché è contemporaneamente prodotto e riassorbito. Il volume del liquido a. aumenta progressivamente fino a raggiungere valori di ca. 1000 ml verso il 7° mese di gravidanza  in seguito esso diminuisce fino a ca. 600-700 ml. Il liquido a. è dapprima trasparente, si presenta, al momento della nascita bianchiccio e torbido perché vi si raccolgono cellule desquamate della cute, delle vie urinarie del feto e piccoli ammassi di sostanza caseosa. Anche la sua composizione chimica cambia durante il 3° trimestre di gravidanza, per l’aggiungersi di sostanze prodotte dall’attività escretoria del feto. Lo studio delle cellule desquamate dalla cute del feto, presenti in un campione di liquido a. prelevato mediante puntura della cavità amniotica (amniocentesi), può permettere di valutare il grado di maturità fetale  la coltura in vitro delle cellule dell’amnios può inoltre consentire di riconoscere prima della nascita anomalie del corredo cromosomico fetale, o anche alcune malattie metaboliche ereditarie.In condizioni patologiche la quantità di liquido a. può risultare eccessiva (polidramnios, oppure ridotta (oligoidramnios). Entrambe le condizioni possono riconoscere varie cause e spesso si associano a malformazioni fetali.

 
AMOK

Forma di follia, riscontrata per la prima volta fra gli indigeni della Malesia, caratterizzata all’inizio da uno stato depressivo cui segue una crisi di furore omicida, durante la quale il soggetto corre urlando e colpendo ciecamente chiunque incontri. Quando la crisi è passata non ricorda più nulla. Il termine si può riferire, oltre che alla follia, anche all’individuo che ne è affetto.

 
AMOXICILLINA

Antibiotico del gruppo delle penicilline semisintetiche a spettro antibatterico allargato (comprendente anche i Gram negativi). Ha lo stesso tipo di impieghi dell’ampicillina, ma ha buon assorbimento intestinale, pertanto puo essere somministrata per bocca.

 
AMP

Adenosin-mono-fosfato, estere fosforico della adenosina. È presente in tutte le cellule ed ha importanti funzioni per il metabolismo cellulare, che esplica cedendo il proprio radicale fosforico a varie molecole, attivandole (es. la fosforilazione delle molecole del glucosio determina produzione di energia).

 
AMPICILLINA

Antibiotico del gruppo delle penicilline semisintetiche a spettro antibatterico allargato (comprendente anche i Gram negativi). È meno attiva della penicillina G sui batteri Gram +, ma è attiva sui Gram- (enterococco, proteus, listeria ed haemophilus), che causano un’ampia gamma di infezioni delle vie respiratorie, intestinali ed urinarie, nonché otiti. Ha scarso assorbimento intestinale e può essere somministrata anche per imtramuscolo e/o endovena.Ha un effetto collaterale particolare: se somministrato a pazienti con mononucleosi determina rash cutaneo.

 
AMPOLLA

Dilatazione circoscritta di una struttura anatomica avente forma tubulare, per esempio a. rettale, dilatazione dell’intestino retto  ampolle dei canali semicircolari, piccoli rigonfiamenti dell’orecchio interno in cui si trovano le creste acustiche  a. di Vater, formazione sacciforme nello spessore della parete duodenale.

 
AMPUTAZIONE

Asportazione di un arto o di una sua porzione comprendente tutte le sue componenti (pelle, vasi, nervi, muscolo, osso). Meno correttamente il termine è riferito all’asportazione di altre parti del corpo (a. della mammella, a. del retto ecc.).- A. spontanea. Si osserva negli arti affetti da cancrena dove la parte sana delimita nettamente la parte ammalata finché quest’ultima si stacca spontaneamente.- A. congenita. Evenienza piuttosto rara, consegue quasi sempre alla presenza di una briglia amniotica che agisce direttamente su di un arto del feto determinandone la sezione.- A. traumatica. Si osserva con notevole frequenza nell’infortunistica del lavoro e stradale. Spesso sono interessate le dita della mano e la chirurgia ha sviluppato un suo settore specialistico per il trattamento di tali lesioni. Sono state adottate anche le tecniche della microchirurgia per la ricostituzione della continuità dell’arto amputato spesso seguite da buoni risultati.- A. chirurgica. L’a. di un arto affetto da patologia varia o da traumi irreparabili rappresenta uno degli interventi più spesso eseguiti fin dall’antichità. Attualmente le indicazioni per l’a. sono ancora numerose (traumi, cancrene, vasculopatie, artrosi deformanti, osteomieliti, tumori ecc.), ma la tecnica chirurgica si è andata evolvendo in senso conservativo, limitando cioè, quanto possibile, le indicazioni e l’ampiezza dell’a., e cercando di offrire alla protesi un moncone residuo quanto più valido e funzionale.

 
AMUSIA

Patologia neurologica che consiste nell’incapacità di riconoscere i suoni musicali, in assenza di alterazioni della percezione uditiva elementare, o di turbe intellettive e linguistiche.

 
ANABOLISMO

Fase del metabolismo in cui si verificano le reazioni biochimiche dirette alla sintesi di sostanze complesse da sostanze più semplici.

 
ANABOLIZZANTI

Sostanze che esplicano la loro azione attivando le sintesi proteiche nell’organismo.Appartengono a questo gruppo di farmaci gli ormoni sessuali maschili (testosterone, androstenedione) e i loro derivati, che vengono impiegati nei ritardi di accrescimento, nella terapia delle anemie arigenerative (attualmente sostituiti dai fattori di stimolazione delle colonie emopoietiche), nelle malattie debilitanti croniche e nell’osteoporosi. Esplicano anche un’azione favorevole negli stati depressivi, nelle astenie e nelle magrezze. Per quanto riguarda l’uso degli a. negli sport, sebbene essi determino l’aumento del trofismo delle masse muscolari e della forza, gli evidenti effetti collaterali di questi farmaci ne sconsigliano l’uso. L’attività anabolica di questi ormoni è infatti difficilmente dissociabile dai loro effetti mascolinizzanti quali aumento dei peli, caduta dei capelli, abbassamento del tono della voce e modifica dei caratteri sessuali secondari nella donna (ipertrofia del clitoride, atrofia mammaria, alterazioni o assenza del ciclo mestruale)  inoltre, è dimostrato che alti dosaggi di testosterone o derivati nell’uomo determinano un certo grado di atrofia a livello testicolare.

 
ANACLORIDRIA

(O acloridria), mancanza totale di acido cloridrico nel succo gastrico. Tale evenienza è rara, mentre è di osservazione più comune il riscontro di una diminuzione (ipocloridria) sia in condizioni basali che dopo averne stimolato la secrezione.

CAUSE
Può essere dovuta a diversi processi patologici propri della parete gastrica (gastriti croniche, tumori) soprattutto se interessano la mucosa del fondo e del corpo dello stomaco, in cui le ghiandole per la secrezione dell’acido cloridrico sono particolarmente numerose.A. o ipocloridria si possono avere anche in malattie generali dell’organismo e nell’individuo anziano, spesso associate a contemporanea riduzione della secrezione di pepsina.

SINTOMI
I sintomi dell’a. sono caratterizzati essenzialmente da disturbi della digestione: peso allo stomaco, specie dopo i pasti, digestione lunga e difficile, eruttazioni frequenti. La scarsa secrezione acida riduce altresì l’assorbimento di calcio e ferro.

DIAGNOSI
L’a. può essere evidenziata con l’esame chimico del succo gastrico prelevato mediante sondino: in condizioni normali l’acido cloridrico varia da 0,50 g per mille in condizioni basali, fino a 2 g per mille dopo stimolazione.

TERAPIA
La terapia dell’a. punta alla malattia di base e all’osservazione di norme igienico-dietetiche.

 
ANAEROBIO

(o anaerobionte), organismo che vive in assenza di ossigeno libero (anaerobiosi).Vivono in anaerobiosi alcuni tipi di batteri, di funghi, di protozoi, di parassiti intestinali (per esempio, tenia e ascaride). Una parte di cellule tumorali e, per un tempo limitato, anche le cellule normali sono in grado di sopravvivere in anaerobiosi  si definiscono anaerobi obbligati quegli organismi che non tollerano l’ossigeno (in tal caso il loro ricambio energetico è di tipo fermentativo), e anaerobi facoltativi gli organismi che possono vivere in assenza o presenza di ossigeno con ricambio energetico rispettivamente fermentativo o ossidativo. La classificazione dei batteri in anaerobi obbligati e facoltativi individua classi differenti con diversa sensibilità agli antibiotici.

 
ANAFILASSI

Fenomeno patologico che si manifesta in un organismo nel quale vengono introdotte sostanze con cui era precedentemente venuto a contatto e nei confronti delle quali è sensibilizzato, cioè ha sviluppato una particolare capacità di reazione.L’a. è la conseguenza di una reazione antigene-anticorpo e quindi rientra nell’ambito delle allergie, cioè di quelle manifestazioni morbose da alterata reattività immunologica dell’organismo. È la manifestazione più grave dell’allergia poiché, se non s’interviene prontamente, può portare a morte.

CAUSE
Si esprime con una reazione generalizzata dell’organismo indipendentemente dall’allergene e dalle modalità d’ingresso nell’organismo.Le sostanze capaci di indurre tale fenomeno, dette anafilattogeni, sono dotate di potere antigene e in particolare sono molto attive in questo senso le proteine non tutti gli antigeni tuttavia sono anafilattogeni: la reazione anafilattica dipende infatti dalla produzione da parte dell’organismo di anticorpi appartenenti alla classe IgE delle immunoglobuline. Questi hanno la proprietà di fissarsi alla superficie di determinate cellule (soprattutto mastcellule) così che quando l’antigene reagisce in modo specifico con questi anticorpi dalle cellule si liberano sostanze chimiche (mediatori chimici dell’a.) quali l’istamina, la serotonina, polipeptidi vasoattivi e altre, dalle quali dipende il complesso di sintomi con cui la reazione anafilattica si manifesta.

SINTOMI
Gli allergeni più frequentemente coinvolti sono i farmaci, i veleni degli insetti, le sostanze alimentari. Le manifestazioni si hanno entro un’ora dal contatto. Si ha prurito, orticaria, nausea, vomito, ma soprattutto grave dispnea con cianosi, aumento della frequenza cardiaca, shock fino all’arresto cardiocircolatorio.La reazione anafilattica è caratterizzata essenzialmente da una contrazione prolungata della muscolatura liscia in vari distretti dell’organismo e da alterazioni dei vasi capillari con aumento della loro permeabilità. Quando la reazione avviene a livello della cute si avrà un focolaio di edema con arrossamento e prurito (sintomi caratteristici dell’orticaria) se avviene a livello della mucosa bronchiale si avranno turgore e congestione della mucosa associati a contrazione della muscolatura bronchiale (responsabili dei sintomi che caratterizzano l’asma bronchiale). Se invece la sostanza responsabile viene introdotta per via endovenosa si ha una grave reazione generale dell’organismo con brusca caduta della pressione arteriosa, difficoltà respiratoria, pallore, sudorazione fredda e profusa (shock anafilattico). Nell’uomo la causa più frequente di tali reazioni si ha con alcuni tipi di farmaci, particolarmente la penicillina, ma anche la vitamina B1, gli ormoni, i sulfamidici. In rari casi lo shock anafilattico può essere scatenato anche da punture di insetti (api, vespe).

TERAPIA
Si tratta di una vera e propria urgenza che impone l’immediata ospedalizzazione e un’energica terapia a base di adrenalina, cortisonici, antistaminici. Può essere richiesta l’intubazione per assicurare una buona ventilazione.

 
ANAGEN

Fase di crescita nel ciclo vitale del pelo, che consta di quattro tempi (anagen I-IV), durante i quali la struttura pilifera nasce e si consolida. La durata di tale fase varia a seconda delle aree corporee: 6 mesi al tronco, 3-10 anni al cuoio capelluto.

 
ANALE, stadio

Periodo dello sviluppo istintuale infantile.Il concetto è stato introdotto da S. Freud, ed è rimasto come uno dei cardini della teoria freudiana e del modello psicoanalitico. Lo stadio a. corrisponde alla seconda fase dello sviluppo istintuale infantile, e si colloca tra il 2° e il 3° anno di vita del bambino. In questo periodo la mucosa anale risulta essere il centro elettivo della libido individuale. Acquistano così notevole importanza le feci che nell’atto della defecazione portano a un soddisfacimento della libido  nello stesso tempo mediante il controllo (o il non controllo) degli sfinteri il bambino si pone in un rapporto particolare con il mondo degli adulti.Infatti può controllare la relazione con i genitori soddisfacendo o rifiutando la loro richiesta di regolare l’attività sfinterica.Si può quindi arrivare ad una fase in cui le feci possono acquisire il significato di una opposizione all’adulto.Per tale motivo lo stadio anale viene anche definito sadico.

 
ANALETTICI

Termine generico per definire farmaci capaci di stimolare l’attività psichica, respiratoria e circolatoria, agendo direttamente sul rilascio di neuromediatori a livello del sistema nervoso centrale (centri regolatori del circolo e del respiro). Gli analettici possono essere sostanze naturali o sintetiche. Questi farmaci, che in condizioni normali sono capaci di modificare la circolazione e la respirazione in misura molto scarsa, manifestano invece la loro azione quando tali funzioni siano insufficienti per una depressione dei loro centri regolatori.

 
ANALGESIA

Scomparsa della sensibilità dolorifica. Tale condizione può venire indotta artificialmente in modi diversi per scopi terapeutici o può essere presente in determinate condizioni morbose. L’analgesia può interessare tutto l’organismo oppure un suo limitato distretto. Può conseguire a lesioni di un punto qualsiasi lungo le vie deputate alla conduzione del dolore: queste seguono un decorso centripeto lungo apposite fibre nervose, in connessione con i recettori periferici, per terminare nel cervello in particolari formazioni dette talami. È riscontrabile per esempio in alcuni disturbi mentali (tipicamente nell’isterismo, nella schizofrenia, nei raptus melanconici o ansiosi), in malattie neurologiche come la siringomielia e la tabe dorsale, in condizioni patologiche che conseguono a traumi. In altri casi essa è congenita, in genere associata a malattie psichiche o neurologiche. L’analgesia terapeutica viene ottenuta farmacologicamente sia con sostanze dette appunto analgesici, sia per mezzo di pratiche più complesse.

 
ANALGESICI

Farmaci capaci di inibire selettivamente la percezione del dolore. Essi innalzano la soglia al dolore senza modificare le altre forme di sensibilità. L’attività analgesica è dimostrata da molte sostanze, anche di natura assai diversa. Analgesici maggioriAlcuni sono alcaloidi naturali dell’oppio come la morfina e la codeina o derivati semisintetici della morfina come l’eroina, altri sono composti di sintesi come il metadone, la meperidina e la pentazocina. Il meccanismo dell’azione analgesica è in gran parte oscuro. D’altra parte il dolore, che costituisce un’esperienza esclusivamente soggettiva, è difficilmente quantificabile e può essere valutato solo attraverso le reazioni da esso provocate. Sul sistema nervoso centrale gli analgesici hanno nello stesso tempo effetti eccitanti e deprimenti. Nell’uomo prevale in genere uno stato di sedazione: essi inducono sonnolenza, senza tuttavia avere un effetto ipnotico, diminuzione della capacità di concentrazione, difficoltà nella ideazione, amnesia per i fatti recenti, apatia. In misura variabile tutti gli analgesici determinano un effetto euforizzante. L’effetto collaterale principale degli analgesici è la depressione respiratoria, per un’azione diretta sui centri respiratori bulbari e infatti nell’avvelenamento da analgesici la morte avviene per paralisi respiratoria. Altri effetti collaterali sono: nausea e vomito, miosi, ipotensione ortostatica, rallentamento del transito intestinale con effetto costipante.Dal punto di vista farmacologico gli a. agiscono su recettori specifici che vengono bloccati competitivamente da farmaci antagonisti come la nalorfina e il levallorfano. In varia misura, con l’uso prolungato, gli analgesici danno luogo a assuefazione, abitudine e tossicomania. Si tratta quindi di tipiche sostanze stupefacenti. Si instaura una dipendenza fisica e psichica dal farmaco e, alla sospensione del trattamento, si scatena una sindrome di astinenza. Nel controllo del dolore, l’uso degli analgesici deve quindi essere molto oculato. Analgesici minoriAltri farmaci, tra cui molti antinfiammatori (il dolore è spesso conseguenza di uno stato infiammatorio) e antipiretici, hanno un’attività analgesica. Si tratta di sostanze non stupefacenti che hanno un’efficacia inferiore e un meccanismo d’azione diverso rispetto agli analgesici maggiori e sono spesso indicati come analgesici minori. D’altra parte anche le indicazioni sono nettamente diverse. Esempi di analgesici minori sono l’acido acetilsalicilico, la fenacetina, l’aminofenazone, il paracetamolo. Da ultimo viene ricordata una particolare azione analgesica indiretta svolta dai revulsivi (cerotti medicati, tintura di iodio, ittiolo, ecc.) che vengono applicati sulla cute della regione affetta. La loro azione si svolge principalmente decongestionando la parte malata, diminuendone di conseguenza la tensione e il dolore.

 
ANALISI

Termine che Freud utilizzò inizialmente nei suoi lavori scientifici per indicare il nuovo metodo d’indagine che stava sperimentando (analisi, analisi psichica, analisi psicologica, analisi ipnotica)  successivamente coniò il neologismo psicanalisi, dal greco psyché = anima e analysis = scioglimento.
Già il filosofo Renato Cartesio, aveva inteso analisi e quindi lo scioglimento come un metodo d’indagine consistente nella scomposizione di un oggetto nei suoi elementi costitutivi. Con psicanalisi Freud intende sia una nuova concezione del funzionamento dei meccanismi della personalità, sia una terapia in grado di curare alcune malattie nervose.Il suo metodo si basa sulla ricerca di quei contenuti psicologici che non sono presenti esplicitamente nella coscienza, e quindi non si manifestano chiaramente nella memoria dei pazienti.Questi contenuti inconsci, interferiscono sulla personalità e sul comportamento, manifestandosi sotto forma di lapsus, ansie, sogni.

 
ANAMNESI

Indagine effettuata dal medico attraverso l’interrogatorio del paziente o dei suoi familiari, allo scopo di raccogliere dati e notizie che possano essere utili per la diagnosi. L’anamnesi patologica prossima riguarda sintomi e manifestazioni della malattia eventualmente in atto.

  • L’anamnesi patologica remota riguarda affezioni sofferte in passato;
  • L’anamnesi fisiologica riguarda notizie riguardanti le varie fasi dello sviluppo somatico e psichico, le abitudini di vita e alimentari, l’attività lavorativa ecc.
  • L’anamnesi familiare riguarda dati riferentisi ai familiari e a malattie da questi sofferte.

L’anamnesi costituisce una fase fondamentale dell’indagine diagnostica  da essa possono infatti scaturire elementi sufficienti di per sé soli per una diagnosi esatta. L’anamnesi familiare è particolarmente importante per le malattie a carattere ereditario, che spesso si manifestano in più membri dello stesso gruppo familiare o che vengono trasmesse in modo caratteristico.

 
ANAPLASIA

Disturbo della differenziazione cellulare che comporta un’alterazione nell’architettura del tessuto che esse compongono. Si associa ad atipia delle singole cellule ed è caratteristica delle proliferazioni tumorali. Quanto maggiore è il grado di anaplasia, tanto più elevato è il grado di malignità di un tumore.

 
ANASARCA FETO-PLACENTARE

È una forma particolare di a. che interessa il feto, il cordone ombelicale e la placenta, nelle forme gravi di eritroblastosi fetale  è una malattia che può comparire in caso di incompatibilità tra il gruppo sanguigno della madre e quello del feto.

ANASARCA

Condizione patologica caratterizzata da gonfiore diffuso dei tessuti sottocutanei, dovuto a ritenzione di una abnorme quantità di liquido interstiziale  si associa a presenza di versamenti nelle cavità sierose pleuriche, peritoneale, pericardica. Rappresenta una forma molto grave di edema e si può avere nello scompenso cardiaco grave e in alcune malattie renali.

 
ANASTOMOSI

Tradizionalmente, confluenza di due vasi (arterie, vene o linfatici) l’uno nell’altro. Deriva dal termine greco anastomosis, che significa unione di due bocche. La presenza delle anastomosi vascolari e la loro conoscenza da parte del chirurgo consente la legatura chirurgica di alcuni vasi senza che vi sia compromissione della circolazione a valle. Il termine viene anche utilizzato in chirurgia nel più generico significato di ricanalizzazione, cioè di unione di due organi cavi (vasi ma anche dotti o tratti di organo) finalizzata alla ripresa della corretta funzionalità a seguito di una precedente interruzione (resezione) della continuità dell’organo. Si parla quindi di anastomosi biliari, gastro intestinali, ureterali, ecc. Le due modalità tecniche più comuni di anastomosi chirurgica sono la anastomosi termino-terminale (nella quale le due porzioni terminali del lume sono tra loro affrontate e suturate in continuità) e la anastomosi latero-laterale (nella quale le due cavità vengono affiancate lateralmente e così suturate).

 
ANATOMIA PATOLOGICA

Studia la morfologia degli organi e dei tessuti ammalati, al fine di porre una diagnosi di natura della malattia che affligge il paziente. Essa si avvale dello studio macroscopico degli organi e dello studio microscopico dei tessuti, sia a fresco che opportunamente conservati (formaldeide) e trattati (colorazioni standard, istochimiche ed immunoistochimiche). Include inoltre lo studio del cadavere al fine di stabilire le cause della morte, rivestendo quindi un ruolo di primaria importanza medico-legale.

 
ANATOMIA

Scienza che studia la forma e la struttura, ossia la morfologia, del corpo umano. Con la fisiologia è una delle branche fondamentali della medicina. Ai fini della ricerca è possibile oggi suddividere l’a. in:

  • Anatomia macroscopica. Strumento principale della ricerca anatomica è la dissezione, mediante la quale è possibile sia osservare direttamente i rapporti esistenti tra i vari organi sia isolare le singole parti per uno studio ulteriore.
  • Anatomia microscopica. Da tempo gli studi di a. vengono integrati da una ricerca a livello istologico e citologico, cioè a livello dei tessuti e delle cellule che li costituiscono.
  • Anatomia ultramicroscopica. Soprattutto grazie all’ausilio del microscopio elettronico si sono potuti osservare e studiare gli organuli cellulari e le macromolecole.
  • Anatomia radiologica. Importante strumento di ricerca anatomica che, operando non più sul cadavere ma direttamente sul paziente, fornisce una serie di dati non altrimenti evidenziabili.

Sempre come oggetto della ricerca, l’anatomia può essere ulteriormente divisa in:

  • Anatomia sistematica, che ha per oggetto lo studio analitico macroscopico e microscopico dei vari organi e apparati costituenti il corpo umano.
  • Anatomia topografica, che, diviso il corpo umano in singole regioni, studia sinteticamente i limiti, la conformazione, i rapporti e le caratteristiche degli organi che lo costituiscono.
  • Anatomia patologica, che studia le alterazioni prodotte dalle malattie in organi e apparati.
 
ANATOSSINA

Tossina che, trattata con sostanze particolari, perde il potere tossico ma non quello antigene, cioè mantiene la capacità di indurre la formazione di anticorpi. Le anatossine più note sono quelle ottenute dalla tossina difterica e dalla tossina tetanica, che vengono utilizzate per produrre vaccini.

 
ANCA

Regione anatomica corrispondente al punto di connessione e di articolazione dell’arto inferiore al tronco. È costituita dalla articolazione tra l’acetabolo che risulta dalla fusione dell’ileo, dell’ischio e del pube e la testa del femore, dalle strutture fibrose articolari e peri-articolari, dai muscoli relativi e dai corrispondenti vasi e nervi. Nella pratica clinica il termine a. identifica in senso limitativo l’articolazione e le strutture anatomiche corrispondenti. L’azione svolta dai diversi gruppi muscolari conferisce all’anca una ampia mobilità, resa possibile dalle caratteristiche dell’articolazione, che consente movimenti di adduzione e abduzione, di rotazione e di circonduzione dell’arto. L’a. possiede una ricca patologia sia congenita (lussazione congenita, coxa plana, coxa vara ecc.) sia acquisita (artrosi, fratture, lussazioni, tubercolosi ecc.).

 
ANCHILOSI

Limitazione o abolizione dei movimenti di un’articolazione.

CAUSE
Solitamente determinata da processi patologici interessanti i diversi elementi dell’articolazione stessa, che comportano una retrazione e fibrosi delle strutture legamentose e capsulari, o una fusione dei due capi articolari.I processi infiammatori acuti o cronici e le fratture dell’articolazione trattate in modo inadeguato sono tra le cause più frequenti. Alcune malattie generali quali la gotta e il reumatismo, l’immobilità protratta dell’arto, o anche l’età avanzata, possono costituire condizioni predisponenti o favorenti l’anchilosi.

SINTOMI
Sono caratterizzati dalla riduzione o abolizione dell’articolarità, dall’instaurarsi di atteggiamenti viziati e incorreggibili assieme al dolore risvegliato dai tentativi di movimento.

DIAGNOSI
Fondamentalmente clinica e radiografica.

TERAPIA
Utile la prevenzione con la mobilizzazione, il massaggio o altre pratiche di fisioterapia sull’articolazione colpita. Diversamente si ricorre a interventi chirurgici di sostituzione protesica con lo scopo di ristabilire la funzionalità della parte.

 
ANCHILOSTOMIASI

Malattia dovuta a infestazione dell’organismo da parte di vermi Nematodi quali Ancylostoma duodenale o Necator americanus. È una parassitosi diffusa nei paesi tropicali a clima caldo umido. Le larve di questi vermi penetrano nell’organismo attraverso la cute (in soggetti che maneggiano terra infetta o in chi cammina a piedi nudi) e per via emolinfatica giungono fino ai polmoni e risalgono l’albero bronchiale fino alla trachea e alla faringe da qui, attraverso l’esofago e lo stomaco, arrivano al duodeno dove si fissano alla parete e si sviluppano fino allo stadio adulto.

SINTOMI
Il sintomo principale è un’anemia grave, direttamente proporzionale al numero di vermi presenti e alla riserva di ferro nell’organismo. È dovuta a piccole emorragie dall’intestino e alla continua sottrazione di sangue da parte dei vermi. Nei bambini essa può determinare anche ritardo nella crescita e nello sviluppo intellettuale. Altri sintomi sono: nausea, inappetenza, dolori addominali, mal di testa, insonnia e nei casi più gravi, difficoltà nel camminare.

DIAGNOSI
Per la diagnosi della malattia è determinante l’esame microscopico delle feci, che permette di riconoscervi le uova del verme, unito al riscontro di anemia, disturbi digestivi e l’avere soggiornato in aree endemiche.

TERAPIA
La terapia si basa sulla somministrazione di farmaci antielmintici (mebendazolo). È importante poi la prevenzione, che si fonda sulla ricerca e la disinfestazione dei soggetti portatori, sulla bonifica e sulla difesa del suolo nelle zone infestate, su norme di igiene personale (principalmente l’uso di calzature).

 
ANCONEO, muscolo

Muscolo estensore dell’avambraccio. Si trova nella regione posteriore dell’avambraccio, vicino al gomito.

 
ANDATURA

Insieme degli atteggiamenti dinamici del corpo che si susseguono nella deambulazione.

 
ANDROGENI, ormoni

Ormoni steroidei che hanno come effetto principale quello di determinare, nell’organismo maschile, alla pubertà, lo sviluppo dell’apparato genitale e dei caratteri sessuali secondari.I principali ormoni a. sono il testosterone, il diidrotestosterone, l’androstenedione, l’androsterone, il deidroepiandrosterone (o DHEA) e vengono prodotti dalle gonadi e dalle ghiandole surrenali.Nell’uomo vengono prodotti dalle cellule interstiziali del testicolo, la cui attività è controllata dalla adenoipofisi attraverso la secrezione di ormone luteotropo, a sua volta regolata da un meccanismo di controllo.Nella donna vengono prodotti, anche se in minima quantità, dall’ovaio e dalla placenta.Gli steroidi entrano nella cellula per diffusione passiva attraverso la membrana cellulare e si legano a specifici recettori intra-cellulari (tipo I e tipo II). Dopo il legame il complesso steroide-recettore è trasportato a nucleo dove interagisce in siti specifici localizzati su geni.Gli ormoni a. agiscono a livello dell’apparato genitale maschile determinando:- l’accrescimento del pene - l’accrescimento della prostata - l’accrescimento delle vescicole seminali - il mantenimento del processo di maturazione cellulare nell’epitelio seminale del testicolo in associazione con l’ormone ipofisario follicolostimolante.Al di fuori dell’apparato genitale gli ormoni a. promuovono lo sviluppo e il mantenimento di quel complesso di tratti somatici e comportamentali (caratteri sessuali secondari) che sono propri del maschio:- tono della voce - distribuzione dei peli e del pannicolo adiposo - sviluppo delle masse muscolari e dello scheletro - aggressività, interesse e intraprendenza nei confronti dell’altro sesso.Gli ormoni a. hanno inoltre un importante effetto anabolizzante, in quanto stimolano in tutti i tessuti (particolarmente nel tessuto muscolare) la sintesi di nuove proteine  nel tessuto osseo essi facilitano i processi di ossificazione. Un’abnorme riduzione della produzione di ormoni a. si osserva nelle condizioni di ipogonadismo, che può dipendere da processi patologici a carico del testicolo (ipogonadismo primitivo) o dell’ipofisi (ipogonadismo secondario)  se la carenza di ormoni a. si instaura prima della pubertà viene a mancare la maturazione sessuale (eunuchismo)  se si manifesta dopo la pubertà i sintomi sono meno accentuati (eunucoidismo).Nella donna l’eccessiva secrezione di ormoni a. determina modificazioni somatiche più o meno marcate: dal semplice aumento della diffusione e della crescita dei peli sino a quadri di virilizzazione.Gli ormoni a. vengono somministrati a scopo terapeutico in tutte le forme di ipogonadismo maschile. Alcune forme di progesterone hanno una debole attività androgenica.

 
ANDROGINIA

Anomalia dello sviluppo degli organi sessuali dell’uomo, caratterizzata da una insufficiente differenziazione dei genitali esterni e dalla comparsa di elementi sessuali secondari di tipo femminile (per es. scarsa pelosità). È sintomo di pseudoermafroditismo o ermafroditismo apparente.

 
ANDROGINO

Letteralmente aggettivo che definisce un aspetto sessualmente ambiguo, partecipe delle caratteristiche di entrambi i sessi, o condizione di intersessualità (androginia, ermafroditismo). Tale condizione è dovuta ad un problema intervenuto durante lo sviluppo embrionale e fetale, che abbia compromesso il regolare processo di differenziazione sessuale dell’individuo. Schematicamente, l’androginia può riflettere anomalie delle gonadi, dipendenti da un’alterato assetto di cromosomi sessuali (disgenesia gonadica, pseudo-ermafroditismo di tipo maschile, ermafroditismo vero), od anomalie dell’apparato genitale interno, esterno, od entrambi, dovute ad un clima ormonale inadeguato durante la gestazione (pseudo-ermafroditismo femminile, o virilizzazione parziale, pseudo-ermafroditismo maschile o virilizzazione inadeguata).

 
ANDROIDE

Aggettivo che si usa in medicina per indicare qualche cosa che presenti caratteri mascolini  si dice, per esempio, dell’obesità con disposizione prevalente dell’adipe sul tronco e sulla parte superiore del corpo.

 
ANDROLOGIA

Branca della medicina che si occupa della diagnosi e della terapia di tutte le condizioni morbose che possono ostacolare o comunque alterare la funzionalità sessuale riproduttiva nel maschio. L’andrologia si avvale di metodi di indagine diagnostica quali esame morfologico dell’apparato sessuale, esame biochimico del liquido seminale, controllo dei livelli ormonali, esame del cariotipo, studio istologico di biopsie testicolari, indagini strumentali varie (flebografia, angiografia, ecografia ecc.).

 
ANDROPAUSA

Periodo della vita dell’uomo in cui si verifica l’involuzione e quindi la cessazione dell’attività del testicolo.

 
ANDROSTERONE

Uno degli ormoni androgeni (vedi ANDROGENI, ormoni).

 
ANELLO EMORROIDALE

Sistema di piccole dilatazioni venose a forma di ampolle che, in prossimità delle valvole anali, circondano completamente il retto come una corona  è una struttura tributaria del plesso venoso emorroidario. Il plesso emorroidario ha sede nello spessore della sottomucosa del retto e, al di sotto dello sfintere, nello spessore del sottocutaneo della regione anale. Da tale plesso si dipartono sei vene principali, cioè due vene emorroidarie superiori, due medie e due inferiori. Quelle superiori convogliano il sangue nella vena mesenterica inferiore e da questa nella vena porta  quelle medie e quelle inferiori portano il sangue (le prime direttamente, le seconde tramite la vena pudenda interna), nella vena ipogastrica e quindi nella vena cava inferiore. Il plesso emorroidario rappresenta un’importantissima zona di collegamento della circolazione venosa portale con quella della vena cava inferiore, così come il plesso venoso esofageo inferiore rappresenta il principale punto di incontro tra il sistema venoso portale e quello della vena cava superiore. Ne consegue che, allorché esiste un ostacolo a qualunque livello sul decorso della vena porta, il sangue portale si scarica nel circolo generale, passando appunto attraverso i due plessi sopracitati, i quali perciò possono essere considerati come le valvole di sicurezza del sistema venoso portale. Le emorroidi consistono nella dilatazione varicosa delle vene del plesso venoso emorroidario.

 
ANELLO LINFATICO DI WALDEYER

Insieme di formazioni linfatiche disposte tutt’attorno alla faringe a costituire una sorta di barriera difensiva. Sono costituite da ammassi di linfociti (le più note sono le tonsille palatine) che sono particolarmente importanti nei primi anni di vita  se un germe si localizza in questa regione si ha una faringo-tonsillite. Questa malattia è rara al disotto di 1 anno, ma è particolarmente frequente tra i 4 e i 7 anni  è causata più spesso da virus e dallo streptococco beta-emolitico di gruppo A e più di rado da micoplasma. I sintomi caratteristici, ben noti a tutte le mamme, sono mal di gola e febbre elevata. Sulla mucosa faringea e sulla superficie tonsillare si nota spesso la formazione di essudato e le ghiandole linfatiche del collo e al disotto della mandibola sono di solito aumentate di volume e dolenti alla palpazione.Il sistema più sicuro per formulare la diagnosi rimane sempre l’esecuzione del tampone faringeo, che consente la ricerca dello streptococco nell’essudato prelevato dalla tonsilla.

 
ANEMIA

Una delle principali funzioni del sangue è quella di trasportare ossigeno. Però l’ossigeno è trasportato dall’emoglobina, che lo capta a livello degli alveoli polmonari e l’emoglobina a sua volta è contenuta nel globulo rosso e da esso è trasportata, grazie alla circolazione, a tutte le cellule dell’organismo, le quali senza ossigeno non possono vivere. Si definisce a. qualunque condizione nella quale il patrimonio emoglobinico totale dell’organismo scende al di sotto dei valori minimi normali. Non essendo facile valutare correntemente il totale dell’emoglobina dell’organismo, nella pratica di laboratorio col termine di a. s’intende la diminuzione del tasso di emoglobina del sangue circolante. Si parla di a. quando al comune esame emocromocitometrico l’emoglobina è al di sotto di 13,5g/dl nell’uomo adulto normale e di 12 g/dl nella donna. A., quindi, non significa diminuzione dei globuli rossi circolanti, ma diminuzione dell’emoglobina circolante. I due fenomeni con grande frequenza sono associati, ma la loro distinzione è fondamentale. Il globulo rosso contiene emoglobina in soluzione satura, cioè alla massima concentrazione ma vi sono condizioni nelle quali la concentrazione emoglobinica globulare media (MCH) può diminuire e allora si ha a. malgrado il numero globale dei globuli rossi sia ancora normale. Si ha pure a. quando diminuisce il volume del globulo rosso, cioè il volume globulare medio (MCV). Quindi si ha a. nelle tre seguenti condizioni:- diminuzione del numero dei globuli rossi (normale da 5,6 a 4,5 milioni per mmc) - riduzione del loro volume, MCV normale 83-97 fl(fl = femtolitro cioè litro per 10-15) - impoverimento del loro contenuto in emoglobina (contenuto emoglobinico globulare medio, cioè MCH normale: 27-31 pg (picogrammo = g per 10-12).In tutte queste condizioni il risultato finale è la diminuzione della quantità di emoglobina circolante. Secondo i casi, dette condizioni possono presentarsi singolarmente o variamente associate, dando così origine a molti e diversi tipi di a. Si parla di ipocromia quando I’MCH è inferiore alla norma e di ipercromia quando è superiore  quest’ultima condizione si verifica in condizioni patologiche quando originano globuli rossi di volume e contenuto di emoglobina nettamente superiore alla norma. Gli indici fondamentali per precisare il tipo di a. e quindi avere anche importanti indicazioni di orientamento nella ricerca del meccanismo che ne sta alla base sono soprattutto due: l’MCV e l’MCH. In base a detti indici, che sono routinariamente riportati negli stampati dell’emocromo-citometrico, distinguiamo le anemie nei seguenti tre tipi principali:- anemie normocitiche normocromiche, nelle quali MCV e MCH sono normali, ma sono diminuiti sia il tasso di emoglobina per dl sia il numero dei globuli rossi per mmc  caso tipico è l’a. da emorragia - anemie microcitiche ipocromiche, nelle quali MCV e MCH sono in variabile misura inferiori al minimo normale, mentre il numero dei globuli rossi può essere anche normale (per esempio in certi casi di a. da carenza di ferro) o persino aumentato (in qualche caso di a. da talassemia) - anemie macrocitiche, nelle quali l’MCV è sempre aumentato, ma spesso anche l’MCH (tipico esempio l’a. megaloblastica da carenza di vitamina B12 o di acido folico) mentre il numero dei globuli rossi è sempre diminuito.La precisazione del tipo di a. è molto importante nell’orientarsi per ricercarne la causa  per esempio in caso di a. microcitica ipocromica si penserà innanzitutto alla carenza di ferro, data la frequenza di quest’ultima condizione, mentre in caso di a. macrocitica ipercromica si sospetterà subito la carenza di B12 o di folati e non certo quella di ferro.Meccanismi delle anemie.Sono tre i principali meccanismi delle anemie:- insufficiente produzione di globuli rossi da parte del midollo - emorragie, quindi perdita di globuli rossi e di conseguenza diminuzione dell’emoglobina - eccessiva distruzione di globuli rossi, cioè emolisi.L’insufficiente produzione di globuli rossi da parte del midollo osseo è dovuta alla progressiva riduzione del numero delle cellule staminali emopoietiche già orientate in senso eritroide (eritroblasti) il che comporta riduzione della produzione di globuli rossi. Detta condizione, nota col termine di aplasia, può conseguire alle cause più diverse e talora può interessare, oltre la linea rossa, anche quelle che producono globuli bianchi e piastrine, in quanto la lesione primitiva è a carico della cellula staminale totipotente. Tra le anemie da insufficiente produzione eritropoietica è importante e di grande interesse l’a. dovuta alla notevole riduzione o alla completa cessazione della produzione di eritropoietina  tipica al riguardo l’a. da grave insufficienza renale.

Una seconda importante condizione di a. da causa midollare è costituita dalla cosiddetta eritropoiesi inefficace. In detta condizione il midollo produce eritroblasti, e anche in misura superiore alnormale, ma sono alterati, molti muoiono nell’interno del midollo e non producono globuli, oppure è alterata la sintesi di emoglobina per cui si formano globuli rossi anormali. È quanto si verifica nelle mielodisplasie, nelle sindromi talassemiche e anche nella carenza di ferro o di B12. Le anemie da emorragia sono di entità strettamente legate all’entità della perdita di sangue, provocata da ferite o da emorragie interne. L’emorragia può provocare, in brevissimo tempo, perdite di oltre 2 litri di sangue, cioè di metà circa dell’intero patrimonio sanguigno di un adulto normale. Sia il tasso di emoglobina sia il numero dei globuli rossi scenderanno a metà circa del normale. In queste situazioni, se l’organismo è sano, il midollo, tramite i suoi finissimi meccanismi di feed-back, aumenta immediatamente la produzione di globuli rossi, la quale, nel giro di 7-8 giorni, può arrivare a 10 volte quella normale, allo scopo di compensare la perdita il più rapidamente possibile. Si ha la messa in circolo in percentuale abbastanza elevata di globuli rossi ancora giovani (reticolociti). Il terzo principale meccanismo di a. è l’emolisi, cioè la distruzione dei globuli rossi. Il globulo rosso normale ha una durata di vita di 120 giorni all’esatto scadere dei quali viene fagocitato dai macrofagi, in prevalenza da quelli della milza. Se il globulo rosso ha un difetto, che può interessare una delle sue componenti, l’emoglobina, oppure la membrana del globulo rosso, oppure per un difetto metabolico, la sua durata di vita può essere brevissima e il globulo rosso viene distrutto, fagocitato dai macrofagi, o anche, usato direttamente in circolo (emolisi intravascolare). Altri meccanismi di emolisi, talora di gravissima entità e ciò anche per globuli rossi normali, sono quelli dovuti alla presenza di autoanticorpi contro i globuli rossi oppure di sostanze altamente tossiche entrate in circolo.

CAUSE
La produzione dei globuli rossi da parte del midollo può subire danni notevoli, sino a cessare completamente, per azione degli agenti più diversi: le radiazioni ionizzanti, il benzolo l’assunzione di certi farmaci. Anemie possono aversi in caso di gravi infezioni, per azione di sostanze tossiche per le cellule midollari, prodotte da germi o virus. La carenza di ferro, componente indispensabile dell’emoglobina, è la causa di uno dei tipi più frequenti di a. La carenza di acido folico, importante fattore vitaminico, come pure quella di vitamina B12, ambedue fattori necessari alla normale proliferazione degli eritroblasti midollari, determinano l’a. macrocitica megaloblastica.Per maggior chiarezza si possono distinguere due principali famiglie di a. in rapporto ai diversi meccanismi con cui tale condizione si realizza. Anemie rigenerative e arigenerative.Anemie rigenerativeDovute a perdita eccessiva di globuli rossi attraverso emorragie (anemie emorragiche) o alla loro eccessiva distruzione (anemie emolitiche), sono così chiamate perché nel midollo osseo si osserva un aumento del numero di cellule progenitrici dei globuli rossi allo scopo di ripristinarne i valori normali.- Le anemie emorragiche possono instaurarsi in modo acuto (per gravi emorragie gastrointestinali o uterine, o in conseguenza di traumi che ledano un grosso vaso o un organo molto vascolarizzato), oppure in modo lento, subdolamente, per una perdita di sangue di modica entità ma che si protrae nel tempo (ulcera peptica, cancro dello stomaco, tumori del grosso intestino, colite ulcerosa, anchilostomiasi).- Le anemie emolitiche sono dovute, come già accennato, a eccessiva distruzione dei globuli rossi. Normalmente si ha una condizione di equilibrio tra la produzione di globuli rossi a livello del midollo osseo e distruzione degli stessi da parte di cellule istiocitarie a livello della milza (la loro vita media è di 100-120 giorni). I meccanismi che possono portare alla rottura di questo equilibrio sono assai diversi. Possono essere in causa alterazioni insite nel globulo rosso, che lo rendono meno resistente anomalie di struttura dell’emoglobina quali si osservano per esempio nella a. falciforme o drepanocitosi e nella a. mediterranea o talassemia anomalie di forma del globulo rosso come nella sferocitosi deficit di particolari enzimi in esso contenuti. Oppure i globuli rossi possono venir danneggiati da vari fattori quali sostanze chimiche tossiche (per es. piombo, arseniati, clorati), anticorpi anti-globuli rossi (per es. nelle trasfusioni di sangue incompatibile, nella malattia emolitica del neonato, in malattie autoimmuni), tossine batteriche, parassiti (per es. il plasmodio della malaria), protesi valvolari cardiache di materiale plastico. Nelle anemie emolitiche, oltre ai segni generali dell’a., si osserva l’ittero: questo consiste in una colorazione giallastra della cute e delle mucose conseguente all’aumento nel sangue della bilirubina che si forma dalla degradazione dell’emoglobina (liberatasi per la distruzione dei globuli rossi). Se questa avviene in modo brusco si può avere una sintomatologia acuta (crisi emolitica) caratterizzata da brividi, febbre, nausea, vomito, dolori addominali ed eventualmente anche comparsa di emoglobina nelle urine.Anemie arigenerativeSono dovute a una insufficiente produzione di globuli rossi da parte del midollo in rapporto a riduzione più o meno marcata delle cellule progenitrici. Possono essere in gioco anomalie qualitative delle cellule progenitrici tali da portare alla formazione di globuli rossi che vengono rapidamente distrutti o che addirittura non giungono a maturazione, oppure processi patologici diversi che distruggono il midollo emopoietico. Le cause delle anemie arigenerative possono essere numerose e assai diverse: infiltrazione del midollo da parte di cellule leucemiche o di metastasi tumorali, aplasia del midollo per effetto di radiazioni ionizzanti, di farmaci citotossici usati nella cura dei tumori, di intossicazioni, di malattie infettive. Anche alcuni farmaci, ai quali l’organismo può essere ipersensibile, possono determinare una grave distruzione midollare. La deficiente produzione di globuli rossi può essere infine determinata da un insufficiente apporto di quei fattori che sono indispensabili per la sintesi dell’emoglobina o per la maturazione delle cellule emopoietiche (ferro, vitamina B12, acido folico).- L’a. sideropenica, dovuta a carenza di ferro (elemento indispensabile per la formazione dell’emoglobina), è una delle forme più diffuse e colpisce soprattutto il sesso femminile, spesso durante la gravidanza, quando le riserve di ferro dell’organismo materno vengono depauperate dalle necessità di sintesi emoglobinica dell’organismo fetale. Nella femmina inoltre si ha una perdita cronica di sangue e quindi di ferro a ogni ciclo mestruale. La mancata disponibilità di ferro per l’organismo può dipendere anche da un difettoso assorbimento dell’elemento a livello intestinale. In altri casi, pur essendo normali le riserve di ferro nell’organismo, la molecola dell’emoglobina, probabilmente per una carenza degli enzimi interessati, non è capace di utilizzarle completamente (anemie sideroacrestiche).- L’a. megaloblastica è una forma di a. caratterizzata da comparsa nel midollo osseo di cellule progenitrici dei globuli rossi più grandi di quelle normali, dette perciò megaloblasti. Tali cellule danno luogo alla comparsa in circolo di globuli rossi di forma ovale e di dimensioni superiori alla norma. Tali forme sono dovute nella maggior parte dei casi a deficienza di vitamina B12 in rapporto a deficit alimentari, ad atrofia della mucosa gastrica con mancata produzione di un fattore necessario per l’assorbimento intestinale della vitamina B12 (a. perniciosa o a. di Addison-Biermer), o a carenza di acido folico (a. megaloblastica nella botriocefalosi, in corso di gravidanza, nella cirrosi epatica).

SINTOMI
Poiché l’emoglobina ha la funzione di combinarsi con l’ossigeno contenuto nell’aria inspirata a livello dei polmoni e di trasportarlo, con la circolazione sanguigna, ai diversi organi e tessuti del corpo, in tutti i soggetti anemici si avranno sintomi relativi a deficiente ossigenazione e nutrizione dei tessuti.In particolare si osservano pallore della cute e delle mucose, stanchezza e facile affaticabilità, disturbi visivi e uditivi, irritabilità, mal di testa, sonnolenza specie dopo i pasti, palpitazioni. I tessuti dell’organismo che maggiormente risentono della condizione anemica sono quelli a più elevato consumo di ossigeno: miocardio, muscolatura scheletrica, sistema nervoso centrale.Altri sintomi sono invece in rapporto ai meccanismi di compenso che l’organismo mette in atto: aumento della frequenza cardiaca e della velocità di circolo. Questi sintomi generali possono essere più o meno accentuati non solo in rapporto all’entità della condizione anemica, ma anche alla rapidità con cui essa si instaura, all’età del paziente, al tipo di lavoro che svolge. In particolare è indispensabile distinguere se si tratti di a. acuta, cioè dovuta sostanzialmente ad un fatto emorragico, oppure di a. cronica, In caso di emorragia di grave entità, che provoca notevole rapida diminuzione della massa circolante si ha dispnea, palpitazioni, notevole calo della pressione e si può arrivare allo shock. Nelle anemie croniche i sintomi sono dovuti principalmente alla ipossia tessutale, cioè ai tessuti arriva poco ossigeno. Il nostro organismo mette in atto dei meccanismi di compenso per bilanciare il deficit di ossigeno. Infatti il nostro corpo cerca di utilizzare al massimo il residuo di ossigeno di cui dispone aumentando la velocità di circolo e la gittata cardiaca. Quindi il soggetto anemico accusa astenia, ronzio alle orecchie, dispnea, cioè sente mancargli il fiato anche per piccoli sforzi, e questa è tanto più intensa quanto più bassa è l’emoglobina, palpitazioni nell’anziano può aversi anche dolore precordiale per piccoli sforzi, senso di freddo.Caratteristico il pallore della pelle e delle mucose, che si rileva bene al lobulo delle orecchie, alle unghie e alle congiuntive. Frequente la tachicardia e l’ipotensione.

TERAPIA
La terapia delle anemie dipende essenzialmente dalla causa che determina questa situazione morbosa (somministrazione di ferro o di altri fattori nelle forme carenziali, asportazione della milza nelle forme emolitiche, somministrazione di acido folico e vitamina B12 nelle forme megaloblastiche ecc.). Nelle condizioni di grave riduzione dell’emoglobina saranno indicate anche le trasfusioni di sangue, quale complemento alla terapia principale o trattamento in condizioni di urgenza/emergenza.

 
ANENCEFALIA

Gravissima anomalia malformativa, incompatibile con la vita, dovuta a mancato sviluppo dell’encefalo e delle ossa del cranio. È la più comune delle malformazioni che non consentono vita autonoma post-natale.

 
ANERGIA

Mancanza di reattività immunologica dell’organismo nei confronti di sostanze estranee dotate di proprietà antigene con le quali esso venga a contatto. Può essere l’espressione di una condizione naturale di resistenza, per esempio ad agenti infettivi, quale si osserva in molte specie animali. Comunemente però si parla di anergiaper indicare una perdita della capacità reattiva immunitaria, a volte solo transitoria, come si può avere in conseguenza di alcune malattie infettive.

 
ANESTESIA

Perdita della sensibilità conseguente all’interruzione delle connessioni nervose tra i recettori periferici e la corteccia cerebrale, dovuta a lesioni delle vie nervose della sensibilità o a processi patologici a carico del sistema nervoso centrale (a. organica) o alla somministrazione di farmaci anestetici (a. artificiale) per consentire l’esecuzione di interventi chirurgici.- A. organica. L’affezione può interessare globalmente tutti e quattro i tipi di sensibilità: tattile, termica, dolorifica e profonda (a. totale), oppure uno o più di essi (a. dissociata). La terapia delle anestesie è in funzione diretta della malattia cui è connessa.- A. artificiale. Abolizione temporanea delle capacità percettive e delle reazioni al dolore che si ottiene con l’impiego di sostanze che agiscono in singoli settori dell’organismo (a. locale), oppure sull’organismo in toto (a. generale, che comporta la soppressione dello stato di coscienza).- A. locale. Si può realizzare ponendo a contatto con la cute o le mucose la sostanza anestetica (a. di superficie), oppure iniettando il farmaco nel contesto dei tessuti (a. per infiltrazione), o in prossimità di uno o più tronchi nervosi (a. tronculare e a. plessica). Un tipo particolare di a. è quella ottenuta iniettando il farmaco anestetico attraverso gli spazi intervertebrali per bloccare le radici dei nervi spinali. L’iniezione a livello dello spazio subaracnoideo (a. spinale o subaracnoidea) o più superficialmente nello spazio peridurale (a. peridurale o epidurale) consente di ottenere un’efficace a. nel basso addome e negli arti inferiori.Queste ultime pratiche anestesiologiche attualmente sono molto sfruttate nel tentativo di eliminare il dolore connesso con il parto. Il primo esperimento che portò il problema alla ribalta, suscitando grandi clamori e polemiche, è senza dubbio quello di Sir James Young Simpson, che introdusse l’uso del cloroformio. Bisogna anzitutto premettere che l’a. completa, per tutta la durata del parto vaginale, è ancora oggi irrealizzabile: in primo luogo, perché la maggior parte degli anestetici causa un completo rilassamento di tutta la muscolatura e di conseguenza arresta le contrazioni dell’utero impedendo che il parto prosegua  in secondo luogo, perché l’organismo della donna non può ricevere, senza danni, le dosi d’anestetico che sarebbero necessarie per garantire l’a. durante tutto il periodo del parto. Infine, molte delle sostanze usate possono passare dal sangue materno, attraverso la placenta, al feto, causando danni anche molto gravi. D’altra parte, l’intensità delle sensazioni che ciascuna donna percepisce è molto variabile, e le risposte ai vari anestetici sono diverse da soggetto a soggetto. Da ciò si comprende come molte volte metodi d’a. che hanno dato buoni risultati in certi soggetti si rivelino poco efficaci in altri. Una tappa di fondamentale importanza in questo campo è stata raggiunta con il metodo psicoprofilattico di preparazione al parto: esso non solo sfrutta unicamente le forze naturali della madre, ma facilita il parto, riducendo i pericoli ad esso connessi sia per la madre sia per il feto, e diminuisce in modo considerevole in un’alta percentuale di casi l’intensità delle doglie. Esistono però alcuni casi in cui questo non può essere applicato: donne con particolare labilità psichica, donne affette da nevrosi ecc. In tali situazioni, il problema dell’a. durante il parto presenta un’importanza particolare. Le complicazioni del parto, infine, richiedono l’uso di un’analgesia anche nei parti condotti secondo il metodo psicoprofilattico. La scelta del farmaco e le sue modalità di somministrazione sono molto importanti, e vanno valutate da caso a caso. Gli anestetici generali usati in Ostetricia sono abbastanza numerosi e possono agire sia offuscando la coscienza, pur senza toglierla completamente, e facendo sì che scompaia del tutto il ricordo di quanto è accaduto durante il parto, sia innalzando la soglia della sensibilità dolorifica (vale a dire il limite oltre il quale si avverte il dolore), in modo che le sensazioni dolorose non siano percepite.Alcuni di questi anestetici sono somministrati per inalazione: per esempio, il protossido d’azoto, il tricloroetilene, il ciclopropano.

Altri, invece, sono somministrati per iniezione (meperidina, clorpromazina, prometazina ecc.). Spesso, senza bisogno di ricorrere a veri e propri anestetici, si ottengono buoni risultati mediante l’uso di sedativi. L’a. locale consiste nel bloccare, con vari procedimenti, le vie nervose che trasmettono le sensazioni raccolte dai recettori periferici ai centri nei quali esse divengono coscienti. In questo modo, per un certo periodo, si ottiene l’abolizione completa della sensibilità nelle regioni interessate dai fenomeni del parto, senza interferire con le contrazioni dell’utero. Le tecniche usate per ottenere questo risultato sono numerose. Un primo procedimento, consiste nell’iniettare nella parte inferiore del canale vertebrale, una certa quantità d’anestetico sciolta in un liquido più denso del liquido cefalorachidiano (il liquido nel quale sono immersi l’encefalo e il midollo spinale), in modo che l’anestetico si sposti verso il basso, dove appunto si trovano i nervi attraverso i quali corrono gli stimoli provenienti dalle regioni interessate dal parto. Si ottiene così la cosiddetta a. a sella, che interessa il perineo, la faccia interna delle cosce e la parte inferiore della parete addominale. Mediante l’a. paravertebrale, invece, l’interruzione delle vie portatrici degli impulsi dolorosi avviene prima del loro ingresso nel canale vertebrale  si ottiene iniettando l’anestetico nelle immediate vicinanze e davanti ai corpi vertebrali. La narcosi sacrale consiste nell’introdurre una cannula nello spazio compreso fra la dura madre (la membrana più esterna che circonda l’encefalo e il midollo spinale) e il canale vertebrale, in corrispondenza dell’osso sacro: attraverso tale cannula, per tutta la durata del parto, si possono introdurre ad intervalli le sostanze anestetizzanti. Più comunemente, l’interruzione delle vie portatrici degli impulsi dolorifici è praticata ad un livello più basso, in corrispondenza, cioè, delle diramazioni nervose che si distribuiscono al perineo e che originano, per la massima parte, dal nervo pudendo (a. del pudendo). Tale a. si ottiene iniettando la soluzione d’anestetico in vicinanza della spina ischiatica, nello spazio ischio-rettale, dove appunto si trovano le terminazioni del nervo pudendo, la cui funzione è temporaneamente interrotta. Si ottiene così non solo l’interruzione della trasmissione degli impulsi dolorifici, ma anche la paralisi dei muscoli del piano perineale, che in questo modo non oppongono più resistenza alla dilatazione del canale del parto e alla progressione del feto. La durata dell’effetto anestetico è breve.- A. generale (o narcosi). Come ausilio indispensabile della chirurgia si propone non solo l’abolizione della sensibilità, ma anche la soppressione dello stato di coscienza, la scomparsa della motilità sia volontaria che riflessa, il rilasciamento di tutta la muscolatura scheletrica. L’a. generale viene fatta precedere da un trattamento farmacologico, detto premedicazione o preanestesia, con funzione di sedazione. Solitamente vengono adottati schemi di a. misti che prevedono l’impiego di farmaci dotati di effetto ipnotico (barbiturici) durante la fase di induzione, quindi farmaci che rilasciano completamente la muscolatura (curarici) abbinati a gas anestetici o anestetici endovenosi, miscelati adeguatamente per mantenere l’a. tutto il tempo necessario per completare le manovre chirurgiche.Poiché l’impiego di farmaci miorilassanti o di curaro comporta ovviamente l’inibizione dei muscoli respiratori, la respirazione del paziente in a. deve essere assistita con apparecchiature manuali o automatiche collegate a una maschera facciale o faringea, oppure a un tubo oro-tracheale.Naturalmente la tecnica anestesiologica si avvale, sia prima sia durante sia dopo l’a., di tutti i mezzi farmacologici e tecnici che il tipo di intervento, le circostanze e lo stato clinico del paziente possono richiedere.Il risveglio dall’a. ricalca il cammino inverso seguito nel suo istituirsi e può essere più o meno rapido: ricompaiono i riflessi, il respiro aumenta di frequenza e di profondità, riprendono i movimenti spontanei via via più coordinati  talvolta si ha eccitazione psichica o motoria cui segue un lungo sonno post-anestetico. Talvolta si ha pure vomito che poi cede alla fase del sonno.

 
ANESTETICI

Sostanze capaci di determinare anestesia. Si distinguono nelle due grandi categorie degli a. locali e degli a. generali.A. locali. Sono farmaci in grado di bloccare reversibilmente la conduzione degli impulsi attraverso le fibre nervose. Posti direttamente a contatto con fibre o terminazioni nervose sensitive, permettono di ottenere zone circoscritte di anestesia.Tra le varie forme di sensibilità vengono interessate in ordine di tempo: la sensibilità dolorifica, la sensibilità termica, la sensibilità tattile e la sensibilità alla pressione profonda. Hanno azione anestetica locale la cocaina, che è una sostanza naturale, e molti composti sintetici come la procaina, la lidocaina, la benzocaina, la butacaina, la tetracaina, la piperocaina, l’esilcaina, la ciclometilcaina, la dibucaina, la mepivacaina, la diclonina, la dimetisochina, l’amilocaina, la fenacaina. Questi a. presentano indicazioni diverse nelle varie forme di anestesia locale in rapporto al loro potere di penetrazione attraverso la cute e le mucose, all’azione irritante locale, alla velocità di assorbimento, alla durata dell’azione e alla tossicità generale. Allo scopo di rallentare l’assorbimento essi vengono generalmente associati a farmaci vasocostrittori. Sintomi tossici si hanno quando i farmaci, iniettati localmente, entrano in grande quantità nel circolo generale per rapido assorbimento. Spesso si tratta di un errore di iniezione. L’avvelenamento acuto si manifesta con sintomi a carico del sistema nervoso centrale e del cuore. La morte avviene per paralisi cardiorespiratoria. Localmente gli a. locali possono produrre reazioni allergiche.A. generali. Sono farmaci depressori del sistema nervoso centrale capaci di abolire la sensibilità dolorifica e tutte le altre sensibilità con perdita della coscienza. Vengono chiamati anche narcotici.

 
ANEURISMA ARTEROVENOSO

Comunicazione patologica tra un’arteria e una vena che può essere conseguente a un trauma o, più raramente, congenita. Il passaggio di sangue dall’arteria, dove il sangue circola a pressione elevata, alla vena, con pressione più bassa, provoca un’alterazione della dinamica circolatoria, tanto più grave quanto maggiore è il diametro dei vasi interessati. La terapia è chirurgica.

 
ANEURISMA CEREBRALE

Dilatazione circoscritta di un’arteria intracranica. Le dimensioni sono molto variabili la maggior parte ha diametro di circa 1 cm, ma spesso arriva a 2-3 cm mentre meno frequenti sono quelli cosiddetti grandi o giganti.In base alla morfologia dell’a. si distinguono a. ampollare, fusiforme, sacculare. Gli aneurismi sacculari sono più frequenti. Devono il loro nome al fatto che si presentano come una dilatazione della parete arteriosa a forma di piccolo sacchetto.

CAUSE
Mentre gli altri aneurismi, presenti in vari distretti, hanno solitamente una patogenesi di tipo arteriosclerotico, raramente traumatica e quasi mai malformativa, quelli sacculari del sistema nervoso centrale pare abbiano origine malformativa. L’arteriosclerosi è alla base solo degli aneurismi fusiformi che si riscontrano a livello delle carotidi e delle vertebrali sotto forma di dilatazione a fuso di un tratto dell’arteria. Cause più rare sono i traumi e le arteriti. Nella grande maggioranza dei casi l’origine dell’a., in particolare di quello sacculare, è una debolezza congenita della parete arteriosa.Il neonato più che nascere con la sacca aneurismatica, può andare incontro alla formazione di questi aneurismi in punti della parete arteriosa con una debolezza congenita (minor sviluppo della tunica media), per non completo sviluppo della stessa ciò avviene in particolare nei punti di biforcazione dei vasi. Una variante sono gli aneurismi definiti vestigiali, derivanti da abbozzi di arterie che si formano nel corso dello sviluppo embrionario e che poi vengono riassorbite: laddove il riassorbimento è incompleto si può trovare la sacca.Dal punto di vista anatomo-patologico si distinguono:- a. vero: dilatazione della lamina elastica e della tunica media, mentre la tunica avventizia, che costituisce la parete dell’a., è conservata - a. falso: in cui tutte le tuniche vascolari sono rotte e la parete dell’a. è formata dal tessuto circostante - a. composto: a. vero che col tempo va incontro a rottura della avventizia.È importante ricordare che gli aneurismi colpiscono soprattutto nella seconda metà della vita è difficile trovare un a. sacculare sanguinante nel bambino o nella II decade. Dopo i 30 anni è un’affezione comune che colpisce a tutte le età con un picco massimo intorno ai 60 anni. Ciò è dovuto al fatto che è a partire da 30 anni che si verificano modificazioni circolatorie e pressorie.Gli aneurismi che colpiscono il territorio carotideo (85-95%) sono di gran lunga più frequenti di quelli del sistema vertebro-basilare (5-15%). I più frequenti sono quelli della comunicante anteriore e arteria cerebrale anteriore (circa 40%), seguono quelli della comunicante posteriore e arteria carotide interna (circa 30%) e quelli dell’arteria cerebrale media (circa 20%). Ci possono poi essere aneurismi multipli.

SINTOMI
Variano in relazione alla entità del danno della parete dell’a.Il quadro classico si ha per lesione di media entità, da rottura della sacca aneurismatica non a pieno canale con fissurazione e fuoriuscita di quantità modesta di sangue (circa 4 cc). Clinicamente si osservano cefalea con o senza perdita di coscienza i segni meningei, assenti nelle prime ore, compaiono dopo 3-4 ore e spesso la rigidità nucale può essere l’unico segno meningeo a comparire si può associare febbre dovuta alla presenza di sangue nel liquor.La forma apoplettiforme, la più frequente, si ha per rottura dell’a. con conseguente emorragia subaracnoidea (il sangue invade solo lo spazio subaracnoideo) o cerebro-meningea (il sangue invade anche il parenchima cerebrale). La rottura si può verificare durante uno sforzo fisico, la defecazione, il coito o dopo un pasto copioso, e le varie situazioni in cui si ha un lieve rialzo pressorio.Va inoltre ricordato che in corso di emorragia subaracnoidea (ESA) è possibile rilevare alterazioni all’ECG. L’ESA si associa infatti a una grande scarica di catecolamine, che oltre all’ipertensione possono portare ad alterazioni ECGrafiche che possono simulare qualunque alterazione cardiaca. Ad es. l’onda T può essere aumentata, appiattita o invertita il segmento ST o elevato o depresso l’intervallo QT allungato o accorciato ci possono essere segni che fanno sospettare un infarto cardiaco o qualunque tipo di aritmia.Il quadro frusto (più lieve) si ha per trasudamento ematico in assenza di rottura vera e propria da ascrivere a degenerazione o slaminamento della parete determinante microemorragie, transitoria cefalea, segni meningei molto sfumati. Può essere un campanello di allarme (gli americani definiscono tale forma cefalea sentinella).Il quadro fulminante si ha per lacerazione: si forma un ematoma intracerebrale con possibilità di inondazione ventricolare per rottura dello stesso ematoma intracerebrale nel ventricolo laterale, con conseguente coma, cefalea intensa. È a prognosi infausta.L’a. oltreché sanguinare può premere sulle strutture anatomiche vicine. In tale caso si possono avere:- forma paralizzante per pressione diretta dell’a. situato in alcune sedi su nervi cranici vicini in seguito ad un brusco aumento di volume della sacca si verificano paresi isolate di alcuni nervi quale ad esempio il III nervo cranico (si parla in tal caso di a. paralitico). Spesso il deficit di un nervo cranico si accompagna all’episodio emorragico.- forma pseudotumorale per aneurismi giganti che comprimono le strutture nervose circostanti comportandosi come processi espansivi: aneurismi parasellari possono simulare un tumore ipofisario e quelli della cerebrale media possono simulare un tumore temporale.

DIAGNOSI
In caso di episodi frusti, si effettua la TC cerebrale con studio degli spazi costernali, soprattutto della base, per evidenziare la presenza di sangue. In caso di emorragia poco copiosa c’è sangue solo nel punto dove è avvenuta la rottura e la TC è “evocatrice” di un a. In caso di emorragia copiosa c’è maggiore diffusione e quindi minore possibilità di localizzare l’a.Se la TC cerebrale è negativa, ad esempio se il sanguinamento è molto scarso, e persiste il sospetto clinico, la puntura lombare permette di vedere se c’è sangue nel liquor.In alternativa si può fare una RM dell’encefalo a distanza di qualche giorno (6-7 giorni) perché solo allora la RM evidenzia desossiemoglobina e metaemoglobina, che sono la traccia di un sanguinamento anche minimo precedente. A 6 mesi dall’emorragia la RM evidenzia l’emosiderina.Nel paziente con emorragia subaracnoidea per evidenziare l’a. si ricorre a TC angiografia (AngioTAC), RM angiografia (AngioRM), o anche angiografia digitale per sottrazione. Il limite di visualizzazione è un a. di dimensioni da 2 a 5 mm. Per valutare in corso di emorragia subaracnoidea l’insorgenza di vasospasmo si ricorre al Doppler transcranico.

TERAPIA
Una volta stabilita la presenza dell’a., va stabilito, in base al quadro clinico, il trattamento. Hunt ed Hess hanno stabilito una scala in base alla quale si può decidere, basadosi sul grado di gravità del quadro clinico, se intervenire chirurgicamente o meno.Terapia chirurgicaIl trattamento chirurgico è generalmente consigliato in caso di a. che non ha sanguinato scoperto accidentalmente (grado 0) o di emorragie di grado I, II, III (con segni neurologici da assenti a lievi e, nel grado III, sonnolenza e stato confusionale). Nei grado IV e V (laddove è più profondamente alterato lo stato di coscienza) si valuta, in base ad una serie di variabili, se e quando intervenire chirurgicamente. L’intervento chirurgico consiste nel clipping (clippaggio) della sacca aneurismatica per escluderla dalla circolazione: consiste in una graffatura del peduncolo dell’a. con una clip di metallo che rispetta la pervietà del vaso arterioso portante.Negli aneurismi giganti (con diametro maggiore di 2,5 cm) è difficile intervenire perché questi possono essere in parte trombizzati (e quindi possibile fonte di microemboli) e perché il clippaggio di una grossa sacca è difficile. In tali casi si può aprire la sacca e svuotarla dei trombi per poi chiuderla.- Chirurgia precoce (nelle prime 72-48 ore dall’emorragia): ha il vantaggio di prevenire le recidive precoci della emorragia.L’intervento inoltre rimuove i coaguli emorragici dal liquor prevenendo così la comparsa dello spasmo nella cui genesi intervengono i prodotti di degradazione dell’emoglobina e la liberazione di ioni Calcio da cellule ematiche.Lo svantaggio è che il coagulo non è ancora organizzato, per cui l’a. può rompersi nel corso dell’intervento.- Chirurgia tardiva (dopo 2-3 settimane): può essere utile aspettare il riassorbimento dell’emorragia e la regressione dello spasmo dopo l’episodio emorragico. Si perdono i vantaggi della chirurgia precoce ma l’intervento è più facile perché si dà il tempo al cervello di esaurire la sua fase reattiva (ovvero la formazione dell’edema che, determinando il gonfiore iniziale del cervello, ostacola le manovre chirurgiche).Se c’è vasospasmo non si opera, perché le manovre sulle arterie e la diminuzione della pressione nel corso dell’intervento aumentano ulteriormente lo spasmo.- Tecniche radiologiche interventistiche: i metodi di trattamento per via endovascolare sono consigliabili in pazienti nei quali, o per le cattive condizioni generali, o per la posizione dell’a. (non accessibile chirurgicamente, soprattutto se localizzato nella fossa cranica posteriore) non conviene effettuare un intervento a cielo aperto.In questo caso passando attraverso l’arteria carotide si portano in loco, con un catetere, delle spirali, che vengono poi introdotte nella sacca attraverso il colletto. Sono spirali in platino (coiling) rimovibili per via elettrolitica o meccanica, di grandezza differente fino al riempimento ottimale dell’a., tuttavia senza dislocazione dell’alveo circolatorio del vaso afferente. Aneurismi a base larga o aneurismi molto piccoli con collo molto stretto non sono peraltro idonei alla terapia endovascolare.Il coiling viene pertanto in genere effettuato in caso di età maggiore di 60 anni, cattive condizioni generali, a. del circolo posteriore.L’intervento chirurgico viene preferito in caso di età minore di 60 anni, buone condizioni generali, piccolo a. a collo stretto nel circolo cerebrale anteriore.Terapia medicaIn corso di emorragia subaracnoidea si effettua terapia anti-edema  in presenza di spasmo si somministrano calcioantagonisti.

 
ANEURISMA CONGENITO

Dilatazione patologica di un segmento di arteria, per lo più del distretto cerebrale. Le sedi maggiormente colpite sono in corrispondenza della biforcazione dei vasi arteriosi cerebrali. Non posseggono tunica media ed esitano il più delle volte in rottura (emorragia cerebrale subaracnoidea). Talvolta la rottura autolimita il fenomeno, altre volte richiede l’intervento, dopo un’attenta valutazione mediante angiografia cerebrale.

 
ANEURISMA VENTRICOLARE

Distensione localizzata della parete cardiaca a livello del ventricolo, quasi a formare una tasca. Dal punto di vista funzionale interferisce con la normale contrattilità del miocardio, spesso conducendo a condizioni di scompenso cardiaco. La diagnosi, sospettabile all’ECG, è confermata dall’ecocardiografia.

 
ANEURISMA

Dilatazione della parete di un’arteria, una vena o del cuore.Gli a. arteriosi si manifestano come dilatazioni pulsanti del vaso, legate in genere a un processo di arteriosclerosi e, più di rado, un’infezione luetica, che alterano la parete arteriosa, specialmente in corrispondenza della tunica media. Esistono anche forme (che riguardano soprattutto le arterie cerebrali) dovute a una debolezza costituzionale della parete arteriosa.Il meccanismo di formazione dell’a. è legato alla pressione del sangue all’interno delle arterie che, premendo sul punto debole della parete, ne determina lo sfiancamento.In base alla forma gli aneurismi si distinguono in: sacciformi, fusiformi, cilindrici, navicolari e dissecanti (allorché il sangue si infiltra tra i vari strati della parete arteriosa).Le localizzazioni più frequenti sono a livello dell’aorta, specie nel tratto addominale  seguono le arterie cerebrali, le arterie degli arti, le arterie viscerali. La sintomatologia della patologia dipende dal distretto colpito. La presenza dell’a. può non essere avvertita dal paziente per lungo tempo e rendersi evidente solo con qualche sua complicazione: rottura, partenza di emboli, coagulazione in massa del sangue entro l’a. con blocco della circolazioneLa diagnosi si basa sull’evidenza della dilatazione aneurismatica alle diverse indagini strumentali (ecografia, TC, radiografia con mezzo di contrasto etc.). La terapia è chirurgica e consiste sostanzialmente nell’identificazione del tratto aneurismatico e, laddove possibile, nella sua rimozione ristabilendo la continuità vasale.

 
ANGINA

Termine generico con cui veniva indicata un tempo una vasta gamma di affezioni interessanti la faringe e le formazioni annesse.La distinzione attuale suddivide i processi infiammatori faringei in angine o faringiti (faringiti acute) se prevale l’interessamento della faringe e in tonsilliti se prevale l’interessamento delle formazioni linfatiche.Mantengono una loro individualità, come entità dotate di peculiari caratteristiche anatomo-cliniche, l’a. di Plaut-Vincent (infiammazione grave delle tonsille, ove si osserva la formazione di una membrana che poi si stacca lasciando una ulcerazione che guarisce), e l’a. di Ludwig (infiammazione grave del pavimento della bocca innescata da infezioni dentarie o delle ghiandole salivari), che si sviluppa specialmente in soggetti debilitati e, se non viene trattata correttamente, può portare a setticemia.Nella maggior parte dei casi l’a. presenta i caratteri dell’infiammazione catarrale, con formazione di un essudato che ricopre l’area interessata, oppure con la comparsa di punteggiature bianco-giallastre diffuse sulle tonsille (a. follicolare).In altri tipi l’infiammazione provoca la formazione di placche più o meno estese di essudato biancastro o grigiastro che tappezza le formazioni laringee (a. pseudomembranosa al cui gruppo appartiene l’a. difterica).Un’altra forma anginosa di frequente osservazione è quella di tipo vescicolare (spesso causata da virus) che si manifesta con la formazione di vescicole contenenti liquido sieroso che successivamente si rompono lasciando piccole ulcerazioni dolorose. Oltre a rappresentare un’affezione a sé stante, l’a. compare talvolta in concomitanza a malattie infettive e a malattie del sangue.

SINTOMI
Tutte le forme anginose descritte hanno in comune il dolore alle fauci, la febbre e un generale decadimento dell’organismo.

TERAPIE
Consiste nell’uso di antisettici locali o di antibiotici se la forma clinica lo richiede. A questi farmaci vanno aggiunte terapie di base quando l’a. sia espressione di altre malattie.

 
ANGINA INSTABILE

Espressione con cui viene oggi definita una sintomatologia ischemica miocardica di gravità intermedia tra l’angina pectoris e la crisi infartuale. È caratterizzata da crisi dolorose di frequenza crescente e di durata sempre più prolungata.

 
ANGINA PECTORIS

Sindrome clinica caratterizzata dalla comparsa di crisi dolorose localizzate alla regione cardiaca, che compaiono quando il muscolo cardiaco risulti male irrorato per il realizzarsi di una sproporzione tra la necessità di sangue (e quindi di ossigeno) del muscolo stesso e le possibilità di apporto sanguigno da parte del circolo arterioso coronarico.È una malattia dell’età media, che colpisce soprattutto gli uomini tra i 40 e i 50 anni, specie se fumatori o se sottoposti a stress per importanti responsabilità professionali.

CAUSE
La causa della malattia è da ricercarsi prevalentemente in lesioni arteriosclerotiche dei vasi coronarici che ne riducono la pervietà del lume o la capacità di dilatarsi adeguando l’entità del flusso sanguigno alle diverse esigenze del miocardio. La crisi sarà pertanto scatenata da tutte quelle condizioni che aumentano il lavoro cardiaco.

SINTOMI
La crisi dolorosa compare di solito dopo uno sforzo o una emozione o anche a riposo il dolore, di intensità variabile, dà un senso vago di oppressione associato ad angoscia e “fame d’aria” fino a un dolore insopportabile accompagnato a senso di morte imminente.La crisi anginosa è sempre di breve durata (pochi minuti) l’evoluzione è assai variabile.In alcuni soggetti le crisi appaiono raramente e sono compatibili con una esistenza pressoché normale in altri esse tendono invece a diventare sempre più frequenti: questa condizione spesso prelude a un infarto del miocardio.

TERAPIE
La terapia dell’a. pectoris comprende:- norme igienico-dietetiche generali come limitazione dell’attività e delle sollecitazioni emotive (eventualmente ricorrendo a farmaci ansiolitici), alimentazione leggera e di facile digeribilità, sospensione completa del fumo - supporto farmacologico nel corso della crisi anginosa con somministrazione di trinitrina per via sub-linguale e, al di fuori delle crisi, con terapia a base di farmaci coronaro-dilatatori per migliorare la cronica sofferenza miocardica da deficit di ossigeno.

 
ANGIOCOLITE

Infiammazione acuta o cronica delle vie biliari extraepatiche (dotti epatici, coledoco) e delle loro più grosse ramificazioni intraepatiche. Spesso è associata a infiammazione della colecisti (-- vedi COLECISTITE) e del dotto cistico.

CAUSE
L’angiocolite è favorita nel suo sviluppo da processi patologici provocanti una ostruzione delle vie biliari stesse (calcoli, tumori della testa del pancreas, della papilla di Vater o dei dotti biliari) o da anomalie malformative. È dovuta a infezione della mucosa da parte di germi di vario tipo (Escherichia coli, enterococchi, stafilococchi, streptococchi, salmonelle) che possono giungere in questa sede provenendo dall’intestino, oppure dal circolo sanguigno o linfatico. Il processo può assumere caratteristiche diverse a seconda della sua gravità, con turgore della mucosa, essudazione catarrale o purulenta, fino alla formazione di ascessi nel fegato.

SINTOMI
Nelle forme acute sono febbre, disturbi digestivi, dolore alla palpazione del fegato che si presenta anche ingrandito, colorazione giallastra della cute e delle mucose (ittero) dovuta a ristagno di bile. Nei casi più gravi i sintomi sono più marcati, con febbre elevata e compromissione dello stato generale.Nelle forme croniche, di solito l’esito di quelle acute, il quadro clinico è più attenuato, con carattere saltuario.

DIAGNOSI
Il riscontro di febbre elevata, ittero e dolore addominale nella regione del fegato fa supporre la diagnosi di colangite. Può essere utile eseguire un’ecografia addominale, che può evidenziare la presenza di calcoli o altre lesioni ostruttive.

TERAPIA
Si basa sull’impiego di antibiotici, di provvedimenti di carattere generale, di sondaggi duodenali per favorire il deflusso della bile, o anche di intervento chirurgico per rimuovere eventuali ostacoli.

 
ANGIOEDEMA

Condizione edemigena interessante lo strato profondo del derma e del tessuto sottocutaneo, dovuta ad aumento della permeabilità vascolare, con stravaso di liquidi nei tessuti.Tale condizione si verifica in risposta a stimoli che determinino la liberazione di mediatori vasoattivi, come l’istamina, da parte di cellule del sangue (mastociti e granulociti).Esistono forme acute (durata inferiore alle 4-6 settimane), croniche (durata superiore alle 6 settimane) ed ereditarie.L’a. è frequentemente associato all’orticaria (v.), determinando la sindrome orticaria-angioedema.

CAUSE
Allergeni (pollini, alimenti come fragole e crostacei, lieviti, inalanti), farmaci (penicillina, insulina, sieri e vaccini), veleno di insetti, alcune malattie virali (mononucleosi, epatite B e C), malattie autoimmuni (LES e connettivopatie), mezzi di contrasto radiologici, vibrazioni.

DIAGNOSI
Clinicamente è semplice: la cute è gonfia, talora arrossata, più o meno pruriginosa sedi caratteristiche dell’a. sono volto e zone periorbitali. Difficile è risalire alle cause scatenanti.

TERAPIA
Idealmente l’identificazione ed allontanamento della causa. La terapia farmacologica è solo sintomatica e comprende antistaminici, inibitori della secrezione mastocitaria (oxatomide e chetotifene) e corticosteroidi nelle forme acute gravi.

 
ANGIOGENESI

Processo di formazione dei vasi sanguigni. Tale fenomeno avviene fisiologicamente nella vita embrionale e durante la crescita di organi e tessuti e come fenomeno di riparazione e rivascolarizzazione in seguito a traumi. Esso è determinato dalla proliferazione delle cellule della parete vasale (cellule endoteliali) e mediato da specifici fattori di crescita tessutali ed endoteliali, detti fattori angiogenetici (VEGF, FGF, etc.).

 
ANGIOGENESI NEOANGIOGENESI

Processo tipico delle neoplasie, che mira alla costituzione di una rete vascolare che nutra e supporti la rapida proliferazione delle cellule tumorali. Nei tumori benigni i vasi si sviluppano con un certo ordine, mentre nei tumori maligni la proliferazione vascolare si presenta fitta e disordinata, con vasi tipicamente contorti e di grosso calibro. Quando il supporto vascolare non si sviluppa abbastanza in fretta rispetto alle esigenze della grande massa di cellule in moltiplicazione, si creano fenomeni di necrosi, e di emorragia, all’interno del tumore stesso. Attualmente questo fenomeno è sotto attento studio in quanto possibile bersaglio della terapia antineoplastica.

 
ANGIOGRAFIA DIGITALIZZATA

A. digitale, a. computerizzata, a. a sottrazione d’immagine sono sinonimi che indicano una nuova metodica d’indagine radiologica, recentemente entrata nell’uso clinico grazie all’applicazione di sofisticati strumenti informatici ai tradizionali apparecchi radiografici.In pratica si scatta una prima radiografia alla zona da esaminare, che è tenuta in memoria dal computer ed è detta maschera. Successivamente s’inietta il mezzo di contrasto per via endovenosa e si scattano altre immagini. A questo punto il calcolatore sottrae dalle immagini con contrasto la maschera, in altre parole tutte le immagini delle parti ossee e delle parti molli. In questo modo l’immagine finale rappresenta unicamente le parti cardiovascolari che si vogliono studiare ed è priva di tutte le parti circostanti che spesso la offuscano e la rendono meno chiara.L’a. digitalizzata, è più semplice e meno aggressiva dell’arteriografia e fornisce una radiografia delle arterie, grazie ad una sola iniezione endovenosa. Con questa tecnica la quantità del mezzo di contrasto necessaria è molto ridotta rispetto a quella utilizzata per le arteriografie tradizionali.Inoltre il mezzo di contrasto può essere iniettato per via endovenosa, senza che la sua diluizione comporti un’eccessiva perdita in potere di definizione.Indubbiamente però la metodica non è così attendibile come l’arteriografia diretta e necessita di pazienti che abbiano la volontà di collaborare. È molto importante, infatti, che il paziente stia assolutamente fermo, e le due immagini (maschera e contrasto) siano riprese nella identica posizione.In ogni caso la bassa invasività e la facilità d’esecuzione rendono l’a. digitale preferibile in molti casi, soprattutto nei controlli postoperatori d’interventi chirurgici cardiovascolari.L’a. digitalizzata è utile per ricercare una lesione vascolare o una malformazione  per individuare un restringimento dei vasi sanguigni del collo a seguito di una paralisi del corpo  dopo un intervento chirurgico sulle arterie e in caso di ipertensione arteriosa, per scoprire un restringimento dell’aorta addominale o delle arterie renali.Al termine dell’esame il paziente deve bere molta acqua, per facilitare l’eliminazione del mezzo di contrasto.

 
ANGIOGRAFIA

Metodo diagnostico consistente nello studio radiologico della morfologia e della funzionalità dei sistemi canalicolari dell’organismo. Esso si realizza con l’immissione nelle formazioni da studiare (vasi arteriosi e venosi, linfatici ecc.) di particolari sostanze opache ai raggi X: le immagini ottenute, scattando radiografie secondo sequenze opportune anche con metodo cinematografico, ne consentono lo studio statico e dinamico.Il termine a. indica genericamente il metodo, preferendosi l’uso di termini più specifici per precisarne il tipo: così si parlerà di arteriografia se il mezzo di contrasto viene iniettato in un’arteria, di flebografia se esso è iniettato in una vena, di linfografia se in un vaso linfatico. Con la colangiografia si ottiene la visualizzazione delle vie biliari. I metodi angiografici, molto diffusi, non sono completamente scevri da pericoli (anche se quasi sempre di modesta portata), dovuti per lo più a intolleranza dell’organismo verso le sostanze impiegate.

 
ANGIOLOGIA

Branca delle scienze mediche che ha per oggetto lo studio del sistema dei vasi corporei sanguigni (arteriosi e venosi) e linfatici e delle loro patologie.

 
ANGIOMA

Formazione patologica costituita da un intreccio irregolare di strutture vascolari: viene definito emangioma se si tratta di vasi contenenti sangue, linfangioma se i vasi contengono linfa.- Emangioma. Lesione molto comune, soprattutto sulla cute dove di solito è gia presente alla nascita  si presenta come chiazze di forma irregolare, di colorito rosso vinoso, e viene indicata nel linguaggio comune come “voglia”. È più frequente al viso, al torace, al dorso e può a volte interessare estese superfici cutanee. In rari casi agli angiomi cutanei si associano lesioni analoghe in sedi profonde a costituire delle sindromi complesse dette angiomatosi. Spesso gli angiomi cutanei regrediscono spontaneamente col tempo  in caso contrario si può ricorrere all’asportazione chirurgica.- Linfangioma. Di solito già presenti alla nascita, sono meno frequenti e insorgono più spesso a livello delle labbra, della lingua, dei tessuti laterocervicali, delle regioni ascellari o inguinali, cioè in sedi dove esistono importanti strutture dell’apparato linfatico. Anch’essi, se voluminosi, possono richiedere l’asportazione chirurgica. Gli angiomi, generalmente considerati tumori benigni, sono nella maggior parte dei casi lesioni di natura malformativa, cioè anomalie dello sviluppo di un tessuto o di un organo con abnorme mescolanza di tessuti e presenza di una eccessiva quantità di strutture vascolari.

 
ANGIONEUROSI

Termine generico che indica un gruppo di malattie dell’apparato circolatorio caratterizzate da un difetto dei meccanismi di regolazione del flusso di sangue nei distretti periferici dell’organismo e che sono per lo più legate a disfunzioni del sistema nervoso vegetati. Le principali sono: il fenomeno di Raynaud, l’acrocianosi e l’eritromelalgia.

 
ANGIOPLASTICA

Termine con cui si designano interventi chirurgici eseguiti allo scopo di eliminare le placche aterosclerotiche di estensione limitata che provocano una ostruzione o stenosi del lume di un’arteria e conseguente ischemia del distretto corporeo interessato. Uno dei metodi di a. consiste nell’incidere la parete arteriosa per eliminare la placca. Un altro metodo, meno cruento, si esegue introducendo in un vaso periferico, per via percutanea, un catetere guida attraverso il quale viene fatto avanzare un altro catetere con palloncino (catetere di Fogarty), che, pervenuto nel punto stenotico sotto controllo radiologico, viene gonfiato in modo da allargare per pressione il lume arterioso. Il metodo del palloncino, studiato per arterie di un certo calibro, come quelle femorali e renali, è stato esteso anche al trattamento delle stenosi coronariche ed è noto come a. coronarica transluminale o con la sigla PTCA (dall’inglese Percutaneous Transluminal Coronary Angioplastic).Ancora più recente è la a. realizzata, invece che con palloncino gonfiabile, con una sorgente laser a eccimeri (molecole di gas nobili con atomi in stato di eccitazione), introdotta per via percutanea sino alla lesione coronarica, che subisce una polverizzazione per effetto fotochimico.

 
ANGIOSARCOMA

Tumore maligno originato da cellule endoteliali dei vasi sanguigni, che proliferano formando strutture vascolari atipiche contenenti sangue  da qui il suo aspetto emorragico. È raro e insorge prevalentemente in soggetti giovani, nel secondo-terzo decennio di vita  la sede più frequentemente colpita è la mammella, ma può comparire anche altrove: agli arti inferiori, sulla cute o in organi profondi quali il fegato o la milza. È un tipo di tumore a elevata malignità, che tende a diffondersi rapidamente nell’organismo. Quello epatico è formato da spazi vascolari delimitati a cellule endoteliali maligne e i fattori eziologici più importanti sono l’esposizione al diossido di torio, al cloruro di polivinile, all’arsenico e agli steroidi anabolizzanti.La terapia si basa fondamentalmente sulla asportazione chirurgica della parte colpita, cui seguono di solito trattamenti complementari con irradiazioni o somministrazioni di farmaci antineoplastici.

 
ANGIOSPASMO

vedi VASOSPASMO

 
ANGIOTENSINA

(O angiotonina), gruppo di sostanze (a. I e a.II) che derivano da una grossa proteina prodotta dal fegato: l’angiotensinogeno. L’a. II è la più attiva e svolge azioni importantissime: aumenta la forza di contrazione della muscolatura liscia delle arterie  è un potente stimolatore di aldosterone. Il sistema renina-angiotensina-aldosterone è il maggior responsabile del volume plasmatico, della pressione arteriosa e del mantenimento dell’equilibrio dei livelli di sodio e potassio.L’a. I, grazie all’intervento dell’enzima convertente l’a. (ACE), viene trasformata in a. II. L’a., così attivata, provoca una vasocostrizione generalizzata, aumentando la pressione, e stimola inoltre il surrene a liberare aldosterone. Il sodio trattenuto in questo modo dai reni, da una parte aumenta la massa sanguigna, dall’altra contribuisce a indurre l’aumento della pressione.L’a. trova impiego terapeutico nel trattamento delle insufficienze circolatorie acute nelle quali sia predominante la perdita del tono vascolare periferico, quando i farmaci simpaticomimetici non siano più efficaci.È stato dimostrato che nell’ipertensione arteriosa esiste un’aumentata attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone, che è in grado di provocare vasocostrizione e, di conseguenza, aumento dei valori pressori. Questa scoperta ha avuto come conseguenza l’introduzione nella terapia anti-ipertensiva di molecole che hanno la funzione di inibire l’enzima ACE, e di determinare una diminuzione della pressione arteriosa.

 
ANGIOTONINA

vedi ANGIOTENSINA

 
ANGOSCIA

Sentimento simile alla paura, da cui si differenzia principalmente nella definizione dell’oggetto. La paura è riferita a un oggetto/evento bene identificato, che oggettivamente si presenta come pericoloso e minaccioso. L’a. invece si manifesta in mancanza di un oggetto/evento bene individuato, oppure può essere riferita a un oggetto/evento senza caratteristiche tali da giustificare oggettivamente la reazione di paura. È un sentimento particolare che provoca una notevole sofferenza psicologica, e può risultare paralizzante per la vita di relazione nei soggetti che ne sono colpiti. Si parla di a. fluttuante quando non è riferita ad alcun oggetto specifico. È il prodotto di un’aggressività repressa che, non potendosi rivolgere all’esterno, si scarica sul soggetto stesso. In questo caso l’a. è il sintomo di una paura che il soggetto ha di se stesso. Quando l’a. è riferita a uno stimolo individuato, che però oggettivamente non è emotivamente e affettivamente rilevante, si parla di a. di fissazione. Il meccanismo è lo stesso di quello presente nell’a. fluttuante. La differenza è data dalla presenza di un oggetto identificato che assume però la funzione di un simbolo.

 
ANIDRASI CARBONICA, inibitori dell'

Farmaci capaci di inibire competitivamente l’enzima anidrasi carbonica, responsabile della trasformazione reversibile dell’anidride carbonica in acido carbonico. Tale azione inibitrice a livello renale determina un effetto diuretico. I principali esponenti di questo gruppo sono l’acetazolamide, la diclorfenamide e la metazolamide. L’uso in clinica di queste sostanze, un tempo prevalentemente impiegate nel trattamento degli edemi di origine cardiaca spesso in associazione con i diuretici mercuriali, di cui potenziano l’azione e di cui compensano alcuni effetti collaterali, è oggi quasi abbandonato. Se ne mantiene invece l’impiego nel glaucoma in quanto sono capaci di diminuire la formazione dell’umor acqueo e quindi di diminuire la pressione endoculare.

 
ANIDROSI

Abolizione della secrezione di sudore da parte delle ghiandole sudoripare della cute (in particolare quando la secrezione è soltanto diminuita si parla di ipoanidrosi: come conseguenza, la cute è secca e arida). Può trattarsi di un fenomeno localizzato o generalizzato.
L’anidrosi generalizzata si ha per distruzione dei centri regolatori dell’ipotalamo (per tumori, alterazioni vascolari, traumi) o nel corso di alcune malattie del sistema nervoso periferico, per avvelenamento da atropina o farmaci vagolitici, in condizione di disidratazione dell’organismo (dopo diarree e vomiti ripetuti) o anche nelle rare condizioni di assenza congenita delle ghiandole sudoripare. I soggetti con anidrosi generalizzata, qualunque ne sia la causa, sono particolarmente sensibili a tutte quelle condizioni che comportano un aumento della temperatura corporea: malattie febbrili, temperatura ambiente piuttosto elevata, attività muscolare prolungata. La sudorazione è infatti un meccanismo importante attraverso cui l’organismo, disperdendo calore, mantiene costante la propria temperatura.
L’anidrosi localizzata si ha nel corso di lesioni del sistema nervoso periferico o del midollo spinale o di malattie cutanee che comportano l’occlusione o la distruzione dei dotti sudoriferi.

 
ANISOCORIA

Differenza di ampiezza delle due pupille.
Anisocoria Statica (Entro certi valori può essere una condizione fisiologica) quando è verificata in condizioni normali di illuminazione e in assenza di attività dello sguardo che costringono la mutazione di ampiezza delle pupille.
Anisocoria Dinamica (Sempre espressione di stati patologici dell’occhio o del sistema nervoso) quando viene osservata in concomitanza di attività dello sguardo o di stimolazione da parte della luce.

 
ANISOMETROPIA

Ineguaglianza nel potere di rifrazione dei due occhi. Il difetto può essere a carico di uno o di entrambi gli occhi, in questo caso con differenze di grado e forma dall’uno all’altro. Come conseguenza, nelle due retine si formano due immagini diverse per dimensioni e chiarezza, così che, se la differenza supera certi limiti, i centri nervosi non fondono le immagini e non è possibile la visione binoculare. Il soggetto allora si serve per la visione di un solo occhio e l’altro, non usato, perde in acutezza visiva diventando ambliope a volte viene utilizzato uno dei due occhi per la visione da lontano, l’altro per la visione da vicino. La correzione dell’anisometropia, possibile solamente se la differenza tra i due occhi non supera le 2-3 diottrie, si può ottenere mediante l’adozione di opportune lenti.

 
ANNEGAMENTO

Forma di asfissia meccanica, prodotta dalla penetrazione di liquidi nei polmoni in quantità tale da impedire gli scambi respiratori. La causa di morte è, nella maggior parte dei casi, dovuta a un meccanismo asfittico per sostituzione dell’aria contenuta negli alveoli polmonari con il mezzo liquido. In altri casi, in genere pochi, si verifica mediante meccanismi inibitori di natura nervosa, per spasmo della glottide, per costrizione diretta dei muscoli della laringe, per collasso cardiocircolatorio o per arresto cardiaco. La morte sopravviene, in genere, nel giro di 3-5 minuti, ma può verificarsi anche dopo 10-12 minuti  altre volte è improvvisa al primo contatto con l’acqua, per fenomeni inibitori riflessi di natura nervosa e in tal caso si parla anche di morte nell’acqua. I reperti anatomopatologici dipendono dal tempo di permanenza del corpo in acqua dopo la morte. Essi sono diversi e non tutti caratteristici. All’esame esterno del cadavere, a causa della particolare posizione che il corpo, per gravità, assume nell’acqua, si possono notare: macchie (ipostasi) disposte in modo caratteristico sul volto e sulla superficie anteriore degli arti e del tronco  pelle d’oca, per la rigidità cadaverica dei muscoli erettori dei peli  cornee lucide per la mancanza di fenomeni di essiccamento  lesioni sul corpo come, per esempio, ferite, escoriazioni o segni dell’offesa da parte di animali acquatici  materiale schiumoso roseo-biancastro a bolle finissime (il cosiddetto fungo schiumoso) che fuoriesce dalla bocca e dal naso. All’autopsia i segni più importanti sono: presenza di materiale schiumoso nella laringe, trachea e bronchi, frammisto eventualmente a sabbia, alghe o limo  polmoni espansi e congesti, rosso cupo, di consistenza cotonosa e imbibiti di liquido  cuore dilatato contenente sangue fluido e acquoso  visceri congesti, a eccezione della milza che è, in genere, povera di sangue.Per la diagnosi i reperti sopra elencati non bastano: importanza decisiva ai fini di una diagnosi differenziale tra annegamento e sommersione di cadavere è la ricerca di corpi estranei nel polmone, nel cervello, nel fegato e nel rene.

 
ANNESSI

Denominazione generica di strutture aventi rapporti sia anatomici sia funzionali con l’organo principale di un determinato sistema.

 
ANNESSI CUTANEI

Costituiti dalle ghiandole sebacee e sudoripare, dai peli, dalle unghie (vedi ANNESSI DELLA PELLE)

 
ANNESSI DELL’OCCHIO

Comprendenti i muscoli oculari, le palpebre, l’apparato lacrimale. Numerose strutture anatomiche garantiscono all’occhio protezione, lubrificazione della superficie esposta all’esterno, possibilità di movimento. Anteriormente le palpebre costituiscono dei sipari, che all’occorrenza chiudono la cavità orbitaria. L’apparato lacrimale, nella sua porzione di secrezione (ghiandole lacrimali principale e accessorie), e di deflusso (canalini, sacco lacrimale, dotto naso-lacrimale), provvede alla lubrificazione e idratazione delle superfici esposte e alla rimozione di scorie. La congiuntiva forma dei sacchetti che permettono i movimenti oculari, proteggendo la sclera e chiudendo la cavità orbitaria. I 6 muscoli oculari estrinseci, inseriti sulle pareti orbitarie e sulla sclera, muovono l’occhio (vedi OCCHIO).

 
ANNESSI DELL’UTERO

Rappresentati dalle ovaie, dalle tube, dai loro legamenti e da strutture rudimentali paraovariche, residuo di formazioni aventi maggior sviluppo durante la vita embrionale e che poi vanno incontro a un processo di involuzione e atrofia (vedi UTERO).

 
ANNESSI EMBRIONALI

Costituenti un complesso di strutture che si sviluppano parallelamente all’embrione stesso, alla sua nutrizione, respirazione ed escrezione: comprendono il sacco vitellino, l’amnios, il corion, l’allantoide e la placenta (vedi EMBRIONE, annessi del). GHIANDOLE ANNESSE all’apparato digerente sono considerate le ghiandole salivari, il fegato e il pancreas.

 
ANNESSITE

Infiammazione acuta o cronica degli annessi uterini, ossia dell’ovaio e della tuba. La salpinge è il tratto dove l’infiammazione si localizza con maggiore facilità e frequenza. Le annessiti sono molto frequenti: esse rappresentano, infatti, il 30% circa dei casi di malattie ginecologiche. Si osservano nelle donne in età feconda e sono determinate o dal gonococco (germe responsabile della blenorragia), o da altri germi piogeni (stafilococchi, streptococchi ecc.), impiantati nelle vie genitali in seguito a un’infezione puerperale da microorganismi trasmessi sessualmente come la Chlamydia, o più raramente dal bacillo tubercolare.Questi germi possono raggiungere le tube e l’ovaio per vie diverse: nel caso dell’a. causata dai gonococchi, i germi provengono dalla mucosa uterina per continuità e si impiantano sulla mucosa della tuba nel caso dell’a. che fa seguito a un’infezione puerperale, la diffusione dei germi piogeni avviene prevalentemente attraverso i vasi sanguigni o i vasi linfatici che decorrono nello spessore del legamento largo, ai lati dell’utero nel caso dell’a. tubercolare, i bacilli raggiungono la tuba e l’ovaio attraverso la circolazione sanguigna, provenendo da un focolaio tubercolare situato in altri organi (polmone ecc.).Le annessiti si possono presentare sia in forma acuta sia in forma cronica.- A. Acuta. È provocata da germi che giungono agli annessi da focolai di infezione localizzati nelle vie genitali o urinarie (vaginiti, uretriti ecc.), oppure dall’esterno (per traumi ostetrici, pratiche abortive, contatti sessuali ecc.). Generalmente l’a. acuta è la conseguenza di un’infezione puerperale o di un’infezione blenorragica. Nel primo caso, essa compare due o tre settimane dopo il parto o dopo un aborto nel secondo caso fa seguito, nel giro di pochi giorni, alla fase acuta della blenorragia. L’infezione, che di solito si localizza a un solo lato, interessa inizialmente la tuba, che mostra i segni dell’infiammazione con aumento di volume, congestione, essudazione sierosa o sieropurulenta.Come conseguenza si ha frequentemente l’occlusione del lume tubarico, di solito a livello dell’ostio uterino, per cui la secrezione fuoriesce dall’ostio addominale, ancora pervio, così che il processo si può diffondere all’ovaio corrispondente e al peritoneo.Se invece si occludono entrambi gli orifizi tubarici, l’essudato infiammatorio ristagna nella tuba che si presenta dilatata come un salsicciotto (sactosalpinge).

CAUSE
Il tipo di lesione che si verifica a carico della tuba dipende dal germe che causa l’a.: il gonococco, infatti, si insedia nella mucosa della tuba, determinando un’intensa essudazione nel lume tubarico, che viene così dilatato. Gli altri germi, invece, tendono a invadere prevalentemente la muscolatura tubarica, causando un notevole inspessimento della parete dell’organo. In ogni caso, le tube si presentano arrossate, gonfie e deformate. Se il processo infettivo interessa anche il peritoneo che le riveste, possono facilmente formarsi aderenze con l’utero, l’ovaio o il peritoneo pelvico (pelviperitonite). Tali aderenze, rimanendo anche dopo la guarigione della fase acuta della malattia, possono causare occlusioni del lume tubarico con conseguente sterilità. Nel caso dell’infezione blenorragica, l’occlusione del lume tubarico può derivare anche dalla distruzione dell’epitelio che lo riveste internamente e dalla conseguente aderenza delle pareti tubariche fra loro.

SINTOMI
I sintomi sono rappresentati da dolore di tipo colico, che insorge improvviso e che è localizzato a uno o entrambi i lati della parte bassa dell’addome (fossa iliaca), a seconda che una o entrambe le tube siano colpite dall’infezione da febbre, che più frequentemente raggiunge i 39-40°C, ma che in poco tempo diviene irregolare e intermittente: la sua durata è abbastanza breve, soprattutto in conseguenza dell’uso degli antibiotici.

Se all’a. si associa un’endometrite o una cervicite, si osservano perdite mucopurulente dai genitali. Non sono rari infine i disturbi urinari.

DIAGNOSI
Non sempre è facile per il medico diagnosticare la presenza di un’a. acuta, soprattutto nei primíssimi stadi, quando ancora non è possibile individuare per mezzo della palpazione la presenza del rigonfiamento, tipico di quest’affezione, a carico della tuba.

TERAPIA
La terapia è basata sul riposo a letto e sull’uso di antinfiammatori e di forti dosi di antibiotici o sulfamidici. A ciò si associa una dieta leggera, ma nutriente, l’applicazione di una borsa di ghiaccio sull’addome e la somministrazione di sedativi e di analgesici. Grazie alla terapia, i sintomi scompaiono presto, ma il benessere non sempre è garanzia di una completa guarigione, perché i germi patogeni possono rimanere annidati nella tuba e dare origine a riacutizzazioni o un processo infettivo cronico. Nei casi non correttamente trattati si può avere una occlusione permanente della tuba che, se bilaterale, comporta la sterilità, se unilaterale predispone alla gravidanza extrauterina.- A. Cronica. Le annessiti croniche sono caratterizzate da gravi alterazioni sia a carico della tuba che a carico dell’ovaio e molto spesso colpiscono le ovaie e le tube di entrambi i lati. In conseguenza della fusione delle fimbrie tubariche fra loro, si verifica l’occlusione dell’ostio tubarico addominale, mentre l’ostio uterino viene chiuso dall’edema (gonfiore), per cui la tuba costituisce una specie di sacco nel quale si raccoglie l’essudato infiammatorio.Se l’essudato è purulento, si parla di piosalpinge: la tuba si presenta tumefatta e deformata, legata da aderenze agli organi vicini, soprattutto all’ovaio, che viene coinvolto nel processo infettivo. Sia la mucosa che la muscolatura tubarica sono fortemente infiammate e vengono gravemente danneggiate. A lungo andare l’essudato purulento raccolto nella tuba viene riassorbito e sostituito da un liquido sieroso, privo di germi: si parla, in questo caso, di idrosalpinge. Le dimensioni della tuba sono notevoli e la parete tubarica appare fortemente distesa. In altri casi, l’a. cronica può assumere un aspetto diverso: in seguito al succedersi di processi infiammatori acuti o subacuti, la parete della tuba si ispessisce notevolmente mentre, in seguito alla distruzione della mucosa, il lume tubarico viene occluso a tratti, per cui esso si riduce a una cavità multiloculare, e l’organo assume l’aspetto esteriore di una corona di rosario (salpinge nodosa) questa alterazione si osserva frequentemente nell’a. tubercolare.

SINTOMI
Come in tutti i processi infettivi cronici, i sintomi non sono particolarmente intensi: dolori localizzati al basso addome (spesso da ambedue i lati, in quanto l’a. cronica interessa sovente gli annessi bilateralmente) a carattere gravativo subcontinuo, con esacerbazioni episodiche, e alle reni. I dolori aumentano di intensità dopo strapazzi fisici e diminuiscono in seguito al riposo a letto, fino a scomparire completamente inoltre, si intensificano nei giorni immediatamente precedenti le mestruazioni, che sono accompagnate da dolore e assumono i caratteri di dismenorree congestizie. Altro disturbo determinato dall’a. cronica è la comparsa di irregolarità delle mestruazioni, con caratteri di menorragie e di polimenorree. In alcuni casi di a. tubercolare, si osserva invece la comparsa di amenorrea. In concomitanza con le mestruazioni, si possono verificare modesti aumenti della temperatura corporea. Nella maggior parte dei casi si osserva sterilità.A questi disturbi si associano anche sintomi generali: malessere, mancanza di appetito, facile stancabilità, disturbi neurovegetativi, diminuzione della capacità lavorativa. Nel periodo intermestruale, si osservano frequentemente perdite vaginali giallastre dovute alla concomitante presenza di una cervicite o di un’endometrite cronica. In alcuni casi, l’a. cronica è accompagnata da disturbi ad altri apparati: a carico dell’apparato urinario, uretriti e cistiti a carico dell’apparato digerente, stitichezza.

DIAGNOSI
Attraverso la visita ginecologica, il medico è in grado di rilevare la presenza di una o due masse infiammatorie ai lati dell’utero, il cui corpo, nei casi gravi, risulta inglobato da esse.

TERAPIA
La terapia è indirizzata, da un lato, a combattere i germi patogeni con gli specifici antibiotici, dall’altro, a risolvere gli essudati infiammatori. Quando l’a. è completamente cronicizzata, le cure termali (salsoiodiche o clorurosodiche) possono dare buoni risultati.
La cura dell’a. cronica richiede molto tempo (parecchi mesi) e deve essere accompagnata da norme igieniche rigorose, soprattutto a carico dell’apparato genitale.Nei casi più gravi, però, nei quali la terapia medica ottiene scarsi successi, è necessario ricorrere a un intervento chirurgico (per liberare la tuba da eventuali aderenze o per ripristinare la sua pervietà o per asportarla), allo scopo di asportare i tessuti malati, cercando di preservare, nei limiti del possibile, la capacità riproduttiva della donna quando ciò non si può ottenere, per la gravità delle lesioni, si tenta di conservare una delle ovaie, in modo che rimanga alla donna la funzionalità endocrino-sessuale.Nei casi in cui in seguito a un’a. si sia verificata l’occlusione delle tube, con conseguente sterilità, possono essere tentati interventi chirurgici di salpingoplastica. Tali interventi hanno probabilità di successo solo quando l’occlusione è limitata all’inizio della porzione istmica o all’estremità della tuba e quando il resto del lume tubarico è integro. Le probabilità di successo sono comunque piuttosto limitate, anche per la maggior facilità con cui nelle tube danneggiate si verificano gravidanze ectopiche o extrauterine.Se le annessiti croniche non rappresentano un pericolo per la vita della donna che ne è affetta, tuttavia, possono avere gravi conseguenze per quanto riguarda la funzione riproduttiva. Ciò accade nelle forme in cui si sono verificate estese occlusioni del lume tubarico e in quelle in cui le tube contraggono estese aderenze con gli organi vicini, subendo deviazioni e angolazioni che ne ostacolano gravemente la funzione. Anche dopo la guarigione dei processi infiammatori a carico degli annessi uterini, si possono avere conseguenze, tra cui la retrodeviazione fissa dell’utero e la comparsa di dolori, causati dalla presenza di aderenze tra gli organi contenuti nel piccolo bacino. Ricordiamo che i processi infiammatori a carico degli annessi costituiscono un fattore predisponente della gravidanza tubarica.Vale la pena infine citare una complicanza di annessiti croniche, specialmente l’idrosalpinge, in cui si verifica una torsione della tuba affetta con disturbi vascolari e con necrosi di tessuti, che clinicamente configurano il quadro dell’addome acuto, con necessità di terapia chirurgica d’urgenza.

 
ANNICHILIMENTO

Termine usato in psicoanalisi per indicare il quadro massimo della disistima di sé, il sentimento profondo di essere sull’orlo dell’annientamento della propria consistenza positiva in quanto essere psichico. Questo turbamento così radicale è legato, dal punto di vista psicodinamico, alla presenza del Super-io (coscienza morale) e dei sensi di colpa che ne dipendono. Il Super-Io, la porzione differenziata e particolare dell’apparato psichico che giudica e punisce oppure protegge e rassicura, il rappresentante all’interno delle voci di rimprovero o di approvazione che provengono dai genitori e dall’ambiente, è ovviamente il responsabile in prima persona dei sensi di colpa dell’individuo o, per fare uso di una terminologia senz’altro da preferirsi, delle sue angosce di colpa. Le manifestazioni cliniche legate a tale stato di totale prostrazione interiore sono principalmente quelle della malinconia o psicosi depressiva. Il crollo di ogni spinta interiore che motivi alla fiducia, l’abbandonarsi in direzione del senso di distruzione, il lasciarsi captare dall’atmosfera di disperazione fino all’immobilismo psichico, così tipico delle depressioni gravi, sono tra gli esempi più significativi di quelle configurazioni di tratti inconsci che individuano l’annichilimento psichico.

 
ANNIDAMENTO

Processo con il quale l’uovo fecondato, divenuto blastocisti, si scava una cavità di impianto nella mucosa uterina. Normalmente l’uovo s’impianta 3-5 giorni dopo che è stato espulso dal follicolo ovarico. Nel momento dell’impianto è costituito da 64 cellule di queste pochissime daranno luogo alla formazione dell’embrione, mentre la maggior parte ha il compito di produrre un ormone, la gonadotropina corionica (HCG = Human Chorionic Gonadotropin), che darà alla madre il segnale della presenza del nuovo essere dentro la cavità uterina. Questo primo messaggio del figlio si traduce in un arricchimento morfologico e funzionale del corpo luteo, che da mestruale diventa gravidico e produce una quantità elevata di estrogeni e progesterone, al fine di proteggere il nuovo essere, dandogli le condizioni ambientali uterine più favorevoli al suo ulteriore sviluppo. Questo primo atto del dialogo biochimico, che si stabilisce tra figlio e madre già nelle prime fasi dell’impianto e che durerà per tutto il periodo della gravidanza, è la prima espressione vitale del nuovo individuo, la prima richiesta di “assistenza ormonale” ad un settore specializzato dell’organismo materno. Quando la blastula si è completamente sviluppata, avviene l’annidamento dell’uovo nello spessore della mucosa dell’utero. Il trofoblasto, che ora è formato da più strati di cellule, acquista la capacità di perforare l’endometrio: nel perforarlo, la blastula si appiattisce, poi, nello spessore della mucosa, si scava come un nido, rimanendo così completamente avvolta dall’endometrio, tranne che nel punto di penetrazione. Il tempo necessario perché l’a. si completi è di circa 1 giorno. Tuttavia, affinché l’anidamento possa avvenire, occorre che la mucosa uterina abbia compiuto tutti quei preparativi descritti a proposito delle modificazioni endometriali nel ciclo mestruale e che il progesterone (prodotto dal corpo luteo) sia presente in quantità sufficiente. La penetrazione della blastula si arresta agli strati superficiali della mucosa, perché questa, sotto l’azione del trofoblasto, reagisce trasformandosi in decidua, che è costituita da cellule capaci di resistere all’azione penetrante del trofoblasto. La formazione della decidua è molto importante, perché, nei casi in cui non avviene, il trofoblasto penetra molto profondamente nello spessore della parete dell’utero con conseguenze che si manifesteranno in occasione del parto e che saranno esaminate a proposito delle anomalie del secondamento. La reazione deciduale inizia in corrispondenza del punto d’impianto dell’uovo, ma si estende a tutto l’endometrio. Essa interessa soprattutto la parte superficiale dell’endometrio (che forma così lo strato compatto della decidua), mentre la parte profonda, contenente le ghiandole dilatate e ripiene di secreto, forma lo strato spugnoso. La parte di decidua che si trova al di sotto dell’uovo prende il nome di decidua basale, quella che lo riveste di decidua capsulare, quella che tappezza il resto della cavità uterina di decidua parietale. L’annidamento avviene di solito in corrispondenza del fondo dell’utero, ma un ostacolo all’ingresso dell’uovo in utero, si traduce in un anidamento in sede anomala e può verificarsi in qualsiasi punto della mucosa uterina o anche al di fuori di essa (gravidanza ectopica o extrauterina). Man mano che si sviluppa, l’embrione, rivestito dalla decidua capsulare, determina sulla mucosa uterina una sporgenza rivolta verso la cavità. Questa protuberanza s’ingrandisce, finché viene a contatto con la decidua parietale: le due decidue (capsulare e parietale) si fondono, cosicché l’embrione viene a trovarsi in una cavità completamente chiusa. È importante la reazione deciduale come freno all’attività invasiva del trofoblasto. I fattori che concorrono alla formazione di questo tessuto sono d’origine ormonale materna e probabilmente anche d’origine embrionale. Si va facendo strada l’idea che il tessuto deciduale abbia un’importante funzione immunologica: infatti, l’uovo fecondato rappresenta, a causa del patrimonio ereditario d’origine tanto materna quanto paterna, un equivalente di trapianto omologo, come tale quindi soggetto a reazioni da parte dell’organismo ricevente. Ora se questo avvenisse nel caso della gravidanza, il rifiuto di accogliere questo innesto da parte dell’organismo materno porterebbe inevitabilmente all’aborto.
La decidua invece possiede caratteristiche immunologiche peculiari con le quali circoscrive l’azione antigenica dell’uovo inteso come innesto e conferisce all’organismo materno una forma di accomodamento immunitario nei confronti del prodotto del concepimento che va sotto il nome di tolleranza immunologica. Grazie a questa proprietà acquisita e grazie al mantenimento di questa situazione per tutta la durata della gravidanza, l’utero funziona come camera incubatrice nei confronti del nuovo organismo in via di sviluppo.Un’anomalia nella tolleranza immunologica materna, dovuta a fattori non ancora chiariti, può determinare l’interruzione spontanea della gravidanza (simile al rigetto di organo nei casi di trapianto), mentre l’esaurirsi di quest’intesa immunitaria tra organismo materno e organismo fetale può verosimilmente identificarsi con l’inizio del travaglio di parto. Non è escluso che fattori d’origine fetale possano essere responsabili di quest’interessante fenomeno. In questa fase delicata, un ostacolo all’ingresso dell’uovo in utero, per motivi che si vedranno più avanti, si traduce in un a. in sede anomala: gravidanza ectopica ed extrauterina.Normalmente l’uovo s’impianta 3-5 giorni dopo che è stato espulso dal follicolo ovarico. Nel momento dell’impianto è costituito da 64 cellule di queste pochissime daranno luogo alla formazione dell’embrione, mentre la maggior parte ha il compito di produrre un ormone, la gonadotropina corionica (HCG = Human Chorionic Gonadotropin), che darà alla madre il segnale della presenza del nuovo essere dentro la cavità uterina.

 
ANO

Orifizio attraverso il quale il tubo digerente, che termina con l’intestino retto, sbocca all’esterno  è costituito da una doppia formazione muscolare circolare nella quale il retto stesso si disperde e che prende il nome di sfintere anale. La funzione dello sfintere è di assicurare la chiusura dello sbocco intestinale  la sua attività è in parte automatica e in parte volontaria, ed è coadiuvata dall’azione dei muscoli elevatori dell’ano La circolazione arteriosa è fornita da rami dell’arteria emorroidaria inferiore  la circolazione venosa è assai ricca ed è rappresentata dal sistema delle vene emorroidarie, le cui dilatazioni costituiscono le emorroidi. Altre frequenti patologie di questo distretto sono: ragadi, fistole, tumori, malformazioni congenite.

 
ANO ARTIFICIALE

Apertura temporanea o definitiva praticata chirurgicamente sulla parete dell’addome come sbocco dell’intestino crasso (colostomia) o dell’intestino tenue (ileostomia). L’ano artificiale viene approntato quando il transito delle feci sia reso impossibile o difficoltoso da lesioni di diverso tipo a carico di un tratto dell’intestino, oppure quando si voglia mettere a riposo un tratto di questo intestino, o proteggere temporaneamente una anastomosi intestinale. Le feci emesse vengono raccolte in adatti sacchetti applicati alla cute dell’addome. Il portatore di ano artificiale deve osservare di regola alcune norme igienico-dietetiche onde evitare la formazione di feci troppo liquide  perciò è opportuno che la dieta sia relativamente povera di scorie. All’occorrenza si può fare uso di astringenti per evitare una diarrea che sarebbe mal tollerata.

 
ANOFELISMO

Presenza in una data zona geografica di zanzare appartenenti al genere Anopheles di cui alcune specie sono il vettore dell’agente patogeno della malaria, il Plasmodium, di cui esistono diverse specie (vivax, ovale, malariae e falciparum). Esso predomina in Africa, Asia, Oceania e Sud-America e, nelle zone ad alta endemia come l’Africa Tropicale. Le persone possono essere infettate anche più volte nel corso della vita. In queste zone, per altro, si registra un’elevata morbosità e mortalità tra i bambini, ma nell’età adulta si sviluppa un’immunità tale da dar luogo a infezioni malariche per larghissima parte asintomatiche. Al contrario, nelle zone a bassa trasmissione questa immunità non si sviluppa e la forma sintomatica della malattia non risparmia nessuna fascia d’età.

 
ANOMALIA

Termine usato in medicina per indicare, in senso generale, ciò che si allontana dalla condizione di normalità. Viene impiegato per definire malformazioni congenite, alcune rare malattie o anche, in psichiatria, alcuni aspetti abnormi della personalità, del carattere o del comportamento individuale.

 
ANONIMA, arteria

Primo e voluminoso ramo arterioso originato dall’aorta. È lungo 3 cm circa e dall’arco dell’aorta, dietro al manubrio dello sterno, si dirige obliquamente verso destra e in alto, fino all’articolazione sterno-clavicolare dx, per dividersi in due grosse arterie, la carotidea comune destra, destinata alla vascolarizzazione della testa e del collo, e la succlavia destra, diretta all’arto superiore destro.È detta anche tronco arterioso brachiocefalico.

 
ANONIME, vene

Grossi tronchi venosi situati, a destra e a sinistra, nella parte più alta e anteriore del torace. Sono dette anche tronchi venosi brachiocefalici e originano a entrambi i lati, dalla confluenza della vena succlavia e della vena giugulare. La vena anonima di sinistra si dirige trasversalmente verso destra e va a unirsi a quella di destra per formare la vena cava superiore.

 
ANORESSIA

Perdita di appetito, con conseguente perdita di peso. Nelle sue forme più chiare, da un punto di vista psicologico, si presenta come fenomeno occasionale collegato a eventi patologici oggettivamente verificabili: malattie dell’apparato digerente, del fegato, dell’apparato endocrino possono produrre come effetto sintomatico l’anoressia. Accanto a questa forma ne esiste però un’altra, non rapportabile a malattie o disturbi fisici, priva di riscontri organici definiti: è la cosiddetta a. mentale o a. nervosa. È di origine psicologica e si manifesta con un apparentemente immotivato rifiuto del cibo: ciò porta a un grave dimagramento e, negli stadi più avanzati, al perturbamento profondo di tutte le funzioni dell’organismo e perfino alla morte.Si tratta di una malattia non rara, che colpisce soprattutto individui di sesso femminile (80% dei casi), all’epoca della pubertà o negli anni immediatamente seguenti, in genere tra i 13 e i 20 anni. La malattia comincia in modo apparentemente banale: la ragazza comincia a ridurre l’alimentazione, per il desiderio di mantenere la linea o per il timore di ingrassare, e questa riduzione, che in un primo tempo può passare inosservata, viene giustificata spesso con la mancanza di appetito o con disturbi della sfera digestiva (nausea, dolori di stomaco, senso di gonfiore, digestione difficile). Di solito queste malate evitano accuratamente i cibi molto calorici e soprattutto i grassi, guardati addirittura con ripugnanza non mangiano ai pasti, ma assaggiano qualche boccone qua e là nel corso della giornata alcune presentano occasionalmente accessi di voracità, durante i quali si rimpinzano in modo incredibile. Quando i parenti cominciano a preoccuparsi del dimagramento della ragazza e non lesinano inviti ad alimentarsi, e magari ammonizioni, essa mette in opera svariati trucchi per evitare di ingrassare, senza che i parenti se ne accorgano: nasconde il cibo, vomita di nascosto subito dopo il pasto, assume purganti drastici, ricorre a clisteri. La giovane perciò dimagrisce progressivamente: la diminuzione del peso corporeo nelle fasi avanzate della malattia può raggiungere limiti tali che difficilmente si possono osservare in altre condizioni morbose. Certi soggetti possono ridursi a un peso di non più di 30 Kg. L’aspetto delle malate, in questa fase, è davvero impressionante: i depositi di grasso sono scomparsi, così pure le rotondità caratteristiche della figura femminile (con parziale eccezione per le mammelle), il volume della muscolatura è ridotto. Le mestruazioni scompaiono, spesso precocemente costante è anche la stitichezza ostinata, che alcune pazienti combattono con purganti e clisteri. Nelle fasi più avanzate della malattia, che può protrarsi per anni, è facile l’insorgenza di forme infettive, essendo l’organismo assai debilitato. In vistoso contrasto con lo stato di decadimento dell’organismo, le pazienti mostrano un notevole grado di iniziativa e una considerevole energia e vivacità nei movimenti muscolari: alcune nuotano, danzano, fanno ginnastica fino al momento della loro ammissione in ospedale questo è caratteristico dell’a. mentale: infatti, in tutte le altre forme morbose in cui vi è decadimento fisico, o rifiuto del cibo, si nota una diminuzione di ogni iniziativa, sia intellettuale sia muscolare. Con l’iniziare della malattia, le pazienti divengono chiuse, scontrose, suscettibili, vivono isolate anche a scuola e nel luogo di lavoro, abbandonano le amicizie e sono incapaci di stringerne di nuove e non hanno alcun interesse per l’altro sesso. Si preoccupano molto del loro aspetto, della pettinatura e del guardaroba. Di fronte al cibo, esse hanno solo apparentemente un atteggiamento di disgusto, in realtà il cibo per loro è importante e s’interessano di cucina, di ricette, di ristoranti talvolta cucinano volentieri, ma solo per gli altri anche per se stesse sono spesso esigenti, nonostante mangino pochissimo. In genere, non vi è in queste malate una vera a., cioè la mancanza di appetito, a cui si era creduto di poter imputare la malattia alcune ammettono persino di avere fame viceversa, nelle forme di a. derivanti da disturbi gastrici, epatici o da altre malattie mentali vi sono l’inappetenza e il disgusto del cibo. Tuttavia non è infrequente osservare casi di a. con attacchi di bulimia. Costoro, nonostante il calo ponderale rilevante, tendono a pesare di più in media rispetto alle anoressiche classiche. Sono anche sessualmente più attive e possono abusare di farmaci psicotropi.Il movente del comportamento così abnorme e vistoso delle anoressiche mentali riguardo al cibo è il desiderio cosciente di diventare emaciate: il nucleo fondamentale di questa malattia non risiede, cioè, nell’assenza o nella perversione del senso dell’appetito, ma nel desiderio di ridursi a uno stato quasi di incorporeità ne consegue che esse sono indifferenti di fronte alle loro scadenti condizioni fisiche, ritengono normale il loro aspetto scheletrico, non tentano di porvi alcun rimedio e, anzi, hanno il continuo terrore di ingrassare.
Questo desiderio cosciente di raggiungere un dimagramento estremo, fin quasi all’incorporeità, induce alcuni a interpretare l’a. mentale come una forma di suicidio “a piccole dosi”, di suicidio dilazionato altri, invece, ritengono che non vi sia in queste malate una tendenza suicida cosciente o incosciente, ma che il loro desiderio di incorporeità abbia un significato addirittura opposto: l’anoressica cioè rifiuta l’esistenza in quanto questa comporta la necessità di vivere in un corpo che essa associa all’idea dell’invecchiamento, dell’ingrassamento e della morte viceversa, l’incorporeità, cui l’anoressica tende, rappresenterebbe un tentativo di sfuggire alla morte corporea. Queste malate tendono a trasportare tutta la loro vita psicologica sul piano della spiritualità pura, su un piano idealizzato e staccato dalla materia: il corpo, infatti, viene considerato come una cosa sudicia e grossolana di cui esse hanno totalmente orrore. Il rifiuto del proprio corpo sarebbe legato al desiderio inconscio di non assumere l’aspetto e le forme caratteristiche del proprio sesso, di negarsi quindi un ruolo e una identità sessuali. La psicoanalisi ha anche indicato la presenza nelle anoressiche di fantasie relative alla possibilità di una fecondazione attraverso la bocca (ingravidazione orale): il senso di colpa derivante da tali fantasie attiva un conflitto inconscio dal quale il soggetto si difende con il rifiuto di alimentarsi. Sul piano biochimico nelle pazienti anoressiche è stato evidenziato a livello del liquor cerebrale un aumento degli ormoni ACTH e vasopressina e una diminuzione delle beta endorfine e dell’ossitocina. Molto importante è la dimostrazione, sempre nel liquor, di elevate concentrazioni di acido 5-idrossi-indoliloacetico, metabolita del neurotrasmettitore serotonina. Molta importanza per la comprensione dei meccanismi che stanno alla base dell’a. mentale ha poi lo studio del contesto familiare e sociale in cui la paziente vive.Le famiglie delle anoressiche sono spesso caratterizzate da una concezione austera e rigida della vita, in cui dominano il sacrificio di sé, il rinnegamento dei propri gusti e delle proprie inclinazioni. Con il rifiuto del cibo l’anoressica esprimerebbe, sia pure in modo ambiguo e contraddittorio, un desiderio di cambiamento di tale sistema familiare.Di fronte a soggetti che rifiutano il cibo e presentano un dimagramento anche iniziale, è necessario ricorrere prontamente all’opera dei medici e soprattutto degli psichiatri, considerato che, nella maggior parte dei casi, l’a. ha un’origine psichica. Naturalmente bisogna bene distinguere i sintomi della a. mentale da occasionali episodi di inappetenza che presso i giovani possono essere sintomo di normali situazioni dello sviluppo dell’affettività.In questo senso l’anoressico diventa egli stesso il sintomo di un disturbo relazionale presente nella propria famiglia, i cui membri risultano coinvolti nella relazione disfunzionale pur non avendone consapevolezza.Spesso si giunge alla necessità di ricovero ospedaliero per istituire una adeguata nutrizione parenterale, ripristinando le ideali condizioni fisico-metaboliche con un trattamento medico-dietetico di supporto.

Terapia
Il trattamento dell’a. mentale vera è difficile e l’allontanamento dall’ambiente familiare è di solito indispensabile per ottenere qualche vantaggio dalle cure. Attualmente l’approccio psicoterapeutico sembra dare buoni risultati, ma può richiedere tempi lunghi, nell’ordine di anni, e la collaborazione del nucleo familiare

 
ANORESSIZANTI

Farmaci che riducono l’appetito e vengono utilizzati come coadiuvanti nel trattamento dell’obesità. Qualunque sia l’origine di questa malattia, un fattore comune, in tutti i casi, è rappresentato dall’introduzione di calorie in eccesso rispetto al consumo. Gli anoressizanti sono in grado di ridurre la sensazione di fame, probabilmente a livello del centro dell’appetito localizzato nell’ipotalamo. Questi farmaci provocano anche euforia che migliora l’umore dei pazienti e permette loro, soprattutto all’inizio, di tollerare le restrizioni nella dieta. Gli anoressizanti di comune impiego comprendono la fentermina e la fendimetrazina, anfetamine e farmaci correlati, antidepressivi inibitori della ricaptazione della serotonina. Nonostante si tratti di farmaci usati frequentemente, risultano inefficaci se non vengono associati a una coscienziosa restrizione alimentare.L’impiego di anoressizanti in trattamenti prolungati, oltre le 6-8 settimane, può sviluppare assuefazione. Gli anoressizanti sono controindicati nella ipertensione, nelle malattie cardiovascolari in genere, nell’ipertiroidismo e nell’instabilità emotiva. Il loro uso deve avvenire sotto rigoroso controllo medico.

 
ANOSCOPIA

Esame diagnostico per le patologie del canale anale. Consiste nell’introduzione nel canale anale, di un anoscopio, strumento lungo circa 10 cm, dalla forma svasata che ne facilita l’introduzione. Su questo strumento è innestata una sorgente luminosa. L’esplorazione del canale anale è utile a diagnosticare e poi a trattare le ragadi, le fistole e le emorroidi. L’esame permette di valutarne il volume e l’infiammazione associata. In caso d’anomalia, il medico può praticare una biopsia (prelievo di tessuto con l’aiuto di una pinzetta speciale), per determinare la diagnosi di certe malattie: tumore benigno o maligno, malattie sessualmente trasmissibili o, parassitarie, colite ulcerosa, ecc. L’esame viene prescritto in caso di dolori anali, sospetto di emorroidi, eliminazione di sangue con le feci, difficoltà recente di evacuazione. Poichè l’ampolla rettale dev’essere vuota, è necessaria una preparazione adeguata che consiste in un enteroclisma a base di acqua la sera prima e la mattina dell’esame. L’a dura una decina di minuti ed è generalmente preceduta da un’esplorazione rettale. Se si valuta necessaria, durante l’esame viene effettuata la sclerosi emorroidaria, o la legatura delle emorroidi. Gli eventuali dolori postumi possono essere trattati con analgesici.

 
ANOSMIA

Mancanza della sensibilità olfattiva. Può essere completa o incompleta (iposmia), totale o parziale, ossia per tutti o solo per taluni odori, permanente o transitoria, unilaterale o bilaterale, congenita o acquisita.
L’anosmia congenita è legata ad anomalie di sviluppo delle vie e dei centri nervosi dell’olfatto.
L’anosmia acquisita è legata a un’alterazione degli elementi essenziali per l’olfatto: cavità nasali, neuroepitelio olfattivo, nervi olfattivi, vie e centri olfattivi.

Cause
Stati tossici, traumatici, tumorali, degenerativi, infiammatori, irritativi cronici ecc. possono determinare a. Esistono infine anosmie, puramente soggettive, che non sono dovute a lesioni organiche e rientrano nel quadro delle grandi neurosi.Clinicamente l’a. è caratterizzata, oltre che dalla perdita dell’olfatto, dall’abolizione della maggior parte delle sensazioni gustative.

Terapia
La terapia è in rapporto ai fattori causali: buoni risultati si ottengono, dopo adeguato trattamento medico o chirurgico, nelle forme dovute ad alterazioni delle cavità nasali risultati scarsi nelle forme dovute a lesioni irreversibili della mucosa olfattiva, dei nervi e dei centri nervosi olfattivi.

 
ANOSSIA

Condizione patologica di sofferenza delle cellule dovuta a mancanza di ossigeno. Di solito si ha soltanto una diminuzione dell’ossigeno disponibile per i processi respiratori cellulari e quindi più propriamente si dovrebbe parlare di ipossia. L’ipo-anossia acuta stimola la ventilazione solo attraverso i chemocettori periferici e principalmente i glomi carotidei (una rimozione o denervazione dei glomi può infatti portare addirittura ad una depressione della ventilazione). Nell’uomo non vi è risposta all’ipossia fino a che la PO2 alveolare non scenda sotto i 50-60 mmHg, valore molto inferiore rispetto a quello necessario a stimolare i chemocettori periferici. Lo stimolo ventilatorio ipossico viene parzialmente mascherato dalla concomitante ipocapnia prodotta dall’iperventilazione ipossica la caduta della PCO2 provoca reazioni opposte nei chemocettori periferici, che stimolano la ventilazione, e nei centrali, che la inibiscono anche in risposta alla concomitante alcalosi cerebrale.

Cause
La causa può essere dovuta a riduzione nel contenuto di ossigeno del sangue arterioso, oppure a rallentamento della circolazione sanguigna a livello dei vasi capillari periferici (a. stagnante). Questa seconda forma può essere provocata da insufficienza cardiaca, da stati di collasso o di shock, oppure anche da spasmi od ostruzioni vascolari: in tal caso il disturbo è circoscritto e interessa un distretto limitato dell’organismo.

Sintomi
I sintomi dell’anossia, sono prevalentemente di tipo neurologico, tanto più marcati quanto più grave è la condizione anossica: senso di fatica, apatia, incoordinazione motoria, perdita della memoria e dell’attenzione, sonnolenza, nausea. L’organismo reagisce all’a. soprattutto aumentando la frequenza degli atti respiratori e la velocità della circolazione (attraverso un aumento della frequenza del polso) con meccanismo più lento si ha poi la produzione di un maggior numero di globuli rossi, così che si accresce la quantità di emoglobina presente nel sangue. Quando l’anossia è localizzata, i sintomi saranno variabili a seconda del distretto colpito se il disturbo è grave si può avere anche la morte del tessuto (ischemia). Una forma particolare di a. è quella dovuta ad avvelenamento da acido cianidrico o da narcotici o a eccesso di raffreddamento: il danno è a livello cellulare e istologico per l’incapacità delle cellule di utilizzare l’ossigeno normalmente disponibile perché danneggiate nella loro funzione respiratoria.

 
ANOSSIEMIA

Riduzione della quantità di ossigeno presente nel sangue arterioso. Tale condizione patologica può essere determinata da cause numerose e assai diverse tuttavia si possono distinguere essenzialmente due gruppi di anossiemie: anossiche e anemiche.
Le anossiemie anossiche sono dovute a deficiente ossigenazione del sangue a livello dei polmoni  possono essere in rapporto a diminuzione della tensione parziale di ossigeno (sia per diminuzione della pressione barometrica totale che della concentrazione frazionaria di ossigeno) nell’aria inspirata (per es. in alta montagna si verifica il primo dei due meccanismi sopradescritti), a processi patologici diversi a carico del polmone o delle vie aeree che ostacolino l’ossigenazione del sangue a livello degli alveoli polmonari (asma bronchiale, polmoniti e broncopolmoniti, bronchioliti, enfisema polmonare, tumori, fibrosi polmonari diffuse ecc.), a comunicazioni anomale tra sezione destra e sezione sinistra del cuore (quali si realizzano in alcune malformazioni congenite del cuore o dei grossi vasi) per cui solo una parte del sangue venoso passa attraverso i polmoni.
Le anossiemie anemiche sono dovute a una riduzione della quantità di emoglobina nel sangue circolante  tale riduzione può essere in rapporto a una diminuzione del numero di globuli rossi quale si ha nelle diverse forme di anemia oppure la quantità di emoglobina presente può essere normale ma, come accade in alcuni avvelenamenti, essa si lega ad altre sostanze formando composti (carbossiemoglobina, solfoemoglobina) non più in grado di legarsi con l’ossigeno.
L’anossiemia comporta una diminuzione della quantità di ossigeno a disposizione delle cellule, con fenomeni di sofferenza di vario grado a livello dei diversi tessuti, particolarmente rilevanti a livello renale e cerebrale.

 
ANSA

Termine generico che in anatomia si riferisce a quelle formazioni che per il loro andamento curvilineo possono richiamare l’immagine di un’ansa fluviale (anse dell’intestino tenue, dei vasi sanguigni ecc.).

 
ANSIA

Sentimento comune della nostra vita psicologica, del quale tutti abbiamo avuto e abbiamo esperienza. A differenza della paura, che compare di fronte a un pericolo attuale, l’ansia è qualcosa di indeterminato, qualcosa che può essere sì in rapporto con un avvenimento reale e precederlo come attesa penosa del medesimo ma che, più di sovente, interviene senza che vi sia una precisa ragione esterna. L’ansia è dunque un moto spontaneo dell’animo, un sentimento emergente dalla sua profondità. Più forte e capace di scuotere della semplice inquietudine o apprensività e senza oggetto a differenza della paura, l’a. è una sensazione sfuggente, mal definibile da parte di chi la prova, ma più di ogni altra capace di far avvertire all’uomo con chiarezza il limite invalicabile della sua impotenza, di fargli toccare con mano la sua effettiva fragilità. L’ansia non è comunque differenziabile con tanta facilità dalla paura: spesso infatti è a essa strettamente legata e a volte ne diviene inscindibile. È in effetti esperienza di ognuno come, di fronte a un pericolo, componenti razionali e irrazionali del nostro atteggiamento si assommino. A. e paura hanno un nucleo comune. Entrambe hanno la facoltà di indurre l’organismo a reagire di fronte a un’aggressione, al fine di sovrintendere alla sua conservazione. Ma l’a. è, rispetto alla paura, più difficile a comprendersi, è indeterminata, trova la sua sostanza nel confronto tra l’uomo e l’infinita grandezza del mondo da un lato e tra l’uomo e il profondo inesplorato della sua coscienza dall’altro. Per le moderne correnti del pensiero esistenzialista essa nasce dall’incontro con il “nulla”, dalla difficoltà tra “essere” e “esistere”: per questi pensatori l’a. è dunque ineliminabile, è un elemento intrinseco alla condizione dell’uomo. Nelle psiconevrosi l’a. non manca quasi mai, e ne costituisce anzi spesso il sintomo fondamentale. La stessa affermazione può anche essere fatta parlando di altre situazioni psicologiche anormali. L’a. si trova infatti in quasi tutte le malattie psichiche, nelle sindromi depressive, nelle forme psichiche dissociative, nelle psicosi organiche ecc. Essa è un sintomo usuale per lo psichiatra, come lo è la febbre per il medico internista. Nelle nevrosi comunque l’a. predomina, tanto che in molti casi si usa l’espressione nevrosi d’ansia, stato ansioso, reazione ansiosa per definire un caso clinico nella sua globalità: segno che in queste occasioni il sintomo a. risulta il più eloquente e significativo, anche in vista di una corretta indicazione terapeutica. Nel processo di esteriorizzazione i due tipi di a. sembrano del tutto sovrapponibili sul piano qualitativo, mentre riguardo all’aspetto quantitativo l’a. del nevrotico è sempre più marcata e accompagnata spesso da disturbi più evidenti della sfera neurovegetativa (tachicardia, aumento della pressione arteriosa, respirazione affannosa, sudorazione, sensazioni di costrizione e di oppressione alla gola o al petto ecc.). Ma soprattutto la diversità tra a. nevrotica e a. normale consiste nel fatto che la prima, anziché fondarsi sui rapporti con la realtà esterna, nasce di solito dall’affiorare dei conflitti interiori, dalla lotta contro le pulsioni degli istinti e, anche quando appare correlata a un avvenimento esterno, in realtà questo fa riemergere soltanto il ricordo di un rapporto interpersonale o di una sensazione trascorsa. Il primo distacco, quello rappresentato dalla nascita, è considerato il prototipo di ogni nuova e ulteriore situazione traumatizzante, la pietra di paragone per ogni situazione ansiogena, la prima forzatura ad assumersi il gravoso peso dell’autonomia. Dopo lo stacco dalla madre vengono tutte le altre separazioni: le morti delle persone care, degli amici, le incomprensioni, i fallimenti, tutti gli avvenimenti insomma che attraverso il meccanismo della perdita e della separazione segnano negativamente la nostra esistenza. Il distacco dall’oggetto serve a spiegare in maniera soddisfacente il modo più proprio di configurarsi dell’a. nevrotica e del trasferimento che in essa avviene dello stato d’animo sugli oggetti della realtà esterna. Gli oggetti si caricano allora di un particolare significato, divengono ai nostri occhi gli elementi distintivi di una situazione che noi soli possiamo rivivere, si legano a una situazione conflittuale tanto da esserne il richiamo perentorio. Una cosa qualsiasi, un oggetto personale, un fiore particolare o una marca di sigarette ci richiamano una figura cara e perduta. Alla sua vista sorge un sentimento d’a. che è insieme ricordo struggente del passato e attesa penosa di un nuovo distacco.
Così, al nevrotico un determinato oggetto, una determinata situazione possono evocare il nucleo conflittuale e allo stesso tempo l’inevitabilità del suo ripetersi. Le manifestazioni esteriori che tradiscono la comparsa dell’a. sono più o meno evidenti, ma costanti: palpitazioni, tachicardia, costrizione toracica, modificazioni dell’irrorazione cutanea, sudori, tremori. A volte le sensazioni somatiche sono le uniche ad attestare, e in modo più subdolo e meno appariscente, l’insorgenza dello stato ansioso. Nell’individuo in questi casi non vi è neppure preoccupazione, ma nasce un malessere interno sordo che attanaglia i visceri e che si accompagna a uno sgomento immotivato e tanto più inquietante. Per questa sensazione particolare, vicinissima all’a. ma da essa diversificabile, si preferisce il termine di angoscia o quello meno clinico di ambascia in essa rientrano anche gli stati di panico che originano da veri disturbi organici: cioè dall’angina pectoris, dall’insufficienza respiratoria, dagli spasmi della muscolatura liscia. Sintomo dai poliedrici aspetti, psichico nel modo di comparire, ma legato a cause psichiche o organiche nella sua genesi, l’a. come sintomo viene combattuta dalla moderna farmacologia, e con successo.

Terapia
Tra gli psicofarmaci, gli ansiolitici restano tra i più potenti e spettacolari per risultati. Essi sono largamente impiegati anche contro l’insonnia, che spesso riconosce nell’a. la sua causa principale. Sintomatici, in prima istanza, finiscono poi per essere risolutori di situazioni psicologiche ben più complesse, per prevenire l’evoluzione in senso peggiorativo di molti stati nevrotici. Attualmente nella cura del cosiddetto disturbo d’a. generalizzata, una particolare forma di a., si utilizzano alcuni farmaci antidepressivi che si sono dimostrati efficaci. Tutti questi farmaci vanno prescritti e assunti sotto controllo medico specialistico.

 
ANSIOLITICI

Vedi SEDATIVI

 
ANTAGONISTI, muscoli

Muscoli che fanno compiere a un segmento corporeo movimenti opposti (per es. flessione ed estensione, pronazione e supinazione). L’azione di tali muscoli è, in condizioni di normalità, armonicamente equilibrata da un meccanismo di integrazione nervosa che si svolge a livello del cervelletto: la contrazione di un muscolo presuppone il rilasciamento del suo antagonista.

 
ANTIACIDI

Farmaci dell’apparato digerente che agiscono sul succo gastrico riducendone l’acidità e trovano perciò indicazione nelle pirosi e nei casi di ulcera gastrica o duodenale con iperacidità. Agiscono localmente sul contenuto gastrico con effetto neutralizzante, senza tuttavia inibire l’attività secretoria  il loro effetto è quindi temporaneo e scompare quando le somministrazioni vengono interrotte. Il prototipo degli antiacidi è il bicarbonato di sodio, ancora ingiustificatamente usato. Infatti esso non solo neutralizza l’eccesso di acido cloridrico nello stomaco, ma spesso alcalinizza l’ambiente e provoca di conseguenza una ulteriore secrezione di acido cloridrico, nonché il rischio di alcalosi sistemica se usato in dosi eccessive. Si crea perciò un circolo vizioso che porta alla stimolazione della secrezione gastrica. Più utile è l’impiego di carbonato di calcio, insolubile, che a contatto con l’acido cloridrico forma cloruro di calcio solo nella misura in cui l’acido cloridrico è in eccesso. Ancora più usati sono l’idrossido e il trisilicato di magnesio e i derivati di alluminio quali l’idrossido. Altro antiacido è il sottonitrato di bismuto (o magistero di bismuto). Queste sostanze, oltre che avere capacità neutralizzanti l’iperacidità gastrica, hanno spesso qualità protettive della mucosa, avendo caratteristiche colloidali. Si pensa infatti che esse possano rivestire di una lieve pellicola non solo la mucosa irritata, ma soprattutto le eventuali zone ulcerose, sia gastriche sia duodenali. In definitiva gli antiacidi preferibili sono quelli che non riescono mai a spostare il pH gastrico verso l’alcalinità e che per di più offrono anche proprietà muco-protettive. Gli effetti collaterali sono trascurabili e si possono utilizzare anche in gravidanza.

 
ANTIAGGREGANTI PIASTRINICI

Farmaci che impediscono l’aggregazione delle piastrine agendo su sostanze attive all’esterno o all’interno della piastrina. Sono oggi di primo impiego, insieme con i trombolitici, nella terapia dell’infarto cardiaco e nella prevenzione delle sue complicanze oltre che nelle vasculopatie aterosclerotiche in genere. Inoltre, vengono usati nella profilassi degli attacchi ischemici transitori cerebrali (TIA), degli attacchi di angina instabile e nella prevenzione degli accidenti vascolari nelle persone con precedenti eventi trombotici. L’aggregazione piastrinica è il momento di inizio della formazione del trombo, che poi si consoliderà con la comparsa dei filamenti di fibrina. Questo ha portato alla ricerca di sostanze a. da impiegare in quelle situazioni, come l’infarto cardiaco, in cui è assai importante combattere formazione e progressione del processo trombotico coronarico. L’acido acetilsalicilico è un buon antiaggregante e la sua somministrazione tempestiva influisce favorevolmente sull’evoluzione dell’infarto. Altro farmaco di questa categoria è la ticlopidina, molto utile nei soggetti che non tollerano l’aspirina.

 
ANTIAMEBICI

Chemioterapici antiprotozoari attivi in particolare sull’Entamoeba histolytica, un protozoo che ha due forme: una vegetativa capace solo di riprodursi nell’intestino e una mobile (trofozoite), in grado di invadere il lume intestinale e di insediarsi successivamente negli organi parenchimali come fegato e vie biliari. Fra gli antiamebici si distinguono quelli che agiscono sulla fase intestinale, come il cliochinolo e la clefamide, sulla fase parenchimale, come la clorochina, o su entrambe, come il metronidazolo. Nelle forme intestinali si usano anche antibiotici, quali le tetracicline.

 
ANTIANEMICI

Farmaci che trovano impiego nella cura dell’anemia. In base ai differenti fattori che possono provocare lo stato anemico, si interviene terapeuticamente con composti assai diversi dal punto di vista chimico. Le anemie sideropeniche (dovute a carenza di ferro) rispondono efficacemente al trattamento con composti di ferro bivalenti e trivalenti  i primi vengono usati per la terapia orale e, solo nel caso di trattamenti prolungati, possono provocare disturbi funzionali del tubo gastroenterico quali stipsi e dispepsia. In caso di mancato assorbimento per via orale, si ricorre alla terapia parenterale che espone però al rischio di avvelenamenti acuti, e va riservata quindi a casi eccezionali. Le anemie megaloblastiche rispondono efficacemente al trattamento con vitamina B12, o cianocobalamina, e alla terapia con acido folico. Non esiste infine una terapia unica e specifica per le anemie aplastiche ed emolitiche: poiché queste forme hanno diversa eziologia è necessario cercare di eliminare la causa scatenante e contemporaneamente instaurare una terapia sintomatica.

 
ANTIARITMICI

Farmaci usati nella terapia delle aritmie cardiache, in altre parole delle alterazioni del ritmo cardiaco. Si dividono in 4 classi in base al loro meccanismo d’azione: gruppo I bloccanti i canali del sodio (capostipite è la lidocaina). Gruppo II riducono l’attività adrenergica del cuore (propranololo e farmaci similari). Gruppo III prolungano il periodo refrattario effettivo tra una contrazione e l’altra (amiodarone). Gruppo IV bloccano i canali del calcio (verapamil, diltiazem). Farmaci come la digitale e l’amiodarone presentano più meccanismi d’azione per cui non possono essere inseriti in un solo gruppo dei suddetti.

 
ANTIBIOGRAMMA

Tecnica di indagine impiegata per individuare la sensibilità o la resistenza agli antibiotici di una specie batterica al fine di trovare l’antibiotico più efficace a combatterla. È un’indagine molto utilizzata nella corrente pratica clinica poiché consente di capire se la terapia antibiotica impostata sia realmente efficace o, qualora si possa attendere il risultato definitivo (per es. alcune infezioni non complicate delle vie urinarie), permette di scegliere un antibiotico mirato. La tecnica prevede sostanzialmente l’immissione di alcuni piccoli dischi contenenti l’antibiotico direttamente nella coltura del germe isolato, responsabile dell’infezione. Uno dei più frequenti impieghi clinici dell’antibiogramma riguarda proprio le infezioni delle vie urinarie nella loro espressione più comune: le cistiti. Anche se dal punto di vista metodologico nulla si eccepisce alla scelta di eseguire questo test diagnostico in queste condizioni, da molti è considerata buona norma scegliere, laddove sia permesso, una terapia antibiotica su base empirica  essendo la cistite una frequente causa di consultazione del medico è comprensibile come questo ultimo approccio produca un significativo risparmio di risorse e spesso porti alla completa risoluzione dei sintomi prima che un eventuale a. possa fornire la risposta attesa.

 
ANTIBIOTICI

Sostanze di origine biologica capaci di inibire lo sviluppo o la vita degli agenti patogeni microbici. Nel 1929 A. Fleming scoprì la penicillina e da allora numerosi altri a. sono stati isolati (la streptomicina nel 1943, il cloramfenicolo nel 1947, la prima delle tetracicline nel 1948, ecc.). Ad oggi si contano alcune migliaia di antibiotici di cui soltanto un numero ristretto è entrato in terapia. In genere gli a. sono prodotti da funghi (ifomiceti), ma alcuni hanno origine diversa: la bacitracina e la tirotricina, per esempio, sono prodotte da bacilli. La struttura chimica degli antibiotici è quanto mai diversa, come sono diversi il meccanismo, lo spettro e il tipo di azione. Per quanto riguarda il meccanismo di azione si può dire che può trattarsi di intervento competitivo in rapporto a sostanze che entrano nella normale struttura del microrganismo, oppure di interferenze a livello enzimatico nella sintesi biologica del microrganismo stesso. In tutti e due i casi lo sviluppo del microrganismo viene bloccato, perché vengono alterati i suoi processi di sintesi biologica. Lo spettro di azione (cioè la capacità di agire su un numero più o meno ampio di specie patogene) varia da antibiotico ad antibiotico.Un aspetto particolare della terapia antibiotica è determinato dalla resistenza che è rappresentata da una insensibilità primaria o secondaria all’antibiotico. In una colonia di microbi sensibili a un dato antibiotico possono esistere alcuni esemplari insensibili (insensibilità primaria): quando l’antibiotico distrugge tutti i microbi sensibili, gli altri, vissuti sino allora allo stato latente, cominciano a svilupparsi e a dare origine a una specie resistente. Può avvenire invece (resistenza secondaria) che la presenza dell’antibiotico provochi una mutazione genetica in alcuni componenti della colonia batterica. Si origina anche in questo modo una nuova specie resistente. Ciò spiega come, specialmente negli ospedali, si siano selezionate famiglie di microrganismi resistenti, da ceppi una volta sensibili. È stato proprio il fenomeno della resistenza che ha portato allo studio di sempre nuovi antibiotici, o comunque alla ricerca dell’antibiotico più adatto per una determinata terapia. Da quanto sopra esposto nascono alcune considerazioni di ordine pratico: non usare a. se non è necessario, lasciando esclusivamente al medico la scelta dell’antibiotico adatto, la dose e la durata del trattamento  non impiegare dosi basse, né effettuare trattamenti discontinui o incompleti  non usare gli antibiotici più potenti (per es. tetracicline) se basta la penicillina. Tutto ciò per evitare fenomeni di abitudine negli agenti patogeni e pertanto rendere inefficaci gli a. nelle forme in cui questi sono veramente necessari. La stessa profilassi antibiotica per prevenire complicazioni (per es. nell’influenza) è da attuarsi solo in casi in cui la possibile complicazione può essere grave (per es. negli anziani, nei cardiopatici ecc.). Un’ultima considerazione generale è da farsi per quanto riguarda l’associazione degli a. Essa non produce mai un sinergismo di potenziamento di azione  nella migliore delle ipotesi si ha una semplice azione di somma (un a. è attivo su alcuni batteri, l’altro su quelli non coperti dal primo o ad esso potenzialmente resistenti), molto più spesso gli effetti corrispondono a quelli di un solo antibiotico e talvolta si crea addirittura antagonismo.Più valida invece è l’associazione con chemioterapici come i sulfamidici

 
ANTICINETOSICI

Farmaci usati nelle sindromi da movimento o cinetosi (mal di mare, mal d’aria ecc.). Hanno un effetto protettivo contro le vertigini, la nausea e il vomito determinati da una eccessiva stimolazione dell’organo vestibolare (contenuto nell’orecchio interno). Hanno una azione di questo tipo la scopolamina e alcuni farmaci antistaminici come il dimenidrinato, la prometazina, la ciclizina e la meclozina.Effetto collaterale tipico di questa categoria di farmaci è la sonnolenza, per cui è sconsigliabile la guida di autoveicoli se si assumono a.

 
ANTICOAGULANTI

Farmaci capaci di ritardare o di inibire la coagulazione del sangue. Essi possono agire su uno o più processi e fattori che intervengono nel meccanismo della coagulazione. Invece quando un trombo è già formato, i farmaci a. sono incapaci di provocarne la dissoluzione. In questo caso sono indicati i fibrinolitici ma l’uso degli a. si rende tuttavia necessario per bloccare l’estensione del fenomeno. L’efficacia della terapia anticoagulante è comunque soprattutto del tipo preventivo descritto. Gli anticoagulanti sono così usati per prevenire i fenomeni tromboembolici post-traumatici e postoperatori  nelle tromboflebiti, nelle flebotrombosi, nelle trombosi cerebrali, coronariche e retiniche per impedire la estensione dei trombi  per rendere il sangue incoagulabile durante certi interventi chirurgici (circolazione extracorporea, chirurgia vascolare, dialisi renale)  nello scompenso cardiaco quando i fenomeni di stasi possono favorire la trombosi. L’utilità della terapia anticoagulante nella trombosi coronarica con infarto del miocardio è tuttavia oggetto di controversie. L’uso degli anticoagulanti richiede in ogni caso estrema cautela: la coagulazione del sangue rappresenta infatti un fenomeno fisiologico di difesa e la sua inibizione comporta rischi notevoli. L’uso degli anticoagulanti è comunque controindicato nelle condizioni morbose in cui esista il rischio di emorragie  per esempio nelle malattie ulcerose dell’apparato gastrointestinale e in genere nelle emopatie di tipo emorragico. Devono essere usati con molta cautela nelle malattie epatiche e renali, nell’ipertensione arteriosa, nella gravidanza e nei periodi mestruali. Hanno azione anticoagulante, oltre all’eparina, che è una sostanza anticoagulante fisiologica essendo normalmente prodotta nell’organismo, alcuni derivati cumarinici come il dicumarolo, l’acenocumarolo, il warfarin, l’etilbiscumacetato, e alcuni derivati dell’indandione come il fenindione, l’anisindione e il difenadione. L’azione anticoagulante dell’eparina è di tipo antitrombinico, mentre i derivati sintetici interferiscono generalmente con la formazione di protrombina, inibendo l’attività dei fattori coagulatori plasmatici sintetizzati dal fegato, dipendenti dalla presenza di vitamina K nell’organismo. L’azione anticoagulante dell’eparina può essere bloccata in ogni momento con la somministrazione di solfato di protamina. I derivati sintetici, invece, non possono essere in alcun modo bloccati e la loro azione continua fino alla loro totale eliminazione. Le complicazioni emorragiche vengono curate con la somministrazione di protrombina attraverso trasfusioni di sangue fresco o plasma quando debba essere raggiunto un effetto immediato, e con vitamina K. Attività anticoagulante, anche se di grado più debole, è posseduta dai salicilici ed è dovuta ad inibizione dell’attivita piastrinica.

 
ANTICOLINESTERASICI

Farmaci ad azione parasimpaticomimetica che inibiscono l’eliminazione dell’acetilcolina tramite l’inibizione dell’enzima idrolitico acetilcolinesterasi. Si suddividono in a. reversibili (fisostigmina, neostigmina, piridostigmina, ambenonio, edrofonio) ed irreversibili (esteri fosforici od organofosfati). Questi ultimi vengono usati come insetticidi e sono causa di grave avvelenamento nell’uomo. Gli effetti sono la riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, aumento della motilita intestinale, aumento delle secrezioni intestinali e bronchiali, miosi. Sono indicati per ileo paralitico, ritenzione urinaria, glaucoma, miastenia, anestesia generale (antagonisti dei farmaci miorilassanti), intossicazioni da atropina e parasimpaticolitici, tachicardia sopraventricolare. Controindicazioni al loro uso sono occlusioni meccaniche dell’intestino o delle vie urinarie, bradicardia, ipotensione, asma bronchiale, epilessia, morbo di Parkinson, ulcera gastrica, ipertiroidismo.Gli effetti collaterali sono nausea, diarrea, salivazione aumentata, crampi addominali, ipotensione e bradicardia, ansia, tremori, lacrimazione, rinorrea, ipersecrezione bronchiale. L’antidoto è l’atropina.

 
ANTICONCEZIONALI

Vedi CONTRACCETTIVI

 
ANTICORPO MONOCLONALE

Molecola immunitaria altamente selettiva, preparata con manovre di ingegneria genetica a scopo diagnostico e terapeutico. Ogni antigene sollecita la formazione di un suo specifico a opera di un linfocito o di una plasmacellula. Poiché gli antigeni sono innumerevoli, parimenti moltissimi sono gli anticorpi e le cellule che li hanno formati. Se, in questa situazione, si vuole trovare un determinato a. e la rispettiva cellula, si deve ricorrere a una tecnica in vitro molto complessa, messa a punto da C. Milstein e G. Kohler, che per questo hanno avuto il premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1984.Il metodo è in sintesi il seguente:- si infetta un topo con un antigene - si prendono i suoi linfociti e si fondono con cellule di mieloma (un tumore che fabbrica molti anticorpi) - si ottiene così un ibridoma che ha unite le due caratteristiche delle cellule madri: produrre anticorpi specifici per l’antigene (proprietà dei linfociti del topo) e produrre molti anticorpi (proprietà delle plasmacellule) - gli ibridomi vengono poi isolati e si fanno moltiplicare in appositi terreni di coltura: si ottengono così tanti cloni di cellule che fabbricano tutte lo stesso a. (monoclonale).

 
ANTICORPO

Proteina prodotta dalle cellule del sistema immunitario quando vengono a contatto con molecole di varia natura dotate di potere antigene. Gli anticorpi appartengono per lo più alla classe delle gammaglobuline. Sono prodotti dalle cellule B mature e costituiscono la parte umorale della risposta immunitaria. Tutte le immunoglobuline hanno una struttura di base formata da due catene pesanti e due catene leggere. L’isotipo delle diverse immunoglobuline (cioè G, M, A, D ed E) dipende dal tipo di catena pesante utilizzato. Le IgG e le IgA si distinguono rispettivamente in ulteriori quattro e due sottoclassi (IgG1, IgG2, IgG3, IgG4, IgA1, IgA2) classificate in base alla presenza di determinanti antigenici, sempre localizzate sulle catene pesanti. Le quattro catene sono legate da ponti disolfuro ed ogni catena leggera è formata da una parte costante ed una variabile mentre per la catena pesante sono tre le costanti ed una la variabile. L’antigene si lega sostanzialmente alla regione variabile, mentre le regioni costanti hanno altri ruoli altrettanto importanti nella risposta immunitaria.

Le IgG rappresentano circa il 75% egli anticorpi circolanti ed interagiscono con macrofagi e neutrofili ed attivano il complemento. Sono gli anticorpi predominanti al secondo contatto con l’antigene (memoria immunitaria).

Le IgM sono le prime a comparire nella risposta immunitaria e sono i primi anticorpi prodotti dal neonato. Interagiscono con il complemento e con le cellule B mature e possono formare immunocomplessi con le IgG (per esempio il fattore reumatoide).

Le IgA (10-15% delle Ig totali) sono responsabili dell’immunità a livello delle mucose e posseggono un’importante azione antivirale (tratto gastroenterico e respiratorio).- Le IgD sono presenti in quantità minima nel siero ma, insieme alle IgM, fungono da recettori sulle cellule B.

Le IgE sono presenti in piccola quota ma sono indispensabili per modulare i rapporti con le mastcellule e i basofili, e sono fortemente implicate nella risposta da ipersensibilità di tipo immediato (allergie).

La produzione di anticorpi costituisce una delle principali strategie di difesa del sistema immunitario nei confronti degli antigeni più diversi che, fissati all’anticorpo, vengono poi eliminati attraverso vari meccanismi biologici. Tale reazione di difesa è altamente specifica: l’anticorpo che viene prodotto reagisce e si lega esclusivamente con l’antigene che ne ha indotto la formazione. Il meccanismo preciso con cui il sistema immunitario viene stimolato alla produzione degli anticorpi non è ancora noto. Quando l’unione dell’antigene e dell’a. avviene in vitro, essa può dar luogo a fenomeni visibili:

precipitazione, cioè formazione di aggregati antigene (anticorpi che si depositano al fondo della provetta per effetto della gravità)

agglutinazione, quando l’antigene è voluminoso (globuli rossi, cellule, batteri ecc.) e si formano piccoli ammassi che sedimentano - neutralizzazione di sostanze tossiche - lisi di cellule o di batteri ecc.

Tutti questi fenomeni, che hanno avuto importanti applicazioni pratiche, si ritenevano dovuti a tipi diversi di anticorpi, che venivano pertanto definiti precipitine, agglutinine, antitossine, lisine ecc. in realtà lo stesso tipo di reazione può essere determinato anche da anticorpi appartenenti a classi diverse.In condizioni patologiche questo importante meccanismo di difesa dell’organismo può essere completamente assente o gravemente depresso.La produzione degli anticorpi può essere influenzata da numerosi fattori  così, per esempio, le radiazioni ionizzanti e i farmaci citotossici hanno un effetto deprimente  l’associazione, invece, dell’antigene ad alcune sostanze quali alcuni oli vegetali, gel minerali e altre (adiuvanti) esercita una azione potenziante. Gli anticorpi posseggono anche altre importanti proprietà biologiche, quali quella di attivare il complemento, di legarsi alla superficie di alcune cellule, di facilitare i fenomeni di fagocitosi.

 
ANTIDEPRESSIVI

Farmaci psicostimolanti usati prevalentemente nel trattamento delle sindromi depressive. Nell’individuo normale sono poco efficaci. Essi determinano nell’individuo depresso miglioramento dell’umore, dell’attività psichica, della vigilanza e dell’attenzione, aumento dell’appetito, regolarizzazione del sonno e riduzione dell’atteggiamento ipocondriaco. Gli a. sono efficaci soprattutto nel trattamento delle sindromi depressive endogene di natura psicotica (sindromi melanconiche e maniaco-depressive, psicosi involutive). In generale si tratta di farmaci piuttosto tossici. Occorre fare particolare attenzione alle condizioni circolatorie ed ematiche, alla funzionalità epatica e renale ed alla possibile interazione con altre terapie assunte dal paziente.Comprendono tre gruppi principali di farmaci:

Triciclici come l’amitriptilina, la imipramina, la desipramina, la protriptilina, la nortriptilina, la trimipramina e la doxepina.

Inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO), come tranilcipromina, trifluoroperazina. Hanno molti effetti collaterali e non presentano vantaggi rispetto ai triciclici assolutamente sconsigliata l’assunzione concomitante di SSRI, vini rossi e formaggi stagionati.

Inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI), come fluoxetina, paroxetina, sertralina, citalopram  essi costistuiscono la classe più recente degli antidepressivi, con effetti collaterali meno gravi e meglio tollerati dai pazienti. Non devono mai essere associati agli IMAO per il rischio di una grave sindrome data dall’eccesso di serotonina nell’organismo (sindrome serotoninergica).

 
ANTIDIABETICI

Vedi IPOGLICEMIZZANTI ORALI

 
ANTIDIARROICI

Farmaci indicati nel trattamento della diarrea. Possono essere medicamenti causali o sintomatici. Nei casi più frequenti si tratta di episodi diarroici acuti che, essendo di breve durata, si risolvono unicamente con accorgimenti dietetici (tè, bibite non gassate, riso, carni bianche, prosciutto crudo, pesce, pane tostato, patate, banane, grissini, evitando: caffè, alcolici, cacao, insaccati, legumi, spezie, pane integrale, ecc.), una adeguata reidratazione (acque minerali bicarbonato-calciche o saccarinate, o soluzioni più complesse che favoriscono il riassorbimento intestinale di elettroliti) e un ripristino della flora batterica intestinale per mezzo di fermenti lattici. Se la diarrea è sostenuta da infezioni intestinali si attuerà una antibioticoterapia ad azione sistemica, attuata in modo mirato, quindi dopo una precisa diagnosi (coprocoltura, emocoltura ecc.). Gli antidiarroici propriamente detti sono farmaci sintomatici, cioè sostanze che alleviano i dolori addominali e riducono le scariche acquose, senza rimuovere le cause di tale situazione, e per questo devono essere impiegati con estrema prudenza e sospesi se dopo 48 ore non c’è stato miglioramento. Nelle forme più severe si possono usare sedativi oppiacei come il laudano o i derivati del fenantrene, oppure alcaloidi sintetici come la meperidina, che tuttavia presentano il rischio di una possibile assuefazione. Tale rischio si evita usando a. ad azione meno immediata ma più estesa nel tempo, come il difenossilato associato ad atropina (sconsigliato nei bambini), la loperamide e la bacitracina associata a neomicina.

 
ANTIDIURETICO, ormone

Ormone prodotto dalle cellule nervose dei nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo. Da questa sede il materiale secreto viene trasportato nella parte nervosa dell’ipofisi (neuroipofisi).I meccanismi che regolano il trasporto del secreto lungo le fibre nervose, il suo deposito nella neuroipofisi e la sua successiva liberazione in circolo non sono conosciuti.L’ormone a. è un polipeptide formato da otto aminoacidi disposti ad anello nella sede di produzione, lungo gli assoni, e nella neuroipofisi, esso è legato a una proteina trasportatrice specifica detta neurofisina.Le principali attività dell’ormone a. sono:- favorire la ritenzione di acqua, agendo a livello dei dotti collettori del rene, dove aumenta la permeabilità delle cellule, consentendo il passaggio di acqua nell’interstizio renale, con aumento della concentrazione urinaria - agire sulla muscolatura liscia delle arteriole, determinando vasocostrizione e quindi aumento della pressione arteriosa - partecipare alla regolazione della secrezione dell’ormone adrenocorticotropo - stimolare la motilità dello stomaco e del colon - inibire la secrezione dei succhi digestivi gastrointestinali.Circa il 60% del peso corporeo è dovuto all’acqua (42 litri in un soggetto di 70 kg). Di questa una quota piuttosto bassa (circa 1/12) è rappresentata dalla componente intravascolare, rendendo poco significative variazioni dello stato dei liquidi anche in presenza di abbondante introduzione di acqua. Una valutazione di questo parametro è possibile attraverso la misurazione della sodiemia (principale soluto extracellulare nel plasma) ed in media ci si riferisce ad una osmolalità di 280 mOsm/kg. I meccanismi regolatori in questo senso sono essenzialmente due: l’ormone a. e il meccanismo della sete. Un aumento dell’osmolalità plasmatica viene convertito dai recettori ipotalamici in rilascio di ADH che, agendo direttamente sul neurone, modifica la permeabilità delle cellule in questa sede, facilitando un riassorbimento contro gradiente ed un successivo reintegro nell’albero circolatorio attraverso i vasa recta. L’azione dell’ADH riesce a mantenere un bilancio fino a valori di osmolalità di circa 290 mOsm/kg ulteriori incrementi innescano lo stimolo della sete come meccanismo compensatorio.La secrezione dell’ormone a. è legata soprattutto alle variazioni della pressione osmotica del plasma, alla temperatura del sangue, all’ipossia e anche a stimoli psichici (emozioni, condizioni di stress, dolore ecc.). Un’insufficiente secrezione di ormone a. o la sua mancanza completa determina una grave affezione denominata diabete insipido, caratterizzata dall’eliminazione di grandi quantità di urine molto diluite e da una sete insaziabile. Vi sono tre tipi di diabete insipido: diabete insipido nefrogenico, dovuto ad una mancata responsività renale all’ADH, diabete insipido centrale, causato dal deficitario rilascio ipotalamico o da un’aumentata degradazione dell’ADH circolante, sindrome vasopressina-resistente, tipico della gravidanza. Le cause della forma nefrogenica sono prevalentemente dovute a danni renali su base idiopatica, post-ostruttiva, iatrogena (farmaci come litio, metossiflurano), anemia falciforme, sindrome di Sjogren. La forma centrale riconosce come cause scatenanti malattie vascolari, infettive, autoimmuni, neoplastiche, traumatiche familiari che coinvolgano il distretto ipotalamico.In alcuni casi di tumori polmonari si osserva secrezione abnorme di ormone a., con ritenzione di acqua, diminuzione del livello di sodio, di potassio e di cloruri nel plasma, oliguria, ed eccessiva eliminazione urinaria di sodio (sindrome di Schwartz-Bartter).La diagnosi di questa malattia, però, prevede molta cautela in quanto la somministrazione irrazionale di vasopressina può provocare grave ritenzione di liquidi, iposodiemia e sequele neurologiche severe.
Si pone come primo elemento la diagnosi differenziale con la polidipsia primitiva, clinicamente molto simili ma a patogenesi completamente differente.Il cardine del trattamento è quello di correggere innanzitutto la deplezione di volume mediante soluzione salina allo 0,9%, servendosi di formule ben definite per valutare efficacemente il deficit di liquidi. Nelle forme centrali si utilizza la vasopressina, ponendo attenzione agli effetti pro-ipertensivi e pro-ischemici, pertanto va usata con cautela nei pazienti anziani affetti, per esempio, da cardiopatie significative. Le metodiche di somministrazione sono la via sottocutanea ed endovenosa, lo spray nasale e le compresse per bocca. Esistono poi farmaci che possono essere utilizzati nelle forme parziali: la clopropamide (ipoglicemizzante orale) potenzia gli effetti dell’ADH sul dotto collettore, riducendo così l’escrezione di liquidi l’idroclorotizide, mediante delicati e complessi meccanismi a livello del neurone, riduce la diluizione urinaria la carbamazepina (anticonvulsivante) favorisce il rilascio di ADH nelle forme parziali ma presenta effetti avversi considerevoli (tossicità per il midollo osseo). Nelle forme nefrogeniche i diuretici tiazidici sono i farmaci di scelta anche l’indometacina, inibendo le prostaglandine che antagonizzano l’effetto dell’ADH, possono trovare uno spazio nella terapia di queste condizioni.

 
ANTIDOTO

Sostanza impiegata in terapia per inattivare un veleno (antidoto chimico) o per combatterne gli effetti fisiologici (antidoto fisiologico).

 
ANTIELMINTICI

Farmaci attivi nelle infestazioni da elminti, o verminosi. Attualmente la terapia antielmintica dispone di una serie di farmaci capaci di curare le principali forme di elmintiasi, come l’anchilostomiasi (mebendazolo), l’ascaridiosi e l’ossiuriasi (mebendazolo, albendazolo, pirantel e pervinio pomoato), la strongiloidiasi (ivermectin, tiabendazolo), la tricocefalosi (mebendazolo), le teniasi (praziquantel, mebendazolo, albendazolo, niclozamide), la schistosomiasi (praziquantel), la filariosi (dietilcarbamazina, ivermectin), l’echinococcosi (il trattamento chirurgico delle cisti epatiche e polmonari è la prima scelta, in alternativa si utilizzano albendazolo e mebendazolo).Nelle terapie delle parassitosi intestinali spesso all’antielmintico si associa un purgante per facilitare l’espulsione dei parassiti. Attualmente i preparati disponibili sono per lo più di sintesi, notevolmente efficaci in poche somministrazioni.

 
ANTIEMETICI

Farmaci usati nella prevenzione e nel trattamento sintomatico del vomito e della nausea. Il vomito è un atto riflesso che si instaura in condizioni e con meccanismi diversi ed è sottoposto alla influenza di molti fattori. La terapia antiemetica dovrebbe possibilmente tendere alla rimozione della causa del vomito. Tuttavia nei casi di vomito incoercibile e persistente occorre intervenire anche in modo puramente sintomatico. In molte condizioni l’uso dei sedativi è sufficiente a ridurre la nausea e il vomito. Esistono comunque farmaci che agiscono in maniera specifica sul sistema nervoso centrale a livello delle aree interessate nel riflesso del vomito. Tra questi soprattutto la metoclopramide che favorisce inoltre un rapido svuotamento gastrico e una più efficace peristalsi intestinale, e alcuni fenotiazinici efficaci ma tossici a livello epatico ed ematologico (perfenazina). Azione simile a quella della metoclopramide è esercitata dal domperidone. Diversi antistaminici (come la prometazina ed il dimenidrinato) e anticolinergici (come la scopolamina) sono efficaci nel vomito di origine vestibolare e sono usati nelle sindromi da movimento.La classe più nuova e più efficace di a. è quella degli antagonisti della serotonina (ondansetron, granisetron, tropisetron), nati per la terapia del vomito da chemioterapici, e molto utili anche nei casi di vomito da anestesia e radioterapia, meno efficaci nella cinetosi e nella nausea. Questi farmaci vengono impiegati 30 minuti prima della somministrazione del chemioterapico nei casi meno responsivi possono venire associati con desametazone, che ne aumenta l’efficacia, e a tranquillanti benzodiazepinici.

 
ANTIEPILETTICI

Farmaci usati nella terapia delle varie forme di epilessia. Essi sono capaci di prevenire o di ridurre il numero e la gravità delle manifestazioni periodiche dell’epilessia (attacchi epilettici), senza tuttavia influire efficacemente sulle cause e sul decorso della malattia. Possono essere somministrati preventivamente anche per lunghi periodi di tempo. Sono invece di scarsa efficacia nel corso di un attacco epilettico. Hanno azione antiepilettica alcuni barbiturici come il fenobarbital e un suo derivato, il barbesaclone alcuni farmaci simili ai barbiturici come il primidone la difenilidantoina o fenitoina la carbamazepina e l’oxacarbazepina l’acido valproico alcune benzodiazepine a lunga emivita e molti altri ancora. Non tutti gli a. sono ugualmente efficaci nelle varie forme di epilessia, per cui si debbono seguire indicazioni specifiche. La tossicità e gli effetti collaterali variano molto da composto a composto, comunque la regola impone di iniziare sempre con un solo farmaco, il meglio tollerabile, e di somministrare il dosaggio minimo efficace per prevenire le crisi.Durante la gravidanza è importante continuare la terapia antiepilettica, ma la carbamazepina e l’acido valproico sono assolutamente controindicati in quanto hanno effetto teratogeno.

 
ANTIESTROGENI

Farmaci di tipo ormonale la cui azione antagonizza quella degli estrogeni. Essi si legano in maniera duratura, sebbene non irreversibile, ai recettori estrogenici a livello ipotalamico, ipofisario, gonadico e tessutale, impedendo il legame degli estrogeni. Si utilizzano nella terapia ormonale del tumore della mammella ormono-sensibile (tamoxifene), nell’induzione dell’ovulazione (clomifene, analoghi del GnRH) e soppressione dell’attivita gonadica (analoghi del GnRH). Altro farmaco con parziale azione antiestrogenica è il danazolo, utilizzato, insieme ad altri farmaci, come inibitore dell’attività gonadica femminile nell’endometriosi. Gli analoghi del GnRH si utilizzano per l’induzione dell’ovulazione in donne con amenorrea, per la stimolazione ovarica in donne candidate a tecniche di riproduzione assistita, ma anche per la soppressione della funzione ovarica in caso di tumori ormono-dipendenti, di endometriosi, di leiomiomi uterini (in fase pre-chirurgica), di pubertà precoce.Effetti collaterali comuni a questo gruppo di farmaci sono le vampate di calore, l’aumento di peso, diminuzione della libido, riduzione della massa ossea tali effetti indesiderati sono reversibili al termine della terapia ed in genere lievi, raramente inducono alla sospensione del trattamento.Il danazolo deve essere somministrato con cautela a pazienti con disfunzionalità epatica e mai in gravidanza per il rischio di anomalie della differenziazione sessuale della progenie (vedi ANDROGINO).

ANTIFLOGISTICI

vedi ANTINFIAMMATORI

ANTIFUNGINI

(O antimicotici), farmaci capaci di combattere le malattie da funghi (micosi). L’azione consiste nell’ostacolare lo sviluppo dei funghi parassiti e nel combattere le infezioni da essi prodotte.Dei numerosi composti sintetici ad azione antimicotica locale pochissimi sono efficaci nelle infezioni sistemiche più o meno generalizzate. Per la terapia di queste forme si ricorre all’impiego di antibiotici dotati di azione antifungina, come l’amfotericina B e la fluocitosina entrambi i farmaci hanno importanti effetti tossici a livello renale e del midollo osseo, pertanto vengono somministrati sotto strettissimo controllo medico in casi gravi.Per uso esterno le principali sostanze impiegate sono: iodio, acido propionico, acido caprilico, acido undecilenico, acido salicilico, salicilanilide, esetidina, derivati dell’acido benzoico. Il tolnaftato è particolarmente indicato nel trattamento delle diverse forme di tigna, del piede d’atleta, delle onicomicosi.Tra gli antibiotici sono di comune utilizzo la griseofulvina, la nistatina, l’itraconazolo, il chetoconazolo, il fluconazolo che viene usato per bocca, localmente o per via intravaginale nelle moniliasi (Candida albicans). Nelle tricomoniasi sono particolarmente attivi, per uso interno ed esterno, il clotrimazolo ed il metronidazolo.

ANTIGENE

Sostanza che introdotta nell’organismo stimola le cellule del sistema immunitario alla produzione di anticorpi capaci di reagire con l’a. stesso.Il meccanismo antigenicoPerché una sostanza possa esplicare questa attività è essenziale che sia eterogenea rispetto all’organismo nel quale viene introdotta: una proprietà importante del sistema immunitario è infatti quella di non reagire nei confronti dei costituenti propri dell’organismo.Inoltre si tratta di sostanze ad alto peso molecolare e a struttura complessa: tali, per esempio, la maggior parte delle molecole proteiche, alcuni polisaccaridi (per es. quelli presenti nelle membrane cellulari, nella capsula di batteri), alcuni lipidi, gli acidi nucleici, sostanze polipeptidiche sintetiche. Vi sono poi sostanze a molecola semplice (dette apteni o antigeni incompleti) che di per sé non sono dotate di attività antigenica, ma che assumono questa proprietà quando vengono unite ad altre molecole per lo più di natura proteica.Le vie d’entrata nell’organismoAntigeni e apteni possono penetrare nell’organismo attraverso varie vie: la cute, le mucose dell’apparato respiratorio o gastroenterico, attraverso l’aria inspirata, l’alimentazione, le infezioni spontanee  oppure possono venire introdotti artificialmente con iniezioni sottocutanee o intradermiche, con trasfusioni, trapianti ecc.L’attività antigenica delle diverse sostanze dipende poi da numerosi fattori inerenti sia alla molecola dell’a. (sua maggiore o minore degradabilità, solubilità, distruzione da parte dell’organismo ricevente), sia alla dose, al ritmo di somministrazione, alle condizioni del soggetto ricevente. L’attività antigenica di una sostanza è altamente specifica: la reazione cioè che essa induce nell’organismo è valida unicamente contro quel determinato a.  il potere antigenico di una molecola e la sua specificità dipendono da struttura, configurazione e polarità di alcune sue parti, dette determinanti antigenici, il cui numero esprime la valenza antigenica della molecola. Il legame tra a. e anticorpo avviene proprio a livello di questi determinanti  la porzione restante di molecola funge da supporto.

ANTIGENE AUSTRALIA

Particolare a. presente nel plasma e nel tessuto epatico dei soggetti colpiti da epatite è riconosciuto come indice di pregressa infezione da virus epatitico B, ed è denominato H Bs Ag (Hepatitis B Surface Antigen), perché le ricerche virologiche hanno dimostrato che oltre a questo a., presente sulla superficie del corpo virale, ne esiste un altro interno, H Bc Ag (Hepatitis B Core Antigen). La presenza di questi antigeni nel sangue indica infezione pregressa o presente e la loro persistenza è indice di cronicizzazione della lesione epatica prodotta dal virus.

ANTIGENE CARCINO-EMBRIONARIO (CEA)

Glicoproteina presente in alcuni pazienti portatori di carcinomi dell’apparato digerente (colon, retto, stomaco, pancreas), ritenuta un tempo utile ai fini diagnostici. Attualmente la sua ricerca nel siero di sangue è considerata utile più ai fini prognostici, perché, se fosse presente, diminuirebbe sino a scomparire dopo l’intervento terapeutico, ma ricomparirebbe se il tumore fosse recidivo o desse metastasi.

ANTIGENE DELTA

Particolare antigene scoperto nel sangue di tossicodipendenti con epatite acuta o cronica. È sempre associato ad antigene HBsAg ed è espresso dalla zona interna di un virus epatitico B difettivo.

ANTIGENE DI DIFFERENZIAZIONE DEI LINFOCITI UMANI

Grazie agli anticorpi monoclonali si sono scoperte molte molecole sulla superficie dei linfociti, definendo il Cluster of Differentiation (CD): le diverse popolazioni linfocitarie sono state così caratterizzate a seconda dei tipi di CD espressi, a cui corrispondono diverse funzioni nel sistema immunitario.

ANTIGENE DI ISTOCOMPATIBILITÀ

Antigene utilizzato nei trapianti d’organo per evitare il rigetto immunitario. Infatti se si innesta in un soggetto un organo o tessuto di un altro soggetto si attiva una risposta immunitaria, che ha lo scopo di distruggere (rigettare) il trapianto. Ciò avviene perché su tutte le cellule esiste un complesso di molecole dotate di potere antigenico, che sono proprie (self nella terminologia anglosassone), ereditate, e quindi non eguali a quelle delle cellule di un altro individuo (a meno che si tratti di gemelli veri).Gli a. di istocompatibilità delle cellule sono paragonabili agli antigeni dei globuli rossi (responsabili dei diversi gruppi sanguigni), che non consentono trasfusioni di sangue di diverso gruppo. Si sa, grazie a recenti ricerche, che gli a. di istocompatibilità sono numerosi, e raggruppati in un insieme che è chiamato complesso maggiore di istocompatibilità, MHC (Major Histocompatibility Complex), e che è stato ben studiato nel topo e nell’uomo.In particolare, il complesso MHC prende il nome di HLA (Human Leukocyte Antigens) e consta di una serie di antigeni, la cui struttura è molto simile a quella delle immunoglobuline, che sono codificati da un complesso di geni localizzati nel braccio corto del cromosoma 6. Di questi antigeni, alcuni, chiamati di classe 1a, sono presenti in tutte le cellule altri, di classe 2a, si trovano soprattutto su linfociti e macrofagi quelli di classe 3a infine hanno a che fare col sistema del complemento.Data la quantità di questi antigeni, e le possibili loro combinazioni, si capisce come sia difficile trovare due individui con lo stesso HLA e ci si debba accontentare di trovare donatore e ricevente che abbiano un HLA simile.La catalogazione dei vari antigeni HLA si chiama tipizzazione e viene effettuata preventivamente nei soggetti che attendono un trapianto ed estemporaneamente nel possibile donatore, il cui organo andrà a quello degli aspiranti trapiantandi che avrà l’HLA più vicino a quello del donatore.

ANTIGENE TUMORALE

Molecola presente nelle cellule maligne, capace di scatenare nell’organismo reazioni difensive di tipo immunitario.La patogenesi del processo tumorale vede sicuramente implicati anche disordini di tipo immunitario ed è pertanto logico che si sia andati alla ricerca di antigeni a livello delle cellule neoplastiche tali antigeni dovrebbero essere diversi da quelli delle cellule normali e magari specifici per ciascun tipo tumorale. In realtà le ricerche anche più recenti hanno dimostrato che, se esistono antigeni associati a un tumore, essi sono diversi nei vari tipi di tumore e magari nei diversi individui che hanno lo stesso tumore, e inoltre che antigeni possono esser presenti anche in cellule normali.Tra gli antigeni in corso di studio i principali sono:- quelli riscontrati nei tumori dell’apparato digerente e in cellule embrionali o fetali (antigeni onco-fetali) - quelli correlati alla particolare morfologia di tumori quali melanomi, leucemia, neuroblastoma, carcinoma della vescica e della mammella - quelli riscontrati in tre forme tumorali umane (linfoma di Burkitt, rinofaringioma, carcinoma della cervice uterina) in cui è dimostrata la presenza di un virus.Tutti questi antigeni hanno importanza quali marcatori tumorali e possono avere un ruolo fondamentale nell’ipotesi, attualmente in studio, di una terapia immunologica specifica.

ANTIHIV

Ricerca degli anticorpi contro il virus HIV che utilizza metodi sierologici diversi per sensibilità e specificità (immunoenzimatici, iodioimmunoprecipitazione, ecc.). Gli anticorpi specifici rivolti contro il virus si sviluppano di norma dopo 6-8 settimane dal contagio e comunque mediamente tra 1 e 3 mesi, anche se si sono riscontrate sieroconversioni anche a tre anni da rapporti sessuali o in nati da madri infette. La presenza di anticorpi anti HIV viene utilizzata per la diagnosi di questa patologia, per la quale si esige la presenza di anticorpi diretti contro costituenti di superficie e costituenti interni del virus.I test sierologici per la ricerca ed identificazione di tali anticorpi sono in commercio dal 1985. La presenza dell’HIV nell’organismo determina una risposta immunitaria costituita da anticorpi e da una reattività cellulare citotossica, che non è in grado di sradicare l’infezione, poiché non sono mai stati riportati casi convincenti di guarigione.Gli anticorpi diretti contro il virus sono abbondanti e riconoscono sia il suo involucro sia dei costituenti interni del virus o alcune molecole secrete. Alcuni anticorpi hanno un’attività bloccante sull’infezione di colture cellulari ma non sembrano in grado di impedirla totalmente. Bisogna poi notare che l’efficacia degli anticorpi bloccanti di un dato malato è molto limitata al ceppo infettante e di poca efficacia sul ceppo virale di un altro malato o su varianti del virus che compaiono e si sviluppano in tempi successivi nello stesso individuo. Sembra ci siano anche dei linfociti T citotossici specifici per il virus.

ANTILEPROMATOSI

Farmaci utilizzati nella terapia della lebbra, malattia infettiva, contagiosa, cronica, a lenta evoluzione, causata da Mycobacterium Leprae o bacillo di Hansen, microrganismo che presenta alcune analogie con il patogeno che causa la tubercolosi. I farmaci impiegati sono i seguenti:- Dapsone (galenico), un battericida ben tollerato (è descritta una sindrome simil-mononucleosi), apparentemente sicuro anche in gravidanza, molto efficace ma suscettibile di resistenze nel 10-30% dei casi, pertanto viene associato alla rifampicina.- Rifampicina, battericida molto efficace in monosomministrazione mensile, impiegato anche nella terapia della TBC determina colorazione rossastra delle urine, riduce le concentrazioni plasmatiche di diversi farmaci, dei quali bisogna modulare il dosaggio (contraccettivi orali, digitale, beta-bloccanti, inibitori delle proteasi ed altri), ha effetti collaterali a livello gastro-intestinale ed epatico, nonché nefrotossicità ad alte dosi.

ANTIMALARICI

Farmaci attivi sugli agenti patogeni della malaria, cioè su tre diverse specie di Plasmodium: vivax, falciparum, malariae, che provocano rispettivamente le tre forme cliniche più frequenti: la terzana primaverile o benigna, la terzana estivo-autunnale o perniciosa e la quartana. L’infezione da plasmodio è suddivisa in stadi a seconda del ciclo biologico del parassita e della evoluzione della patologia, con il coinvolgimento dei vari organi (es. fase esoeritrocitaria o epatocitica, fase pre-eritrocitaria, eritrocitaria ed ematica).L’azione dei singoli a. è circoscritta a specifici stadi dei plasmodi è inoltre specifica per questi microrganismi e solo alcuni trovano applicazioni in altre malattie provocate da protozoi. I chemioterapici a., secondo la costituzione chimica, possono essere raggruppati in: chinolinici (chinino - il capostipite -, chinidina, clorochina - l’a. piu usato -, primachina - utile nella prevenzione delle recidive-, meflochina - utile in terapia e profilassi), acridinici (chinacrina, ormai sostituita, come antimalarico, dai derivati chinolinici), pirimidinici (pirimetamina, trimetoprim), guanidinici (cloroguanidina o proguanil), chinonici (atovaquone).Anche per il plasmodio esiste il problema delle resistenze ai farmaci: nelle aree geografiche in cui sia stata segnalata la resistenza alla clorochina attualmente si utilizza, sia in terapia che in profilassi, la meflochina, efficace in oltre il 90% dei casi di infezione ove vi sia resistenza anche alla meflochina, si ricorre ad una associazione tra progualnil ed atovaquone.In gravidanza sono sicure la clorochina e la chinidina, la meflochina sembra sicura ma è necessaria una esperienza più ampia prima di dare un giudizio definitivo di innocuità.

ANTIMETABOLITI

Farmaci a struttura chimica analoga a quella di alcune sostanze fisiologiche (metaboliti). Interferiscono con le funzioni e con la utilizzazione della corrispondente sostanza fisiologica, sostituendosi ad essa in alcune reazioni enzimatiche, e portano al blocco di alcune vie metaboliche formando un substrato che non viene distinto dal metabolita normale. Vi sono antimetaboliti analoghi all’acido folico come il metotrexate alle basi puriniche come la 6-mercaptopurina, l’allopurinolo e la 6-tioguanina alle basi pirimidiniche come il 5-fluorouracile e la citosina arabinoide alla glutamina come l’azaserina e la duazomicina. Gli a. sono sostanze citotossiche che danneggiano i tessuti a più attiva proliferazione, sono perciò utili nelle malattie tumorali, che ne costituiscono il principale campo di applicazione, ma hanno importanti effetti collaterali sui tessuti sani che fisiologicamente sono ad alto turnover (midollo osseo, milza, linfoghiandole, tessuti epiteliali, timo). Infatti causano anemia, riduzione dei globuli bianchi e della produzione di anticorpi determinando maggiore suscettibilità alle infezioni (azione immunosoppressiva), tossicità sull epitelio intestinale (diarrea) e renale. Per tale motivo, durante il loro utilizzo, i pazienti rimangono sotto stretta osservazione e vengono assiduamente sottoposti ad esami del sangue.

ANTIMICOTICI

vedi ANTIFUNGINI

ANTIMITOTICI

Sostanze o agenti che ledono soprattutto i tessuti a cellule in continua attività riproduttiva, quali i tessuti tumorali, senza alterare quelli costituiti da cellule che hanno perso la capacità riproduttiva. Gli a. possono essere aspecifici quando non agiscono direttamente sulla mitosi, ma sulla fonte di energia chimica necessaria per lo svolgimento di questa (per es. i veleni della respirazione cellulare), oppure specifici, quando agiscono direttamente sui processi mitotici, nel qual caso sono detti totali se interessano solamente le mitosi di qualsiasi cellula, parziali se interessano solamente quelle di uno o alcuni tipi di cellule. Gli a. specifici comprendono le radiazioni ionizzanti, alcuni isotopi radioattivi, gli alchilanti, i derivati metilidrazinici, i perossidi, alcuni antimetaboliti (gli antifolici), gli antipurinici e pirimidinici, l’uretano, gli antibiotici (actinomicine), vari coloranti basici (acridine), i cortisonici.

ANTIMUSCARINICI

Farmaci parasimpaticolitici (atropino-simili), che inibiscono gli effetti della acetilcolina a livello della muscolatura liscia, delle ghiandole e del cuore, ma non a livello della placca neuromuscolare e a livello dei gangli nervosi del sistema nervoso parasimpatico. Capostipite di questo gruppo è l’atropina altri composti sono il metilbromuro di scopolamina, il prifinio bromuro, la pirenzepina, la trimebutina.Gli effetti di questi farmaci sono tachicardia (ad alte dosi bradicardia), inibizione dell’attivita della muscolatura liscia extravascolare, inibizione della secrezione delle ghiandole gastrointestinali e bronchiali, salivari e sudoripare.Indicati per ulcera gastrica, coliche renali e biliari, spasmi intestinali, bradicardia sinusale, cinetosi, preanestesia, sono controindicati in caso di glaucoma e ipertrofia prostatica (causa ritenzione urinaria acuta). Gli effetti collaterali possono essere disturbi dell’accomodazione visiva, secchezza delle fauci, impotenza, vertigini.

ANTINEOPLASTICI

Gruppo di sostanze eterogenee utilizzate nella cura dei tumori maligni, solitamente impiegate in associazione (polichemioterapia). La velocità di crescita di un tumore influenza la sensibilità ai farmaci chemioterapici, nel senso che le cellule a maggiore turnover sarebbero più sensibili all’azione di tali farmaci. Però le metastasi, cioè i tumori secondari distanti dal tumore di origine, si comportano nei confronti della cinetica di crescita e della sensibilità ai farmaci in modo abbastanza incostante. In genere si ritiene che la cellula metastatica abbia una minore sensibilità ai farmaci rispetto alla cellula del tumore primario, a dispetto della maggiore velocità di crescita. Gli a. inibiscono la proliferazione cellulare (citostatici) o provocano lisi cellulare (citolitici). L’attività anticellulare non è specifica nei confronti delle cellule neoplastiche, ma viene prodotta anche nei confronti di cellule normali: la tossicità quindi è molto elevata e l’indice terapeutico molto basso. Inoltre ciascun singolo composto può essere dotato di effetti tossici specifici. Molto spesso, inoltre, un tumore originariamente sensibile a un trattamento diviene progressivamente resistente.Studi più promettenti e in fase già avanzata riguardano:- la farmaco-sensibilità, una tecnica con la quale si stabilisce la sensibilità dei singoli tumori ai farmaci noti - la terapia loco-regionale, che si propone di raggiungere concentrazioni molto elevate del farmaco nella sede del tumore salvaguardando gli organi non neoplastici (la modalità finora più seguita è stata quella di infondere molto lentamente il farmaco attraverso l’arteria afferente il tumore) - la terapia sequenziale, che si propone di migliorare l’efficacia dei farmaci attualmente a disposizione sfruttando le variazioni biochimiche del ciclo cellulare.

ANTINFIAMMATORI

(O antiflogistici), farmaci capaci di inibire il processo infiammatorio influendo su uno o più fattori che intervengono nel meccanismo dell’infiammazione. Alcuni agiscono prevalentemente sui fenomeni essudativi (aumento della permeabilità vascolare, vasodilatazione), altri prevalentemente sui fenomeni proliferativi (proliferazione istiocitaria, reazione granulomatosa), altri ancora impediscono la liberazione o l’azione dei mediatori chimici responsabili di alcuni componenti dell’infiammazione. Hanno attività antinfiammatoria i cortisonici, detti a. steroidei e un gruppo molto numeroso ed eterogeneo di a. non steroidei (o FANS). A quest’ultimo gruppo appartengono: salicilati, fenilbutazone e derivati, derivati indolici, derivati dell’acido acetico, derivati dell’acido propionico, oxicam, nimesulide ecc. Gli a. inibiscono la reazione infiammatoria, ma non sono in grado di influire sulle cause dell’infiammazione. Dal momento che la reazione infiammatoria rappresenta per lo più una utile reazione di difesa dell’organismo verso stimoli nocivi, l’uso degli a. è indicato solo quando una eccessiva e non finalistica reazione infiammatoria costituisce essa stessa un fenomeno dannoso. Una condizione simile si verifica nel reumatismo poliarticolare acuto, nell’artrite reumatoide e nelle altre affezioni del collagene. Per questo gli a. vengono usati soprattutto come antireumatici.

ANTIOSSIDANTI

Sostanze che impediscono l’ossidazione delle molecole, che avviene ad opera dei radicali liberi, e causa l’invecchiamento di organi e tessuti, oltre che la progressione dell’aterosclerosi. Di questo gruppo di sostanze fanno parte vitamine, minerali, aminoacidi essenziali. I principali a. sono: il beta-carotene (pro-vitamina A), la vitamina A (retinolo), il carotene (tra i più efficaci), le vitamine del complesso B  la vitamina C  la vitamina E  il coenzima Q10 (sostanza vitamino-simile)  alcuni minerali (il germanio, il manganese, il molibdeno, il rame, il selenio, lo zinco)  pigmenti vegetali (i flavonoidi, che agiscono sia direttamente sia coadiuvando l’azione di altri a. quali le vitamine e i minerali, e la clorofilla)  gli aminoacidi essenziali (la cisteina è l’aminoacido più attivo nei confronti dei radicali liberi). Pertanto è importantissimo seguire una dieta equilibrata, con una scelta varia di alimenti in grado di contenere quotidianamente un apporto adeguato delle vitamine sopra citate (vedi scheda ANTIOSSIDANTI).

ANTIPARKINSONIANI

Farmaci usati nel trattamento del morbo di Parkinson.La sindrome parkinsoniana può essere causata dalla riduzione dell’attività del sistema dopaminergico nigro-striatale, permettendo al sistema colinergico di prevalere.La terapia farmacologica pertanto è diretta al ripristino dell’equilibrio fra acetilcolina e dopamina. Le sostanze che possono essere usate sono anticolinergici (benzexolo, benzotropina, orfenadrina), dopaminergici (levodopa, bromocriptina, amantadina), inibitori delle COMT plasmatiche periferiche (tolcapone, entacapone). I farmaci più importanti sono i dopaminergici, ai quali vengono associati gli altri a seconda delle esigenze.La terapia a. è di complessa modulazione, richiede frequenti aggiustamenti di dosaggio, pertanto è necessaria una stretta collaborazione medico-paziente.

ANTIPERISTALSI

Onda di contrazione del tubo digerente diretta in senso contrario al normale. I movimenti peristaltici, che spingono il contenuto del tubo digerente dai suoi primi tratti verso i tratti terminali, in particolari condizioni e a seguito di determinati stimoli di natura psichica, tossica, infiammatoria, meccanica si invertono assumendo il carattere di contrazioni disordinate.

ANTIPERTENSIVI

Farmaci utilizzati nella terapia della ipertensione arteriosa, comprendenti diverse categorie di composti: i diuretici, gli alfa-bloccanti, gli alfa-agonisti centrali, i beta-bloccanti, gli ace-inibitori, gli agonisti dell angiotensina II, i calcio-antagonisti, i vasodilatatori.Nella terapia dell’ipertensione essenziale si adottano alcuni criteri generali:- negli anziani è preferibile la somministrazione di diuretici, a basse dosi, soprattutto se presenti diabete, asma e insufficienza cardiaca - nei pazienti giovani ed ansiosi si preferiscono i beta-bloccanti, ACE-inibitori o calcio-antagonosti - gli ace-inibitori sono ben tollerati da tutti i pazienti ma sono da evitare in caso di insufficienza renale - nei diabetici vanno bene calcio-antagonisti ed ACE-inibitori.Si comincia sempre con piccole dosi, da aumentare gradualmente, e si associano uno o più farmaci se necessario. Vanno sempre corrette la dieta e le abitudini di vita.Nella emergenza ipertensiva si utilizzano potenti vasodilatatori (nitroprussiato di sodio, diazossido) e diuretici (furosemide) per via endovenosa.Nella pre-eclampsia in gravidanza si utilizza un alfa-beta-bloccante (labetalolo)Gli effetti collaterali variano a seconda del prodotto, ma i più comuni sono ipotensione, cefalea e tosse (ACE-inibitori).

ANTIPIRETICI

(O febbrifughi), farmaci capaci di abbassare la temperatura corporea quando sia abnormemente elevata. La temperatura corporea è dovuta ad un equilibrio tra la produzione e la dispersione di calore. Questo equilibrio è regolato da centri nervosi situati nell’ipotalamo. L’azione degli a. si svolge a livello dell’ipotalamo nel senso che sono in grado di riportare alla norma i meccanismi di termoregolazione alterati. Gli a. non influiscono sulla produzione di calore (ad eccezione della chinina), ma determinano un abbassamento della temperatura corporea stimolando i meccanismi di termodispersione (sudorazione e vasodilatazione periferica). La terapia antipiretica è puramente sintomatica e viene attuata negli stati di notevole iperpiressia, quando l’aumento eccessivo della temperatura corporea rappresenta di per se stesso un fenomeno dannoso (ad es. nei bambini sotto i 12 anni la temperatura superiore ai 38°C può determinare convulsioni). L’uso degli a. deve comunque essere sempre accompagnato da una terapia intesa ad eliminare la causa della febbre. Hanno azione antipiretica i salicilati, l’acido acetilsalicilico, i derivati del paraaminofenolo (acetanilide, acetaminofene o paracetamolo, fenacetina), il fenilbutazone e l’ossifenbutazone, l’antipirina, l’aminofenazone, l’acido mefenamico, l’indometacina, l’acido diacetilpirocatecolicarbossilico. La maggior parte di questi farmaci è dotata inoltre di attività analgesica, in parte di tipo centrale e in parte di tipo periferico.

ANTIPSICHIATRIA

Termine che non indica una precisa teoria, ma piuttosto un atteggiamento critico nei riguardi di tutto il corpus dottrinario relativo alle malattie mentali e alla pratica clinica che ne deriva. Il nome è stato proposto per la prima volta nel 1967 da D. Cooper nel saggio Psychiatry and Anti-psychiatry (Psichiatria e antipsichiatria), ma le origini sono precedenti. Risalgono alle idee e al lavoro svolto in Inghilterra da Maxwell Jones presso la Divisione per la sindrome da sforzo a Mill Hill, negli anni 1941-44, poi nell’ospedale per ex prigionieri di guerra a Dartford e alla Divisione per la riabilitazione sociale di Belmont, negli anni 1947-59. Maxwell Jones aveva a che fare soprattutto con soldati o reduci affetti da nevrosi in seguito a stress bellici aveva cercato di non trattarli secondo la normale pratica di un ospedale psichiatrico, ma creando gruppi di discussione con la partecipazione dei pazienti alla conduzione del reparto. Qualcosa di analogo avveniva all’ospedale di Northfield: fu proprio in un articolo dedicato a questo ospedale apparso sul Bulletin of Menninger Clinic che T. F. Main usò per la prima volta, nel 1946, il termine comunità terapeutica. Fu nell’ambito di una di queste comunità (che era in effetti una unità sperimentale per giovani schizofrenici) che iniziò la propria esperienza lo psichiatra sudafricano D. Cooper. Fallito questo primo tentativo, egli si unì a R. Laing e a A. Esterson e fondò nel 1965 la Philadelphia Association, allo scopo di dar vita a nuove forme di assistenza psichiatrica. Laing appare come la maggior personalità del gruppo: si deve probabilmente a lui l’impostazione filosofica del piccolo movimento, basata sull’esistenzialismo, su J.-P. Sartre e la Critica della ragione dialettica. Ma non erano estranei anche altri apporti culturali: per esempio la tesi di Foucault (espressa nella Histoire de la folie à l’âge classique, Storia della follia nell’età classica), secondo la quale la psicologia non è altro che uno strumento di repressione. Appoggiato dalla Tavistok Foundation, il gruppo fondò una comunità terapeutica a Londra, alloggiandola in una casa chiamata Kingsley Hall, che funzionò fino al 1970. Ma rapidamente le premesse teoriche da cui erano partiti lasciarono il posto a idee più radicali. Nel 1967 il Congresso Dialettico della Liberazione, organizzato da Cooper e Laing, segnò una svolta verso una più spiccata politicizzazione, mentre il libro Psichiatria e antipsichiatria di Cooper negava esplicitamente l’esistenza della malattia mentale.La follia come processo socialeIn un rapporto pubblicato nel 1969 sul lavoro eseguito a Kingsley Hall era contenuto l’invito a cambiare il modello interpretativo, a considerare la follia non più una malattia individuale, ma un processo sociale. Ovviamente nel gruppo originario si svilupparono diverse posizioni nei diversi momenti: ma su alcuni concetti fondamentali vi è unanimità (per es. che la cosiddetta schizofrenia è pienamente comprensibile quando si usino modelli interpretativi adatti che in una società fortemente serializzata l’etichetta di schizofrenico colpisce chi non è integrato che la crisi è salutare se lasciata esplodere, mentre se viene repressa porta alla cronicizzazione del delirio che le difficoltà del “diverso” devono essere comprese e condivise da una comunità in cui il medico non ha nessun ruolo che lo ponga al di sopra degli altri). “L’a. _ scrive Maud Mannoni _ ha scelto di difendere il folle contro la società”.Posizione ben più radicale è quella assunta da T. Szasz, docente di psichiatria all’università di Syracuse, New York. Nel libro Il mito della malattia mentale (1961), non solo nega l’esistenza della “malattia”, ma sostiene che la psichiatria non è una scienza e neppure una pratica medica: è invece la disciplina che si occupa del controllo, della repressione, della rieducazione di una fascia molto ampia di comportamenti indesiderati. Anzi è la scienza della manipolazione del comportamento. Essa sottintende l’ideologia del controllo totale, un progetto di Stato terapeutico in cui gli “psicoburocrati” collaborano alla “psicopianificazione sociale integrale”.La critica all’istituzione psichiatricaLa negazione della malattia mentale ha come conseguenza il rifiuto dell’ospedale psichiatrico. Per la verità, l’inutilità terapeutica di questi immensi reclusori, che si limitano a segregare alcuni pazienti ritenuti pericolosi e a nutrire e alloggiare persone rifiutate dai parenti, è ormai riconosciuta da tutti, anche dai seguaci della psichiatria classica e delle terapie farmacologiche.
Si tratta quindi di trovare nuovi metodi. Il gruppo di psichiatri italiani che faceva capo a F. Basaglia e a G. Jervis ha seguito dapprima la linea dell’“ospedale aperto”, in cui le pratiche repressive erano abolite e veniva invece dato spazio alla vita di comunità, poi ha propugnato la soppressione dell’ospedale e la sua sostituzione con servizi di assistenza periferici, in grado di seguire l’ex ricoverato a domicilio e di aiutarlo nel reinserimento sociale. Nel gruppo italiano il problema dell’esistenza o meno della malattia mentale è rimasto in secondo piano rispetto a quello dei condizionamenti sociali che creano il malato mentale cronico. L’esame delle possibilità di recupero e di reinserimento è prevalso su quello ideologico o dottrinario.

ANTIPSICOTICI

vedi NEUROLETTICI

ANTISEPSI

Complesso delle operazioni da effettuare (soprattutto in campo chirurgico) per impedire o rallentare lo sviluppo di microrganismi patogeni che direttamente o indirettamente possono produrre infezione nell’organismo umano. L’a. chirurgica è stata in gran parte sostituita dalla asepsi mediante sterilizzazione a vapore, a partire dal 1886 per opera di E. von Bergmann. La definizione di a. è stata oggetto di discussioni tra chirurghi, che ne avevano un concetto estensivo, e igienisti, che ne hanno ristretto il significato in modo da distinguerla dalla disinfezione. L’attuale concetto medico è largo e comprende sia l’azione sui germi, sia l’azione associata alle difese organiche, finalizzate entrambe ad impedire che nell’organismo umano i microorganismi raggiungano cariche tali da non poter essere più distrutti dalle difese naturali.

ANTISETTICI

Sostanze capaci di uccidere i microrganismi o di bloccarne lo sviluppo. Sono in genere veleni del protoplasma delle cellule, sono cioè tossici per tutte le cellule viventi. Mancano di azione specifica verso certi tipi di germi e pertanto agiscono sia sugli agenti patogeni sia sulle cellule degli organismi infettati. Per questo si impiegano per uso esterno o anche per via orale, purché non vengano assorbiti. Il loro meccanismo di azione è vario passando dalla interferenza nei sistemi enzimatici vitali alla inibizione competitiva delle sintesi proteiche o all’alterazione strutturale del protoplasma delle cellule o anche alla modificazione della permeabilità delle membrane cellulari. Si è molto discusso sulla differenza tra a. e disinfettanti. Nella pratica i termini vengono comunemente usati come sinonimi. Tuttavia il disinfettante, secondo alcuni, sarebbe un agente battericida, mentre l’antisettico sarebbe soltanto batteriostatico. Per alcuni gli a. sarebbero quelli impiegati per uso esterno sull’organismo, mentre i disinfettanti sarebbero quelli che si impiegano su oggetti inanimati (ferri chirurgici ecc.).Gli a. si classificano in:- Alcoli. Soluzioni acquose al 70% di Alcol etilico e isopropilico sono usate esclusivamente per la disinfezione della cute prima delle iniezioni e per la disinfezione delle mani.- Aldeidi. L’aldeide formica viene impiegata per la disinfezione degli strumenti chirurgici e per la disinfezione degli ambienti. Antisettico attivo delle vie urinarie è l’aldeide formica che si libera nelle urine acide dopo somministrazione di esametilentetramina.- Ossidanti. Soluzioni diluite di perossido di idrogeno (acqua ossigenata) sono usate per detergere piaghe e ferite per l’azione esercitata dall’ossigeno nascente che si libera dal contatto della soluzione con i tessuti. Soluzioni acquose di perossido di idrogeno vengono usate per gargarismi e sciacqui del cavo orale. Soluzioni acquose di permanganato di potassio sono usate nella disinfezione della cute lesa (soluzioni molto diluite per irrigazioni vaginali e uretrali).- Alogeni e loro composti. L’acido ipocloroso che si ottiene sciogliendo cloro in acqua ha forte azione antibatterica. Opportune diluizioni trovano impiego per la disinfezione dell’acqua potabile e per le piscine. Soluzioni al 5% di ipoclorito di sodio vengono usate per disinfettare gli oggetti (posate, stoviglie ecc.) usati da individui affetti da malattie contagiose. Soluzioni diluite sono usate per la disinfezione delle ferite.- Iodio. Lo iodio sciolto in acqua in piccolissime quantità (1 goccia/l) è un potente disinfettante della medesima. La tintura di iodio trova il suo migliore impiego, diluita, nella preparazione del campo operatorio. Non è invece da usarsi in caso di lesioni della cute per l’effetto irritante esercitato sui tessuti lesi.- Composti del mercurio. Vengono usati per la disinfezione di pavimenti, pareti, biancheria.- Composti mercurorganici. Il nitromersolo viene usato per la disinfezione di piccole ferite e per la disinfezione della cute prima degli interventi operatori. Il nitrato di fenilmercurio è impiegato come antisettico cutaneo (infezioni superficiali della pelle), per ferite esposte e lavaggi di mucose.- Argento. Soluzioni di nitrato d’argento all’1% vengono instillate nel sacco congiuntivale del neonato nella profilassi della congiuntivite blenorragica. Soluzioni acquose allo 0,5% sono usate nel trattamento delle ustioni. Il nitrato d’argento solido è usato come caustico. Preparati colloidali d’argento sono usati come a. delle mucose.- Composti fenolici. Il fenolo è usato nella disinfezione degli oggetti e di materiali organici (feci ed escreato). L’esaclorofene viene usato in saponi, lozioni, creme ed altre preparazioni per uso topico per realizzare una discreta antisepsi cutanea e come coadiuvante nelle infezioni da germi piogeni. In forma d’emulsione, ad opportune concentrazioni, è utilizzato nella disinfezione chirurgica.- Agenti tensioattivi. I tensioattivi cationici agiscono come a. nei confronti di germi gram-positivi e gram-negativi probabilmente con un meccanismo di danneggiamento a livello della membrana cellulare. Vengono usati nella disinfezione di strumenti chirurgici, nella disinfezione della pelle e delle mucose (benzalconio cloruro, benzetonio cloridrato, cloruro di cetilpiridinio). Il metilbenzetonio cloruro è usato nel trattamento di biancheria intima per prevenire dermatiti da perdite di urine.- Coloranti. Attività antisettica è esercitata da diversi coloranti organici di sintesi. Fra questi il blu di metilene è stato largamente usato all’interno come antisettico delle vie urinarie e all’esterno nel trattamento di scottature e lesioni e in alcune affezioni cutanee. Fra i derivati acridinici, l’acriflavina è usata all’interno e localmente (lavaggi uretrali) nell’infezione blenorragica.- Derivati del furano.
Fra i derivati del furano, la nitrofurantoina viene somministrata oralmente come antisettico delle vie urinarie (pielonefriti, pieliti e cistiti). Il nitrofurazone viene impiegato nella cura di ferite e piaghe contaminate e in alcune infezioni della pelle (impetigine).Il furazolidone, somministrato oralmente, agisce come antisettico intestinale come topico (vaginale) è usato nelle infezioni da Trichomonas.

ANTISPASTICI

vedi SPASMOLITICI

ANTISTAMINICI

Farmaci capaci di inibire gli effetti farmacologici dell’istamina mediante il blocco selettivo e reversibile dei suoi recettori.L’antagonismo tra a. e istamina è di tipo competitivo. Trovano impiego terapeutico nelle condizioni in cui si abbia una eccessiva liberazione di istamina essi non interferiscono tuttavia con la sintesi o la liberazione di questa nei tessuti, ma impediscono semplicemente gli effetti della istamina liberata. Sono perciò farmaci prevalentemente sintomatici. Sono usati, da soli o in associazione con altri farmaci, in alcune malattie allergiche (rinite allergica, orticaria, dermatiti da contatto). Di scarsa efficacia sono nelle forme allergiche più gravi (asma bronchiale, shock anafilattico, edema laringeo) in cui si suppone l’intervento di altri fattori oltre alla liberazione di istamina. Non tutti gli effetti della istamina sono ugualmente sensibili agli a. Molto sensibili sono gli effetti cutanei, gli effetti sulla muscolatura liscia gastrointestinale e bronchiale e gli effetti vascolari, mentre meno sensibili sono gli effetti sulle secrezioni (per es. secrezione gastrica). Alcuni, per la loro spiccata azione sul sistema nervoso centrale, sono usati nei disturbi dell’equilibrio e nelle sindromi da movimento (mal di aria, mal di mare) e nel morbo di Parkinson.Hanno azione antistaminica molte sostanze di costituzione chimica diversa tra cui l’antazolina, la pirilamina, la tripelennamina, la difenidramina, la feniramina, la clorfeniramina, la ciclizina, la meclizina, la prometazina, la ciproeptadina. Gli a. vengono rapidamente assorbiti da tutte le vie di somministrazione e vengono eliminati con le urine. La loro azione è in genere di breve durata (4-6 ore).Gli a. possono indurre sonnolenza (più comune), vertigini, affaticabilità, incoordinazione motoria, irritabilità, insonnia, tremori, inappetenza, nausea, vomito, stipsi o diarrea, secchezza delle mucose, disuria, ronzii auricolari. Gli a. sono poco tossici e il loro impiego terapeutico presenta un buon margine di sicurezza.L’avvelenamento acuto è raro e si manifesta con sintomi di eccitazione a carico del sistema nervoso centrale (allucinazioni, incoordinazione motoria, convulsioni) o con fasi alternate di eccitazione e di inibizione fino al coma.Durante la terapia occorre evitare l’uso di sostanze ad azione deprimente sul sistema nervoso centrale (bevande alcooliche, barbiturici ecc.).

ANTITIROIDEI

Sostanze in grado di inibire la secrezione di ormoni della tiroide e, pertanto, adatte nella terapia dei casi di iperfunzione della ghiandola.Sono indicati nel morbo di Flaiani-Basedow, nell’ipertiroidismo in genere e nelle tireotossicosi. In queste forme, dopo un periodo di latenza (tempo necessario per l’esaurimento delle scorte di ormone immagazzinate dalla tiroide), si manifesta il miglioramento caratterizzato da diminuzioni del metabolismo basale, da aumento di peso e scomparsa dei sintomi psichici (eretismo, irrequietezza, senso di angoscia, tremori, ipercinesi).Gli a. vanno somministrati sotto assidua vigilanza medica, con frequente controllo del metabolismo basale e con frequenti esami del sangue, potendosi verificare una forte diminuizione dei granulociti che può arrivare a vera agranulocitosi. Molto frequenti sono pure le manifestazioni cutanee sia lievi (prurito, eritema, orticaria) che gravi (porpora, dermatite esfoliativa).Nelle somministrazioni prolungate può comparire ipotiroidismo che, di regola, regredisce sospendendo la cura. Un tempo erano usate per la terapia dell’ipertiroidismo piccole dosi di iodio. Attualmente si preferiscono derivati sintetici ad azione specifica quali il propiltiouracile, l’isobutiacile, il metimazolo e un derivato di quest’ultimo, il carbimazolo. È stato anche fatto ricorso allo iodio radioattivo in una unica somministrazione di 100-250 µCi (microcurie), per sfruttare i raggi beta capaci di influenzare negativamente la funzionalità tiroidea. Questo trattamento si è però rivelato pericoloso perché implica la possibilità di cancerizzazione della tiroide e perciò viene prevalentemente impiegato a scopo diagnostico, cioè per verificare le capacità di fissazione ed eliminazione dello iodio da parte della tiroide.

ANTITOSSINA

Anticorpo specifico prodotto dall’organismo in seguito all’introduzione di una tossina.Le antitossine si ritengono associate alla frazione gamma-globulinica del siero e si distinguono dagli altri anticorpi solo per il fatto di neutralizzare in modo specifico le tossine. Tuttavia gli antigeni di alcuni germi gram-negativi non vengono neutralizzati dalle antitossine prodotte in seguito alla loro introduzione. In commercio esistono molti sieri contenenti a. I più noti sono: antidifterico, antibotulinico polivalente, anticarbonchioso, antidissenterico, anti-cancrena gassosa, antiofidico, antistafilococcico, antistreptococcico, antitetanico.

ANTITROMBINA

Fattore anticoagulante presente nel sangue, che tende a rallentare la reazione tra trombina e fibrinogeno nella produzione di fibrina. La sua azione è potenziata dall’eparina.Carenza di antitrombina L’antitrombina III si lega alle proteine della coagulazione attivate e ne blocca l’attività biologica. Il valore nel plasma è compreso tra 70 e 140 mg/100ml (dall’80 al 120%) e valori inferiori espongono al rischio di trombosi. Il difetto più comune è la carenza lieve (eterozigosi) che colpisce un soggetto ogni 2000. Quando venga riscontrata questa anomalia in un soggetto è corretto studiare tutti i componenti familiari, vista l’ereditarietà di queste condizioni.

ANTITUBERCOLARI

Farmaci, chemioterapici e antibiotici, dotati di azione specifica su mycobacterium tuberculosis (o bacillo di Koch). I micobatteri tubercolari, a causa della loro struttura particolare (rivestimento cereo), rendono difficoltosa la penetrazione dei farmaci inoltre si riproducono lentamente, mentre è noto che i chemioterapici agiscono più attivamente durante la fase di rapida moltiplicazione dei germi la loro presenza, infine, provoca nei tessuti reazioni tendenti a formare una sorta di vallo difficilmente oltrepassabile dai farmaci. Ne consegue che le forme più facilmente aggredibili dagli a. sono quelle acute o quelle iniziali a carattere essudativo.Il trattamento della malattia tubercolare si fa solitamente associando i diversi chemioterapici o alternandoli in cicli successivi per ridurre l’insorgenza delle singole chemioresistenze. Gli antibiotici di prima scelta sono: isoniazide, rifampicina, pirazinamide, etambutolo, streptomicina e diidrostreptomicina. L’isoniazide ha la particolarità di legarsi alla vitamina B6, importante per il trofismo dei nervi, pertanto è utile somministrare un complemento di questa vitamina se sono necessari alti dosaggi del farmaco (prevenzione delle neuropatie periferiche). In gravidanza si possono usare con tranquillità isoniazide, rifampicina ed etambutolo.

ANTITUSSIVI

vedi BECHICI

ANTIVIRALI

Farmaci attivi contro i virus, che interferiscono con i processi di sintesi di DNA, RNA e proteine virali. Possono essere somministrati per via locale, enterale o parenterale a seconda delle esigenze. Si suddividono in categorie a seconda del bersaglio dell’azione antivirale:- Analoghi di purine e pirimidine, che agiscono come antimetaboliti e bloccano la sintesi di DNA virale in modo diretto, o tramite il blocco dell’enzima virale DNA polimerasi o della trascrittasi inversa comprendono acyclovir e valaciclovir (Herpes simplex e varicella-zoster), ganciclovir (citomegalovirus), ribavirina (influenza A, virus respiratorio sinciziale), AZT (HIV). Gli effetti collaterali sono importanti per il ganciclovir e AZT (depressione midollare, nefrotossicità, convulsioni).- Inibitori di proteasi, che agiscono inibendo un enzima fondamentale per la replicazione virale comprendono saquinavir, ritonavir, indinavir (HIV). Gli effetti collaterali sono diabete, iperglicemia, epatotossicità.- Amantadina, rimantadina, che impediscono la penetrazione virale nelle cellule bersaglio (influenza e rosolia). Gli effetti collaterali sono insonnia, atassia, vertigini.- Foscarnet, inibitore della DNA polimerasi e della trascrittasi inversa (Citomegalovirus).- Interferone,altera la sintesi proteica virale (HBV, herpes). Ha come effetto collaterale la sindrome simil-influenzale.Gli effetti collaterali degli a. sono dovuti principalmente al fatto che gli stessi inibiscono la sintesi di DNA, RNA e proteine anche in una certa quota di cellule dell’organismo, pertanto la ricerca medica si sta muovendo per mettere a punto molecole che siano virus-specifiche ed auspicabilmente meno tossiche per le cellule sane.

ANTRACE

(O carbonchio), malattia infettiva causata da un batterio, Bacillus anthracis, appartenente alla famiglia delle Bacillacee. Può colpire sia gli animali (ovini, bovini, equini, caprini e talvolta suini) sia l’uomo, provocando una sintomatologia complessa e variabile, che si distingue in varie forme. Si trasmette tramite spore, che sono resistenti ai disinfettanti ed al calore e possono resistere nel suolo e nei prodotti animali per diversi anni.

Sintomi
Nell’uomo la forma più frequente è la cutanea, nota anche come pustola maligna, che si manifesta con arrossamento iniziale, edema, formazione di vescicole dal contenuto siero-ematico dopo la loro apertura si forma un’escara nerastra, circondata da una zona di infiammazione. La lesione è indolore, talvolta la accompagnano febbre, malessere. La escara cade verso il 20° giorno dalla presentazione iniziale, lasciando un cicatrice. Esistono forme polmonari, da inalazione del bacillo dell’a. che determina rapidamente un quadro di grave insufficienza respiratoria, quasi sempre letale (complicanze settiche e meningite). La rara forma intestinale, determina febbre, diarrea profusa, ematemesi ed enterorragia è possibile la perforazione intestinale, con esito infausto.La forma setticemica si verifica nel 5% dei pazienti, specialmente dopo una forma intestinale o polmonare, e l’infezione è disseminata a tutti gli organi, lo stato generale è compromesso si riscontrano emorragie, vomito sanguigno, diarrea, convulsioni, ipotermia. La morte, preceduta da collasso, segue in pochi giorni.

Diagnosi
Si basa sul reperto batteriologico.

Terapia
Antibiotica a base di penicillina, cloramfenicolo, tetracicline. Anche se poco diffusa, poiché la malattia è trasmessa da animali (antropozoonosi), particolare importanza hanno le misure profilattiche per le persone che vengono a contatto con bovini. L’immunita è permanente. Esiste un vaccino specifico per le categorie professionali a rischio. Non è necessario l’isolamento dei malati (vedi scheda ANTRACE).

ANTRACOSI

Condizione patologica caratterizzata da colorazione nerastra di un tessuto, per deposizione di particelle di carbone. È la malattia del parenchima polmonare causata dall’inalazione della polvere presente nelle miniere di carbone. Spesso si associa a silicosi (antracosilicosi)Si osserva a livello dei polmoni, nei quali questo materiale estraneo perviene con l’aria inspirata. Le particelle di carbone, raggiunto il tessuto polmonare, si comportano come un materiale inerte, che si accumula progressivamente negli interstizi e, trasportato dalla corrente linfatica e sanguigna, può depositarsi anche nei linfonodi o in organi più lontani quali la milza.

Cause
La malattia è causata dalla deposizione delle particelle di carbone nelle via aeree. Questo determina l’innescarsi di una risposta infiammatoria caratterizzata dall’accumulo di globuli bianchi che circondano i bronchioli. La continua esposizione al carbone rende cronico il processo infiammatorio, provocando una sempre più grave distruzione del tessuto polmonare fino a renderlo fibrotico.

Sintomi
I minatori esposti alla polvere possono presentare tosse produttiva, e difficoltà respiratoria che peggiora parallelamente al progredire della fibrosi.

Diagnosi
La malattia viene diagnosticata in base al dato anamnestico d’esposizione alla polvere, alla radiografia del torace e alle prove di funzionalità respiratoria che mettono in evidenza come il polmone non sia più elastico.

Terapia
Non esiste una terapia efficace.

ANTROPOLOGIA

Letteralmente “scienza dell’uomo”, oggi intesa in senso specializzato come l’insieme di quelle scienze che hanno per oggetto l’uomo come entità biologica. Esse quindi ne studiano le caratteristiche fisiche, biochimiche e fisiologiche (a. fisica o biologica) gli atteggiamenti di comportamento quale animale che vive in gruppo (a. sociale o sociologica) i tipi di struttura di gruppo che adotta (a. culturale) le reazioni attive al mondo esterno sotto forma di costruzione di strumenti, ideazione di meccanismi difensivi e rappresentazione artistica della propria visione del mondo (etnologia) le tracce di una evoluzione fisica e culturale nel tempo (paleoantropologia e paletnologia) nei termini prospettici in cui uno zoologo studia una specie animale.L’antropologo si pone di fronte al problema uomo come un descrittore, un classificatore, un interprete ecologo, e il suo scopo più tecnicamente importante è di riuscire a spogliarsi, in quanto ricercatore, della sua natura di uomo fra uomini, per erigere fra se stesso (soggetto) e l’uomo o gli uomini da studiare (oggetto della ricerca) una serie di barriere strumentali che garantiscono l’obiettività. Esulano quindi dalla ricerca antropologica pura tutte le ricerche utilitaristiche sull’uomo, al servizio cioè dell’uomo in quanto tale, come l’anatomia, la farmacologia, le scienze mediche in generale. Inoltre non rientrano in questo ambito tutte le ricerche che hanno per oggetto non i meccanismi di pensiero dell’uomo, ma i prodotti di tale attività di pensiero, come la filosofia, la letteratura ecc. Meno chiari sono invece i limiti che separano l’a. culturale e l’a. sociale dalla sociologia e dalle scienze archeologiche.Un posto a sé, in quanto scienza utilitaristica, e perciò non avente diritto di trovar posto fra le scienze antropologiche in senso stretto, occupa la a. criminale quando studia la possibilità di individuare la correlazione tra caratteristiche somatiche e tratti della personalità dei singoli uomini invece là dove si occupa dei limiti fra comportamento normale e comportamento criminale, proprio perché deve definire in modo oggettivo i limiti di un determinato “spazio” sociale, essa confina sia con l’a. culturale e con la psicologia che con la psichiatria. Del resto, le osservazioni sul comportamento, introdotte anche nel campo della ricerca antropologica, rendono sempre più indefiniti anche i limiti fra a. biologica o fisica e a. culturale. Esse pongono infatti con sempre maggiore insistenza e drammaticità il problema del punto in cui un determinato modo di comportarsi è nell’uomo prodotto esclusivamente dalle sue ereditate caratteristiche biologiche o diventa espressione del suo tipo di inserimento in una determinata struttura sociale o è una reazione, o solo fisiologica, o addirittura patologica, a determinate sollecitazioni da parte della società, che in definitiva non è poi altro che l’“ambiente” dell’uomo.Storia dell’antropologiaL’a. come scienza nasce dai tentativi di sintesi di G. L. Buffon e di C. Linneo, intorno alla metà del XVIII sec. Per il primo, la razza originaria sarebbe stata quella bianca e le altre, discendendo da essa, avrebbero rappresentato una sorta di progressiva degenerazione, sotto la spinta anche di fattori ambientali. Per il secondo, quattro erano i ceppi fondamentali: uomo bianco, nero, giallo e rosso, ognuno dei quali caratterizzato da precisi tratti morfologici e da peculiari elementi psichici.In seguito, lo studio della craniologia, avviato da J. F. Blumenbach (1775), l’impiego di misure standard, dette indici, per determinare il variare delle proporzioni del volto e del corpo, nonché le polemiche intorno al monogenismo o al poligenismo dell’umanità (rispettivamente derivazione delle diverse razze umane da un unico antenato o da più ceppi originari), scaturite dalle ipotesi darwiniane, ancora oggi ben lungi dall’essere concluse, determinarono la nascita delle prime scuole antropologiche e connesse specializzazioni sulla sistematica e le origini dell’uomo. Nel 1832 è fondata la prima cattedra presso il Musée d’Histoire Naturelle, occupata nel 1855 da J.L. De Quatrefages, uno dei più autorevoli sostenitori del monogenismo. Esponente del metodo antropometrico è P. Broca. Dalla fine del secolo scorso, l’a. si è dedicata allo studio delle razze con metodo antropometrico, costituendo quella che oggi è chiamata a. biologica o a. fisica da essa si sono distinte, in tempi diversi, l’a. sociale (Ammon, 1892), l’a. culturale (F. Boas, 1890), l’a. strutturale, di recente istituzione (C. Lévi-Strauss, 1958), la a. criminale (C. Lombroso, 1876). Nel Novecento, si sono delineate anche rinnovate prospettive di sintesi. In quest’ultimo campo appaiono oggi basilari gli studi di R. Martin, E. von Eickstedt e R. Biasutti. Importanti, altresì, le opere e le ricerche di J. Pivetau e C. S. Coon nella paleoantropologia, di T. Dobzhansky nella genetica delle razze, di R. Kherumian nella fisiologia razziale e di O. Hill e G. Herberer nella sistematica dei primati e nello studio dei processi di ominizzazione.

La scuola italiana, in particolare, ha dato ragguardevoli contributi con G. e S. Sergi E. Morselli e V. Giuffrida-Ruggeri A. Mochi e R. Battaglia N. Puccioni e R. Biasutti, già menzionato.

ANTROPOLOGIA CRIMINALE

Disciplina che ha come oggetto di studio l’individuo criminale nelle sue caratteristiche biologiche e psicologiche e si pone come intento di trarre regole generali per l’interpretazione di ogni fenomeno criminoso. Utilizza nozioni di anatomia, anatomia comparata, fisiologia, psicologia, psicopatologia, etnologia, demografia, statistica e sociologia. L’a. criminale sorse come disciplina ben configurata nella seconda metà del XIX sec., ad opera di autori italiani, particolarmente di C. Lombroso. Questi, nella sua opera (L’uomo delinquente, 1876), considera “anomale” le manifestazioni del comportamento del delinquente in quanto legate ad “anomalie strutturali” di tipo degenerativo, che si trasmettono con il meccanismo ereditario. Queste anomalie di struttura sarebbero legate essenzialmente a processi morbosi come la sifilide e l’epilessia. In sostanza, per Lombroso, l’uomo delinquente è tale perché nasce delinquente (determinismo biologico o endogeno), ereditando, cioè, un determinato terreno biopsicologico degenerativo, che condiziona il suo comportamento anomalo. Insieme a queste strutture anomale, però, verrebbero ereditate anche anomalie somatiche, che sono prese come punti di riferimento di frequente riscontro nel tipo criminale: il rapporto tra l’apertura delle braccia e l’altezza del soggetto a favore della prima  spiccata ipertricosi  presenza di numerosi solchi e rughe sulla cute del viso  sporgenza della mandibola al di fuori, con alterazione della fisionomia  mancanza del dente del giudizio  presenza pronunciata del tubercolo di Darwin nel padiglione auricolare. La teoria di Lombroso venne, tuttavia, presto modificata ad opera di E. Ferri che prese in maggiore considerazione i fattori esterni all’individuo, vale a dire l’ambiente. È la corrente del determinismo sociologico o esogeno, secondo cui, pur esistendo una “particolare predisposizione individuale” all’azione criminosa, questa può non verificarsi se non si realizzano condizioni favorevoli nell’ambiente esterno. I criminali, pertanto, venivano distinti in tre grandi categorie: i criminali nati, che mostrano una speciale inclinazione all’azione criminosa per una sorta quasi di congenita tendenza  i criminali abituali, che manifestano una abituale tendenza all’azione criminosa, soprattutto per influenza favorevole dell’ambiente  i criminali occasionali, per i quali l’azione criminosa è solo un episodio saltuario ed occasionale nella loro vita. Le suddette teorie negano, però, la libertà dell’uomo intesa come libero autodeterminarsi in vista di uno scopo, in quanto in un caso la “condotta criminale” è già determinata da condizioni biologiche ereditate, nell’altro, pur essendo già determinata, è latente e potenzialmente attiva, finché non si verifichino le condizioni ambientali necessarie a scatenarla. Le teorie dell’a. criminale incontrarono in Italia opposizioni irriducibili, oltre che da parte dei cattolici riguardo al problema del libero arbitrio, da parte degli idealisti (G. Gentile) nell’ambito della loro reazione contro il positivismo in genere. Va tuttavia osservato che all’orientamento antropologico criminale e a quello idealistico era estranea una concezione dialettica della personalità umana.L’a. criminale ha subíto una svolta in senso prevalentemente psicologico e psicodinamico, che tiene in maggior conto l’influenza della costituzione organica e della situazione ambientale. Per S. Freud la molla scatenante a commettere l’azione delittuosa sarebbe un “senso di colpa” alla base di una nevrosi nel delinquente, che lo spingerebbe a compiere l’azione delittuosa, affinché possa soggiacere alla pena stabilita dalla legge  in ultima analisi, affinché, punito, possa espiare la “colpa”.Per A. Adler è piuttosto una sorta di complesso di inferiorità, che spinge il soggetto a commettere azioni criminose. Per altri autori si delinea, invece, una interpretazione marcatamente più evoluta, sempre però seguendo un indirizzo psicologico. Prendendo come punto di riferimento l’uomo come unità psicosomatica in relazione a un ambiente, ne deriva che uno studio esauriente e completo deve tener conto della costituzione sia organica sia psichica.

ANTROPOMETRIA

Branca dell’antropologia che studia statisticamente i caratteri fisici umani siano essi misurabili (come il peso, la statura, le dimensioni della testa, la frequenza del respiro) o classificabili (come il colore degli occhi, la forma dei capelli, le proprietà biochimiche del sangue) per conoscere le intensità, le modalità, i rapporti e le cause da cui questi caratteri dipendono.L’a. moderna si avvale anche di rilevamenti su fotografie, su lastre radiografiche e su proiezioni valuta inoltre i caratteri compositi (profilo del naso, forma delle labbra) mediante la costruzione e l’uso delle scale antropometriche, rappresentate da serie di figure in cui gradualmente si modificano i vari caratteri che entrano in gioco nel determinare, per esempio, il profilo del naso o la forma delle labbra. Questi metodi valgono tanto per lo studio dei fossili come per l’analisi delle specie umane viventi.

ANTROPOSOFICA, medicina

Disciplina che si fonda sulle concezioni di Rudolf Steiner (1861-1925), filosofo e scienziato austriaco, fondatore dell’antroposofia (dal greco àntropos = uomo e sofìa = scienza, conoscenza), i cui interessi si rivolsero ai campi di conoscenza più svariati. L’antroposofia non considera l’uomo come semplice manifestazione di processi fisico-chimici e psicologici, bensì in un’ottica più ampia che lo vede microcosmo nel macrocosmo. Nell’antroposofia, la razionalità scientifica e l’intuizione mistico-artistica si fondono in un’unico procedimento conoscitivo.Gli originali metodi di indagine “scientifico-spirituali” di Steiner si collegano agli insegnamenti propri delle più antiche scuole di pensiero occidentali e orientali.La teoria dei quattro corpiL’antroposofia afferma che ogni organismo vivente non è unicamente regolato dalle leggi della fisica e della chimica, bensì anche da leggi spirituali che governano natura e universo. L’essere umano, che è in relazione con la natura e il cosmo, presenta quattro aspetti costitutivi:- corpo fisico o materiale, in relazione al regno minerale - corpo eterico o vitale, in relazione al regno vegetale - corpo astrale, che rappresenta la sfera dei sentimenti e delle emozioni, in relazione al regno animale - corpo spirituale o “io”, che caratterizza l’originalità di ogni uomo.Questi quattro aspetti costitutivi dell’uomo non sono da considerarsi separati l’uno dall’altro ma compenetrati e interagenti. Esiste, tuttavia, un legame particolare, da un lato, tra corpo fisico e corpo eterico (organismi inferiori) e, dall’altro, tra corpo astrale e IO (organismi superiori).Le conoscenze antroposofiche individuano nell’uomo l’azione delle forze cosmiche dei pianeti e degli astri. Le fasi dell’evoluzione terrestre, la nascita del sistema solare, la formazione dei pianeti e dei metalli si riflettono nei processi di sviluppo del corpo e della psiche, dalla vita intrauterina alla senilità. Per l’antroposofia esiste una precisa relazione tra i pianeti, i metalli e gli organi. A seconda di quale organo o funzione si voglia equilibrare, si potrà fare uso, per esempio, dei diversi metalli o di diluizioni omeopatiche opportune.La teoria delle tre polaritàLa teoria delle tre polarità esprime il concetto di salute e malattia che sta alla base della medicina a. Ai quattro aspetti considerati (corpo fisico, eterico, astrale e IO), Steiner affianca tre sistemi interdipendenti: il polo neurosensoriale, il sistema metabolico e il sistema ritmico. Per gli antroposofi la salute è una condizione instabile, il risultato di un equilibrio tra questi tre sistemi.Problemi infiammatori e degenerativiPartendo da questi presupposti, i medici antroposofici tendono a dividere le malattie in due grandi gruppi: le malattie infiammatorie e quelle degenerative.Mentre le tendenze del polo metabolico sono rigenerative e proliferative (infiammazione), quelle del polo neurosensoriale sono distruttive e degenerative (sclerosi). In molti casi, secondo l’a., la malattia può essere vista come il prevalere di uno dei due sistemi sull’altro. Mentre nell’infanzia prevalgono le forze vitali di costruzione e facilmente si manifestano processi infiammatori, con il progredire dell’età prendono il sopravvento le forze distruttrici che si accompagnano ai processi di invecchiamento.La vita passata e quella futuraIl pensiero steineriano trae dalle conoscenze filosofiche orientali il concetto della reincarnazione. In ciascuna malattia si possono ricercare cause che oltrepassano l’esistenza attuale e trovano radici nelle vite precedenti o nella preparazione a una vita successiva.La visita del terapeutaIl terapeuta antroposofico, partendo dalle conoscenze scientifiche correnti, affronta la malattia collocando i sintomi fisici e le caratteristiche psichiche in un’ampia visione del processo del divenire personale.I rimediSe, da un lato, la medicina antroposofica si serve quando necessario degli approcci diagnostici e terapeutici propri della medicina classica, dall’altro propone opportunità di cura alternative. La conoscenza particolare dell’organizzazione umana e dei regni naturali costituisce per il terapeuta antroposofico la base per l’elaborazione di una vasta gamma di preparazioni alchemico-farmaceutiche.Se le tecniche di diluizione e dinamizzazione si possono accomunare a quelle dell’omeopatia classica, i rimedi antroposofici vengono tuttavia preparati seguendo ritmi e modalità peculiari e ponendo inoltre attenzione alle analogie esistenti tra il corpo umano e i vari regni della natura.L’alimentazione del bambinoLe fasi di sviluppo del bambino necessitano di sostanze nutritive differenti.
Per la medicina a. l’alimentazione è fondamentale perché la qualità e la composizione del cibo contribuiscono alla formazione spirituale, oltre che a quella fisica. A seconda del tipo di costituzione e del carattere, sono indicati alimenti diversi: la dieta assumerà quindi valore terapeutico.

ANTROPOZOONOSI

Termine generico con cui si indicano tutte le malattie infettive proprie di determinate specie di animali, che da queste si possono trasmettere all’uomo. Ne sono tipici esempi la brucellosi, che può essere di origine bovina, ovina o suina, la rabbia, che può derivare dai canidi o dai felidi, la psittacosi e l’ornitosi, che possono derivare dai pappagalli o da altri uccelli, le leptospirosi, che derivano dai roditori, come ratti o topi, la peste murina, l’antrace (v.). In alcuni casi la trasmissione avviene per contatto diretto tra l’uomo e l’animale o suoi escreti o secreti in altri casi invece essa dipende dall’intervento, facoltativo o obbligatorio, di un agente trasmettitore intermedio, spesso rappresentato da un insetto parassita comune dell’animale e dell’uomo (per es. pulci, pidocchi).

ANURIA

Cessazione completa dell’eliminazione di urine. Può essere determinata da cause pre-renali, renali o post-renali.Le cause pre-renali sono tutte quelle che determinano un minor afflusso di sangue ai reni, che si può verificare in caso di grave ipotensione arteriosa (shock), grave riduzione dei volumi ematici (emorragie, vomito e diarrea profusi, insufficiente apporto di liquidi, ustioni, ecc.). Le cause renali sono determinate da un grave insulto rivolto direttamente all’organo, come la necrosi, l’effetto tossico di certi farmaci, l’ischemia prolungata nel tempo.Le cause post-renali, infine, sono delle evenienze in cui un danno dei segmenti a valle del rene si ripercuote in un secondo momento sul rene stesso, come si verifica in caso di ostruzione prolungata delle vie urinarie (calcoli, masse occupanti spazio), traumi, stenosi primitive o secondarie ad esiti cicatriziali, ecc.La mancata eliminazione delle urine comporta la ritenzione nel sangue di scorie metaboliche tossiche che determinano, dopo pochi giorni, la comparsa di una grave sintomatologia, simile a quella che si osserva nell’uremia, stadio terminale di molte malattie renali croniche: aumento dell’azotemia nausea, debolezza, edemi, apatia, sonnolenza agitazione, disturbi del respiro e del ritmo cardiaco gravi alterazioni dell’equilibrio idrico-salino, che possono portare al coma e alla morte.

Terapia
Varia in rapporto alla causa in gioco e potrà richiedere anche la dialisi mediante rene artificiale.

AO - AR
AORTA

Nome dell’arteria più importante dell’organismo. Origina dal cuore, precisamente dal ventricolo sinistro, si dirige prima in alto a destra e poi a sinistra, formando un arco (arco aortico) per portarsi infine indietro e verso il basso dapprima contenuta nel torace l’a. attraversa poi il diaframma e discende verticalmente nell’addome davanti alla colonna vertebrale. Giunta a livello della quarta vertebra lombare si divide dando origine a due voluminosi rami laterali (arterie iliache comuni) e a un ramo piccolo mediano (arteria sacrale media).Questa struttura vascolare raggiunge tale assetto definitivo dopo complesse modificazioni che avvengono durante la vita embrionale, quando si abbozza e si sviluppa il cuore con il sistema dei vasi a esso collegati. Inizialmente dal vaso arterioso che nasce dall’abbozzo cardiaco (a. ventrale) origina da ciascun lato una serie di sei arcate vascolari (archi aortici) che decorrono ai lati della faringe primitiva e confluiscono in due vasi posteriori (aorte dorsali) questi decorrono verso la parte caudale dell’embrione e si riuniscono poi in un unico vaso. Da questo sistema di vasi arteriosi principali si dipartono ramificazioni dirette a tutto il corpo.Dall’a. originano tutte le altre arterie del corpo. Distinguiamo le seguenti porzioni:- aorta ascendente. Fa seguito all’orifizio arterioso del ventricolo sinistro e presenta all’origine una dilatazione denominata bulbo aortico, determinata da tre piccoli rigonfiamenti, i seni aortici di Valsala (ciascuno corrispondente ad uno dei tre lembi della valvola semilunare. Da questo tratto originano le due coronarie destra e sinistra, destinate a irrorare il muscolo cardiaco - arco aortico. Dall’arco originano tre grossi tronchi arteriosi, l’arteria anonima (o tronco brachiocefalico), la carotide comune sinistra e la succlavia sinistra, che si distribuiscono al collo, alla testa e agli arti superiori - aorta toracica e addominale. Dalla porzione discendente toracica e addominale nascono sia rami destinati alle pareti del torace e dell’addome (arterie intercostali, diaframmatiche, lombari) sia rami destinati ai visceri contenuti in queste cavità (arterie esofagee, bronchiali, renali, surrenali, spermatiche od ovariche, mesenterica superiore, mesenterica inferiore, e il tronco celiaco) al davanti della quarta vertebra lombare si divide nelle le due arterie iliache comuni, che suddividendosi a loro volta, si distribuiscono agli arti inferiori e ai visceri contenuti nel bacino ramo terminale dell’aorta è l’arteria sacrale mediana.Il calibro dell’a. non è uniforme: all’inizio presenta una dilatazione (bulbo aortico) esso varia inoltre in rapporto alla costituzione dell’individuo e con l’età: nei soggetti anziani tende a dilatarsi. Anche a livello dell’arco presenta un tratto ristretto detto istmo ed uno dilatato detto fuso aortico. La parete aortica è costituita in prevalenza da lamine di tessuto elastico, mentre le cellule muscolari e le fibre collagene sono alquanto scarse.Disturbi più o meno gravi dell’aorta- l’aterosclerosi, che colpisce con maggiore gravità il tratto addominale del vaso, determinando un indebolimento della parete che, a lungo andare, può portare a un suo sfiancamento progressivo e quindi alla formazione di un aneurisma - processi infiammatori (aortiti) da localizzazione di germi nella parete arteriosa la forma più nota di aortite è quella luetica oggi molto meno frequente che non in passato, essa compare nella fase terziaria della sifilide, a molti anni di distanza dal momento dell’infezione, e colpisce soprattutto la parte ascendente e l’arco anche in questo caso possono crearsi le condizioni per uno sfiancamento della parete e la comparsa di un aneurisma - la medionecrosi cistica, una rara affezione, nella maggior parte dei casi mortale di natura sconosciuta, essa è caratterizzata dalla comparsa di focolai disseminati nel contesto della parete, con alterazioni distruttive delle strutture muscolo-elastiche tali alterazioni portano alla comparsa di un aneurisma dissecante, complicanza che, se non riconosciuto e trattata tempestivamente, porta il paziente all’exitus - processi malformativi congeniti, che interessano isolatamente il vaso o contemporaneamente anche l’arteria polmonare o strutture cardiache, a costituire sindromi malformative complesse tra le anomalie isolate dell’a.
la più frequente è la stenosi, detta anche coartazione: è caratterizzata da un restringimento del vaso alla fine dell’arco aortico e ciò determina una deficiente irrorazione sanguigna della metà inferiore del corpo tale condizione può essere curata chirurgicamente sostituendo la porzione ristretta del vaso con una protesi di materiale adatto.

AORTICA, valvola

Posta tra ventricolo sinistro e aorta, ha il compito, insieme alle altre valvole cardiache di regolare il flusso sanguigno tra atri e ventricoli e tra ventricoli e arterie polmonare e aortica e di impedire il reflusso del sangue dal ventricolo all’atrio e dal circolo periferico nei ventricoli. Ha forma simile a una mezzaluna o a un nido di rondine (come la valvola polmonare) e per questo viene detta valvola semilunare. Ha una struttura e modalità di inserzione simile al sistema valvolare polmonare.

AORTITE

Infiammazione che interessa l’arteria aorta. Si distingue in a. acuta e sifilitica.Aortite acutaSi verifica quando è in corso una malattia infettiva acuta, oppure per propagazione di un processo infiammatorio che si è sviluppato nelle vicinanze dell’aorta (endocardite, malattia reumatica).Aortite sifiliticaSpesso si manifesta nella sifilide non curata tempestivamente e che insorge molto tempo dopo l’infezione (anche 15-20 anni dopo), solitamente nella forma terziaria della malattia. Coinvolge la parete aortica a tutto spessore (soprattutto nel tratto toracico. Le conseguenze possono essere: insufficienza aortica, aneurismi, stenosi degli osti coronarici. Attualmente è una condizione molto rara.

APATIA

Situazione emotivo-affettiva in cui è presente un fondamentale atteggiamento di indifferenza nei confronti della realtà e di chi ci circonda. Si produce insensibilità nei confronti delle più svariate situazioni e si rifiuta qualsiasi tipo di coinvolgimento anche quando ci si aspetterebbe normalmente una partecipazione affettiva. Può manifestarsi come atteggiamento di risposta a situazioni frustranti e a insuccessi in genere. Nei casi più gravi è collegata alla depressione e a sindromi psichiatriche specifiche come la corea di Huntington e le psicosi senili.

APGAR, indice di

È un punteggio che viene dato al neonato dopo il 1° e il 5° minuto dalla nascita per valutare le sue condizioni cliniche dopo lo stress intrapartum. Si valutano 5 parametri: il colorito della cute, l’eccitabilità riflessa (verificata introducendo un catetere in una narice), il tono muscolare, l’attività respiratoria e la frequenza cardiaca. A ogni rilievo viene attribuito un punteggio da 0 a 2, che dà luogo a un punteggio totale massimo di 10. I neonati con indice di A. basso devono essere immediatamente assistiti, perché lo scarso punteggio è sintomo di condizioni critiche o, addirittura, di pericolo di sopravvivenza. Benché questo indice sia utile per valutare lo stato acuto del neonato alla nascita, esso ha dei limiti, perché può essere influenzato da diversi fattori: asfissia, farmaci materni, malattie del sistema nervoso centrale, malattie muscolari congenite, prematurità e sepsi fetale. Il punteggio di A. non dev’essere utilizzato per stabilire una prognosi a lungo termine.

APICE

Termine usato per indicare l’estremità appuntita di una struttura avente forma generalmente conica (per es. a. del cuore, a. del polmone).

APIRESSIA

Mancanza di febbre. Quello che in condizioni fisiologiche indica uno stato di normalità, in clinica sta a indicare sia il ritorno alla temperatura corporea normale dopo uno o più accessi febbrili sia gli intervalli tra questi. L’alternarsi di periodi di a. con periodi febbrili o il ritorno a uno stato di temperatura normale danno importanti indicazioni sulla natura della malattia e sulla sua evoluzione.

APLASIA

vedi AGENESIA

APNEA

Sospensione temporanea o mancanza dei movimenti respiratori.È una condizione fisiologica nella vita fetale, in cui il feto viene rifornito di ossigeno attraverso la placenta: in tal caso l’a. è dovuta a ipoeccitabilità del centro respiratorio bulbare e si parla di stato apnoico. Si può avere a. in alcune condizioni patologiche che inibiscono il funzionamento del centro respiratorio bulbare: intossicazione uremica, somministrazione di morfina o di adrenalina, respirazione in atmosfera rarefatta o priva di anidride carbonica. La mancanza di anidride carbonica nel sangue (acapnia) o la sua diminuzione determinano l’arresto della respirazione con meccanismo fisiologico. Tale circostanza viene sfruttata per prolungare l’a. volontaria (per es. in occasione di immersioni subacquee senza respiratore) che normalmente non potrebbe raggiungere più di 60-80 secondi: una prolungata iperventilazione polmonare (quale si ha respirando profondamente e rapidamente per alcuni minuti) diminuisce il tasso di anidride carbonica nel sangue manca così lo stimolo al centro respiratorio e l’a., soprattutto in soggetti di grande capacità respiratoria, può essere protratta fino a 4 minuti. Per la stessa ragione è necessario somministrare anidride carbonica al soggetto apnoico e la respirazione artificiale mediante apparecchio respiratorio si esegue somministrando una miscela di ossigeno e anidride carbonica al 5-7%. A. riflessa è infine quella di origine nervosa per stimolazione del nervo vago, dei pressocettori del seno carotideo o per sovradistensione alveolare (riflesso di Hering e Breuer).

APOCRINE, ghiandole

Particolare tipo di ghiandola sudoripara. Tali ghiandole non sono diffuse su tutto l’ambito cutaneo, ma soltanto in alcune aree e precisamente nelle regioni ascellari, in prossimità dei capezzoli, nella regione periombelicale e nella regione ano-genitale.Nel condotto uditivo esterno vi sarebbe un particolare tipo di ghiandola apocrina, destinato alla formazione del cerume. Le ghiandole mammarie, secondo studi di anatomia comparata, sono costituite da ghiandole a. specializzate nella produzione del latte. La secrezione di queste ghiandole avviene mediante parziale distruzione del loro citoplasma: da ciò deriva che una parte del prodotto di secrezione è costituita da sostanze proteiche di origine cellulare. Il particolare odore che si sviluppa dalle ascelle è dovuto alla rapida fermentazione del sudore apocrino ad opera dei batteri che popolano la cute. Il sudore apocrino, se privo di germi, è del tutto privo di odore.Le ghiandole a. sono formate da una porzione secernente raggomitolata e da una porzione tubulare semplice, destinata a convogliare il prodotto della secrezione all’esterno.Esse si svuotano tutte in corrispondenza di un follicolo pilo-sebaceo, sono cioè in strettissima relazione, anche filogenetica, con il pelo e con la ghiandola sebacea. A differenza delle ghiandole eccrine, esiste un solo tipo di cellula secretoria apocrina. Il sudore eccrino provvede ad abbassare la temperatura del corpo mediante l’evaporazione, mentre la funzione del sudore apocrino è sconosciuta.Si ritiene che le ghiandole a. facciano parte del complesso dei caratteri sessuali secondari: esse infatti si sviluppano dopo la pubertà.

APOFISI

Formazioni che sporgono dall’osso, a volte come semplice rilievo o tuberosità, a volte come appendice.Distinguiamo:

  • apofisi articolari. Corrispondono alle articolazioni e differiscono notevolmente secondo il tipo di articolazioni cui appartengono;
  • apofisi non articolari. Vengono chiamate con nomi che ne rispecchiano la forma: cresta, spina, tubercolo, tuberosità, eminenza mammillare, impronta, linea, processo.

Queste ultime danno inserzione a muscoli e sono in genere rugose.Caratteristiche per la continuità e simmetria sono le apofisi spinose, quelle trasverse e quelle articolari delle vertebre.
Per quanto riguarda la patologia, l’osteite di una apofisi è chiamata apofisite: in pratica è ricordata solo quella dell’apofisi anterosuperiore della tibia che colpisce il giovane adolescente durante l’accrescimento tale patologia è detta anche osteocondrosi o malattia di Osgood.

APOLIPOPROTEINA

Proteina di trasporto per i lipidi (LDL, VLDL). Valori normali 35-100 mg/100ml. I lipidi (più comunemente i grassi) circolano nel sangue legati a delle proteine, le a. appunto, formando complessi idrosolubili che giocano un ruolo fondamentale nel metabolismo lipidico. Esistono vari tipi di apolipoproteina (a. A, a. B, a. B100, a. B48, ecc.) che si differenziano per l’origine e la funzione specifica.

APOMORFINA

Derivato semisintetico della morfina, che non può legare i recettori degli oppiacei ma interagisce con i recettori dopaminergici, in particolare con il subtipo recettoriale D2, ed in misura minore con il recettore D1. Essa viene somministrata tramite iniezione sottocutanea intermittente, infusione sottocutanea continua (che sono le modalità più efficaci), ma anche per via sublinguale, transdermica, endonasale e rettale.Tale farmaco ha diverse indicazioni: negli avvelenamenti per ingestione (effetto emetizzante), nel morbo di parkinson (effetto stabilizzante), nella disfunzione erettile (effetto stimolante a livello del sistema nervoso centrale).- Come emetizzante, possiede effetto induttore del vomito per azione diretta sul sistema nervoso centrale (emetico centrale). L’indicazione sarebbe l’induzione del vomito negli avvelenamenti acuti per ingestione ma, a causa dell’effetto emetizzante di lunga durata e per il possibile effetto collaterale di depressione del sistema nervoso centrale, rischioso soprattutto nei bambini, non dovrebbe più essere usata. Attualmente infatti, questo farmaco è stato sostituito dallo sciroppo di ipecacuana, somministrabile per bocca sia ai bambini (15 ml) che agli adulti (30 ml), controindicato solo nel sovradosaggio da sostanze convulsivanti, in quanto potrebbe scatenare una crisi convulsiva. - nel Parkinson, dal 1950 viene studiata la sua utilità in tale malattia. Inizialmente il suo uso venne abbandonato in quanto l’effetto si manifestava solo se somministrata per via parenterale, con notevole effetto collaterale emetizzante. Attualmente, grazie agli sviluppi combinati della ricerca medica e farmaceutica, l’apomorfina viene usata tramite iniezione sottocutanea (“penne ” pre-riempite, come per l’insulina), ed ha precisa indicazione nel trattamento di “salvataggio” nei pazienti parkinsoniani resistenti alla levodopa o ad altri dopaminergici, che vanno incontro a gravi ed imprevedibili, fluttuazioni motorie (fase“off” della terapia dopaminergica). Dopo somministrazione sottocutanea, in 10-15 minuti, il paziente ritorna in fase “on” per un periodo di circa 45 minuti.- Nella disfunzione erettile, a livello del sistema nervoso centrale, stimola la risposta sessuale e favorisce una serie di reazioni fisiologiche che conducono all’erezione.L’efficacia, in termini di reazione erettile idonea al rapporto sessuale, è dimostrata nel 45% circa dei pazienti. Non esistono studi che confrontino l’attività dell’a. con le altre terapie in commercio per il trattamento dell’impotenza (es. sildenafil, alprostadil), pertanto non si può ancora determinare se questo nuovo farmaco sia più o meno efficace rispetto agli altri.Come effetto indesiderato più frequente è stata segnalata la nausea (dose-dipendente), seguita da cefalea, vertigini, sonnolenza, sudorazione, sbadigli, ipotensione. Pertanto non bisogna guidare veicoli per le due ore successive all’assunzione del farmaco.La somministrazione in questo caso è sublinguale, e non deve essere deglutita prima di 20 minuti, altrimenti non si verifica l’effetto desiderato. L’effetto si manifesta dopo circa 20 minuti (variabilità individuale). Le controindicazioni riguardano i pazienti cardiopatici (con angina instabile grave, infarto recente, grave insufficienza cardiaca, etc.) o nelle condizioni in cui sia sconsigliata l’attività sessuale a causa del suo possibile effetto ipotensivo, la cautela è d’obbligo nei pazienti che assumono antipertensivi o nitrati, e non andrebbe assunto in caso di ingestione di alcolici.Il farmaco viene prescritto solo dopo attenta valutazione da parte del medico curante.

APONEUROSI PALMARE, retrazione dell'

vedi DUPUYTREN, MALATTIA DI

APONEUROSI

(O aponevrosi). Membrana di tessuto connettivo fibroso che, come una fascia, avvolge i diversi gruppi di muscoli e li mantiene aderenti allo scheletro pur consentendone i movimenti. Per questa funzione le a. vengono definite di contenzione. Il loro spessore varia da una regione all’altra del corpo: sono sottili le a.dei muscoli del tronco, spesse quelle degli arti (per esempio, l’a. palmare della mano).Le a. non costituiscono una guaina chiusa, ma presentano dei fori attraverso cui passano vasi sanguigni, nervi ecc.Le a. di inserzione sono invece fasce fibrose molto spesse, veri e propri tendini appiattiti, su cui si inseriscono determinati muscoli che attraverso l’a. si collegano a ossa dello scheletro o ad altre formazioni.

APOPLESSIA

Processo patologico caratterizzato da una emorragia che avviene spontaneamente nel contesto di un tessuto, provocandone spappolamento e distruzione.Il focolaio apoplettico si presenta pertanto come una zona infarcita di sangue nel cui contesto il tessuto è frammentato e gravemente alterato. Il termine è spesso usato come sinonimo di a. cerebrale o ictus o colpo apoplettico in quanto il cervello è la sede più comune di queste lesioni. Oltre al cervello altri organi possono esserne interessati: surreni, polmone, utero. Le forme cerebrali e surrenaliche sono quasi sempre mortali.

Cause
Sono alterazioni dei vasi arteriosi che determinano la loro rottura sotto la spinta della pressione sanguigna: tali per esempio le lesioni da arteriosclerosi. Per quanto riguarda l’a. utero-placentare si verifica la formazione di un ematoma retroplacentare che, più o meno gradatamente, scolla la placenta dalla parete uterina, con conseguenza anche fatali sia per la madre che per il bambino.

Prognosi
Dipende dall’estensione e dalla sede colpita. Se l’individuo sopravvive il focolaio emorragico viene riassorbito e sostituito da tessuto connettivo o trasformato in una cisti. L’a. utero-placentare richiede il trattamento chirurgico d’urgenza (taglio cesareo), talvolta seguito da isterectomia in caso di impossibilità di controllare il fatto emorragico.

APOPTOSI

Autodistruzione della cellula, che utilizza a questo scopo processi metabolici preordinati, che portano a una specie di dissoluzione cellulare. Si tratta di un evento fondamentale nell’equilibrio riproduttivo dei tessuti e nei meccanismi di sorveglianza contro lo sviluppo dei tumori. Negli organismi pluricellulari alcuni tessuti, quali quelli epiteliali come la pelle, le pareti gastrointestinali e dell’apparato respiratorio, si rinnovano a partire da cellule madri che si dividono per mitosi, mentre le cellule più vecchie vengono eliminate, in modo che il numero complessivo rimanga costante. La morte delle cellule “vecchie” avviene attraverso due processi estremamente diversi tra loro: la necrosi e l’a. La prima si manifesta con un rapido rigonfiamento e si conclude con la lisi, di norma causa una risposta infiammatoria perché le sostanze intracellulari vengono riversate all’esterno, e ciò rappresenta un evento traumatico. L’a., invece, è un processo che avviene sotto stretto controllo genetico. Questo evento è stato identificato per la prima volta nel 1972 da A. H. Wyllie, J. F. R. Kerr e A. R. Currie, ma l’interesse è esploso solo negli anni Novanta, insieme all’idea del prolungamento della vita e dell’eliminazione selettiva di alcune popolazioni cellulari responsabili dell’insorgenza di alcune patologie: conoscere i geni responsabili della morte cellulare e i meccanismi con cui esplicano la loro funzione può rappresentare il primo passo per la comprensione dei processi di invecchiamento e per l’applicazione di terapie che accelerano la morte cellulare. Alla base dell’attivazione del processo di morte è il gene c-myc il quale, se la cellula si trova in presenza dei fattori di sopravvivenza, induce la proliferazione in assenza di questi, invece, innesca l’a. Un altro gene coinvolto è p53, che ferma l’accrescimento e la divisione cellulare nel caso in cui vengano rilevati dei danni al DNA. Questi devono essere riparati, altrimenti la cellula viene indirizzata verso la morte. Anche gli enzimi responsabili della degradazione proteica rivestono un ruolo importante: sembra infatti che eliminino le proteine responsabili della riparazione del DNA, che viene poi frammentato grazie alla sintesi di un enzima con attività di endonucleasi, a cui segue la condensazione della cromatina. L’a. riveste, in condizioni fisiologiche, un ruolo fondamentale nello sviluppo embrionale, concorrendo alla definizione delle strutture anatomiche: per es., essa è responsabile dell’eliminazione dei tessuti interdigitali durante lo sviluppo fetale degli arti, o di quelle parti del tessuto nervoso che non hanno stabilito connessioni sinaptiche e che quindi non potrebbero assolvere alle loro funzioni. Anche il riassorbimento della coda dei girini durante la metamorfosi inizia con la morte delle cellule che la costituiscono. Un altro compito assolto dall’a. è di tipo “altruista”: in una cellula sottoposta a stress ambientali talmente forti da non poter reagire e difendersi mediante la sintesi delle proteine da stress o da shock termico viene attivato il programma di morte. Questo tipo di controllo è estremamente vantaggioso per le cellule che la circondano e per l’intero organismo: l’a. non consente il rilascio di sostanze endocellulari nell’ambiente esterno, come avviene nella necrosi, e non si genera così nessun evento infiammatorio. È nota poi un’intera famiglia di geni inibitori dell’a., la cui attività si riscontra in numerose patologie tumorali: l’attività errata di questi geni sottrae la cellula al suo destino e ne permette la crescita e le successive divisioni, causando l’insorgenza di tumori. Al contrario, alcune patologie sono legate a una morte cellulare precoce e inopportuna: per esempio, in pazienti affetti da AIDS è stato dimostrato che la mancanza di risposta immunitaria è dovuta alla morte di una particolare famiglia di linfociti, le cellule CD-4 questo fenomeno è causato dal fatto che le cellule infette sono geneticamente modificate e, quando vengono stimolate alla proliferazione per dare una risposta immunitaria, rispondono invece innescando il processo dell’a. anche le malattie neurodegenerative, quale il morbo di Alzheimer o il morbo di Parkinson, sono dovute alla morte delle cellule nervose. Conoscendo i meccanismi che sono alla base del processo di morte, sembra plausibile studiare delle terapie che, influenzando negativamente o positivamente l’attivazione dell’a., possano risultare efficaci.
Autodistruzione della cellula, che utilizza a questo scopo processi metabolici preordinati, che portano a una specie di dissoluzione cellulare. Si tratta di un evento fondamentale nell’equilibrio riproduttivo dei tessuti e nei meccanismi di sorveglianza contro lo sviluppo dei tumori. Negli organismi pluricellulari alcuni tessuti, quali quelli epiteliali come la pelle, le pareti gastrointestinali e dell’apparato respiratorio, si rinnovano a partire da cellule madri che si dividono per mitosi, mentre le cellule più vecchie vengono eliminate, in modo che il numero complessivo rimanga costante. La morte delle cellule “vecchie” avviene attraverso due processi estremamente diversi tra loro: la necrosi e l’a. La prima si manifesta con un rapido rigonfiamento e si conclude con la lisi, di norma causa una risposta infiammatoria perché le sostanze intracellulari vengono riversate all’esterno, e ciò rappresenta un evento traumatico. L’a., invece, è un processo che avviene sotto stretto controllo genetico. Questo evento è stato identificato per la prima volta nel 1972 da A. H. Wyllie, J. F. R. Kerr e A. R. Currie, ma l’interesse è esploso solo negli anni Novanta, insieme all’idea del prolungamento della vita e dell’eliminazione selettiva di alcune popolazioni cellulari responsabili dell’insorgenza di alcune patologie: conoscere i geni responsabili della morte cellulare e i meccanismi con cui esplicano la loro funzione può rappresentare il primo passo per la comprensione dei processi di invecchiamento e per l’applicazione di terapie che accelerano la morte cellulare. Alla base dell’attivazione del processo di morte è il gene c-myc il quale, se la cellula si trova in presenza dei fattori di sopravvivenza, induce la proliferazione in assenza di questi, invece, innesca l’a. Un altro gene coinvolto è p53, che ferma l’accrescimento e la divisione cellulare nel caso in cui vengano rilevati dei danni al DNA. Questi devono essere riparati, altrimenti la cellula viene indirizzata verso la morte. Anche gli enzimi responsabili della degradazione proteica rivestono un ruolo importante: sembra infatti che eliminino le proteine responsabili della riparazione del DNA, che viene poi frammentato grazie alla sintesi di un enzima con attività di endonucleasi, a cui segue la condensazione della cromatina. L’a. riveste, in condizioni fisiologiche, un ruolo fondamentale nello sviluppo embrionale, concorrendo alla definizione delle strutture anatomiche: per es., essa è responsabile dell’eliminazione dei tessuti interdigitali durante lo sviluppo fetale degli arti, o di quelle parti del tessuto nervoso che non hanno stabilito connessioni sinaptiche e che quindi non potrebbero assolvere alle loro funzioni. Anche il riassorbimento della coda dei girini durante la metamorfosi inizia con la morte delle cellule che la costituiscono. Un altro compito assolto dall’a. è di tipo “altruista”: in una cellula sottoposta a stress ambientali talmente forti da non poter reagire e difendersi mediante la sintesi delle proteine da stress o da shock termico viene attivato il programma di morte. Questo tipo di controllo è estremamente vantaggioso per le cellule che la circondano e per l’intero organismo: l’a. non consente il rilascio di sostanze endocellulari nell’ambiente esterno, come avviene nella necrosi, e non si genera così nessun evento infiammatorio. È nota poi un’intera famiglia di geni inibitori dell’a., la cui attività si riscontra in numerose patologie tumorali: l’attività errata di questi geni sottrae la cellula al suo destino e ne permette la crescita e le successive divisioni, causando l’insorgenza di tumori. Al contrario, alcune patologie sono legate a una morte cellulare precoce e inopportuna: per esempio, in pazienti affetti da AIDS è stato dimostrato che la mancanza di risposta immunitaria è dovuta alla morte di una particolare famiglia di linfociti, le cellule CD-4 questo fenomeno è causato dal fatto che le cellule infette sono geneticamente modificate e, quando vengono stimolate alla proliferazione per dare una risposta immunitaria, rispondono invece innescando il processo dell’a. anche le malattie neurodegenerative, quale il morbo di Alzheimer o il morbo di Parkinson, sono dovute alla morte delle cellule nervose. Conoscendo i meccanismi che sono alla base del processo di morte, sembra plausibile studiare delle terapie che, influenzando negativamente o positivamente l’attivazione dell’a., possano risultare efficaci.

APPARATO

Raggruppamento di organi diversi per struttura, funzione e origine, ma che nell’insieme concorrono allo svolgimento di una delle funzioni generali dell’organismo.

APPARATO CIRCOLATORIO

Composto dal cuore, dalle arterie, dalle vene, dagli organi e vasi linfatici è un circolo chiuso in cui il cuore pompa il sangue verso la periferia attraverso le arterie, che penetrano negli organi assottigliando il proprio calibro fino a divenire capillari questi, confluiscono a formare le vene che dalla periferia riportano il sangue verso il centro, ovvero al cuore. Il volume totale del sangue presente nell’organismo si raccoglie in due sezioni che prendono il nome di grande e piccola circolazione. La grande circolazione parte dal cuore e si distribuisce ai diversi organi e apparati, nutrendoli e ossigenandoli e caricandosi di prodotti di scarto del loro metabolismo la piccola, che è deputata all’irrorazione dei polmoni, penetrandovi come sangue venoso, ovvero ricco di scorie e povero di ossigeno, fuoriesce da essi come sangue arterioso, ovvero ricco di ossigeno e pronto per essere immesso nuovamente nel cuore e per raggiungere i distretti periferici.All’ap. circolatorio prendono parte anche gli organi e i vasi linfatici, che hanno il compito di drenare i liquidi presenti negli spazi interstiziali, cioè al di fuori dei vasi e tra le cellule, che perfondono i tessuti. Questo sistema di drenaggio è costituito dai vasi linfatici e dai linfonodi, stazioni di filtro e deposito del liquido che circola nella rete vascolare e che prende il nome di linfa. (vedi CIRCOLATORIO, APPARATO)

APPARATO DIGERENTE

Costituito da un lungo tubo esteso dalla bocca all’ano, comprendente bocca, faringe, esofago, stomaco, intestino tenue e intestino crasso, cui sono annesse ghiandole che in esso riversano i propri secreti è il complesso di organi che adempie alla funzione della digestione degli alimenti, la quale si realizza attraverso una serie di atti con cui i cibi vengono resi solubili ed assorbibili. Tali atti comprendono: l’assunzione degli alimenti, la masticazione, la salivazione, la chimificazione, la chilificazione e la defecazione. Vi sono, inoltre, annesse due importanti ghiandole digestive: il fegato e il pancreas. Le loro secrezioni sono fondamentali per la digestione in quanto favoriscono l’assorbimento intestinale, eccitando le contrazioni delle pareti intestinali intervengono nell’emulsione e nell’assorbimento dei grassi e nella trasformazione degli amidi aiutano a liberare l’organismo da molte sostanze tossiche, delle quali il tubo digerente deve sbarazzarsi eliminando le scorie. La specializzazione medica che si occupa delle malattie digestive è la gastroenterologia (vedi DIGERENTE, APPARATO).

APPARATO ENDOCRINO

Costituito dalle diverse ghiandole endocrine (ipofisi, tiroide, paratiroidi, surreni ecc.), costituisce con il sistema nervoso uno dei due grandi regolatori delle funzioni generali dell’organismo vivente. Per a. endocrino s’intende il complesso delle ghiandole endocrine, o ghiandole a secrezione interna, che formano e secernono gli ormoni. Si tratta di sostanze formate da organi specificamente addetti a questo compito, che vengono versate nel sangue in quantità dipendenti dalle necessità dell’organismo il loro punto d’azione è lontano dal luogo di produzione. Intervengono nel complesso di reazioni chimico-fisiche definito metabolismo e sugli enzimi che regolano queste reazioni. Gli ormoni, insieme con il sistema nervoso, intervengono nella incessante attività di adeguamento e di compensazione cui è soggetto l’organismo umano nei confronti delle mutate condizioni dell’ambiente in cui vive. Ogni ghiandola endocrina possiede una struttura che deriva dall’origine embriologica, dalla particolare struttura istologica e dal ruolo fisiologico. Il funzionamento del sistema endocrino è così sintetizzabile: la ghiandola endocrina fabbrica e secerne, partendo da materiale pre-ormonale, uno o più ormoni che vengono trasportati nel sangue, liberi o legati a proteine una frazione dell’ormone è inattivata, trasformata e degradata prevalentemente nel fegato, mentre una frazione viene escreta dal rene la parte attiva dell’ormone raggiunge l’organo (o gli organi) bersaglio, il tessuto (o i tessuti) dove esercita la sua azione attraverso il legame recettoriale, agendo a livello cellulare o molecolare. Il funzionamento della ghiandola si adatta alle richieste ormonali, con meccanismi di controllo definiti feed-back e la sua funzionalità è legata a quella di altre ghiandole (-- vedi ENDOCRINO, APPARATO).Nell’ambito di un a. si distinguono i sistemi, che raggruppano strutture od organi aventi la stessa funzione e struttura e la stessa origine embriologica (per es. sistema muscolare, osseo, nervoso centrale e periferico).Il termine a. viene impiegato anche per indicare strutture presenti nelle cellule (a. di Golgi, a. mitocondriale, a. della sfera ecc.) o particolari formazioni anatomiche che non rientrano propriamente nella definizione generale data.

APPARATO GENITALE

Notevolmente diverso nell’uomo e nella donna, ma fondamentalmente costituito dalle gonadi (testicoli e ovaie) e da un sistema di canali destinato a portare a contatto lo spermatozoo con l’uovo e ad accogliere l’uovo fecondato durante il suo sviluppo. L’a. genitale maschile è costituito dagli organi e dalle vie genitali, le quali a loro volta comprendono le vie spermatiche e gli organi della copula, costituiti dal pene e dall’uretra.Quest’ultima ha la duplice funzione di emettere all’esterno l’urina (e come tale fa parte dell’a. urinario) e provvedere alla fecondazione, convogliando in vagina gli spermatozoi (funzione genitale).L’a. genitale femminile comprende: le due ovaie, che hanno sia il compito di formare gli ovuli sia un’importante funzione come ghiandole endocrine le vie genitali che sono rappresentate dalle tube o salpingi o trombe di Falloppio (due condotti che terminano a un’estremità in prossimità delle ovaie e all’altra nella cavità dell’utero), dall’utero, organo che è destinato ad accogliere il prodotto del concepimento durante il suo sviluppo, dalla vagina e dalla vulva.La natura ha predisposto che ogni essere concepito possa trovare nell’organismo della madre le condizioni più adatte al suo sviluppo. Non c’è cellula dell’organismo femminile adulto che non intervenga, in modo più o meno diretto, alla serie di preparativi che ciclicamente si svolgono negli organi specificamente destinati a questo compito. La partecipazione di tutto il fisico della donna al ciclo dell’ovulazione avviene grazie alla presenza di sostanze particolari, gli ormoni, che vengono immesse direttamente nel sangue e che perciò possono raggiungere qualsiasi punto dell’organismo, determinandovi numerose modificazioni. Questi ormoni sono in parte prodotti dall’ipotalamo, in parte dall’ipofisi e in parte dall’ovaio. Si tratta dunque di un cronometrico sistema che regola in ogni istante la coordinazione fra tutte le funzioni della donna in vista del concepimento.Se teniamo conto della delicatezza e dell’importanza dell’a. genitale femminile, in funzione anche dei compiti ai quali è chiamato ai fini della riproduzione, è chiaro che, in genere, le conoscenze relative alla sua struttura e alle sue funzioni sono per lo più limitate presso il pubblico profano. Da qui la necessità di un’informazione completa relativa all’anatomia degli organi esterni e interni dai quali è costituito e, soprattutto, dei meccanismi con i quali tali organi funzionano il verificarsi di eventi episodici fondamentali come la pubertà e la menopausa di eventi periodici come il succedersi delle mestruazioni di eventi carichi di suggestione come il concepimento, la gestazione, il parto,il puerperio, l’allattamento, hanno lati che per molti possono ancora apparire “misteriosi”.È proprio la conoscenza della “normalità” di tali situazioni fisiologiche o parafisiologiche che può anche permettere di capire meglio il significato degli eventi patologici, intesi come deviazione o sovvertimento della normalità stessa, di rendersi conto del divenire morboso, delle modalità diagnostiche per accertarne le varie fasi successive e delle misure terapeutiche, medicamentose o chirurgiche atte, nei limiti del possibile, ad una correzione. La complessità dell’a. genitale femminile, in virtù anche dei suoi vasti intrecci soprattutto con l’endocrinologia e la psicologia, si rivela proprio quando emergono situazioni patologiche, la valutazione delle quali è attualmente facilitata da tutte le moderne metodiche diagnostiche, le quali vanno dai semplici esami citologici (strisci vaginali e Pap-test) ai più impegnativi esami strumentali (colposcopia, ecografie pelviche, laparoscopia ecc.), ai più rigorosi esami istologici di biopsie o ai rielaborati dosaggi ormonali o immunologici, richiesti talora per l’interpretazione di episodi patologici peculiari come, per esempio, l’aborto abituale. Uno dei settori, poi, in continuo aggiornamento riguarda l’oncologia ginecologica, con i suoi numerosi addentellati in campo clinico.
Dall’adozione di nuovi e potenti antiblastici alla messa in campo, per i più impegnati interventi demolitivi, di due gruppi di operatori che intervengono contemporaneamente sulla stessa paziente, l’uno agendo per via addominale e l’altro per via pelvica dall’applicazione dei più aggiornati metodi di terapia radiante, all’installazione di apparecchiature utili contro i dolori pelvici di origine neoplastica, ma anche, beninteso, contro i dolori da parto. Un ultimo cenno merita, poi, la cosiddetta “terapia contraccettiva” che, pur conservando in epoca fertile la sua iniziale connotazione di “pillola” ormonale, basata com’è sulle associazioni estrogeni-progestinici, giova anche nel periodo climaterico per la profilassi di situazioni legate tipicamente a tale parentesi della vita femminile come, per esempio, la minacciante osteoporosi postmenopausale, legata a carenza di estrogeni (vedi GENITALE, APPARATO).

APPARATO LOCOMOTORE

Formato da ossa, articolazioni e muscoli presiede alle funzioni di movimento, ma assolve anche funzioni protettive, circoscrivendo le grandi cavità del corpo che contengono gli organi. Tali cavità sono delimitate da ossa quando gli organi contenuti sono molto delicati e non espansibili (la cavità cranica) sono delimitate, in misura pressoché uguale, da ossa e da muscoli quando contengono organi soggetti a ritmiche espansioni (la cavità toracica) sono circoscritte in gran parte da muscoli quando contengono organi capaci di rapida e grande distensione (la cavità addominale).Costituisce la base architetturale dell’organismo, funge da stabilizzatore del corpo umano e ne consente i movimenti nell’ambiente.Pur avendo una funzione primaria, l’a. locomotore non è un’entità indipendente, richiedendo la cooperazione dell’a. neurosensoriale e del sistema vascolare che garantiscono l’efficacia del movimento (vedi LOCOMOTORE, APPARATO).

APPARATO RESPIRATORIO

Costituito da naso, cavità paranasali, porzione nasale nella faringe, laringe, trachea, bronchi (ovvero le vie respiratorie) e polmoni. Considerato nella sua globalità anatomofunzionale, è costituito da strutture idonee nello svolgimento dello scambio gassoso fra ambiente esterno ed organismo. È, quindi, un sistema molto complesso, formato da varie componenti diversificate sul piano strutturale e su quello fisiologico. È possibile perciò distinguere in esso una zona di conduzione ove non avvengono veri e propri scambi respiratori (poiché ha eminentemente funzioni di trasporto, riscaldamento, umidificazione e filtrazione dell’aria), rappresentata dal naso, faringe, laringe, trachea e grossi bronchi e una zona respiratoria propriamente detta, a livello degli alveoli polmonari, dove avviene lo scambio dei gas respiratori. Inoltre è specializzato, in alcuni suoi tratti, in particolari attività quali la fonazione e l’olfatto. In condizioni di riposo muscolare l’uomo esegue circa 16 atti respiratori al minuto, nei quali si può riconoscere una fase inspiratoria e una fase espiratoria: l’inspirazione consiste nell’introduzione di aria nei polmoni dall’ambiente esterno l’espirazione nell’uscita della stessa dai polmoni (vedi RESPIRATORIO, APPARATO).

APPARATO TEGUMENTARIO

Comprende la cute e le strutture annesse, ovvero le unghie, i peli e le ghiandole sebacee e sudoripare, inclusa la ghiandola mammaria che è una ghiandola sudoripara modificata. Ha funzioni soprattutto difensive, rappresentando l’interfaccia tra l’ambiente esterno e l’interno dell’organismo svolge attività di assorbimento e secrezione e partecipa al metabolismo della vitamina D prende parte ai fenomeni di termoregolazione e, grazie alle numerose terminazioni nervose che vi giungono, rappresenta il più esteso organo di senso. Infine, in associazione con il sistema vascolare e muscolare, media tanta parte dei processi comunicativi non verbali. La morfologia, le funzioni e le malattie dell’a. tegumentario, cioè della pelle e dei suoi annessi, sono studiate dalla dermatologia, branca specialistica che nacque in Europa per opera di un medico viennese, Ferdinand Hebra (1816-1880). Il campo di studio della dermatologia include le malattie della pelle e le malattie da contagio sessuale (venereologia). Contributi inestimabili all’approfondimento di questa disciplina sono quelli della Scuola francese tuttora attivissima e feconda e quelli della dermatologia italiana, in cui spiccano nomi di rilievo tra cui Majocchi, Mibelli, Gianotti ecc., noti nel mondo medico per aver isolato e descritto entità morbose prima misconosciute (vedi TEGUMENTARIO, APPARATO).

APPARATO URINARIO

Comprendente i reni e le loro vie escretrici (ureteri, vescica, uretra) i reni sono organi pari e simmetrici che filtrano sangue e producono l’urina che a sua volta attraverso gli ureteri viene raccolta nella vescica, per poi essere, ad intervalli, espulsa all’esterno attraverso l’uretra. La fisiologia urinaria è molto complessa sia per quel che riguarda i meccanismi di produzione, sia per quel che riguarda i meccanismi di raccolta e espulsione dell’urina. I reni infatti sono organi anche di regolazione della pressione sanguigna e della quantità di liquidi dell’intero organismo mediante sofisticati sistemi di concentrazione o di diluizione dell’urina, intervenendo e interagendo sull’equilibrio acido-base mediante sofisticati e assai delicati meccanismi di controllo. La vescica, che è il serbatoio di raccolta dell’urina, deve provvedere anche alla sua espulsione: al suo interno esistono numerosi recettori che segnalano il progressivo riempimento, cosicché la muscolatura che circonda la vescica stessa, contraendosi ne provoca lo svuotamento. Ma contemporaneamente deve avvenire l’apertura dei sistemi sfinteriali che consentono la contenzione dell’urina stessa, e una volta svuotata gli sfinteri devono di nuovo riprendere la loro tonicità. Nell’uomo, in alcune parti, le strutture anatomiche urinarie e genitali sono le medesime: nell’uretra maschile infatti passa sia l’urina che proviene dalla vescica, sia gli spermatozoi prodotti dai testicoli che devono fecondare l’uovo femminile. Lo studio della patologia urogenitale ha subito negli ultimi tempi una vera e propria rivoluzione. Basti l’esempio della patologia renale, che è stata sottoposta a rinnovati metodi classificativi e interpretativi su base essenzialmente immunologica e sulla pratica della biopsia renale in clinica, ai fini della predittività della terapia. Di grande ausilio il perfezionamento delle tecniche diagnostiche strumentali, con l’ecografia, la TAC, l’RMN, la flussometria, che hanno consentito la limitazione al ricorso a metodiche invasive come l’arteriografia, la cavografia e la pielografia, che pure rimangono strumenti diagnostici di grande importanza, riservati ai casi in cui il quesito diagnostico ne giustifichi l’impiego. Così pure le innovazioni terapeutiche, con l’introduzione di farmaci che hanno reso possibile l’aver ragione di svariate situazioni patologiche. Per quanto concerne la patologia urinaria maschile legata alla patologia della prostata, l’applicazione di farmaci che determinano l’effettiva riduzione volumetrica dell’ipertrofia prostatica benigna e di altri che controllano la dinamica urinaria del soggetto prostatico per le forme patologiche più strettamente interessanti il sesso femminile, di farmaci risolutivi delle diverse forme di cistite, e di quelli impiegati nella profilassi di situazioni imparentate con squilibri ormonali (vedi URINARIO, APPARATO).

APPARECCHI ACUSTICI

Apparecchi destinati ad amplificare ed eventualmente a selezionare i suoni che raggiungono l’orecchio, allo scopo di correggere la sordità. Attualmente si usano apparecchi amplificatori elettronici, a transistor, capaci di un’amplificazione di 60 decibel, cioè in grado di sopperire alle più gravi sordità. L’amplificazione interessa solitamente le frequenze centrali (1000-3000 Hz), ossia quelle della conversazione e non i suoni a tonalità troppo bassa o troppo elevata, la cui amplificazione potrebbe riuscire disturbante per particolari tipi di sordità l’amplificazione può essere resa ancora maggiormente selettiva, interessando solo determinate frequenze. La trasmissione dei suoni amplificati avviene solitamente per via aerea, con un riproduttore a conchiglia, modellato sulla conca o sul condotto uditivo o, in alcuni modelli più recenti, con il sistema a chiocciola aperta, costituito da un semplice tubicino in plastica libero nel condotto uditivo l’amplificazione per via ossea, con vibratore appoggiato alla mastoide, è limitata ad alcuni casi particolari.La prescrizione di una protesi acustica richiede un’attenta valutazione del tipo e del grado di sordità, eseguita da uno specialista attraverso esami audiometrici tonali e vocali: i risultati migliori si ottengono nelle sordità di trasmissione pure, con abbassamento della soglia di audizione dolorosa per il fenomeno del recruitment o con diminuzione della capacità di intellezione e discriminazione delle parole. Nonostante queste limitazioni, nella maggior parte dei casi non più trattabili con cure mediche o chirurgiche, l’apparecchio acustico, opportunamente scelto e tarato, è in grado di dominare una buona parte delle sordità (vedi scheda APPARECCHI ACUSTICI).

APPARECCHI RADIOLOGICI

Apparecchi per l’utilizzazione diagnostica (radiodiagnostica) o terapeutica (radioterapia) dei raggi Roentgen o raggi X. I raggi X sono onde elettromagnetiche le cui principali proprietà si possono così riassumere: potere di penetrazione, effetto fotografico, cioè capacità di impressionare una lastra fotografica, ionizzazione dei gas, eccitazione della luminescenza. L’effetto fotografico e l’eccitazione della luminescenza sono utilizzati per l’esame radiografico e per la diagnostica radiologica.

APPARECCHIO GESSATO

Ausilio ortopedico universalmente impiegato per la cura delle fratture e nelle terapie postoperatorie di tipo ortopedico. Gli apparecchi gessati prendono nomi differenti secondo i vari segmenti scheletrici che immobilizzano.Si parla così di Minerva per i gessi che immobilizzano il rachide cervicale e cervicodorsale, di busto per quelli che immobilizzano il rachide dorsolombare. Si avrà poi il gesso toracobrachiale per le affezioni del cingolo scapolare e dell’omero, l’a. gessato pelvi-podalico per le affezioni del bacino, dell’anca e del femore, e il gesso di gamba e lo stivaletto gessato per le altre affezioni dell’arto inferiore.

APPENDICE CECALE

Parte dell’intestino cieco ha forma cilindrica allungata e flessuosa (vermiforme) e lunghezza media di 9 cm, ma si osservano anche appendici ridotte a pochi mm o al contrario lunghe fino a 20 cm. Prende impianto sulla parte mediale dell’intestino cieco, al di sotto della valvola ileocecale, e giace, di solito, diretta verso la linea mediana, nella fossa iliaca. È unita all’intestino cieco da una sottile membrana detta mesenteriolo, nella quale decorrono vasi e nervi. Nel suo interno l’a. possiede una cavità longitudinale, in comunicazione diretta con il lume dell’intestino cieco spesso vuota di contenuto, talora ricolma di muco prodotto dalle ghiandole della sua mucosa, può contenere anche materiale fecale o residui alimentari. La funzione dell’appendice non è nota. Viene denominata anche tonsilla addominale perché la sua parete è ricca di tessuto linfatico. Spesso l’appendice va incontro a processi infiammatori acuti o cronici (appendicite), in conseguenza dei quali si può occludere il punto di passaggio nell’intestino ciò determina un progressivo aumento di volume dell’organo per l’accumulo del muco prodotto dalle ghiandole (mucocele appendicolare).

APPENDICECTOMIA

Intervento chirurgico che consiste nell’asportazione dell’appendice cecale dell’intestino. Viene praticato, spesso con carattere di urgenza, nel caso di processi patologici di varia natura: per lo più infiammazioni acute o croniche, più di rado aderenze, mucocele, tumori benigni o maligni. A volte l’a. viene effettuata in assenza di processi patologici dell’appendice, nel corso di interventi chirurgici su altri visceri addominali, per prevenire eventuali successive affezioni dell’appendice stessa. Attualmente tale intervento viene da alcuni eseguito per via videolaparoscopica, intervento meno invasivo e che necessita un minore numero di giorni di ricovero.

APPENDICITE

Con tale nome si definisce l’infiammazione dell’appendicite vermiforme. Può essere acuta o cronica.

APPENDICITE ACUTA

Si tratta di una malattia assai frequente, di grande interesse pratico, temibile, non tanto per se stessa, quanto piuttosto per le gravi complicazioni cui può andare incontro se non viene curata adeguatamente. La peritonite è la complicazione più grave anche in piena era antibiotica. L’appendice è un piccolo tratto di intestino attraverso cui, però, non avviene il transito alimentare: è un piccolo cilindro mobile e flessuoso che si attacca sull’intestino cieco appena sotto la zona di passaggio ileo-ciecale. In genere l’appendice è diretta verso il basso e verso la linea mediana del corpo non sono rare tuttavia le posizioni anormali (pelvica, retrociecale, sottoepatica, iliaca sinistra) che condizionano, se l’appendice si infiamma, quadri morbosi di diagnosi talvolta difficile e delicata. Dal punto di vista della struttura anatomica, l’appendice è costituita da un rivestimento esterno sieroso, da una tunica muscolare e, ancora più internamente, dalla mucosa, che presenta numerosissimi infossamenti circondati da abbondante tessuto linfatico. Per la ricchezza di tessuto linfatico l’appendice è chiamata anche tonsilla addominale, data la rassomiglianza della sua struttura con quella della tonsilla palatina.

Cause
Il lume appendicolare è molto piccolo e vi si trovano tutti quei germi che fanno parte della normale flora intestinale. Tali germi di solito sono ben tollerati dall’appendice, ma in talune condizioni diventano virulenti, cioè si moltiplicano acquistando potere patogeno, e l’appendice si infiamma. Fra le condizioni atte a scatenare la virulenza dei germi una grande importanza va attribuita all’ostruzione del lume appendicolare con difficoltà di svuotamento: ne deriva un ristagno dei germi e quindi l’infezione della parete. L’ostruzione può essere dovuta a vari fattori: grumi densi di muco, vermi intestinali, angolazioni, eccessiva lunghezza, noccioli di ciliegia ecc. L’a. acuta è frequente dopo il secondo anno di vita ed è più diffusa nelle città e nei Paesi ad alto livello di civilizzazione che nella campagna.
Sintomi
Sintomo principale è il dolore, improvviso, per lo più molto violento, accompagnato da fitte acute, localizzato solitamente al quadrante inferiore destro dell’addome. Il dolore può essere tale da costringere il soggetto che ne è colpito a piegarsi in avanti comprimendosi l’addome. Non sempre però è localizzato al quadrante inferiore destro: spesso inizia all’epigastrio, talora è esteso a tutto l’addome oppure interessa la regione attorno all’ombelico altre volte si irradia alla coscia destra così che il paziente la tiene flessa sul bacino per attenuare la sintomatologia dolorosa infine vi può essere irradiazione alla regione lombare in modo da far pensare in un primo tempo a una colica renale. Quasi sempre il malato presenta vomito, nausea, alvo chiuso alle feci e ai gas. Costante è il rialzo febbrile. L’esame clinico del malato consente di arrivare agevolmente alla diagnosi di a. acuta. Infatti i muscoli del quadrante inferiore destro dell’addome presentano, alla mano che palpa, una notevole resistenza, espressione della contrattura di difesa dei muscoli stessi. Premendo in determinati punti (per esempio nel punto di Mac Burney), si risveglia o si accentua il dolore.

Quadro anatomopatologico
L’intensità della sintomatologia e la gravità della malattia dipendono esclusivamente dal tipo anatomo-patologico dell’infiammazione appendicolare. Esistono tre forme di a. acuta: catarrale, purulenta e gangrenosa. La prima è quella che più frequentemente si riscontra al tavolo operatorio. L’appendice appare molto infiammata, tesa, aumentata di volume il peritoneo che la riveste ha perso la usuale lucentezza e appare appena opaco.
È questa la forma meno grave però, se la malattia viene trascurata, trapassa nella forma purulenta, caratterizzata dalla presenza di pus sia nel lume appendicolare sia nello spessore della parete, ove si formano ascessi multipli che possono ulcerarsi all’esterno con inevitabile peritonite. In questo tipo di a. acuta sono interessati e coinvolti pure i tratti di intestino più vicini, quali il cieco e le ultime anse dell’ileo. Allorché, infine, si instaura un processo di trombosi, cioè di ostruzione dei vasi appendicolari, si ha il quadro della forma gangrenosa. Mancando l’apporto di sangue, e quindi di ossigeno, all’appendice stessa, questa va in necrosi e può staccarsi dall’intestino, versando il suo contenuto nel peritoneo e determinando di conseguenza una gravissima peritonite. Per quanto riguarda l’evoluzione, ci sono dei casi favorevoli, benigni, in cui dolore, vomito e febbre diminuiscono nel volgere di qualche giorno di modo che il paziente può ritenersi, per il momento, guarito ma è quasi inevitabile che, superato felicemente il primo attacco, altri ne sopravvengano a distanza varia di tempo, fino alla cronicizzazione della malattia. Accanto ai suddetti casi favorevoli, può invece comparire in terza, quarta giornata una reazione peritoneale circoscritta con formazione di un piastrone palpabile in fossa iliaca destra come una massa ovalare mal delimitata. Con un opportuno trattamento (riposo a letto, ghiaccio sull’addome, antibiotici), esso può regredire in un paio di settimane. L’a. può anche evolvere verso quadri patologici assai gravi, come la peritonite generalizzata. In quest’ultima evenienza la sintomatologia si fa sempre più accentuata, il dolore è diffuso a tutto l’addome, il vomito diventa frequente, compare singhiozzo, la febbre aumenta fino a 40° C. Il paziente si trova in grave stato tossico, è inquieto, ansioso, pallido, con i lineamenti del volto tirati, le labbra e soprattutto la lingua secche se non si interviene rapidamente, la forma conduce alla morte.

Terapia
L’appendicectomia è la regola se il paziente è stato osservato entro le 48 ore. Dopo tale periodo, se è comparso un ascesso appendicolare, viene di solito preferito un trattamento di attesa (dieta idrica, ghiaccio sull’addome, antibiotici). Si tiene il paziente sotto attento controllo e si decide l’intervento solo nel sospetto di evoluzione in peritonite o se l’ascesso aumenta di volume, altrimenti si rimanda l’operazione fino al “raffreddamento” della forma. Sono assolutamente da evitare purganti che, stimolando la motilità e la secrezione intestinale, possono provocare la perforazione dell’appendice e quindi peritonite, attraverso un aumento della pressione intraluminale.

APPENDICITE CRONICA

Con il termine di a. cronica si deve intendere uno stato infiammatorio dell’appendice, a decorso cronico, vale a dire prolungato nel tempo, e senza possibilità di una guarigione spontanea. Infatti, se l’infiammazione è cronica, il processo di coinvolgimento del peritoneo è più graduale e spesso progredisce coinvolgendo anche organi contigui, come vie urinarie o organi genitali femminili. Non è solo una ipotesi il fatto che aderenze fibrose peritoneali o infiammazioni degli annessi interni siano agevolate dall’esistenza di una infiammazione cronica dell’appendice. Va detto che la diagnosi di a. cronica è spesso arbitraria e all’intervento chirurgico è frequente il riscontro di appendice normale. L’a. cronica colpisce di preferenza il sesso femminile, soprattutto nell’età dell’adolescenza e della giovinezza. Dal punto di vista clinico si distinguono due tipi di appendicite cronica: la forma primitiva, cioè cronica sin dall’inizio, e quella secondaria, cioè cronicizzata, rappresentando quest’ultima un esito di un passato attacco di a. acuta. Sotto il profilo pratico tale problema ha scarsa importanza, dato che l’appendicectomia, cioè l’intervento chirurgico, rappresenta per entrambe le varietà l’unica terapia veramente efficace.

Sintomi
L’andamento cronico può essere caratterizzato da periodi di completo benessere intervallati da periodi di riacutizzazione dei sintomi. In questi casi i disturbi sono vari secondo i soggetti e sono da attribuirsi in parte direttamente all’infiammazione dell’appendice, in parte all’estensione ai visceri vicini del medesimo processo infiammatorio in parte infine sono di natura riflessa. Esistono perciò soggetti affetti da a. cronica che accusano saltuari dolori localizzati alla sede iliaca destra, dolori acuti e violenti come negli attacchi di a. acuta, ma nondimeno fastidiosi e tali da interrompere l’attività lavorativa dei pazienti. È raro che la sintomatologia dolorosa insorga senza alcun fattore scatenante: più spesso all’origine di essa è da individuare uno sforzo fisico, un pasto molto abbondante oppure costituito da cibi irritanti per l’intestino, un lungo viaggio in condizioni di scomodità, un periodo di stitichezza ostinata. Assieme al dolore, tali pazienti hanno nausea, conati di vomito, talora vero e proprio vomito, perdita di appetito, sensazione di malessere generale, spesso stipsi. Qualche volta, soprattutto se l’infiammazione si è estesa agli organi vicini, può comparire un lieve rialzo febbrile. Può accadere che il dolore, anziché in sede ileociecale venga avvertito in sede colecistica, cioè un po’ più in alto, appena sotto l’arcata costale di destra. Ciò può dipendere da una posizione anormale dell’appendice, che è “alta”, cioè appena sotto il fegato più sovente invece si tratta di spasmi riflessi della colecisti. Nelle donne può esistere l’associazione dell’a. cronica con l’annessite destra, termine con cui si intende l’infiammazione degli annessi, cioè dell’ovaio e della tuba uterina di destra: questo fatto si comprende facilmente tenendo conto della vicinanza tra i suddetti organi. Qualche volta l’a. cronica si manifesta con sintomi che simulano una malattia dello stomaco: infatti ci sono pazienti che accusano dolore localizzato all’epigastrio, difficoltà alla digestione, senso di peso postprandiale, nausea, bruciore retrosternale basso, acidità di stomaco. Questo quadro induce a pensare all’ulcera gastrica però l’esame radiologico esclude tale affezione, e d’altra parte la palpazione profonda in corrispondenza dei punti appendicolari risveglia dolore sia all’epigastrio sia nella zona ileociecale. Probabilmente alla base di questa sintomatologia stanno riflessi che partono dall’appendice infiammata, i quali si ripercuotono a livello dello stomaco determinando sia una accentuazione della peristalsi (da cui il dolore) sia un aumento della secrezione di succo gastrico (onde iperacidità, bruciore).

Diagnosi
I sintomi dell’a. cronica sono quanto mai incerti potendo simulare via via una colecistite, un’ulcera gastroduodenale, un’annessite bisogna però tener presente la possibilità di coesistenza di tali associazioni morbose. La diagnosi in base ai soli dati clinici spesso non è agevole: risulta facile solo in quei casi ove a un primitivo attacco di a. acuta, apparentemente guarita, fanno seguito dei disturbi appendicolari i quali periodicamente si riacutizzano (a. cronicizzata o secondaria). Per le forme croniche sin dall’inizio l’accertamento diagnostico è più delicato e si avvale dell’esame radiografico che, mentre da una parte esclude lesioni a carico di organi a cui la sintomatologia fa pensare, dall’altro evidenzia alterazioni appendicolari nel senso di angolature, aderenze, irregolarità di riempimento dell’appendice stessa ad opera del liquido radiopaco. Tali segni non indicano con certezza l’esistenza di un’a. cronica. Maggior valore ha il dolore alla pressione in sede appendicolare, documentabile durante l’esame radioscopico.

Terapia
L’unica terapia valida è l’appendicectomia, a cui ci si deve sottoporre senza lasciar passare troppo tempo per le possibili complicanze della malattia. Più trascorre il tempo, infatti, più l’intervento si fa complesso per l’instaurarsi di aderenze con gli organi circostanti. Infatti al tavolo operatorio l’appendice può apparire libera, ma con angolature e strozzamenti il più delle volte però si presenta aderente agli organi vicini, specie al cieco, all’ileo, al mesentere, all’epiploon, per cui la liberazione dell’appendice da queste aderenze determina il prolungamento della durata dell’intervento. Per sostenere la diagnosi di a. cronica in pazienti con dolori addominali persistenti in fossa iliaca destra, l’appendice asportata deve presentare segni di fibrosi, con una parziale o completa ostruzione del lume e sulle pareti segni di infiammazione cronica. Possibili complicanze dell’appendicectomia sono infezioni della ferita, ascessi intraperitoneali, fistole enterocutanee od occlusioni intestinali.Attualmente l’intervento di appendicectomia può essere eseguito anche per via laparoscopica, mediante l’introduzione nella cavità peritoneale degli strumenti e di una telecamera che consentono la visione della cavità e l’esecuzione dell’operazione senza l’apertura della parete addominale e del peritoneo.L’indicazione a questo nuovo tipo di intervento appare giustificata da una riduzione del tempo di degenza postoperatoria e dalla più precoce ripresa dell’attività lavorativa che sembrano dovute alla minore invasività della procedura chirurgica. La recente introduzione della metodica non consente tuttavia una valutazione definitiva dei reali vantaggi della procedura nei confronti dell’intervento tradizionale.

APPETITO

Sensazione cui è associata una componente psichica molto più intensa di quella che accompagna la sensazione di fame e che consiste nel desiderio di un cibo che l’esperienza ha indicato come particolarmente piacevole. La forte componente affettiva dell’a. (salivazione e secrezione gastrica molto intense al pensiero del cibo preferito) è unita a fattori ereditari che indipendentemente dall’esperienza intervengono nella selezione dei cibi più appetibili.Gli stimoli periferici coinvolgono oltre alla mucosa dello stomaco anche la parete muscolare: l’odore di una sostanza disgustosa causa un abbassamento dello stomaco con diminuzione del tono muscolare e insorgenza di nausea un aumento del tono dello stomaco, come nel digiuno, fa insorgere tale desiderio la vista e l’odore di cibi appetitosi si accompagnano a aumento del tono gastrico. Stati psichici come l’ansietà, la paura e l’ira abbassando il tono gastrico, tolgono l’a.Le malattie dello stomaco che si accompagnano a ipotonia o atonia dello stomaco (gastriti ipotoniche) comportano in genere diminuzione di tale sensazione.

APPRENDIMENTO

Termine con cui ci si riferisce ai complessi processi di acquisizione che permettono all’uomo di memorizzare informazioni, modelli di comportamento, abilità. L’a. non è però solo un immagazzinamento in memoria di dati provenienti dalla realtà esterna: tali dati infatti devono essere organizzati in schemi logici, in primo luogo temporali e causali, che ne permettano un utilizzo in termini operativi. Si tratta di un processo dinamico in cui l’individuo è chiamato sempre a svolgere una funzione attiva. Possiamo considerare l’uomo come un organismo dotato di memoria, di capacità di elaborare dati, di sensori (vista, udito ecc.) che lo mettono in contatto con il mondo esterno, di strumenti (i comportamenti) che gli permettono di intervenire sulla realtà. Abbiamo così un circuito mediante il quale le informazioni dal mondo esterno, attraverso i sensori, penetrano nell’organismo dove vengono adeguatamente elaborate, per essere immagazzinate in memoria e riutilizzate quando occorre tramite l’assunzione di comportamenti specifici. Tale circuito, all’apparenza semplice, è in realtà molto articolato. Infatti il processo di a. non può considerarsi come riferibile ad un solo evento o dato considerato isolatamente: ogni dato appreso fa parte di un contesto, in cui per di più è inserito anche l’organismo che apprende. L’uomo apprende non solo il dato specifico, ma anche il modo in cui il dato è collocato nel contesto e gli attributi che quest’ultimo gli riferisce.Nell’interazione individuo-ambiente si ha un processo di a. continuo, in cui l’uno agisce sull’altro e viceversa: gli stessi comportamenti che l’individuo pone in atto, modificando nell’ambiente la disposizione degli oggetti e degli altri individui, favoriscono il prodursi di nuovi apprendimenti. La capacità dell’uomo di apprendere in maniera organizzata, riuscendo a collocare gli eventi in una dimensione temporale in cui si distinguono il passato, il presente ed il futuro, è certamente alla base della sua evoluzione. L’importanza dell’a. è segnalata anche dall’attenzione messa nello studiare i diversi fattori che intervengono a favorirlo oppure ad inibirlo. Di tali fattori, i principali sono: l’età l’intelligenza la motivazione, anche se un eccesso di motivazione può provocare ansia e conseguente scadimento circa la qualità dell’a. stesso la partecipazione l’esperienza (presenza di un’esperienza preliminare, collegabile all’attuale). Accanto a questi fattori specifici, ne esistono altri di carattere più generale come l’approvazione, il riconoscimento, la pressione sociale che intervengono egualmente nel favorire od inibire il prodursi di a.

APRASSIA

Incapacità di effettuare un movimento organizzato ad un fine, cioè il complesso dei movimenti che compongono un atto, pur in assenza di paralisi motoria, deficit sensitivo o mentale. È stata anche suggestivamente definita l’oblio dei gesti. Complessivamente l’aprassico perde il ricordo della giusta successione dei movimenti necessari per eseguire un atto i suoi tentativi si traducono in un gesticolare goffo e incoerente, non adeguato allo scopo.Generalmente all’a. si associa l’incapacità di imitare i movimenti complessi.Si distinguono generalmente una a. ideativa ed una a. ideomotrice, che corrispondono ad alterazioni delle due successive fasi che costituiscono l’esecuzione di un atto: la formulazione mentale (l’idea, il piano dei movimenti necessari per quell’atto) e la sua espressione motoria (la trasformazione di quell’idea in movimento).A. ideativa. È turbata l’ideazione del gesto, con incapacità di eseguire nella giusta successione i singoli movimenti che costituiscono un atto. Il paziente, per esempio, non è in grado di concepire i movimenti da effettuare, ordinatamente nell’atto di accendere una sigaretta mette in bocca il fiammifero invece della sigaretta o sfrega la sigaretta contro la scatola.A. ideomotrice. Il gesto è perfettamente concepito, il paziente sa che cosa e come deve fare, infatti può descrivere verbalmente l’atto in ogni suo particolare, ma non è in grado di eseguirlo volontariamente o dietro ordine, pur non essendo affetto da paralisi periferica delle parti interessate nell’esecuzione dei movimenti richiesti. Ha perso la capacità di tradurre l’idea del movimento nella rispettiva azione. Lo stesso gesto, se non è volontario, ma automatico, verrà effettuato dal paziente in modo esatto. Frequentemente le aprassie risultano da lesioni cerebrali localizzate, soprattutto di tipo tumorale o vascolare, ma possono anche essere sintomatiche di stati infiammatori o degenerativi del cervello.La terapia, se possibile, è di tipo rieducativo.

APROTININA

Farmaco usato nei pazienti ad alto rischio di perdite ematiche durante o dopo chirurgia a cuore aperto con circolazione extracorporea. Si tratta di un enzima proteolitico inibitore che agisce sulla plasmina e sulla callicreina.

APTENE

Antigene (v.) incompleto, capace di indurre la formazione di anticorpi specifici solo se coniugato con una proteina. Gli apteni sono sostanze a basso peso molecolare, molto diffusi nell’ambiente esterno, che possono unirsi a proteine dell’organismo con cui vengono a contatto trasformandosi in antigeni completi verso i quali l’organismo produrrà anticorpi.Questo fenomeno è alla base di molte reazioni allergiche: asma, orticaria ecc.

APTOGLOBINE

Proteine del siero, appartenenti alla frazione alfa2-globulinica, deputate al trasporto di emoglobina libera nel distretto circolatorio. È un’alfaglobulina normalmente presente nel siero ad alta concetrazione (1,0 g/l). Si lega alla porzione proteica dell’emoglobina ed il composto ottenuto viene rapidamente eliminato dal sangue ad opera dei monoliti-macrofagi. Possono mancare nel sangue del neonato negli adulti di alcune popolazioni sono presenti solo in scarsa quantità. In presenza di emolisi massiva l’aptoglobina viene presto saturata e l’emoglobina circolante va a permeare i glomeruli renali, per poi essere riassorbita nel tubulo prossimale, depositando ferro sotto forma di ferritina ed emosiderina la ricerca di ferro nelle urine può rendere conto di questa condizione. In stadi più avanzati si arriva all’emoglobinuria franca.Valori molto bassi, o addirittura assenza di a. si registrano in numerose epatopatie, in alcune anemie emolitiche e nella malaria. Un aumento dei valori si verifica nei processi di natura infiammatoria, sia distruttivi che riparativi.

APUD, SISTEMA

(Sigla di Amine Precursor Uptake and Decarboxilation), complesso di cellule irregolarmente distribuite in sedi diverse del corpo umano. È costituito da cellule che hanno la caratteristica comune di essere originate a livello embrionale dalla cresta neurale romboencefalica, di secernere sostanze di tipo ormonale, e di contenere ammine e loro precursori e di poterli decarbossilare.Fanno parte del sistema APUD cellule di ipofisi, tiroide, glomo carotideo, polmone, surrene, stomaco, duodeno, intestino, pancreas.

APUDOMI

Classe di piccoli tumori, benigni e maligni, tutti originati dalle cellule del sistema APUD e caratterizzati da sintomatologie diverse, in rapporto alla natura della sostanza, di tipo ormonale, che le varie cellule del sistema APUD sono in grado di secernere. Fanno parte degli a. i carcinoidi intestinali e polmonari, gli insulinomi, i glucagonomi, i gastrinomi.Anche le cosiddette adenomatosi endocrine multiple (MEA) rientrano nella classificazione di a.: sono caratterizzate da sintomatologie complesse per la coesistenza di tumori diversi che elaborano ormoni diversi queste adenomatosi sono ereditarie e danno origine alle sindromi di Werner e Sipple.

ARACNOIDE

L’intermedia delle membrane (meningi) che avvolgono l’encefalo e il midollo spinale (le altre membrane sono denominate rispettivamente pia madre e dura madre). L’a. è una membrana sottile, trasparente, situata internamente alla dura madre e separata da essa da uno spazio virtuale, praticamente inesistente, detto spazio sottodurale. Con la sua faccia interna l’a. riveste la pia madre.L’a. è così detta perché, come una tela di ragno, passa a ponte sopra i solchi e le scissure presenti sulla superficie dell’encefalo, senza penetrarvi. Tra a. e pia madre (la più interna delle meningi) rimane così delimitato uno spazio (spazio subaracnoideo) formato da lacune (dette cisterne) tra loro comunicanti nello spazio subaracnoideo circola il liquido cefalorachidiano e decorrono i grossi vasi destinati all’irrorazione dell’encefalo.L’a. può essere sede di svariati processi patologici: emorragie, infiammazioni, tumori.

ARACNOIDITE

Processo infiammatorio interessante l’aracnoide, la cui sintomatologia dipende dalla regione colpita del sistema nervoso centrale. Le forme interessanti il cervello possono conseguire a traumi o più spesso a processi infiammatori acuti, subacuti o cronici, anche di origine infettiva, delle cavità della faccia (otiti, sinusiti, rinofaringiti, infezioni dentarie).Le forme spinali succedono generalmente a iniezioni intradurali, traumi, emorragie subaracnoidee o possono essere la complicanza di lesioni spinali.L’a. presenta diverse forme, con varia sintomatologia, dipendente dalla regione interessata.- L’a. rolandica interessa la corteccia precentrale deputata alla regolazione del movimento volontario del corpo e si manifesta con emiparesi e crisi epilettiche.- L’a. ottochiasmatica si sviluppa nella regione del chiasma ottico e la sintomatologia è costituita da restringimento del campo visivo e diminuzione del visus. Quando l’a. è localizzata nella fossa cerebrale posteriore sono presenti segni di ipertensione endocranica, sindrome cerebellare con alterazioni dell’attitudine e dell’equilibrio, paralisi del VI, VII, VIII paio di nervi cranici.- L’a. spinale consiste in alterazioni della sensibilità, dolori e più tardi deficit motorio. La prognosi non desta preoccupazioni per la vita del paziente, ma la funzionalità delle regioni colpite è difficilmente ripristinata.

ARC

Abbreviazione di AIDS-Related Complex, complesso correlato all’AIDS. È un termine utilizzato per la stadiazione della malattia, sia a fini epidemiologici che terapeutici. È definito dalla presenza di almeno due sintomi (febbre, sudorazione notturna, malessere, riduzione del peso corporeo >10%, diarrea, dermatite seborroica e linfoadenopatia generalizzata) o più alterazioni del sistema immunitario legate all’infezione da HIV (diminuzione dei linfociti T CD4+, aumento di alcune proteine infiammatorie, presenza di alcuni antigeni, diminuzione di specifici anticorpi, ecc.). Nella definizione di ARC sono comprese inoltre alcune infezioni, quali la candidosi del cavo orale, la condilomatosi diffusa, i cui agenti causali, di norma, in persone sane, non danno gravi manifestazioni cliniche, ma che nel paziente HIV positivo, possono determinare quadri di eccezionale gravità.

ARCHETIPO

Concetto elaborato dallo psichiatra e psicoanalista C. G. Jung. Indica, usando le parole stesse di Jung, “le grandi immagini primordiali”, cioè i modelli originari e primitivi, riferiti all’eredità razziale dei ricordi significativi. Gli archetipi sono comuni a popoli, a intere epoche storiche e compongono l’“inconscio collettivo” (contrapposto all’inconscio individuale). Jung non accettò la formulazione freudiana dell’importanza capitale della sessualità e del suo ruolo nella vita psichica, mosso come era dalla volontà di spiegare tutta una totalità di manifestazioni (dal simbolismo personale, al pensiero magico, al significato dei miti, al pensiero religioso) da lui considerate come caratteristiche fondamentali e storicamente ricorrenti della vita mentale dell’uomo. Gli archetipi sono infatti funzioni universali legate intrinsecamente alle modalità dello psichismo dell’umanità, costantemente presenti nelle trasformazioni differenti che in momenti storici diversi essa ne fa. In tal senso gli archetipi in sé, nelle loro linee fondamentali, sono assai difficili da cogliersi. Ciò che si può individuare ed interpretare è piuttosto la singola immagine archetipica così come si articola nella storia di un singolo individuo o nell’elaborazione di una comunità o gruppo culturale.

ARCHICEREBELLO

Porzione filogeneticamente più antica del cervelletto a essa giungono informazioni provenienti dal sistema vestibolare, riguardanti la posizione e l’orientamento del corpo e del capo nello spazio. Nell’uomo l’a. corrisponde al lobo flocculo-nodulare.

ARCHIPALLIO

Porzione filogeneticamente più antica della corteccia cerebrale nell’uomo è molto ridotta, per lo sviluppo preponderante assunto dal neopallio, e corrisponde alla formazione ammonica o ippocampo. L’a. costituisce essenzialmente un centro di correlazione di stimoli olfattivi.

ARCO RIFLESSO

Unità elementare organizzativa del sistema nervoso inteso quale centro funzionale della vita di relazione. Non si trova rappresentato nelle forme di vita inferiore dove la sua funzione è assunta da meccanismi o da sistemi più elementari fa invece la sua comparsa negli esseri viventi nei quali il sistema nervoso assume un’individualità ben differenziata. L’a. riflesso rappresenta un sistema di coordinamento tra uno stimolo e la reazione dell’organismo venuto a contatto con lo stimolo: rappresenta un mezzo automatico di adattamento dell’organismo alle condizioni ambientali e di regolazione delle sue prestazioni. Quando alla periferia uno stimolo qualsiasi dà luogo a un impulso nervoso, questo, attraverso una fibra, raggiunge il neurasse e qui si trasmette, attraverso la sinapsi, a un’altra cellula nervosa, la quale a sua volta lo porta di nuovo alla periferia. Si avrà quindi un’azione riflessa quando l’impulso percorre almeno due neuroni, uno che dalla periferia lo porta al centro (cioè al sistema nervoso centrale) e l’altro che dal centro lo riporta alla periferia questo sistema di neuroni, che costituisce la base anatomica dell’azione riflessa, viene chiamato appunto a. riflesso.L’a. riflesso è costituito schematicamente da:- un elemento nervoso recettore, che registra lo stimolo e, purché questo sia adeguato e di sufficiente intensità, genera l’impulso nervoso - una fibra nervosa che conduce lo stimolo in senso centripeto verso il sistema nervoso centrale e che appartiene al neurone che dalla periferia porta l’impulso al centro, cioè il neurone afferente (generalmente con neurite “a T”) - un numero variabile di collegamenti che distribuiscono in varie direzioni l’informazione percepita dal recettore - una cellula nervosa cui è giunta l’informazione e che, rappresentando la seconda parte dell’arco, invia attraverso la sua fibra in senso centrifugo la risposta riflessa. Questa cellula è definita neurone efferente e, con il suo cui prolungamento lungo (assone) si porta alla periferia - un elemento effettore che riceve l’impulso di risposta e compie l’azione coordinata (tale elemento può essere un muscolo o una ghiandola, a cui arriva l’assone del neurone efferente). Così uno stimolo applicato alla periferia provocherà una pronta risposta consistente in una contrazione muscolare o in una secrezione ghiandolare. Ogni variazione dell’ambiente, sia esso interno o esterno all’organismo, può indurre nell’individuo una rapida modificazione che gli permette di adeguarsi meglio alla nuova condizione creatasi e soprattutto di non riceverne danno. L’a. riflesso ha inizio alla periferia con un recettore, sensibile agli stimoli e in grado di trasformarli in impulsi nervosi con la massima efficienza.La cellula nervosa proveniente dalla periferia raramente si articola direttamente con quella che dal centro si porta verso la periferia: in questo caso avremo un a. riflesso monosinaptico, cioè un a. in cui si trova una sola sinapsi. Se ciò si verificasse sempre e solo in questo modo, qualsiasi stimolo sarebbe in grado di produrre un’azione riflessa brusca, non controllata e troppo automatica e rudimentale. In realtà sul neurone efferente arrivano fibre praticamente da tutte le altre parti del nevrasse questo neurone viene perciò anche chiamato via finale comune. In tal modo il comando che va verso la periferia è un comando per la formulazione del quale si è tenuto conto di “esigenze” e influenze provenienti da parti diverse del sistema nervoso e attraverso percorsi diversi, sui quali saranno intercalate sinapsi in numero e di tipo variabile. Frequentemente, inoltre, tra il neurone afferente e quello efferente non esiste una giunzione diretta, ma si trovano interposti altri neuroni che vengono chiamati interneuroni (o neuroni intercalari). Nel caso di riflessi spinali, il neurone afferente arriva al midollo spinale attraverso le corna posteriori mentre il corpo cellulare del neurone efferente si trova nelle corna anteriori del midollo stesso. Quando ci sono gli interneuroni, questi possono collegare il neurone afferente con un neurone efferente dello stesso lato, oppure del lato opposto, oppure ancora con un neurone efferente situato in un segmento diverso di midollo, posto a una diversa altezza, e tali differenti possibilità si verificano spesso tutte insieme.
In questi casi si parla di a. riflesso polisinaptico, in quanto numerose sono le connessioni sinaptiche che si stabiliscono. L’automatismo è attuato dai neuroni che assicurano la diffusione o irradiazione della risposta. Infatti, l’impulso proveniente dal neurone afferente si dirigerà non solo su un neurone efferente dello stesso lato, ma anche ad altri neuroni. L’azione riflessa che così ne deriva sarà un’azione complessa, dosata e del tutto rispondente in maniera adeguata alle aspettative.Quando il neurone efferente invia impulsi a un muscolo scheletrico, l’a. riflesso viene detto somatico (o motorio) quando il neurone efferente sovraintende l’attività di un tessuto muscolare liscio, di un tessuto ghiandolare o della muscolatura cardiaca, l’arco riflesso è detto autonomo.Le funzioni dell’a. riflesso sfuggono al controllo volontario al contrario esse vengono semplicemente registrate, e questo non sempre, soltanto dopo la loro esplicazione. Ciò si spiega facilmente con il fatto che la prima parte dell’a. riflesso, innescata dallo stimolo, scatena rapidamente la risposta riflessa prima ancora che lo stimolo stesso, attraverso collegamenti più complessi e vie nervose più lunghe, possa giungere alla corteccia cerebrale per essere identificato a livello di coscienza.

AREE CORTICALI

La corteccia può essere suddivisa in vari distretti o aree. La differente struttura istologica di queste aree corrisponde a una differenza nelle funzioni. Per individuare la localizzazione di determinate funzioni nelle varie aree della corteccia cerebrale si usano principalmente i seguenti metodi: si esaminano gli effetti derivanti dall’estirpazione o dalla lesione di tratti di corteccia si analizzano gli effetti ottenuti con la stimolazione di queste stesse zone con mezzi elettrici o chimici, come per esempio l’applicazione di stricnina si registrano le variazioni di potenziale elettrico (che è espressione dell’attività corticale) della corteccia quando viene applicato su una data zona della superficie del corpo uno stimolo sensitivo o sensoriale.Alcune aree della corteccia, dette aree motorie, sono principalmente sede di origine degli impulsi motori e sovrintendono quindi ai movimenti volontari altre aree (aree sensitive) rappresentano la sede di recezione degli impulsi sensitivi, cioè inerenti alla sensibilità generale (tattile, termica, dolorifica e profonda) altre ancora (aree sensoriali) sono adibite alla recezione degli impulsi sensoriali (cioè quelli provenienti dagli organi di senso specifici, ossia gli organi dell’udito, della vista, del gusto e dell’olfatto) vi è poi l’area psicomotoria, che presiede all’elaborazione dei movimenti complessi e alla regolazione dell’equilibrio. Le aree motorie corrispondono al punto di partenza degli impulsi motori volontari. La loro corteccia è eterotipica agranulare, in quanto lo strato dei granuli interni è pressoché assente, mentre ha notevole sviluppo lo strato delle grandi cellule piramidali. Le principali aree motorie sono l’area 4 di Brodmann, che occupa il labbro anteriore della scissura di Rolando, la circonvoluzione precentrale (o prerolandica), e l’area 6, davanti a questa. Nell’area 4, stimolando successivamente varie zone della circonvoluzione prerolandica procedendo dall’alto verso il basso, si provocano rispettivamente movimenti della gamba, del tronco, del braccio e della testa: infatti i centri motori dell’arto inferiore sono localizzati nella parte alta della circonvoluzione prerolandica, quelli del tronco e dell’arto superiore nella parte media e quelli della testa nella parte inferiore. La distribuzione di questi centri può essere rappresentata sulla superficie della corteccia dalla figura di un omino capovolto (Homunculus motorius). L’estensione di tali centri non corrisponde però alla vastità del territorio innervato, ma piuttosto alla complessità e alla delicatezza dei movimenti che tale territorio compie. Dall’area 4 trae origine la via motrice piramidale, mentre dall’area 6 parte la via extrapiramidale. Le aree sensitive (aree 1, 2, 3 e 7 di Brodmann) corrispondono alla sede di arrivo e di elaborazione degli impulsi concernenti la sensibilità generale (sensibilità tattile, termica, dolorifica e profonda). Sono caratterizzate strutturalmente dal possedere gli strati dei granuli particolarmente sviluppati lungo il labbro posteriore della scissura di Rolando e su quasi tutto il giro postcentrale si ha la varietà di corteccia esclusivamente granulare, detta coniocorteccia. Le a. corticali sensoriali sono dislocate in punti della corteccia fra loro distanti: il centro uditivo (aree 41, 42 e 22) è disposto nella scissura di Silvio e sulla 1ª circonvoluzione temporale il centro visivo (aree 17, 18 e 19) è situato sulle pareti della scissura calcarina e nella zona circostante il centro del gusto è probabilmente localizzato a livello della circonvoluzione dell’ippocampo il centro dell’olfatto, infine, risiede nell’estremità anteriore della circonvoluzione dell’ippocampo e della circonvoluzione del corpo calloso.I centri sensitivi e sensoriali possiedono un’area strettamente adibita alla percezione delle sensazioni e un’area periferica destinata ad apprezzare il significato di queste sensazioni e a integrarle con altre di genere differente. Ciò spiega la possibilità che alcune lesioni della corteccia, quando colpiscano le aree parasensitive o parasensoriali, determinino un disturbo particolare consistente nell’incapacità di riconoscere e di identificare la natura degli oggetti, dei quali pur si è in grado di apprezzare le proprietà fisiche: si parla in tali casi di agnosia. Oltre alle aree motorie, sensitive e sensoriali, sono state identificate nella corteccia altre zone (centri di linguaggio zone corticali, localizzate prevalentemente nel lobo parietale) che presiedono all’elaborazione di funzioni più complesse.
Infine alla corteccia del lobo prefrontale (cioè di quella parte del lobo frontale situata davanti alla zona motoria) spettano funzioni di regolazione e di controllo dell’equilibrio (la sua lesione provoca atassia) e in essa vengono elaborate attività psichiche complesse ed elevate a questo livello si realizza l’integrazione tra le funzioni puramente intellettive e quelle istintivo-affettive.

ARENAVIRUS

Nome comune con cui si definiscono i virus appartenenti alla famiglia Arenaviridae. Essi hanno dimensioni variabili tra 60 e 300 nm di diametro. Gli a. sono virus a RNA, cioè possiedono come patrimonio genetico un filamento di acido ribonucleico sono inoltre caratterizzati da un involucro esterno, o capside, a forma di clava, e da organuli interni molto simili ai ribosomi.Agli a. appartengono i tre ceppi virali denominati Lassa, complesso LCM e complesso Tacaribe. Nella maggior parte dei casi, il serbatoio (ossia l’insieme degli organismi ospiti) di tali forme virali è rappresentato da roditori attraverso la saliva, le secrezioni nasali e l’urina di questi, i virus possono disperdersi e infettare altri organismi, tra cui l’uomo, scatenando patologie molto gravi.I virus del ceppo Lassa sono responsabili della cosiddetta febbre di Lassa, descritta per la prima volta in Nigeria nel 1969.I virus del ceppo denominato complesso LCM causano la coriomeningite linfocitaria, un tipo di infiammazione acuta benigna delle meningi che può manifestarsi in tre forme distinte a seconda di quale dei virus patogeni di questo complesso determina l’infezione: in una forma, la meningite asettica, si ha l’infiammazione delle meningi accompagnata da un aumento dei linfociti nel liquido cefalorachidiano in una seconda forma, si sviluppa una meningoencefalite, ossia l’infiammazione delle meningi e dell’encefalo una terza forma assume il decorso di una influenza.I virus del ceppo denominato complesso Tacaribe producono tutti malattie di tipo emorragico in particolare, il virus Machupo causa la cosiddetta febbre emorragica boliviana, una patologia endemica in Brasile dal 1958, mentre il virus Junin è responsabile della febbre emorragica argentina, diffusa tra i contadini delle zone rurali più interne.

AREOLA MAMMARIA

Zona di cute che si trova tutto intorno al capezzolo, in corrispondenza della sommità della mammella. L’a. mammaria ha la stessa colorazione del capezzolo, cioè rosa nella bambina e nella donna, nella gravida e nella nutrice tende al bruno. La cute di tale zona è provvista di ghiandole sudoripare, sebacee e di ghiandole mammarie nane. Durante la gravidanza e l’allattamento l’a. mammaria si espande cosicché attorno ad essa si forma un’areola secondaria. La superficie è ruvida per la presenza di ghiandole sebacee modificate, la cui secrezione avrebbe la funzione di rendere il capezzolo morbido ed elastico. Le ghiandole mammarie nane si ipertrofizzano e formano tutto intorno dei rilievi (tubercoli del Montgomery)

ARGIRISMO

Intossicazione cronica da sali d’argento. Si manifesta in soggetti che hanno fatto uso per lungo tempo di queste sostanze a scopo terapeutico: oggi tuttavia esse non sono più in uso, tranne in alcuni colliri, per cui l’a. si osserva quasi esclusivamente come malattia professionale.L’a. è caratterizzato soprattutto da una pigmentazione grigiastra della cute e delle mucose (argirosi) dovuta al depositarsi del metallo negli interstizi tra i tessuti. Possono associarsi anche astenia, nausea, edemi.Una pigmentazione grigiastra da argento si può osservare limitatamente alla congiuntiva, dopo uso prolungato di colliri a base di sali d’argento per la cura di congiuntiviti croniche.

ARIA RESPIRATORIA

Quantità di aria che entra ed esce durante la respirazione normale è detta anche volume corrente o volume ventilatorio, corrisponde a 500 ml ca. e rappresenta solo una frazione di quella che può essere inspirata ed espirata nella respirazione profonda.L’aria complementare, o volume di riserva inspiratoria, è la quantità di aria che può essere ancora inspirata con sforzo dopo un’inspirazione normale l’aria supplementare, o volume di riserva espiratoria, è quella che, terminata una espirazione normale, può essere ulteriormente emessa. Il volume di aria complementare e supplementare rappresenta la capacità vitale e corrisponde a 4000 ml ca., almeno in un soggetto maschio adulto e di costituzione media.Anche dopo un forte sforzo espiratorio una certa quantità di aria rimane ancora nei polmoni, costituendo l’aria residua. Anche dopo la morte permane sempre nei polmoni una quantità di aria essa prende il nome di capacità residua funzionale e ha il compito, mescolandosi al volume ventilatorio, di mantenere a livello alveolare una pressione di ossigeno e di anidride carbonica, una umidità e una temperatura costanti e ottimali. La somma del volume ventilatorio, della riserva inspiratoria e di quella espiratoria è detta capacità vitale. La somma della capacità vitale con il volume residuo è indicato con il termine di capacità polmonare totale ed esprime il volume di aria massimale che può essere contenuto nei polmoni: il suo valore nel soggetto sano è di circa 6 litri dati, per il 75%, dalla capacità vitale, per il restante dal volume residuo.

ARIBOFLAVINOSI

Malattia provocata da carenza di vitamina B2 o riboflavina. Può essere causata anche dalla somministrazione di un anatagonista, la galattoflavina.È tuttora molto diffusa nei paesi sottosviluppati, più spesso in associazione a deficienza di altre vitamine del gruppo B. Si può osservare anche nelle nostre regioni, particolarmente in soggetti debilitati, specie in etilisti cronici.

Sintomi
Si manifesta con la comparsa di alterazioni atrofiche e di infiammazione alle labbra, alla lingua, agli angoli della bocca, associate ad una dermatite per lo più localizzata al volto, ma che può estendersi anche al tronco e alle estremità. Possono associarsi anche disturbi della vista e dermatite seborroica. Tutti questi sintomi non sono specifici, in quanto possono comparire anche in altre forme di deficienza vitaminica. ormoni tiroidei e steroidi migliorano il quadro clinico.

Terapia
La somministrazione della riboflavina determina la regressione delle lesioni.

ARITENOIDI

Cartilagini facenti parte dello scheletro della laringe. Sono due, una per lato, hanno forma di piramide a base triangolare e sono situate nella parte posteriore e superiore della laringe, al di sopra della cartilagine cricoide con cui si articolano. Le a., presentano alla loro base le apofisi anteriore e posteriore. La prima, detta anche apofisi vocale, sporge nella cavità laringea e dà inserzione all’estremità posteriore della corda vocale vera la seconda, detta anche apofisi muscolare, dà inserzione ai due muscoli cricoaritenoideo posteriore e cricoaritenoideo laterale, i quali, dipartendosi da essa, divergono con direzione opposta per raggiungere rispettivamente il contorno posteriore e quello laterale dell’anello cricoideo. Ne consegue, quindi, che questi due muscoli sono antagonisti: l’azione dell’uno è cioè contraria a quella dell’altro. La contrazione del muscolo cricoaritenoideo posteriore, infatti, porta indietro e all’interno l’apofisi muscolare, mentre sposta contemporaneamente in avanti e all’esterno l’apofisi vocale, per cui le corde vocali, inserite su queste ultime, vengono rilasciate e distanziate l’una dall’altra. La contrazione del muscolo cricoaritenoideo laterale, invece, inverte i movimenti delle due apofisi e determina quindi l’avvicinamento delle due corde vocali. Questi due muscoli che assolvono a un compito essenziale nella fonazione, sono aiutati nella loro funzione da altri che, secondo la loro specifica azione, ricevono il nome di muscoli dilatatori o muscoli costrittori della laringe.

ARITMIA

Disturbo caratterizzato dalla perdita o alterazione del normale svolgersi in modo ritmico e regolare di alcune funzioni vitali dell’organismo, quali l’attività contrattile del cuore (battiti cardiaci) e gli atti respiratori.Disturbi del ritmo cardiaco

Cause
Possono essere in rapporto ad alterazioni del sistema di conduzione (cioè di quel complesso di strutture a livello delle quali nasce e viene trasmesso a tutto il miocardio l’impulso alla contrazione), oppure ad alterazioni riguardanti l’eccitabilità delle fibre muscolari cardiache. Tali condizioni possono essere determinate da processi patologici di diversa natura a carico del cuore (per es. miocardiosclerosi, infarto, reumatismo articolare acuto, cardiopatie valvolari ecc.), oppure possono essere secondarie a malattie generali dell’organismo (intossicazioni soprattutto iatrogene come da digitale, disfunzioni endocrine quali l’ipertiroidismo ed il feocromocitoma, squilibri elettrolitici come l’ipopotassiemia ecc.) talvolta può trattarsi semplicemente di un disturbo funzionale, espressione di alterazioni dell’equilibrio neurovegetativo, specie in soggetti giovani, nevrotici, ansiosi (sforzi fisici, disturbi digestivi, abuso di sostanze eccitanti come caffè e tabacco possono aumentare attraverso il sistema simpatico l’eccitabilità delle cellule del miocardio determinando soprattutto extrasistoli o tachicardie sinusali.Le aritmie vengono classificate in base alla sede di insorgenza (sopraventricolari o ventricolari) o in base ai meccanismi elettrofisiologici che le determinano (anomala formazione dell’impulso in focolai ectopici turbe della conduzione per la presenza di vie anomale accessorie in cui lo stimolo può andare incontro a cortocircuito) o ancora in base alla loro frequenza (a. ipocinetiche – sotto ai 60 bpm o ipercinetiche – sopra ai 100 bpm).Le aritmie ipercinetiche possono originare in un qualunque punto del sistema di conduzione e tradursi in un evento sporadico (battiti prematuri o extrasistoli) o in un aumento ordinato (tachicardia) o disordinato (tachiaritmia) della frequenza cardiaca.Le aritmie ipocinetiche possono essere determinate da anomala formazione dell’impulso (disfunzioni del nodo seno-atriale) o da turbe della propagazione (blocchi seno-atriali, atrio-ventricolari e delle due branche del fascio di His).Le aritmie interferiscono con la normale funzione cardiaca di pompa: in condizioni normali il cuore è in grado di mantenere costante la portata cardiaca (cioè la quantità di sangue immessa in circolo nell’unità di tempo) anche con ampie variazioni della frequenza (da 40 a 160 bpm) modificando adeguatamente la gittata sistolica (cioè la quantità di sangue espulsa con ogni sistole o contrazione cardiaca). Quando il miocardio è malato non riesce ad adeguare la gittata sistolica (aumentandola in caso di bradicardia e diminuendola in caso di tachicardia) con conseguente compromissione della funzione di pompa del cuore.

Sintomi
Il quadro clinico che ne deriva può manifestarsi semplicemente con cardiopalmo e percezione irregolare del battito cardiaco da parte del paziente oppure con i sintomi di sofferenza ischemica (angina pectoris) o da bassa portata (vertigini, lipotimie, sincopi).

Diagnosi
Le aritmie cardiache possono essere individuate già durante l’esame obiettivo del cuore e la rilevazione del polso ma la diagnosi di certezza si ha con l’esame elettrocardiografico, con l’ecg dinamico secondo holter, con il test da sforzo e lo studio elttrofisiologico del cuore.Non tutte le aritmie richiedono terapia medica (es. le a. funzionali), il trattamento si rende opportuno quando l’a. provoca sintomi insopportabili o compromette la funzione di pompa del cuore.

Terapia
La terapia si basa su supporti medici (farmaci antiaritmici), elettrofisiologici (cardioversione elettrica o defibrillazione) e sull’impianto di stimolatori (pace-maker).Disturbi del ritmo respiratorioSono caratterizzati dalla successione di atti respiratori irregolari per ampiezza o durata, intercalati da pause a volte molto lunghe. Sono in genere dovuti ad alterazioni dei centri del respiro situati nel bulbo dell’encefalo, che possono conseguire a intossicazioni, a gravi malattie metaboliche, a emorragie cerebrali, meningiti, infezioni.

AROMATERAPIA

Branca della medicina naturale che utilizza come rimedi gli oli essenziali molto concentrati, detti anche essenze, estratti dalle piante. Le proprietà dell’olio essenziale non sono necessariamente uguali a quelle della pianta intera assunta, per esempio, sotto forma di tisana inoltre, l’olio essenziale ricavato dalla radice può avere effetti curativi diversi da quello estratto invece dalle foglie. Infine, lo stesso olio essenziale può essere utile per disturbi diversi, stimolando alcuni sistemi del corpo e rilassandone altri. Secondo i sostenitori di questa disciplina gli oli essenziali possono essere utili:- alla pelle come disinfettanti, come cicatrizzanti in caso di ustioni e tagli, per ricostruire il tessuto danneggiato dalle smagliature e per tenere lontani gli insetti, come per esempio gli acari, le formiche, i pidocchi, le pulci, le tarme e le zanzare - alla circolazione, come equilibratori e come dilatatori dei vasi sanguigni - alle vie respiratorie in caso di raffreddore, tosse, mal di gola e infiammazione dei bronchi.Inoltre, vengono utilizzati come stimoltari di alcune ghiandole o per potenziare il sistema immunitario.Sembra che gli oli essenziali possano anche influenzare profondamente lo stato d’animo di una persona. Proprio su questo ultimo punto si è concentrato attualmente il campo di studi dell’a.Molti oli essenziali possono determinare reazioni allergiche altri, se presi in dosi sbagliate, possono causare danni ai reni, provocare allucinazioni, convulsioni, irritazione o altri problemi, a volte anche gravi. La massima cautela va poi usata quando l’olio essenziale viene preso per via orale.Raramente l’olio essenziale viene somministrato puro è preferibile prenderlo sempre diluito in alcol o, ancora meglio, sotto forma di capsula resistente agli acidi dello stomaco, in modo che possa essere assorbito direttamente nell’intestino.

ARRESTO

Cessazione di un atto.

ARRESTO CARDIACO

Cessazione dell’attività contrattile del cuore. Rappresenta l’evento terminale conclusivo di tutte le malattie che portano a morte e si identifica praticamente con la morte stessa.Con il termine a. cardiaco però normalmente ci si riferisce alla cosiddetta morte improvvisa, cioè all’arresto inaspettato e imprevedibile dell’attività cardiocircolatoria che si verifica in modo istantaneo o comunque molto rapido.

Cause
- Infarto miocardico con le sue complicazioni (shock cardiogeno, fibrillazione ventricolare, blocco della conduzione)
- Malattie cardiache quali la stenosi delle valvole semilunari aortiche, il blocco atrio-ventricolare totale e in generale le malattie delle coronarie, che determinano condizioni di scarsa ossigenazione per il miocardio. Sono anche comprese altre miocardiopatie (ipertrofiche, dilatative, miocarditi) o valvulopatie o altre condizioni aritmiche.
- Scompenso cardiaco.
- Anomalie metaboliche, come acidosi, ipossiemia, ipokaliemia.
- Alterazioni neurofisiologiche.
- Anestesia per un intervento chirurgico, specialmente se essa è associata a scarsa ventilazione polmonare, a perdita di sangue, a disturbi dell’equilibrio elettrolitico dell’organismo.Azione di alcuni farmaci per es. la chinidina, la digitale. Anche alcune cardiotossine possono essere implicate (cocaina). Reazione di ipersensibilità a diverse sostanze (anestetici locali, antibiotici, mezzi di contrasto usati in radiologia ed altre).

Sintomi
Caduta improvvisa a zero della pressione arteriosa, con scomparsa del polso alla palpazione delle arterie periferiche (carotidi, femorali, radiali) e scomparsa dei toni cardiaci normalmente avvertibili con l’auscultazione del cuore dopo brevissimo tempo si ha anche arresto dell’attività respiratoria e perdita della coscienza, quest’ultima dovuta all’insufficiente ossigenazione del tessuto cerebrale.Se l’a. cardiaco avviene in modo istantaneo, il paziente si accascia di colpo senza compiere alcun gesto né emettere alcun lamento altre volte invece può essere preceduto da sintomi premonitori: sensazione oppressiva, angosciosa alla regione cardiaca, sudorazione fredda, nausea e vomito. Il respiro può arrestarsi contemporaneamente all’attività cardiaca, oppure diventare profondo e rantolante, per arrestarsi nel giro di qualche minuto. L’a. cardiaco può essere seguito dalla morte, oppure può regredire spontaneamente o per effetto di manovre rianimatorie. Si ha allora una ripresa più o meno rapida della coscienza, a volte associata ad uno stato confusionale che può persistere per qualche giorno se si sono stabiliti danni cerebrali permanenti residueranno sintomi neurologici. Spesso si rileva la presenza di fibrillazione ventricolare, ma è anche possibile che l’evento determinante sia una tachicardia ventricolare, l’asistolia o la rottura del miocardio.

Terapia
Intervento d’urgenza. È necessario intervenire con urgenza mediante massaggio cardiaco (comprimendo a fondo e ritmicamente, ca. 60 volte al minuto, la parete toracica della regione cardiaca a paziente supino) e respirazione artificiale bocca a bocca. Queste manovre hanno essenzialmente lo scopo di ristabilire un adeguato flusso di sangue ossigenato al cervello. L’iniezione intracardiaca di adrenalina, la stimolazione elettrica del cuore o altre misure terapeutiche opportune potranno poi seguire ove possibile. In caso di asistolia si può prevedere l’applicazione di un pace-maker.

ARRESTO RESPIRATORIO

Cessazione degli atti respiratori.

Cause
Può manifestarsi in modo improvviso e contemporaneamente all’arresto dell’attività cardiaca nella sincope, oppure può essere la conseguenza di lesioni di varia natura (traumi, emorragie, intossicazioni) interessanti il centro nervoso del respiro, situato nel bulbo dell’encefalo, dal quale partono gli stimoli ritmici per l’attività respiratoria automatica infine può costituire l’atto terminale di tutte le malattie che in qualche modo impegnano la funzione respiratoria, determinandone l’insufficienza. L’a. respiratorio comporta la cessazione degli scambi gassosi tra aria contenuta negli alveoli polmonari e sangue dei capillari polmonari e quindi un deficit di ossigeno che in brevissimo tempo provoca gravi danni al tessuto cerebrale ed al miocardio, portando a morte il soggetto.

Terapia
Innanzitutto è importante praticare le manovre rianimatorie di base, dopo aver valutato l’efficienza dell’attività cardiaca. Il paziente va immediatamente ospedalizzato e, dove possibile, bisogna rimuovere la causa primaria. Un’esame TC o RMN può evidenziare la presenza di danni centrali.

ARSENICO, avvelenamento da

Intossicazione acuta o cronica dovuta a ingestione o inalazione di composti arsenicali. L’arsenico alimentare e i suoi derivati insolubili sono, se puri, teoricamente sprovvisti di tossicità.La dose tossica del triossido di arsenico è compresa tra 5 e 50 mg, raggiungendo la dose potenzialmente fatale a 120 mg (1-2 mg/kg), corrispondente ad un livello plasmatici tra i 9 ed i 15 mg/L l’arsenito di sodio (solubile) è nove volte più tossica del triossido, mentre l’arsenico organico è molto meno tossico.In caso di ingestione accidentale di pesticidi contenenti arsenico si può andare incontro a fenomeni di tossicità acuta. L’arsenico passa la placenta e può causare danni fetali. L’escrezione urinaria elimina il 90% del composto ma dopo ingestione acuta occorrono anche 10 giorni per l’eliminazione completa 70 giorni in caso di intossicazione cronica. In caso di contatto tra arsenico e idrogeno attivo si formano gas arsenicati (trattamento con sostanze acide di piombo, zinco, ferro e antimonio contaminati con arsenico).Tra i composti arsenicali, tutti tossici, l’anidride arseniosa è la più usata a scopi criminali. La forma acutissima di avvelenamento da a., generalmente da ingestione massiva di anidride arseniosa, ha esito quasi sempre letale. Negli avvelenamenti cronici per cause accidentali o professionali la sintomatologia è di tipo dermatologico e neurologico (polinevrite, anestesia ecc.) ma, in caso di contatto con gas arsenicati, è possibile riscontrare la triade di sintomi (dolori addominali, ittero emolitico, ematuria). Altri sintomi possono essere stomatiti, sintomi gastroenterici, cardiaci e renali. Il trattamento prevede la decontaminazione gastrointestinale, il mantenimento equilibrio idroelettrolitico, il mantenimento del circolo, la somministrazione di BAL (dimercaprolo) per chelare l’arsenico, D-penicillamina nei casi di intossicazione cronica, il trattamento danni epato-renali, l’emodialisi (soprattutto in caso di insufficienza renale in cui il BAL è inefficace).

ARTEFATTO

Falso risultato diagnostico dovuto a problemi tecnici nell’esecuzione dell’esame od a particolari caratteristiche del paziente.

ARTERIOGRAFIA

Tecnica di indagine radiologica della morfologia di un’arteria e dei suoi rami, attuata mediante l’introduzione nell’arteria stessa di una sostanza opaca ai raggi X (mezzo di contrasto radiopaco) utilizzata per la diagnosi delle patologie a carico del cuore e dei grossi vasi e delle arterie periferiche. L’introduzione in arteria del mezzo di contrasto radiologico (soluzione di composti organici dello iodio) può avvenire direttamente mediante puntura dell’arteria attraverso la cute, con un ago adatto, oppure indirettamente, incanulando, mediante speciali cateteri raccordati ad una siringa, un’arteria di calibro sufficiente tributaria dell’organo che si vuole esaminare (a. selettiva). Il mezzo di contrasto (a base di iodio, eliminato poi per via renale) viene introdotto a pressione nell’arteria mentre vengono scattate radiografie in rapida sequenza (ad un ritmo di circa 3 – 6 al secondo) con un’adatta apparecchiatura detta seriografo.La tecnica arteriografica consente l’identificazione del punto di origine e del decorso delle arterie, delle anomalie di calibro e di numero, della loro patologia (trombosi, embolie, aneurismi, ematomi ecc.), del loro stato funzionale.L’angiografia, ad esempio, è una tecnica altamente sensibile utile per localizzare gli insulinomi pancreatici, per la diagnosi di embolia polmonare, per individuare lesioni del distretto vascolare renale.Un tipo particolare di a. è l’angiocardiografia che viene praticata immettendo il mezzo di contrasto in un catetere inserito in una vena del braccio e spinto fino all’atrio destro del cuore: in tal modo si visualizzano l’atrio destro, il ventricolo destro e le arterie polmonari, consentendo così un accurato studio morfologico e funzionale. Con maggiore selettività si può ottenere l’angiopneumografia sospingendo lo stesso catetere attraverso l’atrio ed il ventricolo di destra fino al punto di origine delle arterie polmonari. L’a. cerebrale, ora largamente superata dall’impiego della TC e della RMN, rimane comunque di primaria importanza per la diagnosi di stenosi ed occlusioni delle arterie, di anomalie congenite o malformazioni dei vasi cerebrali, di trombosi dei seni venosi della dura madre.I principali effetti collaterali consistono in malessere transitorio (nausea, abbassamento della pressione arteriosa, sensazione di calore...) mentre rare sono le reazioni allergiche al mezzo di contrasto (broncospasmo, edema della glottide..) ed eccezionali le complicanze più severe come aritmie cardiache e shock.

ARTERIOLA

La più piccola diramazione del sistema arterioso, ha diametro variabile tra i 20 ed i 100 micron. La parete dell’a. ha la particolarità di avere una tonaca media costituita prevalentemente da cellule muscolari lisce, le quali, contraendosi e rilasciandosi, regolano il flusso ematico nel letto capillare. Stimoli originanti dal sistema nervoso autonomo e stimoli metabolici locali regolano la variazione del calibro di questi vasi. Le a. costituiscono il distretto vascolare più importante per la regolazione della pressione sistemica e per la distribuzione del flusso ematico ai tessuti periferici, tramite il circolo capillare.

ARTERIOSCLEROSI

Termine generico indicante la sclerosi, cioè l’indurimento, di un’arteria dovuto ad aumento di tessuto connettivo o a precipitazione di sali di calcio nella sua parete con conseguente perdita di elasticità e contrattilità del vaso.Tale lesione può essere l’espressione di processi patologici di diversa natura e significato. Il più importante e anche il più frequente è l’aterosclerosi.Indipendentemente da processi patologici, un certo grado di sclerosi della parete vascolare si osserva in tutti i soggetti anziani (a. senile).

ARTERITE

Termine generico con cui si indicano le lesioni di natura infiammatoria, acute o croniche, a carico delle arterie.La flogosi può portare a necrosi della parete e successiva proliferazione del tessuto connettivo con stenosi o trombosi del vaso colpito (manifestazioni ischemiche) o a distruzione della lamina elastica con successiva formazione di aneurismi parietali che possono andare incontro a rottura (manifestazioni emorragiche).L’a. acuta è relativamente rara, riconosce prevalentemente cause infettive (tifo, setticemie, lue, rickettsie, streptococco B…) e richiede un trattamento medico (antibiotici, antinfiammatori).Nella maggior parte dei casi invece le arteriti sono croniche, rientrano nell’ambito di processi patologici di tipo immunitario (primari o secondari a connettiviti, neoplasie, infezioni) e vengono meglio definite come vasculiti.Tra le arteriti croniche ricordiamo le principali a carico dei piccoli vasi (porpora di Henoch Schonlein, arterite di Wegner, di Churg-Strauss), dei medi vasi (panarterite nodosa, M.di Kawasaki) e dei grossi vasi (arterite temporale e di Takayasu) e la tromboangioite obliterante (morbo di Buerger).

ARTHUS, fenomeno di

(Prende nome dal medico e biologo francese Maurice Arthus Angers 1862 - Friburgo 1945), reazione di ipersensibilità che si manifesta con la comparsa di un’area di infiammazione e necrosi tissutale nella sede ove venga iniettato un antigene in un animale precedentemente sensibilizzato nei confronti dello stesso antigene. Lo stesso meccanismo immunologico che si ha sperimentalmente con il fenomeno di A. entra in gioco anche in certe condizioni di patologia umana.

ARTICOLAZIONE

Termine anatomico indicante il punto di unione di ossa capace di consentire reciproci movimenti di grado variabile. In senso più ampio il termine si applica non solo alla connessione ossea, ma a tutto il complesso di strutture che costituiscono e caratterizzano un’a. Lo studio sistematico anatomofunzionale delle articolazioni prende il nome di artrologia  gli aspetti anatomopatologici e clinici sono compresi nella patologia degli organi di movimento. Con riferimento al grado di articolarità, le articolazioni si dividono in immobili e mobili.

- Articolazioni immobili (o sinartrosi). Posseggono solo una mobilità virtuale, non hanno cavità e le loro facce articolari sono separate da uno spessore variabile di tessuto fibroso o fibrocartilagineo. Prendono il nome di suture quando i bordi articolari sono dentellati e reciprocamente incastrati (per es. suture craniche), di sinfisi quando le facce sono piatte e separate da un cuscinetto fibroso (per es. sinfisi pubica), di sincondrosi quando il tessuto che tiene unite le facce è di natura cartilaginea (per es. sincondrosi sacro-iliaca).
- Articolazioni mobili. Chiamate comprensivamente diartrosi. La caratteristica principale delle diartrosi è di possedere una cavità posta fra i due capi articolari, detta cavità articolare grazie ad essa le due superfici articolari possono scorrere liberamente l’una sull’altra.

Le diartrosi, quindi, appartengono alla categoria delle articolazioni mobili. Esse presentano alcune strutture fondamentali comuni che sono:
- le superfici articolari  hanno forma variabilissima e sono quasi sempre foggiate in maniera tale che l’una si adatti all’altra. Sono molto lisce perché ricoperte di un sottile rivestimento cartilagineo (la cartilagine articolare)
- la capsula articolare  è costituita da un involucro esterno connettivale detto membrana fibrosa, che avvolge l’articolazione fissandosi ai contorni delle superfici articolari.

In alcune parti questa membrana è rafforzata da fasci fibrosi che ricevono il nome di legamenti articolari. Sulla sua superficie interna è applicata una sottile lamina, pure di natura connettivale, la membrana sinoviale - la cavità articolare  corrisponde allo spazio compreso fra le due superfici articolari e ha perciò, in genere, la forma di una sottile fessura, riempita da un liquido giallastro che lubrifica le pareti, denominato sinovia o liquido sinoviale. All’a. sono annessi i legamenti, che in taluni casi sono strettamente aderenti alla capsula fibrosa, dalla quale derivano per un ispessimento della sua parete (legamenti articolari)  in altri casi sono estranei alla capsula (legamenti a distanza) in altri casi, infine, sono localizzati nella cavità articolare stessa (legamenti intrarticolari). Altre strutture talvolta presenti nelle articolazioni sono i dischi intrarticolari, formazioni fibro-cartilaginee disposte fra una superficie articolare e l’altra  e i menischi che, a differenza dei dischi, sono perforati al centro. Le diartrosi presentano notevole varietà di forma, secondo il tipo di movimento che ciascuna di esse deve svolgere, e possono essere classificate in:

- artrodia, quando le superfici articolari sono piane e gli spostamenti dei due capi articolari avvengono parallelamente alla loro superficie (per esempio, l’a. fra le ossa cuneiformi e le ossa metatarsali del piede)
- enartrosi, quando uno dei due capi articolari ha la forma di un segmento di sfera, per cui sono resi possibili i movimenti in tutte le direzioni (l’a. dell’anca o coxo-femorale)
- a. a sella, quando una superficie articolare è concava in un senso e convessa nel senso perpendicolare al primo (l’a. del trapezio con il primo metacarpale)
- condilartrosi, quando i due capi articolari hanno forma ellissoidale (per esempio, l’a. omero-radiale)
- a. trocleare o ginglimo angolare, quando un capo articolare ha la forma di una puleggia (l’a. omero-ulnare)
- a. trocoide o ginglimo laterale, quando un capo articolare ha forma cilindrica e ruota in un anello osteo-fibroso (l’a. radio-ulnare a livello del gomito).

Gli ultimi quattro tipi di a. permettono unicamente movimenti angolari.

ARTO

Appendice corporea collegata allo scheletro del tronco mediante un sistema osseo, detto cinto o cingolo, al quale essa è unita per mezzo di un’articolazione che le consente movimenti di diverso tipo e grado.Nel corpo umano si riconoscono l’a. superiore e l’a. inferiore, entrambi pari e simmetrici.- L’a. superiore, che si articola al cinto scapolare, è composto di tre segmenti distinti ed articolati fra di loro: braccio, avambraccio e mano.- L’a. inferiore, che si articola al cinto pelvico, è pure composto di tre segmenti: coscia, gamba e piede.Lo scheletro dell’a. superiore è costituito da diversi segmenti ossei: l’omero nel braccio, il radio e l’ulna nell’avambraccio, le ossa del carpo, del metacarpo e le falangi nella mano.Lo scheletro dell’a. inferiore è composto in modo analogo: il femore nella coscia, la tibia ed il perone (o fibula) nella gamba, le ossa del tarso, del metatarso e le falangi nel piede.I movimenti di un a. rispetto al tronco si compiono per mezzo di muscoli volontari che trovano inserzione sul tronco e sul segmento osseo dell’a. più vicino al tronco i movimenti reciproci dei diversi segmenti sono effettuati da appositi muscoli o gruppi di muscoli che li muovono come leve del secondo e del terzo genere. Ciascun a. possiede un’adeguata circolazione ed innervazione.Fattori diversi possono interferire nello sviluppo embrionale degli arti determinando malformazioni di vario tipo: assenza completa o parziale di uno o più arti (amelia, focomelia ecc.), duplicazione o fusione di segmenti (polidattilia, sindattilia ecc.).

ARTO FANTASMA

Fenomeno che si verifica in modo persistente in alcuni soggetti che hanno perduto un arto o una sua parte: nonostante la perdita, tali soggetti avvertono sensazioni tattili, di movimento o dolorose, come se l’arto fosse ancora presente.Il fenomeno, che peraltro si osserva transitoriamente in tutti gli amputati, viene spiegato con il persistere dell’eccitamento nervoso nelle cellule della corteccia cerebrale relativa alla porzione amputata.

ARTRALGIA

Qualsiasi dolore a carico delle articolazioni. Può essere dovuto a malattie che colpiscono direttamente le diverse formazioni che compongono l’articolazione in altri casi l’a. si accompagna a certe forme influenzali, alla febbre maltese, al tifo, alle neoplasie ecc.Prende nomi diversi a seconda dell’articolazione interessata (coxalgia, cioè dolore all’anca, gonalgia, cioè dolore al ginocchio). In talune forme reumatiche compaiono artralgie dette migranti in quanto il dolore compare di volta in volta in diverse articolazioni senza che vi siano apprezzabili lesioni a carico delle stesse.

ARTRITE

Processo infiammatorio a carico delle articolazioni. In base al decorso si distinguono artriti acute e croniche. Riguardo alle cause determinanti si devono considerare: artriti infettive (da germi piogeni, da pneumococco, da gonococco, da Brucella melitensis, artriti scarlattinose, tubercolari, luetiche ecc.) artriti cosiddette reumatiche (in corso di reumatismo articolare acuto, a. reumatoide, spondilite anchilosante) a. gottosa o gotta ed a. da emofilia. Le due ultime forme sono in realtà da tenere separate dalle artriti vere e proprie, in quanto non sono dei veri processi infiammatori.

ARTRITE INFETTIVA

Malattia a genesi microbica, dovuta all’impianto di germi nell’articolazione.Le più importanti per frequenza e gravità sono quelle causate da germi piogeni e dal bacillo della tubercolosi.- A. da germi patogeni. È abbastanza frequente, anche se con l’avvento degli antibiotici è divenuta più rara che in passato e con andamento meno maligno. È in genere monoarticolare e colpisce le grosse articolazioni: i germi (stafilococchi o streptococchi) possono giungere all’articolazione per via ematica da svariatissimi focolai, oppure attraverso una ferita articolare, o per l’apertura di un focolaio osteomielitico nell’articolazione stessa. Conseguenza comune è la formazione di essudato più o meno purulento nella cavità articolare (piartro) o di veri ascessi. La membrana sinoviale si ispessisce ed in casi gravi si formano aderenze. Raramente ormai, con la terapia antibiotica, il processo avanza in modo tale da interessare la cartilagine di rivestimento e l’osso, conducendo ad anchilosi.

Sintomi
La sintomatologia varia da una fugace artralgia ad una tumefazione per la presenza di versamento, con dolore, arrossamento, edema, fino alla grave sintomatologia dell’a. suppurativa, con dolore violento, notevole gonfiore, suppurazione, scadimento delle condizioni generali con febbre e tachicardia. La diagnosi è facilitata dall’emocoltura e dalla coltura dell’essudato prelevato tramite artrocentesi (cioè puntura dell’articolazione).

Terapia
La terapia si basa essenzialmente sulla somministrazione di antibiotici, sulla immobilizzazione dell’arto e sull’evacuazione mediante puntura dell’essudato infiammatorio raccolto nella cavità articolare.- A. tubercolare. È in realtà una osteoartrite. La sede osteoarticolare fra le localizzazioni extrapolmonari è la preferita da mycobacterium tuberculosis. I traumi sono importanti come fattori predisponenti. Vengono colpiti specialmente soggetti giovani e le sedi di elezione sono la colonna vertebrale (morbo di Pott), l’anca e il ginocchio la forma è monoarticolare. Caratteristica è la formazione di ascessi detti freddi, in quanto manca quel calore locale, tipico degli ascessi caldi da germi piogeni gli ascessi freddi possono migrare a distanza aprendosi la via attraverso i tessuti molli. La sintomatologia è subdola e spesso il malato nelle prime fasi dà scarso peso al modico dolore ed ai lievi disturbi funzionali. Spesso il dolore è localizzato a distanza dall’articolazione colpita (per es., nell’osteoartrite tubercolare dell’anca il dolore è riferito al ginocchio). Si forma poi una tumefazione più o meno pastosa secondo che vi sia un versamento più o meno abbondante e fluido. Il dolore poi cresce e si arriva a vere contratture antalgiche, cioè ad atteggiamenti fissi e viziati. Talora si formano fistole cutanee laddove arrivano gli ascessi.Fondamentale per la diagnosi non è tanto l’esame radiologico, che pure dà aspetti abbastanza tipici, ma la positività della prova biologica su cavia e l’isolamento di Mycobacterium tuberculosis. La prognosi ora, con l’avvento dei chemioterapici antitubercolari, è migliore che in passato, pur restando sempre il grosso pericolo di una permanente alterata funzionalità.
La terapia si attua mediante i classici farmaci antitubercolari (streptomicina, isoniazide, pas ecc.). Utile è la terapia chirurgica. Giova inoltre l’immobilizzazione e lo svuotamento dell’articolazione colpita. Favoriscono la guarigione anche il soggiorno in adatte località climatiche e l’elioterapia.

ARTRITE REUMATOIDE

Malattia a decorso cronico e progressivo, che interessa soprattutto le articolazioni provocando gravi deformazioni. Tre sono le forme più note: a. reumatoide propriamente detta, a. reumatoide infantile e a. reumatoide splenomegalica.- A. reumatoide propriamente detta. È un’affezione di interesse prevalentemente internistico reumatologico durante la fase acuta della malattia, mentre impegna notevolmente lo specialista ortopedico sia nella fase di prevenzione delle deformità sia e soprattutto nella cura delle deformità stesse e delle gravi limitazioni di funzione articolare residuate. Colpisce prevalentemente il sesso femminile, tra i 30 e i 50 anni. Nei casi più tipici vengono interessate da entrambi i lati le piccole articolazioni della mano (interfalangee, metacarpofalangee), seguono in ordine di frequenza il polso, le ginocchia, i gomiti, le caviglie, le spalle, le anche.Nell’a. reumatoide in fase avanzata le alterazioni dell’apparato locomotore possono essere di tale gravità da produrre una invalidità più o meno totale. Essa è un’affezione generale, che interessa cioè tutto l’organismo, a decorso cronico e progressivo.Sostenuta da uno stato infiammatorio del tessuto connettivo presente in tutti gli organi, offre la sua manifestazione più clamorosa a livello dell’articolazione dove si instaura una sinovite che è il punto di partenza di tutte le successive alterazioni articolari.La malattia non è contagiosa. Dopo l’infanzia, periodo nel quale la malattia è estremamente rara, l’a. reumatoide può iniziare a qualsiasi età pur essendo più frequente fra i 35-55 anni. Le femmine sono colpite 3-4 volte più dei maschi.

Cause
La causa dell’a. reumatoide è conosciuta solo in parte. Sembra certo che lo stato infiammatorio dei tessuti articolari che si riscontra nell’a. reumatoide sia la conseguenza di una reazione di tipo auto-immunitario che si scatena a livello del tessuto connettivo presente in abbondanza in queste sedi.La lesione fondamentale è data dalle alterazioni di tipo infiammatorio che colpiscono il tessuto connettivo, che è un tessuto di sostegno presente praticamente in tutti gli organi e in modo particolare nella membrana sinoviale, nelle borse sierose, nell’osso, nei muscoli, nel sottocutaneo. Tutti i componenti dell’articolazione partecipano al processo infiammatorio. La membrana sinoviale si ispessisce, diventa rossastra e rugosa: il liquido sinoviale presente nell’articolazione aumenta anche notevolmente. I capi articolari ossei perdono parte della loro componente in calcio indispensabile perché l’osso mantenga la sua solidità e resistenza, si ha cioè una rarefazione ossea. Sulla cartilagine che ricopre i capi articolari si deposita uno strato anormale di cellule, detto panno sinoviale, che sopprime la levigatezza caratteristica dei capi articolari creando notevole impaccio e limitazione ai movimenti. Il panno formatosi su due superfici cartilaginee adiacenti può saldarsi determinando l’arresto totale dei movimenti dell’articolazione interessata nei casi più avanzati si può giungere alla formazione di un vero ponte osseo fra le due superfici articolari con la scomparsa dell’articolazione (anchilosi). Il tessuto infiammato dell’a. reumatoide (tessuto di granulazione), che tende a riprodursi e ad accrescersi con aspetto che è stato definito polipoide può formarsi anche al di fuori dell’articolazione interessando le guaine dei tendini, le borse sierose, il periostio, le aponeurosi, i tendini e i muscoli, alterando notevolmente l’aspetto e le resistenze di tutti questi tessuti.

Sintomi
La malattia inizia spesso in modo insidioso con una precoce compromissione dello stato generale caratterizzata da stanchezza, inappetenza, dimagrimento sensazione di malessere diffuso. La comparsa dei dolori articolari è spesso messa in rapporto dai malati con un avvenimento preciso che però non va considerato come il responsabile diretto della malattia ma come un semplice fattore scatenante: un trauma un’emozione, un raffreddamento ecc.Poi subentrano i disturbi articolari in modo insidioso e progressivo.
Dolori vaghi più o meno diffusi, febbricola, un certo impaccio nei movimenti il mattino appena alzati, preannunciano l’insorgere della malattia. Le articolazioni più facilmente colpite sono le piccole: le interfalangee, specie le prossimali (cioè tra falange e falange) e le metacarpo-falangee (tra dorso della mano e dita). Le grosse articolazioni (il polso, il ginocchio, le caviglie ecc.) vengono interessate in un secondo tempo. Un bersaglio frequente è anche la colonna vertebrale nella sua porzione cervicale. Una caratteristica tipica dell’a. reumatoide è l’interessamento bilaterale simmetrico delle articolazioni (tutti e due i polsi, tutte e due le ginocchia ecc.). Le articolazioni colpite, durante la fase acuta della malattia, si presentano tumefatte, con un gonfiore tipico a forma di fuso. Sono molto dolenti e il dolore aumenta al minimo contatto. I movimenti sono molto limitati, sia perché il paziente evita qualsiasi manovra che accentui il dolore sia perché è effettivamente nella impossibilità di muovere, anche volendo, oltre un certo limite l’articolazione. La cosa è particolarmente evidente il mattino o, comunque, dopo un certo tempo che il paziente sta a riposo. Questo si spiega con l’azione di due meccanismi: una contrazione dei muscoli che operano i movimenti articolari e un accorciamento dei tendini. Il primo è con ogni probabilità il più rilevante nella fase acuta. La contrazione è un meccanismo riflesso di difesa: avvertendo il dolore il sistema nervoso centrale ordina una contrazione muscolare che immobilizzi l’articolazione, questo senza che intervenga un preciso atto di volontà da parte dell’individuo. Dato che muscoli più forti, tra quelli che controllano l’articolazione, sono i flessori, l’articolazione viene immobilizzata in flessione. Questa posizione se non verrà controllata e corretta potrà portare a vizi di posizione irreversibili e quindi a deformità.L’a. reumatoide ha un decorso “a sprazzi”, “a poussées” periodi di relativa tranquillità durante i quali le articolazioni non vengono danneggiate si alternano ad attacchi acuti caratterizzati da dolore violento, tumefazione della articolazione, compromissione delle condizioni generali, a ognuno dei quali corrisponde un ulteriore progressivo danno articolare. La malattia non porta a morte dopo alcuni anni la fase evolutiva si spegne, gli attacchi acuti non si ripetono più: restano i danni e le deformazioni articolari, a volte gravissime e tali da creare uno stato di invalidità totale.Le alterazioni più gravi si hanno a carico delle piccole articolazioni delle mani e dei piedi. La muscolatura interossea si atrofizza, la mano assume la forma di una conchiglia, le dita deviano tutte insieme dal lato ulnare “a colpo di vento”, le articolazioni si sublussano o si lussano e le epifisi delle falangi e dei metacarpi vanno incontro a gravi distruzioni rilevabili all’esame radiografico. I tendini, avvolti da tessuto infiammatorio reumatoide, perdono la loro compattezza ed elasticità e per il continuo sfregamento sulle superfici ossee deformate finiscono per sfibrillarsi e rompersi aggravando in tal modo le deformità stesse e la compromissione funzionale.- Reumatoide infantile. Malattia infiammatoria cronica che colpisce le articolazioni generalmente in modo simmetrico. Si presenta in maniera acuta con febbre (fino a 39-40°C), intenso dolore, tumefazione e arrossamento delle articolazioni colpite. Tale fase acuta però può essere preceduta da disturbi vaghi come debolezza, dimagramento, pallore, irritabilità. Dopo un periodo più o meno lungo la sintomatologia acuta si attenua fino a scomparire quasi del tutto, per ripresentarsi però inevitabilmente. Dopo ripetute fasi di riacutizzazioni e remissioni dei disturbi, le articolazioni colpite assumono un tipico aspetto fusiforme e la loro funzionalità si fa sempre minore fino alla comparsa di notevoli deformità. In genere vengono colpite per prime le grandi articolazioni (ginocchia, gomiti, polsi), e poi progressivamente anche tutte le altre. I soggetti colpiti presentano anche anemia, arresto dello sviluppo corporeo e sessuale, ingrossamento del fegato e della milza, tumefazione delle ghiandole linfatiche, progressivo decadimento delle condizioni generali fino all’estremo deperimento organico. Le cause della malattia, e il modo in cui evolve, non sono del tutto note. È necessario attuare una terapia medica e una terapia fisica. I medicamenti sono: salicilati, fenilbutazone, cortisonici, che vanno somministrati sotto controllo medico in quanto possono determinare, specie se a dosi elevate e per lungo tempo, fenomeni collaterali talora assai gravi.
La terapia fisica mira a prevenire le deformazioni articolari. Generalmente non si ottiene la guarigione dell’a. reumatoide infantile, ma se ne può ridurre la gravità e ritardare la comparsa delle gravi deformazioni articolari.- Reumatoide splenomegalica. Comprende i tipi di a. reumatoide che si accompagnano ad aumento di volume della milza (splenomegalia). Sono note due forme principali: la malattia di Still, nota anche come malattia di Chauffard-Still, e la sindrome di Felty. La malattia di Still, individuata dal medico inglese G. Still nel 1896, è una malattia infantile, e colpisce con uguale frequenza maschi e femmine. Inizia in modo acuto, con febbre, tumefazioni linfoghiandolari, aumento di volume della milza, eruzione cutanea di piccole lesioni maculose o maculo-pustolose, compromissione dello stato generale, aumento dei leucociti neutrofili nel sangue circolante (fino a 15.000-20.000) e della velocità di eritrosedimentazione. Le articolazioni più colpite sono le grosse articolazioni: ginocchia, polsi, gomiti, con tumefazione, dolore spontaneo ed esacerbato dai movimenti inizialmente però prevalgono sintomi generali e l’interessamento delle articolazioni può non essere evidente, o manifestarsi solo per alcuni atteggiamenti assunti dal bambino: immobilità, rifiuto di camminare ecc. Il decorso può essere lungo anche molti anni, attraverso fasi di remissione e di ripresa della malattia, e può complicarsi per l’insorgenza di endocarditi, polmoniti, pericarditi, pleuriti. La terapia si basa sull’impiego dell’acido salicilico a forti dosi, facendo attenzione ai possibili effetti collaterali (sonnolenza, chetoacidosi). Molto importante è anche la terapia fisica e rieducativa delle articolazioni lese. La sindrome di Felty è invece l’a. reumatoide splenomegalica che si riscontra nell’adulto, e si associa anch’essa a tumefazioni linfoghiandolari, con diminuzione dei leucociti neutrofili nel sangue. Questi sintomi compaiono di solito negli stadi avanzati dell’a. reumatoide, e spesso si associano alla presenza di un lupus eritematoso.

Terapia
La cura dell’a. reumatoide in fase evolutiva si fonda sull’osservazione di norme igieniche e dietetiche, sull’uso di sostanze medicamentose antalgiche e antinfiammatorie e su tutta una serie di misure ortopediche e chinesiterapeutiche atte a preservare la funzione articolare. Il riposo fisico, basato su numerose ore di sonno giornaliero e sulla stretta permanenza a letto durante gli accessi di riacutizzazione evolutiva, è indispensabile. Per una migliore conservazione della funzione articolare è molto importante anche l’equilibrio psichico dell’ammalato che, conscio del carattere evolutivo cronico dell’affezione che lo interessa e dei limiti che hanno i medicamenti alla soluzione della malattia, deve fare di tutto al fine di evitare assolutamente l’instaurarsi di deformità e di conservare al massimo la possibilità di funzione articolare. Il soggiorno in un clima caldo e asciutto è senz’altro consigliabile purché ciò non comporti dei sacrifici e degli squilibri nelle abitudini di vita e di lavoro del paziente. Il regime alimentare deve essere abbondante, equilibrato, ricco in proteine e vitamine. La terapia medica vera e propria si avvale di tutta una serie di medicamenti ad azione antalgica e antireumatica (derivati dell’acido acetilsalicilico, del pirazolone, del fenilbutazone, sali dell’oro), antinfiammatoria e, nei casi più gravi, citostatica, cioè capace di bloccare i processi immunopatologici di reazione allergica all’interno della cellula (antimalarici, antitumorali ecc.). Tutti questi prodotti, che a volte possono dare risultati ottimi, vanno scelti caso per caso e diversamente associati sulla base della diversa reattività del paziente. Sono quindi farmaci che devono essere impiegati con discernimento, sotto costante controllo del medico e del laboratorio per evitare complicazioni secondarie che possono essere anche assai gravi. Alle cure mediche va sempre associato il “trattamento della funzione articolare” che ha lo scopo di mantenere le articolazioni infiammate nella loro posizione di funzione e di conservare nel limite del possibile la loro mobilità. Esso si fonda sulla attuazione di frequenti cicli di massaggio, stimolazione elettrica delle masse muscolari, mobilizzazione attiva e passiva delle articolazioni interessate. Per prevenire l’insorgere di deformità o anchilosi articolare, si ricorre all’uso di una serie di tutori, docce gessate che seguono il grado di correzione articolare ottenuta, apparecchi ortopedici a molla, a elastici che servono a mantenere l’articolazione più che sia possibile in uno stato di normalità.
Quando le lesioni progrediscono e le cure mediche non hanno più alcun effetto è indispensabile la terapia chirurgica che si fonda sia sulla possibilità di interventi profilattici (atti cioè a frenare la tendenza evolutiva e distruttiva della malattia), sia di interventi ricostruttivi (con lo scopo cioè di ridare all’articolazione offesa la maggiore capacità di funzione possibile). Il primo gruppo di interventi si basa sulla possibilità di asportare chirurgicamente la sinoviale, sede del processo infiammatorio e causa del dolore e di tutti i successivi processi distruttivi a carico della articolazione. L’intervento (sinoviectomia) è possibile in linea teorica su tutte le articolazioni ma, mentre è facile per alcune come il ginocchio e il gomito, risulta difficile e per forza di cose incompleto in altre sedi articolari che si presentano anatomicamente complesse e difficili da raggiungere (polso, piede, anca, articolazioni vertebrali). Il secondo gruppo di interventi agisce direttamente sulla componente ossea di una articolazione funzionalmente compromessa. Essi possono essere attuati per accelerare il processo di anchilosi articolare al fine di instaurare un atteggiamento funzionale e di togliere i dolori (artrodesi del polso, dell’articolazione fra il carpo e il primo metacarpo, artrodesi del collo del piede) per correggere una deviazione permanente (osteotomia del femore o della tibia per deviazione dell’anca o del ginocchio) per ridare una funzione all’articolazione distrutta (artroplastiche).

ARTRITISMO

Condizione propria di alcuni soggetti che, per ragioni dipendenti dalla loro costituzione organica, sono predisposti ad un gruppo di malattie legate ad alterazioni del ricambio, con manifestazioni morbose interessanti vari organi ed apparati: pelle, muscoli, articolazioni, apparato respiratorio, apparato digerente.Le manifestazioni più tipiche sono la gotta, l’obesità, il diabete tuttavia l’a. comprende molte altre affezioni, che appaiono tra loro strettamente collegate, nel succedersi o nell’alternarsi, sia nello stesso individuo sia nei membri di uno stesso gruppo familiare, dimostrando così la loro natura di malattia ereditaria.Nell’età infantile e giovanile le prime manifestazioni dell’a. sono caratterizzate da ipereccitabilità neuromuscolare, da disturbi dell’apparato digerente, respiratorio e cutaneo (vomito acetonemico, acne giovanile, orticaria, asma bronchiale).Nell’età adulta compaiono varie forme di calcolosi, diabete, obesità, gotta, reumatismi muscolari cronici nell’età senile, disturbi della circolazione, arteriosclerosi, artrosi.

ARTRODIA

Tipo di articolazione tra due capi ossei, in cui questi si affrontano mediante superfici pianeggianti. Consente soltanto movimenti limitati di scivolamento di un capo articolare sull’altro e gli spostamenti dei due capi articolari avvengono parallelamente alla loro superficie. Sono artrodie, ad esempio, le articolazioni fra le ossa del carpo, quelle fra le ossa del tarso.

ARTROGRAFIA

Radiografia di un’articolazione, eseguita dopo introduzione di mezzi di contrasto nella cavità articolare. I componenti dell’articolazione (periostio, cartilagine, strato sinoviale, capsula, menischi, legamenti) non sono radiologicamente visibili, per cui la normale radiografia indica solo la posizione dei capi articolari, le eventuali fratture, lo scollamento della cartilagine. L’introduzione di un mezzo di contrasto nella cavità articolare rende invece evidenti molti particolari ed è usata, per esempio, prima dell’intervento chirurgico per la lussazione congenita dell’anca. I mezzi di contrasto impiegati sono soluzioni acquose di composti organici dello iodio, che vengono introdotti nell’articolazione associati a piccole quantità di novocaina (a. opaca). Per evidenziare corpi mobili endoarticolari e in particolare frammenti di menischi fratturati entro l’articolazione del ginocchio si può anche iniettare aria, ossigeno o altri gas (a. gassosa). Esiste poi una terza forma di a. (detta con doppio contrasto), realizzata con l’impiego simultaneo del mezzo gassoso e opaco.Tutte le articolazioni possono essere esaminate in tal modo, ma quelle del ginocchio sono le più studiate le anche, i gomiti e le spalle lo sono più raramente.Quest’esame permette di cercare le lesioni dei legamenti (crociati anteriore e posteriore delle ginocchia), la cartilagine e i menischi (strutture fibro-cartilaginee).Con l’avvento nella diagnostica dell’ecografia e soprattutto della RMN quest’esame viene sempre meno ordinato dal medico, poiché queste nuove metodiche non espongono il paziente a radiazioni.L’esame è comunque utile per definire una lesione del menisco, un trauma articolare del ginocchio, una lesione dei legamenti crociati, della cartilagine.

ARTROLOGIA

Parte dell’anatomia che tratta della struttura, della funzione, della sistematica e della classificazione delle articolazioni.

ARTROPATIA

Termine generico che comprende qualsiasi affezione articolare: più propriamente le artriti, o processi infiammatori, le artrosi, o processi degenerativi, il reumatismo articolare e una serie di manifestazioni più o meno individuate, che non rientrano nelle precedenti (per es. artropatie conseguenti a malattie dei nervi periferici o dei centri nervosi).

ARTROPATIE METABOLICHE

Si tratta di quadri di sofferenza poliarticolare e periarticolare diffusa, sostenuti da un’alterazione dell’equilibrio metabolico che sono frequentissimi e colpiscono soprattutto gli individui giovani – adulti. Sono tipiche malattie del benessere, legate spesso a una alimentazione sbagliata sia per quantità sia per qualità, alla eccessiva introduzione di alcolici, associata a scarsa attività fisica, eccessiva comodità, vita sedentaria. Lo squilibrio metabolico coinvolge i lipidi (colesterolo, trigliceridi), gli zuccheri (diabete), gli acidi urici (iperuricemia), a volte con prevalente interessamento di un settore metabolico, spesso di tutti.La gotta rappresenta da sempre la più conosciuta fra le malattie articolari di origine metabolica.

ARTROPLASTICA

Intervento chirurgico che consiste nella ricostruzione di un capo articolare leso trova la massima indicazione nelle lesioni degenerative articolari, specie se il disturbo funzionale che ne consegue si accompagna a notevoli dolori. I metodi di ricostruzione sono vari e possono prevedere il rimodellamento del capo articolare o la sua asportazione e la sua sostituzione con protesi artificiali di materiali diversi (leghe metalliche, resine sintetiche, materie plastiche) che possono essere fissate all’osso mediante cementi speciali o mediante rivestimenti delle protesi che promuovono la crescita dell’osso e il fissaggio delle componenti. Tali materiali posseggono una buona tolleranza biologica. Gli interventi di a. devono essere seguiti da un congruo periodo di riabilitazione, per riattivare l’articolarità e la forza muscolare.

ARTROSCOPIA

Moderna tecnica che permette di accedere ad una articolazione, visualizzarne le strutture e intervenire su queste, senza dover ricorrere ad una tradizionale via d’accesso chirurgica. Utilizzata inizialmente per il ginocchio, la sua applicazione è stata recentemente allargata ad altre articolazioni quali spalla, gomito, polso e caviglia.Permette di visualizzare l’interno di un’articolazione attraverso l’artroscopio, senza dover “aprire” la stessa, permettendo quindi un recupero post-operatorio più rapido e meno doloroso. L’artroscopio è un sottile tubo rigido del diametro di una penna, dotato di una lente angolata, che collegato ad un cavo a fibre ottiche e ad una telecamera consente al chirurgo di osservare su uno schermo televisivo le strutture articolari.L’a. ricopre sia il ruolo di esame diagnostico in quanto fornisce un’immagine di tutte le strutture intra-articolari, difficili da vedere nelle lastre radiografiche, come i legamenti e le cartilagini, sia un ruolo terapeutico in quanto permette di intervenire sui menischi (le mezzalune fatte di cartilagine situate nelle ginocchia), sui legamenti e di effettuare prelievi.La tecnica artroscopica è utile in caso di lesioni meniscali traumatiche e degenerative, riparazione dei legamenti crociati, sindrome del tunnel carpale, tenosinovite stenosante dito bloccato, estrazione di corpi estranei.Prevede l’uso da un minimo di due ad un massimo di sei vie d’accesso. L’incisione è solitamente molto piccola (pochi mm.) tanto da non richiedere punti di sutura, ma da poter essere chiusa da speciali cerottini che normalmente vengono rimossi 12 giorni dopo l’intervento. Il paziente deve sottoporsi ad una terapia anticoagulante per 2 o 3 giorni. I tempi di recupero sono veloci, tanto che per patologie minori il paziente può muovere l’articolazione subito dopo l’intervento.

ARTROSI

Alterazione cronica degenerativa delle articolazioni e più precisamente delle cartilagini articolari, associata a processi di neoformazione dell’osso sottostante. Sono però assenti fenomeni infiammatori tipici delle artriti.Si manifesta di regola oltre i 50 anni, evolvendo in maniera lenta. Può comparire però anche in età più giovane, perfino al di sotto dei 30 anni. Si manifesta con più frequenza nel sesso femminile e in persone con tendenza all’obesità, al diabete, alle varici, all’iperlipemia, all’iperuricemia.

Cause
Le artrosi possono essere primitive o secondarie a fattori locali che abbiano alterato la funzione meccanica dell’articolazione stessa. Le cause che portano all’a. primitiva sono di carattere generale. Con l’invecchiamento e i continui movimenti che un’articolazione compie la cartilagine articolare si usura, perde la sua levigatezza e la sua elasticìtà, finisce per essere sempre meno nutrita e si sgretola. L’invecchiamento della cartilagine e quindi i segni anatomo-radiografici dell’a. sono sempre più frequenti col passare degli anni, diventando praticamente costanti, dopo i 40-50, per talune articolazioni quali la colonna vertebrale. Il procedere dell’a., oltre che dall’età, è condizionato in modo essenziale dall’obesità sia per il sovraccarico che crea sulle articolazioni portanti sia per gli squilibri metabolici che comporta (aumento del colesterolo). Fra le cause generali che favoriscono la comparsa dell’a. vanno ricordate le turbe endocrine (disfunzioni ghiandolari, specie delle ovaie e della tiroide), le malattie del fegato o del rene, le insufficienze venose croniche periferiche (varici). La menopausa accelera e aggrava la comparsa dell’a. È stata dimostrata una predisposizione eredo-familiare dell’a. Tutte le condizioni meccaniche che sottopongono la superficie articolare, o una parte di essa, a uno sforzo eccessivo e non naturale finiscono inevitabilmente per provocare un’a.. Sono queste le cosiddette a. secondarie cioè legate ad una causa locale che abbia alterato il normale funzionamento di una articolazione.Sono di solito mono- o oligoarticolari e non hanno tendenza alla diffusione. La sintomatologia ricalca a grandi linee quanto già visto per la forma primaria.Le artrosi secondarie in: artrosi post-traumatiche artrosi da squilibrio della statica artrosi neuropatogene artrosi nella malattia dei cassoni.- A. post-traumatica. È prodotta da traumi che agiscono o unicamente o ripetutamente, con il meccanismo cioè del trauma ripetuto. Nel primo caso determinano lesioni gravi della cartilagine articolare e della capsula nel secondo caso è un continuo stimolo irritativo che determina la precoce usura della cartilagine. Sono queste ultime le a. legate a motivi professionali: l’a. dell’articolazione metatarsofalangea dell’alluce nei lavoratori che devono mantenere a lungo la stazione eretta come i postini, i camerieri ecc. l’a. alle dita dei pianisti l’a. al gomito dei lavoratori che usano il martello pneumatico e così via.- A. da squilibrio della statica. Insorge quando si ha una ineguale distribuzione del carico con sollecitazioni abnormi a carico di alcune articolazioni. Esempio tipico sono le a. dell’anca che si verificano negli esiti di una lussazione congenita. La deformazione dei capi articolari residuata alla displasia congenita crea una incongruenza meccanica che si traduce in un permanente lavoro sotto sforzo dell’articolazione che conduce inevitabilmente all’a. Così dicasi di qualsiasi deviazione permanente a carico di un segmento scheletrico (esiti di fratture mal ridotte, ginocchia vare o valghe, cifosi o scoliosi della colonna vertebrale) che induce un’alterazione e uno squilibrio del carico nelle articolazioni vicine.- A. neuropatogena. Insorge nel corso di varie malattie del sistema nervoso centrale e periferico, come, per esempio, l’a. tabica.- A. nella malattia dei cassoni. Particolare tipo di a. che insorge nei palombari e nei lavoratori dei cassoni ed è legata a disturbi circolatori. La cura è identica a quella dell’a. primaria.L’a. può essere secondaria a condizioni morbose che abbiano offeso la cartilagine articolare provocandone la degenerazione, come le fratture articolari e le lussazioni, le artriti acute, le emorragie articolari frequenti (emofilia), il depositarsi di acido urico (gotta).L’a. ha delle sedi tipiche di localizzazione che sono: le articolazioni delle vertebre l’articolazione del femore con l’anca il ginocchio le articolazioni delle dita della mano l’articolazione metatarso-falangea dell’alluce.Le prime alterazioni si manifestano a carico della cartilagine che ricopre i capi articolari. Essa diventa ruvida, asciutta, opaca, perde elasticità, si sfalda e un po’ alla volta scompare lasciando a nudo l’osso spugnoso sottostante. In corrispondenza di questa forma di ulcerazione della cartilagine, l’osso si addensa e diventa compatto e levigato come il marmo (osso eburneo). Molte volte all’interno di queste zone di addensamento si formano delle cavità cistiche più o meno grandi (geodi) che sono occupate da tessuto morto, fibroso, non più nutrito dai vasi sanguigni. Lungo la periferia dell’estremità articolare, dove termina il mantello di cartilagine, l’osso tende a proliferare molto lentamente e dà luogo alla formazione di escrescenze bernoccolute o appuntite che prendono il nome di osteofiti o becchi. La capsula articolare e la sinoviale partecipano in modo limitato al processo degenerativo, sono comunque ispessite, più gonfie per la dilatazione dei vasi sanguigni e finiscono, col passare del tempo, per aderire alle superfici articolari limitando ulteriormente i movimenti dell’articolazione. Non presentano mai segni infiammatori.

Sintomi
Per quanto riguarda l’a. primaria ci si accorge dell’insorgere della malattia quando incomincia a comparire una sintomatologia caratteristica rappresentata da dolori continui, scrosci articolari, cioè rumori che compaiono durante i movimenti, e impotenza funzionale che si manifesta con una progressiva difficoltà a usare l’articolazione colpita.I sintomi dell’a. sono tutti a carico dell’articolazione interessata non essendovi alcuna compromissione dello stato generale. Essi si compendiano essenzialmente nel dolore e nella limitazione della funzione articolare. Il dolore dell’a. è caratteristico: risvegliato dal carico e dalla funzione articolare, scompare e si attenua notevolmente col riposo. È più intenso al mattino quando riprendono i movimenti articolari per diminuire man mano che l’articolazione “si scalda” alla sera viceversa con l’affaticamento ricompaiono i dolori, che poi tendono a diminuire durante il riposo notturno. Spesso compaiono crampi muscolari, senso di calore, formicolii e ogni ripresa del movimento durante la giornata causa la ricomparsa dei dolori.Accanto ai dolori locali compaiono dolori irradiati, dolori cioè che vengono riferiti in regioni diverse da quelle colpite.La limitazione del movimento è dovuta a un motivo meccanico: le superfici dello snodo articolare, anziché essere regolari, levigate e lubrificate, diventano sempre più rugose, frastagliate e deformate. La contrattura dei muscoli e l’ispessimento della capsula serrano sempre più i due capi articolari limitandone ulteriormente i movimenti. I disturbi dovuti all’a. sono cronici, con periodi di relativa remissione ed altri di acutizzazione legati a traumi, strapazzi fisici, freddo, scadimento dello stato muscolare, aumento del peso ecc.L’a. evolve in modo assai lento e tende progressivamente a peggiorare.

Diagnosi
Un esame radiologico dell’articolazione dolorante è di solito sufficiente a porre diagnosi di malattia artrosica.

Terapia
Non esiste alcun farmaco né alcun presidio fisico capace di far regredire le lesioni degenerative della cartilagine e dell’osso che stanno alla base dell’a. Le varie terapie mediche e fisiche possono al massimo rallentare l’evoluzione dell’a. o mitigare, per periodi a volte lunghi, i vari disturbi legati alla lesione degenerativa. La terapia dell’a. può essere preventiva, medica e chirurgica.- La terapia preventiva si basa sul rispetto da parte di ogni individuo di tutte quelle norme generali che contribuiscono a ritardare la comparsa degli inevitabili fenomeni degenerativi articolari legati all’invecchiamento. Evitare gli aumenti eccessivi del peso corporeo, mantenere come regola di vita una costante attività fisica,soprattutto dopo i 30-40 anni, curare fin dai primi sintomi le affezioni generali che possono favorire la comparsa di fatti artrosici sottoponendosi periodicamente a eventuali controlli di uricemia, glicemia e colesterolemia, osservare un’alimentazione razionale senza eccedere nella introduzione di determinati cibi o bevande (carni, salumi, dolciumi, alcolici ecc.).
È prevenzione dell’a. la cura precoce, chirurgica od ortopedica, di eventuali incongruenze articolari, da qualsiasi causa provocate, o di deviazioni dell’asse di segmenti scheletrici siano esse congenite, idiopatiche o conseguenza di eventi traumatici non perfettamente risolti.- La terapia medica può essere generale o locale. Quella generale tende a modificare uno stato patologico dell’organismo che ne favorisce l’aggravamento (cura di disfunzioni ghiandolari, del diabete, dell’obesità ecc.), quella locale, fondamentalmente di tipo fisico o infiltrativo tende a diminuire lo stato di irritazione delle parti molli che rivestono l’articolazione (sinoviale, capsula, muscoli) che è il principale responsabile dei dolori, a migliorare il grado di irrorazione e di calcificazione dello scheletro, a conservare il massimo grado di funzionalità ancora possibile a carico dell’articolazione interessata si avvale di analgesici e di farmaci antinfiammatori e derivati. Utili le vitamine del gruppo B: la B1, B6, B12 e i farmaci così detti condroprotettori a base di precursori della cartilagine. I cortisonici sono a volte l’unica arma efficace contro la sintomatologia artrosica.La terapia chirurgica è quella che dà i risultati più tangibili e duraturi potendo modificare notevolmente lo stato anatomo-patologico responsabile dei sintomi dell’a. Essa si avvale di una notevole serie di soluzioni chirurgiche diverse a seconda dell’articolazione interessata e dell’età del soggetto, che vanno dalle semplici osteotomie, che permettono di modificare i rapporti dei capi articolari, alle sostituzioni parziali o totali dei capi articolari degenerati (endoprotesi e artroprotesi).Le cure fisioterapiche con massaggi, applicazioni locali di calore, i presidi ortopedici come i busti semirigidi nelle forme della colonna vertebrale completano le possibilità terapeutiche. Notevole importanza è riconosciuta poi alle applicazioni di fanghi eseguite in centri attrezzati praticate ciclicamente e in associazione con farmaci portano notevole beneficio alla sintomatologia artrosica. Nella vita quotidiana è consigliabile il riposo il regime dietetico è utile nei soggetti obesi in quanto la riduzione di peso comporta una diminuzione del carico sulle articolazioni colpite.Accanto alla forma di a. fin qui descritta e nota come a. primaria esistono le forme secondarie, dette così perché per esse è possibile individuare la causa diretta che le ha determinate.

ARTROSI DEL GINOCCHIO

La localizzazione al ginocchio di un processo degenerativo artrosico (gonoartrosi) è raramente primitiva, quasi sempre secondaria a deviazioni dell’asse di carico, esito di sofferenza scheletrica giovanile o di eventi traumatici. Un ginocchio varo (a parentesi) o valgo (a X) di natura rachitica o giovanile o provocato da una frattura, lavora per tutta la vita concentrando le forze di carico sulla parte concava dell’articolazione per cui è inevitabile che questa porzione articolare vada incontro a processi di invecchiamento precoce e degenerazione della cartilagine e dell’osso sottostante.

Sintomi
I primi disturbi da a. del ginocchio si manifestano generalmente verso i 50 anni di età e sono frequenti soprattutto nelle donne, in epoca di menopausa, specie se si tratta di soggetti obesi e con insufficienza venosa (varici) agli arti inferiori. Il dolore inizialmente è subdolo, accompagnato da scricchiolii e senso di cedimento articolare. A malattia conclamata il ginocchio si presenta globoso per ispessimento della sinoviale, i muscoli della coscia sono più sottili (ipotrofia), il ginocchio tende a rimanere un po’ flesso, il movimento articolare diminuisce e avviene con dolore e scricchiolii rudi e grossolani.

Diagnosi
Il quadro radiografico mostra una notevole alterazione della rima articolare che si restringe o addirittura scompare sulla porzione interna o esterna del ginocchio a seconda della deformità di atteggiamento che ha favorito l’a. Una radiografia eseguita a paziente in piedi accentua notevolmente lo squilibrio dell’asse e il restringimento della rima articolare. Nella forma primitiva i primi osteofiti compaiono generalmente a livello della superficie articolare rotulea. Possono esistere corpi mobili endoarticolari.

Terapia
Le cure mediche possono dare solo dei benefici transitori e vanno attuate solo nelle forme iniziali. Quando la sintomatologia è conclamata e la deformità di atteggiamento del ginocchio è grossolana, solo la terapia chirurgica è in grado di procurare sensibili benefici sia per quanto riguarda la scomparsa del dolore sia la ripresa funzionale della articolazione. Si eseguono interventi conservativi che hanno lo scopo di eliminare il dolore, ma soprattutto di bloccare o ritardare l’evoluzione del processo degenerativo. Tali interventi, che vengono eseguiti lontano dalla articolazione, consistono in osteotomie lineari o cuneiformi a livello del segmento scheletrico sede della deformità (che di solito è la tibia), per correggere l’asse e ristabilire un carico normale sui piani articolari. In presenza di quadri di grave sovvertimento strutturale dei piani articolari, si ricorre alla chirurgia sostitutiva basata sull’uso di protesi totali o parziali che ridanno rapidamente una funzione all’articolazione lesa. Risalgono al passato gli interventi attuati a livello articolare per asportare i tessuti degenerati e ridare levigatezza alle superfici articolari. Noti sotto il nome di cheiloplastica consistono nella pulizia chirurgica della cavità articolare con asportazione di eventuali corpi mobili, di un menisco degenerato, di tutti gli osteofiti posti a corona attorno ai bordi dei piatti tibiali e dei condili femorali. Permettono anche la pulizia di eventuali focolai di degenerazione della cartilagine articolare, l’asportazione della superficie articolare della rotula e la successiva ricopertura dell’osso sottostante con un batuffolo di grasso prelevato in sede.

ARTROSI DELL’ANCA

L’anca è una delle sedi di più frequente localizzazione dell’a. Le a. dell’anca possono suddividersi in primitive o secondarie.Le a. primitive, dette anche essenziali si chiamano così perché, almeno apparentemente, non sono legate a eventi locali che ne abbiano favorito l’insorgenza. Sono molto frequenti nei paesi nordici specie anglosassoni. Compaiono in persone adulte o anziane (non prima dei 50-60 anni), sono sempre bilaterali, anche se più gravi da un lato. Esse portano gradualmente a una gravissima limitazione funzionale della articolazione la testa femorale si deforma, si ingrossa, si incarcera sempre più nel cotile perdendo ogni possibilità di funzione meccanica.Le a. secondarie in Italia, a causa dell’altissima percentuale di displasie congenite, sono molto più frequenti le “artrosi secondarie” favorite dall’incongruenza articolare residuata alla malformazione congenita non curata o non perfettamente guarita. La lussazione congenita non ridotta o curata dopo il 4° mese di vita lascia sempre una irregolarità più o meno importante della struttura dei capi articolari sia della testa femorale sia del cotile (acetabolo). L’a. che ne deriva è spesso assai grave anche quando le irregolarità dell’articolazione sono minime in quest’ultimo caso la sintomatologia tipica, cioè il dolore e la riduzione del movimento, si manifesta molto tardi (anche a 30-40 anni), mentre se le alterazioni di conformazione delle ossa sono grossolane la zoppia e il dolore si manifestano precocemente anche quando non è ancora comparso il quadro dell’a. vera e propria. Se il cotile e la testa femorale hanno una diversa curvatura, si creeranno fatalmente punti di contatto non ben distribuiti su tutta la superficie articolare e, con il carico (peso del corpo), la cartilagine articolare in quel punto si andrà logorando e le ossa denudate si toccheranno con un attrito molto doloroso che indurrà, con il tempo, anche una progressiva riduzione del movimento. L’a. secondaria può essere la conseguenza finale di qualunque altra causa abbia alterato la perfetta congruenza dei due capi articolari. Fra queste ricordiamo la osteocondrite della testa femorale (morbo di Perthes), dovuta a un disturbo del normale accrescimento del nucleo epifisario per danni circolatori locali che si verificano nell’età infantile (8-10 anni) e che lasciano come risultato una grave alterazione della sfericità della testa. Le fratture del collo e della epifisi femorale determinano molto spesso una grave sofferenza della circolazione della testa per interruzione dei vasi nutritivi il tessuto osseo della testa femorale va in necrosi in parte o totalmente provocando l’insorgenza rapida di una a. I processi infiammatori dell’anca da germi comuni (artriti settiche) o da bacillo di Koch (artriti tubercolari, coxiti) determinano gravi distruzioni delle cartilagini articolari e dei capi ossei per cui, anche se guariscono in modo clinicamente soddisfacente, favoriscono sempre l’insorgenza di fatti artrosici anche gravi.

Sintomi
I sintomi dell’a. dell’anca sono essenzialmente rappresentati dal dolore che viene riferito all’inguine, alla regione glutea e che spesso si irradia al ginocchio dalla limitazione del movimento che interessa soprattutto la possibilità di allargare e di ruotare all’interno l’arto, mentre la flessione resta consentita più a lungo dalla zoppia, conseguenza inevitabile degli altri due sintomi, che è caratteristica (zoppia tipo fuga) perché il malato, mentre indugia col peso del corpo sull’arto sano, cerca di ridurre al minimo la durata dell’appoggio sull’anca dolente.
Terapia
Distinguiamo una terapia medica e fisica che agiscono prevalentemente sui fenomeni collaterali rappresentati dallo stato di flogosi e di irritazione delle parti molli periarticolari (membrana sinoviale, capsule, muscoli), ottenendo delle momentanee remissioni della sintomatologia dolorosa, mentre lasciano assolutamente inalterato il processo degenerativo artrosico.
La terapia chirurgica dell’anca può distinguersi in una forma preventiva e in una forma risolutiva vera e propria dell’a.La chirurgia preventiva si pratica in età infantile e giovanile ed è quasi esclusivamente rivolta agli esiti delle displasie congenite comprende tutta una serie di interventi che hanno lo scopo di migliorare o di normalizzare i rapporti meccanici fra testa e cotile in soggetti che non hanno ancora disturbi di tipo artrosico, ma che sarebbero inevitabilmente condannati a soffrirne al più presto. Si ricordano le cosiddette osteotomie di centrazione, che permettono di modificare l’angolo di apertura del collo femorale sui due piani onde migliorare la funzione meccanica dello snodo articolare gli interventi che tendono a ricostruire la porzione superiore (tetto) del cotile che può essere congenitamente poco sviluppata tanto da non permettere la contenzione della testa (tettoplastica, osteotomie di bacino).Quando l’a. si è già instaurata la cura chirurgica varia da caso a caso ed è determinata sulla base di importanti valutazioni quali la mono o bilateralità della lesione, l’età del paziente, il sesso, l’attività professionale e le abitudini di vita. Tra i tipi di intervento più importanti e di più frequente attuazione vi sono:- Le osteotomie che servono a modificare i punti di contatto fra la testa femorale e il cotile e a correggere gli atteggiamenti viziati dell’arto e possono essere eseguite sia a livello di femore che di bacino. Hanno come risultato la scomparsa del dolore, il rallentamento della progressiva evoluzione dei fenomeni artrosici, il miglioramento della funzione dell’anca e della capacità di deambulazione del paziente. I benefici sono a volte durevoli, a volte limitati nel tempo. Sono comunque interventi conservativi che trovano indicazione assoluta in pazienti ancora giovani e con funzione articolare non ancora gravemente compromessa. Il sistema di fissare i piani di osteotomia con placche a compressione ha permesso di eliminare i lunghi periodi di immobilizzazione gessata dell’arto.- Le artrodesi, cioè la fusione chirurgica dell’articolazione è un intervento che va riservato ai casi di lesione unilaterale dell’anca e porta alla totale e definitiva scomparsa del dolore, lasciando un arto in buon atteggiamento sul quale il paziente potrà caricare e lavorare tranquillamente tutta la vita. Tuttavia implica una notevole limitazione di funzione dell’anca che rende difficile movimenti quali il sedersi, il condurre una automobile, o l’andare in bicicletta.- Le resezioni mobilizzanti, (solo in caso di interessamento bilaterale grave delle anche), consistono nell’asportazione della testa artrosica a livello della base del collo e nella successiva angolazione della estremità superiore del femore, onde creare un appoggio di sostegno al bacino. L’operazione ottiene la scomparsa dei dolori, permette di ridare un discreto movimento alle anche che ormai erano fuse, ma lascia una grave insufficienza al carico degli arti inferiori che, non più collegati al bacino restano meno validi e obbligano a camminare con una marcata zoppia.- Le artroplastiche, mirano a rimodellare i due capi articolari dell’anca distrutti dall’artrosi.- L’artroprotesi, permette di risolvere radicalmente il problema dell’a. dell’anca. I risultati sono eccellenti dopo pochi giorni si ottiene una completa scomparsa dei dolori, una possibilità di movimento articolare e deambulazione pressoché normali.

ARTROSI VERTEBRALE

La colonna vertebrale è uno dei bersagli preferiti dall’a. È particolarmente frequente nel tratto lombare e in quello cervicale che sono i più mobili. Esistono due tipi di a. vertebrale:- l’a. intersomatica o disco-a., che colpisce il disco intervertebrale che perde elasticità e si schiaccia - l’a. interapofisaria che interessa le piccole articolazioni intervertebrali posteriori limitandone la capacità di movimento.I corpi vertebrali infatti sono separati l’uno dall’altro da dischi cartilaginei (dischi intervertebrali) che evitano l’attrito tra una vertebra e l’altra e che, data la loro clasticità e la loro levigatezza, rendono possibili e scorrevoli i movimenti: sono tali dischi ad essere lesi per primi dall’a. gli altri fenomeni che caratterizzano il quadro artrosico vertebrale sono tutti conseguenti a questa lesione iniziale.Il disco intervertebrale si rammollisce, perde la sua compattezza, si fende, si assottiglia e si appiattisce. Dato che si assottiglia in modo non omogeneo, il corpo vertebrale soprastante tende a scivolare verso il lato dove il disco è maggiormente usurato. Il disco, appiattendosi, aumenta la sua superficie e sporge al di fuori dei corpi vertebrali. I legamenti vertebrali che legano una vertebra all’altra tenendole unite, bloccano immediatamente il disco intervertebrale ne vengono però distesi, il che determina una irritazione della parte più superficiale dell’osso, il periostio vertebrale, dove essi si inseriscono a questa irritazione cronica l’osso reagisce proliferando, formando cioè speroni ossei, detti becchi o meglio osteofiti.La proliferazione ossea può portare, nei casi avanzati, a una fusione di più vertebre tra loro con annullamento quindi della funzionalità delle rispettive articolazioni e limitazione dei movimenti.

Sintomi
Nell’a. vertebrale al dolore e alla rigidità della colonna si possono aggiungere sintomi causati dalla irritazione delle strutture nervose contenute nel canale vertebrale. All’interno della colonna vertebrale si trova infatti il midollo spinale da questo partono i nervi motori e sensitivi, che raggiungono ogni parte del corpo. Per arrivare a destinazione i nervi devono attraversare la colonna passando attraverso i cosiddetti fori intervertebrali costituiti dal giustapporsi di due docciature esistenti in punti corrispondenti di due corpi vertebrali contigui. Lo scivolamento di un corpo o il sopravanzare di un becco può restringere il lume di un foro intervertebrale o comprimere direttamente un nervo. La conseguenza sarà un dolore più o meno vivo che verrà avvertito nella zona innervata dal nervo compresso, per esempio la sciatica, cioè il dolore dovuto alla compressione e infiammazione del nervo sciatico. Oltre alla compressione, soprattutto quando l’a. è a carico della colonna toracica, pare che nello scatenare il dolore entrino in causa anche un fenomeno infiammatorio a carico della radice nervosa, e in alcuni casi una cattiva irrorazione sanguigna dovuta alle alterazioni meccaniche locali. Oltre al dolore vari altri fenomeni possono sopravvenire a causa della irritazione della radice nervosa, soprattutto quando l’a. è a carico della colonna toracica e della cervicale. In questo caso si parla addirittura di una sindrome cervicale: dilatazione pupillare, emicrania localizzata alla regione del capo del lato corrispondente alla radice interessata, ronzii, alterazioni dell’equilibrio, palpitazioni cardiache e nausea. Tutti questi sintomi vanno sotto il nome di sindrome di Neri-Barré-Liéou.

Diagnosi
Si basa essenzialmente sul reperto radiografico che dimostra la presenza di fatti degenerativi dei dischi o delle articolazioni posteriori.

Terapia
Le cure mediche sono volte non tanto a modificare lo stato artrosico riscontrato radiograficamente, quanto a risollevare le varie situazioni muscolari o generali coesistenti che sono responsabili dei sintomi accusati. Sono largamente applicate cure fisiche come il massaggio muscolare, che riattiva la circolazione della regione e migliora il trofismo dei muscoli, e il calore asciutto nelle sue varie forme (termoforo, forni alla Bier, marconiterapia, radarterapia, sabbiature). La cura chirurgica si attua in una minima percentuale di casi, ma è indicata quando sia necessario liberare le strutture nervose contenute nel canale vertebrale che risultano compresse o irritate dai processi degenerativi artrosici.
La proliferazione degli osteofiti, l’ingrossamento delle apofisi articolari, la sporgenza endocavitaria dei dischi intervertebrali degenerati possono creare una stenosi cioè una totale riduzione del calibro del canale vertebrale, tale da comprimere il midollo, se a livello del tratto cervicale, o tutti i nervi della cauda equina, se a livello lombare, con gravissimi disturbi neurologici periferici.Poiché in entrambi i casi il quadro neurologico è provocato dal canale vertebrale “stretto”, l’unica terapia sarà chirurgica, basata su interventi di ampia laminectomia con asportazione dell’arco posteriore delle vertebre e conseguente decompressione delle formazioni anatomiche contenute. Nei casi di grave insufficienza della colonna con degenerazioni discali multiple può essere indicato un intervento di artrodesi, cioè di fissazione di alcune vertebre onde eliminare i focolai di irritazione e quindi il dolore.

ARTROSINOVITE

Infiammazione della sinovia, cioè della membrana che tappezza l’interno delle articolazioni all’infiammazione partecipano anche gli altri tessuti che compongono l’articolazione.

Cause
Può essere provocata da traumi, o da cause di altra natura: fisica, chimica, batterica. La sinovia infiammata produce un liquido reattivo che riempie la cavità articolare e che presenta aspetti diversi a seconda dell’agente patogeno in causa: sieroso in caso di stimoli non causati da batteri, sieropurulento o decisamente purulento quando vi sia eziologia batterica.

Terapia
La terapia dell’a. si avvale del riposo (fino all’immobilizzazione dell’articolazione colpita) e dell’uso di antinfiammatori e antibiotici. Talvolta è necessario lo svuotamento della raccolta di liquido mediante puntura articolare e l’infiltrazione locale di cortisonici.

AS - AZ
ASBESTOSI

Malattia polmonare provocata dall’inalazione di asbesto (più comunemente noto come amianto).Appartiene al gruppo delle cosiddette pneumoconiosi che comprendono diverse affezioni polmonari determinate da inalazione di polveri di varia natura presenti nell’aria inspirata. Asbesto è un termine generico con cui si indicano diversi tipi di silicati complessi che hanno la proprietà di presentarsi sotto forma di fibre, ciò che insieme alla resistenza agli acidi, agli alcali e al fuoco ne ha fatto in passato un materiale di grandissimo impiego industriale. Sono particolarmente esposti al rischio di a. non solo i minatori, per carenza di adeguate protezioni, e gli addetti alla lavorazione del minerale, ma anche gli utenti di prodotti a base di asbesto.La comprovata grande nocività dell’asbesto ha tuttavia avuto come esito la proibizione del suo impiego in tutti i campi (edilizia, protezioni antincendio ecc.), per cui da alcuni anni l’incidenza dell’a. è in netta diminuzione.Tutte le fibre di asbesto sono associate all’a., a malattie della pleura e a cancro del polmone.

Cause
Le fibre di asbesto penetrate nell’albero respiratorio determinano, a livello dei bronchioli, soprattutto nelle parti inferiori del polmone, una reazione infiammatoria cronica che evolve poi a formare delle cicatrici fibrose. Questo processo di fibrosi si estende anche alla pleura che forma ispessimenti e aderenze.

Sintomi
Possono comparire dopo un periodo di tempo variabile da quando è iniziata l’esposizione, anche fino a 20-30 anni dopo.Possono manifestarsi ancora prima che siano evidenziabili alterazioni radiologiche e sono in rapporto con l’ostacolo che il processo di fibrosi comporta alla diffusione dei gas a livello delle pareti alveolari. Si ha quindi essenzialmente difficoltà di respirazione, cianosi, tosse, fino all’insufficienza respiratoria, che può essere aggravata dalla sovrapposizione di infezioni bronchiali.A questi sintomi respiratori si associano anche disturbi a carattere generale quali debolezza, perdita di peso.Una complicazione dell’a. è l’insorgenza di neoplasie polmonari (carcinomi dei bronchi, o mesoteliomi della pleura), che possono insorgere dopo un periodo di latenza anche molto lungo (fino a 40 anni) indipendentemente dalla gravità delle lesioni polmonari coesistenti e dall’entità dell’esposizione.

Diagnosi
L’a. può essere diagnosticata con sicurezza quando vi è una storia di esposizione significativa all’asbesto, unita alle immagini radiologiche che dimostra la fibrosi polmonare, e alle prove di funzionalità respiratoria che mettono in evidenza la perdita di elasticità del tessuto polmonare.

Terapia
Non esiste terapia efficace.

ASCARIDIOSI

Infestazione ad opera di vermi della specie Ascaris lumbricoides.Il verme che ha dimensioni notevoli, e il cui colore è compreso tra il bianco crema e il roseo, giunge all’organismo per ingestione delle sue uova presenti negli alimenti non ben lavati o nel terriccio (facilmente portato alla bocca dai bambini). Giunti nell’organismo i vermi si sviluppano principalmente nell’intestino tenue: da lì possono migrare nell’intestino crasso ed essere poi espulsi dal retto, oppure, perforata la parete intestinale, pervenire al fegato e, attraverso la via venosa sovraepatica, giungere al cuore destro e poi ai polmoni provocando gravi disturbi respiratori. Dai polmoni poi le larve possono, risalendo l’albero respiratorio, giungere alla laringe e, imboccando l’esofago, raggiungere lo stomaco e di nuovo l’intestino tenue.La malattia è frequente in tutto il mondo, soprattutto nella popolazione infantile. È più comune nelle regioni a clima caldo-umido che favorisce la crescita delle uova.

Sintomi
I sintomi dovuti all’infestazione da ascaridi sono molteplici: dolori addominali, diarrea talvolta sanguinolenta, disappetenza, vomito, eruzioni cutanee orticarioidi si osservano inoltre pallore, svogliatezza, perdita di forze, capogiri, ronzii auricolari. La sintomatologia addominale può assumere aspetti clamorosi per episodi di occlusione intestinale causati da gomitoli di vermi, per perforazione dell’intestino o per invasione, e loro ostruzione, delle vie biliari.

Diagnosi
L’accertamento è possibile grazie all’esame parassitologico delle feci o riconoscendo come A. lumbricoides un verme adulto emesso con le feci o con il vomito.

Terapia
La terapia, è medica con adatti farmaci vermifughi assunti per bocca.Le complicazioni acute relative all’infestazione richiederanno un trattamento chirurgico (occlusione intestinale, appendicite acuta).

ASCELLA

Cavità anatomica posta tra il torace e l’arto superiore e corrispondente all’omonima regione ascellare. Ha la forma di una fossa piramidale irregolare con base alla faccia cutanea e apice posto verso la profondità. È delimitata, sul versante toracico, dalla faccia laterale del piano costale e dai muscoli annessi i muscoli grande e piccolo pettorale sono posti sul davanti a costituire il cosiddetto pilastro anteriore mentre il bordo laterale della scapola ed il muscolo grande dorsale costituiscono il cosiddetto pilastro posteriore. La faccia interna dell’omero ed i muscoli annessi costituiscono la superficie laterale della cavità. Come si è detto la base corrisponde alla cute della regione ascellare. Questa è doppiata all’interno dalla fascia ascellare, fissata in profondità dal legamento sospensore dell’a., sottile lamina fibrosa di forma triangolare con l’apice fissato all’apofisi coracoide della scapola. L’apice dell’a. è rappresentato dal punto di unione fra la clavicola, la scapola e la prima costa.Il contenuto dell’a. è rappresentato in gran parte da un ammasso di tessuto adiposo nel quale sono immerse importanti formazioni anatomiche: l’arteria e la vena ascellare in connessione con i rispettivi vasi omerali e succlavi muniti dei loro rami collaterali i rami nervosi del plesso brachiale diretti alla spalla, al torace ed all’arto superiore le linfoghiandole, in numero variabile da 15 a 36, che drenano la linfa proveniente dall’arto superiore, dalla spalla, dalla porzione laterale del torace e dalla parte laterale della regione mammaria.

ASCELLARE, regione

Regione anatomica cutanea situata tra il torace e l’arto superiore corrispondente alla base dell’ascella.La sua cute è ricca di peli e di ghiandole sudoripare che sono talvolta sede di processi infiammatori acuti (idrosadenite). La palpazione della regione a. consente di esplorare in modo particolare i linfonodi ivi contenuti quale ausilio diagnostico di affezioni dell’arto superiore, della mammella, del sistema linfoghiandolare.

ASCESSO

Raccolta di pus che si forma nella compagine di un tessuto, in una cavità non preesistente (a differenza dell’empiema, che invece è pus raccoltosi in una cavità preesistente non comunicante con l’esterno).È espressione della parziale dissoluzione del tessuto (nel liquido giallastro che costituisce il pus) in seguito a fenomeni di infiammazione e necrosi operate dall’azione congiunta dei germi responsabili del processo infiammatorio acuto e degli enzimi liberati dalla distruzione della massa dei globuli bianchi accumulatisi nel luogo d’infezione per effetto dei meccanismi di difesa. L’a. è delimitato da una barriera detta membrana piogenica, espressione della reazione difensiva dell’organismo, che non è una vera e propria capsula, ma è costituita da cellule infiammatorie e fibrina e dal tessuto ospite rimasto compresso dall’espandersi della formazione ascessuale.Si distinguono un a. caldo e un a. freddo.- A. caldo. Può essere provocato da diversi tipi di germi (molto spesso stafilococchi) essi giungono alla sede interessata dall’esterno (per es. attraverso una ferita), o dall’interno dell’organismo, cioè da una zona già sede di processi infiammatori. Nella sede di formazione dell’a. si ha dolore, arrossamento, senso di calore che si accompagnano a febbre e, nei casi più gravi, a compromissione dello stato generale. Il trattamento elettivo è lo svuotamento chirurgico.- A. freddo. È conseguenza della raccolta, in una cavità neoformata, di materiale proveniente dalla colliquazione di un focolaio tubercolare (possono essere tuttavia in causa anche infezioni da funghi microscopici). Si differenzia dall’a. caldo proprio per la mancanza di arrossamento e dell’aumento della temperatura locale. Il materiale che forma la raccolta ha aspetto sieroso torbido, colore giallo grigiastro ed è frammisto a detriti di tessuto distrutto dal processo infiammatorio. È povero di cellule infiammatorie e può diffondersi per gravità aprendosi verso altri organi o all’esterno. Per evitare questa eventualità si ricorre alla puntura dell’a. passando attraverso tessuti sani e facendo seguire allo svuotamento della raccolta l’iniezione nella cavità di farmaci antitubercolari. Se l’a. si forma in una struttura ossea esso può scendere verso le parti declivi seguendo le fasce muscolari e gli interstizi tra i tessuti (a. ossifluente).

ASCESSO POLMONARE

vedi POLMONI e POLMONITE

ASCHHEIM-ZONDEK, reazione di

(Prende il nome da Selmar Aschheim, ginecologo tedesco, Berlino 1878 - Parigi 1965, e dal ginecologo polacco Bernhard Zondek, Wronke 1891 - New York 1966), uno dei metodi per la diagnosi precoce di gravidanza.Il metodo si basa sull’eliminazione urinaria da parte della donna gravida degli ormoni follicolostimolanti e luteinizzanti d’origine placentare. Si inietta una determinata quantità di urina della donna in esame in topine impuberi (di 4-5 settimane) e la reazione è da considerarsi positiva se, dopo qualche giorno, si ha la maturazione dell’apparato genitale dell’animale.

ASCITE

Raccolta di liquido libero nella cavità peritoneale. L’a. determina un aumento di volume dell’addome che, a paziente supino, appare allargato ai fianchi (addome batraciano). Con adatte manovre di palpazione e percussione oltre a riconoscere la presenza del liquido se ne può valutare l’entità. La puntura della cavità consente di svuotare la raccolta e di valutare i caratteri del liquido, elemento importante per individuare la causa responsabile del suo formarsi. Il liquido ascitico può avere un aspetto sieroso, limpido, oppure torbido per la presenza di essudato infiammatorio, oppure emorragico se contiene sangue quando contiene linfa ricca di lipidi assume un aspetto lattescente (a. chilosa).Possono causare a. numerose malattie sia limitate al peritoneo (metastasi tumorali, processi infiammatori cronici), sia a carico di altri organi (malattie del fegato, nefriti, cardiopatie) o condizioni generali dell’organismo (malnutrizione). Una delle cause più comuni è la cirrosi epatica. Le cause di questo fenomeno non sono ben chiare, ma esistono ipotesi al riguardo: innanzi tutto la compromissione delle funzioni epatiche causa una riduzione della sintesi di albumina, e quindi anche un calo della pressione oncotica plasmatica quest’ultima tende a trattenere la componente liquida all’interno dei vasi sanguigni. Al contrario la pressione idrostatica, cioè la pressione esercitata dal sangue, e che tende a far uscire i liquidi dai vasi, aumenta a causa dell’ostacolo intraepatico al deflusso del sangue portale (ipertensione portale). Se ne deduce che si rompe l’equilibrio tra i due opposti fattori e ciò causa la fuoriuscita di acqua e sali nel cavo addominale. La presenza di a. abbondante determina una serie di disturbi (difficoltà respiratorie, disturbi digestivi, intestinali, urinari, gonfiore agli arti inferiori) dovuti alla compressione del liquido sugli organi addominali e che indipendentemente dalla cura della malattia responsabile richiedono lo svuotamento della raccolta liquida.

ASCOLTAZIONE

(O auscultazione), uno dei metodi fisici di esame (ispezione, palpazione, percussione, a.) contemplati dalla semeiologia classica possono essere attuati al letto del malato, per il rilievo dei sintomi necessari a porre una diagnosi.L’a. può essere immediata o diretta (applicando l’orecchio direttamente sulla regione da ascoltare), oppure mediata o indiretta, con l’interposizione di uno strumento che meglio localizzi la zona interessata.L’a. si può praticare su ogni parte del corpo: sugli arti, sul collo, lungo le carotidi o in corrispondenza della regione tiroidea sull’addome, per valutare la presenza o assenza di attività peristaltica intestinale oltre che per rilevare anomalie lungo il decorso dell’aorta addominale sul torace infine, dove l’a. è un momento semeiologico essenziale e insostituibile. I visceri studiabili in questo caso sono l’apparato broncopolmonare ed il cuore.- A. dell’apparato broncopolmonare. Mette in evidenza il tipo di respiro e la presenza o meno di rumori respiratori accessori, di origine pleurica, bronchiale o polmonare. Il reperto normale è detto murmure vescicolare ed è dovuto alla formazione di vortici aerei all’interno degli alveoli. I rumori accessori di origine bronchiale o polmonare possono essere secchi (ronchi) e umidi (crepitii e rantoli). I rumori di origine pleurica sono detti sfregamenti e si apprezzano quando i due foglietti pleurici sfregano fra loro in presenza di irregolarità di superficie. Contrariamente ai precedenti, non si modificano con i colpi di tosse.- A. del cuore. Permette di apprezzare i fenomeni acustici che vengono generati dall’attività cardiaca.Il cuore normale genera a ogni battito 4 toni, detti 1°, 2°, 3° e 4° tono, separati da pause. Di questi però si apprezzano generalmente bene il 1° ed il 2°. L’a. del cuore permette di rilevare innanzitutto l’intensità, il timbro ed il ritmo dei toni.Il 1° tono è cupo e ha tonalità bassa a esso segue una piccola pausa, poi il 2° tono ed infine vi è una grande pausa. Accanto ai toni si possono ascoltare anche rumori patologici o soffi cardiaci. Essi si dicono organici quando sono la conseguenza di processi patologici che hanno colpito l’apparato valvolare del cuore, dando origine ai vizi valvolari. Infine all’a. del cuore sono rilevabili anche rumori pericardici, provocati cioè dallo sfregamento delle due lamine del pericardio rese scabre nella pericardite, per depositi di fibrina, e chiamati, come gli analoghi rumori pleurici, sfregamenti pericardici. L’auscultazione del cuore può avere un significato diagnostico immediato oppure essere utile per controllare nel tempo l’evoluzione di alcuni quadri patologici, grazie all’osservazione del cambiamento del reperto auscultatorio.

ASEPSI

Mancanza di contaminazione. In igiene indica una condizione realizzabile solo in spazi ristretti, privi di comunicazione con l’ambiente circostante, dove è possibile l’attuazione di tutte le norme che impediscono la contaminazione, da parte di microrganismi patogeni e non patogeni, di materiali e di formazioni anatomiche allo scopo di prevenire le infezioni (impiego di guanti sterili, uso di pinze sterili, bisturi sterili, mascherine facciali, ecc).

ASFISSIA

Mancato o insufficiente apporto di ossigeno ai tessuti, indipendentemente dal meccanismo che l’ha prodotto. Si distinguono asfissie primitive ed asfissie secondarie.Le prime dovute all’impedita assunzione di ossigeno da parte dei polmoni, le seconde dovute alla mancata utilizzazione di ossigeno da parte dei tessuti. Le cause esterne, suddivise in chimiche e fisiche, agiscono in modi differenti sia irritando le vie respiratorie (gas asfissianti), sia impedendo la fissazione dell’ossigeno polmonare ai globuli rossi (ossido di carbonio), oppure bloccando il transito dell’aria nelle vie aeree (soffocamento, strangolamento, annegamento) o impedendo l’espansione del torace (compressione del torace, scariche elettriche di grande intensità). Le cause interne sono numerosissime e comprendono una vastissima gamma di manifestazioni patologiche che interessano direttamente le vie respiratorie e i polmoni o che investendo le formazioni circostanti si riflettono sull’apparato respiratorio. Inoltre le asfissie interne trovano origine in deformazioni organiche ed alterazioni dello sviluppo che si rendono manifeste fino dai primi momenti di vita. La sintomatologia dell’a., quando si verifichi in modo totale ed improvviso l’impedimento alla respirazione, è suddivisa in quattro fasi: fase della dispnea inspiratoria caratterizzata da inspirazioni forzate, agitazione, tentativi di sottrarsi alla causa che dà a. fase della dispnea espiratoria caratterizzata da espirazioni forzate e poi contrattura completa dei muscoli della respirazione, perdita della coscienza, convulsioni muscolari, perdita di feci e di urine fase della morte apparente caratterizzata da scomparsa del polso, arresto della respirazione e rilasciamento muscolare fase terminale con momentanea ripresa dell’attività cardiaca e respiratoria seguita da cessazione delle attività vitali. Il comportamento di fronte ad un asfissiato deve essere quello di rimuovere immediatamente, se possibile, la causa che determina l’a. Iniziare la respirazione artificiale inalare ossigeno e somministrare analettici cardiorespiratori. Spesso la vita dell’asfissiato è in stretta relazione con l’immediata messa in atto di questi primi soccorsi. Può essere indicata la tracheotomia.

ASFISSIA DEL NEONATO

Stato morboso caratterizzato da un insufficiente apporto di ossigeno al sangue accompagnato generalmente a una ridotta eliminazione di anidride carbonica. L’a. neonatale può comparire alla nascita o più tardivamente. Nel primo caso essa è dovuta a fattori che agiscono al momento del parto o immediatamente prima: lesioni traumatiche del sistema nervoso centrale, anestetici dati alla madre che inibiscono i centri respiratori del neonato, aspirazione di muco o liquido amniotico nelle vie aeree durante il parto. Nel secondo caso l’a. è dovuta a cause che agiscono dopo la nascita: insufficienza cardiocircolatoria per vizi cardiaci congeniti, collasso cardiocircolatorio per emorragie, lesioni del sistema nervoso centrale, gravi lesioni delle vie respiratorie. Un primo provvedimento necessario è l’aspirazione del muco dal naso e dalla faringe. Utile sarà una leggera frizione sulla cute. Il neonato va posto in incubatrice e si deve ricorrere alla somministrazione di ossigeno, la cui concentrazione nell’aria non deve superare il 40% per evitare gravi lesioni della retina e dei polmoni. Utile può essere l’ossigeno a pressione aumentata ed anche la somministrazione di analettici respiratori, per esempio coramina, lobelina.

ASFISSIA MECCANICA

Interruzione degli scambi respiratori che può attuarsi con differenti meccanismi: per occlusione degli orifizi respiratori (soffocamento) per occlusione delle prime vie aeree (strozzamento, strangolamento, impiccamento, intasamento) per occlusione delle basse vie aeree (annegamento, aspirazione di sangue o di altri liquidi ecc.) per compressione del torace (morte tra la folla) per mancanza o povertà di ossigeno nell’ambiente (asfissia da confinamento o da seppellimento, sostituzione dell’ossigeno con gas inerti, per es. azoto).

ASHERMAN, sindrome di

Sindrome caratterizzata dalla presenza di sinechie, o aderenze, intrauterine, che occludono più o meno completamente la cavita uterina e/o il canale cervicale.

Cause
Le aderenze intrauterine si possono formare dopo interventi chirurgici di raschiamento, specie se post- parto o post- aborto, di metroplastica, di miomectomia, o a seguito di processi infiammatori dell’endometrio non curati (ad es. Chlamidya) le aderenze intracervicali possono conseguire ad interventi sulla cervice uterina come conizzazione, diatermocoagulazione o come esito di lacerazioni da parto.

Sintomi
Infertilità, turbe del flusso mestruale (flusso scarso, mestruazioni molto dolorose), intensi dolori addominali dopo il ciclo

Diagnosi
Ecografia transvaginale (può evidenziare la ritenzione di sangue mestruale all’interno dell’utero nel caso di occlusione cervicale), isterosalpingografia, isteroscopia.

Terapia
Chirurgica: lisi delle aderenze per via isteroscopica.

ASIMBOLIA

Incapacità di riconoscere un oggetto pur percependone correttamente le caratteristiche fisiche (dimensioni, colore ecc.). Il concetto di a. si sovrappone di fatto a quello di agnosia e, come per quest’ultima, si possono distinguere a. ottica, acustica e tattile.Le asimbolie, così come le agnosie, sono dovute alla lesione di particolari centri del cervello.

ASINERGIA

Mancanza della capacità di associare e coordinare armonicamente i movimenti di diversi muscoli, necessari per compiere un determinato atto, soprattutto se questo richiede l’intervento di gruppi muscolari antagonisti.È un sintomo che compare in lesioni del cervelletto in quanto tale organo costituisce il centro di coordinamento dell’attività muscolare volontaria.Il disturbo, di grado e tipo diverso a seconda della zona colpita, può essere evidenziato con adatte manovre semeiologiche.

ASISTOLIA

Assenza delle sistoli, cioè delle contrazioni ritmiche del cuore che si manifesta con la scomparsa dei polsi periferici arteriosi (in particolare i polsi carotideo e radiale non sono più apprezzabili) e dei toni cardiaci cui fanno seguito rapidamente la cessazione dell’attività respiratoria e la perdita della coscienza. Se dura pochi secondi la sintomatologia è scarsa (vertigini, annebbiamento della vista) se si protrae oltre i 10-20 secondi può portare alla perdita di coscienza, dopo pochi minuti si instaurano lesioni cerebrali irreversibili, oltre è incompatibile con la vita.Più nota con il termine di arresto cardiaco, riconosce diverse cause cardiache (malattie del miocardio, pericardio e vasi coronarici) o extracardiache (soprattutto squilibri metabolici, elettrolitici come l’ipopotassiemia, o cause iatrogene).L’a. è una emergenza medica assoluta che richiede l’immediato avvio delle tecniche di rianimazione cardiopolmonare (BLS: Basis Life Support) per sostenere la respirazione (manovre di disostruzione e ventilazione artificiale) ed il circolo (massaggio cardiaco).

ASMA

Sindrome clinica caratterizzata dal ripetersi, con frequenza variabile, di crisi di dispnea, crisi cioè durante le quali il paziente avverte un’improvvisa difficoltà a respirare, con senso di soffocamento, di oppressione al torace, di fame d’aria.La crisi, detta accesso asmatico, è dovuta ad una contrazione improvvisa e prolungata delle fibre muscolari lisce della parete bronchiale questo fenomeno, insieme alla congestione della mucosa e alla presenza di muco sopra la stessa, comporta un restringimento del lume bronchiale che, soprattutto a livello dei bronchi di piccolo calibro, crea ostacolo al passaggio dell’aria.L’accesso asmatico può essere scatenato da diversi fattori, i quali probabilmente agiscono con tale effetto solo in soggetti predisposti, le cui strutture bronchiali sono ipersensibili e reagiscono a stimoli che non hanno alcun effetto nei soggetti normali.

Cause
La più frequente è rappresentata dall’inalazione di sostanze nei confronti delle quali il soggetto è sensibilizzato (a. allergica) Gli stimoli responsabili degli attacchi di a. allergico sono gli allergeni che penetrano nell’organismo attraverso varie vie, la via inalatoria (la più frequente), la via digerente (che in genere dà un’allergia di tipo alimentare), la via parenterale (specie nel caso di trattamenti farmacologi intramuscolari o endovena). La penetrazione nell’organismo di sostanze estranee (allergeni) stimola la formazione di particolari immunoglobuline (IgE) che prendono il nome di anticorpi. Queste immonoglobuline si fissano sulla membrana di alcune cellule (mastociti) che si trovano nella parete bronchiale e sui globuli bianchi, detti basofili, circolanti nel sangue e sensibilizzano queste cellule. Una successiva esposizione allo stesso antigene fa sì che dalle cellule sensibilizzate dal primo contatto si liberano particolari sostanze (mediatori chimici) che determinano l’ostruzione acuta delle vie respiratorie con comparsa della crisi asmatica.Quando l’allergene, che nella massima parte dei casi arriva ai polmoni mediante l’aria inspirata, s’incontra con l’anticorpo che è ancorato alle cellule, avviene repentinamente un importante complesso di fenomeni ai quali partecipano tutti i componenti del tessuto polmonare. Le fibre muscolari lisce, che sono disposte circolarmente attorno alle più fini diramazioni bronchiali, si contraggono, diventano cioè spastiche, riducendo così lo spazio attraverso il quale l’aria giunge agli alveoli dove avvengono gli scambi gassosi con il sangue. Inoltre la mucosa, che riveste internamente i bronchioli respiratori, si rigonfia, diviene tumida e succulenta, rendendo ancora più difficoltoso il passaggio dell’aria, anche le cellule secernenti muco intervengono, aumentando con un ritmo frenetico la loro secrezione. Esse sono presenti in gran numero nella mucosa bronchiale utilissime in condizioni normali, perché il loro secreto deterge le vie respiratorie, durante la crisi asmatica, attraverso l’eccesso di muco secreto, che tra l’altro è particolarmente tenace e vischioso, contribuiscono a intasare definitivamente i bronchioli già spastici e a fare ulteriormente precipitare la situazione.Moltissime sostanze possono agire come allergeni, dalle più comuni alle più strane e rare è chiaro che quanto più queste sostanze saranno diffuse, tanto più facile sarà la possibilità di contatto e più frequenti le crisi. Nell’80-90% dei casi gli allergeni in causa sono le sostanze inalanti o pneumoallergeni tra i più comuni sono i pollini di moltissime piante, i derivati epidermici di animali, cioè i peli o la forfora di gatti, cani, capre, cavalli, pecore, il crine o la lana dei materassi, le penne dei volatili, la farina dei cereali, le fibre vegetali canapa, cotone) ed anche la polvere di casa.L’allergia alle polveri di casa, ai funghi e alle loro spore è di frequente riscontro nelle persone adulte. Attualmente si ritiene che l’azione allergizzante della polvere sia svolta da acari della specie Dermatophagoides, che vivono nutrendosi della forfora derivante dalla desquamazione della cute.Questo microrganismo si sviluppa più facilmente nelle case umide e nelle stagioni più umide (autunno e primavera), tanto che l’asma provocata da questo acaro peggiora in queste stagioni e in queste condizioni.Gli allergeni alimentari sono spesso responsabili delle crisi asmatiche nei bambini, più raramente negli adulti. In ordine di frequenza sono le uova, il latte e i suoi derivati, la carne, i pesci, i crostacei, alcuni frutti (fragole, pesche, mele) o verdure (per esempio spinaci). Il cibo come unico fattore determinante dell’a. è però raro.Anche fattori psicologici come stati di ansia o di rabbia possono scatenare una crisi asmatica, così come infezioni dell’apparato respiratorio (a. infettiva) o altri fattori aspecifici quali l’inalazione di aria fredda, del fumo di tabacco, di gas irritanti (a. associata a malattie croniche dell’apparato respiratorio)

Sintomi
In un momento qualsiasi della giornata, un individuo in stato di pieno benessere viene improvvisamente colto da una sensazione di costrizione toracica rapidamente crescente, il suo respiro diventa affannoso e interrotto da una tosse secca e stizzosa la situazione precipita in pochissimo tempo: la difficoltà respiratoria si tramuta in una vera e propria “fame di aria”. Il paziente si pone seduto sul letto o a cavalcioni di una sedia oppure in piedi al davanzale di una finestra, puntellandosi sulle braccia ed elevando le spalle, in cerca della posizione migliore per inalare l’aria che gli manca. L’espressione del viso è di angoscia, il colorito è terreo e la cute è bagnata di sudore freddo ogni parola, ogni movimento gli costa grande fatica: tutte le sue forze sono tese verso la respirazione. La cosa che gli riesce più difficile è emettere l’aria dai polmoni i movimenti respiratori sono accompagnati da un concerto di rumori: sibili, fischi, rantoli, che possono essere avvertibili anche a qualche metro di distanza. Lo stato psichico è caratterizzato da grande ansia e irrequietezza.Questa situazione può durare qualche ora, un giorno o più, nel caso che il medico non intervenga a risolverla in breve tempo. In seguito il respiro diventa progressivamente più agevole, con grande sollievo del paziente che si rilassa, finché tutto ritorna nella più completa normalità. Non sempre l’inizio è così brusco, a volte l’accesso è preceduto da una mal definibile sensazione di irrequietezza o da un breve raffreddore, da prurito in gola o da un segno caratteristico, anche se non costante: la perdita dell’odorato comunque il dato più tipico dell’a. allergico è il perfetto stato di benessere tra un accesso e l’altro.L’a. allergico solitamente insorge nei bambini venendo a interessare il 5% della popolazione e riconosce delle cause precipitanti specifiche e riconoscibili se viene raccolta un’accurata anamnesi allergologica e se si presta attenzione a quanto è stato fatto, a contatto di cosa si è giunti prima della comparsa della crisi. In questa ricerca si è aiutati anche perché frequentemente l’a. è stata preceduta da alcuni anni da una rinite allergica che riconosce le stesse cause scatenanti dell’a.I principali meccanismi attraverso i quali si attua la crisi asmatica sono lo spasmo della muscolatura bronchiale, l’edema della mucosa e l’eccessiva secrezione di muco ostruiscono le vie aeree, determinando un vero e proprio parziale soffocamento.Questo fatto spiega la difficoltà respiratoria, la cianosi (colorazione bluastra della cute e delle mucose), i fischi, i sibili, i rantoli cui si è accennato. Anche i muscoli respiratori, cioè i muscoli della gabbia toracica e il diaframma, aumentano il loro tono, entrano per così dire in tensione, rendendo meno agevoli i movimenti della cassa toracica. La difficoltà espiratoria è dovuta prevalentemente al fatto che durante l’espirazione le vie bronchiali tendono a ridursi di calibro e nell’asmatico, aumentando la pressione espiratoria peribronchiale, viene ulteriormente favorita una precoce chiusura espiratoria del lume bronchiale. La posizione che l’asmatico assume durante la crisi è la migliore per permettere ai muscoli respiratori di sviluppare tutta la loro forza e quindi facilitare l’attività ventilatoria.La mortalità per a. è relativamente bassa.
Si calcola che lo 0,5-1% degli uomini si ammala di a. allergico e ogni anno muoiono 4 persone ogni 100.000 abitanti.Si è detto che terminata la crisi il paziente ritorna in uno stato di pieno benessere, non solo in apparenza ma effettivamente: l’organismo ritorna cioè in condizioni perfette. Talora però la crisi asmatica è di tale violenza da portare a fratture costali, a polmoniti e atelettasie, a bronchiti acute, a pneumotorace spontaneo, a enfisema polmonare interstiziale. Se la crisi asmatica si protrae e si instaura il cosiddetto stato di male asmatico, il cuore e i polmoni sottoposti per così lungo tempo a ricorrenti episodi di iperlavoro possono andare incontro a una grave e duratura sintomatologia. Compaiono allora tosse e catarro anche nei periodi intercorrenti tra un attacco e l’altro, le bronchiti si fanno più frequenti e si renderà necessario un controllo assiduo da parte del medico e molti riguardi da parte del malato per non peggiorare sempre più le già precarie condizioni cardiopolmonari.

Diagnosi
Numerosi sono i mezzi per porre diagnosi di a. allergico. In primo luogo si deve procedere a una raccolta dell’anamnesi molto accurata riguardante in particolare i tempi, i luoghi, le attività svolte, i contatti con animali o ambienti precedentemente la comparsa della crisi. Gli allergeni che possono dare a. sono infiniti e quindi vanno testati solo i probabili responsabili che solo l’anamnesi può evidenziare.A questo punto si procede all’individuazione dell’allergene, individuazione che può essere ottenuta con due modalità: ricerca allergologica in vivo e ricerca allergologica in vitro. La prima è eseguita per via cutanea, la seconda su campioni di sangue prelevato al paziente. I test cutanei rappresentano il mezzo diagnostico più importante, utile, rapido e attendibile per la ricerca allergologica.I metodi di esecuzione dei test per via cutanea sono tre: la cutireazione eseguita mediante scarificazione (scratch test attualmente considerato scarsamente preciso) o mediante puntura (prick test) del Derma, l’intradermoreazione (attualmente quasi abbandonata per la sua pericolosità e inaffidabilità) e la cerottoreazione (riservata di solito nella valutazione delle allergie da contatto). La cutireazione consiste nella deposizione di una goccia del supposto allergene opportunamente diluita sul punto dove il derma è stato scalfito senza però che non si sia prodotto un gemizio di sangue. La seconda consiste nell’iniezione nel derma di una minima quantità di allergene la terza è ottenuta con l’applicazione sulla cute, in genere del dorso, di cerotti impregnati dell’allergene desiderato. Una reazione positiva è dimostrata dalla comparsa di un ponfo orticariode e un rigonfiamento eritematoso che raggiunge il suo massimo nel giro di 10-20 minuti e svanisce dopo 1 o 2 ore. Questa reazione iniziale può essere seguita da una reazione tardiva che compare a distanza di 4-8 ore. Si associa solitamente anche prurito che serve ad aiutare a interpretare i risultati in caso di test dubbio.Gli antistaminici deprimono considerevolmente la reattività cutanea. I cortisonici e gli altri antiasmatici in genere hanno un effetto tutt’al più modesto sulla reazione cutanea immediata, è comunque consigliabile eseguire la ricerca allergologica dopo 4-5 giorni dalla cessazione di ogni terapia e, meglio, nei periodi intervallari della malattia. La ricerca allergologica nei bambini al di sotto dei 3 anni non dà risultati attendibili da un punto di vista diagnostico, in quanto la reazione ponfoide cresce con l’età.La ricerca allergologica in vitro consiste nella determinazione quantitativa degli anticopri IgE circolanti. Le prove allergiche in vivo e in vitro danno risultati molto simili in caso di elevate sensibilizzazioni, ma in caso di ridotta sensibilità vanno preferite le ricerche allergologiche in vivo. I vantaggi consistono infatti nella mancata interferenza con i farmaci (l’esecuzione delle prove in vivo prevede la sospensione di terapie con antistaminici da almeno sette giorni), la possibilità di praticare ricerche allergologiche anche nei bambini di età inferiore ai tre anni e in caso di lesioni cutanee che impediscono di per sé l’esecuzione del test cutaneo. I suoi svantaggi comprendono il costo elevato, la mancanza di risultati immediatamente disponibili, un modesto rischio di falsi positivi e falsi negativi.Un’altra modalità di ricerca dell’agente allergizzante in corso di a. bronchiale è il test di provocazione bronchiale specifico, vale a dire attuato con un allergene.
La ricerca degli allergeni per via inalatoria consiste nel fare inalare al paziente le probabili sostanze responsabili della crisi asmatica e nel paragonare i risultati degli esami funzionali eseguiti prima e dopo tale inalazione: in caso positivo si constata un aumento delle resistenze al flusso aereo e una riduzione dell’elasticità toracopolmonare. La prova inalatoria è molto complessa e le sue indicazioni sono venute a ridursi nel tempo. Può venire utilizzata quando gli altri test danno risultati contrastanti, non bene correlabili con l’anamnesi e si deve decidere per un eventuale trattamento iposensibilizzante specifico. Il test inalatorio, pur se eseguito utilizzando soluzioni di allergeni estremamente ridotte e a dosi subentranti, può talora portare a vere crisi asmatiche.

Prognosi
Secondo le cause e l’età si può avere totale remissione della malattia o la sua cronicizzazione: nei bambini in genere i sintomi della malattia scompaiono con la pubertà anche nei giovani adulti la prognosi delle forme di a. allergica è buona nei soggetti adulti invece la malattia ha in genere un decorso cronico e porta all’instaurarsi di danni permanenti nell’apparato respiratorio: bronchite cronica, enfisema, bronchiectasie. Tali alterazioni si ripercuotono poi sull’attività del cuore portando con il tempo ad una compromissione dell’attività funzionale del ventricolo destro.

Terapia
Come l’asmatico può contribuire all’azione del medico per sconfiggere il male? Durante la crisi la cosa più importante è la calma e il controllo di se stessi. L’asmatico deve sempre tenere presente che si tratta di una sensazione passeggera anche se penosa e che entro breve tempo ritornerà in perfette condizioni. Questa non è una raccomandazione generica, ma ha un significato ben preciso.Per rendersi conto dell’importanza dell’atteggiamento psichico del paziente nel determinare la gravità dell’attacco, basti pensare che sono stati riscontrati casi di individui allergici al polline di fiore, che venivano colti dalla crisi in seguito alla sola vista di fiori di carta. Lo spavento, del resto naturale, da cui è preso l’asmatico durante l’attacco, se non è controllato dalla ragione, porta a un accentuarsi dello spasmo bronchiale e di conseguenza a un ulteriore peggioramento dei sintomi.L’ammalato ha un altro compito fondamentale: osservarsi con molto scrupolo il paziente non deve fare della malattia il centro della propria vita e dei propri pensieri, ma deve stare tranquillo e cercare di individuare qual è l’agente che scatena la crisi. Il punto fondamentale della cura è appunto quello di impedire che l’allergene venga a contatto con il malato e, in secondo luogo, rendere il paziente insensibile ad esso mediante una idonea iposensibilizzazione.La terapia dell’a. bronchiale è complessa nelle forme allergiche richiede l’identificazione degli allergeni responsabili in modo da evitare o ridurre successive esposizioni agli stessi, o per tentare, quando possibile, una desensibilizzazione dell’organismo il trattamento farmacologico si avvale dell’impiego di sostanze ad azione broncodilatatrice, di cortisonici, di antibiotici per combattere le eventuali infezioni, di balsamici, di fluidificanti.Il trattamento iposensibilizzante specifico porta nell’85% dei pazienti a concreti risultati. Sino a qualche anno fa veniva effettuato mediante iniezioni sottocutanee praticate, una volta raggiunta la dose ottimale, ogni 3-4 settimane. Per la possibile comparsa di effetti collaterali indesiderabili, la somministrazione deve essere praticata da un medico, possibilmente dall’allergologo stesso che ha prescritto il trattamento, che ha a disposizione l’occorrente per intervenire nel caso di comparsa di intolleranze che, sia pure molto raramente, possono risultare anche mortali.Da alcuni anni si ricorre alla via sublinguale per la somministrazione dell’allergene con risultati terapeutici analoghi a quelli ottenibili con il trattamento sottocutaneo, ma con minore incidenza di fatti indesiderabili.La terapia sublinguale va condotta a giorni alterni, una volta raggiunta la dose ottimale viene praticata direttamente dal paziente al proprio domicilio.Il trattamento iposensibilizzante deve essere protratto, correttamente e ininterrottamente, per almeno tre anni. Se si sono ottenuti risultati è opportuno continuarlo per altri due anni. Va comunque tenuto ben presente che il migliore e più sicuro trattamento dell’a. allergico e delle allergie in genere è ovviamente l’allontanamento senza indugio dal paziente dei fattori causali della malattia. L’attacco acuto si gioverà di farmaci quali i beta 2 agonisti, teofillinici e cortisonici. Di recente introduzione, soprattutto nella terapia cronica, sono inoltre gli inibitori dei leucotrieni che sembrano garantire buoni risultati.

ASMA BRONCHIALE

L’a. bronchiale attualmente viene definito come difficoltà di respiro intervenente a crisi, secondario a un disordine infiammatorio delle vie respiratorie, associato a ostruzione diffusa delle vie aeree, in genere rapidamente reversibile (spontaneamente o con appropriata terapia) e caratterizzato da una condizione di ipereattività bronchiale.In circostanze, che fortunatamente sono rare, l’ostruzione delle vie aeree può essere di tale entità e durata (stato di male asmatico) da risultare potenzialmente letale. L’accesso può durare in genere circa una o due ore.

Sintomi
La parola a. è sinonimo di difficoltà di respiro. Questo sintomo si riscontra in numerose malattie e si può distinguere un a. bronchiale, cardiaco, psicogeno e per ultimo un a. secondario ad altre condizioni morbose quali tumori, corpi estranei endobronchiali, bronchite ed enfisema.L’ostruzione bronchiale è caratterizzata da edema e infiltrazione della mucosa, da secrezioni endobronchiali e da contrazione della muscolatura bronchiale. Queste alterazioni anatomiche sono la causa della sintomatologia respiratoria caratterizzata da dispnea espiratoria con respiro sibilante, espirazione prolungata, tosse prevalentemente non produttiva o con modeste quantità di espettorato chiaro, mucoso e viscoso.L’a. bronchiale si presenta a crisi intervallate da periodi di tempo, da alcune ore a qualche anno, di pieno benessere.Talora, però, l’a. bronchiale può manifestarsi con un andamento cronico, in quanto anche tra una crisi e l’altra persiste una certa difficoltà respiratoria.La sintomatologia varia di entità da paziente a paziente e, nello stesso paziente, da momento a momento, passando dalla presenza di crisi di modesta entità a crisi impegnative sino a raggiungere una gravità e una durata tale da provocare irrimediabilmente l’instaurarsi di una condizione di insufficienza respiratoria cronica.Caratteristica dell’a. bronchiale è una condizione di ipereattività bronchiale che però non è specifica di questa malattia in quanto presente, anche se con minore frequenza, in altre pneumopatie (virosi, bronchiti, sarcoidosi). L’ipereattività è caratterizzata in particolare dall’insorgenza di una condizione di broncospasmo, dovuto alla contrazione della muscolatura liscia delle vie respiratorie, allorquando il paziente viene sottoposto a stimoli che nei soggetti sani non inducono alcuna reazione.L’asma b. può presentarsi a qualunque età e interessa in ugual misura i due sessi. L’a. bronchiale viene a fini specie terapeutici distinta in a. intrinseco (o infettivo) e a. estrinseco (o allergico o atopico). In molti pazienti entrambi i tipi vengono a coesistere.Questa eventualità si riscontra specie negli asmatici allergici nei quali, con il trascorrere del tempo, vengono a concomitare fattori infettivi accanto a fattori allergici: in questi casi si parla di a. di tipo misto.

ASMA INFETTIVO

L’a. bronchiale infettivo presenta una sintomatologia clinica molto simile a quella descritta per l’a. allergico. Esso insorge frequentemente anche in età adulta, non presenta un’anamnesi familiare allergica, mostra normali livelli di IgE e una discreta incidenza (circa il 10%) di intolleranza all’aspirina.

Cause
Non si conosce con precisione l’eziopatogenesi dell’a. infettivo anche se, pur non avendone ancora la prova certa, si ritiene sia riconducibile a uno stato allergico indotto dagli agenti infettivi stessi. Infatti, dai germi, dalle cellule che partecipano a un processo infettivo, in particolare dai neutrofili (particolare tipo di globuli bianchi), si liberano enzimi proteolitici che sensibilizzano i recettori vagali delle vie respiratorie provocando lo stesso effetto esercitato dai mediatori chimici che si liberano dalla reazione antigene-anticorpo nell’a. allergico. I germi, inoltre, potrebbero facilitare, mediante il processo infiammatorio, la sensibilizzazione verso altri allergeni, favorendo la permeabilità delle mucose bronchiali ad essi.Non sempre la regressione dell’infezione coincide con la scomparsa dell’a. che anzi tende a protrarsi nel tempo, espressione verosimile di uno stato di ipereattività bronchiale aspecifica. L’a. infettivo si presenta specie nei mesi freddi e umidi allorquando le infezioni a carico delle vie respiratorie sono più frequenti. Le indagini anatomocliniche denunciano la presenza di un processo infiammatorio (aumento dei globuli bianchi, della velocità di critrosedimentazione, positività della proteina C reattiva, incremento delle mucoproteine).

Diagnosi
La diagnosi di a. infettivo è di grande importanza in vista soprattutto del trattamento terapeutico si giunge ad essa mediante ricerche anamnestiche accurate e con un’attenta osservazione della manifestazione asmatica. L’a. infettivo in genere compare prima dei 7-8 anni di età, secondo alcuni nei primi mesi di vita. L’attacco asmatico è sempre preceduto o accompagnato da un’infezione respiratoria batterica o virale.

Terapia
La crisi asmatica bronchiale allergica o infettiva si può risolvere da sola spontaneamente ma in genere, specie se marcata, è indispensabile intervenire con l’opportuna terapia. Attualmente sono disponibili mezzi terapeutici estremamente validi e selettivi per la vie bronchiali: i beta-2-stimolanti, i teofillinici e i cortisonici. Questi farmaci vanno somministrati, a eccezione dei teofillinici che nella crisi asmatica risultano validi solo per via endovenosa, possibilmente per via inalatoria.È molto importante tenere presente che le crisi asmatiche possono essere prevenute con la somministrazione di cromoni o cortisonici anche per via topica. Ed è inoltre importante ricordare che questi farmaci però devono venire somministrati in continuazione, anche in assenza di sintomatologia asmatica, per tutto il periodo di tempo nel quale il paziente viene sottoposto a un possibile contatto con l’allergene causale della crisi asmatica.

ASPERGILLOSI

Malattia provocata da funghi microscopici appartenenti al genere Aspergillus.Tali funghi, abitualmente non patogeni, possono provocare infezioni anche molto gravi e disseminate in soggetti che abbiano inalato una grande quantità di spore o le cui difese organiche siano attenuate da malattie (per es. leucemie o altri tumori dei tessuti linfatici ed emopoietici) o da particolari terapie prolungate (per es. con ormoni steroidi, con farmaci antitumorali) che debilitano i meccanismi di difesa. L’organo più colpito è il polmone, ove l’infezione determina la comparsa di ascessi, di polmoniti, di broncopolmoniti. Il polmone è spesso il focolaio da cui l’infezione si può diffondere a tutto l’organismo dando ascessi in molti altri organi. Nel polmone il fungo può anche impiantarsi e accrescersi in formazioni patologiche quali caverne tubercolari, bronchiettasie, formando masse biancastre dette aspergillomi. Una endocardite da aspergilli può far seguito a interventi cardiochirurgici sulle valvole cardiache. Vi sono anche forme cutanee di a., che interessano soprattutto il condotto auricolare (otomicosi).

Sintomi
L’aspergillosi può manifestarsi sotto forma di focolai polmonari transitori che si associano a febbre, broncospasmo ed eosinofilia talora, nei soggetti debilitati, i focolai broncopneumonici si ulcerano con possibilità di formazione di una fistola broncopleurica e di un empiema.Una forma particolare è la colonizzazione del fungo su un tessuto polmonare precedentemente danneggiato da altra malattia, in particolare in una sede guarita da una caverna tubercolare. Si ha allora la formazione dell’aspergilloma o megamicetoma tipico, esso consiste in una massa di micelio libero entro una caverna polmonare, parzialmente ricoperta da un epitelio bronchiale, massa che si sviluppa e tende a crescere in volume.

Diagnosi
La diagnosi è facilitata dalla comparsa di modeste, ma quasi quotidiane, emottisi la diagnosi per eccellenza di megamicetoma è comunque radiologica ed è caratterizzata dalla presenza di un’opacità densa, separata dalla parete della caverna da un alone arcato: questa massa, che altro non è che il fungo, si muove liberamente secondo la posizione assunta dal soggetto malato.

Terapia
La terapia si basa sull’uso di antibiotici.

ASPERMIA

Mancata produzione dello sperma o impossibilità ad emetterlo.Consegue a gravi malattie debilitanti, o all’abuso di determinati farmaci o di sostanze inebrianti o stupefacenti, oppure può essere legata ad una ostruzione dei dotti eiaculatori quale esito di processi infiammatori. Non va confusa con l’azoospermia (v.).

ASPIRINA®

Farmaco da banco, usato come antinfiammatorio, analgesico, antipiretico (vedi ACIDO ACETILSALICILICO).

ASSENZA

Sospensione improvvisa della coscienza. È la forma più tipica del piccolo male epilettico. Improvvisamente, e senza alcun segno premonitore, il malato interrompe le sue occupazioni e impallidisce mentre lo sguardo diventa vago e assente trascorsi pochi istanti, riacquista coscienza e riprende le proprie occupazioni come se nulla fosse accaduto.Crisi di questo tipo si osservano prevalentemente nei bambini. Generalmente l’a. non è avvertita dal malato, il quale, dopo che la crisi è cessata, non ricorda nulla, o al massimo ha l’impressione che sia accaduto qualche cosa, ma non sa dire come e cosa sia successo. Il tutto ha la durata di pochi secondi non si registrano fenomeni convulsivi né altre importanti manifestazioni motorie tranne, a volte, qualche clonia palpebrale (contrazioni improvvise involontarie e rapide dei muscoli delle palpebre). All’a. corrisponde un particolare tracciato elettroencefalografico che consente di diagnosticare con certezza la natura del disturbo.

ASSENZA DI GRAVITÀ, effetti dell'

Alterazioni funzionali che si verificano a carico dell’organismo umano in condizioni di assenza di gravità, costituite essenzialmente da modificazioni cardiocircolatorie, respiratorie, ossee, digestive e da disturbi dell’equilibrio e dell’orientamento. Rappresentano una reazione fisiologica di fronte a tale stato.

ASSIDERAMENTO

(O ipotermia), raffreddamento generale dell’intero organismo dovuto all’esposizione globale e prolungata a freddo intenso (temperature inferiori a 0°C) che causa un blocco dei meccanismi di termoregolazione corporea (vasocostrizione periferica – brividi) con conseguente diminuzione della temperatura interna al di sotto dei 35°C.Fattori favorenti sono umidità, vento (valanghe, naufragi..), tempo di esposizione e rigidità della temperatura, abuso etilico, uso di barbiturici, malnutrizioni, età, malattie cardiovascolari concomitanti, indumenti bagnati…Il quadro clinico progredisce col progressivo diminuire della temperatura corporea: inizialmente brividi intensi, cute pallida, senso di intorpidimento, alterazione della coordinazione muscolare, sonnolenza. Successivamente, quando la temperatura scende sotto i 28°C i brividi cessano, compare una forte rigidità muscolare con cute cianotica, alterazione dello stato di coscienza e rallentamento del battito cardiaco e degli atti respiratori infine al di sotto dei 28°C, stato di coma e collasso cardiocircolatorio (spesso per fibrillazione ventricolare).

ASSIMILAZIONE

Proprietà fondamentale della materia vivente grazie alla quale il cibo, costituito da molecole estranee a un organismo, viene trasformato in sostanze assorbibili che diventano parte integrante dell’organismo stesso. È grazie a questo fenomeno che le cellule viventi sono in grado di accrescersi, di crearsi delle riserve, di riparare le perdite subite, di riprodursi.

ASSISTENZA

Insieme delle misure atte a prendere in cura un paziente.

ASSISTENZA CARDIORESPIRATORIA

Parte integrante della rianimazione cardio-polmonare, essa mira a sostenere l’attivita cardiaca e respiratoria ove esse siano insufficienti, tipicamente in un paziente incosciente o gravemente compromesso. Comprende l’insufflazione di aria nelle vie aeree (bocca-bocca, bocca-naso, o tramite ventilatore), il massaggio cardiaco esterno, la defibrillazione elettrica. Lo scopo è quello di sostenere le funzioni vitali dell’individuo per il tempo necessario ad effetture la diagnosi ed organizzare la terapia dell’evento patologico o traumatico causale.

ASSISTENZA SANITARIA

In generale il complesso delle strutture e delle prestazioni mediche offerte al paziente.

ASSOCIAZIONE LIBERA

Metodo della psicoanalisi adottato da S. Freud per richiamare alla memoria del paziente i pensieri repressi. L’analista cerca di insegnare al paziente ad eliminare gli scopi consci dell’io e a non selezionare quanto vuol dire, raccontando tutto ciò che gli passa per la mente, senza omettere alcuna cosa perché ritenuta irrilevante o imbarazzante. Il paziente non deve essere affatto attivo, il suo solo compito consiste nel non prevenire l’esprimersi delle tensioni e degli impulsi inconsci.Le resistenze dell’Io non sono tuttavia completamente eliminabili e l’a. libera più che i puri impulsi inconsci rivela una lotta tra questi e determinate resistenze dell’Io, inconsce al paziente stesso o a lui manifeste solo in forma indiretta.Particolarmente notevoli possono essere le resistenze all’a. libera nei casi di nevrosi di coazione, data la caratteristica rigidità di questi soggetti. Forti difficoltà l’a. libera presenta anche per i bambini molto piccoli, per i quali è stata sostituita da un corrispondente metodo, atto a consentire una simile libertà espressiva: l’analisi dei giuochi, introdotta da M. Klein. Un diverso uso del metodo dell’a. libera fu introdotto da C. G. Jung, basandosi sull’associazione di parole studiata da F. Galton. Si tratta in realtà di un test della personalità che può essere considerato un antenato delle tecniche proiettive di completamento, ed è un metodo più diagnostico che terapeutico. La prova si basa su un elenco di vocaboli (induttori), diverso a seconda degli scopi perseguiti. Ciascun vocabolo viene pronunciato davanti al paziente, che deve dare il più rapidamente possibile la prima parola indotta evocata in lui dal termine induttore. Considerato il forte valore affettivo che può essere connesso ai vocaboli induttori o indotti, si hanno determinate reazioni (aumento del tempo di risposta, risposta con più parole ecc.) che risultano illuminanti per l’analisi. Un’ulteriore modificazione è la ripetizione della prova, attuata chiedendo al paziente di indicare le risposte date la prima volta. La lacuna della memoria, il ricordo inesatto o esitante possono pure essere considerati indicatori di complesso.

ASSONE

vedi CILINDRASSE

ASSORBIMENTO DEGLI ALIMENTI

Complesso di fenomeni attraverso i quali i prodotti della digestione, l’acqua, i sali e altri elementi attraversano la mucosa dello stomaco e dell’intestino e passano nella linfa e nel sangue.Nello stomaco si ha solo un modesto a. di acqua e di sostanze idrosolubili (quali glucosio, amminoacidi, elettroliti) mentre è maggiore l’a. di sostanze liposolubili (per es. alcol etilico) nel colon si ha essenzialmente a. di acqua e di elettroliti (particolarmente sodio e cloro).L’a. di sostanze avviene lungo tutto il tratto gastroenterico, tuttavia è soprattutto nell’intestino tenue che avviene quasi per intero l’a. dei prodotti della digestione, favorito dal grande sviluppo di superficie della mucosa determinato dalla presenza dei villi, e dal lungo contatto del chimo con la mucosa stessa.Il fenomeno dell’a. comporta il passaggio di sostanze attraverso l’epitelio della mucosa. Tale passaggio può avvenire per meccanismi passivi: diffusione o ultrafiltrazione attraverso i pori della membrana cellulare, o diffusione attraverso l’intera membrana la velocità dell’a. in tal caso è in rapporto a fattori fisici quali i gradienti di concentrazione ed elettrochimici della sostanza che viene assorbita, la sua solubilità nei lipidi della membrana cellulare, le pressioni osmotiche ed intraluminali. Possono però intervenire anche meccanismi specifici: interazione della sostanza con determinati costituenti della membrana cellulare, a volte con modificazioni chimiche della sostanza stessa durante il trasporto, o anche trasporto attivo contro un gradiente di concentrazione, a spese di energia proveniente dal metabolismo cellulare, ciò che permette l’a. anche quando la concentrazione della sostanza nel lume intestinale è inferiore a quella nel sangue. Un meccanismo attraverso il quale si può avere a. di sostanze è anche la pinocitosi: in questo caso la sostanza interessata viene inglobata entro una introflessione della membrana cellulare, e poi si libera come una vescicola nel citoplasma la vescicola può rompersi entro la cellula liberando la sostanza nel citoplasma oppure può rompersi dal lato basale della cellula liberando la sostanza negli interstizi intercellulari, da cui passare in circolo.A. dei carboidratiI carboidrati vengono assorbiti solo dopo che sono stati scissi nei monosaccaridi costituenti dai processi digestivi che avvengono nel lume intestinale o sulla superficie delle cellule mucose, per effetto degli enzimi ivi localizzati. Gli esosi e i pentosi vengono assorbiti rapidamente a livello del duodeno e dell’ileo. Alcuni sono assorbiti per semplice diffusione il glucosio e il galattosio, invece, attraverso un meccanismo specifico di trasporto attivo che al tempo stesso comporta il passaggio di ione sodio nella cellula, e successivamente la sua estromissione negli interstizi a spese di energia. Il trasporto degli zuccheri, quindi, è facilitato se sulla superficie mucosa delle cellule epiteliali la concentrazione di sodio è elevata. Probabilmente anche il fruttosio viene trasportato da un sistema specifico, però indipendente dal sodio. Il glucosio che si accumula nella cellula intestinale diffonde poi nel sangue. Gli alimenti ricchi d’amido (cereali e derivati, patate, legumi ecc.) richiedono la cottura preliminare che provoca la rottura dei granuli d’amido e ne facilita la successiva digestione. Questa ha inizio nella cavità orale per l’azione della ptialina contenuta nella saliva. La ptialina è un enzima in grado di scindere l’amido in destrine ed eventualmente le destrine in maltosio. L’azione della ptialina ha inizio nel cavo orale e si continua nello stomaco, fino al momento in cui gli alimenti entrano in contatto con il succo acido secreto dalla mucosa gastrica. In questo modo l’amido è stato ridotto in catene aventi una lunghezza inferiore a 8 unità di glucosio. Nello stomaco la scissione dei glucidi è molto scarsa.Quando il chimo gastrico entra nell’intestino tenue, la digestione delle destrine prosegue per azione dell’amilasi pancreatica, enzima simile a quello salivare, ma che, a differenza di quest’ultimo, è attivato dall’acido cloridrico.
Al termine dell’azione dell’amilasi pancreatica, nel lume intestinale sono presenti principalmente glucosio, maltosio, isomaltosio (che costituiscono i prodotti di digestione dell’amido), il lattosio e il saccarosio presenti nella dieta. La cellulosa, un polisaccaride avente legami per i quali l’uomo non possiede uno specifico enzima capace di scinderlo, non è digerita. I disaccaridi sono idrolizzati nei microvilli della parete intestinale da enzimi specifici contenuti nella membrana cellulare (l’orletto a spazzola delle cellule epiteliali intestinali). I monosaccaridi così formati e il glucosio passano dal lume intestinale al circolo portale, lungo il quale sono trasportati prima al fegato e successivamente al resto dell’organismo.Numerosi alimenti ricchi d’amido, ma dotati d’involucri cellulosici resistenti (come fagioli, castagne ecc.), sono digeriti con difficoltà, quindi giungono all’intestino crasso incompletamente digeriti e danno luogo a fermentazioni intestinali. Il meccanismo per mezzo del quale gli zuccheri sono assorbiti dall’intestino è molto complesso. Alcuni zuccheri, in particolare i pentosi, passano attraverso la barriera intestinale per semplice diffusione passiva. Gli altri zuccheri (in particolare il glucosio, il fruttosio, il galattosio e probabilmente il mannosio) sono trasportati attivamente, anche contro gradiente di concentrazione. Ciò significa che questi zuccheri sono assorbiti anche se la loro concentrazione nel sangue è superiore a quella dell’intestino (in condizioni fisiologiche, tuttavia, la concentrazione degli zuccheri è di solito maggiore nell’intestino che nel sangue). Esiste cioè un meccanismo di tipo attivo o facilitato. È probabile che tale meccanismo non sia necessario per l’a. del 90-95% degli zuccheri e che la sua utilità consista nell’evitare la diffusione passiva degli zuccheri in direzione opposta, cioè dal sangue al lume intestinale, che potrebbe verificarsi, per esempio, durante il digiuno, quando la concentrazione degli zuccheri è più alta nel sangue che nel lume intestinale.Il processo di digestione e d’a. degli zuccheri contenuti negli alimenti avviene gradualmente, perciò la quantità assorbita è di circa 1 g/kg di peso corporeo/ora. È provato che la velocità d’assorbimento degli zuccheri dal lume intestinale è abbastanza costante e ciò indipendentemente, entro limiti piuttosto ampi, dalla quantità totale con cui sono introdotti nell’intestino. Passando attraverso il fegato, il fruttosio e il galattosio vengono o metabolizzati a formare altre sostanze sulla base delle varie necessità metaboliche o convertiti in glucosio. Il glucosio ematico, di solito, raggiunge il suo livello massimo (circa 130 mg/100 ml di sangue) entro un tempo variabile da mezz’ora ad un’ora dopo il pasto, per scendere successivamente entro due ore, due ore e mezza, a circa 70-90 mg/100 ml di sangue.A. delle proteineAvviene quasi esclusivamente dopo che queste sono state scisse negli aminoacidi costituenti, e avviene soprattutto nel digiuno e nel duodeno. Gli aminoacidi liberi vengono assorbiti con meccanismi di trasporto attivi che differiscono secondo la struttura degli aminoacidi stessi vengono distinti quattro tipi di trasporto: per gli aminoacidi neutri, per i dibasici, per i dicarbossilici e per gli aminoacidi prolina e ossiprolina e la glicina. Questi meccanismi sono specifici per gli aminoacidi (che quindi vengono trasportati più rapidamente dei rispettivi isomeri), e sono accoppiati al trasporto di sodio analogamente a quanto avviene per i monosaccaridi. Gli aminoacidi neutri sono quelli che vengono trasportati più rapidamente. Gli aminoacidi si accumulano nella cellula intestinale e da qui diffondono poi nel sangue. Oltre agli aminoacidi liberi le cellule della mucosa intestinale possono assorbire, con meccanismi di trasporto specifici, anche piccoli peptidi (di- e tripeptidi), i quali poi vengono scissi ad aminoacidi dalle peptidasi cellulari. A. per pinocitosi di proteine indigerite si ha solo nel neonato. Le proteine assunte con la dieta sono scisse fino ad aminoacidi dagli enzimi proteolitici e dalla peptidasi del tubo gastro-intestinale. Solo alcune proteine a basso peso molecolare e molti peptidi possono essere assorbiti direttamente dall’intestino. La digestione delle proteine inizia nello stomaco per opera d’enzimi riuniti sotto il nome di pepsina, attivi in ambiente acido (pH circa 1) è portata a termine nell’intestino tenue dove il contenuto acido dello stomaco è reso alcalino dal secreto pancreatico. Nell’intestino agiscono la tripsina, la chimotripsina, l’elastasi, la carbossipeptidasi di origine pancreatica, le aminopeptidasi e le dipeptidasi presenti nelle cellule della mucosa intestinale.In generale, la scissione delle proteine nello stomaco non è completa e si limita alla liberazione di polipeptidi. Nella fase intestinale l’idrolisi (scissione) delle proteine è dovuta all’intervento delle peptidasi, ma ciò che è importante rilevare è che digestione e a. s’integrano a vicenda.Le peptidasi localizzate nelle cellule della mucosa intestinale svolgono circa l’80% dell’attività peptidasica totale hanno la capacità di idrolizzare piccoli peptidi che entrano nelle cellule della mucosa. La restante attività è svolta dalle peptidasi localizzate sull’orletto a spazzola della parete intestinale.A. dei lipidiAvviene sia sotto forma di idrolisi completa (glicerolo e acidi grassi) sia sotto forma di monogliceridi. Ha luogo soprattutto nella prima parte dell’intestino tenue, ma può proseguire anche nell’ileo se la quantità di lipidi ingerita è abbondante probabilmente esso avviene per semplice diffusione dipendente dal gradiente di concentrazione.In questo modo viene favorito l’instaurarsi di un gradiente di concentrazione. I lipidi assunti con la dieta sono costituiti in prevalenza da trigliceridi e, in minore quantità, da fosfogliceridi, esteri del colesterolo e colesterolo sono scissi e assorbiti a livello dell’intestino tenue, in cooperazione con altri organi e sistemi, quali stomaco, pancreas, fegato, sistema neurovegetativo ed endocrino.L’utilizzazione dei lipidi alimentari, composti altamente idrofobi, mediante digestione e successivo a., passa attraverso vari stadi:- processi d’emulsificazione associati a scissione, cui seguono:- solubilizzazione dei prodotti di scissione,- a. da parte delle cellule epiteliali dell’intestino tenue,- successiva risintesi,- rimozione dalle cellule intestinali e trasporto nel circolo linfatico.La formazione di emulsioni e successivamente di soluzioni micellari avviene per l’azione meccanica della peristalsi e per effetto di sostanze ad azione tensioattiva quali i sali biliari, i fosfolipidi e, in parte, gli acidi grassi liberati dai trigliceridi per azione degli enzimi lipolitici.I trigliceridi presenti nel tubo gastroenterico, in forma di emulsione grossolana o di fini particelle, sono scissi prima dalla lipasi gastrica e quindi dalla lipasi pancreatica (enzima particolarmente attivo sui trigliceridi contenenti acidi grassi a catena lunga).Per distacco in successione di due molecole di acidi grassi dal trigliceride si formano digliceridi e quindi monogliceridi. I prodotti di scissione dei trigliceridi (acidi grassi liberi ionizzati o meno, monogliceridi e digliceridi) di polarità maggiore dei composti di origine, alla presenza di sali biliari e di fosfolipidi provenienti dalla bile, formano microparticelle di piccolissimo diametro (0,6 micron in media), sotto forma di micelle miste. Questo processo è essenziale perché avvenga l’a. dei monogliceridi e degli acidi grassi liberi da parte dei villi intestinali attraverso un processo passivo.All’interno delle micelle pare vi sia un centro idrofilo in cui si possono sciogliere altre molecole lipidiche, come, per esempio, il colesterolo e le vitamine liposolubili.Le micelle sono quindi la forma finale delle molecole liposolubili, che devono passare attraverso la mucosa intestinale.I prodotti di scissione dei trigliceridi all’interno delle cellule epiteliali dell’intestino vengono di nuovo sintetizzati a trigliceridi, i quali a loro volta sono trasportati in circolo attraverso la linfa sotto forma di particelle lipoproteiche.Solo gli acidi grassi a breve catena (meno di 12 atomi di carbonio) sono trasportati attraverso il sangue venoso portale.I chilomicroni e le lipoproteine a bassissima densità (VLDL = Very Low Density Lipoprotein) sono implicati nel trasporto dei trigliceridi. Il plasma, infatti, è una soluzione acquosa salina, quindi inadatta al trasporto dei lipidi, non solubili in acqua. Le lipoproteine plasmatiche, grosse molecole costituite dall’unione fisica di proteine e lipidi, e i chilomicroni, ovviano a questa difficoltà.I trigliceridi presenti nei chilomicroni sono scissi per azione di un enzima idrolitico e gli acidi grassi così liberati sono assunti dai tessuti che li utilizzano per la produzione di energia o per la biosintesi di altri composti.Se i trigliceridi assunti con la dieta eccedono le esigenze energetiche del momento, gli acidi grassi vengono nuovamente risintetizzati a trigliceridi e immagazzinati nel tessuto adiposo. L’a. lipidico nell’uomo è prevalentemente localizzato nei tratti superiori dell’intestino tenue (duodeno e soprattutto digiuno), pur non essendo completamente escluso l’ileo.A. dell’acqua e degli elettrolitiL’a. dell’acqua dipende strettamente da quello degli elettroliti (particolarmente sodio e cloro, che sono i principali ioni dei liquidi extracellulari): esso quindi varia nelle diverse zone dell’intestino, ed è inoltre del tutto passivo in quanto avviene in rapporto ai gradienti di pressione osmotica che si creano con il passaggio degli ioni. Digiuno e ileo sono la sede principale dell’a., che si completa nel colon. Poiché l’a. del cloruro di sodio e dei soluti in genere si compie attivamente, contro un gradiente elettrochimico, l’acqua può venire assorbita anche da soluzioni isotoniche o ipertoniche.
L’a. intestinale di elettroliti e di acqua è influenzato da diversi ormoni, tra i quali l’aldosterone, che agisce sulla mucosa intestinale in modo analogo a quanto avviene nei tubuli renali.Il calcio viene assorbito con un meccanismo di trasporto attivo, soprattutto nella prima parte dell’intestino tenue l’entrata nella cellula intestinale si compie mediante la fissazione dello ione ad una proteina trasportatrice localizzata sulla superficie assorbente delle cellule nel passaggio dello ione calcio dalla cellula al sangue interviene un meccanismo attivo che richiede consumo di energia, particolarmente quando si hanno basse concentrazioni di calcio nel lume intestinale. L’a. del calcio è favorito dalla vitamina D, dall’ormone paratiroideo, dai sali biliari (che permettono l’assorbimento della vitamina D) è invece ostacolato da quegli anioni (fosfati, ossalati, acidi grassi) che con il calcio possono formare sali insolubili. L’a. del calcio è in rapporto soprattutto con il fabbisogno dell’organismo, più che con la quantità presente nella dieta.Anche l’a. del ferro è correlato al fabbisogno dell’organismo esso si compie con un meccanismo attivo soprattutto nel duodeno e nella porzione prossimale del digiuno del ferro in forma ionica quello bivalente (ferroso) è assorbito meglio di quello trivalente (ferrico). Una volta entrato nella cellula il ferro viene passato ad una globulina plasmatica, la transferrina, che lo veicola in circolo. Quando l’organismo non ha necessità immediate di ferro, il ferro assorbito viene legato ad una proteina, l’apoferritina (sia a livello delle cellule intestinali che di altri tessuti) si forma così un composto detto ferritina che costituisce una forma di deposito dalla quale il ferro può essere mobilizzato in caso di necessità.A. delle vitamineLe vitamine liposolubili (vitamina A, beta-carotene, vitamine E, D, K) vengono assorbite con modalità analoghe a quelle dei lipidi. Delle vitamine idrosolubili, la piridina e l’acido p-aminobenzoico sono assorbite per diffusione semplice, tutte le altre con meccanismi specifici di trasporto attivo o di diffusione facilitata (attraverso sostanze trasportatrici specifiche, ma senza consumo di energia). Le vitamine vengono assorbite nella prima parte dell’intestino tenue, eccetto la vitamina B12, che è assorbita nell’ileo. Quest’ultima richiede la presenza del fattore intrinseco prodotto dalle cellule ossintiche (o parietali) della mucosa gastrica.A. degli acidi nucleiciAvviene dopo che sono stati scissi nei loro costituenti (acido fosforico, zuccheri, basi puriniche e pirimidiniche) le basi sono assorbite mediante meccanismi di trasporto attivo.Disturbi dell’a.I processi di a. degli alimenti possono risultare alterati in un gran numero di condizioni morbose interessanti il tubo digerente e le ghiandole annesse il quadro clinico che ne risulta viene genericamente definito sindrome da malassorbimento. È caratterizzato essenzialmente da disturbi delle funzioni gastrointestinali (con diarrea ed eliminazione di feci alterate nei loro caratteri) e dai segni dovuti all’insufficiente assorbimento di una o più sostanze (perdita di peso o arresto nell’accrescimento, anemia, segni di carenza vitaminica ecc.). Il difettoso assorbimento può dipendere: da alterazioni dei processi digestivi che hanno luogo nel lume intestinale da eccessiva proliferazione di batteri nell’intestino (quale si può avere per ristagno del contenuto, per acloridria, per la presenza di fistole tra il colon e lo stomaco o l’intestino tenue) da alterazioni della funzione assorbente nelle cellule della mucosa intestinale (morbo celiaco, sprue, enteriti acute o croniche, nelle infiltrazioni patologiche della mucosa da malattie congenite del metabolismo (per es. nelle deficienze di disaccaridasi) da ostruzioni dei vasi linfatici dell’intestino (in conseguenza di tumori, o di processi infiammatori), il morbo di Whipple, endocrinopatie (ipoparatiroidismo, ipotiroidismo), ipogammaglobulinemia, sindrome da carcinoide, enteriti da irradiazione da impiego di determinati farmaci come la colestiramina (che lega i sali biliari rendendoli non più disponibili per la formazione di micelle), purganti di varia natura se usati in eccesso, neomicina, colchicina.Le indagini diagnostiche intese a chiarire la natura ed il tipo dei disturbi dall’assorbimento alimentare si valgono di diversi tipi di esami:

- studio quantitativo e qualitativo dei grassi contenuti nelle feci
- test per valutare l’attività secretiva del pancreas, metabolismo degli acidi biliari, a. della vitamina B12, dello xiloso
- indagini radiologiche
- esame istologico di mucosa intestinale.

ASSUEFAZIONE

Tolleranza progressiva acquisita dall’organismo per un farmaco o altre sostanze nei cui confronti sviluppa dipendenza. La somministrazione di tali sostanze si accompagna a fenomeni che mettono in evidenza la capacità dell’organismo di adattarsi a modificazioni che ne turbano l’equilibrio. La tolleranza per la sostanza somministrata aumenta progressivamente, tanto che l’individuo può ricevere senza danno dosi molto elevate: per esempio dosi di oppio fino a 100 volte superiori a quella mortale. Interrompendo la somministrazione la tolleranza regredisce.Caratteristico dell’a. è l’accompagnarsi a fenomeni di astinenza, quando la somministrazione cessa improvvisamente. Sono fenomeni diversi a seconda della sostanza: hanno in comune un senso soggettivo di angoscia, di morte imminente. Le sostanze che danno a. sono diverse: più noti gli stupefacenti, gli eccitanti, l’alcol. Occorre distinguere l’a. dall’abitudine. La prima è caratterizzata da desiderio invincibile, tendenza ad aumentare le dosi, dipendenza psichica e fisica, fenomeni di astinenza nell’abitudine vi è desiderio, ma non invincibile, scarsa tendenza ad aumentare le dosi. L’alcol può dare sia abitudine, condizione non grave e senza conseguenze, sia a., con le note conseguenze della dipendenza (alcolismo) e dell’avvelenamento cronico.Condizione opposta all’abitudine e all’a. è l’accumulo, in cui la tolleranza diminuisce progressivamente con la somministrazione.

AST

Enzima presente all’interno delle cellule epatiche, del gruppo delle transaminasi. Il suo dosaggio plasmatico fa parte delle indagini di routine utilizzate per controllare la funzionalità epatica. Un aumento dei suoi livelli ematici testimonia una sofferenza epatica.

ASTASIA

Difficoltà a mantenere la stazione eretta, senza che si possano mettere in evidenza, con l’esame clinico o con esami strumentali, disturbi della motilità, della sensibilità, della forza e della coordinazione muscolare. Il paziente affetto da a. mostra incapacità a restare in piedi senza essere sorretto diversamente in qualsiasi altra posizione egli sa compiere movimenti in modo normale. Si tratta di un disturbo indipendente da lesioni organiche, osservabile in soggetti isterici.

ASTENIA

Sensazione di intensa stanchezza che comporta diminuzione della capacità di lavoro e affaticamento anche a compiere sforzi di lieve entità. Può essere un sintomo presente in molte malattie: infezioni croniche, malattie endocrine (per es. diabete, morbo di Addison, ipotiroidismo), anemie, malattie neuromuscolari, intossicazioni, neoplasie. Può essere anche una manifestazione di affezioni psichiatriche, accompagnandosi allora spesso a depressione, insonnia, palpitazione, ansietà ecc.Il termine astenico viene anche impiegato per definire soggetti con particolari caratteristiche costituzionali.

ASTENOPIA

Senso di stanchezza agli occhi per sforzi di accomodazione o per eccesso di lavoro dei muscoli oculari.

ASTENOSPERMIA

Presenza di spermatozoi poco vitali nello sperma con conseguente sterilità. Può essere causata da un’alterata formazione degli spermatozoi nel testicolo. Nel primo caso può essere dovuta a traumi, varicocele, infiammazioni (orchiti), abuso di alcolici o di farmaci (cimetidina, chemioterapici antitumorali), criptorchidismo, ipogonadismo, irradiazione locale, assenza congenita delle cellule produttrici di spermatozoi, presenza di anticorpi antispermatozoi.Le alterazioni della motilità degli spermatozoi definiscono le condizioni di:- modesta (motilità a 1 ora compresa tra 30 e 40%) - discreta (motilità a 1 ora compresa tra 20 e 30%)- severa (motilità a 1 ora inferiore al 20 %).

ASTERION

Uno dei punti craniometrici pari. Si trova all’incontro tra l’osso occipitale, il parietale e la porzione mastoidea del temporale. Nel neonato, non essendo ancora compiuta l’ossificazione delle ossa craniche, la sutura costituita da una membrana fibrosa di forma triangolare viene chiamata fontanella laterale posteriore.

ASTERISSI

Sintomo neurologico aspecifico tipico delle encefalopatie metaboliche la più frequente è quella epatica. Si manifesta con tremore aritmico. Il sintomo si evidenzia tenendo il braccio disteso davanti a sé: dopo pochi secondi si osservano movimenti inconsulti ripetitivi dovuti ad una insufficiente contrazione dei muscoli derivante dell’encefalopatia.

ASTIGMATISMO

Vizio di rifrazione dell’occhio dovuto ad un difetto di curvatura della cornea per cui l’immagine di un punto luminoso sulla retina risulta sfuocata. La cornea, nel soggetto normale, è un segmento di sfera, per cui lungo tutti i suoi meridiani ha la stessa curvatura in tal modo i raggi di luce, passando attraverso tutti i meridiani, sono refratti allo stesso modo e convergono tutti insieme in un punto detto fuoco. Se invece la cornea presenta una curvatura variabile lungo i vari meridiani (e in particolare lungo due meridiani fra loro perpendicolari, di cui uno presenta il massimo di curvatura e l’altro il minimo), i raggi saranno diversamente refratti, secondo che siano trasmessi attraverso meridiani a maggiore o a minore curvatura. Pertanto, i raggi paralleli che attraversano la cornea non si riuniscono in un fuoco unico e puntiforme ma si incontrano in due fuochi lineari, perpendicolari uno all’altro e posti su piani diversi. I due fuochi possono avere, nei vari casi, diverse posizioni rispetto alla retina: uno sulla retina e uno posteriore alla retina (a. ipermetropico semplice) entrambi posteriori alla retina (a. ipermetropico composto) uno sulla retina e uno anteriore alla retina (a. miopico semplice) entrambi anteriori alla retina (a. miopico composto) uno anteriore e uno posteriore alla retina (a. misto).

Cause
L’astigmatismo generalmente è congenito può essere anche acquisito solo in seguito a incisioni della cornea per interventi chirurgici (trapianto, cataratta ecc.), o in seguito a traumi o a infiammazioni della cornea che determinano un astigmatismo non sempre suscettibile di correzione.

Sintomi
Se per esempio si invita un astigmatico a guardare un segno a forma di croce, esso non potrà mettere contemporaneamente a fuoco il braccio orizzontale e quello verticale, ma metterà a fuoco l’uno o l’altro, perché i due bracci vanno a fuoco su piani diversi. Analogamente, un occhio astigmatico non può mai mettere completamente a fuoco altri oggetti, come per esempio un quadrante d’orologio in questo caso l’astigmatico vedrà a fuoco le ore 12 e le 6 e sfocate le 3 e le 9. Il soggetto astigmatico, se non ha un grave difetto di curvatura della cornea, può non accorgersi del suo vizio di refrazione, in quanto istintivamente può accomodare la visione su uno dei piani perpendicolari. Spesso perciò si manifestano disturbi derivati dall’affaticamento cui l’astigmatico costringe il suo sistema di messa a fuoco, che deve continuamente variare tra due linee focali. Il malato, perciò, si lamenta di cefalee, di frequenti dolori ai bulbi oculari, di senso di peso, di bruciore agli occhi presenta i bulbi arrossati e i margini palpebrali irritati, e si accorge che questi disturbi sono accentuati in particolari condizioni (quando per esempio va al cinema o deve utilizzare un computer).

Diagnosi
Visita oculistica

Terapia
L’a. si corregge con l’applicazione di lenti cilindriche o di lenti sferiche e cilindriche associate. Oggi per la cura dell’astigmatismo viene utilizzata anche la chirurgia refrattiva.

ASTINENZA, sindrome di

Complesso di sintomi che si manifestano quando venga improvvisamente sospesa la somministrazione o comunque l’assunzione di determinate sostanze o farmaci (in genere stupefacenti), nei soggetti che abbiano sviluppato una tossicomania e quindi un certo grado di assuefazione nei confronti della sostanza stessa. Tali sintomi possono assumere caratteristiche ed intensità diverse a seconda della sostanza in questione e della gravità della tossicomania  essi sono l’espressione di uno stato di dipendenza del soggetto verso la sostanza responsabile della tossicomania, dipendenza che è legata sia a meccanismi psicologici sia a veri e propri fenomeni di adattamento dei sistemi metabolici cellulari alla presenza della sostanza introdotta nell’organismo. La costanza del quadro sintomatico, la presenza di sintomi non soltanto psichici, ma anche somatici, l’evoluzione drammatica di certi casi, la scomparsa dei fenomeni se viene risomministrato il farmaco, depongono per l’esistenza di un meccanismo anche biochimico, pur di difficile interpretazione.

ASTRAGALO

Osso del piede situato tra le ossa della gamba (tibia e perone) ed il calcagno. Ha forma irregolarmente cuboide e prende parte a tre articolazioni: la tibiotarsica (tra faccia superiore e tibia), la sottoastragalea (tra faccia inferiore e calcagno) e l’astragaloscafoidea (tra faccia anteriore e scafoide).L’a. assume una grande importanza nella meccanica del piede in quanto è proprio attraverso questo osso che il peso del corpo viene trasmesso alle ossa sottostanti. La sua vascolarizzazione è molto scarsa: questo fatto ha una grande importanza in traumatologia perché, quando in seguito ad un evento traumatico vengono ad essere interrotte le scarse connessioni vascolari, l’osso va incontro a gravi crisi ischemiche che pregiudicano gravemente il processo di consolidamento. Le fratture dell’a. avvengono di solito per trauma indiretto per una flessione forzata del piede: sono state descritte frequentemente negli aviatori e nei paracadutisti. Se si tratta di una frattura comminuta e senza spostamento il trattamento consiste in uno stivaletto gessato che va portato per due mesi ca. Qualora invece alla frattura si associ uno spostamento irriducibile dei frammenti, si impone un intervento chirurgico che va eseguito precocemente soprattutto quando esistano dei disturbi circolatori.

ASTRINGENTI

Farmaci che coartano i tessuti e limitano la secrezione delle mucose. Agendo sui vasi, si oppongono ai processi infiammatori perché diminuiscono la permeabilità delle pareti vasali ostacolando quindi l’essudazione e diminuiscono il calibro vasale ischemizzando localmente i tessuti. In seguito all’azione astringente la cute e le mucose si raggrinzano, diventano pallide e asciutte spesso sono interessate anche le terminazioni sensitive con modico stato di analgesia locale. Gli a. si usano negli stati catarrali delle mucose, nelle diarree, nelle emorragie, nelle scottature e nelle medicazioni di piaghe secernenti. Vengono suddivisi nei due gruppi dei sali di metalli pesanti (acetato basico di piombo, nitrato basico di bismuto, cloruro e percloruro di ferro, ossido di zinco, zinco solfato, allume di rocca, solfato di rame) e delle sostanze tanniche (acido tannico, acido rataniotannico, acido catecutannico).

ASTROCITOMA

Tumore del tessuto nervoso derivato dalla proliferazione di cellule dello stroma dette astrociti, dalla caratteristica forma stellata dovuta ai numerosi prolungamenti citoplasmatici. Gli a. sono tra i tumori più frequenti del sistema nervoso centrale e possono insorgere a livello degli emisferi cerebrali (soprattutto nei soggetti adulti), nel tronco cerebrale o nel cervelletto (più spesso nel bambino o negli adolescenti), o anche nel midollo spinale. Sono in genere tumori a lento accrescimento, che infiltrano il tessuto nervoso circostante determinando sintomi diversi in rapporto sia all’aumento della pressione endocranica dovuto alla presenza del tumore, sia a fenomeni di sofferenza e distruzione delle strutture nervose infiltrate. Il grado di malignità può essere molto variabile, in rapporto ai caratteri istologici del tessuto le forme a prognosi migliore sono quelle che insorgono nel cervelletto, specialmente nei giovani.

Terapia
La terapia si basa sull’asportazione chirurgica del tumore, eventualmente integrata da terapia radiante e, nei casi a maggiore malignità, dalla chemioterapia.

ATARASSIA

Condizione di apparente imperturbabilità e mancanza di affettività che caratterizza alcune situazioni psichiatriche (schizofrenia semplice, fase terminale della paralisi progressiva), per cui il paziente sembra non mantenere alcun legame di tipo emotivo con l’ambiente e le persone che lo circondano.

ATASSIA

Disturbo della coordinazione dei movimenti volontari. Dipende da alterazioni che si producono a carico dei diversi meccanismi che controllano tale motilità. I movimenti volontari infatti si compiono in modo coordinato e finalisticamente efficace perché soggetti alla regolazione da parte di diversi meccanismi nervosi. Le lesioni dei diversi organi nervosi danno origine a disturbi differenziati. Così si può rilevare un’a. statica (difficoltà a mantenere la stazione eretta ad occhi chiusi) od un’a. dinamica (difficoltà ad eseguire correttamente per es. i movimenti della marcia).Nelle lesioni del cervelletto l’a. si arricchisce di altri fenomeni quali la dismetria (difficoltà di finalizzare un movimento, come per es. di afferrare un oggetto), e l’asinergia (incapacità di coordinare armonicamente i movimenti).

ATELETTASIA POLMONARE

Condizione patologica del polmone caratterizzata da assenza o marcata riduzione del contenuto in aria di questo organo. Può essere dovuta a imperfetta espansione dei polmoni alla nascita, durante i primi atti respiratori. Si osserva soprattutto nei neonati prematuri ed è in rapporto alla debolezza e superficialità dei movimenti respiratori per scarso sviluppo dei centri nervosi che presiedono l’attività respiratoria.L’a. polmonare può essere anche un fenomeno acquisito, comparire cioè in un polmone precedentemente normale sia in conseguenza di processi patologici che portino all’occlusione di un bronco (per es. corpi estranei, tumori bronchiali in tal caso l’aria rimasta negli alveoli viene progressivamente riassorbita) sia in seguito a processi che provochino una compressione del tessuto polmonare scacciando così l’aria in esso contenuta (per es. versamenti pleurici, distensione dell’addome con sollevamento del diaframma). La zona polmonare atelettasica risulta esclusa dagli scambi gassosi che avvengono durante la respirazione e pertanto si determina una riduzione della capacità funzionale polmonare con possibilità, in tale zona, di insorgenza d’infezioni.

ATELIA

Anomalia malformativa caratterizzata da mancanza di uno o di entrambi i capezzoli.È rara e si può associare a contemporaneo mancato sviluppo anche della ghiandola mammaria (amastia). Più frequente invece è la presenza di capezzoli o mammelle soprannumerarie (polimastia).

ATENOLOLO

Farmaco appartenente alla classe dei bloccanti selettivi dei recettori beta1 dell’adrenalina. È utilizzato per diminuire la frequenza cardiaca nelle patologie che alterano la frequenza di contrazione dell’atrio cardiaco e nelle alterazioni della conduzione dell’impulso cardiaco dovute ad una alterata trasmissione dello stesso. Viene utilizzato anche nei pazienti infartuati per diminuire le richieste di ossigeno del muscolo cardiaco e nell’ipertensione arteriosa associata ad iperattività cardiaca.

ATEROMA

Alterazione patologica della parete di un’arteria, consistente nell’accumulo circoscritto (placca) di materiale lipidico (colesterolo, fosfolipidi, grassi neutri), proteico e fibroso, al di sotto dell’endotelio che determina una progressiva degenerazione dell’intima arteriosa. Quando prevale il contenuto lipidico la placca appare di colorito giallastro, non rilevato e di estensione variabile (da pochi mm a diversi cm) successivamente alla proliferazione dell’intima l’a. diventa biancastro, aumenta di dimensioni e solleva l’endotelio riducendo così il lume dell’arteria. In stadi avanzati si possono avere fenomeni di lipolisi e necrosi centrali. A volte invece l’endotelio che ricopre l’a. si può rompere: si forma così un’ulcerazione con successiva deposizione di fibrina e formazione di un trombo obliterante. Gli ateromi di per sé, o in conseguenza delle complicazioni a cui vanno incontro, possono determinare un ostacolo al flusso di sangue nel lume dell’arteria, con conseguente sofferenza (ischemia) dei tessuti che da essa dipendono.Gli ateromi costituiscono la manifestazione patologica fondamentale dell’aterosclerosi per cui si osservano soprattutto nelle sedi più colpite da questa malattia (aorta e arterie di grosso calibro, arterie cerebrali, coronarie, femorali…) e di solito, nelle arterie colpite, si presentano in diversi stadi evolutivi.Quando l’a. calcifica, diventa visibile radiologicamente.

ATEROSCLEROSI

Processo patologico a carico delle pareti delle arterie, caratterizzato dalla deposizione di sostanze di natura lipidica (trigliceridi, colesterolo) nello spessore dello strato interno o tonaca intima, al di sotto dell’endotelio che porta alla formazione di aree rilevate più o meno estese, dette placche aterosclerotiche o ateromi, con conseguente restringimento del lume del vaso e riduzione del flusso ematico in corrispondenza di queste zone la parete arteriosa viene gravemente alterata da fenomeni di fibrosi, distruzione delle strutture proprie, precipitazione di sali di calcio, con indurimento e perdita di elasticità del vaso. Le placche progrediscono fino a formare trombi con conseguente ostruzione di entità variabile del lume del vaso dai trombi possono distaccarsi dei frammenti detti emboli che immettendosi nel torrente circolatorio vanno a colpire vasi più piccoli.L’a. colpisce soprattutto l’aorta, le arterie cerebrali, coronarie, femorali, renali, mesenteriche.L’a. interessa tutti, sia pure in misura variabile. Le lesioni iniziano nell’età giovanile, con l’aspetto di striature giallastre della parete aortica (corrispondenti ai primi accumuli lipidici), e poi si estendono e si aggravano lentamente e progressivamente, raggiungendo quindi il loro massimo grado nell’età senile.Gli effetti più importanti della malattia, conseguenti al difetto di irrorazione, sono condizionati principalmente da due fattori: diversa sensibilità dei tessuti alla riduzione dell’apporto sanguigno e possibilità di mantenimento di una circolazione adeguata alle necessità degli organi attraverso la formazione di circoli collaterali che bypassano i vasi colpiti dalla malattia. Il danno che si determina può essere perciò di entità variabile: da una lieve sofferenza fino alla morte dei tessuti.La malattia non dà segni di sé fino a stadi tardivi, quando il danno alle arterie è tale da determinare una riduzione del flusso arterioso. Le manifestazioni cliniche dipendono dal distretto vascolare colpito e dell’entità del danno: angina pectoris o infarto del miocardio quando sono interessate le arterie coronarie, attacchi ischemici transitori (tia) o colpo apoplettico (ICTUS) se sono colpite le arterie cerebrali, claudicatio intermittens o cancrena degli arti inferiori per le arterie femorali e ancora emorragie, aneurismi, o manifestazioni più subdole di lenta ma progressiva compromissione di organi interni (specialmente a carico della retina e del rene).

Cause
Le cause dell’a. e i meccanismi intimi con cui le lesioni si instaurano non sono stati ancora completamente chiariti. Fattori diversi agiscono influenzandosi a vicenda nel determinare l’insorgenza delle lesioni e nel condizionarne l’evoluzione. Accanto a fattori locali fisici o meccanici (pressione del sangue in un certo distretto, curvatura del vaso con eventuali maggiori sollecitazioni meccaniche, variazioni di calibro dell’arteria), che possono condizionare la maggiore frequenza con cui le lesioni compaiono in certe sedi rispetto ad altre, sono da considerarsi anche fattori generali endogeni (cioè inerenti il soggetto, la sua costituzione, il suo metabolismo ecc.), o esogeni (riguardanti l’ambiente o le abitudini di vita).- Fattori generali endogeni sono l’età (con l’avanzare dell’età diventa più frequente il reperto di lesione aterosclerotica) il sesso (nella maturità è più suscettibile il sesso maschile in quanto le donne in età fertile sono protette dagli estrogeni nell’età presenile e senile quello femminile) l’ereditarietà le alterazioni metaboliche (diabete, iperuricemia, iperlipidemia tipo II) l’obesità l’ipertensione arteriosa (generalmente, più che rappresentare un segno della perdita di elasticità della parete arteriosa, preesiste alla formazione ateromasica favorendo il suo instaurarsi).- Fattori generali esogeni sono la nutrizione (cibi ricchi di colesterolo e di acidi grassi saturi, alcol, tabacco da fumo, caffeina) stress psicofisico sostanze tossiche (alcuni noti cancerogeni come il benzopirene) vita sedentaria.Un significativo campanello di allarme è costituito non tanto e non solo dal livello di colesterolo nel sangue quanto dal livello ematico delle beta-lipoproteine (che lo trasportano) e dei trigliceridi: un aumento prolungato di questi valori costituisce un serio fattore di rischio.

Diagnosi
L’anamnesi e l’esame obiettivo forniscono alcuni dati sulle condizioni della circolazione ma spesso bisogna ricorrere ad indagini strumentali mirate (arteriografia, ecocolordoppler, fotopletismografia…)

Terapia
Da attuarsi soprattutto nello stadio preclinico della malattia, si avvale di accorgimenti dietetici (dieta ipocalorica e ipolipidica, povera in grassi saturi e colesterolo), di farmaci anticoagulanti e fibrinolitici per prevenire la formazione di trombi ed emboli, di farmaci inibenti la sintesi e il trasporto del colesterolo per abbassare le lipoproteine ematiche (clofibrato, acido nicotinico, benzalbutirrammide).

Per i pazienti che non rispondono al trattamento medico o in alcune condizioni a maggior rischio si ricorre al trattamento chirurgico: sostituzione di tratti di vasi gravemente colpiti con protesi artificiali (endoarteriectomia), dilatazione dei vasi ristretti (angioplastica con palloncino) e costituzione di vie collaterali con innesti venosi per saltare il tratto di arteria stenotico od occluso ripristinando l’afflusso ematico nel territorio colpito (intervento di by pass).

ATETOSI

Condizione morbosa neurologica legata a lesioni congenite o acquisite di strutture cerebrali. È caratterizzata da un insieme di movimenti involontari del capo, della faccia, dell’arto superiore. Tali movimenti sono lenti, continui e si arrestano soltanto nel sonno sono diversi per ritmo e successione, ma in uno stesso paziente si ripetono in modo immutabile facendogli assumere, specie se i muscoli interessati sono quelli della faccia, espressioni inconsuete o grottesche. Essi possono rendere difficoltose l’articolazione della parola e la deglutizione.La terapia medica con sedativi dà risultati scarsi.

ATIPIA

Modificazione dei caratteri morfologici, chimici, biochimici e di comportamento di una cellula (dimensioni, forma, polarità, proprietà tintoriali, caratteri del nucleo, rapporto tra nucleo e citoplasma) che la rende, in grado variabile, diversa dalle corrispondenti cellule normali. È caratteristica delle proliferazioni tumorali, soprattutto dei tumori maligni.Le atipie morfologiche possono riguardare la cellula nel suo insieme o corpuscoli cellulari (ad es. il nucleo, le struttre citoplasmatiche) e questo denota un differente comportamento della cellula stessa e un suo differente sviluppo di cui poi risente anche il tessuto o l’organo di cui fa parte. Un’a. da sola, ovvero l’analisi di poche cellule, non consente infatti di diagnosticare una patologia, ma sarà il contesto in cui questa si presenta a far formulare un giudizio definitivo.

ATLANTE

Prima vertebra cervicale, così chiamata perché regge la testa, così come nella mitologia Atlante sosteneva sulle sue spalle il mondo. Questa vertebra presenta una struttura caratteristica che la differenzia dalle altre: infatti non possiede il corpo ed è provvista di due masse laterali che sono riunite tra di loro da un arco anteriore e da uno posteriore. In ognuna delle masse laterali si trovano due faccette articolari: la superiore e l’inferiore. Quelle superiori vanno ad articolarsi con i condili dell’occipitale, quelle inferiori con le corrispondenti faccette dell’epistrofeo, la seconda vertebra cervicale. Nella parte interna dell’arco anteriore si trova poi una piccola faccetta articolare nella quale si articola il dente dell’epistrofeo. Le due masse laterali insieme all’arco anteriore e posteriore delimitano il forame vertebrale in cui passa il midollo spinale.

ATONIA

Termine generico con il quale si descrive la perdita, da parte di una struttura fornita di fibre muscolari volontarie o involontarie, del tono muscolare, ossia di quello stato di lieve contrazione che prelude alla contrazione vera e propria e che si mantiene anche dopo il rilasciamento. L’a. riguardante la muscolatura scheletrica-volontaria è detta amiotonia. L’a. della muscolatura liscia, involontaria, può colpire tutti gli organi nei quali questo tipo di muscolatura è presente: utero, tubo digerente ecc. Rilevanza particolare assumono l’a. gastrica e l’a. intestinale esse comportano un cospicuo rallentamento del transito alimentare e possono essere corrette con precauzioni alimentari e nei casi più gravi con interventi chirurgici l’a. uterina può fare la sua comparsa subito dopo l’espulsione del feto e della placenta e provocare perciò emorragie uterine: tale condizione può essere contrastata con l’uso di farmaci uterotonici quali l’ossitocina o con l’uso di mezzi fisici (compressione, tamponamento) l’insuccesso di questi mezzi richiede l’asportazione urgente dell’utero.

ATOPIA

(O allergia atopica), è la tendenza di alcuni individui a sviluppare delle forti risposte immunitarie, dette immediate. È una circostanza molto comune e si può manifestare come asma, febbre da fieno, orticaria. Quando un potenziale allergene viene in contatto con l’organismo di un individuo atopico per la prima volta, determina la produzione di particolari anticorpi chiamati IgE, che vanno ad aderire sulla superficie di alcune cellule del sistema immunitario denominate mastociti e leucociti basofili. Qualora si verifichi un secondo contatto con il suddetto allergene, esso interagisce con le IgE adese alla membrana di queste cellule, promuovendo il rilascio da parte di queste di alcuni mediatori chimici contenuti al proprio interno. Tali mediatori sono direttamente responsabili della sintomatologia che caratterizza i diversi quadri clinici legati all’ipersensibilità dell’individuo.

ATORVASTATINA

Capostipite della famiglia delle statine, molecole che inibiscono la tappa enzimatica fondamentale della produzione del colesterolo. In farmacologia viene impiegata per ridurre i livelli di colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo “cattivo”), ma risulta meno efficace nell’aumentare i livelli di colesterolo HDL (colesterolo “buono”) e nel ridurre quelli dei trigliceridi. Ha effetto benefico sulle patologie per le quali l’ipercolesterolemia rappresenta un fattore di rischio, come gli accidenti cardiovascolari. Come tutte le statine, è metabolizzata a livello epatico, quindi il suo impiego richiede un monitoraggio seriato delle condizioni epatiche e la sua sospensione in caso di notevole aumento delle transaminasi. È controindicata nei soggetti epatopatici, in gravidanza e durante l’allattamento. Tra i suoi effetti indesiderati si annoverano, seppur con una certa rarità, quelli reversibili sulla muscolatura, che si possono manifestare con mialgia, miosite e miopatia questo suggerisce di controllare la creatinfosfokinasi (CPK) durante la terapia e, in caso di aumento della stessa, di sospendere il trattamento.

ATP

Adenosina trifosfato, è la principale molecola trasportatrice di energia della cellula, la moneta di scambio energetico nelle reazioni intracellulari. Infatti, nei casi in cui alcune reazioni chimiche non possono espletarsi per mancanza di energia, entra in gioco l’ATP, provvido erogatore energetico paragonabile a un’autentica batteria elettrica. I mitocondri, organelli endocellulari produttori di energia, posseggono due membrane: quella esterna, protettiva, e quella interna, altamente specializzata nella produzione di ATP. Il bagaglio di energia è contenuto nel fosforo presente in questa molecola sotto forma di fosfato, che può essere ceduto e riacquistato grazie ad una sofisticata attività enzimatica cellulare. Esistono infatti delle fosfoproteine capaci di accettare il fosfato trasformandosi in elementi ricchi di energia. Il fosforo proverrebbe dall’ATP, il quale passerebbe così ad ADP, o adenosindifosfato, che viene riciclato, ritornando ATP a spese o dell’energia chimica (negli animali) o anche dell’energia solare (nelle cellule fotosintetiche).

ATREPSIA

Grave disturbo dell’accrescimento del neonato, che consegue a episodi gastroenterici ripetuti, o a dispepsia (difficoltà digestive), o a lunghi periodi di malnutrizione. È caratterizzata da notevole riduzione della tolleranza agli alimenti, tanto che non viene tollerata nemmeno la dose minima necessaria al mantenimento del peso corporeo ciò è dovuto a fenomeni di sofferenza della mucosa gastro-intestinale. Si ha pertanto notevole dimagramento, con riduzione o scomparsa del grasso sottocutaneo, riduzione di volume delle masse muscolari, alterazioni della cute che si presenta grigiastra, rugosa e priva di elasticità. I bambini affetti, date le scadenti condizioni generali, sono particolarmente predisposti a processi infettivi: otiti, polmoniti, cistiti ecc.

Terapia
La terapia di queste forme è volta soprattutto a migliorare le condizioni generali con opportuna alimentazione ed a combattere le eventuali infezioni intercorrenti.

ATRESIA

Malformazione congenita per cui le strutture interessate non risultano pervie come di norma o sono assenti.Le più frequenti forme di a. si hanno a carico del tubo digerente: esofago, duodeno, vie biliari, colon, retto, ano possono esserne la sede in tal caso la formazione anatomica colpita può risultare occlusa da una membrana, oppure restringersi bruscamente e continuare in un cordoncino fibroso privo di lume.

Diagnosi
Dal sospetto clinico (nell’a. e nella stenosi dell’esofago, per esempio, il vomito insorge appena il bambino è alimentato e si accompagna a tosse insistente, a crisi di cianosi e/o d’apnea, dovute al passaggio nelle vie aeree del latte, che non può defluire nello stomaco) con le indagini diagnostiche per immagini ed endoscopiche si può localizzare con precisione l’ostruzione. Alcune volte si può sospettare una a. durante le ecografie di controllo che vengono eseguite durante la gravidanza (per esempio la mancata visualizzazione dello stomaco può far sospettare una a. esofagea).

Terapia
Oggi la chirurgia è in grado di correggere, con un tempestivo intervento, molte forme di a., riuscendo a ristabilire condizioni anatomiche e funzionali normali.

ATRIO

Cavità cardiaca pari (destra o sinistra) che riceve il sangue (rispettivamente venoso o arterioso) dalle vene (vene cave o vene polmonari) e lo convoglia nel corrispondente sottostante ventricolo (destro o sinistro), con cui comunica attraverso un orifizio atrioventricolare provvisto di un apparato valvolare (rispettivamente tricuspidale o mitrale) costituito da (tre o due) lembi (o cuspidi) tali valvole permettono il passaggio del sangue dalle cavità atriali a quelle ventricolari, impedendo invece il reflusso dai ventricoli agli atri.L’a. destro riceve il sangue venoso delle due vene cave e comunica con il ventricolo destro attraverso la valvola tricuspide.L’a. sinistro riceve il sangue arterioso dalle quattro vene polmonari e comunica con il ventricolo sinistro attraverso la valvola mitrale (bicuspide).La contrazione della parete muscolare degli atri durante la diastole, immediatamente prima della contrazione dei ventricoli (sistole), contribuisce al riempimento dei ventricoli stessi. Le due cavità atriali sono completamente separate da una parete divisoria (setto interatriale): a questa condizione si giunge però attraverso un complesso di modificazioni che hanno luogo durante lo sviluppo del cuore nell’embrione e nel feto. Inizialmente i due atri costituiscono un’unica cavità, che comunica con un unico ventricolo durante il processo di separazione essi rimangono poi comunicanti attraverso un foro (foro di Botallo), che si chiude poco dopo la nascita. Tale comunicazione può persistere in numerose malformazioni cardiache (vedi CUORE, Patologie).

ATROFIA

Processo patologico che può interessare un tessuto o un organo, caratterizzato da una riduzione di volume come risultato di una diminuzione di numero e dimensioni delle singole cellule che lo compongono. Poiché solo in rari casi si giunge alla scomparsa della struttura interessata, più correttamente si dovrebbe parlare di ipotrofia. L’a. può essere provocata da numerose cause: digiuno o disturbi della nutrizione, diminuita secrezione di ormoni trofici da parte dell’ipofisi, disturbi dell’innervazione o della vascolarizzazione, pressione esercitata con vari mezzi sul tessuto (per es. da masse tumorali in accrescimento). Il tessuto che va incontro ad a. può perdere le funzioni che gli sono specifiche (per es. diminuzione della forza muscolare, di attività secretorie, di funzioni nervose.L’a. è un processo che interessa anche le singole cellule. Poiché la cellula, come tutto l’organismo, è costituita per buona parte di acqua, la diminuzione di massa è legata in modo essenziale a una perdita di liquido, ma naturalmente non tutto si riduce a questo semplice fenomeno. Le delicate strutture situate all’interno del citoplasma cellulare, come i mitocondri e il reticolo endoplasmatico, diminuiscono di quantità, il nucleo cellulare si fa meno strutturato e compatto i sottili filamenti che in alcuni tessuti legano tra loro le cellule adiacenti scompaiono nella cellula si fa meno frequente e meno rapida la sintesi delle proteine e diventa più abbondante la loro distruzione chimica (il loro catabolismo, per dirla con termine tecnico), fenomeno, quest’ultimo, che può esser riferito a una minore stimolazione dell’attività cellulare da parte di composti attivanti, quali gli ormoni tiroidei, gli ormoni surrenali e le prostaglandine.Negli ultimi anni di vita, quando le cellule vanno incontro a un’atrofia fisiologica, in vari tipi di cellula compare un fine pigmento giallo-bruno, che si osserva soprattutto nel miocardio e in altri grandi organi interni, in particolare in soggetti denutriti. Il pigmento che accompagna l’a. cellulare è in genere chiamato lipofuscina e questo tipo di a. è noto come a. bruna essa compare in modo caratteristico, oltre che nel cuore e nel fegato, anche nelle cellule nervose del cervello in caso di demenza senile.Vi sono le atrofie fisiologiche, normali, come quella del timo, che si atrofizza già nell’adolescenza, o come quella della mucosa endometriale, che smette di funzionare con la menopausa c’è l’a. da malnutrizione e quella da deficiente sanguificazione (senza un apporto sufficiente di ossigeno del sangue nessuna cellula vive bene) c’è la frequente a. da non uso, tipica dei muscoli scheletrici dopo una lunga immobilizzazione di un arto per una frattura vi è quella da compressione, che si manifesta nei testicoli ritenuti, e infine quella legata a compressa innervazione propria degli esiti di poliomielite e delle paraplegie da trauma del midollo spinale.Un accenno ancora va fatto all’a. legata alla senilità, dovuta al rallentamento o alla cessazione della normale crescita dei tessuti, per caduta degli stimoli genetici, metabolici, ormonali, immunitari e funzionali che alla crescita stessa presiedono. L’a. senile colpisce tutte le cellule, soprattutto però quelle soggette a continua moltiplicazione, specie epiteliali, perché il ritmo moltiplicativo è programmato geneticamente e rallenta di molto nell’età avanzata, in più, la facoltà moltiplicativa delle cellule è ostacolata dal susseguirsi e accumularsi di stimoli nocivi quali irradiazioni, infezioni virali, deficiente ossigenazione, intossicazioni da sostanze chimiche e farmacologiche.

ATROFIA DEL NEONATO

vedi ATREPSIA

ATROPINA

Alcaloide contenuto nelle foglie o nelle radici di alcune Solanacee, quali Atropa belladonna, Hyoscyamus niger e Datura stramonium (belladonna, giusquiamo, stramonio). È la forma racemica della ioscianina. È capace di bloccare gli effetti della stimolazione del sistema nervoso parasimpatico. Impedisce l’azione dell’acetilcolina liberata in corrispondenza delle terminazioni postgangliari parasimpatiche (blocca i recettori muscarinici). Aumenta la frequenza cardiaca per soppressione del tono vagale, diminuisce la motilità gastrointestinale, la secrezione gastrica, salivare, lacrimale e sudoripara diminuisce il tono della muscolatura delle vie urinarie, delle vie biliari e dei bronchi. A forti dosi agisce sul sistema nervoso centrale provocando disturbi vari (irrequietezza, irritabilità, confusione, allucinazione e delirio), seguiti da una fase di depressione con paralisi respiratoria. A livello oculare provoca dilatazione della pupilla e paralisi dell’accomodazione.È assorbita facilmente per via orale. È usata come antispastico per risolvere gli stati spastici della muscolatura liscia viscerale nella preanestesia per ridurre le secrezioni delle vie respiratorie e i riflessi vagali in oftalmologia come midriatico si usa inoltre nell’ulcera gastroduodenale, nell’asma bronchiale, nell’avvelenamento da sostanze parasimpaticomimetiche e da inibitori della colinesterasi.Gli effetti collaterali sono tachicardia, secchezza delle mucose, atonia gastrointestinale, disturbi digestivi, sintomi oculari con fotofobia, disturbi dell’accomodazione e aumento della pressione endooculare, stipsi, ritenzione urinaria. Può dare luogo a reazioni di sensibilizzazione.

ATTACCO

Stato morboso caratterizzato da insorgenza brusca, la cui eventuale ricomparsa si verifica ad intervalli irregolari.

ATTACCO ISCHEMICO TRANSITORIO

vedi TIA

ATTENZIONE

Funzione psichica generale che orienta e focalizza l’attività mentale cosciente su un determinato settore.Secondo la psicologia della forma l’a. è una funzione della percezione in cui il soggetto può centrare in modo selettivo soprattutto alcuni elementi o aspetti della situazione, all’esame dei quali si dedica. L’oggetto dell’a. appare così più chiaro, più saliente, più reale, più differenziato, emergendo come figura rispetto al resto del campo, che funge da sfondo. L’a. continua, tuttavia, produce delle modificazioni dell’immagine, la quale tende a frammentarsi e a derealizzarsi, cosicché si suole, anche automaticamente, sospendere di tanto in tanto l’interessamento attentivo, per riprenderlo subito dopo.L’a. appare sostenuta dalle motivazioni, ossia dal fatto che l’oggetto dell’a. rivesta forti valenze positive o negative per la vita affettiva dell’individuo. In funzione dei processi di eccitazione e di saturazione motivazionale, l’a. viene quindi a mutare, presentando fluttuazioni, deviazioni e cambiamenti anche radicali. Date queste caratteristiche in psicologia sperimentale sono state studiate alcune proprietà generali, in base alle quali una struttura può attirare per un certo tempo l’a. di un comune osservatore, facendo leva sui suoi bisogni di esplorazione: questo fatto riveste una notevole importanza anche per alcune applicazioni pratiche (insegnamento, pubblicità, propaganda, moda ecc.). Attualmente l’a. è ritenuta una forma particolare di comportamento che può manifestarsi solo in condizioni di vigilanza.Da un punto di vista neurofisiologico l’a. dipende dall’attivazione di particolari strutture del tronco cerebrale la cui attività è evidenziabile in un normale tracciato elettroencefalografico o, mediante particolari tipi di potenziali evocati, come modificazione delle onde elettriche. Si parla in genere di a. diffusa quando l’attività mentale è pronta ad essere diretta su un settore non ancora precisato o su una attività non ancora presente quando invece l’attività mentale è diretta su un oggetto o un argomento precisato, si parla di a. concentrata. Alla messa in atto dell’a., soprattutto di quella concentrata, corrispondono anche particolari effetti secondari espressivi ed emotivi (riduzione delle manifestazioni motorie, aumento del tono vascolare).La valutazione dell’a. di un individuo può essere effettuata mediante test appropriati. Lo studio dei disturbi patologici dell’a. che sono facili da osservare e rilevare anche se il loro valore clinico è scarso, non permette la caratterizzazione di un particolare quadro morboso. Le variazioni qualitative dell’a. prendono il nome di ipoprosessia e iperprosessia.

ATTENZIONE, test di

Complesso di differenti test che studiano la capacità dell’individuo di orientarsi verso la percezione di stimoli particolari e di permanere a lungo in tale orientamento. Uno di questi test è la prova di addizioni di Kraepelin: il soggetto deve addizionare una serie di due numeri, composti ciascuno da due cifre, per un periodo di tempo fissato alla fine del quale vengono calcolati il numero di operazioni eseguite ed il numero di errori commessi.Il test di a. più conosciuto è il test di Toulouse-Piéron. Con questo test si possono studiare le oscillazioni dell’attenzione così come vengono sviluppandosi minuto per minuto a tal fine si invita il soggetto ad apporre un determinato segno nel punto in cui è arrivato al momento di un segnale dell’esaminatore, dato ad intervalli di un minuto.L’attenzione concentrata può misurarsi con il metodo di Lahy che si serve di un apparecchio costituito da un cilindro ricoperto da un foglio sul quale sono disposte in fila cinque differenti lettere dell’alfabeto per 150 linee il soggetto preme un tasto tutte le volte che, attraverso una fessura dell’involucro metallico che ricopre il foglio e il cilindro, vede apparire la lettera S oppure la Z.

ATTINOMICOSI

vedi ACTINOMICOSI

ATTINOTERAPIA

Tipo di terapia fisica che utilizza i raggi ultravioletti prodotti da apposite lampade. Nella pratica vengono impiegate le radiazioni comprese tra i 3200 ed i 2400 Ã… di lunghezza d’onda, di cui vengono sfruttate l’azione battericida, la capacità di trasformare l’ergosterolo in vitamina D2, oltre gli effetti generali stimolanti l’attività del midollo osseo emopoietico, il metabolismo del calcio, dei fosfati e il ricambio in genere.Le applicazioni principali dell’a. si hanno nella terapia di varie malattie cutanee, del rachitismo, di alcune forme di tubercolosi.Costituiscono invece controindicazioni a questo tipo di terapia fisica le cardiopatie, l’insufficienza epatica e renale, l’ipotiroidismo, alcune malattie autoimmuni.

ATTITUDINE

Termine convenzionalmente utilizzato per descrivere le capacità presenti in un soggetto per portare a termine compiti specifici. Il concetto di a. nasce e si sviluppa in relazione al dibattito sul problema della definizione dell’intelligenza. Le attitudini risultano collegate all’intelligenza, ed anzi in un certo senso ne sono l’espressione operativa. Risultano dall’interazione tra fattori costituzionali ed acquisiti, e prevalgono ora gli uni ed ora gli altri a seconda dell’a. considerata. Mentre alcune attitudini percettive visive sono più legate a fattori costituzionali, altre attitudini, come quella relativa al ragionamento astratto, sono invece più dipendenti da fattori acquisiti.Tramite l’uso di test appropriati è possibile operare una loro accurata misurazione: tali test, definiti appunto “attitudinali”, trovano largo impiego nei campi della selezione del personale e dell’orientamento scolastico e professionale. Attraverso l’addestramento e la formazione risulta possibile contribuire a sviluppare le attitudini che prevalentemente dipendono da fattori acquisiti.È invece un discorso ancora aperto quello relativo alla possibilità di potenziare le attitudini più legate a fattori costituzionali: ciò perché manca una definizione universalmente condivisa di intelligenza, con il conseguente permanere di incertezza circa l’individuazione del peso giocato nel determinarla dai fattori ereditario-costituzionali e dai fattori ambientali.

AUDIOLOGIA

Branca delle scienze mediche che studia la funzione uditiva in tutte le sue componenti fisiche, fisiologiche e neurologiche, ne valuta le implicazioni per la specifica patologia e propone i metodi di terapia e di recupero funzionale.

AUDIOMETRIA

Settore dell’audiologia che misura le caratteristiche funzionali dell’udito.Tale misurazione si avvale di una perfezionata apparecchiatura, l’audiometro, capace di esatte misurazioni effettuate in base ai principi della fisica acustica. Per mezzo di circuiti elettronici, l’audiometro emette suoni di frequenza usualmente compresa tra i 120 e i 12.000 Hz e di intensità variabile da 0 a 100 decibel.Il paziente in esame viene posto in una cabina insonorizzata e i suoni gli vengono trasmessi attraverso una cuffia, per saggiare la trasmissione aerea, o per mezzo di un vibratore applicato alle mastoidi per saggiare la propagazione dei suoni attraverso le ossa. Il paziente deve segnalare all’esaminatore il momento in cui comincia a percepire il suono graduato sia come altezza sia come intensità. In tal modo è possibile costruire, per l’uno e per l’altro orecchio e per l’una e l’altra modalità di trasmissione dei suoni, delle apposite curve dette audiogrammi che bene esprimono graficamente lo stato funzionale dell’udito. Pertanto diventa possibile differenziare in modo preciso i tipi e i gradi della sordità.Con l’audiogramma tonale è possibile al medico, giudicando le caratteristiche della curva audiometrica, dividere le sordità in due grandi gruppi: le sordità di trasmissione e le sordità di percezione o sordità neurosensoriali. Le prime sono quelle dovute ad una lesione di quelle formazioni che nell’organo dell’udito sono destinate alla trasmissione dei suoni dall’esterno all’interno, dove è racchiuso il vero e proprio organo capace di trasformare l’onda acustica (energia meccanica) in impulso nervoso (energia bioelettrica). Le sordità di trasmissione più tipiche sono quelle che compaiono nelle otiti medie, dove la presenza di catarro o altro essudato nella cassa del timpano causa un impedimento ai movimenti degli ossicini e della membrana timpanica.Le sordità di trasmissione, che vengono anche chiamate sordità dell’orecchio medio, sono in generale caratterizzate da una diminuzione della capacità uditiva per le frequenze basse e da un buon mantenimento per le frequenze alte.Le sordità di percezione sono dovute ad una lesione (infiammatoria, degenerativa, traumatica) delle formazioni nervose dell’orecchio interno, e in particolare delle cellule sensoriali cigliate dell’organo del Corti, del nervo acustico e delle vie acustiche, cioè le vie nervose che collegano l’orecchio con i centri più elevati del cervello, e permettono, di conseguenza, non solo la percezione ma anche il riconoscimento cosciente dei suoni.Nel caso delle sordità di percezione non è sufficiente determinare solo la soglia uditiva minima (esame audiometrico tonale liminare) ma è anche necessario compiere altri test che permettono di localizzare la sede esatta del disturbo, analizzando le distorsioni che avvengono nella percezione del tono, quando questo venga inviato all’orecchio ad un’intensità superiore a quella di soglia (esame audiometrico tonale sopraliminare). In particolare questi test permettono di distinguere le ipoacusie percettive dovute ad una lesione dell’orecchio interno da quelle dovute ad una lesione del nervo acustico o delle vie e dei centri uditivi.L’esame è utile per ricercare un abbassamento dell’udito e in caso di sordità, in vista dell’adattamento di una protesi.L’a. può essere effettuata non solo in cabina insonorizzata, ossia in condizioni sperimentali, ma anche in campo libero ossia in condizioni più vicine a quelle reali.In casi particolari, come in soggetti non collaboranti o in bambini, il rilievo audiometrico viene effettuato per mezzo di un elettroencefalogramma che registra i potenziali elettrici emessi dalle strutture cerebrali in conseguenza di uno stimolo sonoro.

AUERBACH, plesso di

(Prende nome da Leopold Auerbach, anatomopatologo e neurologo tedesco - Breslavia 1828-1897), fitto intreccio di fibre nervose amieliniche situato nello spessore delle pareti muscolari dello stomaco e dell’intestino assume una disposizione a rete con maglie di diverse dimensioni e nei punti in cui le fibre si incrociano vi sono piccoli gangli nervosi.Le fibre del plesso di A. regolano la motilità intestinale infatti è attraverso questo plesso che si compie il cosiddetto riflesso mienterico: se la parete intestinale viene stirata si genera una contrazione circolare a monte della zona stirata (onda peristaltica) che si trasmette lungo l’intestino verso il retto. I recettori implicati nel riflesso mienterico si trovano nella mucosa dai recettori parte l’impulso che attiva i neuroni del plesso mienterico e si ha contrazione della muscolatura liscia.

AURA

Complesso di sensazioni di natura diversa che rappresentano un prodromo dell’attacco convulsivo epilettico. Esso sta ad indicare uno stato di iniziale eccitamento del sistema nervoso, ed anzi le sue caratteristiche motorie o sensitive possono indicare la zona del cervello dal quale partono gli stimoli che determinano l’accesso epilettico.L’a., che in genere dura pochi secondi, è presente con caratteristiche costanti in uno stesso paziente ed è tale che la sua comparsa può rappresentare per il paziente una sorta di preavviso essa tuttavia non sempre precede gli accessi epilettici, potendo precedere anche attacchi di emicrania.Si distinguono diversi tipi di a.: motoria, con piccoli movimenti limitati ad un segmento corporeo sensoriale, con sensazioni visive, olfattive, uditive diverse sensitiva, con segni svariati quali formicolii, alterazioni della sensibilità tattile, senso di malessere viscerale ecc. psichica, caratterizzata da depressione, angoscia, paura, o da euforia e senso di benessere.

AURICOLA

vedi ORECCHIETTA

AURICOLARE, regione

Regione anatomica situata ad ambo i lati del capo, comprendente il padiglione auricolare e le formazioni annesse fa parte quindi, insieme al condotto uditivo, dell’orecchio esterno. La sua funzione è quella di raccogliere le onde sonore.

AUSCULTAZIONE

vedi ASCOLTAZIONE

AUSTRALIA, antigene

Termine usato per indicare l’antigene HbsAg, considerato l’agente eziologico di un tipo di epatite virale acuta.Fu scoperto nel 1963 da B.S. Blumberg e rappresenta l’antigene di superficie del virus HBV.Si determina da un prelievo di sangue e permette di fare diagnosi di epatite virale da HBV.

AUTISMO

Sintomo fondamentale e secondario della schizofrenia secondo Bleuler, inteso come distacco dalla realtà, interiorizzazione dell’affettività e prevalenza del pensiero dereistico. Per Minkowski l’autismo, espressione della perdita del contatto vitale con la realtà, sarebbe il disturbo fondamentale della schizofrenia.Viene distinto in ricco e povero. Nel primo è presente una ricca produttività fantastica, per cui il paziente sarebbe ripiegato in un mondo privato, talora alimentato da dispercezioni e deliri nell’a. povero si avrebbe un isolamento mentale deficitario e sarebbe tipico delle forme croniche.Stato patologico particolare, strettamente legato alla schizofrenia, in cui si viene a trovare il soggetto, nel quale acquistano sempre maggiore rilievo il desiderio e le condizioni affettive individuali, che pervengono ad influenzare direttamente le attività di pensiero e le percezioni. La conseguenza di ciò è che vengono progressivamente ignorati i dati provenienti dalla realtà oggettiva, ed acquistano sempre maggiore peso i vissuti individuali. L’a. si caratterizza così come distacco dalla realtà, evidenziato dal rinchiudersi in se stessi, in un proprio mondo di fantasie, dalla rinuncia e dal rifiuto a stabilire rapporti con gli altri.L’a. può manifestarsi sin dai primi anni di vita (a. infantile o disturbo autistico), presentandosi in primo luogo come incapacità a conservare un corretto rapporto affettivo da parte del bambino nei confronti della propria madre. In base alla definizione del DSM–IV è un disturbo che si manifesta prima dei 3 anni di età ed è caratterizzato da uno sviluppo notevolmente anomalo o deficitario dell’interesse sociale e della comunicazione e da una notevole ristrettezza del repertorio di attività e interessi.Simili sono i criteri adottati dall’OMS, che classifica l’autismo tra le sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico e ne sottolinea l’inadeguata capacità di cogliere i segnali socio-emozionali con scarso uso di segnali sociali e mancanza di reciprocità socio-emozionale.Da sempre esiste una notevole confusione terminologica per quel che concerne i disturbi psichici peculiari dei primi anni di vita e ciò è vero soprattutto nel caso della nozione di psicosi infantile. Nel corso del XIX secolo non veniva fatta alcuna distinzione fra demenza, deficienza intellettiva e alcuni gravi disturbi del carattere era ammesso che in alcuni casi l’insorgenza della psicosi si facesse risalire a epoca infantile (Kraepelin, Bleuler), ma non era stata isolata alcuna forma particolare. Fu per primo Sante De Santis nel 1906 a descrivere quadri di demenza precocissima, ossia bambini che, generalmente classificati come oligofrenici, presentavano invece, a un’attenta valutazione, molti dei sintomi descritti da Kraepelin nella dementia praecox degli adulti, come manierismi, stereotipie ecolalia impulsività etc. Fu Potter nel 1933 a introdurre il concetto di schizofrenia infantile, considerando essenziale per la diagnosi l’esistenza di una regressione intellettuale e affettiva che necessitava quindi di una struttura già in parte organizzata e non pertinente ai primi periodi della vita. Nel frattempo, andavano delineandosi due tendenze fondamentali e opposte sull’uso del termine di schizofrenia infantile, l’una più restrittiva che includeva in tale quadro solo individui senza segni di cerebropatie, l’altra più estensiva che includeva diverse forme anche su base organica certa. Le polemiche e la confusione generata condussero all’abolizione del termine schizofrenia nella psichiatria prepuberale e all’utilizzo del termine psicosi infantile da parte degli autori a orientamento psicoanalitico. Il termine psicosi infantile includeva, in modo omnicomprensivo, sia le strutturazioni patologiche precoci in senso psicotico, insorte cioè durante la strutturazione delle prime relazioni oggettuali, sia le forme ad espressione più tardiva, caratterizzate non necessariamente da un massivo arresto del processo evolutivo e connotate invece da un processo di destrutturazione simile a quello che si può verificare nell’adulto. Nel 1942 Kanner descrisse i primi 15 casi studiati di a. infantile, distinguendolo dalla schizofrenia infantile per l’estremo isolamento e il distacco dall’ambiente fin dal primo anno di vita.

Cause
Nell’originaria descrizione di Kanner (1942) l’a. veniva considerato una schizofrenia puramente psicogena, mentre oggi si pensa che si tratti di una modalità di organizzazione psicotica precocissima che può avere variabile patogenesi e nella quale è implicita anche una componente difettiva primaria. La limitazione delle capacità del soggetto nel recepire la realtà e gli stimoli esterni complessi sarebbe legata a un deficit integrativo di base a carico del sistema nervoso centrale o per un difetto nelle esperienze e negli apprendimenti precoci del bambino.
Accanto ai quadri a base organica certa già accennati, l’anamnesi mette comunque molto spesso in evidenza una sofferenza fetale o neonatale chiamata in causa nel determinare i cosiddetti minimal brain damages (danni cerebrali minimi).L’indagine sui sistemi neurotrasmettitoriali ha evidenziato alti tassi di serotonina nel sangue in toto, con anormalità dei processi di ricaptazione e di rilascio piastrinico correlabili al livello intellettivo e all’età dei soggetti, fornendo conferme all’ipotesi di un ritardo maturativo del sistema nervoso centrale. Si sarebbe inoltre evidenziato un aumento dell’acido omovanillico (metabolita della dopamina) nel liquor di soggetti autistici, mentre i livelli urinari di MHPG (metabolita principale della noradrenalina) e di catecolamine sarebbero ridotti rispetto ai soggetti normali.Studi sul sistema immunitario avrebbero evidenziato anormalità nelle risposte linfocitarie e analogie immunologiche tra a. e malattie da virus lenti e autoanticorpi contro i recettori della 5-HT. Studi neurofisiologici con i potenziali evocati evidenziano un deficit nella modulazione degli input sensoriali e dell’output motorio a livello del tronco, permettendo tra l’altro di escludere cecità e sordità.Alterazioni del funzionamento delle aree mesocorticali con strette connessioni col sistema limbico sarebbero, secondo alcune ipotesi, alla base della dissociazione tra sentimenti e segni emozionali.L’a. sembra situarsi alla convergenza di molteplici fattori neurobiologici e psicologici che interagiscono fra loro. Non è stata individuata una causa specifica per l’a., anche se molti e diversi sono i fattori osservati che possono contribuire allo sviluppo della sindrome. Poiché nel 60% dei casi gemelli omozigoti (che hanno lo stesso patrimonio genetico) risultano entrambi affetti, con tutta probabilità una componente genetica esiste, anche se non è il solo fattore scatenante. Gli studi di genetica si stanno attualmente concentrando su alcune regioni dei cromosomi 7 e 15. È possibile, anche se non ancora dimostrato, che l’a. possa insorgere a seguito dell’esposizione ad un sale di mercurio, il Thimerosal, contenuto nei vaccini, soprattutto in seguito alla effettuazione delle vaccinazioni multiple . Altra fonte di intossicazione da mercurio potrebbe essere la trasmissione al feto dalle mamme, intossicate a loro volta dalle vecchie amalgame dentali, che contenevano mercurio. Già nel 1948 venne per la prima volta ipotizzato il ruolo dell’intossicazione da mercurio come causa dell’a. Si notò infatti lo sviluppo di una condizione multisintomatica, definita acrodinia, in una percentuale di bambini (1 su 500/1000) esposti cronicamente a dosi di mercurio imputate della degenerazione della corteccia cerebrale e del cervelletto. Oggi i neonati e bambini sono ancora esposti a basse dosi di mercurio, sia attraverso la dieta che attraverso altre forme di inquinamento ambientale o tramite i vaccini, nei quali il Thimerosal è utilizzato come conservante, e iniettato a più riprese direttamente nel sangue.Non tutti i bambini cui viene iniettata una certa dose di mercurio sviluppano le stesse reazioni. La suscettibilità complessiva dell’individuo al mercurio dipende da fattori ambientali e genetici quali la capacità di disintossicare l’organismo dai metalli pesanti, la capacità di mantenere una microflora intestinale equilibrata, da cui dipende la maggior parte della rimozione dei metalli e infine dall’iper-sensibilità immunitaria al mercurio.La tossicità del mercurio è cumulativa e si verifica quando la velocità di esposizione è maggiore di quella di eliminazione. In tal modo c’è una neurotossicità ritardata nel tempo, che può manifestarsi mesi dopo l’esposizione. L’intossicazione da mercurio causa molte anomalie biologiche del tutto analoghe a quelle riscontrate dai soggetti affetti da a. Il mercurio causa stress ossidativo nei neuroni. Numerosi ricercatori hanno sottolineato che l’a. è caratterizzato da una condizione di disorganizzazione neuronale, in particolare relativamente alla complessa interconnessione entro e tra regioni del cervello.Il mercurio può interferire con la migrazione neuronale e deprimere la divisione cellulare nel cervello in via di sviluppo.Anomalie nella crescita neuronale durante lo sviluppo sono implicate nelle differenze di grandezza del capo che si ritrovano sia nell’autismo che nei casi di intossicazione da mercurio.
Le aree cerebrali maggiormente coinvolte nel ridotto accrescimento sono il cervelletto, la corteccia, l’amigdala e l’ippocampo.Il mercurio causa inoltre l’alterazione dei livelli dei neurotrasmettitori quali serotonina, dopamina, glutamato e acetilcolina. Queste stesse anomalie sono trovate in bambini con a.È noto come l’esposizione al mercurio causi disfunzioni nell’apprendimento e difficoltà di linguaggio, difficoltà con idee astratte e comandi complessi, tendenza a ritrarsi dal contatto con la gente, ansia e comportamenti ossessivi/compulsivi. Tutti questi sintomi sono ben documentati in bambini con a.Disturbi sensoriali, tra cui mancanza di sensibilità nella bocca, mani e piedi, oppure ipersensibilità ai rumori, avversione al tatto e risposte esagerate o del tutto mancanti al dolore, sono manifestazioni comuni dell’intossicazione da mercurio. Questi stessi disturbi nella recezione sensoriale sono anche comuni nei bambini con a.L’intossicazione da mercurio causa immunosoppressione, ridotta funzionalità delle cellule natural killer, e proliferazione sistemica di lieviti, tutte condizioni concomitanti nei casi di a.Insolita attività epilettiforme è stata trovata in numerose forme di intossicazione da mercurio e pare che il 35-45% degli autistici sviluppano ad un certo punto anche un’attività epilettica.La carenza di acido lipoico che può accadere al 3° mese di gravidanza è un fattore eziologico ritenuto implicato nell’a. Carenze di acido lipoico sono causate dal mercurio, e sono stati riportati casi di a. in madri che avevano subito la trapanazione di amalgama dentaria al mercurio durante i primi stadi della gravidanza.Nessuno dei fattori precedentemente illustrati può essere identificato come “la causa dell’a.”, poiché, anche presi tutti insieme, essi rendono conto solo di una parte della popolazione di persone affette da a.L’ipotesi di una genesi psicogena è stata portata avanti da diversi autori in riferimento a teorie psicoanalitiche e comportamentali.La scuola kleiniana e postkleiniana ha sottolineato il ruolo primario svolto dalla figura materna che, nel caso del bambino autistico, verrebbe a perdere la sua funzione di contenitore esterno delle emozioni. Il bambino si troverebbe nell’impossibilità di metabolizzare gli stimoli provenienti dall’interno e dall’esterno vissuti come minacciosi per la propria integrità e metterebbe in atto complesse operazioni difensive che lo porterebbero all’autoincapsulamento. Il bambino rimarrebbe fissato alla fase autistica (primi 3 mesi) senza raggiungere la fase di separazione-individuazione. Le ricerche a indirizzo cognitivo hanno individuato un deficit primario del linguaggio di tipo cognitivo-linguistico. Altri autori hanno sottolineato il deficit delle capacità di simbolizzare, ma ancora non si è trovato accordo sull’esistenza di un’alterazione primaria e sulla sua identificazione. Meltzer (1989) e Tustin (1981) hanno sottolineato la frequente presenza di una depressione postpartum nella madre.

Sintomi
I bambini autistici arrivano spesso all’osservazione con sospetto di cecità e sordità o perché i genitori ne apprezzano l’isolamento progressivo e le particolari manifestazioni comportamentali che li fanno apparire come incapsulati, come rinchiusi in una fortezza vuota dalla quale guardano il mondo senza apparente componente affettiva o intento di comunicare.Le manifestazioni cliniche delle psicosi infantili sono caratterizzate da un notevole polimorfismo tuttavia alcuni sintomi sono di solito presenti pur se con intensità diversa:- alterazioni profonde delle relazioni affettive con le persone - gravi disturbi della comunicazione verbale - alterazioni dei rapporti con gli oggetti - resistenza eccessiva al cambiamento d’ambiente - disturbi rilevanti dell’identità e della percezione corporea - disarmonie nel comportamento cognitivo per coesistenza possibile di prestazioni intellettive eccezionali in alcuni settori e del tutto insufficienti in altri.L’intensità e la combinazione di tali sintomi dipende dall’età in cui esordisce la psicosi. Vi sono psicosi infantili precoci che si manifestano entro i primi 3-4 anni di vita, nel periodo cioè di strutturazione dell’oggetto e dell’io, e psicosi infantili ad insorgenza tardiva che compaiono a partire da 4-5 anni allorquando il bambino ha già elaborato le principali modalità espressive e di comunicazione. Nell’ambito delle psicosi infantili precoci classicamente si distinguono:- psicosi autistiche caratterizzate soprattutto da isolamento artistico, bisogno di immutabilità (sameness di Kanner), stereotipie, alterazioni del linguaggio - psicosi simbiotiche che si manifestano fra i 2 e 5 anni caratterizzate da una fissazione o regressione ad uno stadio di sviluppo psichico (quello di separazione-individuazione) più differenziato di quello in cui esordiscono le forme artistiche: qui è intenso l’attaccamento alla madre ed il linguaggio ridotto è compreso solo dalla madre e non usato con estranei.

Diagnosi
Per il DSM–IV l’a. è, come già detto, un disturbo che si manifesta prima dei 3 anni di età.I criteri diagnostici adottati dal DSM-IV per la definizione dell’a. contemplano una compromissione qualitativa dell’interazione sociale che si manifesta con marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali (gesti, postura, mimica, sguardo) che regolano l’interazione sociale, incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate al livello di sviluppo mancanza di ricerca spontanea della condizione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone mancanza di reciprocità sociale ed emotiva.È inoltre presente compromissione qualitativa della comunicazione, come manifestato da un ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato o marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri, uso di linguaggio eccentrico o stereotipato mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come manifestato da dedizione assorbente a uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione sottomissione rigida a inutili abitudini o rituali specifici, manierismi motori stereotipati e ripetitivi, persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti.Nel 75% dei casi coesiste un ritardo mentale (di solito di entità moderata, con QI 35-50), con possibili anomalie dello sviluppo delle capacità cognitive, che presentano un profilo irregolare.All’esame obiettivo possono essere rilevati diversi segni neurologici, come riflessi primitivi e ritardato sviluppo della dominanza di lato, a volte con un’associazione neurologica o medica generale di base (percentuali variabili, a seconda degli autori, dal 5% al 30%). L’a. si trova a volte associato ad altri disturbi che alterano in qualche modo la normale funzionalità del sistema nervoso centrale: epilessia, sclerosi tuberosa, sindrome di Rett, sindrome di Down, sindrome di Landau-Klefner, fenilchetonuria, sindrome dell’X fragile, rosolia congenita, anossia alla nascita, rosolia materna, encefalite). Nel 25% dei casi possono svilupparsi convulsioni. La prevalenza sarebbe di 2-5 casi su 10.000 soggetti con un rapporto maschi: femmine di 3-4:1. Il decorso raramente evolve in psicosi allucinatorie o deliranti tardive. La capacità di linguaggio e il livello intellettivo generale sono i fattori che più fortemente condizionano la prognosi definitiva. In 1/3 dei casi è possibile un certo grado di indipendenza parziale. Per lo più l’esito è in una forma di psicopatia postautistica a carattere deficitario, connotata da infantilismo psichico e bizzarrie con scarsa integrazione sociale.

Terapia
Per l’alta variabilità individuale, non esiste un intervento specifico valido per tutti allo stesso modo. Dal punto di vista terapeutico appare spesso necessario compiere un lavoro di preparazione alla psicoterapia con uso di tecniche speciali come musicoterapie, terapie a mediazione corporea, terapie del linguaggio, terapie familiari e comportamentali. La terapia farmacologica, che utilizza prevalentemente neurolettici, è limitata alla diminuzione dell’angoscia e delle condotte aggressive. Raramente è possibile ottenere la remissione totale dei sintomi. Per questo sono molti e diversi i trattamenti rivolti all’a. Resta però da considerare che tra i trattamenti ancora non riconosciuti in ambito scientifico, uno è oggetto di vivace dibattito. Si tratta del trattamento proposto da un progetto ideato da un gruppo di scienziati americani indipendenti, e denominato DAN! (Defeat Autism Now) avviato nel 1995 dall’Autism Research Institute (ARI) che si basa su questi presupposti: i bambini autistici hanno problemi biomedici che causano il loro autismo. Se questi problemi sono identificati e corretti, il risultato nella maggioranza dei casi può essere il ripristino del funzionamento del bambino a livelli da normali a vicini alla normalità. Molti problemi biochimici possono causare a. Diversamente dai medici tradizionali, i Dan! doctors prendono in considerazione l’uso di psicofarmaci, data la possibilità di effetti collaterali anche gravi, solo come ultima risorsa. Molti test di laboratorio sono ritenuti utili per determinare il trattamento ottimale per ciascun bambino. Sono proposti alcuni trattamenti particolari fra cui alte dosi di vitamina B6 e magnesio, alte dosi di dimethylglycine, la dieta senza glutine e caseina (vedi scheda AUTISMO).

AUTOANTICORPI

Anticorpi diretti contro particolari tessuti del nostro organismo. Per motivi ancora non del tutto chiariti il sistema immunitario diventa iperattivo creando una reazione di difesa contro l’organismo stesso creando danni d’organo anche molto gravi.Nella specie umana sono molto numerosi gli antigeni riconosciuti da a., al punto che è impossibile presentarne un elenco completo, anche perché nuovi a. vengono ancora regolarmente descritti.Alcuni a. si ritrovano solo in una malattia (anticorpi antirecettore dell’acetilcolina nella miastenia, un certo tipo di anticorpi antimitocondrio nella cirrosi biliare primaria), altri, al contrario, si osservano in numerose patologie (fattore reumatoide, anticorpi antiantigeni nucleari solubili).Alcuni a. sono direttamente patogeni (anticorpi antirecettore dell’acetilcolina), altri non lo sono e si possono osservare nel soggetto sano anche in concentrazioni elevate (per esempio, anticorpi antiactina o altri filamenti cellulari) altri possono essere patogeni in alcune circostanze particolari, quando si integrano con una risposta immunitaria inappropriata. È questo il caso degli anticorpi anti-DNA, che non sono direttamente patogeni, ma possono diventarlo quando sono parte costituente di immunocomplessi circolanti eliminati in maniera anomala: nel lupus eritematoso sistemico, per esempio, essi possono precipitare nei piccoli vasi o nei reni, determinando lesioni tessutali.Autoanticorpo diretto contro il recettore dell’acetilcolinaQuesto autoanticorpo si osserva nella malattia miastenica. È responsabile della paralisi muscolare caratteristica della malattia, perché paralizza le placche motorie dei muscoli striati. La presenza di anticorpi antirecettore dell’acetilcolina ha un grande valore nella diagnosi di miastenia.Anticorpi antitiroide della malattia di BasedowSono significativi per il loro bersaglio e il loro meccanismo d’azione. Si fissano sul recettore del TSH (l’ormone ipofisario che stimola la produzione di ormoni tiroidei), ma, contrariamente agli anticorpi precedentemente descritti, non bloccano il recettore, ma al contrario lo stimolano, imitando l’effetto della molecola che naturalmente vi si lega, il TSH. Essi provocano, quindi, un’iperproduzione di ormoni tiroidei e un ipertiroidismo. Questi anticorpi si osservano solo nella malattia di Basedow, ma la loro evidenziazione è difficile e nella pratica clinica corrente non vengono ricercati a scopo diagnostico.Fattore reumatoideÈ un anticorpo diretto contro la parte costante delle immunoglobuline G. Di solito è una IgM, non è patogeno di per sé, ma può essere una parte fondamentale degli immunocomplessi circolanti sui quali si fissa, essendo le immunoglobuline G il suo antigene.La sua denominazione, dovuta alle circostanze della sua scoperta, è sfortunata, perché ne suggerisce un ruolo patogeno e specifico nell’artrite reumatoide: con i metodi di rilevazione usuali questo autoanticorpo si osserva nei due terzi dei casi di artrite reumatoide, ma molto più raramente all’esordio tassi elevati di fattore reumatoide si possono riscontrare, infatti, in tutte le infezioni croniche, come, per esempio, nell’endocardite batterica lenta, in alcune parassitosi (tripanosomiasi) e in altre malattie autoimmuni, come la sindrome secca di Sjògren o il lupus eritematoso sistemico. Con metodi di rilevazione sufficientemente sensibili è stato dimostrato che negli individui sani esiste un fattore reumatoide circolante a basso titolo, che aumenta in situazioni patologiche.Se si stimolano artificialmente in vitro i linfociti B di soggetti normali, per esempio con il virus di Epstein-Barr, il fattore reumatoide costituisce circa un terzo delle immunoglobuline secrete. L’organismo ha quindi un considerevole potenziale di produzione di fattore reumatoide, che in vivo verrà utilizzato solo in condizioni di forte stimolazione dei linfociti B. Rimane controverso un ruolo aggravante o protettivo di questo fattore reumatoide sugli immunocomplessi circolanti. Può quindi essere considerato come un testimone, il cui ruolo rimane oscuro, piuttosto che come un attore della patologia autoimmune.Anticorpi anti-DNATra gli anticorpi che riconoscono costituenti del nucleo di tutte le cellule, un posto a parte deve essere tenuto per gli anticorpi anti-DNA.
Gli anticorpi anti-DNA a singola elica si osservano con una frequenza elevata in numerose malattie autoimmuni invece gli anticorpi anti-DNA a doppia elica, il DNA nativo, si osservano solo nel lupus eritematoso sistemico, di cui sono il marker biologico più caratteristico, presenti in circa 1’80% dei casi. Essi non sono direttamente patogeni e si possono osservare a titolo elevato anche nel soggetto sano con un particolare terreno genetico, ma possono formare dei complessi antigene-anticorpo con il DNA circolante o depositato nel filtro renale e divenire allora dannosi, se funziona male il sistema di epurazione degli immunocomplessi circolanti dell’individuo.Altri anticorpi antinucleoGli anticorpi diretti contro le proteine nucleari formano un gruppo molto vario che si riscontra in diverse patologie autoimmuni, tra cui il lupus eritematoso sistemico. All’osservazione in immunofluorescenza di preparati tessutali o di colture cellulari essi possono determinare aspetti variabili: omogeneo, punteggiato, nucleolare, periferico, marcatura preferenziale di cellule in divisione ecc. Il loro interesse risiede nel loro bersaglio: si tratta di elementi del meccanismo di trascrizione e traduzione dei geni del DNA in proteine. In vitro essi possono alterare questo meccanismo cellulare in vivo il loro ruolo patogeno è dubbio, ma i loro bersagli orientano verso meccanismi virali di scatenamento di queste malattie autoimmuni: la loro produzione deriverebbe dall’attivazione intempestiva del meccanismo cellulare nucleare che porta alla morte della cellula e alla liberazione di queste molecole come antigeni.Anticorpi antifosfolipidiSi osservano nel lupus eritematoso sistemico e nella più rara sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi. Il loro interesse sta nella rivelazione che uno stesso motivo può essere riconosciuto su molecole differenti: lo stesso autoanticorpo riconosce la parte glucidica del DNA, l’antigene cardiolipidico del treponema, da cui la falsa positività sierologica per la sifilide, e certe molecole della coagulazione del sangue, da cui la loro attività di anticoagulanti circolanti.Anticorpi AntiemaziePossono portare, quando sono presenti in quantità sufficiente, ad anemie emolitiche autoimmuni. Essi si possono riscontrare come fenomeno isolato o nel quadro di malattie autoimmuni che coinvolgono altri organi (leucemia linfoide cronica, lupus eritematoso sistemico). I loro bersagli sono antigeni dei gruppi sanguigni, come il sistema Rhesus o l’antigene I. Possono portare alla lisi delle emazie nel circolo, quando sono sufficientemente rappresentati sulle emazie, poiché sono capaci di attivare il sistema del complemento: le crisi emolitiche intravascolari di queste anemie emolitiche sono gravi e molto spettacolari. Nella maggior parte dei casi però le emazie ricoperte da anticorpi non sono distrutte nel circolo, ma sono eliminate dagli organi di cateresi (adibiti alla distruzione degli elementi invecchiati o danneggiati del sangue), che sono il fegato e la milza, che le considerano danneggiate e le eliminano dal circolo ematico.Le anemie emolitiche sono classificate secondo l’antigene riconosciuto e soprattutto secondo il tipo d’anticorpo o frammento di complemento ritrovato sulla superficie delle emazie, oltre che a seconda della temperatura preferenziale di azione dell’anticorpo. Così alcuni anticorpi che si fissano preferenzialmente a freddo portano a una patologia in cui gli attacchi sono scatenati dall’esposizione al freddo.Il trattamento di tali forme si basa in genere sull’impiego di farmaci capaci di inibire le reazioni immunitarie o di attenuare le conseguenze di tipo infiammatorio e degenerativo.

AUTOCONTROLLO DIABETICO

Sequenza di azioni autosorvegliative che permettono al paziente diabetico, soprattutto se giovane e insulinodipendente, di convivere con la malattia evitando o dilazionando le complicazioni. La frequenza delle azioni di a. varia a seconda delle condizioni del paziente e spazia dal controllo del tasso glicemico (effettuato con apparecchi elettronici detti reflettometri), al controllo di chetoni e zuccheri nell’urina (con compresse e strisce reattive), al controllo di peso, pressione arteriosa e igiene (particolarmente degli arti inferiori).

AUTOEROTISMO

Insieme dei comportamenti e delle fantasie messi in atto dal soggetto per procurarsi da sé il piacere erotico. In special modo l’a. si manifesta tramite la masturbazione, consistente in una autostimolazione ripetuta degli organi genitali. Tale azione è solitamente accompagnata da fantasie erotiche che svolgono la funzione di aumentare l’eccitazione. Negli adolescenti questa forma di a. è molto diffusa ed a volte, in particolare tra i maschi, è praticata in gruppo. Con il progredire della maturazione sessuale e psicologica, la masturbazione tende a cedere sempre più il passo ad attività sessuali più adulte. In alcuni casi la masturbazione può rappresentare l’unica possibilità di soddisfacimento erotico, come avviene in casi particolari di isolamento. Il ricorso alla masturbazione è però limitato al periodo dell’isolamento. Al termine di questo si riprendono gli abituali rapporti eterosessuali. In generale la masturbazione non è da considerarsi come manifestazione di una sessualità malata: normale nell’adolescenza, può presentarsi saltuariamente anche nell’età adulta.Può invece essere considerata come sintomo di psicopatologia quando nell’adulto la masturbazione tende a divenire sempre più frequente, coattiva, sino a presentarsi come unica modalità utilizzabile per il raggiungimento del piacere erotico. In questo caso la masturbazione è il sintomo (e non la causa) della presenza di problemi psicologici.

AUTOIMMUNITÀ

Condizione patologica in cui il sistema immunitario di un organismo reagisce contro i tessuti o contro componenti tissutali dell’organismo stesso, danneggiandoli in vario grado. In condizioni normali si ha uno stato di tolleranza immunitaria: le strutture costituenti l’organismo vengono “riconosciute” come proprie (self) dalle cellule del sistema immunitario, e come tali non vengono rigettate.L’a. può conseguire al mancato instaurarsi della tolleranza verso alcuni componenti tissutali che rimangono completamente isolati dal sistema immunitario durante la vita fetale e postnatale (tali per es. le proteine del cristallino): così quando questi vengono a contatto con le cellule immunitarie non vengono più riconosciuti. Anche un danno tissutale di varia natura può modificare alcuni componenti in modo da non renderli più riconoscibili. A volte una reazione immunitaria nei confronti di sostanze estranee può contemporaneamente dirigersi contro strutture proprie dell’organismo. L’a. può essere l’effetto di una proliferazione atipica a carico di cellule del sistema immunitario. Il meccanismo autoimmunitario sta alla base di molte malattie, alcune limitate strettamente ad un organo, che costituisce il bersaglio della reazione autoimmune e che come conseguenza viene danneggiato nella sua funzione (per es. forme di ipotiroidismo da tiroiditi autoimmuni, insufficienza della secrezione gastrica da gastriti autoimmuni, anemie emolitiche autoimmuni). In altri casi la reazione autoimmunitaria porta ad un danno più diffuso dei tessuti, soprattutto di quelli connettivi e vascolari a questo gruppo appartengono numerose malattie, individuate in rapporto al tessuto colpito in modo prevalente: artrite reumatoide (tessuti articolari e periarticolari), sclerodermia (collagene del derma), dermatomiosite (cute e muscolatura scheletrica volontaria), panarterite nodosa (arterie di piccolo e medio calibro), lupus eritematoso sistemico (reni, cellule del sangue, pleura, pericardio, articolazioni, cute). Oggi che conosciamo numerose malattie autoimmuni può sembrare sorprendente che la loro natura sia stata scoperta solo tardivamente. La loro stessa esistenza fu messa in dubbio dagli immunologi all’inizio del secolo: il “dogma” del funzionamento armonioso del sistema immunitario faceva rifiutare la loro esistenza. “La natura ha orrore dell’autotossicità” diceva Paul Ehrlich, il fondatore della chemioterapia, molto più perspicace nel comprendere il funzionamento degli anticorpi! Ciononostante è stato relativamente facile dimostrare sperimentalmente che l’organismo poteva attaccare i propri costituenti: a parte qualche precursore incompreso, bisognerà aspettare il 1948, e precisamente la tiroidite sperimentale di Witebsky e Rose nel coniglio, per cominciare ad ammettere l’esistenza dell’autoimmunità.Questi sperimentatori ottennero un’infiammazione della ghiandola tiroide (e il conseguente ipotiroidismo, dovuto all’insufficienza della sua secrezione) immunizzando un coniglio con un omogenato di tiroide di coniglio mescolato a un adiuvante dell’immunità, l’adiuvante di Freund.Questo è una miscela di oli minerali e di micobatteri uccisi che stimolano la produzione di anticorpi contro l’antigene a cui è mescolato. In seguito, fu precisato che l’antigene in causa nell’omogenato di tiroide era la tireoglobulina, la proteina che lega gli ormoni tiroidei nei follicoli tiroidei contenenti colloide.Alcuni modelli animali di autoimmunità indotta sperimentalmente servono ancora oggi a studiare i meccanismi effettori della patologia autoimmune, nella speranza di potere un giorno combattere alcune malattie con una azione selettiva, specifica verso un meccanismo patogenetico, e non più con una grossolana immunosoppressione non specifica come si fa tutt’oggi.L’immunizzazione antispermatozoi indotta nella cavia rappresenta il modello sperimentale di alcune sterilità spontanee.
Nel 30% dei casi di sterilità della coppia non si riesce a trovare alcuna causa evidente del difetto: in questi casi bisogna dunque pensare a un fattore di natura immunitaria.Miastenia sperimentaleLa miastenia sperimentale permette di ricavare due insegnamenti importanti: uno stesso antigene può essere simile in numerose specie diverse, un anticorpo può essere il meccanismo effettore esclusivo di una malattia autoimmune.La miastenia sperimentale si ottiene immunizzando un animale (ratto, coniglio o cavia) contro i recettori cellulari dell’acetilcolina. La sorgente più comoda degli antigeni è l’organo elettrico del pesce torpedine. L’animale immunizzato produce degli anticorpi che vanno a paralizzare i propri recettori dell’acetilcolina, impedendo la conduzione nervosa e producendo una paralisi muscolare come quella che si osserva nella malattia umana spontanea. Se si preleva il siero di questo animale e lo si somministra a un animale della stessa specie non immunizzato, si ottiene la paralisi in questo secondo animale, come si osserva alla nascita in un bambino nato da madre miastenica. La malattia può dunque essere trasmessa dal siero che contiene gli anticorpi coinvolti.L’encefalite autoimmune sperimentale, altro modello di malattia, è provocata inizialmente dall’iniezione di midollo spinale di coniglio in presenza di adiuvante completo di Freund. Provoca una paralisi dell’animale, simile a una mielite trasversa e alla sclerosi a placche. Attualmente, il suo antigene è stato identificato nella proteina basica della mielina (la guaina di rivestimento delle fibre nervose che costituiscono la sostanza bianca del sistema nervoso) si è anche verificato che l’encefalite autoimmune sperimentale può essere scatenata nel topo da un solo determinante antigenico costituito da una catena di 9 aminoacidi (nonapeptide). L’iniezione di questo nonapeptide è sufficiente ad innescare la malattia nei ceppi di ratti suscettibili.Si delinea un elemento fondamentale dell’autoimmunità: non tutti gli animali si ammalano di encefalite autoimmune sperimentale e tra le specie suscettibili alcuni ceppi sono sensibili e altri resistenti, dal momento che non sviluppano la malattia.Vi sono quindi dei fattori genetici che regolano la sensibilità alla malattia, legati al maggior complesso d’istocompatibilità, che governa la possibilità d’effettuare i trapianti d’organo da un individuo ad un altro, quando il loro maggior complesso d’istocompatibilità è identico (nell’uomo, quando gli antigeni del suo complesso denominato HLA sono compatibili). Questa non è, però la funzione fisiologica principale di questo sistema che non è stato selezionato nel corso dell’evoluzione solo per attendere che l’uomo dopo millenni avesse l’idea di realizzare i trapianti d’organo. Il suo ruolo fisiologico è quello di permettere la comunicazione tra le cellule del sistema immunitario servendo come presentatore degli antigeni per i linfociti T. In tutti i mammiferi vi sono due classi di molecole del maggior complesso di istocompatibilità, la classe I e la II.Il maggior complesso d’istocompatibilità di classe I serve alla comunicazione delle cellule del sistema immunitario con le cellule di tutto l’organismo. Le molecole del maggior complesso di istocompatibilità di classe II servono alla comunicazione delle diverse cellule del sistema immunitario tra loro. Queste molecole non sono di norma espresse sulla superficie delle cellule che non appartengono al sistema immunitario.Nella patologia autoimmune possono essere presenti molecole del maggior complesso di istocompatibilità di classe II in modo anomalo sulla superficie di cellule diverse, come le cellule epiteliali. Queste cellule iniziano allora una “conversazione vietata” con le cellule del sistema immunitario che non dovrebbero “rivolgere loro la parola”. Da queste “conversazioni vietate” i linfociti T traggono informazioni sbagliate che portano a manifestazioni patologiche.Malattie autoimmuni il cui meccanismo d’azione è l’immunità cellulo-mediata.Sono stati sviluppati numerosi altri modelli sperimentali: artrite da collagene, artriti da adiuvante di Freund, uveite sperimentale, glomerulonefriti autoimmuni eccA. e malattie autoimmuni nell’uomoNon bisogna considerare come sinonimi i due termini manifestazioni di a. e malattie autoimmuni.L’a. è frequente in particolare nel soggetto giovane, senza che a essa si associno sempre manifestazioni patologiche. Lo stesso vale per la presenza di numerosi anticorpi, non necessariamente patogeni di per se stessi o da soli. In compenso le malattie autoimmuni sono molto numerose. Il loro meccanismo è variabile: alcune sono specificamente determinate da un antigene localizzato in un solo organo (per esempio la tireoglobulina nella tiroidite autoimmune) altre sono limitate ad un solo antigene presente in più siti (per esempio gli anticorpi antimembrana basale della sindrome di Goodpasture, in cui le lesioni si ritrovano sia nei polmoni sia nei reni) altre ancora sono associate a un’autoimmunità contro una gran varietà di antigeni in tutto l’organismo (in questo caso si parla di malattie sistemiche).Fattori favorenti l’a.Si è giunti alla conclusione dopo molte ricerche, che vi sono numerosi fattori predisponenti, favorenti o scatenanti l’a.- Fattori genetici.
La predisposizione genetica nella specie umana è solo un terreno che rende il soggetto più suscettibile all’azione di un fattore scatenante, probabilmente di origine infettiva in assenza di un agente scatenante non accade niente. Se prendiamo l’esempio del diabete insulino-dipendente giovanile, il rischio relativo per i fratelli e le sorelle di un malato, portatori dei due stessi alleli di suscettibilità del malato, è molto elevato: rischio relativo superiore a 180 (rischio relativo di 180 vuol dire che il soggetto in questione ha 180 probabilità contro 1 probabilità di un soggetto qualunque di sviluppare quel determinato fenomeno di cui si misura il rischio relativo). Tuttavia il rischio assoluto, cioè la probabilità dell’individuo di ammalarsi, rimane debole (circa il 12%: cioè 112 probabilità contro 100).Anche nel caso del rischio genetico più elevato in assoluto, rappresentato da una coppia di gemelli monozigoti, si è osservato che il rischio assoluto che anche il secondo gemello sia malato non è che del 40% dei casi.- Età. L’a. è rara nel bambino e più frequente con il progredire dell’età.- Sesso. Nella razza umana la maggior parte delle malattie autoimmuni è più frequente nella donna che nell’uomo, a eccezione del diabete insulino-privo giovanile.- Deficit immunitari. Le anomalie del sistema immunitario favoriscono la patologia autoimmune, così le ipo- e le agammaglobulinemie (rispettivamente grave deficit e mancanza di -gamma-globuline plasmatiche) si associano spesso ad una maggior frequenza di malattie autoimmuni.- Farmaci e fattori ambientali. Alcuni farmaci possono indurre la produzione di autoanticorpi che possono essere patogeni: così l’alfa-metil-dopa (un farmaco usato nella cura del morbo di Parkinson) può indurre anemie autoimmuni, anche l’assunzione di farmaci composti da estroprogestinici può indurre la formazione di autoanticorpi mentre altri prodotti possono portare a una disregolazione immunitaria più globale, come l’idralazina (un farmaco utilizzato nel trattamento dell’ipertensione) o certi beta-bloccanti, che possono portare a vere malattie generalizzate (lupus eritematoso sistemico indotto).- Agenti infettivi. Alcuni virus, in particolare, portano un’attivazione diffusa dei linfociti B, inducendoli a produrre vari autoanticorpi altri attivano i linfociti T, facendo loro produrre particolari sostanze (citochine) soprattutto l’interferone di tipo II che induce cellule non immunitarie (per esempio epiteliali) a esprimere antigeni del maggior complesso di istocompatibilità di classe II.L’andamento delle malattie autoimmuni può spesso essere riportato al loro scatenamento probabilmente dovuto ad un agente infettivo. Numerose anemie emolitiche autoimmuni iniziano dopo una sindrome infettiva talvolta dovuta a un agente ben caratterizzato: così la malattia da agglutinine a frigore compare dopo una infezione polmonare da Mycoplasma pneumoniae.In alcuni casi la malattia autoimmune si sviluppa in un solo episodio, come nell’esempio precedente, in altri assume un decorso in cui si alternano fasi di remissione seguite da riaccensioni. Un buon esempio di questo andamento è il coinvolgimento articolare che segue l’infezione da Borrelia burgdorferi, una spirocheta agente dell’artrite di Lyme: se l’infezione è trattata precocemente non compare artrite se invece l’infezione viene trattata quando l’artrite si è già manifestata, questa in alcuni soggetti può persistere, malgrado l’eradicazione dell’agente iniziale. La malattia autoimmune evolve allora per proprio conto con dei periodi di riacutizzazione e di remissione.Questo andamento evolutivo particolare a “ondate”, fatte di riacutizzazioni e remissioni spontanee il cui meccanismo è mal compreso, è abbastanza caratteristico di numerose malattie autoimmuni. Il chiarimento dei meccanismi di remissione spontanea di queste malattie sarà importante per la messa a punto di terapie appropriate. Sfortunatamente restano oscuri i meccanismi per cui alcune malattie vanno incontro a fasi di remissione ben caratterizzate. Un esempio è l’artrite reumatoide che in gravidanza entra in remissione nei 3/4 dei casi: questo effetto positivo non è dovuto a una impregnazione ormonale e il suo meccanismo resta non chiarito (vedi AUTOANTICORPI).

AUTOMATISMO

Insieme dei comportamenti messi in atto senza che il soggetto ne abbia consapevolezza, almeno apparentemente.Normalmente l’a. è il frutto di apprendimenti protrattisi nel tempo e radicati (lo scrivere, il guidare). In altri casi l’a. può essere rivelatore della presenza di stati patologici, come può avvenire nella schizofrenia: il paziente compie azioni senza averne consapevolezza, in modo appunto automatico. Un’altra particolare forma di a. è quella che va sotto il nome di a. postipnotico. In tale caso vengono impartiti particolari ordini al soggetto mentre si trova in stato di trance ipnotica. Al termine di questo stato particolare di incoscienza, verranno eseguite le istruzioni impartite: il soggetto non sa spiegarsi il perché compia certe azioni, pur avvertendo un imperioso bisogno di effettuarle.

AUTOMEDICAZIONE

Somministrazione autonoma di farmaci acquistabili senza prescrizione medica (es. Aspirina®, antipiretici, antispastici, analgesici, etc).

AUTONOMIA

Termine spesso utilizzato come sinonimo di maturità, di responsabilità, di capacità di affrontare i problemi della vita secondo modelli adulti. La persona autonoma è quella che si sente responsabile delle proprie azioni, e in primo luogo ne risponde di fronte a se stesso. In termini più strettamente psicologici, l’a. corrisponde al raggiungimento di un giusto equilibrio tra la spinta, derivata dalle pulsioni di natura istintuale, a voler raggiungere subito tutti i propri obiettivi, e il senso della realtà, che impone invece un’attenta analisi delle situazioni in cui oggettivamente ci si viene a trovare. È autonomo l’individuo che riesce a distinguere tra desiderio ed effettive possibilità di realizzazione, tra sogno e realtà, senza dover rinunciare ad uno dei due aspetti che concorrono a definire la personalità dell’uomo adulto e maturo.Spesso viene descritto come “dotato di a.” un individuo che riesce ad imporre anche in modo autoritario la propria volontà agli altri. È questa una forma di pseudoautonomia: chi impone agli altri è molto di frequente in una situazione di rigida dipendenza proprio nei confronti dell’approvazione sociale e/o del gruppo verso cui ha diretto la propria imposizione. Perché si sia autonomi è necessario che si manifestino alcune condizioni essenziali: saper ascoltare gli altri, non solo con le orecchie ma anche con il cervello saper rispettare le opinioni altrui, non solo formalmente ma nei contenuti saper distinguere i momenti in cui bisogna assumersi la responsabilità diretta di prendere decisioni, dai momenti in cui questa responsabilità deve essere delegata ad altri saper riconoscere i propri errori, senza timore per le valutazioni altrui saper mettere in discussione i propri stereotipi culturali, senza di converso rinunciare con facilità alle proprie convinzioni ed ai propri principi. A queste condizioni essenziali se ne possono aggiungere altre di carattere secondario, che dipendono anche dal tipo di cultura e di società in cui l’individuo è inserito, e da altri fattori quali l’età e il sesso.L’a. è nel complesso un punto di arrivo cui l’uomo tende per tutto l’arco della propria vita, e si deve sempre lottare con se stessi per far sì che il grado di a. raggiunto sia sempre congruente con le richieste ambientali, con i bisogni dell’età, con le aspettative provenienti dai contesti in cui si opera. L’a. in definitiva può considerarsi come un obiettivo che deve essere raggiunto dall’uomo mediante un percorso difficile e a volte arduo: l’a. non è un dono di natura, bensì un’acquisizione che può essere ottenuta principalmente attraverso un continuo esercizio di autocritica. Inoltre è da considerarsi il fatto che l’a., una volta raggiunta, non è conquistata per sempre. Essendo il risultato dell’interagire di fattori diversi, al mutare di uno solo di tali fattori bisogna rivedere tutto il proprio modello di a. È questo per esempio un problema che si presenta oggi a molti anziani un anziano per essere autonomo deve disporre di notevoli risorse, non tanto economiche quanto psicologiche, per adattarsi ai rapidi mutamenti della società contemporanea. Infatti l’anziano autonomo non è quello che, magari disponendo di considerevoli risorse economiche, si isola in un ghetto dorato.Né è autonomo l’anziano che implora assistenza centrando su tale implorazione tutte le motivazioni della propria esistenza. È invece autonomo l’anziano che, superando gli stereotipi legati alla propria condizione, riesce a comprendere i cambiamenti avvenuti facendosi coinvolgere nella vita quotidiana e continuando ad assumersi responsabilità. È evidente quindi che l’a. è frutto di un lungo apprendimento, che inizia sin dalla prima età e in cui sono coinvolte tutte le strutture educative.

AUTOPLASTICA

Trapianto di un determinato tessuto da una regione ad un’altra dello stesso individuo. Lo scopo di tale intervento chirurgico è solitamente riparativo in quanto consente di ovviare a perdite di materiale in zone importanti. Tra i più eseguiti sono i trapianti autoplastici di cute, ma diversi altri tessuti sono usati per l’a., per esempio le ossa (uso di coste per la ricostruzione della teca cranica), le fasce aponeurotiche dei muscoli (uso della fascia lata per plastica meningea o cardiaca).

AUTOPSIA

(O necroscopia), complesso di operazioni eseguite sul cadavere e consistenti nella dissezione dello stesso seguita dall’esame dei singoli visceri, allo scopo di stabilire la causa della morte. L’a. può avere un interesse puramente diagnostico quando ha lo scopo di chiarire o confermare la diagnosi formulata dal medico, oppure può rivestire un interesse medico-legale se la morte di una persona può essere conseguenza di un atto criminoso in questi casi, nei quali l’esecuzione dell’a. viene ordinata dall’autorità giudiziaria, oltre all’accertamento della causa effettiva della morte essa può contribuire all’identificazione del cadavere e a stabilire la cronologia della morte stessa.L’a., eseguita dall’anatomopatologo o da altro sanitario competente, deve essere eseguita non prima che siano trascorse 24 ore dalla morte salvo nei casi di decapitazione, maciullamento o comunque quando vi sia l’assoluta certezza della morte.L’esecuzione dell’a. avviene seguendo un procedimento sistematico che si inizia con l’esame esterno del corpo per rilevarne caratteri generali (sesso, età apparente, condizioni di nutrizione, caratteri della cute ecc.) e delle sue parti (capo, collo, torace, addome, arti) e i segni della morte (rigidità muscolare, macchie ipostatiche da ristagno del sangue nelle parti declive, temperatura ecc.).A questa fase segue l’apertura delle cavità (cranica, toracica, addominale) e l’esame dei visceri ivi contenuti.Oltre a rilevare ad occhio nudo le alterazioni più evidenti si potrà procedere al prelievo di liquidi o di frammenti di tessuto per esami microscopici, batteriologici, sierologici, tossicologici ecc.Correlando le alterazioni rilevate all’a. con i sintomi presentati in vita dal paziente si potranno ricostruire in successione logica i diversi fenomeni patologici che sono intervenuti nell’organismo, fino a spiegare il meccanismo della morte.

AUTORADIOGRAFIA

Tecnica d’indagine radiografica applicabile allo studio della distribuzione di determinate sostanze negli organismi viventi.Tale metodo viene frequentemente impiegato per la localizzazione dell’autoradioattività indotta da un composto marcato, nella cui molecola, cioè, sia presente un isotopo radioattivo, in un tessuto (autoistoradiografia) o in una cellula (autocitoradiografia).In genetica il metodo permette di evidenziare particolari siti cromosomici.

AUTOSCOPIA

Immagine allucinatoria per cui il soggetto, per un processo di sdoppiamento, vede la propria immagine come riflessa in uno specchio l’a. compare in condizioni patologiche (isterismo) o negli stati di ipnosi o di sonnambulismo. Si distingue un’a. esterna, o deuteroscopia, quando il malato vede innanzi a sé la propria immagine, e un’a. interna quando il malato vede un suo organo (cervello, cuore o altro) proiettato al di fuori e reagisce a questo con manifestazioni affettive più o meno intense.

AUTOSUGGESTIONE

Attitudine del soggetto ad essere influenzato da agenti suggestivi che appartengono al suo mondo interno, cioè dalla sua stessa convinzione di subire influenze. L’a. implica nel soggetto una certa plasticità e predisposizione a isterismo e a turbe psicosomatiche. Numerosi procedimenti possono realizzare tale stato: fissare intensamente un punto luminoso, concentrarsi su rumori di fondo ecc. Essi vengono sfruttati in numerose forme di terapia, dall’autoipnosi al training autogeno. L’a. diventa patologica quando, per esempio, il soggetto che ha letto dettagliatamente una determinata malattia si convince di averla, avvertendone i sintomi.

AUTOTRAPIANTO

vedi AUTOPLASTICA

AUTOTRASFUSIONE

Tecnica di trasfusione cui si ricorre quando si ha la possibilità di prevedere la necessità di una somministrazione di sangue dopo un intervento chirurgico eseguito in elezione (cioè non in urgenza). Il sangue viene prelevato al paziente stesso prima o durante l’operazione e se necessario reimmesso a trattamento chirurgico ultimato.Con questo sistema si hanno quattro vantaggi:- l’emodiluizione giova all’opera del chirurgo - si evitano le incompatibilità di gruppo sanguigno - si ha la certezza che il sangue reimmesso non contiene virus che già non ci fossero - si riduce la necessità di ricorrere alle donazioni, sempre insufficienti in rapporto alla richiesta.Il prelievo viene effettuato alcuni giorni prima dell’intervento al fine di consentire un certo grado di recupero e la tecnica è oggi largamente utilizzata soprattutto in particolari tipi di intervento (ortopedici, addominali etc.).

AUTOVACCINO

Vaccino che viene preparato con materiale infetto prelevato dallo stesso soggetto sul quale il vaccino verrà poi usato.Il vantaggio offerto dall’a., che viene somministrato in concentrazioni crescenti, nei confronti degli altri vaccini aspecifici, è di suscitare una reazione immunitaria altamente specifica contro l’agente infettante.

AUXOLOGIA

Branca delle scienze mediche che studia le caratteristiche dei processi di accrescimento dell’organismo umano, indagandone gli aspetti quantitativi e qualitativi, le modificazioni nel tempo, allo scopo di individuarne le diverse fasi, le variazioni individuali, gli aspetti patologici. Tale studio viene condotto attraverso la misurazione delle varie dimensioni del corpo e dei suoi segmenti ed il rilievo di altri caratteri (per es. caratteristiche radiologiche delle ossa, valutazione del peso, della superficie corporea) mediante i quali è possibile costruire dei grafici di valori medi di riferimento in base ai quali valutare i casi.

AVAMBRACCIO

Segmento dell’arto superiore compreso tra l’articolazione del gomito e quella del polso. Il suo scheletro osseo è costituito da due ossa, il radio e l’ulna, articolate reciprocamente alle loro estremità e articolate a loro volta al gomito con l’omero e al polso con le ossa del carpo.L’ulna (o cubito), ha la diafisi di forma prismatico-triangolare, limitata da tre facce, anteriore, posteriore e mediale, circoscritte da tre margini. L’epifisi prossimale si articola mediante una grossa cavità articolare, concava in avanti, (incisura semilunare), con la troclea dell’omero. L’epifisi distale entra in rapporto con il radio.Il radio, come l’ulna, presenta una diafisi di forma prismatico-triangolare, limitata da tre facce, anteriore, posteriore ed esterna, circoscritte da tre margini. Esso è più sviluppato nella sua estremità distale che non in quella prossimale (testa o capitello) in corrispondenza della sua estremità prossimale si articola con il condilo dell’omero e, un po’ lateralmente, con l’incisura radiale dell’ulna. L’epifisi distale, invece, prende contatto a livello della faccia articolare con le otto ossa del carpo.Nella loro porzione intermedia il radio e l’ulna sono uniti da una robusta membrana interossea che, insieme a due membrane poste ai lati delle due ossa, divide nettamente l’a. in una loggia anteriore ed una loggia posteriore.Nella loggia anteriore prendono posto, disposti in doppio strato, i muscoli flessori superficiali e profondi ed il muscolo pronatore quadrato.La loggia posteriore è occupata dai muscoli estensori disposti anch’essi in duplice strato. Tale ricco complesso di fasci muscolari è avvolto da una fascia fibrosa unita, sulla faccia profonda, alle membrane delimitanti le logge anteriore e posteriore. Nello spessore degli strati muscolari scorrono le arterie, la radiale e la ulnare, derivate dalla divisione dell’arteria omerale le vene, suddivise in molteplici rami e raggruppate ai lati radiale ed ulnare dell’a., scorrono invece in superficie.I vasi linfatici disposti in una ricca rete fanno capo ai linfonodi dell’ascella. I nervi sono rappresentati da grossi rami, il radiale, l’ulnare ed il mediano, originati dal plesso nervoso brachiale. L’a. può compiere movimenti di flessione sul braccio per azione dei muscoli bicipite e brachiale anteriore, di estensione sul braccio per azione del tricipite e di prono-supinazione per azione dei muscoli pronatori e supinatori.

AVAMPIEDE

Regione anatomica del piede che comprende la porzione più distale, dal collo del piede alle dita.

AVITAMINOSI

(O ipovitaminosi), condizione morbosa determinata dalla carenza di vitamine.Le vitamine sono composti organici a diversa composizione chimica, solubili nell’acqua o nei grassi (idrosolubili o liposolubili), contenute negli alimenti e indispensabili, anche a piccolissime dosi, per la vita e il benessere degli organismi animali.Le principali forme di a. sono state individuate agli inizi del XX secolo: si è così riconosciuto che alcune malattie, in passato molto gravi e diffuse, sono dovute a carenze vitaminiche: lo scorbuto a carenza di vitamina C, il beri-beri a carenza di vitamina B1, l’anemia perniciosa a carenza di vitamina B12, la pellagra a carenza di vitamina PP, l’ariboflavinosi a carenza di vitamina B2 ricordiamo poi il deficit di biotina, di vitamina A, E e K.Attualmente forme gravi e diffuse di a. si riscontrano solo in paesi sottosviluppati, ma ancora in Europa sono riscontrabili casi isolati o forme lievi di ipovitaminosi.Le principali cause di a. sono l’insufficiente apporto alimentare, assoluto o relativo a un aumentato fabbisogno vitaminico in rapporto a determinate condizioni fisiologiche o patologiche (accrescimento, gravidanza, allattamento, intensa attività fisica, malattie infettive) un insufficiente assorbimento intestinale, per malattie dell’apparato digerente un’insufficiente utilizzazione o tesaurizzazione, in genere per malattie del fegato un’eccessiva eliminazione, per disturbi metabolici o della funzione renale.Forme particolari di a. possono dipendere dall’uso di farmaci antagonisti delle vitamine, come la somministrazione di anticoagulanti antagonisti della vitamina K, o dall’instaurarsi di stati di vitaminoresistenza.Il quadro clinico delle a. è estremamente vario e caratteristico della vitamina carente la terapia consiste nel reintegrare la vitamina mancante o attraverso una sua somministrazione diretta o attraverso un’adeguata modificazione dell’alimentazione.

AVVELENAMENTO

Termine generico con il quale si indica la manifestazione degli effetti tossici provocati dall’assorbimento di un veleno. Per estensione, spesso si definisce a. anche l’azione di sostanze caustiche (per es. l’acido solforico e l’ammoniaca), detta più propriamente causticazione.Il veleno può essere considerato come una sostanza che, con azione chimica o biochimica, produce uno stato di malattia, di durata e di entità variabili, oppure la morte. I veleni, per la natura delle loro azioni, si differenziano, quindi, da altri agenti lesivi (armi, agenti contundenti, calore ecc.), i quali sono caratterizzati da un’azione di natura fisica. Essi possono essere allo stato gassoso, solido o liquido volatili o non volatili e chimicamente organici o inorganici. A seconda delle modalità con cui si realizza, l’a. può essere a scopo di omicidio, autolesionistico, accidentale e professionale. Questi ultimi e quelli da ingestione di cibi alterati sono più comunemente denominati intossicazioni. Tale termine è impiegato infatti per designare, nelle sue sequenze cronologiche, l’intero quadro eziologico, clinico ed anatomo-patologico prodotto dal veleno. Numerosissime sono nella nostra civiltà industrializzata le fonti di a. Basti pensare ai farmaci, ai prodotti per uso industriale, agricolo e domestico, agli inquinanti dell’atmosfera e delle acque, agli additivi alimentari. Sotto il profilo dell’incidenza statistica i casi di suicidio con veleno coprono l’1% ca. degli avvelenamenti totali e il mezzo preferito è costituito dai barbiturici, seguito dai tranquillanti. Gli avvelenamenti accidentali costituiscono un fenomeno molto più ampio di cui sono principalmente vittime i bambini. La causa più ricorrente nei casi mortali è rappresentata in Italia dal monossido di carbonio. Delle intossicazioni professionali una delle più diffuse è quella da solventi in ambito industriale e da antiparassitari in ambito agricolo. Relativamente all’intossicazione da droghe, mentre le grandi tossicomanie da oppiacei e da cocaina sono in regresso, vanno dilagando le tossicomanie minori da allucinogeni e da farmaci, soprattutto amfetamine, barbiturici e antitussivi.L’effetto nocivo dei veleni si può distinguere in acuto e cronico. Acuto si ha quando prodotto da una singola assunzione, cronico quando si generi dall’assunzione di piccole dosi ripetute nel tempo. L’organismo si può difendere in vari modi, impedendo al veleno di raggiungere la sua destinazione. Il vomito e la diarrea sono mezzi di allontanamento dall’apparato digerente qualora la via di assunzione sia stata quella orale. Se il veleno raggiunge il torrente circolatorio, una via di difesa è l’accumulo nel tessuto adiposo sottocutaneo, a patto che la sostanza sia sufficientemente liposolubile (es. DDT), in modo da risultare magari molto tossica, ma non letale. In caso di morso d’insetti, la lieve emorragia che si verifica è un meccanismo rapido di eliminazione del veleno. Quando si tratti di veleni che modifichino le caratteristiche biochimiche dei liquidi biologici, vengono chiamati in causa i sistemi tamponanti endogeni, o l’azione di particolari enzimi che modifichino la struttura chimica del veleno detossificandolo, o si sfrutta la coniugazione con altre sostanze che rendono il composto meno tossico. Gli organi maggiormente preposti alla detossificazione ed eliminazione di queste sostanze sono il fegato e i reni.

AVVENTIZIA, tonaca

Strato più esterno della parete dei vasi sanguigni procedendo dall’interno verso l’esterno la parete di un’arteria è composta da: tonaca intima, tonaca media e tonaca a. che presentano un diverso sviluppo ed una diversa composizione a seconda del diametro dell’arteria. La tonaca avventizia è costituita da tessuto connettivo ricco di fibre elastiche intrecciate con fasci collageni e si continua nel tessuto connettivo interstiziale delle strutture anatomiche vicine. Nelle arterie di grosso calibro (7 mm – 3 cm) prevale la componente elastica, nelle arterie di medio calibro a prevalente composizione muscolare, la tonaca a. è molto sviluppata e ospita vasi (detti vasa vasorum, cioè vasi dei vasi) e nervi per l’irrorazione e l’innervazione della parete vascolare stessa nelle arterie di piccolo calibro, infine, la tonaca avventiziale è molto sottile, composta prevalentemente da fibre collagene ed è in continuità con il connettivo perivasale.

AYURVEDICA, medicina

È la medicina più antica al mondo e, al tempo stesso, la più diffusa dopo quella occidentale. Attualmente 1/5 della popolazione mondiale si cura con i rimedi ayurvedici. In lndia, la medicina a. è riconosciuta ufficialmente dal Servizio Sanitario Nazionale e viene insegnata in 120 istituti superiori e in 46 università. Per ottenere il titolo di medico ayurvedico sono necessari sette anni di studio.

La scienza della vita
Ayurveda è una parola sanscrita, l’antica lingua dell’lndia, e significa approssimativamente “scienza della vita” (il termine veda significa sapere, conoscenza ayur indica il corpo, ma anche il principio vitale e spirituale che lo anima). Contrariamente alla medicina occidentale, che spesso considera separatamente organi, apparati e funzioni dell’organismo ciascuno affidato alle cure di uno specialista, la medicina a. considera l’uomo come un’unica entità, facente inoltre parte dell’intero universo. Lo scopo della medicina a. non è solo quello di eliminare i sintomi delle malattie. Per l’a. bisogna mantenere la vita umana al più alto livello, sia fisico sia spirituale. Per un medico ayurvedico, fare un trattamento significa equilibrare l’organismo attraverso le piante, l’alimentazione, il massaggio e la meditazione.

I chakra
La medicina a. sostiene che energie delle polarità negativa e positiva interagiscono incontrandosi in alcuni punti del corpo umano, o centri energetici, detti chakra. Si tratta di punti energetici distribuiti lungo la colonna vertebrale, in corrispondenza dei principali sistemi e apparati. In questi punti, secondo la tradizione ayurvedica, sono concentrate le energie vitali dell’uomo. Ogni chakra è correlato ad un suono, ad un colore, ad un elemento e alla relativa forma di questo elemento. Grazie agli esercizi yoga, e soprattutto attraverso i massaggi, si possono liberare i chakra dai blocchi energetici, riuscendo a ottenere, in questo modo, un maggiore benessere fisico e spirituale.

I tre umori
Secondo la medicina a., l’intero universo è pervaso da cinque grandi elementi fondamentali: terra, acqua, fuoco, aria, etere. Dalla combinazione di questi, nascono i tre dosha corporei dell’uomo: vata, pitta e kapha (vento, fuoco e acqua). Ogni uomo, secondo l’a., è caratterizzato dal prevalere di uno di questi elementi. Essere in buona salute significa mantenere i propri dosha in equilibrio fra loro e in armonia con quelli dell’universo.

Il concetto di salute
La salute, secondo l’a., esiste quando si raggiungono cinque obiettivi:
- il ‘fuoco’ della digestione è equilibrato
- i tre umori del corpo (vento, fuoco, acqua) sono bilanciati
- le tre produzioni di scorie (urina, feci, sudore) sono in quantità normali
- i sensi svolgono bene i loro compiti
- corpo, spirito e coscienza funzionano in modo armonioso.
Solo in tal modo l’uomo può entrare in armonia con le forze dell’universo.

La rigenerazione
Numerose malattie sono causate da un accumulo di veleni nell’organismo. Per liberarsene si ricorre a quelle che i medici indiani chiamano le cinque eliminazioni: clistere, purga, vomito provocato, clistere all’olio, introduzione di alcuni liquidi nel naso. Secondo alcuni esperimenti condotti presso università indiane, questi antichi sistemi sembrano efficaci mezzi per guarire da alcune forme di nevralgie e dolori artritici. La medicina a. li consiglia non solo ai malati ma anche alle persone in buona salute, che desiderano seguire la terapia del ringiovanimento, cui è dedicata una intera sezione della dottrina ayurvedica. La medicina indiana non si propone, infatti, di portare il malato alla guarigione. Il suo obiettivo è quello di mantenere l’uomo pienamente vitale, nonostante il trascorrere degli anni.

I rimedi
Il medico ayurvedico dispone di 8.000 formule tra le quali scegliere il rimedio adatto al suo paziente. La maggior parte di queste sono a base di erbe, ma, diversamente dalla fitoterapia occidentale, non si tratta di una miscela di poche erbe. I rimedi ayurvedici sono composti da decine di erbe che vengono lavorate in modo da estrarne solo alcuni principi attivi. Questi vengono poi equilibrati con quelli ricavati da altre piante che hanno proprietà opposte o complementari. Inoltre, a seconda dello squilibrio umorale che si vuole correggere, si scelgono le piante selezionandole in base al periodo dell’anno in cui sono state raccolte. Lo scopo è di esaltare l’effetto equilibratore su tutto l’organismo, non solo su una delle sue parti, e di evitare qualsiasi possibile effetto collaterale. In armonia con la teoria a., il rimedio non deve semplicemente eliminare i sintomi, ma deve promuovere un’azione equilibrante e rigenerante. Prima di essere immessi sul mercato, i rimedi sono sottoposti a prove rigorose che ne verificano l’assoluta mancanza di tossicità: cavie cui sono stati somministrati farmaci ayurvedici in dosi massicce non hanno accusato alcun malessere.
Riviste scientifiche hanno pubblicato studi clinici che sembrano sostenere l’efficacia di alcuni rimedi ayurvedici sull’uomo, soprattutto nella cura delle malattie croniche.

Massaggio ayurvedico
Una delle pratiche più diffuse della medicina a. è il massaggio, che viene proposto in forme diverse a seconda della parte in cui viene praticato. Nel massaggio ayurvedico, il paziente viene toccato dalla punta dei piedi fino alla radice dei capelli, affinché tutti i 108 “punti segreti” vengano stimolati. Il massaggiatore usa le mani (punta delle dita, palme, pugni chiusi o mano a coppa), i gomiti, gli avambracci e i piedi, con cui esercita pressioni più o meno intense usando il peso del suo corpo, o tenendosi a corde che pendono dal soffitto. Una vasca in legno con la sagoma umana è il lettino del paziente, il cui corpo viene tamponato tutto con spugnature, tiepide, fredde o calde, a seconda del caso, quindi cosparso di olio, anche questo tiepido, freddo o caldo. Gli oli impiegati più frequentemente sono quelli di senape, di oliva e di sesamo. Quelli di cocco, di mandorla dolce, di legno di sandalo e di noce hanno un uso più limitato. In alcuni casi dopo il massaggio con olio viene fatto un bagno con acqua, poi un tamponamento con tela asciutta e quindi il paziente viene cosparso di farina di ceci, polverizzata fine. Un trattamento particolare viene riservato a bambini, persone anziane o a persone molto deboli e di pelle fragile ed emaciata: con farina di grano a cui si aggiunge acqua bollita e olio di ricino si fa un impasto, quindi una palla che viene passata, con tamponamento, su tutto il corpo.

Le gemme e l’Ayurveda
Secondo l’Ayurveda i cristalli, come tutto ciò che esiste in natura, contengono, variamente combinati, i cinque elementi (terra, acqua, fuoco, aria, etere) e possono quindi essere utilizzati per riequilibrare i Tridosha (Vata-Pitta-Kapha) che governano tutte le funzioni del corpo, la mente e la coscienza. Naturalmente l’Ayurveda avverte che solo le gemme naturali, scelte accuratamente dal medico ayurvedico dopo aver esaminato il paziente sia dal punto di vista fisico sia da quello mentale e comportamentale, possono essere utilizzate in terapia. Alla certezza dell’origine naturale si deve aggiungere un indispensabile metodo di conservazione e purificazione delle pietre usate a scopi terapeutici: l’argilla è il luogo migliore in cui le gemme possono riposare, mentre l’acqua fresca salata restituisce loro la purezza energetica. Le gemme, hanno virtù e proprietà che le distinguono una dall’altra e le rendono uniche e insostituibili.

AZASERINA

(O diazoacetil-L-serina), antimetabolita che interferisce col metabolismo della glutamina, cui è strutturalmente molto simile. Blocca le reazioni di transaminazione in cui la glutamina funge da donatore di gruppi aminici. È usata come antineoplastico. Può dare nausea, vomito, danni epatici e midollari, alterazioni gastrointestinali, malformazioni fetali. La stessa azione e le stesse indicazioni ha la duazomicina (N-acetil-6-diazo-5-oxo-L-norleucina).

AZATIOPRINA

Farmaco citotossico, del gruppo degli antimetaboliti, con spiccato potenziale immunosoppressore. L’a. viene utilizzata principalmente come immunosoppressore in reumatologia (malattie reumatiche ed autoimmuni che non rispondano al trattamento antidolorifico o cortisonico, ad es. l’artrite reumatoide, il LES), nel mantenimento dopo allotrapianto di rene e fegato, in alcuni casi resistenti di anemie emolitiche autoimmuni e di porpora trombotica trombocitopenica idiopatica.Gli effetti collaterali piu importanti conseguono a depressione del midollo osseo (leucopenia, raramente trombocitopenia), sono stati descritti rash cutaneo, vomito, diarrea e sofferenza epatica. Sono necessari frequenti controlli ematochimici ed uno stretto rapporto medico-paziente durante la somministrazione di azatioprina.

AZIDOTIMIDINA

Nota anche con il nome di zidovudina e con la sigla AZT, è un farmaco che viene usato in combinazione con altri anti-virali nella terapia dell’infezione da virus HIV e dell’AIDS.Sperimentato dapprima come antineoplastico, ha dimostrato poi di agire sul retrovirus HIV dell’AIDS perché, penetrato nelle cellule infettate, vi blocca la sintesi del DNA virale (inibitore nucleosidico della trascrittasi inversa virale).Se usato in monoterapia, l’effetto terapeutico non è però duraturo, a causa della comparsa di resistenze virali dopo 18-24 mesi di utilizzo, tuttavia resta tra le forme terapeutiche più efficaci nell’ambito della triplice terapia (associazione di due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa ed un inibitore delle proteasi, o, recentissimamente, due inibitori nucleosidici ed uno non nucleosidico).Viene utilizzata per rallentare il decorso della malattia a tutti gli stadi (rallenta il deterioramento del sistema immunitario e diminuisce le infezioni opportunistiche) e nella prevenzione della trasmissione materno-fetale dell’HIV in madri sieropositive, sia durante la gravidanza che al momento del parto. Infatti, l’AZT non si è dimostrato teratogeno inoltre, se la terapia viene iniziata alla decima-dodicesima settimana di gestazione e poi somministrata al neonato per settimane dalla nascita, la percentuale di trasmissione del virus al neonato scende dal 20% al 2%.Gli effetti collaterali più comuni includono febbre, brividi, pallore ed astenia muscolare, stipsi, vomito raramente, e dopo lunghi periodi di assunzione, dolori addominali, diarrea, confusione mentale, convulsioni, dolori e crampi muscolari, debolezza.L’assunzione concomitante di alcuni farmaci può alterarne i livelli ematici e richiedere una variazione della dose (amfotericina B, antineoplastici, antitiroidei, azatioprina, cloramfenicolo, colchicina, ganciclovir, interferone, rifampicina, rifabutina, claritromicina, probenecid, ribavirina ed altri).La presenza di patologie epatiche, renali o di anemia, deve essere attentamente valutata prima di cominciare la terapia.

AZOOSPERMIA

Assenza di spermatozoi nel liquido seminale. Tale condizione comporta la sterilità del soggetto, e può essere determinata da diversi fattori che agiscono direttamente sul testicolo danneggiando le cellule seminali o alterandone i processi di maturazione:- disturbi o malattie del sistema endocrino - somministrazione di farmaci citotossici per terapie antitumorali, terapie ormonali - sclerosi e atrofie testicolari conseguenti a criptorchidismo, a orchiti, a varicocele, a traumi esposizione a radiazioni ionizzanti o a sostanze tossiche di varia natura.Tutte queste condizioni possono provocare anche soltanto una diminuzione più o meno marcata del numero di spermatozoi nel liquido seminale (oligospermia). In altri casi si può avere invece l’assenza completa di cellule germinali nel testicolo, in rapporto ad anomalie malformative congenite (per es. sindrome di Klinefelter o altre aberrazioni cromosomiche e disturbi della differenziazione sessuale).Infine l’a. può essere dovuta a processi patologici interessanti le strutture attraverso cui il liquido seminale viene veicolato all’esterno (rete testis, epididimo, dotto deferente) e tali da determinarne l’ostruzione o comunque il blocco: malformazioni congenite, processi infettivi (tubercolosi, blenorragia), interruzione chirurgica (volontaria o come conseguenza di altri interventi condotti su queste strutture).L’individuazione delle cause di a. è spesso difficile e richiede indagini complesse (dosaggi ormonali, esame istologico di biopsie testicolari, esplorazione delle vie seminali, dopo introduzione di un mezzo di contrasto radiologico, analisi dei cromosomi) esse comunque sono indispensabili data la possibilità di correzione e di recupero funzionale di gran parte dei casi.

AZOTEMIA

Presenza di azoto non proteico presente nel sangue. Dipende dalla presenza di numerose sostanze non proteiche quali urea, acido urico, creatina, creatinina, aminoacidi, ammoniaca. La quantità maggiore di azoto non proteico è rappresentata dall’urea: la determinazione di questa sostanza quindi, eseguibile con diversi metodi, dà un’indicazione abbastanza valida della quantità di azoto presente nel sangue.In condizioni normali i valori di a. sono compresi tra i 10-20 mg per 100 ml di sangue per l’azoto ureico e 15-35 mg per l’azoto più genericamente non proteico. I valori di a. vengono generalmente considerati come un indice della funzione depuratrice dei reni: infatti in molte malattie renali in cui è presente un’insufficienza funzionale di questo organo (per es. glomerulonefrite acuta e cronica, intossicazioni, rene policistico, tubercolosi renale, pielonefrite cronica ecc.) i valori di a. aumentano notevolmente per il persistere nel sangue di scorie metaboliche azotate che non vengono eliminate. Tuttavia si può avere un aumento dell’a. anche in altre condizioni patologiche indipendenti da malattie renali, quali stati di shock, disidratazione, accresciuta distruzione di proteine, ristagno di urina.La ritenzione dei metabolici azotati nell’insufficienza renale sembra tra le prime cause dei sintomi e segni di tossicità uremica.

AZOTO

Elemento chimico, non metallo, che a temperatura ambiente si trova allo stato gassoso, inodore, incolore. È costituente fondamentale dell’aria, da cui si ottiene mediante il processo di liquefazione, ed è usato per la produzione dell’ammoniaca e di fertilizzanti.

AZOTO LIQUIDO

Alla temperatura di - 196°C viene utilizzato per la conservazione di materiali biologici (es. sperma, ovociti).

AZOTO UREICO

Prodotto del metabolismo delle proteine, viene escreto dal rene, si dosa nel sangue e nelle urine principalmente per controllare la funzionalità renale

AZOTURIA

Presenza di azoto non proteico delle urine. Se queste non contengono proteine, l’azoto non proteico corrisponde all’azoto totale. La più importante delle sostanze che compongono l’azoto non proteico è l’urea vanno poi considerati l’acido urico, la creatina, la creatinina, gli aminoacidi, l’ammoniaca.I metodi per determinare l’a. sono analoghi a quelli in uso per la determinazione dell’azotemia.L’eliminazione giornaliera di azoto con le urine dipende in notevole misura dalla quantità di proteine contenute nella dieta: con una dieta media ed equilibrata, vengono eliminati ogni giorno 15 g ca. di azoto (vengono considerati normali valori compresi tra 11 e 18 g nelle 24 ore) essi rappresentano nell’adulto il 90% ca. dell’azoto introdotto con gli alimenti: il restante 10% viene eliminato con le feci.La valutazione dell’a. è quindi importante per valutare il cosiddetto bilancio azotato: in un soggetto sano, che abbia completato il proprio sviluppo corporeo, la quantità di azoto introdotto con la dieta è uguale alla quantità eliminata con le urine e con le feci nel bambino in accrescimento ponderale il bilancio azotato è positivo (l’introduzione supera le perdite), nell’anziano è negativo (le perdite sono più elevate dell’introduzione).Anche in condizioni morbose vi possono essere alterazioni significative del bilancio azotato: per esempio, in corso di malattie debilitanti l’organismo si impoverisce di proteine, e quindi di azoto.Lo stesso avviene se il contenuto di proteine della dieta è insufficiente: si ammette che la quantità minima di proteine richiesta per dare un bilancio azotato in equilibrio sia di 0,5-0,7g per kg di peso corporeo. La determinazione dell’a. viene anche eseguita per valutare la funzionalità dei reni i reni che funzionano normalmente sono in grado di eliminare rapidamente anche grandi quantità di urea ed altre sostanze azotate (per es., dopo un pasto molto ricco di proteine) se invece i reni sono malati non possono depurare in un dato tempo più di una certa quantità di sangue, per cui l’a. rimane bassa anche dopo notevoli apporti alimentari di proteine.L’a. e il volume di urine eliminate nelle 24 ore sono pertanto elementi tra loro correlati, che possono dare, se studiati simultaneamente, un’idea abbastanza precisa delle condizioni di funzionalità dei reni.

AZT

vedi AZIDOTIMIDINA

AZUL

vedi PINTA

AZYGOS, vena

Vaso sanguigno venoso impari, lungo circa 20 – 25 cm, che decorre nella cavità toracica sul lato destro dei corpi vertebrali.Tale vaso si origina nella cavità addominale, da una radice laterale costante, la vena lombare ascendente di destra, che la mette in comunicazione con la vena iliaca comune e a volte, anche da una radice mediale proveniente dalla vena cava inferiore  attraversa il diaframma, risale nel mediastino posteriore e dopo aver raccolto il sangue delle ultime 9 o 10 vene intercostali, all’altezza della quarta vertebra toracica, si inflette in avanti scavalcando il bronco destro per immettersi nella vena cava superiore, di cui è tributario.Rami affluenti sono: vene intercostali dx, vena intercostale suprema dx, vena emiazygos, vena emiazygos accessoria, vene bronchiali posteriori, esofagee, mediastiniche e freniche superiori.

B - BD
B, complesso vitaminico

Include:

TIAMINA (vitamina B1)
La t. si trova, in piccole quantità, in quasi tutti gli alimenti. Le concentrazioni più alte si riscontrano nei cereali, nel fegato, nel cuore, nei reni e nella carne magra suina. La vitamina è distrutta dalla cottura prolungata. La dose di assunzione giornaliera corretta è di 1,4 mg vengono eliminate nelle urine 50-250 pg di t. nelle 24 ore. La t. agisce, nella sua forma biologicamente attiva di tiaminpirofosfato, come coenzima in diverse reazioni biochimiche del nostro metabolismo. La carenza di tiamina dà luogo alla cosiddetta sindrome del beri-beri. I tessuti maggiormente interessati sono quelli che necessitano della maggior quantità di glucosio nei loro processi metabolici (sistema nervoso, tratto gastrointestinale, sistema cardiovascolare). I sintomi sono rappresentati da perdita di appetito, astenia, vomito, alterazione dello stato generale, dolori periferici intensi e parestesie, disturbi mentali, atrofia muscolare. La terapia del beri-beri è rappresentata da 50 mg di t. due volte al giorno, che portano ad una guarigione lenta e generalmente non completa.

BIOTINA
La b. è contenuta soprattutto nel fegato, nei reni, nel tuorlo d’uovo e nel lievito. Il fabbisogno minimo giornaliero è di 1,2-1,8 mg al giorno. La b. funge da coenzima in molte reazioni biochimiche dell’organismo, principalmente nella sintesi degli acidi grassi e nella trasformazione del piruvato ad ossalacetato. La carenza (ipovitaminosi) di b. è rarissima, anche perché la flora batterica intestinale la sintetizza in notevoli quantità. La quota di b. eliminata con le feci supera di 2-5 volte quella ingerita. L’eventuale ipovitaminosi indotta da protratte terapie antibiotiche che danneggino la flora intestinale può evidenziare sintomi neurologici, affaticamento, perdita di appetito e anomali all’elettroencefalogramma. In alcuni casi si associa anemia.

ACIDO PANTOTENICO
L’a. pantotenico è diffusissimo in natura (da qui il nome): si trova in praticamente tutti gli alimenti di origine vegetale e animale. È particolarmente presente nel tuorlo d’uovo, nei reni, nel fegato e nel lievito. La forma biologicamente attiva dell’a. è denominato Coenzima A. Il fabbisogno giornaliero di a. dell’adulto è di 10 mg, ed è abbondantemente garantito in presenza di una alimentazione normale. Il coenzima A e il suo estere acetico attivato (l’acetil-CoA) sono importanti nel metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e degli aminoacidi. Grazie all’acetil-CoA essi possono essere introdotti nel ciclo di Krebs (ciclo del citrato) trasformandosi in CO2 e H2O per ossidazione e producendo energia.

RIBOFLAVINA (vitamina B2)
La r. è presente in moltissimi alimenti, e in particolare nel latte, fegato, reni e cuore. Alcune verdure la contengono in quantità discreta, i cereali ne sono assai poco dotati. La forma biologicamente attiva è rappresentata dal fosfato di r. Il fabbisogno minimo per l’adulto è di 0,1 mg/1000 KJ il fabbisogno è aumentato durante la gravidanza e l’allattamento. La r. è elemento importante in quanto costituente di due coenzimi coinvolti nella desaminazione ossidativa e nella ossidazione di aldeidi ad acidi. La carenza isolata ed occasionale di r. si manifesta con caratteristiche manifestazioni a carico di labbra, viso e lingua (fissurazioni delle commessure labiali, dermatite seborroica localizzata al volto e lingua a carta geografica) in presenza di carenze più importanti e protratte possono manifestarsi disturbi oculari. Tali sintomi si risolvono in seguito alla somministrazione di 10-20 mg di vitamina B2 al giorno.

NIACINA E NICOTINAMIDE
La niacina (acido nicotinico) e la nicotinamide (acido nicotinaminico) sono le due forme attive sovrapponibili dal punto di vista della funzionalità.
Sono ricchi di nicotinamide i lieviti, la carne magra, il fegato e la carne dei volatili. La tostatura del caffè induce la formazione di notevoli quantità di acido nicotinico. La carenza di n. è detta pellagra visto tuttavia che l’organismo umano è capace di sintetizzare nicotinamide partendo dal triptofano, la carenza di n. è riscontrabile solo quando vi si associa un alterato metabolismo del triptofano secondario alla carenza di piridossina, o in presenza di alcoolismo o di disturbi severi dell’assorbimento gastrointestinale. I sintomi sono rappresentati inizialmente da insonnia, nervosismo, depressione e apatia lentamente si istaura una demenza progressiva associata a disturbi della memoria e iporeflessia sistemica. Le alterazioni degenerative a carico del midollo spinale portano ad una mielopatia fino alla paraparesi spastica. A livello cutaneo, nelle zone esposte al sole, si manifesta un eritema focale ben delimitato si associa stomatite e compaiono nausea e vomito, accompagnate da una diarrea tipicamente acquosa ed emorragica.

PIRIDOSSINA (vitamina B6)
La v. B6 è particolarmente rappresentata nel lievito, nel frumento e nel fegato concentrazioni minori possono essere evidenziate nel latte, nelle uova e in molte verdure a foglia verde. La forma attiva della p. è rappresentata dal piridossalfosfato, che costituisce un importante coenzima nel metabolismo degli aminoacidi e nella glicogenofosforilasi. Il fabbisogno giornaliero di p. nell’adulto è 1,5 mg nel maschio e 11 mg nella femmina.. L’ipovitaminosi B6 è molto rara: possono evidenziarsi dermatiti, disturbi della crescita, anemia e disturbi neurologici (atassia e paresi).

ACIDO FOLICO
Il fegato, i reni, il lievito di birra, i legumi e le verdure a foglia verde scuro (spinavi) sono particolarmente ricchi di acido folico. La carenza di a. folico è la ipovitaminosi più frequente nei paesi occidentali si manifesta soprattutto in gravidanza, quando il fabbisogno è aumentato, ed è solitamente associato alla compara di anemia megaloblastica. La sintomatologia è però piuttosto aspecifica, anche perché la carenza è frequentemente associata ad altre avitaminosi o carenze minerali (vitamina C, ferro, cobalamina, ecc). La carenza di folati si riscontra anche in presenza di alcolismo, nell’anemia emolitica, e in selezionati casi di malassorbimento intestinale. In presenza di alimentazione normale si assumono giornalmente 0,2 mg di acido folico. Le vitamine del gruppo dell’acido folico sono coenzimi importanti nei processi metabolici e soprattutto nella divisione e nella crescita cellulare. L’acido folico svolge un ruolo nel metabolismo degli aminoacidi, nella costituzione dei globuli rossi, della mielina e del DNA. I primi i segni di carenza di a. si riflettono a livello dell’esame emocromocitometrico (anemia macrocitica ipercromica, caratterizzata dalla presenza di globuli rossi di volume molto grande). Nella carenza da cobalamina può evidenziarsi una simile anomalia, pertanto è importante misurare i livelli sierici di entrambe le vitamine prima di iniziare una adeguata terapia reintegrativa. L’a. folico svolge in gravidanza un ruolo fondamentale nei confronti della prevenzione del rischio di alcune gravi malattie. Alcuni studi condotti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti hanno dimostrato, infatti, che le future mamme che durante la gravidanza fanno uso regolare di integratori di a. folico riducono il rischio di partorire un neonato con una malformazione della colonna vertebrale detta spina bifida. In pratica, la spina bifida consiste in un difetto nello sviluppo della colonna vertebrale del bimbo che non si chiude correttamente in questo modo i nervi del midollo spinale (parte del sistema nervoso che si trova all’interno della colonna vertebrale e che serve a collegare il cervello con il resto del corpo) finirebbero con l’essere danneggiati o esposti al rischio di contrarre infezioni.

COBALAMINA (vitamina B12)
La c. è l’unico composto naturale in cui si sia potuta dimostrare la presenza di cobalto (da cui il nome). Le migliori fonti di c. per l’uomo sono gli alimenti di origine animale. Solo i microrganismi infatti (fondamentali in questo senso quelli costituenti la flora batterica intestinale) hanno la capacità di sintetizzare la c. L’assorbimento della c. avviene, grazie al legame con il fattore intrinseco, a livello della mucosa del tratto ileale dell’intestino. L’ipovitaminosi, pertanto, può presentarsi non solo in caso di insufficiente assunzione della vitamina (il regime dietetico vegetariano rappresenta in questo senso un fattore di rischio), ma anche in caso di atrofia della mucosa gastrica, con conseguente riduzione dell’assorbimento intestinale secondario a ridotta produzione di fattore intrinseco. Anche interventi chirurgici (resezioni gastriche o ileali) possono comportare una ridotta produzione di fattore intrinseco. Gli adulti necessitano di circa 2-3 microgrammi al giorno di c., e con la dieta se ne assorbe 3-5 microgrammi al dì. La carenza protratta di c. induce l’anemia perniciosa. I sintomi generali sono debolezza, astenia, diarrea, glossite con bruciore linguale. Si associano molteplici sintomi riguardanti il sistema nervoso centrale, con ipoestesia vibratoria, disestesie e parestesie. Può comparire una encefalopatia con agitazione psicomotoria, disorientamento e psicosi.

B, gruppo sanguigno

Uno dei 4 gruppi sanguigni indicati rispettivamente con A, AB, B, O. Il sangue di una persona appartiene necessariamente a uno o all’altro di questi gruppi. Negli europei la frequenza del gruppo B è del 12% ca. Gli eritrociti contengono gli agglutinogeni B mentre il plasma le agglutinine anti-A (o alfa), pertanto il sangue di questi individui può essere trasfuso in altri individui di gruppo AB o B ed essi potranno ricevere sangue di gruppo B o O. L’esatta conoscenza del gruppo sanguigno è importante per le trasfusioni di sangue.

BABINSKI, segno di

(Prende il nome da Józef Babinski, neuropsichiatra francese di origine polacca - Parigi 1857-1932) o fenomeno delle dita, prova semeiologica di notevole importanza in neurologia: consiste nell’inversione del riflesso plantare che si ottiene normalmente strisciando con una punta smussa il margine esterno della pianta del piede. Mentre nel soggetto normale tale manovra provoca una flessione delle dita del piede, in caso di lesioni delle vie nervose motrici piramidali si ha un’estensione dell’alluce. Nei bambini tuttavia, fino a 12-16 mesi, tale segno non ha alcun significato patologico.

BACH, lampada di

Lampada al quarzo a raggi ultravioletti, usata in fototerapia fu ideata dal biochimico sovietico A.N. Bach (1857-1946).

BACILLO

Nome comune con cui si indicano i batteri del genere Bacillus. Il termine b. può anche avere un’accezione generica, essendo talvolta impiegato in sostituzione di batterio inoltre, analogamente ai termini cocco e spirillo, definisce una delle forme che si riscontrano nei batteri, e corrisponde alla morfologia a bastoncino.Il genere Bacillus comprende specie Gram-positive, caratterizzate da forma allungata e lunghezza compresa tra 1,2 e 10 micrometri. I bacilli possiedono metabolismo aerobio e sono dotati di flagelli mediante i quali sono in grado di compiere moderati spostamenti. Sono inoltre in grado di formare spore, ovvero forme di resistenza capaci di sopravvivere per periodi di tempo estremamente lunghi (anche per secoli), a temperature elevate e a condizioni prolungate di siccità. Le spore si differenziano all’interno delle cellule (endospore) giunte a maturità, vengono liberate per lisi della cellula madre. La capacità di formare spore accomuna i bacilli ai clostridi, cui probabilmente hanno dato origine nel corso dell’evoluzione. I bacilli si trovano in tutti gli ambienti alcune specie rivestono un ruolo importante nei cicli biogeochimici dell’azoto e del carbonio.

BACILLO DI CALMETTE-GUERIN

vedi BCG

BACINETTO

(O pelvi renale), cavità a forma di imbuto, delimitata da una parete muscolo-connettivale, nella quale si raccoglie l’urina prodotta dal rene per essere avviata negli ureteri e quindi alla vescica. Il suo apice si continua nell’uretere la sua base è suddivisa in diversi recessi o calici che corrispondono agli apici delle papille renali, in cui sboccano i tubuli collettori del rene. Contrazioni ritmiche della muscolatura della parete facilitano il flusso dell’urina verso gli ureteri.Il b. è sede frequente di processi patologici, soprattutto infezioni (pieliti) che possono diffondersi anche al tessuto renale (pielonefriti), facilitate dal ristagno di urina provocato da calcoli o da tumori in questa sede o in altre parti delle vie urinarie.

BACINO

vedi PELVI

BACLOFENE

(P-clorofeniGABA) farmaco GABA-mimetico attivo per bocca. È un miorilassante che agisce come agonista del GABA sul recettore di tipo B. Viene impiegato nei pazienti affetti da spasticità, riducendo anche in parte il dolore.

BAGASSOSI

Malattia polmonare dovuta all’inalazione, con l’aria inspirata, di polvere di canne da zucchero trinciate per essere utilizzate in altre lavorazioni.L’origine di B. deriva dal termine bagassa (dal francese bagasse) usato per indicare il residuo fibroso della macinazione e spremitura della canna da zucchero.

Sintomi
La malattia può colpire i soggetti addetti a queste operazioni e si manifesta con difficoltà di respirazione, tosse, febbre tali sintomi sono l’espressione di un processo infiammatorio cronico interstiziale polmonare che evolve lentamente verso la fibrosi.

Terapia
È necessario l’allontanamento del soggetto dall’ambiente di lavoro, o l’adozione di misure protettive.

BAGNO

Immersione parziale o totale del corpo nell’acqua. Per estensione, il termine viene anche usato per definire l’esposizione del corpo, o di una sua parte, ad altri agenti, quali per esempio sole, vapore acqueo, aria, luce. Si parla inoltre di b. di sabbia e di fango per indicare rispettivamente le sabbiature e le fangature. Il b. non trova applicazione solamente nel campo dell’igiene, ma è anche utilizzato in medicina quale coadiuvante nella cura di numerose malattie: esistono, infatti, veri e propri bagni terapeutici.- B. semplice. Viene generalmente così definito il comune b. di pulizia, praticato con acqua pura. La temperatura dell’acqua normalmente deve essere di 34-38°C: usando acqua un po’ più calda si otterrà un b. sedativo, particolarmente indicato per le persone facilmente eccitabili e per coloro che soffrono d’insonnia con acqua leggermente più fredda si avrà un b. tonico e stimolante.- B. caldo. L’acqua ha una temperatura superiore a quella del corpo, che è di ca. 37°C. In alcuni casi raggiunge anche i 45°C. Questo tipo di b. è indicato ai soggetti particolarmente nervosi, perché ha un buon effetto calmante è sconsigliato nel modo più assoluto a coloro che soffrono di disturbi cardiocircolatori, alle persone deboli, convalescenti e anziane.- B. freddo. Bagno con acqua a 22-25°C. Viene usato soprattutto nel corso di malattie infettive per far diminuire la febbre.- B. raffreddato. Bagno tiepido che viene gradualmente raffreddato quando il malato è già immerso nell’acqua per evitare il brusco contatto del freddo con il corpo.- B. di mare. I bagni nell’acqua di mare hanno un notevole effetto tonico e sono permessi senza riserve a tutte le persone sane. Tuttavia in alcuni soggetti possono favorire l’insorgere di un leggero stato di eccitazione, soprattutto se troppo frequenti e prolungati. Precauzioni: non entrare in acqua se si accusa qualche disturbo, di qualsiasi natura esso sia non fare il b. prima che sia completata la digestione non entrare in acqua dopo una lunga esposizione al sole o comunque quando si è accaldati uscire dall’acqua al minimo segno di freddo.- B. con acqua minerale. È una pratica molto diffusa presso le principali stazioni termali. Questo trattamento idroterapico viene praticato in vasca o in piscina. Per il b. in vasca la temperatura dell’acqua si aggira quasi sempre attorno ai 37°C (in genere si usa acqua termale o termalizzata) e può raggiungere anche i 40°C. L’acqua della piscina (ferma o corrente o con onde create artificialmente) può essere fredda o calda. La balneoterapia minerale trova indicazione soprattutto nelle seguenti affezioni: malattie della pelle (acque oligominerali, solfuree e arsenicali-ferruginose), stati infiammatori dell’apparato genitale femminile (acque salso-bromo-iodiche e solfuree), ipertensione arteriosa (acque carboniche), artriti (acque carboniche), reumatismo articolare (acque oligominerali e salso-bromo-iodiche), neuriti e nevralgie (acque oligominerali, bicarbonate e radioattive), artrite cronica primaria (acque solfuree e solfate), stati depressivi (acque solfuree e arsenicali-ferruginose), postumi di lesioni articolari (acque salso-bromo-iodiche e bicarbonate).- B. medicato. Un blando effetto terapeutico si ottiene aggiungendo all’acqua sostanze medicamentose, in genere di origine vegetale, quali per esempio estratto di eucalipto (raffreddore), decotto di crusca (irritazioni cutanee), infuso di rosmarino (astenia) ecc.- B. di vapore. Si esegue collettivamente in un ambiente impregnato di vapore acqueo a 45-50°C o individualmente in una speciale stufa (specie di cassone che lascia libera la testa) al vapore possono essere aggiunte sostanze medicamentose. L’abbondante sudorazione ha un marcato effetto depurativo. È indicato nell’obesità, nelle affezioni croniche della pelle, nel reumatismo, in alcune affezioni dell’apparato respiratorio. Un tipo particolare di b. di vapore è il cosiddetto b. turco, eseguito passando attraverso una serie di stanze a temperatura crescente: il paziente rimane per un certo tempo nel primo locale, quindi passa nel successivo e così via al termine del b. viene sottoposto a un massaggio e a una doccia, dapprima calda, poi fredda è anche opportuno un breve riposo su un lettino.- Sauna finlandese o bagno russo.
È un b. di aria calda secca seguito da un b. o una doccia con acqua fredda. La sauna viene praticata in una speciale camera rivestita di legno (generalmente di betulla) in cui circola aria secca a una temperatura di 80-90°C.- B. di luce. Consiste nell’esporre tutto il corpo o una sua parte ai raggi del sole. Questi agiscono sulla cute attivandone la circolazione ed il metabolismo, determinandone una pigmentazione bruna (abbronzatura), stimolando la sintesi di vitamina D. Inoltre svolgono effetto cicatrizzante, microbicida, analgesico, e favoriscono il trofismo e lo sviluppo della muscolatura striata scheletrica.I bagni terapeutici devono essere praticati solo dietro prescrizione del medico che stabilirà non solo il tipo di b., ma anche le modalità (temperatura, durata ecc.).

BAL1

(Sigla di British Anti-Lewisite), nome dato al dimercaptopropanolo, composto messo a punto dagli scienziati britannici come protettivo contro il gas asfissiante lewisite usato nella Prima Guerra Mondiale. Tale gas è tossico in quanto l’arsenico in esso contenuto porta alla morte cellulare.Il B. viene attualmente usato come antidoto nei casi di avvelenamento da mercurio, oro, tellurio, tallio o bismuto, oltre che nell’avvelenamento da arsenico.

BAL2

Sigla che indica la procedura diagnostica di lavaggio bronco-alveolare (mediante soluzione fisiologica), utilizzata a completamento dell’esame endoscopico dell’albero respiratorio (broncoscopia) al fine di allestire indagini microbiologiche (ricerca di agenti infettivi), citologiche (ricerca di cellule tumorali maligne) o immunologiche (sottopopolazioni linfocitarie).

BALANITE

Infiammazione della superficie del glande. Generalmente essa si accompagna a un processo infiammatorio a carico del prepuzio, per cui si parla più frequentemente di balanopostite. Si può presentare come un eritema o come erosione con papulo-pustole.

Cause
Le cause possono essere: chimica detta anche semplice, batterica, candidosica, traumatica, da protozoi (trichomonas), allergica.Vi sono fattori che favoriscono l’insorgere di questa infiammazione come la fimosi, la cattiva igiene, malattie dismetaboliche come il diabete.

Terapia
Dipende dall’agente eziologico, è importante la valutazione del partner per evitare le recidive.In alcuni casi la balanite può essere la prima manifestazione di una dermatosi quale la psoriasi, il lichen ruber planus, la malattia di Behcet, in altre può essere manifestazione di un cancro in situ (balanite di Queyrat).

BALANOPOSTITE

Infiammazione acuta o cronica del glande e del prepuzio che lo riveste. In generale l’infezione è sostenuta da germi che comunemente albergano in questa sede e che assumono caratteri virulenti per la cattiva igiene locale: frequentemente infatti la b. rappresenta una complicazione della fimosi.- B. acuta. Si manifesta con tumefazione dolorosa ed arrossamento del glande e del prepuzio, con difficoltà all’emissione dell’urina e gocciolamento di secrezioni dal sacco prepuziale.- B. cronica. Evolve con sintomi notevolmente più attenuati e porta gradualmente ad una fibrosi delle strutture ammalate sulle quali a volte si sviluppano tumori.Balanopostiti si possono osservare anche in corso di blenorragia e di malattie metaboliche (per esempio diabete).

Terapia
La terapia si basa su antisepsi e accurata igiene locale, associata a somministrazione di antibiotici e alla correzione di turbe metaboliche eventualmente coesistenti, e sul trattamento chirurgico della fimosi.

BALANTIDIASI

(O balantidiosi), infestazione dell’organismo da parte di un protozoo ciliato, il Balantidium coli. Tale microrganismo, che misura 50-80 per 40-60 µm, è il più grosso protozoo che possa parassitare l’organismo umano. Esso è frequentemente ospite innocuo dell’intestino del maiale l’uomo si può infestare ingerendo le cisti del protozoo che, giunte nell’intestino, invadono la mucosa e la sottomucosa (specialmente nell’ultimo tratto dell’ileo e nell’intestino crasso), dove si possono stabilire senza dare alcun sintomo (il soggetto diviene allora un portatore sano dell’infezione). Per molti aspetti la b. assomiglia all’amebiasi, con la differenza che il Balantidium rimane localizzato alla mucosa intestinale e non tende a invadere il fegato o altri organi interni come l’ameba. La malattia è più diffusa nelle regioni tropicali.

Sintomi
L’infezione decorre nell’80 % dei casi asintomatica. Può presentarsi con dolori addominali, diarrea cronica alternata a stipsi, ulcerazioni della mucosa.

Diagnosi
È importante l’esame microscopico delle feci per individuarvi la presenza del parassita.

Terapia
Si fonda sulla somministrazione di antibiotici (tetracicline, metronidazolo).

BALBUZIE

Disturbo del linguaggio consistente in ripetizione di sillabe o fonemi (tartagliamento), o in esitazioni e impuntamenti nell’iniziare a pronunziare soprattutto parole che incominciano con vocali o con le consonanti c e g (incheccamento). Dal punto di vista eziopatogenetico, più che di cause, si deve parlare di fattori organici, ereditari e psicologici.- Fattori organici. Sono stati incriminati disturbi neurologici di vario genere, ma a nessuno di essi si è potuto attribuire un ruolo eziopatogenetico certo.- Fattori ereditari. Frequentemente figli di uomini balbuzienti, che non avevano mai conosciuto il padre, si sono rivelati anch’essi balbuzienti. Questo, ovviamente, depone per una predisposizione ereditaria ed esclude la possibilità che alla base del disturbo esista un meccanismo di imitazione.- Fattori psicologici. Questi fattori sono molto spesso presenti, ma è difficile dimostrare un loro rapporto causa-effetto con la b. Infatti quasi tutti i balbuzienti sono soggetti ansiosi, iperemotivi, tendenzialmente portati all’ossessività, inoltre i loro disturbi si acutizzano in momenti di particolare nervosismo. Secondo un’altra teoria, invece, la b. sarebbe un disturbo organico, aggravato dalla reazione psicologica.La b. di solito compare, in modo saltuario o intermittente, nel bambino che, verso i tre-quattro anni, incomincia ad organizzare il discorso. In qualche caso il disturbo regredisce spontaneamente dopo breve tempo, ma il più delle volte persiste e diviene stabile. Dal punto di vista terapeutico, è bene non commentare il disturbo davanti al bambino ed evitare di esortarlo a correggersi e a ripetere le stesse frasi. Non creando un’atmosfera di ansietà attorno al disturbo, ma piuttosto cercando di portare la conversazione su argomenti facili, di cui il bambino possa discorrere con parole semplici, in genere si ottengono notevoli miglioramenti. Se, malgrado queste precauzioni, ciò non avvenisse, in età più avanzata si renderanno necessari provvedimenti foniatrici e psicoterapeutici ( -- vedi scheda BALBUZIE).

BALLISMO

Rara sindrome, quasi sempre unilaterale (emiballismo), caratterizzata da movimenti involontari a volte rapidi a volte lenti, ma sempre violenti, irrefrenabili, presenti anche durante il sonno e interessanti gli arti, il tronco e talora la faccia, che determinano atteggiamenti di torsione, di flessione e di inclinazione dei segmenti interessati.L’emiballismo insorge di solito dopo una apoplessia cerebrale ed è dovuto ad un focolaio irritativo posto nel corpo sottotalamico di Luys. L’intensità dei movimenti involontari può essere talvolta attenuata somministrando sedativi.

BALLO DI SAN VITO

Sinonimo di corea minor (Corea di Sydenham). È un disturbo del movimento caratterizzato da ipercinesie, ma anche da disturbi psichici (disturbi ossessivo-compulsivi, irritabilità, eventualmente psicosi). Manifestazione clinica della febbre reumatica, può insorgere settimane o mesi dopo l’infezione da streptococco dopo che altri elementi clinici della malattia reumatica si sono risolti. Generalmente tale corea è reversibile.

BALNEOTERAPIA

Tecnica terapeutica che utilizza l’azione termica, meccanica o medicamentosa dell’acqua sull’organismo che in essa viene immerso.Se il bagno è di vapore acqueo a 45-50°C si provoca un’abbondante sudorazione che ha un effetto depurativo. È indicato nell’obesità, nelle affezioni croniche della pelle, nel reumatismo, in alcune affezioni dell’apparato respiratorio: tipi particolari di b. sono il bagno di vapore o bagno turco e la sauna.

BALSALAZIDE

È un farmaco antinfiammatorio orale, utilizzato per il trattamento della colite ulcerativa. È una forma di mesalamina (acido 5 amino salicilico) che viene attivato quando raggiunge il colon dai batteri che vi colonizzano.

BALSAMICI

Farmaci che fluidificano le secrezioni bronchiali agendo sull’attività secretoria delle ghiandole bronchiali e facilitano l’espettorazione stimolando l’apparato ciliare delle mucose respiratorie. Esercitano questa azione numerose sostanze di origine vegetale di differente natura chimica. I b. più usati sono il pinene, l’eucaliptolo, l’essenza di pino pumilio, il balsamo del Perù, il balsamo del Tolù e il creosoto. Tali sostanze possono venir somministrate sotto forma di suffumigi, aerosol, o vapori (umidificatori per ambienti) e trovano impiego nel trattamento di varie affezioni dell’albero respiratorio (bronchiti acute e croniche, bronchiectasie ecc.).

BALSAMO

Sostanza di origine vegetale secreta da certi tipi di piante e contenente resine, oli e altri composti aromatici, utilizzati in pasticceria, in profumeria e in medicina per le proprietà espettoranti e toniche. Tra i più comuni si ricordano il balsamo del Canada, oleoresina, da Abies balsamea (abete del Canada), liquido chiaro, giallo-verde, usato in microscopia per il suo indice di rifrazione vicino a quello del vetro e il balsamo del Perù liquido denso, rosso-bruno, prodotto da Myroxylon pereirae, usato in farmacologia, profumeria e industrie alimentari e il balsamo del Tolù. I balsami hanno odore gradevole e sono di solito liquidi densi che all’aria rapprendono.

BAMBINO

L’essere umano nel periodo compreso tra la nascita e la pubertà. Questo periodo della vita, detto età infantile, viene suddiviso in diverse fasi: età neonatale, fino al 30°- 40° giorno prima infanzia, sino al compimento del 2° anno seconda infanzia, sino al 6° anno, terza infanzia o fanciullezza o età della scuola, dal 6° anno in poi. Il limite ultimo dell’età infantile non è determinabile con esattezza, poiché l’inizio della maturazione sessuale, e quindi della pubertà, presenta notevoli variazioni a seconda della razza, del sesso, e anche da individuo a individuo. In generale, tale limite è posto tra gli 11 e i 13 anni per le femmine, tra i 12 e i 15 per i maschi. Durante l’età infantile l’organismo va soggetto a profondi cambiamenti con l’acquisizione progressiva di funzioni, attività, capacità e comportamenti che caratterizzano il soggetto adulto. Da un lato, attraverso le varie fasi dell’accrescimento, si ha l’aumento progressivo di peso e di dimensioni del corpo e parallelamente la maturazione delle strutture e delle funzioni proprie ai diversi sistemi e apparati.D’altro lato lo sviluppo dell’attività motoria, nervosa e psichica costituisce il presupposto per la formazione del linguaggio e per l’evoluzione del pensiero oltre che per tutte le attività che caratterizzano la vita di relazione dell’individuo.Età neonataleL’età neonatale comprende le prime 4 settimane di vita di cui la prima (periodo neonatale precoce) è certamente la più delicata sul piano biologico-clinico, tuttavia, l’intero lasso di tempo è molto importante poichè si assiste al compimento di fenomeni (fenomeni neonatali) che resteranno, per sempre, unici.In rapporto all’epoca di nascita i neonati sono definiti a termine, pretermine, postermine. Secondo la legge italiana è “neonato” ogni essere partorito dopo il 180° giorno di gravidanza prima di tale termine il feto, anche se transitoriamente vitale, è considerato, dal punto di vista legale, aborto. Neonato pretermine (o, meno esattamente, prematuro) si definisce il nato tra la ventiseiesima e la trentasettesimasettimana di età gestazionale, mentre nato a termine è chi nasce tra la trentottesima e la quarantaduesima settimana oltre questo tempo si parla di neonato postermine o postmaturo. I neonati vengono inoltre classificati in base al peso di nascita, non sempre in accordo con l’età gestazionale il peso, infatti, è l’espressione più diretta e sicura dell’entità dell’accrescimento fetale mentre il calcolo cronologico dell’età gestionale, essendo spesso suscettibile di qualche incertezza, è un parametro non sempre esatto. In base alla comparazione del peso di nascita e dell’età gestionale, riportate su di una apposita tavola detta griglia di Denver, il neonato si considera:- appropriato per l’età gestionale, se il peso è compreso tra il 10° e il 90° centile (peso adeguato all’età) - piccolo per l’età gestazionale o dismaturo (SGA-Small for Gestation Age), se il peso è inferiore al 10° centile (neonato piccolo e magro) - grosso per l’età gestazionale, se il peso è superiore al 90° centile (neonato molto grosso).Il peso del neonato a termine oscilla tra i 2500 e i 4500 grammi (o più) ed è influenzato, oltre che da fattori costituzionali e razziali, dalle condizioni di nutrizione della madre e della durata della gravidanza.Nei primi giorni di vita il peso del neonato subisce un calo di 150-300g ca. (calo fisiologico): esso è dovuto a una diminuita assunzione di alimenti, alla perdita di acqua dai tessuti, alla emissione di urina e di meconio. In seguito, quando verso il 4°-5° giorno il b. comincia ad alimentarsi regolarmente, il peso inizia ad aumentare in maniera rapida e progressiva.Il ritmo dell’accrescimento ponderale può a volte, per cause spesso inspiegabili, non essere sempre regolare, subire rallentamenti o arresti temporanei.Comunque, in media, si assiste a un aumento di 25-30 g al giorno nel 1° trimestre di 20-25 g nel 2° trimestre di 15-20 g nel 3° di 10-15 g nel 4°. Il peso alla nascita viene pertanto raddoppiato attorno al 5° mese, triplicato poco dopo i dodici mesi.La statura del neonato, compresa tra i 46 e i 56 centimetri, è mediamente superiore nei soggetti di sesso maschile.Il cranio, le cui ossa non ancora saldate consentono di apprezzare al tatto le linee di sutura e le parti fibrose dette fontanelle, è particolarmente voluminoso (un quarto della lunghezza totale) e spesso deformato o molto allungato per la presenza del tumore da parto, edema dei tessuti del cuoio capelluto in corrispondenza della parte del capo che per prima si affaccia al collo dell’utero dilatato.
I capelli, più spesso cortissimi, talvolta folti e molto fini, sono comunque destinati a cadere a poco a poco per lasciar posto a quelli che formeranno la capigliatura permanente. I lineamenti del volto del neonato possono apparire schiacciati o tumefatti il collo e gli arti sono tozzi il torace cilindrico, con le coste piuttosto orizzontali, si continua con l’addome molto voluminoso e tondeggiante.La cute al momento della nascita è ricoperta dalla vernice caseosa, una sostanza grassa, traslucida, di colore biancastro, che durante la vita intrauterina serve a impedire la macerazione da parte del liquido amniotico la vernice caseosa rimasta sulla cute dopo il primo bagnetto scompare completamente nelle ore successive e lascia scoperta la pelle, delicatissima e vellutata, di colorito rosso acceso, ricoperta da una fine lanugine che sparirà spontaneamente entro la prima settimana.Frequentemente sulle palpebre, sulla fronte e sulla nuca si notano chiazze di colore rosso intenso, che si scuriscono ulteriormente durante il pianto, dovute a dilatazione dei vasi cutanei superficiali (teleangectasie) dette “segni della cicogna” col passare dei mesi scompaiono spontaneamente, senza lasciare alcuna traccia.Gli occhi sono di un indefinibile colore blu-grigio, destinato a mutare nella grande maggioranza dei casi a livello della congiuntiva e delle sclere sono presenti talvolta, specie se il parto è stato difficile, piccole emorragie che si riassorbono rapidamente e non compromettono la funzione visiva. Il neonato non riesce a mettere perfettamente a fuoco le immagini, ma reagisce, strizzando le palpebre, allo stimolo di una luce violenta e segue con gli occhi gli spostamenti di un oggetto grosso e vicino.Sulla mucosa orale, in corrispondenza delle gengive nude, sono talvolta evidenti piccoli rigonfiamenti di colore bianco, perlaceo (perle epiteliali) che scompaiono entro qualche settimana raramente si può notare, nella sede degli incisivi inferiori, un piccolissimo dente destinato ben presto a cadere.Le gambe, lievemenete arcuate (varismo fisiologico), si lasciano divaricare con facilità e non offrono alcuna resistenza se si cerca di ruotarle verso l’esterno. Le mani sono strette a pugno e le dita si serrano fortemente intorno a un piccolo oggetto o a un dito posto sul palmo.Nel rassicurante tepore della culla il piccolo rimane a lungo con gli occhi chiusi e tende a riprendere la posizione tenuta per tanti mesi nella cavità uterina, con le braccia strette al petto, le ginocchia piegate e raccolte vicino all’addome (atteggiamento a rana) nelle 24 ore passa dal sonno profondo, al sonno leggero alla veglia senza precisamente seguire i ritmi del giorno e della notte.Prima infanziaIl periodo della prima infanzia è caratterizzato da tre importanti fattori: l’attività motoria, il linguaggio e la dentizione, che comporta radicali modiche nell’alimentazione.- L’attività motoria nei primi 2-3 mesi è soprattutto di natura riflessa, determinata probabilmente in parte anche da stimoli provenienti dall’interno dell’organismo (per es. dal tubo digerente). Il b. giace sul dorso, con la testa rivolta di lato per la scarsa efficienza dei muscoli del collo il suo atteggiamento è inoltre determinato dal fatto che vi è una prevalenza funzionale dei muscoli flessori: gli arti sono pertanto piegati, i pugni chiusi con il pollice nascosto sotto le altre dita. Durante i primi 2 anni tutta l’attività motoria ha per scopo principale l’acquisizione della stazione eretta e della deambulazione. Verso la fine del 3° mese il b. sa mantenere il capo eretto alla fine del 6° riesce a stare seduto inclinato in avanti al 9°-10° mese sta seduto bene e si muove carponi. Verso la fine del 1° anno finalmente sa alzarsi da solo senza appoggio e riesce a camminare se sorretto verso i 18 mesi riesce a camminare da solo. Al compimento del 2° anno può correre, scendere e salire da solo le scale con il 3° anno è in grado di andare in triciclo e di reggersi su una gamba sola per qualche secondo. Parallelamente a tutti questi progressi si assiste alla comparsa di manifestazioni motorie che denotano la sua capacità di adattarsi all’ambiente e agli stimoli che da esso provengono. Così, durante il 1° mese, riesce a seguire con gli occhi per qualche istante il movimento, e lascia cadere subito un oggetto preso in mano nei mesi successivi solleva qualche volta la testa, sorride, in particolare alla madre, cerca di afferrare gli oggetti che gli sono vicini.
Ai 9 mesi riesce a tenere piccoli oggetti tra il pollice e l’indice. Dal 1° anno in poi è in grado di costruire torri con un numero sempre maggiore di cubi, utilizza discretamente il cucchiaino ripieno di cibo. Verso i 13 mesi maneggia con sicurezza la tazza o il bicchiere verso i 18 mesi effettua i primi lanci (palla o altri oggetti) o esegue movimenti più delicati, come voltare le pagine di un libro. A 20 mesi iniziano i primi tentativi di corsa.- Lo sviluppo del linguaggio, che presuppone l’integrità della funzione uditiva, è notevolmente influenzato dall’ambiente in cui il b. vive e dalla ricchezza di stimoli che da questo gli pervengono così per esempio esso è più rapido e completo nel b. che abbia fratelli più grandi, mentre può essere anche notevolmente ritardato nel b. lungamente ospedalizzato o accolto in brefotrofio, ambienti poveri di stimoli. All’inizio il b. emette suoni privi di significato, il cui timbro è determinato casualmente dalla posizione degli organi fonatori. I primi suoni gutturali vengono emessi già verso la fine del 1° mese tra i 4 e i 6 mesi il b. pronuncia alcune consonanti e i suoni labiali, e mostra di saper distinguere i diversi suoni.A 6-8 mesi combina le consonanti con le vocali, balbettando pa-pa, ma-ma, ta-ta.A 12 mesi capisce che questi suoni gli permettono di raggiungere certi fini (per es. ma-ma gli consente di richiamare l’attenzione della mamma). A 1 anno e mezzo pronuncia le prime combinazioni di due parole, e verso i 18-20 mesi sa collegare tra loro le diverse combinazioni di suoni riuscendo a pronunciare frasi correnti.- La dentizione, tappa importante nella crescita del b., ha inizio già nel 2° mese della vita endouterina, quando, nello spessore degli abbozzi fetali delle ossa mascellari si accumulano piccole masserelle di tessuto epiteliale, dovute alla proliferazione dell’epitelio buccale e dette germi dentari. Sono i primi abbozzi dei futuri denti da latte, chiamati più esattamente decidui perchè sono destinati a cadere, per lasciare il posto a quelli che poi formeranno la dentatura definitiva dell’adulto, cioè ai denti permanenti. I primi denti decidui a spuntare sono gli incisivi centrali inferiori, che di solito compaiono insieme o a brevissima distanza l’uno dall’altro, seguiti poi dai superiori, dagli incisivi laterali, dai primi molari, dai canini, dai canini e dai secondi molari. La comparsa del 1° dentino, che in genere avviene intorno al 7° mese, è un avvenimento abbastanza importante nella vita del b. Tale periodo, fissato come normale, è naturalmente approssimativo: se a 9 mesi il b. è ancora senza denti, la mamma non ha ragione di preoccuparsi poiché un ritardo, anche di 3 mesi, è del tutto normale. Estendendo al massimo i limiti di tempo, possiamo dire che a 1 anno il primo dente da latte deve essere spuntato. Soltanto un ulteriore ritardo può mettere in allarme e in tal caso è necessario ricercarne la causa, che spesso è riconosciuta in un disturbo più generale, legato a un’alimentazione sbagliata, a insufficiente apporto di vitamina D oppure a malattie dovute a disfunzione delle ghiandole endocrine.- Lo svezzamento coincide col momento in cui nella vita del lattante intervengono i primi tangibili cambiamenti di abitudini, non solo alimentari ma anche di comportamento. Per svezzamento si intende il passaggio da una alimentazione esclusivamente a base di latte (materno o furmulato) a una alimentazione “mista” in cui trovano posto i cerali, la carne, la frutta e la verdura.Il periodo più appropriato per l’inizio dello svezzamento si colloca tra il 4° e il 6° mese: Si inizia gradualmente sostituiendo un pasto di latte (di solito quello di mezzogiorno), con una pappa in brodo vegetale a cui si possono aggiungere altri alimenti: crema di riso, carne, olio di oliva e parmigiano grattugiato. Trascorso un mese anche la poppata della sera verrà sostituita da una pappa a base di brodo magro di carne a cui si aggiunge il formaggino. È importante nel 2° semestre di vita fornire al b. almeno mezzo litro di latte al giorno, diviso tra la prima colazione e la merenda, per assicurargli un adeguato e necessario apporto di sali di calcio. Allo scadere del 1° anno di vita il b. è in grado di mangiare di tutto, ed è questo il momento più adatto per cominciare a dargli un’educazione dietetica, che ha lo scopo di abituarlo a mangiare in modo sano.A 2 anni il b., seppure inconsciamente, è capace di autoregolare la propria dieta, cioè di stabilire approssimativamente la quantità di cibo che gli è necessaria per sentirsi sazio e di scegliere quello che più gli piace.Seconda e terza infanziaCon il compimento del 2° anno l’accrescimento ponderale avviene più lentamente verso la fine del 2° anno viene quadruplicato il peso iniziale e successivamente l’aumento è di 1,5 kg ca. l’anno, per crescere poi a mano a mano che si avvicina l’epoca della pubertà, fino a 2-2,5 kg l’anno.La statura aumenta molto più lentamente del peso: solo attorno ai 4 anni viene raddoppiata, attorno ai 13 viene triplicata. Anche per l’accrescimento in altezza il ritmo può subire notevoli variazioni. Nel 2° anno l’aumento complessivo è di 10 cm ca. Negli anni successivi si ha un aumento di 5 cm ca. l’anno in media.Fino ai 10 anni d’età circa i maschi hanno una statura leggermente superiore a quella delle femmine successivamente queste, che vanno incontro prima dei maschi alla maturazione puberale, prendono il sopravvento per venire poi nuovamente raggiunte e superate dai maschi dopo i 14-15 anni. La pubertà infatti coincide con un rapido incremento dell’accrescimento staturale.Peso e statura non procedono quindi strettamente paralleli nel loro aumento anzi, in senso generale si può dire che vi sia alternanza di aumento di peso e aumento di altezza. Dalla fine del 1° alla fine del 4° anno si ha una prevalenza dell’aumento ponderale (turgor primus) dai 5 ai 7 anni una prevalenza dell’aumento di statura (proceritas prima), seguita, dai 9 agli 11 anni, da un nuovo prevalere dell’accrescimento di peso (turgor secondus) e poi ancora da un accrescimento in altezza (proceritas secunda). Si sono costruite tabelle e curve di vario tipo alle quali fare riferimento per valutare il normale procedere dell’accrescimento, o le sue alterazioni. Sono da usare come linee-guida ma non sono, ovviamente, da prendere alla “lettera”.Come già detto, nell’età infantile l’accrescimento è caratterizzato anche da importanti modificazioni morfologiche dei diversi organi e apparati, con maturazione e differenziazione di strutture e funzioni. Sono tali la comparsa dei denti e l’acquisizione della capacità di masticare, l’ossificazione del sistema scheletrico, le diverse modificazioni dell’apparato cardiocircolatorio e della sua attività, i processi involutivi a carico del timo ecc.Le variazioni più importanti e significative riguardano tuttavia lo sviluppo del sistema nervoso centrale, la cui progressiva maturazione comporta l’acquisizione di importanti attività: motilità volontaria e coordinazione di tutte le attività muscolari, sviluppo della fonazione e del linguaggio, sviluppo di attività psichiche che si manifestano con particolari comportamenti individuali e sociali.- Il linguaggio. A 3 anni e mezzo il b. possiede praticamente tutte le strutture sintattiche fondamentali della lingua conosce quasi un migliaio di parole e il proprio nome e cognome fa molte domande (inizia il periodo dei “perché”, che finisce verso i 6 anni). Da questo momento il vocabolario si espande con un ritmo di 300 parole ca. al semestre, e a sei anni si può dire che il suo linguaggio abbia quasi raggiunto la completezza.In tutto il lavorio di apprendimento e di elaborazione successivi del linguaggio interagiscono principi di analisi, apportati dalla struttura mentale del soggetto, e dati linguistici provenienti dall’ambiente.Lo sviluppo armonico dell’attività motoria e del linguaggio, delle funzioni psichiche e dei comportamenti che si collegano al passaggio da una condizione di assoluta dipendenza a una vita in gran parte autonoma, può essere variamente condizionato, talvolta modificato da fattori genetici, malattie neurologiche o muscolari ereditarie o acquisite, stress psichici, o altre cause esse possono determinare ritardi o anomalie di vario tipo, che possono interessare singolarmente o globalmente le diverse funzioni inducendo anche modificazioni del comportamento.Il pensieroLo sviluppo coordinato e armonico degli elementi indicati è condizione essenziale per lo sviluppo dell’intelligenza e la formazione del pensiero. Si può considerare schematicamente che questo avvenga durante 4 stadi.Il 1° stadio dura fino ai 2 anni di età e prepara la base per lo sviluppo del pensiero mediante l’acquisizione di invarianti percettive. Il b. cioè impara a percepire come invarianti certi aspetti dell’ambiente, anche se gli appaiono sotto diverse forme. Impara i significati delle cose che percepisce in base alle qualità sensoriali dirette, e al modo in cui gli oggetti reagiscono a colpi, torsioni ecc. che egli imprime loro.Il 2° stadio dura fino ai 7 anni di età e sviluppa il pensiero intuitivo preoperatorio il b. arriva ai concetti elementari di spazio, tempo, causalità, ma sempre a uno stadio preoperatorio, in cui attua giudizi intuitivi sulle relazioni. Non è ancora arrivato alla nozione di conservazione o invarianza del numero e della quantità presta attenzione a una proprietà per volta, senza tener conto del fatto che due o più proprietà possono influenzarsi reciprocamente. Il 3° stadio, detto del pensiero operatorio concreto, dura fino agli 11 anni di età e si presenta dopo molte esperienze relative allo stadio precedente. Presenta la caratteristica di reversibilità: il soggetto è in grado di risalire mentalmente al punto di partenza di un’operazione fisica, e rendersi conto delle trasformazioni esteriori avvenute. Classifica gli oggetti in gruppi, opera sostituzioni, ma sempre legato a oggetti visibili e tangibili. Non riesce a immaginare rapporti potenziali e neppure a operare su rapporti possibili tra oggetti non immediatamente percepibili. Il 4° stadio prosegue oltre gli 11 anni e presenta proprio questa capacità. Essa si sviluppa con il pensiero operatorio astratto, per il quale il soggetto è capace di pensare in base a proposizioni puramente logiche. Lo sviluppo psichico del b. può essere valutato sottoponendolo a test mentali di difficoltà diversa a seconda dell’età. Con tali test viene definita l’età mentale del soggetto attraverso uno studio e una valutazione complessiva della sua intelligenza, paragonata con quella di soggetti normali di età diversa.
Questo confronto si può esprimere anche mediante il cosiddetto quoziente intellettivo, che si ottiene facendo il rapporto tra età mentale ed età reale (dividendo l’età mentale per l’età reale e moltiplicando per 100). Nel b. normale tale rapporto è uguale a 100, nel b. precoce è superiore, mentre è minore nel b. con un ritardo nello sviluppo psichico.

BANCA

Termine consuetamente utilizzato in medicina per indicare un centro specializzato in cui si esegue il prelievo e si procede alla conservazione di organi e materiale biologico per un periodo di tempo prolungato. Le banche del sangue, dei tessuti, degli organi, delle ossa ecc. sono collegate ai centri specializzati in trasfusioni e trapianti.

BANCA DEGLI ORGANI

Complesso di strutture preposte alla conservazione di organi o di tessuti in previsione della loro utilizzazione per un trapianto. La conservazione degli organi prelevati ad un donatore ed in attesa del loro impiego rappresenta il punto critico dei trapianti d’organo. I tessuti biologici infatti, posti in condizioni diverse da quelle naturali, vanno incontro ad una rapida degenerazione. Di qui la necessità di mettere a punto metodi di conservazione dei tessuti espiantati che ripropongano le condizioni di origine, o che quanto meno ritardino i processi degenerativi. I tentativi fatti in tal senso ricorrendo a diversi artifizi (applicazione di basse temperature o di elevate pressioni di ossigeno, perfusione con soluzioni speciali) non consentono di protrarre la conservazione oltre le 48 ore, pertanto la realizzazione delle banche degli organi è ancora in fase sperimentale.

BANCA DEL SANGUE

Complesso in cui vengono analizzati e successivamente conservati gli emoderivati raccolti dalla donazione spontanea di donatori abituali o occasionali.

BANCA DEL SEME

Complesso in cui viene raccolto, analizzato e conservato il liquido seminale di donatori o di pazienti infertili o che devono essere sottoposti a terapie che potrebbero renderli tali per poter utilizzare in un secondo momento gli spermatozoi raccolti (vedi scheda BANCA DEI TESSUTI).

BANTI, malattia di

Detta anche splenomegalia congestizia cronica (prende il nome da Guido Banti, patologo italiano - Montebicchieri, Pisa 1852 - Firenze 1925) malattia caratterizzata inizialmente dall’aumento di volume della milza associata a modica anemia e leucopenia, in seguito da aumento di volume del fegato.

Sintomi
Può presentarsi con disturbi digestivi, segni di ipertensione del circolo portale e infine dall’instaurarsi, anche a distanza di molti anni, della cirrosi epatica con gravi e catastrofiche sindromi emorragiche da varici esofagee o gastriche

Diagnosi
Bisogna verificare l’eventuale presenza di una patologia epatica o di un fatto trombotico a carico della vena splenica.

Terapia
La terapia, a parte le cure dello stato anemico, si basa prevalentemente sull’asportazione della milza.

BARANY, prova di

(Prende nome da Robert Barany, medico austriaco - Vienna 1876 - Uppsala 1936), esame clinico con cui si studia il sistema vestibolare.Consiste nello stimolare il sistema vestibolare dell’orecchio interno da cui dipende la regolazione dell’equilibrio e dell’orientamento nello spazio, grazie ai canali semicircolari, i quali svolgono un ruolo fondamentale.L’esame si esegue ponendo il paziente, a occhi bendati, su una seggiola rotante che viene progressivamente accelerata, per un tempo opportuno. La risposta dell’apparato vestibolare si esprime attraverso una serie di scosse ritmiche degli occhi (nistagmo oculare), la cui valutazione può dare indicazioni sullo stato funzionale e su eventuali alterazioni dell’orecchio interno e determinare l’origine di certe sordità e quella delle vertigini.L’esame vestibolare può essere effettuato anche con un’altra metodica, versando nell’orecchio un liquido caldo o freddo e stimolando o inibendo artificialmente quest’apparato. Questo può provocare vertigini e un nistagmo, un movimento pendolare dello sguardo, alternativamente lento e rapido. È possibile anche ottenere una registrazione grafica del nistagmo attraverso una derivazione dei potenziali corneoretinici con un esame che si chiama elettronistagmografìa. Di recente sono stati realizzati particolari software in grado di acquisire ed analizzare mediante un computer la registrazione videonistagmoscopica (videonistagmografia) che, probabilmente, è destinata a soppiantare con il tempo l’elettronistagmografia per la sua maggior affidabilità e praticità.

BARBITURICI

Composti chimici derivati dall’acido barbiturico o malonilurea, che si caratterizzano soprattutto per la loro azione ipnotica e sedativa, in quanto essi deprimono l’attività del sistema nervoso centrale. La durata della loro azione è diversa, in rapporto alla diversa velocità con cui vengono rimossi per essere metabolizzati dal fegato e quindi eliminati dai reni. In questo senso si distinguono in barbiturici:- ad azione prolungata (più di 8 ore) quali il barbitale e il fenobarbitale - ad azione intermedia quali l’amobarbitale - ad azione breve (meno di 8 ore) quali il ciclobarbitale e il pentobarbitale - ad azione brevissima (meno di 2 ore) quali l’esobarbitale e il tiopentale.A seconda del loro effetto farmacologico si dividono in b. ipnotico-sedativi e b. anestetici. Gli altri principali effetti dei b., oltre a quello ipnotico ed anestetico, sono l’effetto anticonvulsivante, che ne giustifica l’impiego nella terapia dell’epilessia, del tetano, dell’eclampsia, o per contrastare l’azione dei farmaci convulsivanti l’effetto analgesico, considerato un effetto minore, sfruttato per combattere il dolore dopo interventi operatori l’effetto sedativo sul sistema nervoso vegetativo, che provoca ipotermia e depressione dell’attività respiratoria: quest’ultimo effetto è la causa della morte nei casi di avvelenamento.L’azione dei b. è parzialmente ostacolata da sostanze cosiddette “stimolanti del sistema nervoso centrale” quali caffeina e stricnina, soprattutto se somministrate nello stesso tempo, mentre l’azione dei b. viene potenziata dall’alcol, dalla reserpina, da farmaci tranquillizzanti fenotiazinici e da altri ipnotico-sedativi non b. Se somministrati in dosi eccessive, o se assunti in grande quantità a scopo suicida provocano una forma di avvelenamento che si manifesta essenzialmente con perdita della coscienza e coma, cui può seguire la morte. Oggi l’uso clinico dei b. è drasticamente ridotto rispetto al passato, anche perché in gran parte sostituiti dalle benzodiazepine. Alcuni usi residui sono relativi a particolari applicazioni in anestesia, nella cura dell’epilessia o ad altre situazioni specifiche e limitate.Intossicazione AcutaLe manifestazioni più caratteristiche sono: alito agliaceo, polipnea con respiro superficiale e talvolta cianosi, ipertermia centrale precoce per un’alterazione dei centri termoregolatori, tachicardia e tendenza all’ipotensione, progressiva scomparsa dei riflessi tendinei, di quello pupillare, corneale, plantare, talora quello di Babinski. Relativamente frequente è l’insorgenza durante il decorso della malattia di complicanze broncopolmonari (polmonite ipostatica, broncopolmonite, edema polmonare), di decubiti nei punti di appoggio, di paresi intestinali. Le morti precoci sono normalmente da ascriversi ad uno stato di shock con arresto respiratorio.Il trattamento dell’intossicazione da b. si rivolge in due direzioni: allontanamento del veleno e terapia sintomatica. La prima è realizzata mediante l’attuazione di lavanda gastrica (se il malato è cosciente), diuresi forzata e, nel caso di coma prolungato, emodialisi quella sintomatica mediante la messa in opera di tutti i mezzi di rianimazione necessari.Intossicazione CronicaUn altro aspetto della tossicologia da b. è quello connesso alle intossicazioni croniche, sia da prolungato uso terapeutico, sia da abuso, che sfocia in gravi tossicomanie (le cosiddette tossicomanie minori) seguite spesso da sindromi da astinenza. In entrambi i casi le manifestazioni dell’impiego cronico sono indebolimento dell’attività mentale e delle facoltà critiche, confusione, depressione, melanconia, regressione psichica, per cui il soggetto continua ad assumere il farmaco anche fino alla morte.La sindrome da astinenzaCome d’altra parte avviene per gli stupefacenti, è caratterizzata da agitazione, tensione, tachicardia, febbre sintomi che compaiono particolarmente nelle ore notturne e si susseguono a intervalli durante i quali il tossicomane rimane in uno stato stuporoso. Si possono inoltre verificare in questo stadio episodi convulsivi, che possono erroneamente essere diagnosticati come manifestazioni di epilessia: in questa evenienza esiste il pericolo che il medico somministri ancora b. portando ovviamente ad un progressivo aggravamento della situazione.

BARESTESIA

Tipo di sensibilità dei tessuti profondi alla pressione esercitata su vari segmenti del corpo. Alterazioni della b. si hanno nelle tabe, nelle polineuriti pseudotabetiche e nelle affezioni cerebellari.

BARIO

Sostanza usata in radiologia in quanto opaca ai raggi X. Si usa sotto forma di solfato di b. purissimo con il quale si preparano sospensioni in acqua. Insolubile nell’acqua e nei liquidi organici, non è assorbito dalle pareti del tubo digerente per questo motivo è il mezzo di contrasto per eccellenza nell’esame radiologico dell’apparato digerente.

BARIO, avvelenamento da

I sali assorbibili di b. (carbonato, idrato e cloruro) sono altamente tossici. La dose letale di b. assorbito è 1 g. Le intossicazioni hanno di solito carattere accidentale (il carbonato di b. è un componente di prodotti antiparassitari).Le principali manifestazioni cliniche della intossicazione acuta sono tremori e convulsioni. La morte può sopraggiungere in seguito a depressione cardiaca e respiratoria.La terapia consiste nella rapida somministrazione orale di un solfato solubile in acqua che agisca facendo precipitare il b. come solfato insolubile.

BARIOLITO

Termine usato in gastroenterologia per indicare residui di solfato di bario rimasti nel tubo digerente dopo la ingestione di tale sostanza per esami radiografici. I barioliti possono causare disturbi di varia gravità in relazione al loro volume e alla loro posizione. Si eliminano con la somministrazione di purganti oleosi o con clisteri.

BARLOW, morbo di

(Prende il nome da Thomas Barlow, pediatra britannico - Edgeworthstown, Lancashire 1845 - Londra 1945), o morbo di Moeller-B. o scorbuto infantile, malattia causata da carenza di vitamina C (acido ascorbico) che si presenta soprattutto nei lattanti alimentati artificialmente con latte sterilizzato. L’acido ascorbico è formato da una catena di 6 atomi di carbonio e presenta quindi analogie strutturali con i glucidi, più precisamente con gli esosi. La vitamina C è necessaria alla biosintesi del collageno, la proteina strutturale del tessuto connettivo. Questa sua azione spiega, almeno in parte, i sintomi dello scorbuto: le modificazioni patologiche dei denti e delle gengive (infiammazioni ed emorragia), la fragilità dei vasi e dei capillari, la difficoltà di guarigione delle ferite e la formazione di ulcere, pallore, tumefazioni dolorose in corrispondenza delle epifisi delle ossa lunghe e delle articolazioni costo-cartilaginee, dovute a ematomi sottoperiostei in particolare le coste presentano nodulazioni in parte simili a quelle che si hanno nel rachitismo (rosario scorbutico).A differenza di quanto avviene per la maggior parte delle vitamine idrosolubili, l’organismo è in grado di accumulare, naturalmente entro certi limiti, riserve di vitamina C, perciò la comparsa dei sintomi dello scorbuto in soggetti che si sottopongono volontariamente a una dieta carente accade dopo più di quattro mesi.La vitamina C è contenuta nella frutta e nella verdura fresche. La cottura e i trattamenti industriali provocano una perdita sensibile di acido ascorbico.Il livello di assunzione raccomandato è di 45 mg/die. È stato anche suggerito di somministrare molti grammi di vitamina C il giorno per mantenere un buono stato di salute e per aumentare le difese contro le infezioni, in particolare per combattere il comune raffreddore.Oggi questi suggerimenti sono messi seriamente in dubbio. Alcuni autori sostengono inoltre che l’assunzione prolungata di vitamina C possa essere controindicata in particolare nei soggetti con tendenza all’osteoporosi.Quindi la consuetudine di assumere nella dieta supplementi vitaminici in modo arbitrario dovrebbe essere bandita.

Terapia
La terapia consiste nella somministrazione di vitamina C, ma è soprattutto importante con tale mezzo prevenire la manifestazione della malattia nei bambini allattati artificialmente.

BAROCETTORE

Stutture recettoriali specializzate nella rilevazione della pressione all’interno dell’albero vascolare del nostro corpo. Tali strutture risentono dello stiramento subito dalla parete vascolare e trasmettono impulsi per modificare la pressione (se la pressione sale l’aumento degli impulsi in uscita dai barocettori stimola il nervo Vago, il centro cardioacceleratore e il centro vasocostrittore con conseguente riduzione della pressione arteriosa. Al contrario se la pressione si abbassa tali strutture sono in grado di farla risalire).I b. più importanti sono quelli situati nel seno carotideo e nell’arco aortico.I b. del seno carotideo sono le cause degli svenimenti improvvisi degli uomini che si stanno rasando la barba o si stringono troppo la cravatta (questo perché tali manovre determinano una stimolazione inappropriata di tali recettori che interpretano la compressione come un eccessivo aumento della pressione circolatoria).

BAROPATIA

Sindrome clinica determinata dalla sensibilità dell’organismo alle variazioni di pressione atmosferica. Le escursioni pressorie dovute al variare delle condizioni meteorologiche non si accompagnano a quadri clinici apprezzabili. Diversa rilevanza hanno invece sull’organismo le variazioni di pressione che si creano in condizioni particolari in tali casi possono essere superate le possibilità di adattamento cui l’organismo ricorre attuando meccanismi di compenso.

Cause
Una forte diminuzione del livello di pressione atmosferica si osserva alle grandi altitudini raggiungibili in montagna o con mezzi volanti. Le sindromi cliniche correlate prendono il nome di mal di montagna o di malattia degli aviatori e sono legate sostanzialmente alla diminuzione della pressione parziale dell’ossigeno atmosferico. Tale diminuzione infatti comporta una minore capacità dello stesso ossigeno di legarsi all’emoglobina del sangue, cui consegue una generale depressione del metabolismo organico.

Sintomi
I sintomi più lievi comprendono malessere, perdita di forze, mal di testa, capogiro sintomi più accentuati sono la nausea, il vomito, la caduta della pressione arteriosa, la perdita di conoscenza. Naturalmente nella determinazione di tale sindrome hanno parte anche altri fattori, quali le condizioni dell’organismo, l’entità dello sforzo muscolare, l’allenamento fisico, l’abitudine alle basse pressioni ecc. L’organismo reagisce a tali condizioni sfavorevoli aumentando la frequenza del battito cardiaco e la frequenza e la profondità degli atti respiratori, mettendo in circolo le riserve di sangue mantenute in vari distretti (muscoli, milza, fegato) e, se l’esposizione alle basse pressioni è protratta, incrementando la produzione dei globuli rossi. I disturbi descritti si riducono e scompaiono con il ritorno a quote inferiori, con l’uso di analettici e ricorrendo alla inalazione di ossigeno.Le baropatie legate all’aumento della pressione atmosferica non dipendono tanto dall’aumento in sé dei livelli pressori, che sono tollerati assai bene dall’organismo, quanto dal ritorno a regimi pressori normali. Infatti l’incremento pressorio si accompagna ad un aumento, anche molto rilevante, del volume dei gas disciolti nel sangue. Il ritorno lento e controllato alle condizioni basali consente la graduale eliminazione della quota di gas in eccesso. Al contrario, la decompressione rapida provoca una tumultuosa liberazione dei gas disciolti cui consegue la formazione di embolie. Si riconoscono due principali quadri patologici, che possono portare anche alla morte si osservano in pescatori subacquei, palombari, tecnici che lavorano nelle profondità marine, e sono conosciute con il nome di malattia dei cassoni o malattia dei palombari (aeroembolismo discarico) e sovradistensione polmonare (o embolia traumatica). Nel primo caso i tessuti più a rischio sono quelli più ricchi di grassi e scarsamente vascolarizzati. La sindrome più nota dovuta all’inalazione di aria a pressione elevata viene detta baronarcosi essa è dovuta alla notevole solubilità dell’azoto nel tessuto nervoso e consiste in un disturbo della coscienza caratterizzato da euforia, senso di ebbrezza, perdita del controllo delle proprie azioni. La sovradistensione polmonare può colpire soggetti che respirano una miscela sottopressione e che, in risalita, trattengono il respiro senza compensare: aumenta a dismisura il gas contenuto nell’albero respiratorio, con possibili lesioni a livello polmonare (pneumotorace, embolia etc.).

Terapia
La terapia, in entrambi i casi, consiste, dopo rianimazione se necessaria, nell’immediata ricompressone del paziente in particolari strutture (camere iperbariche): si eliminano le bolle gassose e si eliminano i sintomi, decomprimendo poi gradualmente.

BAROTRAUMA

Danno fisico a tessuti corporei, secondario ad una differenza di pressione tra uno spazio aereo interno o prossimo al corpo e il gas o il liquido circostante. Un barotrauma colpisce tipicamente spazi aerei intracorporei nel momento in cui il corpo proviene o si dirige verso ambienti a pressione più elevata, come nel caso di immersioni subacquee o atterraggi o decolli aerei. L’interrelazione tra il volume di uno spazio aereo e la pressione ambientale è definita dalla legge di Boyle, che correla volume, pressione e temperatura di un gas ideale. La legge di Boyle consente di comprendere perché è importante compensare (aumentare il volume di aria nelle trombe di Eustachio per bilanciare la compressione in volume dell’aria) in corso di un’immersione ed esalare aria dai polmoni (per evitare una eccessiva distensione) in fase di risalita.Il barotrauma riguarda i tessuti circostanti spazi aerei intracorporei perché i gas sono assai più comprimibili dei tessuti. In caso di aumenti repentini della pressione ambientale l’aria interna offre scarso supporto ai tessuti circostanti, mentre in caso di marcata riduzione della pressione ambientale il relativo amento pressorio dei gas interni può danneggiare i tessuti circostanti se i gas rimangono intrappolati.Gli organi più soggetti a barotrauma in occasione di immersione subacquee sono l’orecchio medio, i seni paranasali, i polmoni (il rischio è particolarmente elevato in caso di immersioni con bombole, visto che la pressione di erogazione del respiratore è di circa il doppio della pressione atmosferica), gli occhi (in questo caso lo spazio aereo è rappresentato dall’aria intrappolata dentro la maschera) e la cute (se il sub indossa una muta capace di intrappolare una quantità significativa di gas).
Un barotrauma è causato da un’inefficace manovra di compensazione della pressione. Durante una discesa subacquea, la pressione crescente sulla membrana timpanica, non compensata, ne causa un’introflessione (che dal punto di vista clinico può generare senso di ottundimento e otalgia vera e propria) e persino la rottura. È necessario attuare specifiche manovre che aumentino la pressione a livello rinofaringeo: deglutizione, masticazione e manovra di Valsava. Quest’ultima si esegue stringendo con le dita le narici, spingendo a bocca chiusa l’aria verso il naso e contraendo l’addome. In tal modo l’aria, attraverso i condotti tubarici, riesce a equilibrare i valori pressori dell’orecchio medio con quelli esterni.

BARRETT, esofago di

Quadro clinico descritto nei soggetti colpiti da esofagite cronica da reflusso e diagnosticabile con l’esame endoscopico. Questo rivela, all’estremo distale dell’esofago, la presenza di chiazze rosse riferibili alla trasformazione (metaplasia) dell’epitelio pavimentoso dell’esofago in un epitelio cilindrico simile a quello gastrico.

Sintomi
Sintomi clinici dell’esofago di B. sono quelli del reflusso gastroesofageo, ma l’esperienza recente dimostra che nel 10% ca. dei casi la lesione metaplastica può evolvere in adenocarcinoma.

Diagnosi
Viene effettuata endoscopicamente. È necessario effettuare controlli bioptici ripetuti per valutare il grado di displasia o le alterazioni precoci dell’adenocarcinoma.

Terapia
Si basa sugli antiacidi (H2-antagonisti e inibitori di pompa protonica). In caso di persistenza della displasia grave e addirittura di presenza di cellule tumorali l’unica terapia è quella chirurgica, che prevede l’esofagectomia.

BARRIERA EMATOENCEFALICA

(O barriera emato-liquorale) “membrana” che si comporta non come un semplice filtro ma esercita una selezione attiva, tra circolazione sanguigna e liquido cefalorachidiano, consentendo il passaggio di alcune sostanze, ma non di altre (come accadrebbe se ciò ubbidisse soltanto a un processo chimico-fisico di filtrazione). La barriera emato-encefalica è importante anche sul piano terapeutico la sua attività selettiva assicura inoltre la “costanza” della composizione del liquor e, con essa, la stabilità dell’ambiente chimico in cui si trova il sistema nervoso centrale. Il liquor ha una funzione meccanica di sostegno e di protezione: esso, infatti, avvolgendo in ogni punto della loro superficie l’encefalo e il midollo spinale li sostiene e impedisce che vengano a contatto con le pareti ossee della cavità che li contengono in caso di urti o bruschi movimenti. Contribuisce, inoltre, per la sua mobilità, a mantenere costante il rapporto pressione-volume nella scatola cranica e nel cavo rachideo (canale vertebrale). Al liquor viene anche attribuita una funzione metabolica, a significato nutritivo (quale veicolo di sostanze, anaboliti, provenienti dal sangue arterioso e destinate al tessuto nervoso) ed escretivo (quale veicolo di prodotti del catabolismo delle cellule nervose destinati a essere eliminati).

BARTOLINI, ghiandole di

(Prende il nome da Caspar Bartholin, anatomico danese - Copenaghen 1655-1738), ghiandole disposte ai lati del canale vaginale annesse al vestibolo, dotate di un condotto escretore che sbocca internamente alle piccole labbra, in prossimità della vagina. Piccole nella bambina, esse si accrescono all’epoca della pubertà e producono un secreto vischioso, particolarmente durante il rapporto sessuale. Sono analoghe delle ghiandole bulbo-uretrali di Cowper nel maschio. Hanno la forma di una piccola mandorla (diametro max 10-15 mm). Dal punto di vista istologico sono ghiandole tubulo-alvelari.

BARTOLINITE

Infiammazione della ghiandola di Bartolini, dovuta a infezione della stessa da parte dei comuni germi piogeni o del gonococco (agente della blenorragia). Può interessare una sola o entrambe le ghiandole, e si manifesta con una tumefazione del terzo inferiore del grande labbro, associata a dolore vivo, arrossamento e tensione della cute sovrastante: tale tumefazione può accrescere fino a raggiungere le dimensioni di una noce e provoca forte dolore nella deambulazione, nella stazione seduta e durante i rapporti sessuali.Il processo evolve verso la suppurazione e richiede terapia antibiotica e intervento chirurgico di incisione e drenaggio. Come conseguenza dell’infiammazione si può avere l’occlusione del dotto escretore: l’accumulo del secreto trasforma la ghiandola in una cisti che va asportata chirurgicamente. Soprattutto in fase post-acuta è possibile praticare la cosiddetta marsupializzazione, cioè incidere ed estroflettere mediante punti di sutura i due margini esterni della ghiandola, al fine di evitare nuovamente la chiusura della struttura ghiandolare con rischio aumentato di recidive cliniche.

BARTONELLOSI

(Dal nome del genere Bartonella), malattia infettiva provocata da un microrganismo, la Bartonella bacilliformis, che ha forma di un corto bacillo mobile Gram-positivo e che si moltiplica nei globuli rossi e nelle cellule endoteliali. Tale malattia si osserva solo nell’America meridionale in alcune valli delle Ande ed è trasmessa dalla puntura di un insetto, il Phlebotomus verrucanum.

Sintomi
Si manifesta, dopo un periodo di incubazione di 2-16 settimane dalla puntura dell’insetto infettato, con la comparsa improvvisa di febbre alta (febbre di Oroya, dal nome di una città delle Ande peruviane), che persiste molto a lungo insieme a debolezza estrema, grave anemia e intensi dolori muscolari e articolari, potendo portare anche a morte. Nei soggetti che sopravvivono, dopo un periodo di tempo variabile si sviluppano lesioni nodulari alla cute della faccia e degli arti, determinate da un processo infiammatorio cronico granulomatoso (verruca peruviana). Tali lesioni persistono a lungo con tendenza a sanguinare o ad infettarsi, per poi regredire lentamente.

Diagnosi
Per la diagnosi è importante il riconoscimento dei germi negli strisci di sangue durante la fase acuta, o negli endoteli vascolari dei noduli cutanei nello stadio della verruca.

Terapia
La terapia si basa sulla somministrazione di antibiotici, il farmaco più usato è il Cloramfenicolo.

BASALIOMA

(O epitelioma basocellulare). È un tumore maligno che, in pratica, non dà luogo a disseminazione metastatica. La sua malignità è pertanto locale, in quanto, lasciato a sé, tende a estendersi in superficie e in profondità, compromettendo organi e strutture con le quali si trova in rapporto di contiguità e determinando danni sempre più gravi che possono concludersi con la morte del paziente per erosione di un vaso ed emorragia infrenabile. L’andamento clinico di questo tumore è lentissimo. Il tumore compare prevalentemente sulle zone fotoesposte (fronte, alle tempie, al naso, alle palpebre), però non esiste rapporto fra regione del viso maggiormente esposta alle radiazioni e comparsa dell’epitelioma basocellulare. Frequentemente infatti si riscontra l’epitelioma basocellulare sulle regioni palpebrali, sull’angolo interno dell’occhio o in regione retroauricolare o temporale. È più frequente nell’uomo, rispetto alla donna e nelle persone di pelle chiara, cosparsa di efelidi, mentre è raro nelle razze colorate.

Quadro clinico
Si presenta sotto aspetti diversissimi: più comunemente inizia come una piccola area traslucida, rotondeggiante od ovalare, che si estende molto lentamente in superficie, raggiungendo talvolta dimensioni enormi, impiegandovi decine di anni. In altri casi vi sono forme caratterizzate da una maggiore o minore tendenza all’ulcerazione, lesione denominata ulcuns rodens, questa di solito ha una forma allungata e presenta bordi costituiti da una serie ravvicinata di piccoli noduletti perlacei, traslucidi, i quali formano un orletto rilevato molto caratteristico mentre il fondo è leggermente sanguinante. Altre forme sono caratterizzate dalla tendenza ad accrescersi in profondità altre assumono un aspetto cicatriziale e altre ancora, per il prevalere del pigmento nel loro contesto, si presentano di colore scuro e vengono perciò denominate epiteliomi basocellulari pigmentati. La presenza di numerosi melanociti nel contesto del tumore medesimo conferisce a quest’ultimo un colore nero, mentre istologicamente saranno osservabili anche ammassi di pigmento che si trova libero nello stroma che circonda il tessuto tumorale vero e proprio.Dal punto di vista istologico le cellule che compongono il tumore sono tutte uguali e ricordano, per la loro forma e per i caratteri tintoriali, quelle che costituiscono lo strato basale dell’epidermide. Il nome di epitelioma basocellulare si giustifica dunque per la somiglianza che le cellule tumorali hanno nei confronti delle cellule dello strato basale o germinativo dell’epidermide. Questa somiglianza è ancora più evidente nelle cellule che sono disposte alla periferia dei blocchi tumorali, in quanto esse dimostrano una disposizione “a palizzata” e una forma cilindrica talvolta molto evidente. La proliferazione tumorale, in sezione longitudinale, può assumere aspetti ramificati molto caratteristici “a corna di cervo” o risultare costituita da grossi blocchi cellulari omogenei che si spingono profondamente nel derma nel contesto delle masse tumorali talvolta si formano cavità pseudocistiche. In altri casi, la disposizione delle cellule tumorali può ricordare la struttura delle ghiandole sudoripare e, in tal caso, si parla di basalioma adenoide.Le teorie sull’istogenesi dell’epitelioma basocellulare sono numerose: la variabilità del quadro istologico lascia ammettere la sua derivazione da più d’una delle strutture epiteliali che compongono la cute. Si suppone quindi che l’epitelioma basocellulare possa avere anche un’origine multicentrica. Si deve tenere presente che le strutture istologiche con aspetto cistico o adenoide possono assumere aspetti simili agli annessi della cute, senza peraltro avere una vera e propria derivazione diretta dagli annessi cutanei.

Diagnosi
La diagnosi differenziale dell’epitelioma basocellulare si pone soprattutto nei confronti del carcinoma spinocellulare, anche se esistono numerose altre affezioni dermatologiche da tener presenti (nevi, verruche, cheratosi senili, sifilodermi nodulari, lupus volgare ecc.) L’esame istologico perciò si raccomanda in tutti i casi e ha valore dirimente su ogni altra considerazione clinica.

Terapia
Nonostante l’epitelioma basocellulare, sia un tumore maligno che non dà metastasi, questo tende inevitabilmente, se non trattato, ad estendersi in superficie e in profondità fino ad aggredire, dopo un decorso che può durare molti anni, strutture vitali con compromissione della vita stessa del paziente.
Lesioni piccole, ben circoscritte, di cui è possibile apprezzare la superficialità, possono essere distrutte mediante curettage più diatermocoagulazione. In altri casi sarà preferibile provvedere all’asportazione chirurgica di tutta la lesione, comprendendo una stretta striscia di cute sana periferica, cosa che consentirà di ottenere una precisa definizione istologica della sua estensione in superficie e in profondità. In alcuni casi è opportuno applicare la plesioroentgenterapia, una particolare modalità di terapia radiante. La tecnica di rimozione delle neoplasie secondo Mohs può essere vantaggiosamente impiegata in quei casi nei quali l’estensione della neoplasia, la sede o l’età del paziente rendono problematico il trattamento della neoplasia con altre metodiche.

BASE

Termine usato in chimica con cui si definisce una sostanza che dissociandosi assume idrogenioni dalla soluzione.

BASE CRANICA

Una delle due parti in cui è divisa la scatola cranica. Risulta costituita da numerose ossa che dall’avanti all’indietro sono: il frontale, l’etmoide, lo sfenoide, il temporale e l’occipitale.

BASEDOW, morbo di

(Prende il nome da Karl von Basedow, medico tedesco - Dessau 1799 - Marsenburg 1854, o morbo di Graves o morbo di Flaiani-Basedow), malattia dovuta ad eccessiva produzione di ormone tiroideo per aumento della funzionalità della tiroide.Più frequente nelle giovani donne è spesso accompagnato da oftalmopatia (in genere bilaterale, ma può essere più pronunciato da un lato rispetto all’altro) e da gozzo. Tra gli altri segni caratteristici rispetto alle altre forme di ipertiroidismo ricordiamo, oltre all’oftalmopatia (esoftalmo e infiammazione orbitaria) anche il mixedema pretibiale. È definito anche gozzo tossico diffuso. Si riscontrano spesso alti titoli di TsAb, cioè autoanticorpi antirecettore per la tireotropina, che causano ipertiroidismo simulando l’azione del TSH sul tessuto tiroideo. Spesso la produzione di questi anticorpi è innescata da un danno della tiroide capace di stimolare i linfociti B a produrre TsAb. Nelle cellule di questi pazienti vi possono essere antigeni di istocompatibilità di classe seconda (HLA-Dr) che potrebbero avviare un’anomala funzione linfocitaria. Appartiene ai disordini ipertiroidei associati ad alta captazione di iodio.

Terapia
La terapia si può attuare a tre livelli:- terapia medica: si basa sull’uso di farmaci in grado di bloccare la produzione ormonale da parte della tiroide. Tra questi i farmaci tireostatici sono quelli di più largo impiego (propiltiouracile, metimazolo, carbimazolo in Europa). Essi agiscono bloccando la sintesi degli ormoni tiroidei. Il trattamento, in genere ben tollerato, va di norma proseguito per 12-14 mesi, sebbene alcuni suggeriscano un’azione immunomodulante in grado di portare a remissione completa. Nell’ipertiroidismo possono essere usati anche farmaci beta-bloccanti (propranololo) che agiscono a livello periferico con un rapido effetto sintomatico su alcune manifestazioni (tremori, tachicardia, sudorazioni ecc.). In alcuni casi la terapia con propanololo porta ad una riduzione dei livelli sierici della T3, poiché inibisce la conversione tra T4 e T3 in ogni caso per mantenere la sua efficacia va assunto ogni 6 ore. Altri farmaci come l’atenololo possono essere somministrati ad intervalli più lunghi.- terapia radiante: ben tollerata, dà buoni risultati in numerosi casi. Purtroppo può imprevedibilmente condurre, anche a distanza di anni, a ipotiroidismo. Benché questo accada con una frequenza inferiore al 5%, si limita il suo uso al caso di insuccesso o inattuabilità delle terapie precedenti. Negli USA il radioiodio è utilizzato come terapia definitiva per l’ipertiroidismo e viene preferito da gran parte degli specialisti del settore. Viene somministrato sotto forma di soluzione orale o capsule e distrugge il tessuto tiroideo in 6-24 settimane. In alcuni casi (<1%) è possibile riscontrare una tiroidite dolorosa da radiazioni. È per taluni opportuno far precedere il trattamento da un ciclo di terapia con tionamidi, al fine di raggiungere più velocemente l’eutiroidismo (3-8 settimane al massimo) e al fine di evitare un transitorio incremento dell’ipertiroidismo dovuto all’infiammazione della ghiandola in occasione dell’inizio della terapia con radioiodio (particolarmente pericoloso in pazienti anziani e cardiopatici).- terapia chirurgica: la semplicità e il basso costo dei farmaci antitiroidei e della terapia con I131 hanno limitato l’impiego della tiroidectomia subtotale solo al caso di massa tiroidea voluminosa determinante compressione e/o deviazione tracheale oppure in caso di presenza di nodulo freddo, nelle pazienti gravide allergiche alle tionamidi. Il trattamento preoperatorio consiste nella somministrazione di farmaci antitiroidei per 1-2 mesi e di ioduri per 7-10 giorni. Se necessario si può usare l’atenololo durante l’intervento chirurgico. Complicanze del trattamento chirurgico sono l’ipoparatiroidismo e le lesioni del nervo laringeo ricorrente.

BASICO

Termine utilizzato in chimica per indicare il pH superiore a 7.0. In medicina il pH è considerato basico se superiore a 7.4.

BASOFILO

Cellula del sangue appartenente ai leucociti (globuli bianchi), caratterizzata da un nucleo di forma irregolare con granulazioni colorabili da coloranti basici. I granulociti basofili hanno dimensioni di 10-15 mm di diametro, la loro vita media è di circa tre giorni manifestano moltissimi caratteri analoghi a quelli dei mastociti, presenti soprattutto nei tessuti, ma derivano da uno stesso precursore midollare, comune agli altri granulociti e ai monociti-macrofagi, detto precursore comune mieloide. I granulociti basofili costituiscono lo 0,5-2% dei leucociti presenti nel sangue. Tra le numerose sostanze secrete da queste cellule (oltre a fattori chemiotattici, a enzimi lisosomiali, comuni agli altri granulociti, e a radicali di ossigeno a effetto antibatterico) vi è l’istamina, che rappresenta circa il 10% del contenuto dei granuli. È importante nella induzione dell’allergia. Infatti, nella sua membrana cellulare si trovano recettori per le immunoglobuline (IgE), anticorpi prodotti dall’organismo in seguito all’introduzione di una sostanza con caratteristiche di antigene. La prima esposizione provoca solo la produzione di IgE, che vengono catturate dai basofili, dove rimangono in attesa senza provocare ulteriori disturbi. Quando l’antigene viene introdotto una seconda volta, trova gli anticorpi già formati e vi si lega. Tale legame induce una serie di reazioni biochimiche che provocano la fuoriuscita dai basofili di istamina e di altre sostanze in grado di scatenare reazioni allergiche, per esempio la contrazione della muscolatura liscia nelle ramificazioni bronchiali (con sviluppo di asma), la fuoriuscita di liquido dai capillari sanguigni (edema), la vasodilatazione dei capillari (con abbassamento della pressione arteriosa). Incremento dei basofili si ha in svariate forme morbose quali reazioni allergiche, anemie emolitiche, nefrosi, colite ulcerativa, leucemia.

BASTONCELLO RETINICO

Cellula nervosa situata nella retina che, insieme ai coni, costituisce il complesso dei recettori sensibili alle radiazioni luminose (fotorecettori), nei quali si genera l’impulso nervoso che, trasmesso ai centri della corteccia cerebrale, determina la sensazione visiva.I bastoncelli retinici sono cellule nervose particolarmente modificate hanno forma allungata, in quanto sono provviste di un’espansione cilindrica lunga e sottile (detta segmento esterno) che contiene un gran numero di lamelle disposte trasversalmente rispetto all’asse maggiore del segmento stesso. Tra le lamelle è contenuto un pigmento, la rodopsina che, per effetto delle radiazioni luminose, subisce modificazioni strutturali tali per cui nella cellula si determina una variazione del potenziale di membrana si crea così l’impulso che, trasmesso ad altre cellule nervose, raggiunge poi i centri cerebrali della visione lungo le fibre del nervo ottico.I bastoncelli sono distribuiti soprattutto nelle porzioni periferiche della retina essi sono molto sensibili alle radiazioni luminose, ma non danno informazioni sui colori sono deputati soprattutto alla visione in condizioni di scarsa illuminazione.

BATES, metodo di

Metodo ideato dal medico statunitense William Bates (1860-1931), che mise a punto una serie di esercizi mirati a migliorare la vista e a limitare, se non a eliminare, il bisogno di portare occhiali.La vista è condizionata dal cervello Per Bates la vista è in gran parte condizionata dal cervello. Questa affermazione è provata dal fatto che i non vedenti che riacquistano la vista a seguito di un intervento chirurgico devono “imparare” a vedere. Durante i primi giorni successivi all’operazione, infatti, non sono in grado di distinguere un oggetto da un altro in seguito, il cervello apprende a interpretare le immagini che si fissano sulla retina. In ogni istante, il nostro cervello è impegnato in un processo di confronto, valutazione e immaginazione che gli permette di dare un senso a ciò che vede. Gli occhi compiono decine di impercettibili movimenti per adattarsi alla frenetica attività della mente. Solo se la mente e gli occhi sono in completo accordo la visione è perfetta. Questo delicato equilibrio può facilmente alterarsi. È quindi sbagliato pensare che la capacità di visione sia sempre la stessa in qualsiasi momento e situazione. È invece vero il contrario.La visione perfetta non può durare per più di un minuto o due. Questo fatto deve essere ben chiaro nella mente di chi vuole migliorare la propria vista. Spesso, chi non vede bene tende a contrastare questo fenomeno fisiologico: si sforza di fissare lo sguardo sottoponendo a una fatica costante non solo gli occhi ma anche la parte superiore del corpo. Il collo proteso in avanti e le spalle incurvate sono un tipico atteggiamento di coloro che hanno qualche difficoltà visiva. Si può migliorare la vista Il funzionamento dell’occhio assomiglia a quello di una macchina fotografica. Nel caso della miopia, la messa a fuoco è eccessiva e l’immagine cade troppo in avanti rispetto alla retina. Al contrario, nel caso della presbiopia l’immagine cade troppo indietro rispetto alla retina. Bates sostiene che si può rieducare l’occhio, così da riacquistare la capacità di messa a fuoco. Nel caso della miopia, il meccanismo secondo il quale ciò può avvenire è di facile comprensione, almeno teorica: basta imparare a rilassare i muscoli dell’occhio in modo da diminuire la deformazione eccessiva del cristallino. Nel caso della presbiopia, invece, gli oppositori di Bates contestano il fatto che si possa riuscire a curvare il cristallino quando è diventato rigido. A questi il medico statunitense risponde che il segreto sta “nell’insegnare” ai muscoli dell’occhio a modificare la propria forma solo di una frazione di millimetro, quanto basta cioè a far cadere l’immagine nel punto giusto, esattamente sulla retina. Questa affermazione è tuttora considerata da molti oculisti priva di ogni fondamento scientifico. Rimane però il fatto che un grande numero di presbiti, tra cui lo stesso Bates, sono riusciti ad abbandonare per sempre gli occhiali, recuperando una buona capacità visiva.Gli eserciziLa rieducazione degli occhi richiede una certa disponibilità di tempo e una buona dose di pazienza e di perseveranza. Nella storia dei successi del metodo si sono registrate guarigioni pressoché istantanee, ma si tratta di eccezioni. In genere, i primi risultati si possono constatare solo dopo 2-3 mesi.Un esercizio semplicissimo è coprirsi gli occhi con i palmi delle mani. Spesso lo si esegue spontaneamente quando si è stanchi, ma nel metodo Bates è una tecnica che va praticata in modo sistematico.Qualsiasi difetto della vista riduce la capacità degli occhi di muoversi e di mettere a fuoco gli oggetti. L’errore in cui più comunemente incorrono coloro che vedono male è quello di sforzarsi di vedere fissando l’oggetto. Bisogna invece fare esattamente l’opposto. Lo si può verificare facilmente: se gli occhi sono stanchi basta muoverli per recuperare parte della loro acuità visiva.Bates suggerisce tre esercizi molto semplici per riabituare a poco a poco gli occhi alla mobilità e al coordinamento: sbattere le palpebre velocemente, lanciare sguardi rapidi, spostare lo sguardo da un punto all’altro.Esercitare la flessibilità della spina dorsaleBates consiglia alcuni esercizi anche per la spina dorsale. La loro utilità è confermata dai cultori della tecnica di Alexander e del metodo Feldenkrais, i quali hanno notato che, modificando la posizione della colonna vertebrale, si ottiene in molti casi un miglioramento della vista.Condurre una vita sanaSecondo Bates l’esercizio fisico, la pratica delle tecniche di respirazione profonda, un’alimentazione equilibrata e sana sono indispensabili per la salute degli occhi nella stessa misura in cui sono necessari per mantenere efficienti e sani gli altri organi del corpo.

BATMOTROPISMO

Sensibilità o eccitabilità delle fibre muscolari cardiache allo stimolo di contrazione. Questa proprietà può essere modificata mediante la somministrazione di farmaci. Un aumento dell’eccitabilità (effetto batmotropo positivo) si ottiene somministrando digitale, una diminuzione (effetto batmotropo negativo) somministrando sali di potassio.

BATTERICA

Alcuni germi come streptococchi, stafilococchi, pneumococchi, micrococchi, possono essere ospiti abituali (saprofiti) delle fosse nasali o venire introdotti con l'aria inspirata. Questi batteri possono improvvisamente moltiplicarsi sulla mucosa nasale, specie se un raffreddore comune o anche una semplice perfrigerazione l'hanno già irritata o ne hanno ridotto i poteri difensivi. La moltiplicazione dei germi, unita alla loro capacitˆ di recare danno, diviene causa appunto di un raffreddore o r. batterica che costituisce una delle pi comuni complicazioni del raffreddore comune.

Sintomi
A differenza del raffreddore comune, nelle riniti batteriche gli starnuti sono meno frequenti, mentre lÕessudato nasale  sempre abbondante, denso, con carattere mucopurulento o nettamente purulento. A un esame rinoscopico, la mucosa delle fosse nasali appare arrossata, rigonfia (edematosa), e ricoperta da un essudato giallastro che, al microscopio, si rivela costituito da cellule della mucosa stessa, da batteri, da leucociti provenienti dai vasi sanguigni e da muco, prodotto ed emesso dalle cellule mucipare e dalle piccole ghiandole annesse alla mucosa nasale. La sintomatologia generale pu˜ essere modesta, ma lÕinfiammazione, specialmente se esistono condizioni anatomiche favorenti (deviazioni del setto, ipertrofia dei turbinati), pu˜ protrarsi per qualche settimana. Queste riniti batteriche, persistenti o recidivanti lungo tutta la stagione invernale, sono particolarmente comuni nei bambini, per la loro predisposizione ad ammalare di infezioni respiratorie, per la loro incapacitˆ a soffiare il naso, per la presenza delle vegetazioni adenoidi. Inoltre sono soprattutto le riniti batteriche che vanno incontro a complicazioni, per diffusione dell'infiammazione alle regioni confinanti con le fosse nasali: faringiti, bronchiti, otiti, sinusiti.

BATTERICIDA

Qualsiasi agente fisico, chimico o biologico che ha la proprietà di uccidere i batteri. Fra i mezzi fisici si ricordano il calore, i raggi UV, le radiazioni ionizzanti ecc. fra quelli chimici gli alcali, la formaldeide, il fenolo e molti altri disinfettanti fra i principi biologici le lisine, il lisozima e la properdina (una proteina del sangue). Molti antibiotici e chemioterapici posseggono proprietà b., altri invece svolgono unicamente un’azione batteriostatica in quanto impediscono solo la crescita dei batteri, senza ucciderli.

BATTERIEMIA

Presenza di batteri nel sangue circolante può dipendere dalla presenza di focolai di infezione che comunicano con il sistema circolatorio (per es. in caso di endocarditi), oppure può rappresentare, nell’evoluzione di una malattia infettiva, la fase di invasione dell’organismo che precede la localizzazione dell’agente infettante in uno o più organi.

BATTERIO

Termine indicante i microrganismi unicellulari costituenti la classe degli Schizomiceti. Hanno dimensioni microscopiche (da 0,2 a 500 µm l’ordine di grandezza più frequente è di 1 µm) e forma variabile: globosa (cocchi), allungata (bacilli), ripiegata come piccole virgole (vibrioni) o ricurva in uno o più giri di spirale (spirilli). Possono però svilupparsi in forme di aggregazione quali ammassi, catene, filamenti. La cellula batterica, che può essere avvolta da una capsula talora rigida, talora mucillaginosa con funzione protettiva, presenta all’interno un citoplasma con mitocondri e con un nucleotide privo di membrana nucleare.Partendo dall’esterno si incontrano i seguenti componenti:– cell-wall o parete. Componente caratteristica del b. che si può colorare o no con la colorazione di Gram: i batteri Gram-positivi hanno una capsula rigida e i batteri Gram-negativi oltre a possedere questa capsula sono ricoperti da un ulteriore strato di proteine e lipidi che svolgono importanti funzioni di protezione dell’organismo stesso. Gli strati superficiali della cellula batterica appaiono estremamente importanti perché correlati alla patogenicità del b. rappresentano anche il bersaglio per alcuni farmaci antibatterici che inibiscono elettivamente la sintesi del cell-wall – citoplasma cellulare. Molto simile al citoplasma delle cellule degli organismi superiori – materiale nucleare. Nei batteri non esiste un vero e proprio nucleo, ma il materiale nucleare è diffuso nel citoplasma.Molti batteri sono in grado di spostarsi grazie a oscillazioni o rotazioni del corpo oppure mediante il movimento di ciglia o flagelli variamente disposti intorno alla cellula.La riproduzione avviene solitamente per scissione trasversale (da cui il nome di Schizomiceti, cioè funghi che si dividono) non manca però la riproduzione per gemmazione o mediante spore. Fisiologicamente eterogenei, i batteri possono essere aerobi, cioè vivere solo in presenza di ossigeno, o anaerobi, cioè non sopportare la presenza di ossigeno. Per quanto riguarda l’alimentazione, la maggior parte dei batteri è eterotrofa, ovvero in grado di metabolizzare solo composti organici già sintetizzati da altri organismi.A questo gruppo appartengono le specie saprofite, parassite e simbionti.Meno numerosi sono i batteri autotrofi, che per sintetizzare le sostanze organiche necessarie al loro organismo utilizzano o l’energia luminosa (batteri fototrofi) o l’energia chimica, cioè l’energia che si libera in ossidazioni di composti minerali da essi stessi elaborati (batteri chemiotrofi). A quest’ultimo gruppo appartengono i nitrobatteri, i ferrobatteri, i solfobatteri. Date le loro dimensioni microscopiche e le ridotte esigenze alimentari, i batteri sono presenti ovunque: nell’aria, nell’acqua, nel suolo, nel corpo dell’uomo, degli animali e delle piante. La loro presenza però è maggiore dove esistono sostanze organiche da demolire, da cui rimettono in libertà gli elementi costitutivi (carbonio, azoto, idrogeno, ossigeno, zolfo ecc.): ad essi si devono infatti i processi di fermentazione e di putrefazione che avvengono in natura. Questa particolare attività batterica è sfruttata industrialmente dall’uomo, per esempio nella fermentazione acetica o nella sintesi di vitamine e antibiotici.Nonostante i batteri siano causa di gravi malattie anche per l’uomo (tifo, colera, tetano, tubercolosi, lebbra), nell’ambito dell’intera classe sono scarse le specie patogene in rapporto a quelle utili.

BATTERIOFAGO

(O fago), virus parassita di cellule batteriche. Ogni b. può infettare solo una specie batterica e poche altre a essa correlate. I batteriofagi, le cui dimensioni variano da 200 Ã… a 1000 Ã…, sono costituiti da un involucro proteico (testa), che racchiude una molecola di acido nucleico (DNA o RNA), e da una coda. Questa è cava e forma un tubo tramite il quale l’acido nucleico viene iniettato all’interno del batterio infettato inoltre le fibre della coda servono per fissare il b. alla superficie del batterio. Quando l’acido nucleico penetra in un batterio, esso è costretto a sintetizzare nuovi batteriofagi che, a loro volta, determinano la lisi della cellula infettata. Esistono batteriofagi virulenti, che provocano la lisi del batterio infettato, e batteriofagi temperati che convivono con il batterio senza danneggiarlo.

BATTERIOLISI

Rottura della cellula batterica.I fattori responsabili della lisi batterica presenti nel siero di sangue sono l’anticorpo specifico e il sistema complemento-properdina, che fissandosi ai batteri che hanno reagito con l’anticorpo provocano la lisi con meccanismo enzimatico. Lisi può essere indotta anche dal batteriofago.

BATTERIOLOGIA

Branca della microbiologia che studia le caratteristiche e l’azione dei batteri. Lo studio dei batteri richiede diverse operazioni che implicano una tecnica molto avanzata e apparecchiature complesse: allestimento delle colture, isolamento delle specie, realizzazione dei preparati microscopici e loro esame. Qualche volta è necessario aggiungere all’osservazione microscopica dei batteri (batterioscopia) il controllo delle proprietà biologiche e di quelle immunitarie mediante esperimenti diretti su animali da laboratorio (topi, cavie, conigli, scimmie). La b. è divisa in diverse branche: generale e sistematica, medica, agraria, industriale.

BATTERIURIA

Emissione di batteri con le urine. Normalmente non vi sono germi né nei reni né nella vescica, mentre qualche germe può contaminare le urine al momento del loro passaggio nell’uretra. Il riscontro di germi nelle urine prelevate a livello della vescica (mediante cateterismo in condizioni di sterilità) è un dato importante ai fini diagnostici esso significa per lo più che esiste una infiammazione sostenuta da batteri lungo le vie urinarie, oppure, più raramente, che attraverso il rene vengono eliminati i germi provenienti dal sangue.Il rilievo della b. assume valore diagnostico solo su urine fresche: dopo qualche tempo le urine, anche se sterili all’atto della loro emissione, vengono inquinate da germi presenti nell’aria che trovano in esse elemento favorevole al loro sviluppo. L’osservazione microscopica dei batteri nel sedimento urinario può offrire indicazioni sull’identità dei germi in causa, tuttavia la loro identificazione si ottiene in laboratorio inseminando le urine infette su appositi terreni di coltura. Importante ai fini prognostici e terapeutici è la determinazione della carica batterica che si ottiene mediante la conta batterica, determinando cioè il numero dei germi presenti in un dato volume di urine.

BATTITO CARDIACO

Contrazione ritmica del cuore (60-70 battiti al minuto). Il cuore batte con un certo ritmo, producendo tutta una serie di fenomeni fisiologici sincroni con il ritmo stesso, e rilevabili sia con l’esame clinico sia con adatte indagini strumentali. Per prima cosa si può rilevare l’itto della punta, cioè l’urto della punta del cuore contro la parete toracica: lo si può sentire, sia all’ispezione sia alla palpazione, in corrispondenza del quinto spazio intercostale di sinistra. La contrazione cardiaca determina inoltre una ritmica espansione delle arterie (polso arterioso) e variazioni ritmiche della pressione arteriosa.La manifestazione più importante del b. cardiaco, soprattutto per l’interesse che presenta ai fini dello studio clinico dell’attività del cuore, sono i suoni che ad esso si associano, detti toni cardiaci: si possono percepire mediante l’ascoltazione diretta sulla parete del torace, o con lo stetoscopio o il fonendoscopio, che permettono di analizzarne meglio le particolarità acustiche ancora meglio si possono studiare attraverso una registrazione grafica (fonocardiografia).In condizioni normali si hanno due suoni, il primo e il secondo tono, separati da un breve intervallo di tempo: il primo tono, rilevato come un suono sordo e prolungato, è associato all’improvvisa chiusura delle valvole atrioventricolari (mitrale e tricuspide), all’entrata in tensione della muscolatura ventricolare ed alla rapida uscita del sangue dai ventricoli nelle arterie il secondo tono, più breve e secco, è prodotto solo dalla chiusura delle valvole semilunari (aortica e polmonare), all’inizio della diastole ventricolare.In condizioni patologiche si hanno modificazioni dei vari fenomeni collegati col b. cardiaco, che indirizzano il medico alla diagnosi della malattia in gioco: in particolare per quanto riguarda i toni cardiaci, si possono manifestare alcune modificazioni in intensità (indebolimento, rinforzo), nel timbro, nel numero, nel ritmo (comparsa di aritmie a tre o quattro tempi, ritmo di galoppo ecc.).Tra i battiti patologici possiamo ricordare:- Il battito di cattura. Battito condotto che avviene in un contesto di dissociazione atrio-ventricolare, per esempio durante un blocco completo quando, un’onda P è condotta attraverso la giunzione AV ai ventricoli o durante una tachicardia ventricolare quando una P, attraverso la giunzione, può catturare un QRS normale o ancora se c’è una conduzione retrograda stabile.- Il battito prematuro: battito anticipato rispetto a quello atteso.- Il battito prematuro atriale (extrasistole atriale): depolarizzazione atriale iniziata prima di quanto atteso, con conseguente soppressione del segnapassi sinusale.- Il battito di scappamento: depolarizzazione che origina in un punto diverso dal seno atriale, ma non prematura.Avvengono in caso di soppressione (generalmente temporanea), del segnapassi che normalmente avrebbe una frequenza più elevata.

BCG

(Sigla di Bacillo di Calmette-Guérin), ceppo di bacilli della tubercolosi bovina che, in seguito a numerosi passaggi su terreni di coltura costituiti da normali patate trattate con sali biliari, ha perso quasi completamente la sua virulenza, conservando questo carattere anche nei successivi trapianti su comuni terreni di coltura. In genere, si adopera il vaccino liofilizzato, che si conserva per 12 mesi se tenuto al riparo dalla luce. Questo, una volta ricostituito, viene inoculato nel braccio per via intradermica in un’unica dose. Nella sede di inoculo compare dopo circa due settimane una papula eritematosa che scompare entro due mesi. Nei Paesi dove la tubercolosi è endemica il vaccino viene somministrato già in epoca neonatale.In Italia la vaccinazione antitubercolare è stata resa obbligatoria dalla legge n. 1088, 14 dicembre 1970, art. 10, per:a) figli di tubercolotici in età compresa fra 5 e 15 anni, o soggetti coabitanti con ammalati o ex ammalati di tubercolosi b) figli del personale di assistenza di ospedali sanatoriali c) soggetti di età compresa fra 5 e 15 anni, abitanti in zone depresse ad alta morbosità tubercolare d) addetti ad ospedali, cliniche ed ospedali psichiatrici e) studenti in medicina f) soldati all’atto dell’arruolamento.Tutti i soggetti elencati in queste categorie vengono vaccinati se alla reazione cutanea con tubercolina risultano negativi: ciò indica infatti che essi non sono mai venuti in contatto con il bacillo tubercolare e quindi sono soggetti alla possibilità di ammalarsi.La vaccinazione è attualmente praticata mediante iniezione intradermica, o per punture cutanee multiple, o per scarificazione cutanea la durata dell’immunità varia da 3 a 5 anni dopo i quali, se la reazione tubercolinica ritorna negativa, è opportuna una rivaccinazione. Alcuni studi hanno dimostrato che la protezione può persistere fino a 20 anni dopo l’inoculo, dimostrabile dalla positività alla reazione alla PPD.La vaccinazione di un tubercolino-negativo, cioè di un soggetto non infetto, può indurre un grado di protezione in una percentuale superiore al 90% dei vaccinati. Il BCG ha anche un effetto stimolante sulle reazioni immunitarie dell’organismo e per questo è usato talvolta per la cura di alcune neoplasie (leucemie acute dell’infanzia, melanomi, carcinomi della cute, del colon e del polmone).

BE - BH
BECHICI

(O antitussivi o tossifughi), farmaci usati per combattere la tosse.Vengono impiegati soprattutto nelle malattie dell’apparato respiratorio in cui spesso la tosse (che pure rappresenta un atto riflesso utile all’organismo, che così può espellere quanto ostacola la normale canalizzazione delle vie respiratorie) diventa fastidiosa e il suo continuo ripetersi crea nel paziente notevole disturbo, per esempio impedendo il sonno. L’effetto bechico è ottenuto agendo sulle strutture nervose che intervengono in questo riflesso. Il meccanismo fisiologico della tosse è complesso a tutt’oggi il meccanismo d’azione antitosse degli analgesici stupefacenti non è completamente noto. Vengono impiegati come antitussivi la codeina, alcaloide dell’oppio e la diidrocodeina, mentre non stupefacenti sono: clofedianolo, cloperastina, destrometorfano, clobutinolo, difenidramina, oxolamina, butamirato ecc.Poiché i b. agiscono sul sintomo della tosse ma non sulle cause che l’hanno determinata, è necessario identificare e curare anche la malattia di base. È inoltre opportuno umidificare l’ambiente, evitare polveri o fumo ed eventualmente associare un’aerosolterapia.

BECLOMETASONE

Farmaco del gruppo dei glucocorticoidi (famiglia del cortisone). Insieme al triamcinolone, budesonide e flunisolide rientra nei glucocorticoidi liposolubili. Questa caratteristica permette la somministrazione per aerosol, aumentando la concentrazione nelle vie aeree e allo stesso tempo riducendo l’assorbimento sistemico e i conseguenti effetti collaterali.Il b. viene impiegato nella terapia dell’asma.

BEHAVIORISMO

(Dall’ingl. behaviour, comportamento), o comportamentismo o psicologia del comportamento, scuola psicologica nordamericana fondata da J.B. Watson ai primi del Novecento e ancor oggi dominante nel mondo culturale statunitense. Opponendosi alla psicologia dell’introspezione, giudicata soggettiva e incontrollabile e, in quanto tale, non vera scienza, il b. studia il fenomeno psicologico sulla base del comportamento visibile e oggettivo, e quindi misurabile e riducibile a dato di una scienza esatta. Secondo Watson, compito della psicologia è stabilire leggi causali tra le proprietà dell’ambiente e il comportamento dell’organismo rispetto a esso. Pur molto criticato per la insostenibilità della riduzione del fenomeno psichico a puro meccanismo fisico, il b. ha fornito validi contributi in sede sperimentale alla psicologia animale e infantile.

BEHCET, sindrome di

Vasculite a distribuzione multifocale, con patognesi autoimmune, di vene e arterie. Ha decorso accessuale recidivante per anni.

Cause
L’eziologia è incerta (forse infezione virale, forse fattori genetici).

Sintomi
I sintomi principali sono afte recidivanti nel cavo orale, ulcere genitali indolori, uveite cronica recidivante (che con il tempo può determinare cecità), a cui si possono associare sintomi collaterali: eritema nodoso, pustole sterili, reazione cutanea iperallergica aspecifica, tromboflebiti recidivanti, artropatia, epididimite, orchite, sintomi intestinali. Possono associarsi manifestazioni neurologiche a decorso accessuale con sintomatologia di difficile classificazione con il quadro di ischemie cerebrali, trombosi del seno e vene cerebrali, nevrite del nervo ottico, paresi cerebrali, attacchi epilettici, meningite.

Diagnosi
La diagnosi clinica si basa su almeno 2 sintomi principali e 2 collaterali.I reperti della RMN sono aspecifici, con alterazioni analoghe a quelle della sclerosi multipla, ma senza la tipica localizzazione periventricolare. Si hanno inoltre alterazioni all’esame del liquor: pleocitosi (in genere linfocitaria ma possibile anche granulocitaria come nella meningite purulenta), compromissione della barriera emato-encefalica, bande oligoclonali.

Terapia
La terapia si basa su cortisonici ed immunosoppresori.

BELL, paralisi di

Il fenomeno di B. fa parte del quadro clinico della paralisi periferica del VII nervo cranico (nervo facciale) e ne costituisce l’elemento caratterizzante: consiste nel fatto che, dal lato della paralisi, nel tentativo di chiudere l’occhio si ha rotazione del bulbo verso l’alto.Fanno parte del quadro clinico, oltre al fenomeno di B., l’abbassamento dell’angolo della bocca, deficit della chiusura delle palpebre (lagoftalmo), incapacità di corrugare la fronte, di arricciare il naso, di gonfiare le guance. Tipicamente compare di notte ed il paziente se ne accorge al mattino quando si specchia.

Sintomi
Spesso asintomatica, può essere preceduta da dolore retroauricolare.

Diagnosi
Si effettua per esclusione ossia dopo aver escluso tutte le cause infettive (Herpes oticus, HIV, malatta di Lyme), neoplastiche (meningiti carcinomatose), infiammatorie, demielinizzanti di paralisi del nervo facciale si può parlare di paralisi di B.

Terapia
Non condivisa da tutti, la terapia steroidea sembra migliorare il decorso della malattia che rimane favorevole nella maggior parte dei casi.

BELLADONNA

(Atropa B.) pianta medicinale con foglie lanceolate, fiori color bruno e bacche di color nerastro lucide. Il nome sembra derivare dall’uso “cosmetico” sfruttato in passato dalle donne per avere occhi più belli. La pianta contiene atropina, prototipo della famiglia delle molecole parasimpatico-mimetiche. Queste sostanze determinano midriasi (dilatazione delle pupille).

BELLINI, tubuli di

(Dal nome di Lorenzo Bellini, medico e poeta italiano - Firenze 1643-1704), segmenti dei canali collettori dell’urina che nel rene attraversano le piramidi del Malpighi.

BELL-MAGENDIE, legge di

(Prende il nome da Charles Bell, fisiologo britannico - Edimburgo 1774 - presso Worcester 1842), legge secondo la quale la radice anteriore dei nervi spinali trasmette impulsi motori efferenti, mentre la radice posteriore degli stessi trasmette impulsi sensitivi afferenti.

BENDAGGIO

(O fasciatura), ricopertura di talune parti del corpo, affette da lesioni traumatiche o infiammatorie, con mezzi adatti per proteggerle dall’azione di agenti esterni, oppure per applicare sostanze medicamentose o per metterle a riposo o immobilizzarle. Il b. deve essere funzionale, non deve provocare alcun danno e, nel suo aspetto, deve anche rispettare l’estetica. Esso viene eseguito con fasce o bende di tessuto speciale (garza o mussola) semplice, elastico o impregnato di sostanze differenti (amido, gesso) che hanno lo scopo di renderle più rigide e resistenti. Il b. viene eseguito con varie tecniche a seconda dello scopo per il quale è applicato e a seconda della parte del corpo che dev’essere ricoperta.

BENDERELLA

(Dim. di benda, dal germanico binda, fascia, legame), denominazione di strutture anatomiche a forma di nastro aventi una funzione di collegamento. Le benderelle più note sono le ottiche, le olfattorie e le ileopettinee.- Benderelle ottiche. Tratto delle vie ottiche che si origina posteriormente al chiasma ottico, si divide in due rami che si dirigono ai corpi genicolati mediale e laterale.- Benderelle olfattorie. Tratto di fibre nervose mieliniche compreso tra il bulbo olfattorio e le radici olfattorie.- Benderelle ileopettinee. Espansione fibrosa della fascia iliaca compresa tra l’arcata femorale e l’osso iliaco.

BENEDIKT, sindrome di

(Prende il nome da Moritz Benedikt, neurologo e psicologo ungherese - Eisenstadt 1835 - Vienna 1920), dovuta a lesione del tronco cerebrale a livello del mesencefalo e caratterizzata da paralisi del nervo oculomotore comune omolaterale alla lesione, con tremore, movimenti involontari controlaterali e, talvolta in associazione, emiparesi controlaterale.

BENZAMIDI

Gruppo di psicofarmaci appartenente alla classe dei neurolettici o antipsicotici, utilizzati nella terapia di patologie gravi come la schizofrenia.Vengono assorbiti rapidamente e l’effetto farmacologico dura a lungo.

BENZOAR

vedi BEZOAR

BENZOCAINA

Sostanza farmacologica, ad azione anestetica locale, impiegata in campo dermatologico e odontostomatologico. Come tutte le sostanze anestetiche anche la molecola di B. è costituita da un gruppo liofilo unito ad un gruppo ionizzabile.

BENZODIAZEPINE

Classe di psicofarmaci ad azione spiccatamente ansiolitica e ipnotica (inducente il sonno). Sono sicuramente una della classi di farmaci più usati al mondo. Tra le più usate ricordiamo: diazepam, lorazepam, alprazolam, ecc. In base al loro dosaggio possono essere utilizzate sia in forme lievi di ansia e di insonnia, che in forme di gravi psicosi.Le b. agiscono sul sistema del GABA, un neurotrasmettitore inibitorio, che ha cioè il compito di inibire la trasmissione tra i neuroni. Stimolando il GABA si ottiene un effetto calmante e rilassante. Ricerche più recenti hanno scoperto che questi farmaci agiscono anche su altri sistemi di trasmissione cerebrale, modulando l’azione di altri neurotrasmettitori quali la serotonina, la noradrenalina, l’acetilcolina e la dopamina. Le b. sono farmaci sintomatici: agiscono cioè sul sintomo ansia ma non sulla malattia. Cessato il loro effetto, la patologia ansiosa ritorna.Vengono somministrati solitamente per via orale si differenziano tra di loro per la rapidità e durata d’azione (emivita), e su queste basi il medico sceglie l’ansiolitico più adatto al singolo caso. La distinzione tra ansiolitiche e ipnotiche corrisponde solo a una scelta di mercato: qualunque molecola può avere l’uno o l’altro effetto, è solo una questione di dosaggio. In linea teorica le b. a emivita breve sono preferibili per indurre il sonno, quelli a emivita lunga per alleviare l’ansia.Possono essere usati anche come farmaci anticonvulsivanti e come coadiuvanti nelle anestesie generali.In generale sono farmaci ben tollerati, ma possono determinare la perdita di concentrazione, l’allungamento dei tempi di reazione, la tendenza ad addormentarsi (che deve sempre essere considerata quando ci si deve mettere alla guida) e le difficoltà di deambulazione. Inoltre c’è un alto rischio che si instaurino i fenomeni di tolleranza e dipendenza: chi si abitua a prendere una benzodiazepina quotidianamente è costretto ad aumentare man mano la dose per ottenere lo stesso effetto, correndo il rischio di incorrere in un’intossicazione acuta, caratterizzata da irritabilità, aggressività, difficoltà di coordinazione, deficit di attenzione e memoria, compromissione della capacità di interazione con gli altri.

BENZOLISMO

Intossicazione causata dall’esposizione ai vapori di benzene. Colpisce particolarmente quei soggetti che soffrono di insufficienza epatica o carenza vitaminica. La forma acuta si manifesta con disturbi del sistema nervoso (depressioni, convulsioni), dell’apparato digerente (nausea), di quello respiratorio (tosse) e tegumentario (secchezza della pelle, possibile assorbimento) l’esposizione ad altissime concentrazioni può essere grave e rapidamente letale.La forma cronica è caratterizzata da disturbi dell’apparato respiratorio (catarro), emorragie, albuminuria, danni al sistema emopoietico in toto, statosi epatica, dermatite cronica. Tra gli accertamenti elettivi ricordiamo il dosaggio dei fenoli urinari.

BERI-BERI

(Da una voce indigena: malabarese beliberi, singalese beri, debolezza).

Cause
Sindrome da carenza di vitamina B1, per scarsa o mancata introduzione di essa con gli alimenti o per malassorbimento della stessa a livello intestinale. La scoperta delle vitamine (1911) e la loro classificazione definirono l’eziologia della malattia. Nelle nazioni civilizzate compare solo negli etilisti o nei dializzati, mentre in alcune zone in via di sviluppo è legato alla dieta con riso brillato e, probabilmente, altre sostanze antagoniste.

Sintomi
È una polinevrite che si manifesta all’inizio con stanchezza, torpore, dispnea, cardiopalmo, edemi ai malleoli.Successivamente appaiono atrofie muscolari, paralisi, parestesie, accompagnate da disturbi cardiaci gravi. Sono note due forme prevalenti: una caratterizzata da edemi (b. umido), l’altra da paralisi e atrofia (b. secco). Nei paesi occidentali si riscontra raramente, spesso come conseguenza dell’alcolismo grave. La cardiopatia comprende la vasodilatazione periferica, la ritenzione di fluidi (edema) e l’insufficienza miocardica biventricolare. La neuropatia comprende la neuropatia periferica, l’encefalopatia di Wernicke e la sindrome di Korsakoff.

Terapia
La terapia è unica per tutte le forme e consiste nella prolungata somministrazione di vitamina tanto per via endovenosa che intramuscolare, provvedendo naturalmente ad equilibrare la dieta o a rimuovere i fattori che ostacolano l’assorbimento intestinale.La prognosi è benigna, nonostante la gravità delle forme, specie se la terapia è tempestiva.

BERILLIOSI

Malattia determinata dall’inalazione di polveri di berillio.

Cause
Ne sono colpiti soprattutto coloro che estraggono tale metallo dal minerale grezzo, o che lo maneggiano nelle varie lavorazioni in cui esso trova impiego. Il berillio viene inalato sotto forma di polvere con l’aria inspirata, e quindi determina essenzialmente un danno a livello dei polmoni tuttavia esso può causare lesioni disseminate nell’organismo, interessando cute, fegato, reni, milza, linfoghiandole. Nei polmoni si instaura un processo infiammatorio cronico granulomatoso, che evolve lentamente portando a una fibrosi dell’organo.

Sintomi
Possono manifestarsi anche molto tempo dopo l’esposizione (fino a 20 anni). Sono caratterizzati da progressiva difficoltà alla respirazione, tosse, dolori al torace, debolezza e facile affaticabilità, diminuzione di peso. Tali sintomi si aggravano progressivamente fino a condurre all’insufficienza respiratoria.

Diagnosi
In base alle notizie anamnestiche raccolte dal paziente, si può formulare una diagnosi di sospetto che può essere confermata con la dimostrazione istologica dei granulomi. Il metallo può essere dosato nei campioni di tessuto e sulle urine.

Terapia
Si basa sulla somministrazione di cortisonici, allo scopo di limitare o rallentare il processo di fibrosi polmonare, e su trattamenti sintomatici per migliorare la funzionalità respiratoria.

BERNARD-HORNER, sindrome di

(Prende il nome da Claude Bernard, fisiologo francese - Saint-Julien, Rodano 1813 - Parigi 1878).

Sintomi
Sindrome caratterizzata da contrazione della pupilla, abbassamento della palpebra con apparente infossamento dell’occhio, vasodilatazione e mancanza di sudorazione nella metà della faccia corrispondente. Tale complesso di sintomi può essere determinato da processi patologici di diversa natura (traumi, tumori, trombosi ecc.) che ledono le fibre nervose del simpatico cervicale.

 

BERTIN, colonne di

(Dal nome di Exupère-Joseph Bertin, anatomico francese - Trembley, Bretagna 1712 - Gohard 1781), prolungamenti della sostanza corticale del rene nella zona midollare sono anche comunemente chiamate colonne renali.

BESNIER-BOECK-SCHAUMANN, malattia di

vedi SARCOIDOSI

BESTIALITÀ

(O zoofilia erotica). Perversione sessuale di chi si congiunge con animali, al fine di ottenere il soddisfacimento sessuale. La b. non è infrequente nei malati di mente in stato di grave decadimento psichico, oltre che in persone che vivono a lungo in compagnia di animali e non hanno, quindi, la possibilità di normali rapporti. Gli animali hanno, in genere, una funzione passiva, solo raramente attiva.

BETA-2 ADRENERGICI, AGONISTI DEI RECETTORI

Gruppo di farmaci simpaticomimetici con azione selettiva verso i recettori beta-2 bronchiali. L’attivazione di tali recettori determina broncodilatazione. Comprendono salbutamolo, terbutalina, salmeterolo ed altri.L’uso clinico principale è nella terapia dell’attacco acuto di asma bronchiale di lieve o media gravità, la via di somministrazione preferibile è inalatoria (spray), ma deve essere attuata correttamente per garantire il completo assorbimento del farmaco. Essendo molto selettivi gli effetti sistemici sono minimi.

BETA-BLOCCANTI

Farmaci capaci di interferire nella trasmissione degli impulsi nervosi condotti dalle fibre adrenergiche in quanto si combinano con i recettori alfa e beta (beta-1 e beta-2) a livello degli organi periferici. Sono suddivisi in base alla loro selettività nei confronti di questi recettori (beta-selettivi o non selettivi). Tra i più usati ricordiamo: atenololo, propanololo, carvedilolo, ecc.Agiscono in particolar modo sul cuore e sul sistema cardiovascolare, riducendo la frequenza del ritmo e la gittata cardiaca, e diminuendo leggermente la pressione arteriosa trovano impiego soprattutto nel trattamento dei disturbi del ritmo cardiaco, dell’angina pectoris, delle sindromi anginose e nell’ipertensione arteriosa. In gocce vengono usati dagli oculisti nella terapia del Glaucoma in quanto riducono la pressione intraoculare.Gli effetti collaterali sono rossore cutaneo, freddo alle estremità, bradicardia, broncocostrizione, ipotensione e impotenza.Controindicazioni sono scompenso cardiaco, asma bronchiale, terapia antidiabetica.

BETA-CAROTENE

Precursore della vitamina A. Una molecola di b. è composta da due molecole di Vit. A. Agisce contro H2O2, H-, O2+ (radicali liberi). È una molecola insolubile in acqua mentre è facilmente solubile in acetone, etere, grassi e olii.I carotenoidi si trovano negli organismi vegetali, frutta, verdura di colore arancione e negli ortaggi di colore verde scuro (melone, pesche, albicocche, zucca, cachi, carote, spinaci, bieta, lattuga, etc.).Il b. è necessario per la corretta crescita e riparazione dei tessuti corporei aiuta a mantenere pelle liscia e morbida e sana aiuta a proteggere le mucose della bocca, del naso, della gola e dei polmoni, riducendo così la suscettibilità alle infezioni protegge contro gli agenti inquinanti (azione antiossidante contro gli effetti nocivi dei radicali liberi) contrasta la cecità notturna e la vista debole, ed è quindi fondamentale per una buona vista aiuta nella formazione di ossa e denti. Inoltre, diversamente dalla vitamina A, è un antiossidante che combatte le sostanze cancerogene intrappolando le molecole pericolose che contribuiscono allo sviluppo di una neoplasia maligna.I risultati di diversi studi suggeriscono che i tumori dell’esofago, della laringe, dello stomaco, del colon/retto, della vescica, e della prostata possano beneficiare dell’assunzione di b.È utile assumere 10-20 mg di b. quando ci si espone al Sole.Le dosi raccomandate sono da 5000 UI a 25.000 UI sotto forma di integratore (stesse dosi per adulti e bambini).Queste dosi assunte quotidianamente, insieme ad alcuni alimenti ricchi di carotenoidi, aiuteranno a prevenire e proteggere da carenze e favoriranno il normale funzionamento cellulare. Ovviamente, quando possibile, è preferibile assumere tale pro-vitamina attraverso una corretta alimentazione, piuttosto che con integratori (una carota di dimensioni medie dà 5000 UI di b.).Le verdure contengono la vitamina solo sotto forma di precursore o provitamina (b.) e questa sostanza non può trasformarsi abbastanza rapidamente da creare un’intossicazione.Tuttavia, se vengono consumate grandi quantità di alimenti ricchi di carotene, come i pomodori o il succo di carote insieme a integratori alimentari, può esserci accumulo nelle cellule grasse sotto la pelle, che possono diventare gialle.Un colore giallastro sotto la pelle indica un consumo eccessivo tuttavia se anche diminuendo le dosi la colorazione rimane può essere un sintomo di ipotiroidismo (ridotta attività della tiroide) o di diabete.Se l’intossicazione viene scoperta, i sintomi, con l’abbassamento della quantità di carotene assunto, scompariranno in pochi giorni.
La carenza di beta-carotene può essere prevenuta consumando molte varietà di frutta e verdura. Ne sono particolarmente ricchi le albicocche, i cachi, i meloni, le pesche, le arance, le carote, i pomodori, la zucca gialla, i peperoni rossi ma anche verdure a foglia verde come gli spinaci, i broccoli, le rape e la cicoria. Il beta-carotene è resistente alla cottura purché non sia troppo prolungata (può quindi essere rinvenuto anche nelle verdure cotte), ma viene dissolto dalla frittura. È inoltre sensibile alla luce, e pertanto gli alimenti che lo contengono vanno conservati in luoghi poco illuminati. E per aumentarne la concentrazione cellulare, occorre evitare il fumo di sigaretta. L’integrazione a base di beta-carotene è perciò consigliata ai fumatori, ma anche agli anziani, ai diabetici e agli individui che professionalmente sono esposti alle radiazioni solari.

BETA-LATTAMICI

Antibiotici che inibiscono selettivamente la sintesi della parete delle cellule batteriche, caratterizzati dalla presenza, nella loro struttura chimica, di un anello beta-lattamico. Sono b. tutte le penicilline e le cefalosporine (vedi). La resistenza ai b. ha luogo nel momento in cui il batterio produce l’enzima beta-lattamasi, che inattiva strutturalmente il farmaco. Esistono b. nei quali l’anello beta-lattamico è protetto, e che pertanto superano le resistenze batteriche.

BETATERAPIA

Tecnica di radioterapia che si basa sull’utilizzo delle radiazioni beta emesse da isotopi radioattivi o prodotte da appositi generatori (betatrone).Tali radiazioni hanno uno scarso potere di penetrazione nei tessuti, in quanto sono assorbite in tempi rapidi, e quindi vengono impiegate soprattutto per il trattamento di tumori cutanei superficiali oppure anche di tumori profondi circoscritti, nel qual caso si immette l’isotopo radioattivo in appositi tubi e aghi i quali vengono introdotti direttamente nei tessuti.

BEZOAR

(O benzoar o belzuar), agglomerato di fibre vegetali (fitobezoari) o di peli animali (tricobezoari) che si forma nello stomaco dell’uomo a seguito dell’ingestione abbondante di tali componenti. Si osserva più spesso in soggetti psicopatici che ingeriscono indiscriminatamente notevoli quantitativi di detti elementi. Si avviluppa mescolandosi a mucosità, cellule di sfaldamento della mucosa e residui alimentari. Nello stomaco determina uno stato infiammatorio cronico, provocando con la sua presenza anche lesioni sanguinanti della mucosa e intralciando il normale transito degli alimenti attraverso il piloro.

Diagnosi
La diagnosi si pone con l’esame radiologico dello stomaco o con la gastroscopia.

Terapia
Il trattamento consiste essenzialmente nell’asportazione chirurgica.

BI - BN
BIAS

Termine usato per definire i fattori confondenti di uno studio statistico.Costituisce la deviazione dei risultati osservati dai risultati veri, e quindi il meccanismo di raccolta, analisi, interpretazione, pubblicazione o revisione dei dati che può portare a conclusioni che sono sistematicamente diverse dalla “verità”.

BICARBONATE, acque

vedi ACQUA MINERALE

BICARBONATO-CALCICHE, acque

vedi ACQUA MINERALE

BICARBONATO-SOLFATE, acque

vedi ACQUA MINERALE

BICIPITE

Nome di due muscoli flessori, uno del braccio, l’altro della coscia.- B. del braccio. È situato nella parte anteriore di tale segmento dell’arto superiore e, quando è contratto, forma con la sua massa carnosa la rilevatezza presente in questa sede. Tale muscolo si estende dalla scapola, ove si inserisce in due punti diversi a mezzo di due tendini distinti, fino all’estremità superiore del radio il b. quindi percorre tutto il braccio senza prendere inserzione sull’omero.È irrorato da rami dell’arteria omerale e innervato dal nervo muscolocutaneo del plesso brachiale.Esso determina la flessione dell’avambraccio sul braccio, partecipa al movimento di supinazione dell’avambraccio e di flessione del braccio sulla spalla.- B. della coscia. È situato nella regione laterale della medesima e si inserisce in alto, con due capi distinti, al bacino e al femore, in basso sulla fibula. È irrorato da rami dell’arteria femorale ed innervato da rami collaterali del nervo ischiatico.Con la sua contrazione determina tre movimenti: la flessione e la rotazione laterale della gamba rispetto alla coscia e l’estensione della coscia rispetto al bacino.

BICUSPIDE, valvola

vedi MITRALE, VALVOLA

BIFORCAZIONE AORTICA

Punto in cui l’aorta addominale si divide nelle due arterie iliache, precisamente all’altezza della quarta vertebra lombare, dove viene a trovarsi lievemente spostata a sinistra rispetto alla linea mediana. Qui, oltre alle due arterie iliache comuni, termina con l’arteria sacrale mediana.

BIFOSFONATI

Farmaci che inibiscono il riassorbimento osseo, efficaci nella terapia della osteoporosi, delle ipercalcemie di tipo paraneoplastico, nella malattia di Paget. Comprendono alendronato, pamidronato, etidronato.Essi devono essere assunti al mattino appena alzati, non masticati né tenuti in bocca (rischio di ulcerazioni oro-faringee) ed almeno 30’ prima di qualsiasi alimento, o bevanda che non sia acqua. Non bisogna coricarsi fino a che non si abbia ingerito qualche cosa, per l’alto rischio di irritazione esofagea.Attualmente l’alendronato è disponibile nella formulazione a lento rilascio, che consente una sola somministrazione alla settimana (per via orale o intramuscolare), riducendo al minimo gli effetti collaterali legati alla modalità di assunzione. Gli a. sono controindicati nei pazienti con gastrite e nei bambini.Se insorgessero dolore retrosternale o toracico, la terapia con a. deve essere interrotta e bisogna contattare il proprio medico curante.

BIGEMINISMO

Disturbo del ritmo cardiaco caratterizzato dal susseguirsi, in modo regolare e continuo, di una contrazione cardiaca normale e di una anomala, detta extrasistole. Quest’ultima insorge in una sede diversa da quella ove di solito originano gli stimoli alla contrazione del miocardio e interviene prima del tempo normale, così che risulta seguita da una pausa più lunga di quella che intercorre ordinariamente tra due sistoli esistono pertanto due focolai di attivazione con due segnapassi distinti. Gli esempi più comuni sono il ritmo sinusale alternato a battiti prematuri atriali, nodali o ventricolari che danno origine rispettivamente al b. atriale, nodale, ventricolare. All’esame del polso, palpando l’arteria radiale, si avverte, dopo una pulsazione normale, una pulsazione più debole e più tenue della precedente, seguita da una lunga pausa e poi dal ripetersi dello stesso ritmo (polso bigemino). Il b. può essere del tutto inavvertito dal paziente, o determinare senso di palpitazione o d’angoscia, o dolori alla regione cardiaca. È dovuto in molti casi a intossicazioni (tabacco, caffè ecc.) o a processi patologici a carico del miocardio anche gli squilibri del sistema nervoso vegetativo, soprattutto nei soggetti giovani, possono manifestarsi con disturbi del sistema cardiaco di questo tipo, in genere però fugaci.La prognosi è diversa da caso a caso in rapporto alle diverse cause.

BIGUANIDI

Farmaci ipoglicemizzanti orali, utilizzati nella terapia del diabete non insulino-dipendente, nei pazienti in cui dieta ed esercizio fisico non siano sufficienti. Comprendono la metformina e la fenformina. Agiscono aumentando la penetrazione del glucosio dentro le cellule e diminuendone l’assorbimento ed associano un modesta azione anoressizzante.Gli effetti collaterali sono prevalentemente gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea) sono stati segnalati casi di acidosi lattica fatale. Le controindicazioni riguardano i pazienti con problemi epatici o renali, con storia di acidosi lattica, che seguono cure dimagranti, che abusano di alcol, in gravidanza, che devono subire esami con mezzi di contrasto endovenosi e fino a due settimane dopo un intervento chirurgico. Sono da assumere sotto stretta sorveglianza medica.

BILANCIO IDRICO

B. tra l’acqua assorbita e l’acqua eliminata da un organismo. L’organismo tende a mantenere costante la composizione dei propri liquidi interni, in modo che in un determinato periodo di tempo il b. idrico sia in pareggio, cioè che la quantità d’acqua assunta eguagli la quantità d’acqua eliminata. L’eliminazione d’acqua (in tutto ca. 2,8 l/giorno) viene operata: dal rene, tramite le urine, in ragione di 1,5 l/giorno (questo volume è tuttavia suscettibile di ampie variazioni, ma non può in alcun caso ridursi al disotto di 300-400 cc/giorno, necessari per eliminare le scorie metaboliche dell’organismo) dalla pelle, con la traspirazione, in ragione di 600-800 cc/giorno (questo volume può essere fortemente aumentato, quando ciò sia necessario per la regolazione termica dell’organismo, con la secrezione di sudore) dall’apparato respiratorio: prima di raggiungere gli alveoli polmonari, l’aria inspirata viene saturata d’umidità (con l’aria espirata vengono eliminati 400 cc ca. di acqua al giorno) dall’apparato digerente con le feci (100 cc/giorno, volume che viene fortemente aumentato in caso di diarrea) si hanno inoltre perdite idriche nelle donne che allattano anche piangendo si ha una piccola perdita d’acqua con le lacrime. L’apporto totale d’acqua dev’essere tale da pareggiare la costante disidratazione dell’organismo e deve perciò ammontare a ca. 2,8 l/giorno tale assunzione avviene tramite: acqua bevuta: ca. 1,5 l/giorno acqua contenuta negli alimenti: ca. 1 l/giorno acqua di combustione: i processi metabolici ossidativi dei tessuti mettono capo alla produzione di CO2 ed acqua in ragione di 300 cc/giorno.I disturbi del b. idrico sono rappresentati dal deficit e dall’eccesso di acqua. Nel primo caso si verifica a condizione di iperosmolarità (osmolarità plasmatici > 300mOsm/kg). Le cause sono la diminuita assunzione, l’incremento della perdita idrica, incremento di assunzioni di soluti o condizioni come il diabete, la combinazione di questi fattori. I segni sono per lo più di tipo neurologico: agitazione, irritabilità, atassia, tremito, spasmi, epilessia. La terapia consiste in una reidratazione graduale per non danneggiare le cellule cerebrali. Nel secondo caso (eccesso di acqua) si verifica ipoosmolarità per eccessivo introito, diminuita escrezione o perdita renale di sodio. I sintomi dipendono dal quadro clinico sottostante e di norma sono sete, anoressia, crampi muscolari, agitazione, debolezza, stato confusionale, delirio, talvolta morte (vedi scheda BILANCIO IDRICO).

BILANCIO METABOLICO

B. tra le sostanze assunte (alimenti) e quelle eliminate dall’organismo umano e la loro trasformazione in energia chimica e in altre forme di energia, come il lavoro, il calore ecc. Essendo possibile determinare quantitativamente tale ricambio, si riesce a stabilire, in un periodo dato, il b., cioè la differenza tra l’entrata e l’uscita. Tale b. energetico o materiale può essere riferito a un particolare elemento (carbonio, ossigeno, azoto ecc.) o costituente (acqua, cloruro di sodio ecc.). Alla determinazione del b. contribuiscono altri fattori come la qualità e la quantità degli alimenti assunti, i prodotti di eliminazione urinaria e fecale, l’ossigeno assunto e la CO2 emessa. Se il b. è negativo l’organismo mobilizza ed utilizza i depositi tessutali (con conseguente perdita di peso), se è positivo incrementa i suddetti depositi.

BILANCIO TERMICO

B. fra il calore prodotto in un organismo (nel lavoro muscolare dalle reazioni metaboliche esotermiche) ed il calore da esso disperso (per evaporazione del sudore, per irradiazione e per conduzione). Queste quantità di calore devono essere uguali affinché si mantenga costante la temperatura corporea. L’essere umano, come tutti i mammiferi e gli uccelli, è omeotermo questo significa che il nostro organismo è in grado di aumentare la temperatura corporea (aumento del catabolismo, provocando i brividi e l’orripilazione) o di abbassarla (sudorazione insieme alla vasodilatazione periferica). Tutti questi meccanismi hanno ovviamente dei limiti oltre i quali la temperatura corporea viene influenzata dall’ambiente esterno con i conseguenti danni da ipotermia e da ipertermia.

BILE

Liquido vischioso di colore giallo oro, di sapore amaro, secreto dal fegato. La b. viene prodotta in continuazione dalle cellule epatiche ed immessa in un sistema di canali (vie biliari intraepatiche). I canali confluiscono poi in un unico condotto, il coledoco, che sbocca nell’intestino in corrispondenza del duodeno. Il punto di sbocco è normalmente mantenuto chiuso da un anello di fibre muscolari che lo circonda (sfintere di Oddi). Il coledoco comunica, per mezzo del dotto cistico, con la cistifellea, o colecisti. Il passaggio della b. nell’intestino avviene solo periodicamente, durante la digestione degli alimenti nei periodi di tempo intermedi essa si accumula e si concentra nella colecisti. Secrezione della b. e svuotamento della colecisti sono regolate da stimoli nervosi (mediati dal nervo vago) ed ormonali (secretina e colecistochinina prodotte da cellule della mucosa duodenale). Il fegato produce 700-800 ml di b. nelle 24 ore e l’intensità massima della secrezione si raggiunge 5-6 ore dopo il pasto.La b. è costituita da: acqua (82%), acidi biliari (12%), fosfolipidi (4%), colesterolo non esterificato (0.7%), componenti minori (1.3%), quali bilirubina coniugata, proteine, elettroliti, muco e farmaci. La b. epatica ha una diversa composizione percentuale rispetto a quella colecistica, poiché la cistifellea svolge una funzione di concentrazione della b., mediante assorbimento di elettroliti (sodio, potassio ecc.), da parte della sua parete. Gli acidi biliari che compongono la b. (acido colico e chenodesossicolico), vengono prodotti dagli epatociti o cellule epatiche a partire dal colesterolo e, successivamente, uniti a due aminoacidi, la glicina e la taurina da questo processo deriva, di conseguenza, la formazione di sali biliari. Nell’intestino, essi vengono ulteriormente modificati dalla flora batterica, che li scinde in glicina, taurina e acidi biliari, i quali, a loro volta, sono in parte trasformati in acidi biliari secondari (acido desossicolico e litocolico). A livello del tratto terminale dell’intestino tenue, i sali biliari vengono assorbiti e ritornano al fegato attraverso la vena porta (circolo entero-epatico). Nel fegato possono essere ulteriormente elaborati con sintesi di acidi biliari terziari, (acido ursodesossicolico, usato in terapia), e/o nuovamente uniti alla glicina e alla taurina ed eliminati nella b. Gli acidi biliari sono detergenti che in soluzione acquosa formano degli aggregati, le micelle. La loro funzione è quella di consentire la solubilità nella b. del colesterolo, che di per sé non è solubile in ambiente acquoso inoltre, sono fondamentali per l’assorbimento intestinale dei lipidi o grassi. La bilirubina è un pigmento derivato dalla demolizione dell’emoglobina, contenuta nei globuli rossi, e della mioglobina, contenuta nel tessuto muscolare. L’emoglobina proviene dai globuli rossi invecchiati i quali, dopo il normale ciclo vitale di 120 giorni, vengono distrutti nel sistema reticolo-endoteliale essa viene così convertita in bilirubina ed immessa in circolo legata all’albumina. Questa forma, definita bilirubina non coniugata, non può superare il filtro renale e non è presente nelle urine.
Circa il 20% della bilirubina deriva dalla distruzione di globuli rossi immaturi (emolisi). Una volta immessa in circolo, la bilirubina viene captata dagli epatociti, tramite il legame con proteine situate sulla loro membrana cellulare e chiamate ligandine (proteine Y e Z). Dopo che è stata introdotta nell’epatocita, la bilirubina viene legata, o coniugata, con l’acido glicuronico. Questo processo metabolico, detto glicuronazione, si rende necessario perché la bilirubina non coniugata non è solubile nell’acqua e, pertanto, non potrebbe essere escreta con la b. Completata la glicuronazione, la bilirubina coniugata, o diretta, viene escreta nei canalicoli biliari con i quali l’epatocita è a contatto e passa nell’intestino. Essendo una struttura polare, cioè solubile in acqua, non viene riassorbita dalla mucosa intestinale: ciò ne consente l’eliminazione con le feci, della cui colorazione è responsabile. La flora batterica intestinale ne modifica la struttura con formazione di urobilinogeno che, al contrario della bilirubina coniugata, viene riassorbito dalla parete intestinale e, attraverso la vena porta, torna al fegato (circolo entero-epatico). Dal fegato l’urobilinogeno viene in parte riescreto nella b., in parte reimmesso in circolo e, pertanto, passa nelle urine attraverso il filtro renale. Quando la bilirubina aumenta in circolo a causa di varie malattie epatiche, essa tende a localizzarsi in vari tessuti e liquidi organici, ed è responsabile della colorazione giallastra della cute e delle sclere che è l’ittero.La sua funzioneNell’intestino la b. interviene nei processi digestivi emulsionando le gocciole di grassi presenti nel chimo, facilitandone così la digestione ad opera di enzimi e l’assorbimento da parte della mucosa. Malattie del fegato o delle vie biliari (per es. infiammazioni, tumori, calcolosi) possono ostacolare o comunque alterare in vario modo i processi di produzione ed escrezione della b. In questi casi si può avere tra l’altro passaggio nel sangue di componenti biliari e colorazione giallastra della cute (ittero), emissione di urine di colore scuro contenenti sali o pigmenti biliari, eliminazione di feci untuose e ricche di grassi che non vengono assorbiti se la b. non giunge nell’intestino.

BILHARZIOSI

vedi SCHISTOMIASI

BILIARI

Della bile.

BILIARI, acidi

Sostanze di natura steroidea presenti nella bile. Alcuni di essi vengono prodotti dal fegato e costituiscono il principale prodotto di demolizione del colesterolo: sono gli acidi colico e chenodesossicolico. Altri acidi b. si formano invece nell’intestino, dai primi, per l’azione di vari microrganismi della flora batterica intestinale: sono gli acidi desossicolico e litocolico. Essi compaiono nella bile in quanto vengono assorbiti dalla mucosa intestinale nell’ileo, giungono attraverso la circolazione sanguigna portale al fegato, e da questo vengono escreti nelle vie biliari. Nella bile gli acidi b. sono per lo più coniugati con la glicina o con la taurina (dando così acido glicocolico, taurocolico, glicodesossicolico, taurodesossicolico ecc.), e si trovano in parte indissociati e in parte come sali dissociati. La quasi totalità dei sali biliari e degli acidi b. indissociati viene riassorbita attraverso la mucosa intestinale e ritorna al fegato per essere di nuovo escreta nella bile (circolazione enteroepatica dei sali biliari). La piccola quota che giunge nel colon viene metabolizzata dalla flora batterica intestinale: degli acidi che si formano il desossicolico viene riassorbito, mentre l’acido litocolico, essendo insolubile a temperatura corporea, non viene praticamente riassorbito, e quindi non compare che in tracce nella bile.La quota di acidi b. che non viene riassorbita neanche nel colon è eliminata con le feci. I sali biliari svolgono importanti funzioni nei processi di digestione e di assorbimento dei grassi: essi infatti ne facilitano l’emulsione, formano complessi idrosolubili con gli acidi grassi, attivano le lipasi intestinali, stimolano la riesterificazione degli acidi grassi e la sintesi del glicerolo dal glucosio nelle cellule della mucosa intestinale. Hanno inoltre un’azione coleretica in quanto aumentano il flusso della bile.Quando per processi patologici di varia natura (per es. per interruzione del flusso della bile nell’intestino, o per malattie intestinali che ostacolino il riassorbimento dei sali biliari e la loro circolazione enteroepatica) la loro funzione digestiva venga a mancare, il 20-30% ca. dei grassi ingeriti non può essere assorbito e viene eliminato con le feci.

BILIARI, pigmenti

Sostanze presenti nella bile, alla quale impartiscono il caratteristico colore giallo oro. I pigmenti b. derivano dal catabolismo dell’emoglobina liberatasi in seguito alla distruzione dei globuli rossi che hanno completato il loro ciclo vitale. Il distacco del ferro e l’apertura dell’anello porfirinico nell’eme porta alla formazione della biliverdina, che per la maggior parte viene ridotta a bilirubina.Queste trasformazioni hanno luogo nelle cellule fagocitarie della milza, del midollo osseo, del fegato e di altre sedi, ove avviene il processo di distruzione fisiologica dei globuli rossi.La bilirubina passa poi nel sangue, ove si trova legata all’albumina, e dal sangue nelle cellule epatiche: qui essa viene coniugata con acido glicuronico ed escreta nelle vie biliari sotto forma di mono- o di diglicuronide. Una piccola parte della bilirubina coniugata nel fegato passa nel sangue e si lega all’albumina.La bilirubina coniugata presente nella bile passa nell’intestino, subisce un processo di riduzione e si trasforma in urobilinogeno.Questo in parte passa nelle feci, viene ossidato e si trasforma in stercobilina, che contribuisce alla colorazione delle feci. In parte l’urobilinogeno viene riassorbito dalla mucosa intestinale, e attraverso la circolazione sanguigna portale torna al fegato: in certa quantità viene di nuovo escreto nella bile, in parte passa nella circolazione generale ed è eliminato dal rene con le urine. Il prodotto di ossidazione dell’urobilinogeno presente nelle urine è detto urobilina.In condizioni normali la bilirubina è presente nel plasma in quantità variabile da 0,2 a 1,2 mg%, di cui l’80-85% non coniugata. In rapporto alla modalità con cui le due frazioni vengono valutate mediante la reazione di Van den Bergh, la quota non coniugata e quella coniugata vengono denominate rispettivamente bilirubina indiretta e bilirubina diretta.In diverse condizioni patologiche si può avere un abnorme aumento della concentrazione di bilirubina nel sangue quando i suoi valori superano 1,5-2 mg%, la cute, le mucose visibili e le sclere diventano di colore giallastro (ittero). Quando l’aumento della bilirubina dipende da un’eccessiva distruzione di globuli rossi, o da un difetto dei meccanismi di captazione e di coniugazione a livello delle cellule epatiche, si avrà prevalentemente un aumento della bilirubina indiretta quando si ha un ostacolo al deflusso della bile nell’intestino (per calcoli, o tumori, o altri processi patologici a carico delle vie biliari extraepatiche) si osserverà un aumento della frazione di bilirubina diretta (cioè coniugata), in quanto la bile che ristagna nelle vie biliari è in parte riassorbita e passa nel sangue.

BILIARI, sali

Sali di sodio e di potassio degli acidi biliari coniugati con la glicina e con la taurina. Nella bile e nell’intestino sono soprattutto gli acidi biliari coniugati con taurina, che essendo acidi forti al pH ambientale si trovano come sali dissociati (anioni).I sali biliari (costituiti da acidi complessi, aventi una struttura chimica simile al colesterolo, e salificati da basi forti), giocano un ruolo essenziale nell’assorbimento dei grassi essi, infatti, agiscono come potenti agenti emulsionanti, favorendo la minuta suddivisione dei grassi, in modo che questi siano più facilmente attaccati dalla lipasi pancreatica.

BILIRUBINA

vedi BILIARI, PIGMENTI

BILIRUBINEMIA

Quantità di bilirubina nel sangue. È un indicatore della funzionalità del fegato e delle vie biliari.

BINGE EATING DISORDER

Quadro clinico caratterizzato da episodi di ingestioni di alimenti in gran quantità con perdita di controllo sul proprio comportamento, senza metodi di compenso.Il soggetto affetto da b. è tipicamente una donna in età adolescenziale e adulta obesa, ma anche normopeso. Il soggetto vorrebbe limitarsi ad un semplice assaggio, ma non riesce a smettere pur non volendo mangiare così tanto.Questa malattia va distinta dalla bulimia nella quale il soggetto mette in atto dopo l’assunzione dei cibi metodi di compenso (vomito, lassativi, esagerata attività fisica).

BIOCHIMICA

Scienza che studia i composti chimici di cui siamo formati e i processi chimici che avvengono tra di loro. Per esempio la b. ci permette di studiare i meccanismi con cui digeriamo i cibi e li trasformiamo in energia per le nostre cellule.

BIODISPONIBILITÀ

Parametro che rappresenta la quota di farmaco che è effettivamente in grado di svolgere la sua attività, quota peraltro condizionata dai processi dell’assorbimento e del metabolismo organici (definito in farmacologia come metabolismo di primo passaggio). Si parlerà d’alta b. di un farmaco, quando esso è assorbito completamente, distribuito rapidamente e non metabolizzato, quindi teoricamente dotato al 100% di attività terapeutica. Nel caso di somministrazione per via endovenosa la b. è il 100% per definizione. La b. varia a seconda della via di somministrazione del farmaco.

BIOELETTRICITÀ

Insieme di fenomeni di natura elettrica riscontrabili negli organismi viventi. Nel corpo umano ogni cellula mantiene una differenza di potenziale elettrico tra l’interno e l’esterno della sua membrana (potenziale di membrana) inoltre importanti funzioni quali la trasmissione degli impulsi nervosi e le contrazioni dei muscoli avvengono in base a fenomeni elettrici. Anche metodi diagnostici, quali l’elettroencefalogramma (EEG) e l’elettrocardiogramma (ECG), sfruttano l’esistenza di differenza di potenziale elettrico tra regioni diverse dell’organismo. Solo recentemente gli studi si sono estesi ai campi magnetici generati dalle correnti ioniche delle cellule, aprendo un nuovo e potenzialmente interessante campo d’indagine

BIOENERGETICA

L’analisi b. è un metodo di derivazione psicanalitica, proposto da Alexander Lowen, che combina terapia corporea e psicoterapia verbale. Il concetto di integrazione è basato sul fatto che mente e corpo formano un’unità. Noi siamo i nostri pensieri, emozioni, sensazioni, impulsi ed azioni. Il legame tra psicanalisi e b. è rappresentato da Wilhel Reich (1897-1957), che fu paziente ed allievo di Freud. Mentre Freud poneva attenzione soltanto alla produzione verbale dei pazienti, Reich introdusse nella psicoanalisi anche l’osservazione del corpo, come l’espressione degli occhi e del viso, la qualità della voce e i vari tipi di tensioni muscolari. Descrisse per primo quello che noi oggi chiamiamo linguaggio del corpo. Nello stesso modo in cui Freud notò una spaccatura fra memoria conscia ed inconscia, Reich notò una scissione fra le varie espressioni del corpo. Reich osservò che, appena questi pazienti iniziavano la terapia, le tensioni muscolari cambiavano. Le spalle e le braccia della persona depressa si rilassavano, le mascelle diventavano meno contratte e i denti meno serrati. La ragione per cui il paziente frenava gli impulsi e reprimeva i ricordi dolorosi era, in primo luogo, per evitare di mostrarsi vulnerabile. Quindi, allentando le tensioni muscolari croniche, il paziente sperimentava la propria vulnerabilità. Reich sperimentò come rilassare i muscoli cronicamente tesi mediante la pressione diretta. In questo modo il paziente poteva entrare in contatto con emozioni forti e a lungo dimenticate e con ricordi dolorosi. L’unità di mente, corpo ed emozioni divenne più chiara. Egli notò anche che, a questo punto, il paziente cominciava a sembrare più vivo, la sua pelle più rosea, i movimenti più spontanei, gli occhi più luminosi. Era come se avesse più energia: energia da Reich definita organismica o orgone. Alexander Lowen, paziente ed allievo di Reich, coniò per essa il termine di bioenergia. Lowen ampliò le finalità del lavoro corporeo e introdusse il lavoro bioenergetico a casa. Anziché limitarsi alla sola pressione e manipolazione delle tensioni muscolari croniche, egli definì alcune posizioni che potevano aiutare queste tensioni a rilasciarsi. Lowen osservò che blocchi muscolari impediscono il libero scorrere dell’energia. Per esempio, un diaframma cronicamente contratto, come una strozzatura, interrompe l’onda respiratoria, provocando una respirazione superficiale. Come risultato diminuisce l’apporto di ossigeno e cala il livello energetico. Secondo Lowen una persona il cui flusso energetico è bloccato, ha perso una parte della sua vitalità e della sua personalità. Questa perdita fa sì che questa persona si senta depressa, sia sempre il lotta e usi costantemente la forza di volontà per eseguire i compiti quotidiani.

BIOETICA

Disciplina che si occupa dei problemi etici suscitati dai progressi delle scienze biologiche. Da tali progressi è derivata la necessità di valutare i rischi connessi all’impatto ambientale e sociale delle nuove scoperte e delle nuove tecnologie, e l’esigenza di introdurre una normativa che regoli la ricerca biologica, limitandone o controllandone i settori di sperimentazione e di applicazione. Le tematiche che costituiscono motivo di riflessione b. possono essere molto vaste e il dibattito può estendersi fino a porre nuovi quesiti alla coscienza e alla ragione non solo degli scienziati, ma anche di legislatori e giuristi, oltre che dei potenziali fornitori delle nuove metodiche.Oggi il medico e lo scienziato si trovano nella possibilità di manipolare geni e cellule, di influire sulle più intime funzioni dell’organismo umano, di tenere in uno stato di vita artificiale individui considerati cerebralmente morti devono affrontare i problemi dell’aborto e dell’eutanasia, dei trapianti d’organo e della definizione esatta del concetto di morte: tutto questo apre a nuove interpretazioni del concetto di etica per il medico, il quale si trova ad affrontare problematiche che lo fanno riflettere sulla attualità di quanto è imposto dal “giuramento di Ippocrate” e dal “giuramento di Ginevra” del 1949, analogo a quello antico. È pertanto in via di elaborazione una nuova filosofia della vita, la b. appunto, che può essere definita come “quella parte della filosofia morale che riguarda gli interventi dell’uomo, e del medico in particolare, in campo biologico e medico”.L’elaborazione di ciò che è lecito e di ciò che non è lecito nell’ambito biomedico è però materia assai complessa e dibattuta, tant’è che in tutto il mondo esistono ormai centinaia di cattedre universitarie di b., riviste e trattati dedicati a questa disciplina, che coinvolge medici e filosofi, moralisti e teologi, biologi e politici. Un codice bioetico non è, al momento, facile da stilare, soprattutto per il legislatore, che prima o poi dovrà pronunciarsi sulla liceità e sui rischi di metodiche quali il dono di cellule seminali, le ibridazioni tra specie diverse, l’eutanasia attiva e passiva, la sterilizzazione coatta, le forzature terapeutiche, lo stesso aborto, la cui liceità legale non scioglie, in molti casi, le perplessità sulla sua liceità etica, e il cui tema è ora tornato di grande attualità, anche da quando è stata scoperta e introdotta sul mercato una pillola che consente di interrompere la gravidanza farmacologicamente.Data la complessità e la delicatezza dei problemi sollevati, in diversi Paesi sono state istituite Commissioni che hanno il compito di valutare i problemi morali posti dalle moderne sperimentazioni e tecnologie e di esprimere in merito pareri che servano da indicazione per interventi legislativi opportuni e da guida per l’opinione pubblica.Commissioni nazionali composte di esperti in vari settori della biologia, della medicina, della filosofia, del diritto e, talora, anche di persone comuni, sono state attivate dapprima negli Stati Uniti, poi in Francia e in alcuni Paesi europei, quali Regno Unito, Germania e Spagna.Recentemente anche il Parlamento Europeo ha proposto l’istituzione di una Commissione internazionale che consideri gli aspetti etici delle ricerche biologiche attuali. In Italia, i problemi relativi alla fecondazione artificiale sono stati già oggetto di studio da parte di una Commissione nel 1984. In un recente Convegno, tali problemi sono stati ripresi in considerazione, unitamente ad altri quali, per esempio, quelli posti dalla vivisezione tra le opinioni che sono emerse vi è quella, peraltro non da tutti condivisa, anzi discussa, che l’embrione umano sia da considerare come persona solo dopo il 14° giorno dal concepimento, quando ha inizio la differenziazione dei tessuti prima di questa data, ci si troverebbe di fronte a un pre-embrione: il problema del suo eventuale utilizzo per scopi scientifici e/o terapeutici dovrebbe essere risolto da scienziati consapevoli e regolato da normative di legge. Si tratta quindi di una questione aperta, una delle tante affrontate dal nuovo Comitato nazionale per la b., insediato alla fine di marzo 1990, che comprende 40 esperti, tra cui anche teologi e giuristi.Genetica e bioeticaAttualmente l’attenzione degli scienziati e dell’opinione pubblica sembra focalizzata sui possibili pericoli intrinseci agli sviluppi dell’ingegneria genetica. Il bisogno di avere dei limiti in questo settore è stato in primo luogo sentito dagli stessi biologi molecolari che, dopo gli esperimenti pionieristici sul DNA ricombinante, hanno sospeso per un certo periodo questo tipo di studi. Solo in seguito al convegno di Asilomar nel 1975, in cui di comune accordo vennero stabilite varie misure di sicurezza, la sperimentazione fu ripresa. I progressi dell’ingegneria molecolare (o genetica) consentono ora di inserire nuovi geni in organismi che ne sono privi, per dotarli di nuove funzioni o per migliorarli.
Si possono così ottenere vegetali più resistenti o animali che, per esempio, hanno una crescita maggiore o maggior produttività l’immissione nell’ambiente o sul mercato di questi vegetali e animali transgenici può suscitare timori nell’opinione pubblica e necessita di controlli. Ci si preoccupa, in sostanza, della possibilità di creare in laboratorio dei “mostri” che, immessi nell’ambiente, possono sconvolgerne l’equilibrio in modo catastrofico.I problemi etici più sentiti vengono tuttavia dalla possibilità di applicare all’uomo queste nuove tecnologie. In particolare essi riguardano la diagnostica e la terapia genica delle malattie ereditarie.La diagnostica genica delle malattie ereditarie si avvale ora di sonde e di marcatori di restrizione e permette di individuare geni mutati anche prima che siano note le alterazioni nelle proteine per le quali essi codificano. Questi progressi possono consentire da un lato una diagnosi prenatale precoce, compatibile con un aborto terapeutico, dall’altro il riconoscimento degli adulti che portano i geni difettosi. Talora sorgono problemi drammatici riguardo alle informazioni da dare ai soggetti interessati essi possono essere destinati ad ammalarsi di una malattia grave e incurabile di contro hanno il diritto di decidere riguardo alla loro pianificazione familiare. La corea di Huntington, per esempio, è una malattia dovuta a un Gene dominante che si esprime di solito intorno ai 30-40 anni e provoca disturbi neurologici, ingravescenti fino alla demenza, per i quali non esiste una terapia adeguata.Dopo che tale gene è stato localizzato sul cromosoma 4, è stata possibile sia la diagnosi prenatale sia l’identificazione dei portatori adulti ma gli scienziati stessi sono discordi sull’opportunità di sottoporre a test i soggetti a rischio che costituiscono il 50% dei figli di un genitore malato.La terapia genica, d’altronde, è ancora a livello sperimentale. I suoi obiettivi sono attualmente limitati a malattie dovute a un singolo gene recessivo, i cui effetti, reversibili, si manifestino in un tessuto in attiva proliferazione bersaglio d’elezione, le malattie del sistema ematopoietico. Il protocollo tipo di tale malattia comporta il prelievo dal paziente di cellule malate, la loro coltura in vitro, l’inserimento nel loro genoma della forma normale del gene difettoso e infine il reimpianto delle cellule così trasformate.I problemi maggiori derivano dal fatto che i vettori più efficaci di geni sono di norma virus il cui inserimento nel genoma umano potrebbe avere conseguenze anche gravi. Inoltre, la localizzazione del nuovo gene e il numero di copie di esso che vengono introdotte è del tutto casuale mentre può essere assente una normale regolazione.A questi problemi tecnici, alcuni dei quali peraltro in via di soluzione, sono correlati quelli bioetici e le normative che regolano la sperimentazione. Negli USA, per esempio, affinché i protocolli sperimentali siano approvati devono essere soddisfatti vari requisiti: la malattia deve essere mortale e incurabile in altro modo, inoltre la trasformazione deve avvenire solo a livello di cellule somatiche e non di cellule germinali.Questioni di carattere bioetico sono state sollevate anche in relazione al cosiddetto progetto genoma che ha come scopo la decifrazione di tutto il patrimonio genetico dell’uomo. Esse riguardano la possibilità che i dati ottenuti siano usati per discriminare individui o popolazioni che portino geni svantaggiosi. Peraltro le modalità di sviluppo del progetto prevedono due fasi: nella prima verranno utilizzati frammenti di DNA di varia provenienza e anonimi soltanto nella seconda si passerà all’indagine sulle caratteristiche individuali sarà questa la fase che comporterà probabilmente le maggiori difficoltà, e non solo di ordine bioetico.La terapia genica e il progetto genoma sono da considerare soprattutto in prospettiva futura sono invece attuali le situazioni difficili determinate dai progressi in altri settori delle scienze biomediche, per esempio dalle possibilità che offre la tecnica della fecondazione in vitro (FIV).Nella procreazione naturale, l’ovulo femminile viene fecondato dallo spermatozoo entro la tuba della donna poi lo zigote si trasferisce nell’utero, ove si impianta e progredisce nello sviluppo embrionale.Vari problemi possono ostacolare lo svolgersi di questo processo a molti di essi oggi è possibile ovviare.
Se, per esempio, il partner maschile di una coppia è sterile, si può effettuare inseminazione artificiale con sperma di un donatore sconosciuto. Se invece la sterilità è femminile e dipende dall’ovulazione, gli ovuli di una donatrice possono essere fecondati in vitro dallo sperma del partner. Si ottengono così vari embrioni uno di essi viene impiantato nell’utero della donna precedentemente sterile che potrà portare a termine una normale gravidanza. Se la donna ha problemi a livello delle tube, e questo è il caso più frequente, per la FIV si possono usare i suoi stessi ovuli, dopo aver provocato artificialmente una fecondazione multipla. Ancora, se la sterilità ha origine uterina, dopo la FIV si può trasferire l’embrione nell’utero di un’altra donna utero in affitto.In ogni caso la FIV comporta la produzione di un eccesso di embrioni e pone il problema del loro congelamento e della loro conservazione in previsione di gravidanze future. Il destino di questi embrioni è stato recentemente causa di gravi controversie tra coniugi divorziati, e decidere della loro sorte diventa particolarmente difficile qualora entrambi i genitori siano deceduti.Altre questioni riguardano, per esempio, la possibilità di utilizzare queste tecniche anche per coppie che abbiano già figli, o il diritto del bambino di conoscere il genitore genetico che ha donato l’ovulo o lo sperma. La mercificazione in questo settore poi, e in particolare quella delle madri in affitto, costituisce un’ulteriore, non semplice problema, degno di riflessione. È inoltre da risolvere il problema posto dalla scienza dell’utilizzazione degli embrioni per fornire cellule, tessuti o organi (vedi scheda BIOETICA).

BIOFEEDBACK

Parola inglese difficilmente traducibile che indica la capacità dell’organismo di autoregolarsi, controllando i risultati delle proprie reazioni.Fin dai tempi più antichi i fachiri, i monaci zen e i maestri yogi sono riusciti a controllare alcune reazioni del corpo: infilarsi spilloni nella pelle, camminare sui carboni ardenti, rimanere sepolti per lunghi periodi di tempo.La medicina occidentale ha sempre guardato con sospetto queste manifestazioni, considerandole stravaganti e di scarso interesse scientifico. Oggi, la tecnica definita b. ha dimostrato che alcune attività del corpo, fino a oggi considerate al di fuori del controllo della volontà, possono invece essere sottoposte, almeno in parte, al volere della mente. Del resto è anche vero il contrario: i pensieri influenzano la temperatura del corpo, modificano le onde cerebrali, aumentano i battiti del cuore.Le applicazioni che si possono ricavare dallo sviluppo di queste tecniche sono numerose. La sua efficacia si è dimostrata rilevante in alcuni tipi di disturbi: asma, ansia e attacchi di panico, cefalea da tensione, insonnia, ipertensione arteriosa, malattia di Raynaud, soglia di percezione del dolore, riabilitazione in seguito ad incidenti o paralisi. Un campo di recente e attualmente diffusa applicazione di tecniche di b. è il controllo degli sfinteri anale e vescicale, e il b. è comunemente utilizzato nei trattamenti di riabilitazione dei muscoli perineali in caso di incontinenza urinaria e/o fecale.Le sedute terapeutiche moderne di b. utilizzano generalmente apparecchiature elettroniche aventi la finalità di portare a livello di coscienza le variazioni del parametro fisiologico oggetto del trattamento (es.: l’apparecchio si illumina se è contratto il muscolo desiderato). L’operatore sanitario (medico, fisioterapista) guida il paziente nella esecuzione delle tecniche appropriate e sottolinea e illustra i risultati conseguiti e le eventuali variazioni indotte nel parametro fisiologico desiderato.

BIOINGEGNERIA

Scienza che studia le possibili interazioni tra l’ingegneria e la biologia, con particolare riguardo alle applicazioni pratiche in campo medico. Nello specifico ha lo scopo di progettare e realizzare apparecchiature scientifiche impiegate per la diagnosi e la terapia delle malattie (Risonanza Magnetica Nucleare, TAC spirale, PET ecc.) ricercare nuovi materiali sempre più biocompatibili da utilizzare come materiale protesico, nella costruzione di apparecchiature di supporto alle funzioni vitali (macchina cuore-polmoni, macchina per emorecupero e autotrasfusione, macchina per emodialisi ecc.) e nel settore degli organi artificiali effettuare ricerche nel campo della robotica.

BIOLOGIA

Scienza che studia gli organismi viventi e le leggi che ne regolano la vita e le funzioni. Si suddivide in molte discipline secondo l’ambito di studio: b. generale, b. speciale applicata e b. molecolare, branca della b. moderna relativamente recente che studia le strutture elementari della materia vivente, in particolare il materiale genetico racchiuso nelle catene del DNA e dell’rna. Dalla b. molecolare è derivata l’ingegneria molecolare che, attraverso sofisticate tecniche, è oggi in grado di intervenire sulla struttura stessa delle catene del DNA e dell’RNA.

BIOMAGNETISMO

Generazione di campi magnetici da parte degli organismi viventi, come conseguenza delle correnti elettriche che percorrono le cellule.

BIOMATERIALI

Nome attribuito alle sostanze preparate per sintesi, che dovrebbero vicariare alcune funzioni tipiche della materia vivente. Tipici b. sono i materiali protesici come quelli impiegati nella chirurgia vascolare, ortopedica ecc (vedi scheda BIOMATERIALI).

BIOMICROSCOPIA

In oculistica, esame microscopico dell’occhio effettuato con particolari apparecchi (lampada a fessura e microscopio corneale) che consentono di esaminare l’organo nella sua sede naturale, in particolare la congiuntiva, la cornea, il cristallino, il vitreo e la camera anteriore dell’occhio, anche il fondo oculare e l’angolo irido-corneale (gonioscopia).

BIOPSIA

Prelievo di un frammento di tessuto o di organo da un organismo vivente per sottoporlo ad esame microscopico tale indagine permette di ottenere elementi o informazioni importanti per la diagnosi di molte malattie, quali tumori, malattie del fegato, del rene, della cute, delle linfoghiandole ecc.La b. viene effettuata con tecniche diverse a seconda dell’organo da esaminare, della sua struttura e della sua accessibilità, utilizzando eventualmente opportuni aghi sotto guida ecografica o TAC, o sonde, o particolari strumenti per l’esame di cavità accessibili dall’esterno (b. delle mucose bronchiale, gastrica, intestinale ecc.) o ricorrendo a veri e propri interventi operatori (come in caso di biopsie cutanee, linfoghiandolari, muscolari).Talvolta la b. viene eseguita nel corso di un intervento chirurgico (b. incisionale o b. escissionale) e il tessuto trattato in modo particolare per consentire un esame microscopico immediato (b. estemporanea): tale operazione consente spesso di chiarire la natura del processo patologico in atto (benignità o malignità di una proliferazione tumorale), permettendo al chirurgo la scelta dell’intervento che riterrà più adatto al caso.

BIORITMO

Dicesi di attività biologica che si ripete ciclicamente. Nell’uomo diverse caratteristiche fisiche, biochimiche o funzionali dell’organismo presentano variazioni ritmiche con oscillazioni il cui periodo si avvicina alle 24 ore (ritmo circadiano), oppure con ritmo che appare dipendente dall’alternarsi della notte e del giorno (ritmo nictemerale).Le variazioni della temperatura corporea sono state le più studiate: essa oscilla continuamente raggiungendo i suoi valori più alti nel pomeriggio, quelli più bassi nelle prime ore dopo la mezzanotte. Anche la secrezione di urine, di elettroliti, di ormoni (per es. ormoni della corteccia surrenale), la frequenza del polso, la pressione sanguigna, l’attività cardiaca mostrano variazioni circadiane.L’esistenza di tali ritmi biologici è alla base dei disturbi che si osservano in quei soggetti che cambiano il fuso orario spostandosi in aereo da una zona all’altra della superficie terrestre.

BIOTECNOLOGIE

Tecnologie che utilizzano organismi viventi (germi, cellule di organismi superiori) o di parte di essi (proteine, geni) per creare o modificare, per usi diversi e peculiari, piante, animali, microrganismi o loro costituenti con il fine ultimo di produrre qualcosa di utile all’uomo. Possono in tal senso essere considerate forme antichissime di b. l’uso dei batteri del lievito per ottenere la lievitazione del pane, il caglio per produrre il formaggio e la fermentazione della birra e del vino. Agli inizi degli anni ’70 ha iniziato a svilupparsi una b. moderna, cosiddetta b. avanzata, che non si limita ad impiegare organismi viventi già esistenti in natura ma tende a modificare organismi esistenti per ottenerne di nuovi capaci di impieghi che offrano i vantaggi più disparati. Un esempio di questa b. avanzata è la manipolazione di alcuni batteri al fine di renderli capaci di produrre in quantitativi abbondanti e in condizioni di laboratorio asettiche e controllate l’insulina, un ormone necessario alla cura dei malati di diabete, che prima veniva estratta in piccoli quantitativi da cadaveri umani o animali. Altri impieghi della b. spaziano dalla produzione di farmaci, al miglioramento di varietà vegetali, all’impiego di batteri modificati a scopo antiinquinamento. In anni recenti l’uso sempre più diffuso del termine b. (per lo più nella sua variante plurale) soprattutto da parte dei media ne ha modificato e esteso il significato sino a portarlo a coincidere con quello di qualunque applicazione o conoscenza legata agli sviluppi della biologia (umana, animale o vegetale). La b. avanzata si avvale della cosiddetta ingegneria genetica, termine che vuole sottolineare l’obiettivo di modificare l’organizzazione del patrimonio genetico di un organismo. È infatti ormai stabilito che le istruzioni che stabiliscono e regolano la forma e le interazioni con l’ambiente esterno di un organismo risiedano nel suo DNA, molecola contenuta all’interno del nucleo di ogni sua cellula. Manipolando con varie tecniche (dette appunto di ingegneria genetica) il DNA di un microrganismo, i ricercatori in b. sono in grado di modificare in maniera stabile forma e funzione di un organismo vivente esempi di modifiche già ottenute riguardano la produzione da parte di batteri di sostanze (come l’insulina) che prima il loro metabolismo non producevano o il rendere una determinata pianta capace di sopravvivere in condizioni climatiche decisamente più ostili rispetto a quelle tradizionali per la specie. Le potenzialità della b. sono come si può immaginare moltissime, e i campi in cui le applicazioni sono già oggi di straordinaria utilità (farmaci, vaccini, industria, agricoltura) sono innumerevoli. È evidente che lo sviluppo e le potenzialità della b. e dell’ingegneria genetica portino con sé straordinario interesse, ma anche diversi gradi di competenza e comprensione dei problemi e delle tecniche, implicazioni tecniche, industriali, economiche ma anche etiche e filosofiche estremamente diverse. Il dibattito fra scienziati, politici, giornalisti, uomini di cultura e di religione è intenso e a volte estremamente conflittuale, viziato talvolta da pregiudizi ideologici ed incomprensioni tecniche e scientifiche.La bioetica è la nuova branca dell’etica che si occupa specificamente di queste problematiche, ed è scienza anch’essa in grande sviluppo e di sempre maggiore rilevanza pratica nella vita quotidiana di tutti noi.

BIOTINA

Vitamina idrosolubile del gruppo B contenente zolfo, detta anche vitamina H. La b. è una piccola molecola abbastanza stabile al calore, soprattutto in soluzioni acquose, ma viene rapidamente distrutta dai raggi ultravioletti. Con la cottura, grazie alla combinazione di ossigeno e calore se ne può perdere anche fino al 60%. Essa svolge un ruolo fondamentale nel metabolismo e in particolare è un coenzima in diverse carbossilasi, enzimi che catalizzano l’incorporazione della CO2 in molte molecole. Partecipa alla sintesi di acidi grassi, del glucosio e delle basi puriniche dei nucleotidi. La b. è introdotta esclusivamente con gli alimenti. Fonti naturali di b. sono le carni di bue, vitello, maiale, agnello e pollo, cavolfiore, funghi, carote, pomodori, spinaci, fagioli, piselli secchi, mele, latte umano e vaccino, pesci, uova e formaggi. Non esistono informazioni sufficienti per stabilire il livello di assunzione raccomandato (LARN). Il livello medio di assunzione europeo è compreso fra 15 e 100 µg /giorno. Un eccessivo consumo di uova crude o alla coque può determinare ipovitaminosi in quanto l’albume contiene una proteina che rende indisponibile la b., impedendone l’assorbimento intestinale. Il deficit di b., estremamente raro, si manifesta con alterazioni a carico della cute (desquamazioni).
Le deficienze di biotina si rendono visibili con una dermatite in cui la cute assume un aspetto secco e rugoso, accompagnata da pallore, dolori muscolari e facile affaticabilità. Un’evenienza che può manifestarsi ingerendo grandi quantità di albume crudo. Il bianco dell’uovo, infatti, contiene una proteina chiamata avidina che si lega con tenacia alla biotina sottraendola all’assorbimento intestinale. Ma basta consumare cotte le uova, in quanto il calore toglie a questo componente dell’albume la capacità di sequestrare la biotina.

BIOTIPO

Complesso dei caratteri morfologici, funzionali e psicologici propri di ciascun uomo, che risultano dall’interazione tra le sue caratteristiche genetiche e le condizioni ambientali in cui esso cresce e si sviluppa e che fanno dello stesso qualche cosa di unico, un individuo diverso dagli altri.

BIOTIPOLOGIA

Branca della medicina che si occupa della classificazione e dello studio dei tipi costituzionali e indaga i rapporti esistenti tra caratteristiche morfologiche e funzionali e stati morbosi a cui i diversi tipi costituzionali possono andare più facilmente soggetti.

BIPOLARE, disturbo

Malattia psichiatrica caratterizzata dall’alternarsi di normali stati dell’umore con episodi di mania e depressione. Il disturbo b. generalmente inizia nell’adolescenza o nell’età giovanile-adulta e si ripresenta nell’arco della vita con frequenza variabile, ma in genere si intensifica o peggiora con gli anni spesso non viene riconosciuto come malattia e chi ne è affetto può continuare a soffrirne per anni o addirittura decenni.

Cause
Diversi membri della stessa famiglia possono presentare questa patologia per cui si pensa che in molti casi sia determinata da una componente genetica. La malattia negli altri membri della famiglia può essere più o meno grave o sfumata, e può anche presentare solo gli aspetti depressivi. Non è raro trovare un membro della famiglia particolarmente dinamico, produttivo e “pieno di energia” (ipomaniacale), mentre un altro membro è costantemente instabile a causa di una depressione grave o di gravi crisi maniacali.

Sintomi
I periodi di mania e di depressione insorgono senza alcuna causa apparente e sono intervallati da altri periodi di normalità, nei quali comunque il soggetto rivela una personalità di tipo ciclotimico (alternanza di depressione e buon umore, socievolezza, risonanza affettiva con l’ambiente). Nei periodi maniacali il soggetto è eccitato, euforico, con iperattività, sensazione di non stancarsi mai (diminuisce il bisogno di sonno), ideazione vivissima, fuga di idee, facilità a distrarsi tale eccitazione può portare a comportamenti inappropriati (acquisti folli, guida pericolosa, abuso di droghe, comportamento sessuale diverso dal solito) oppure la successione di idee diverse può farsi talmente rapida da impedire di compiere qualsiasi azione (a un’idea ne succede immediatamente un’altra, senza soluzione di continuità). Nelle fasi depressive, il sintomo dominante è la malinconia, con sentimento intenso di tristezza, povertà ideativa, abulia, spesso ansia. Talvolta una persona può sperimentare solo episodi di mania o solo episodi di depressione alternati a periodi asintomatici.

Diagnosi
La diagnosi precoce è fondamentale per poter instaurare un trattamento efficace. Un valido aiuto nel porre diagnosi di bipolarità è la presenza del disturbo in una delle sue varianti in almeno un famigliare.Per porre diagnosi sicura di mania, deve presentarsi un distinto periodo di anormale e persistente elevazione del tono dell’umore, con caratteristiche di espansività o irritabilità. I disturbi dell’umore devono essere abbastanza gravi da compromettere le attività di studio, di lavoro o le capacità di relazione sociale. Per la diagnosi di depressione è necessario un periodo di almeno due settimane con perdita di interesse o di piacere in tutte o buona parte delle attività. La depressione deve essere abbastanza grave da produrre una modificazione nell’appetito, nel peso corporeo, nel sonno o nella capacità di concentrarsi così come deve essere presente un sentimento di colpa, di inadeguatezza o disperazione possono anche essere presenti pensieri di morte o suicidio. È importante escludere che questi sintomi siano causati da farmaci o patologie internistiche. Il medico deve eliminare questa possibilità sottoponendo il paziente ad accertamenti medici può anche essere necessaria una visita neurologica.

Terapia
La cura principale del disturbo b. è farmacologica. Nel trattamento della fase acuta della mania sono usati antipsicotici o neurolettici, e altri farmaci come il diazepam o altre benzodiazepine. Per prevenire le ricadute sono utilizzati farmaci stabilizzatori dell’umore, come il litio e alcuni anticonvulsivanti. Durante le fasi depressive della malattia vengono utilizzati antidepressivi.In caso di episodi acuti e gravi, può rendersi necessario costringere il paziente a farsi curare in ambiente ospedaliero, per tutelarlo e per praticare una terapia adeguata.
Fondamentale, in questa fase, l’appoggio dei famigliari e degli amici che devono dare all’ammalato incoraggiamento e sostegno.

BISACODIL

Farmaco lassativo di tipo irritante o stimolante, aumenta la motilità intestinale. Va assunto alla sera, con una adeguata quantità di acqua, per ottenere una evacuazione al mattino. Dose: 10 mg/die. Gli effetti collaterali sono spasmi colici. Il b. non deve mai essere usato, come tutti i lassativi, per piu di 7 giorni consecutivi. Se la stipsi persiste, consultare il medico per approfondimenti diagnostici.

BISESSUALITÀ

In psicosessuologia b. indica l’orientamento sessuale di un individuo che trae piacere e soddisfazione erotica nell’avere rapporti con persone dello stesso e dell’altro sesso. Da non confondere con l’ermafroditismo, ossia la coesistenza, nello stesso individuo, di caratteristiche anatomiche sessuali di entrambi i sessi.La teoria Freudiana dà una notevole importanza al concetto di b. biologica (la duplice potenzialità embrionale secondo cui ciascun essere umano può lasciar emergere in sé una supposta “parte” psicologica corrispondente al sesso opposto) considerandola un fenomeno universale che ha una ricaduta anche sulla sfera psichica.Riguardo all’orientamento sessuale, vi sono persone che hanno sentimenti e fantasie di tipo omosessuale pur continuando a vivere una vita eterosessuale e altre che, sebbene abbiano avuto in passato rapporti con lo stesso sesso, non hanno sviluppato un orientamento in tal senso.Spesso la b. rappresenta un periodo di transizione tra l’etero o l’omosessualità, oppure un “esperimento” o “una fase di passaggio dell’adolescenza” o ancora semplicemente una scelta “circostanziale”, come nel caso in cui ci si trovi detenuti in un carcere per un lungo periodo di tempo.Ad ogni modo, le persone con esperienza bisessuale di solito hanno una chiara preferenza per l’uno o l’altro sesso.

BISMUTO

Sali di bismuto come il carbonato e il sottonitrato sono stati largamente usati in passato come protettivi nell’ulcera gastrica e come antidiarroici sono stati abbandonati per i loro effetti collaterali. Può provocare una colorazione nera della lingua e delle feci. I suoi composti salicilati usati come terapia antidiarroica possono dare tinniti a causa dell’assorbimento dei salicilati.

BISOGNO

Spinta o pulsione presente nell’individuo a soddisfare una propria esigenza attivando un comportamento finalizzato.Si ha nel b. il coesistere di due fattori fondamentali: la presenza di una esigenza/richiesta e la manifestazione di un comportamento motivato e finalizzato per soddisfarla. Infatti l’individuo è in interazione con l’ambiente esterno in tale rapporto si modificano continuamente sia le condizioni ambientali sia quelle più specificamente individuali.Un b. nasce allorché si è prodotto uno squilibrio, e tale squilibrio è sempre rapportabile alla relazione esistente tra l’individuo e l’ambiente. La fame è considerata come un b. primario: la sensazione di aver fame comunica all’individuo che l’equilibrio esistente nei confronti dell’ambiente, inteso in termini di energie utilizzabili, forza, capacità di iniziativa, lucidità ecc., si va alterando. A questo punto viene attivato un comportamento, motivato dalle particolari sensazioni organiche che si sono prodotte e che risulta finalizzato alla soddisfazione del b. tramite la ricerca di alimenti: l’obiettivo finale è quello di ristabilire l’equilibrio perso.Altri bisogni primari, quelli cioè che sembrano derivare esclusivamente da richieste provenienti dall’organismo e dalla sua fisiologia, sono la sete, il sonno, il b. di ossigeno (quest’ultimo non è avvertito direttamente dall’individuo, ma è comunque soddisfatto da un’attività riflessa: la respirazione infatti il centro deputato all’attività della respirazione viene sollecitato dall’aumento del tasso di ossido di carbonio presente nel sangue). La non soddisfazione dei bisogni primari descritti mette l’organismo in pericolo di sopravvivenza. Vi sono poi bisogni primari che però non mettono in pericolo diretto la sopravvivenza dell’individuo, almeno nel rapporto immediato di causa-effetto, sono l’attività sessuale, l’attività esplorativa (il b. di manipolare oggetti e situazioni, la “curiosità”) e l’attività cosiddetta “materna”. I bisogni, definiti come “secondari”, non sono direttamente motivati da specifiche modificazioni biologiche dell’organismo, bensì appaiono più chiaramente collegati a influenze tipicamente ambientali.Inoltre, la pressione della cultura sociale e le abitudini acquisite tendono a indurre nell’individuo il prodursi di bisogni che possono facilmente assumere lo stesso valore dei bisogni primari, come nel caso dell’affermazione personale, della carriera nel lavoro, della lotta politica ecc. La presenza di un b. è comunque sempre individuata dall’attivazione di un comportamento motivato e finalizzato. Nel caso in cui quest’ultimo manchi, non c’è b.: anche se viene esplicitamente dichiarato, la mancanza di attivazione di comportamenti specifici diventa sintomo di copertura/soddisfazione di altri bisogni non dichiarati e non presenti a livello di coscienza. Il dichiarare di avere un b., e non attivare comportamenti specifici per soddisfarlo, significa fuorviare gli altri e se stessi circa la vera natura del b., che può essere molto diversa da quella effettivamente dichiarata.

BISTURI

Caratteristico strumento chirurgico tagliente che può avere forme e dimensioni diverse: serve per incidere tessuti. In un solo pezzo e a lama fissa (ormai solo monouso), attualmente è molto spesso a lame intercambiabili. Gli strumenti di proporzioni più grandi sono a lama fissa, come gli amputanti, i tenotomi (per tendini) ecc.

BISTURI A ULTRASUONI

Strumento che provoca una emostasi efficace e circoscritta a basse temperature.

BISTURI AD ARGON

Utile soprattutto per la dissezione-coagulazione dei parenchimi come quello epatico.

BISTURI ELETTRICO

Apparecchio che utilizza correnti ad alta frequenza per incidere e provocare l’emostasi dei piccoli vasi sezionati con i tessuti.

BLASTOCISTI

Denominazione dell’embrione durante le prime fasi del suo sviluppo, quando esso ha l’aspetto di una vescicola tale fase corrisponde al periodo compreso dal 5° al 7° giorno circa dal momento in cui è avvenuta la fecondazione dell’uovo. La parete della b. è costituita da uno o più strati di cellule sovrapposte la cavità è detta blastocele. Le cellule che daranno origine al corpo dell’embrione costituiscono una masserella che sporge verso l’interno della cavità (bottone cellulare interno o embrioblasto), mentre le cellule della parete costituiscono il trofoblasto. La b. al 6°-7° giorno, quando si attacca alla mucosa dell’utero, ha dimensioni di 250 µm ca., appena superiori a quelle dell’uovo fecondato. La fecondazione dell’uovo avviene nella tuba circa 24 ore dopo l’ovulazione. Successivamente hanno inizio le suddivisioni cellulari e l’impianto nell’utero avviene circa una settimana dopo l’ovulazione allo stadio di b.La prima fase dello sviluppo è costituita dalla segmentazione. Essa consiste in una serie di mitosi successive, quindi la cellula-uovo si divide in un numero sempre maggiore di cellule che prendono il nome di blastomeri. Col progredire della segmentazione, lo zigote percorre la tuba di Falloppio, in questo aiutato dal movimento delle ciglia dell’epitelio dell’organo, e quando raggiunge lo stadio costituito da 12 a 16 blastomeri prende l’aspetto e il nome di morula.I blastomeri più interni danno origine ai tessuti embrionali, mentre quelli più esterni formano il trofoblasto, dal quale si sviluppano gli annessi embrionali, cioè quelle strutture destinate a svolgere le funzioni di scambio e di regolazione fra madre e feto nel corso dello sviluppo successivo, fino alla nascita. Allo stadio di circa 16 blastomeri, la morula raggiunge la cavità uterina (nel tempo di circa 3-5 giorni dalla fecondazione) e qui subisce una serie di modificazioni caratteristiche che condizionano tutto lo sviluppo successivo.Durante questa settimana l’uovo in via di sviluppo non ha contatto diretto con l’organismo materno ed è protetto da diversi agenti potenzialmente pericolosi (tali sono, per esempio, virus, batteri, farmaci sostanze chimiche ecc.).Può essere tuttavia suscettibile ad agenti esterni, come radiazioni, e l’impianto è condizionato dall’anatomia dell’utero e dallo stato di salute dell’endometrio. In questa fase è probabile che fattori potenzialmente teratogeni abbiano sulla b. un effetto letale piuttosto che malformativo. In realtà sembra che almeno il 25% delle uova fecondate si perda prima dell’impianto e ciò prevalentemente come risultato di un’anormale costituzione genetica.Questi sono i cosiddetti microaborti, i quali insieme agli aborti che avvengono in fase più avanzata di gravidanza rappresentano quei processi di selezione naturale contro gli organismi anormali, che iniziano già prima dell’impianto e continuano poi dopo la nascita. Più è grave l’anomalia del prodotto del concepimento più precoce è la sua eliminazione da parte dell’organismo materno.

BLASTOMICOSI

Malattie provocate da funghi microscopici appartenenti al genere Blastomyces. Sono diffuse soprattutto in alcune zone del continente americano, dell’Africa e del Medio Oriente e se ne distinguono due forme principali.

- La b. nordamericana, detta anche malattia di Gilchrist, è provocata da Blastomyces dermatidis e si osserva in particolare in alcune regioni sudorientali degli Stati Uniti il fungo può penetrare nell’organismo attraverso una ferita cutanea, oppure, per inalazione, con l’aria inspirata. Nel primo caso esso provoca lesioni della cute, in quanto determina un processo infiammatorio cronico granulomatoso nelle sedi interessate (di solito mani, avambracci, volto) con tendenza alla suppurazione e alla fibrosi. Se invece il microrganismo penetra per via aerea, si avranno focolai infiammatori disseminati nel tessuto polmonare. Tanto la forma cutanea quanto quella polmonare possono essere seguite, dopo molto tempo, da una disseminazione del fungo ad altre sedi dell’organismo, con comparsa di sintomi generali quali febbre, malessere, dimagramento.

- La b. sudamericana è provocata da Blastomyces (o Paracoccidioides) brasiliensis. Il fungo penetra di solito attraverso la mucosa nasofaringea o buccale, determinando lesioni ulcerose di solito accompagnate da ingrossamento dei linfonodi laterocervicali e interessamento della cute.Anche in questa forma si può avere una disseminazione dell’infezione a organi interni.La diagnosi delle b. può essere molto difficile e richiede l’individuazione e l’isolamento del fungo dai tessuti colpiti. Caratteristica è la comparsa simultanea di lesioni ossee, polmonari e cutanee. La prognosi delle forme disseminate è grave.

La terapia delle b. si fonda sull’impiego di antibiotici e chemioterapici, somministrati per via topica (nistatina, derivati azolici) o per via generale (itraconazolo, anfotericina B).

BLEFARITE

Processo infiammatorio interessante il margine delle palpebre, spesso associato a contemporanea infiammazione della congiuntiva (congiuntivite).

Cause
Può essere dovuta a infezione di queste strutture da parte di germi, a irritazione da parte di fattori ambientali (fumo, polveri), eventualmente associate a predisposizione allergica dell’organismo o ad un cattivo stato di salute del soggetto (diabete, gotta, processi infiammatori a livello nasale e dei seni paranasali, eczemi ecc.).

Sintomi
Spesso inizia con un leggero gonfiore e arrossamento, talora vengono a formarsi tra le ciglia minuscole squame. La presenza di piccole ulcere e di piccoli ascessi è indice di una forma più grave, nella quale c’è anche la possibilità di complicazioni il decorso è assai lungo.

Diagnosi
Ispezione delle palpebre.

Terapia
La cura, che deve essere effettuata sotto controllo medico, richiede la pulizia accurata della zona infetta e l’uso di adatte pomate che, generalmente, sono a base di antibiotici.

BLEFAROFIMOSI

Restringimento patologico dello spazio tra una palpebra e l’altra.

Cause
Può essere congenito, o rappresentare l’esito di infezioni croniche della congiuntiva o del bordo palpebrale, oppure essere conseguenza di ferite o ustioni delle palpebre.

Sintomi
La sua presenza altera in modo più o meno grave il meccanismo di apertura e chiusura delle palpebre, favorisce il persistere delle infiammazioni già stabilite in sede e può giungere fino al punto di intralciare la visione.

Diagnosi
Ispezione delle palpebre, visita oculistica

Terapia
Conservativa nei casi lievi, chirurgica in quelli più avanzati. In quest’ultima evenienza è necessario curare preventivamente il processo infiammatorio che ne è stato la causa.

BLEFAROPLASTICA

Intervento che mira a ricostruire con lembi cutanei la palpebra nei casi in cui una parte di essa sia andata perduta per traumi o dopo escissione di tessuto cicatriziale deturpante o retraente, in seguito ad asportazione di tumori. Tale intervento può essere anche di tipo esclusivamente estetico, qualora si attui su palpebre sane ma ptosiche (cioe cadenti) in seguito ai normali processi di invecchiamento dei tessuti.

BLEFAROPTOSI

Abbassamento permanente di una o di entrambe le palpebre superiori che determina parziale chiusura della rima palpebrale.La motilità delle palpebre è determinata da due gruppi di muscoli antagonisti (cioè che agiscono in senso contrario): l’orbicolare, a forma di anello, innervato dal nervo facciale, è deputato alla chiusura delle palpebre (particolarmente quella forzata) l’elevatore della palpebra superiore, innervato dal nervo oculomotore comune, e la muscolatura liscia o muscolo di Müller, innervata da alcuni rami del simpatico, sono invece deputati alla loro apertura. Nei casi di apertura forzata delle palpebre interviene anche il muscolo frontale, che contemporaneamente solleva il sopracciglio.

Cause
Può essere congenita (da difetto di sviluppo del muscolo elevatore della palpebra superiore), oppure conseguente a lesioni del nervo oculomotore comune (III paio dei nervi cranici, da cui partono le fibre destinate al muscolo), o del sistema nervoso simpatico cervicale. In altri casi, può essere la manifestazione di una malattia muscolare generalizzata.

Sintomi
Il paziente, per contrastare l’effetto dell’abbassamento palpebrale, tenta di sollevare la palpebra corrugando la fronte, o piega la testa all’indietro per far coincidere la pupilla con la rima palpebrale.

Diagnosi
Visita oculistica, visita neurologica.

Terapia
La terapia è diversa a seconda della causa in gioco, può far ricorso a interventi di chirurgia plastica.

BLEFAROSPASMO

Contrazione spastica intermittente o prolungata del muscolo orbicolare delle palpebre.

Cause
Si osserva in corso di malattie del sistema nervoso in soggetti isterici o in casi di malattie psichiatriche.

Sintomi
Il b. provoca la chiusura involontaria delle palpebre e sfugge, nella generalità dei casi, alla volontà del malato di riaprirle.

Diagnosi
Visita oculistica, visita neurologica, consulto psichiatrico.

Terapia
Varia a seconda della malattia all’origine del disturbo.

BLENORRAGIA

Infiammazione acuta o cronica delle vie urinarie, detta anche gonorrea, provocata da un germe detto gonococco. Quest’infezione è la più frequente e diffusa delle malattie veneree e si contrae quasi sempre in modo diretto attraverso i contatti sessuali, mediante la deposizione di pus blenorragico nelle vie genitali maschili o femminili. Meno facilmente essa si trasmette per mezzo di materiale infetto deposto su indumenti o biancheria (asciugamani, lenzuola). Altamente contagiosa, la gonorrea si presenta con caratteri clinici differenti nell’uomo e nella donna in quest’ultima la malattia può decorrere in forma inapparente o quasi e, pertanto, vi è la possibilità che una donna infetta trasmetta la malattia senza esserne al corrente.

Cause
La gonorrea è sostenuta da un germe Gram-negativo, il gonococco (Neisseria gonorrhoeae) il quale viene facilmente evidenziato nelle secrezioni genitali. Al microscopio il gonococco risulta formato da una coppia di elementi, la cui forma viene paragonata a quella di due chicchi di caffè che si guardano con le loro facce piane. Questi germi si rinvengono sia all’interno che all’esterno dei leucociti e si mettono in evidenza facilmente mediante la colorazione con il metodo Gram.

Sintomi
Le manifestazioni cliniche della b. sono molto più vistose nell’uomo. Avvenuto infatti il contagio, i germi che si trovano in prossimità del meato urinario, ossia dello sbocco esterno dell’uretra, vi penetrano e cominciano a svilupparsi determinando, a distanza di poco più di un giorno, un prurito che si fa sempre più intenso trasformandosi successivamente in un violento bruciore. Dopo un periodo d’incubazione di 48/72 ore, il meato uretrale si presenta arrossato, edematoso, congesto dopo poche ore, alla semplice spremitura, ma anche spontaneamente, si ha la fuoriuscita di abbondante pus (scolo) giallo-verdastro. La sensazione soggettiva di bruciore si fa sempre più intensa e talvolta rende difficile la minzione. Possono comparire inoltre erezioni frequenti, prolungate e dolorose, eccitazione sessuale dovuta alla congestione uretrale, emissione discontinua di urina a getto sottile si possono associare cefalea, astenia, svogliatezza, pallore, febbre, ma, generalmente, la malattia decorre senza gravi sintomi generali. Se si fa urinare il paziente in due bicchieri (prova di Thompson), si nota che l’urina contenuta nel primo bicchiere è torbida, e in essa galleggiano numerosi fiocchi e filamenti, alcuni dei quali si portano rapidamente al fondo. Le urine del secondo bicchiere invece sono limpide. In tal caso, si dice che il malato è affetto da uretrite anteriore gonococcica acuta: si parla di uretrite anteriore perché il processo è localizzato alla primissima porzione dell’uretra in una dilatazione che viene chiamata, per la sua forma, fossetta navicolare. Se per trascuratezza o per cure inadeguate, questa forma non guarisce, la malattia si cronicizza. In tal caso, la secrezione diviene molto meno abbondante e anche la sintomatologia soggettiva si attenua parecchio. In questa fase, tuttavia, possono comparire le complicanze della gonorrea. Queste complicanze, oggi divenute piuttosto rare, erano un tempo assai temibili e si manifestavano con sintomi che denotavano il decorso ascendente della malattia. Questa, infatti, poteva colpire, oltre ad alcune ghiandole annidate nello spessore dell’uretra (ghiandole del Littré, ghiandole di Cowper), anche la prostata, le vescichette seminali, l’epididimo, la vescica. Non era raro un tempo, assistere anche a gravissime setticemie gonococciche mortali. Tra le complicanze che ancora oggi si possono osservare si devono ricordare la prostatite e l’epididimite. La prostatite si manifesta con sensazioni di pesantezza alla regione perianale, dolore alla defecazione e alla minzione. La palpazione della prostata per via transrettale risveglia vivo dolore e alla spremitura della ghiandola, nelle urine si raccolgono filamenti e fiocchi molto caratteristici.
L’epididimite, preceduta spesso da un arresto della secrezione di pus dall’uretra, insorge bruscamente e si manifesta con dolore vivissimo, spontaneo e alla palpazione, a livello del testicolo colpito, con tumefazione di tutto l’organo e dello scroto, con febbre elevata e compromissione dello stato generale. Se l’affezione è bilaterale e se non si interviene rapidamente con le opportune misure terapeutiche, si può andare incontro alla sterilità per ostruzione del dotto spermatico. Nella donna la gonorrea decorre con sintomi e segni molto meno vistosi che nell’uomo, tanto che a volte passa inosservata o viene trascurata. La gonorrea colpisce in genere il canale cervicale cioè quella parte dell’utero che mette in comunicazione la vagina con la cavità uterina. La sua sintomatologia è caratterizzata dalla presenza di abbondante secrezione purulenta giallo-verdastra dalle vie genitali. Ad un esame ginecologico praticato in queste fase, il cosiddetto muso di tinca, ovvero quella parte dell’utero che sporge nella vagina, si presenta edematoso, congesto, vivacemente arrossato e tumefatto. La mucosa circostante è spesso abrasa e sanguina facilmente è inoltre evidentissima la secrezione purulenta che sgorga più o meno abbondantemente dal canale cervicale. Nella donna l’infezione gonococcica può interessare anche l’uretra. A differenza dell’uomo, per la sua brevità e semplicità non dà luogo ad una sintomatologia molto accentuata e i disturbi si limitano a una sensazione di bruciore alla minzione. Anche nella donna le complicanze della gonorrea sono legate alla progressione ascendente dell’infezione. Si avrà così nell’ordine: l’infezione di alcune ghiandole situate nello spessore delle grandi labbra (le ghiandole del Bartolini), l’infezione della cavità uterina (endometrite), alla quale segue facilmente la diffusione del processo alle tube uterine (salpingite) e quindi alle ovaie, mono o bilateralmente. Di tutte queste forme la più temibile, per le gravi conseguenze che comporta, è la salpingite: questa, se bilaterale, conduce quasi sempre alla ostruzione delle tube e conseguentemente alla sterilità. La bartolinite (l’infezione delle ghiandole del Bartolini) è caratterizzata da tumefazione notevole di un grande labbro, che si accompagna a forte dolore, arrossamento e fuoriuscita di pus dal dotto escretore della ghiandola. La bartolinite è praticamente scomparsa e comunque facilmente dominata dalla terapia medica. Sono rare anche le complicanze a carico delle tube uterine e delle ovaie. La sintomatologia consiste in dolori in sede addominale profonda, con forte reazione di difesa e talvolta irrigidimento delle pareti addominali dovuta a compromissione del peritoneo. Le complicanze sono sempre accompagnate da febbre alta e da interessamento dello stato generale. Si deve ancora ricordare l’infezione gonococcica del neonato che viene contagiato dalla madre infetta al momento del parto. L’infezione neonatale che un tempo provocava un grave danno oculare, con congiuntivite e panoftalmia, fino alla cecità, oggi non si verifica più. Infatti, per evitare questa complicanza, subito dopo il parto, viene effettuata di routine la cosiddetta profilassi alla Credé mediante instillazione di nitrato d’argento all’1% o di antibiotici negli occhi del neonato. Nella donna, a causa della particolare struttura istologica della vagina non è possibile una infezione gonococcica della vagina stessa. Questa invece può verificarsi nella bambina o per stupro o per contagio da parte di pannolini infetti, termometri, materiale di medicazione infetto ecc. In questi casi la sintomatologia assume caratteri di notevole gravità: la bambina accusa dolore alla minzione e bruciori le piccole e le grandi labbra appaiono arrossate, edematose, congeste e dall’orifizio vaginale scola abbondante il pus. La febbre è elevata e lo stato generale notevolmente compromesso.

Diagnosi
La diagnosi è facile nelle forme acute: la sintomatologia è indicativa e l’esame del secreto uretrale mette in evidenza i gonococchi dalla caratteristica forma a chicco di caffè. Nelle forme croniche si hanno invece difficoltà anche legate al fatto che la fase acuta può avere avuto un decorso attenuato e quindi non individuato dal paziente. La diagnosi di gonorrea si ottiene mediante striscio della secrezione purulenta su vetrino e osservazione al microscopio, dopo colorazione con il metodo di Gram.
L’esame microscopico infatti, mostra i tipici gonococchi in posizione sia intra che extra cellulare. Inoltre, mentre nell’uomo il reperto microscopico è quasi sempre inconfondibile, poiché nel pus si trova soltanto il gonococco, nella donna è facile osservare, assieme ad esso, molte altre specie di germi, i quali possono diventare virulenti a causa delle alterate condizioni locali. In questo caso, sarà necessario un occhio molto esercitato per riconoscere i gonococchi tra le altre specie di germi non sempre facilmente differenziabili. Infine si può anche ricorrere alla coltura e all’isolamento del gonococco, il quale si coltiva bene e si accresce sul terreno di Thayer-Martin.

Terapia
Il trattamento antibiotico precoce e corretto è in grado di controllare rapidamente l’infezione e ridurre drasticamente l’incidenza delle complicanze. Antibiotici di elezione sono la penicillina, le aminopenicilline, le tetracicline, il cloramfenicolo e la spectinomicina.

BLESITÀ

Difetto della fonazione che consiste nella deformazione o soppressione di alcune consonanti. Esistono b. di origine sensoriale, cioè dovute a sordità parziale della prima infanzia, per cui non vengono uditi suoni di frequenza alta b. organiche, dovute a malformazioni degli organi della fonazione funzionali da deficit dell’attenzione da impostazione errata o semplicemente da abitudine tramandata per generazioni. Per esempio il rotacismo, pronuncia della r in posizione più arretrata, può essere considerata b. in italiano, mentre è normale in francese e altre lingue. B. sono inoltre: sigmacismo (la s diventa th o sc), cappacismo, gammacismo, lambdacismo, tetacismo (consistenti nella mancata o alterata pronuncia dei fonemi ca, ga, la, ta).

BLOCCO

Termine indicante, in senso generico, l’arresto o la grave compromissione della funzione di un organo o di una struttura anatomica, in rapporto a processi patologici di diversa natura che in vari modi ne ostacolino l’esplicazione. Così si parla per esempio di b. articolare quando sono impediti i movimenti di un’articolazione, di b. cardiaco quando l’impulso alla contrazione del miocardio si arresta in un punto qualunque delle strutture destinate a condurre l’eccitamento, di b. renale quando gravi lesioni del tessuto renale provochino cessazione della secrezione di urine ecc.

BLOTTING

Metodica di laboratorio che permette il riconoscimento di proteine specifiche presenti in una miscela proteica complessa. Si utilizza il Western B. per l’identificazione di una proteina o di un anticorpo diretto contro di essa. Con il Southern B. si possono evidenziare frammenti di DNA, mentre con il Northern B. si rilevano frammenti di mRNA.

BO - BQ
BOCCA

(O cavità orale), cavità di forma grossolanamente ovalare che comunica anteriormente con l’esterno attraverso le labbra e che posteriormente, attraverso l’istmo delle fauci, dà adito al tubo digerente e, in modo accessorio, all’apparato respiratorio.La b. è delimitata anteriormente dalle labbra, posteriormente dal palato molle e dall’istmo delle fauci, in alto e posteriormente dal palato, in basso dal pavimento della b., ai lati dalla faccia interna delle guance. Nella cavità fanno salienza le arcate dentarie e la lingua. Le arcate dentarie dividono la b. in due porzioni: una anteriore detta vestibolo buccale e una posteriore, che costituisce la b. propriamente detta. Il vestibolo buccale è foggiato a ferro di cavallo, delimitato dalla faccia interna delle labbra e delle guance e dalla faccia esterna delle gengive e dei denti. Posteriormente ai denti molari esso comunica con la b. propriamente detta. Questa è delimitata dalla faccia interna delle arcate dentarie, dal palato duro e dal palato molle (detto anche velo pendulo), dal pavimento della b. e dalla lingua che ne fa salienza. Tutta la cavità orale è tappezzata da una mucosa rosea che ne riveste le varie formazioni (esclusi i denti): è in continuazione, in addietro, con la mucosa faringea e, sulle labbra, in avanti, con la cute della faccia. Quella che in condizioni normali è una cavità virtuale, occupata pressoché per intero dalla lingua e dalle arcate dentarie e delimitata dalla lineare rima labiale, per l’abbassarsi della mandibola ed il divaricarsi delle arcate dentarie, assume l’aspetto di una cavità reale aprentesi verso l’esterno.Alla b. sono annesse le ghiandole salivari i cui secreti costituiscono la saliva. Questa contiene un enzima, la ptialina, che inizia il processo di digestione degli alimenti.Oltreché nella funzione alimentare svolta dalla masticazione e dalla salivazione, la b. è implicata, seppure in modo secondario, nella respirazione infatti offre passaggio all’aria inspirata agendo, con le tonsille palatine, come filtro contro i batteri. La b. inoltre esplica un fondamentale ruolo nella fonazione contribuendo, con la lingua e le labbra, all’articolazione della parola.La b. può essere sede di numerosissimi processi patologici a carico delle sue diverse componenti. Tali processi possono avere carattere congenito, per difetti di formazione embrionaria (labbro leporino, palatoschisi, agenesia dentaria), oppure essere di natura acquisita: infiammazioni (gengiviti, glossiti, stomatiti, flemmoni), tumori benigni o maligni.

BOCCAROLA

Piccola lesione con aspetto di ragade che si forma agli angoli della bocca. È provocata da batteri che determinano l’infezione della cute in questa sede e di conseguenza la macerazione del tessuto. Si tratta di una lesione molto dolorosa, specie con i movimenti di apertura della bocca, che colpisce prevalentemente i bambini e i soggetti in scadenti condizioni generali è contagiosa.

Terapia
Prevede l’uso di vitamine e ricostituenti generali, e più di tutto un trattamento locale con toilette accurata ed applicazione di pomate antibiotiche o cortisoniche. Nei casi più resistenti, sono utili le toccature con soluzione di nitrato d’argento.

BOLLA

Lesione cutanea caratterizzata dalla formazione di una raccolta di liquido nello spessore dell’epidermide o tra questa e il derma se di piccole dimensioni (diametro inferiore a 3 mm) viene definita vescicola.Il liquido contenuto nella b. può avere aspetto sieroso o siero-emorragico Le bolle si possono formare in seguito a ustioni o causticazioni (in tal caso vengono anche denominate flittene) o per l’azione sulla cute di diverse sostanze ad azione irritante, oppure esse possono comparire come elemento caratteristico in diverse malattie della pelle: dermatite erpetiforme, vari tipi di pemfigo, eritema multiforme e altre. Di solito le bolle si rompono lasciando fuoruscire il liquido contenuto residuano così delle lesioni ulcerate che poi vengono ricoperte da una crosta e guariscono. Se invece si infettano, il liquido contenuto assume un aspetto purulento e la lesione, che residua dopo la rottura, è ulcerata e essudante.La terapia varia a seconda della causa l’applicazione locale di antisettici o di antibiotici può facilitare la guarigione impedendo il sovrapporsi di processi infettivi.

BOLO

Quantità di cibo masticato e commisto a saliva che viene spinto dalla bocca allo stomaco durante ogni singolo atto di deglutizione (b. alimentare).

BOLO FARMACEUTICO

Nella medicina antica, rinascimentale e fino a tutto il XVII sec. bolus era usato nel significato originario di terra e indicava varie polveri cui erano attribuiti poteri astringenti, disseccanti, corroboranti in seguito, nel significato di boccone, ha indicato un preparato molle, deglutibile, fatto di medicamenti amalgamati con miele.Il significato moderno è lo stesso: preparato da somministrare per via orale, di volume maggiore della pillola, di consistenza molle, da preparare al momento dell’uso.È attualmente scomparso dalle consuetudini farmaceutiche e il suo uso è limitato al campo veterinario.

BOLO ISTERICO

Sensazione particolare di nodo alla gola, di fastidioso ingombro faringeo di cui si lamentano generalmente soggetti isterici. A volte il sintomo assume caratteristiche meno precise: i pazienti riferiscono allora di un vago senso di costrizione retrosternale o di una pressione (legata a contrazioni spastiche) che si sposta spesso dall’addome verso la gola. Il b. isterico, specie nella sua forma classica di spasmo faringeo, accompagnato da disturbi della deglutizione, costituisce una delle cosiddette stigmate isteriche, consistenti in alterazioni della sensibilità nel senso di una diminuzione (ipoestesie) o di una abnorme acutezza (iperestesie).

BOMBESINA

Ormone prodotto da cellule del sistema endocrino diffuso presenti nella mucosa del fondo e dell’antro dello stomaco, e in minor misura anche nel duodeno, digiuno, ileo e colon. È un peptide che agisce stimolando la secrezione della gastrina, incrementando l’attività contrattile della cistifellea e la motilità dell’intestino tenue. Sembra inoltre favorire la liberazione di calcitonina dalla tiroide.

BONIFICA

Complesso delle misure igieniche intese a eliminare dall’ambiente condizioni di vita nocive alla salute.L’attività di b. può avere per oggetto l’ambiente naturale, oppure l’ambiente di lavoro (per eliminare polveri, gas, vapori, radiazioni o altri agenti dannosi alle persone che vi operano), o anche l’organismo umano (per es. operazioni di profilassi collettiva in corso di epidemie, disinfezione e disinfestazione di soggetti portatori di malattie, contumacia sanitaria, cioè isolamento, per evitare il diffondersi di infezioni).

BORBORIGMO

Rumore borbottante o gorgogliante tipico dell’attivita peristaltica intestinale. Si può percepire tramite l’auscultazione dell’addome con il fonendoscopio o semplicemente appoggiando un orecchio sull’addome in fossa iliaca destra o sinistra.Una riduzione di tali rumori fisiologici indica una ridotta attivita intestinale, come nell’immediato post-operatorio (ileo paralitico), o in diverse condizioni patologiche in cui si abbia infiammazione peritoneale. Se invece il rumore è notevolmente aumentato ed assume timbro metallico in un paziente con vomito e stipsi ostinata, puo essere segno di occlusione intestinale.

BORDERLINE

(Ingl., linea di confine), termine che indica una condizione prossima a quella patologica (per es., pressione b., ossia vicina all’ipertensione). In particolare il termine è usato per indicare lesioni la cui natura e gravità sono difficili da definire, perché prive delle tipiche caratteristiche. Il termine è usato soprattutto nel campo delle neoplasie, in cui esistono forme di cui non è chiara la benignità o malignità: difatti si fa diagnosi di tumore benigno, maligno e, tra essi, di tumore “potenzialmente maligno” o b.In psichiatria, b. indica uno dei disturbi della personalità, legato all’instabilità nei rapporti sociali e alle repentine variazioni di umore.Le persone b. quasi sempre presentano un disturbo dell’identità per cui non sanno come definirsi nei confronti di scelte quali il lavoro, l’orientamento sessuale, le mete a lungo termine, la scelta degli amici o dei valori esistenziali da adottare. Spesso tutto questo viene esperito sotto forma di sensazioni di noia o vuoto. Presentano oscillazioni di umore improvvise per cui passano facilmente dalla depressione alla rabbia, talvolta con scoppi improvvisi di violenza (che possono anche arrivare a dirigere su se stessi suicidandosi, graffiandosi o automutilandosi). Altre volte si buttano nell’uso di sostanze stupefacenti o di alcolici, possono presentare attacchi di bulimia, oppure lanciarsi in spese pazze o ancora in promiscuità sessuali. Nei confronti del partner oscillano dall’idealizzazione alla completa svalutazione, ma sono colti da angoscia di fronte all’eventualità vera o presunta di abbandono.

BORDETELLA

Genere di Batteri di cui la specie più importante è B. pertussis o bacillo di Bordet-Gengou (altre specie sono la B. parapertussis e la B. bronchiseptica). È un coccobacillo Gram-negativo, agente causale della pertosse, piccolo, ovoidale, incapace di muoversi in maniera autonoma e poco resistente nell’ambiente esterno. Cresce e si moltiplica ottimamente sulla mucosa dell’albero respiratorio cui giunge qualora siano respirate le microscopiche goccioline di muco o di saliva emesse dal malato di pertosse, quando parla o tossisce. Così, infatti, è trasmessa la malattia, che è molto contagiosa.Penetrato nell’organismo con l’aria inspirata, il bacillo sceglie a propria dimora la mucosa del laringe e della trachea, vi si insedia e comincia a svolgere la sua attività lesiva. Le mucose irritate rispondono con fatti infiammatori e con la secrezione di abbondante muco, vale a dire di catarro.Inoltre, dalla disgregazione dei germi morti si libera una tossina particolarmente velenosa, che lede profondamente la mucosa della parete dell’albero respiratorio irritando le terminazioni nervose, scatena gli accessi di tosse spasmodica, che sono saltuari probabilmente perché saltuaria è l’emissione della tossina, che è legata intimamente al ciclo vitale del batterio (vedi PERTOSSE).

BORDET-GENGOU, reazione di

(Prende il nome da J. Jean Bordet, biologo e medico belga - Soignies 1870 - Bruxelles 1961), reazione immunologica di fissazione del complemento usata nei laboratori per alcuni esami sul siero del sangue. Tale reazione identifica la presenza di anticorpi specifici, ambocettori, che agiscono fissandosi con un’estremità all’antigene e con l’altra al complemento o alessina, sostanza sempre presente nel siero, impedendo di conseguenza l’azione emolitica di quest’ultima. La reazione di B.-Gengou, oltre ad aver spiegato alcuni meccanismi immunitari, ha avuto applicazioni pratiche diagnostiche, tra cui la reazione di Wassermann per l’individuazione della sifilide.

BORRELIA

Genere di Schizomiceti appartenenti al gruppo delle spirochete hanno forma di filamenti flessuosi avvolti a spirale. Sono parassiti di roditori e possono infettare l’uomo, trasmessi dalla puntura di pidocchi e zecche, generalmente del genere Ixodes. Le specie più importanti sono B. recurrentis e B. duttoni, agenti della febbre ricorrente, B. vincenti, responsabile dell’angina di Vincent e B. burgdorferi della malattia di Lyme. Penetra attraverso la cute e si diffonde o superficialmente, dando luogo al caratteristico eritema migrante, o in profondità per via ematica, raggiungendo altri organi. Determina una iniziale depressione della risposta immunitaria che tende ad aumentare in un secondo momento quando cresce la produzione di composti proteici di origine batterica. I primi anticorpi iniziano a formarsi tra la terza e la sesta settimana di malattia.
L’habitat a rischio corrisponde a quello delle zecche (per l’Italia principalmente rappresentate dall’Ixodes ricinus), ovvero margini dei boschi, radure, cespugli, con alta umidità e temperature relativamente elevate (primavera, autunno). La prevenzione della puntura della zecca si attua fondamentalmente tramite: l’utilizzo di prodotti repellenti il ricorso a un abbigliamento specifico (che copra la maggior parte della superficie corporea) la pronta rimozione delle zecche attaccate agli animali e all’uomo lo sfalcio dell’erba nei giardini di casa l’ispezione puntuale degli animali casalinghi.

BORSA

Formazione anatomica a forma di sacca, di varia origine, natura e significato.

BORSA AMNIOTICA

Sacco costituito da due membrane, l’amnios all’interno ed il corion all’esterno. Il feto, contenuto nell’utero gravido, è avvolto dalla membrana amniotica e sospeso in 1500 ml ca. di liquido amniotico. Al momento del travaglio di parto, le contrazioni spingono il contenuto dell’utero (membrane, liquido amniotico, feto) in avanti, contro il collo uterino che, sotto tale spinta, lentamente si dilata. Quando la bocca uterina è dilatata e la parte fetale presentata, spinta dalle contrazioni, va a combaciare con il perimetro del distretto superiore, il liquido amniotico, che si viene a trovare davanti alla parte fetale presentata, non può defluire indietro. Si distinguono le acque anteriori, cioè quelle davanti alla parte presentata, e le acque posteriori, che fuoriescono dopo l’uscita del feto. Durante il travaglio di parto, quando la bocca uterina ha raggiunto la dilatazione di 3-5 cm, per lo più si ha la rottura spontanea delle membrane con la perdita delle acque anteriori.

BORSA OMENTALE

vedi OMENTO

BORSA SIEROSA

(O borsa mucosa), formazione anatomica a forma di vescicola contenente modesta quantità di liquido sieroso limpido, presente in diverse sedi dell’organismo, soprattutto tra tendini, tra questi e le ossa vicine, o tra i muscoli che scorrono l’uno sull’altro, o anche sotto la cute, nei punti in cui questa è sottoposta a pressioni o a sollecitazioni meccaniche.Le borse sierose possono essere divise in due gruppi: le borse tendinee e le borse muscolari. Le prime sono interposte tra tendine e superficie ossea sottostante, mentre le seconde sono site tra due muscoli che scorrono l’uno sull’altro. Si hanno poi le borse sottocutanee che si trovano in punti in cui la pelle è sottoposta a pressione, oppure là dove ci sono delle sporgenze ossee. Le borse sierose hanno la funzione specifica di facilitare lo scorrimento e lo scivolamento dei tendini sulle ossa e dei muscoli tra di loro annullando l’attrito reciproco. Tra le borse più importanti: alla spalla la b. sottoacromiodeltoidea e la b. sottoscapolare al gomito la b. retroolecranica, sottoolecranica e bicipitale all’anca le borse dell’ileopsoas e del grande trocantere al ginocchio le borse pretibiali, prerotulee, la b. sottoquadricipitale e la b. del tendine della zampa d’oca. Le borse sierose sono spesso sede di processi infiammatori acuti o cronici.

BORSITE

(O igroma), processo infiammatorio a carico di una o più borse sierose. Può essere di tipo acuto o cronico.

Cause
Le cause più comuni delle borsiti acute sono i traumi e i processi infettivi da germi comuni (streptococchi, stafilococchi, diplococchi). Anche nella malattia reumatica si può avere un interessamento delle borse sierose. Nelle borsiti croniche aspecifiche hanno spesso influenza stimoli meccanici ripetuti ad azione traumatizzante (del calcagno da parte della calzatura nella epicondilite, detta anche gomito del tennista, da un eccessivo gioco del tennis).

Sintomi
Tumefazione, edema dei tessuti e dolore al minimo contatto se la cute non è ben pulita e se non si osservano alcuni accorgimenti (riposo della parte e freddo), il liquido contenuto può suppurare.

Terapia
Il trattamento delle borsiti acute consiste nell’aspirazione del contenuto purulento della borsa e nell’iniezione, locale, di antibiotici (soltanto nei casi più gravi si potrà giungere all’asportazione della borsa) nelle borsiti croniche il trattamento varia secondo la sede: all’inizio sarà quasi sempre di carattere medico e fisioterapico l’indicazione chirurgica può variare secondo la localizzazione e la gravità della malattia.

BOTALLO, dotto di

(Prende il nome da Leonardo Botallo, anatomico italiano - Asti 1530 - dopo il 1571), corto collegamento vascolare che durante la vita intrauterina unisce l’arteria polmonare del feto con l’arteria aorta, avendo il compito di deviare in quest’ultima quasi tutto il sangue dell’arteria polmonare. Alla nascita il dotto di B. si atrofizza gradualmente: nell’adulto è rappresentato da un legamento fibroso di colore biancastro (legamento arterioso di Botallo).La permanenza del dotto di B. dopo la nascita costituisce una grave anomalia congenita spesso incompatibile con la vita. Nel feto i polmoni non hanno alcuna funzione, cioè il sangue non si ossigena a livello di essi, in quanto l’ossigenazione sanguigna, come pure gli scambi nutritivi, avvengono attraverso la placenta. Nel feto, il sangue che proviene dalla vena cava inferiore, mescolato con parte di quello ossigenato della vena ombelicale, è convogliato all’atrio destro da questo, attraverso il foro ovale di Botallo, all’atrio sinistro e al ventricolo sinistro, che lo pompa nell’aorta ascendente. Il sangue, invece, che proviene dalla vena cava superiore penetra nell’atrio destro, poi nel ventricolo destro, e da questo è pompato nell’arteria polmonare. Dato che nel feto i polmoni non hanno alcuna funzione, quasi tutto il sangue dell’arteria polmonare finisce nell’aorta, passando attraverso il dotto arterioso di Botallo. Con la nascita entrano in attività i polmoni ai quali viene convogliato, dall’arteria polmonare, il sangue per essere ossigenato. Il dotto di Botallo, cessata ogni funzione, va incontro a un processo di regressione che si completa di solito entro 3 o 4 mesi, lasciando in sua vece un legamento esteso dall’aorta all’arteria polmonare. Questo normale processo di obliterazione del dotto di Botallo a volte, per fattori tuttora sconosciuti, non ha luogo. Il dotto in questo caso resta aperto ed è perciò responsabile di tutta una serie di disturbi dovuti al fatto che, attraverso esso, continua a passare sangue, non più dall’arteria polmonare all’aorta, ma in senso inverso, e cioè dall’aorta all’arteria polmonare, poiché è maggiore la pressione del sangue nella prima rispetto alla seconda.

BOTALLO, foro di

(O forame ovale), foro di comunicazione fra atrio destro e sinistro del cuore, normalmente esistente nel feto e indispensabile alla sua nutrizione. Il foro di B. si chiude alla nascita. La sua permanenza costituisce una grave malformazione che è possibile correggere soltanto con un intervento chirurgico. Il miglior periodo per l’intervento è compreso tra il 5° e l’8° mese di vita.

BOTRIOCEFALO

Nome comune del parassita intestinale Diphyllobothrium (o Bothriocephalus) latum, verme platelminta responsabile di una grave forma di anemia: la botriocefalosi.

BOTRIOCEFALOSI

Malattia parassitaria dovuta alla presenza nell’intestino umano del botriocefalo (Diphyllobothrium latum). Può rimanere silente come provocare disturbi intestinali o una anemia macrocitica importante.

Cause
Le uova del parassita, emesse dall’uomo attraverso le feci, si schiudono in acqua dolce dando origine a larve che invadono il corpo di crostacei copepodi del genere Cyclops e Diaptomus, nei quali si sviluppa il secondo stadio larvale i crostacei vengono ingoiati dai pesci in cui avviene il terzo stadio l’uomo si infetta con pesce poco cotto e il parassita diventa adulto nell’intestino.

Sintomi
La b. dà una lieve sintomatologia intestinale (nausea, vomito, dolori, stipsi e diarrea alternate) e nervosa (cefalea, insonnia, scialorrea) talvolta si instaura un’anemia macrocitica ipercromica secondaria, con quadro ematico simile a quello dell’anemia perniciosa.

Diagnosi
Esame parassitologico delle feci con dimostrazione delle uova del parassita.

Terapia
Consiste nella somministrazione di antielmintici (praziquantel, niclosamide) e antianemici. La profilassi consiste nell’evitare l’ingestione di pesce d’acqua dolce (come trota, luccio, salmone) poco cotti.

BOTRIOMICOMA

(O granuloma piogenico), piccola escrescenza della cute, peduncolata, di colore rosso, che può svilupparsi sulle mani, sul volto, sul capo. È espressione di una reazione esuberante del tessuto a una infezione da germi piogeni.

Terapia
La terapia consiste nell’asportazione chirurgica o nell’elettrocoagulazione della lesione.

BOTTONE D’ORIENTE

Lesione cutanea dovuta ad infezione della cute da parte di un protozoo (Leishmania tropica) meglio nota con il nome di leishmaniosi cutanea. È detta anche bottone di damasco per la sua frequenza in quelle regioni anche se è diffusa in tutto il bacino del mediterraneo. La lesione è caratterizzata all’inizio dalla formazione di una piccola papulo-macula che si trasforma rapidamente in una papula e poi in un nodulo sottocutaneo che può rimare tale per mesi o scomparire. Le zone cutanee piu’ frequentemente colpite sono il volto, le mani, i piedi, gli avambracci. Esiste anche una forma cosiddetta rurale, non conosciuta in italia, caratterizzata dalla formazione di un’ulcera, generalmente pruriginosa e non dolente.La terapia è quella della leishmaniosi.

BOTTONE GUSTATIVO

(O calice gustativo), formazione anatomica di forma ovoidale, visibile al microscopio, deputata alla ricezione di quegli stimoli di natura chimica dai quali dipende la sensazione gustativa. Nell’uomo sono presenti in totale ca. 9.000 bottoni gustativi, che sono distribuiti nella mucosa della lingua (sulle pareti laterali delle papille fungiformi e vallate) e, in minor numero, anche nella mucosa della faringe e dell’epiglottide. Ogni b. è costituito da un gruppo di 5-8 cellule di forma fusata, provviste di un prolungamento apicale che sporge in una piccola apertura dell’epitelio mucoso detta poro gustativo il corpo di queste cellule, che sono gli elementi recettori specifici, è avvolto dalle espansioni terminali di fibre nervose. Tra gli elementi recettori si trovano cellule di sostegno. L’impulso nervoso che si genera a livello delle cellule recettrici viene trasmesso ai centri del sistema nervoso attraverso le fibre dei nervi facciale, glossofaringeo e vago.

BOTULINO

Microrganismo appartenente al genere Clostridium (Clostridium botulinum), anaerobio Gram-positivo produce spore molto resistenti al calore. Le spore sono presenti nel terreno e nelle acque marine e stagnanti e possono contaminare gli alimenti conservati in maniera artigianale particolarmente in quelli conservati in scatola e non cotti, in salumi, in prosciutti. Produce una sostanza tossica di natura proteica (tossina botulinica), responsabile di tre forme di intossicazione: b. alimentare (forma più frequente), b. infantile e b. da ferita (raro)

BOTULISMO

(O allantiasi), grave intossicazione determinata dall’ingestione di alimenti inquinati dalla tossina botulinica deve il suo nome al fatto che, quando venne riconosciuta, si notò la sua frequente comparsa dopo ingestione di salumi (lat. botulus, salsiccia). Oltre ai salumi, però, anche i cibi conservati in scatola o sotto vuoto, se inquinati dalle spore del bacillo botulino, possono costituire un ambiente favorevole al loro sviluppo con produzione della tossina.Oggi il b. è raro ad osservarsi, nonostante la gran diffusione commerciale degli alimenti conservati, in quanto le tecniche di conservazione attuali hanno praticamente eliminato tale pericolo i casi osservati sono quasi sempre in rapporto con il consumo di conserve alimentari preparate in casa con tecnica impropria.

Sintomi
I sintomi dell’intossicazione si manifestano in genere entro 12-24 ore e, di solito quanto più sono precoci tanto più grave è la malattia. Essi possono variare da un lieve malessere che non richiede l’intervento del medico, fino ad un quadro di malattia fulminante che porta a morte in pochi giorni. I primi sintomi sono caratterizzati da debolezza, vertigini, secchezza della gola ad essi fanno seguito i segni della paralisi, soprattutto a carico di muscoli innervati dai nervi cranici: difficoltà alla deglutizione e alla fonazione, disturbi visivi (strabismo, visione doppia, abbassamento delle palpebre) nei casi gravi si ha la morte per paralisi dei muscoli respiratori. Se il paziente sopravvive la ripresa è rapida e completa.

Terapia
Ai primi segni di malattia è necessario trasferire il paziente in un centro di rianimazione, ove si possa praticare la respirazione artificiale in caso di necessità si può ricorrere inoltre alla lavanda gastrica e alla somministrazione endovena di antitossina botulinica, per neutralizzare quella parte di tossina che eventualmente non si fosse ancora fissata alle terminazioni nervose (50-100 mL al dì per via endovenosa o intramuscolare).Esistono altre due forme di b., molto più rare:- b. infantile: causato dallo sviluppo di tossine all’interno dell’intestino di bambini al di sotto di un anno di vita. L’evoluzione è di solito più lenta e la sintomatologia varia dal rifiuto dell’alimentazione a sintomi più preoccupanti come difficoltà respiratoria e la paralisi dei nervi cranici.- b. da ferita: rappresenta la forma più rare delle tre. Si manifesta come la forma alimentare senza, ovviamente, tutti i sintomi gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea).

In generale, tutti i cibi conservati che non vengono fatti cuocere e che hanno un basso grado di acidità (pH sopra 4,6), possono costituire un ambiente adatto alla crescita del botulino. Secondo i dati dei Centers for Disease Control and Prevention americani, il principale veicolo della tossina botulinica è rappresentato dalle verdure in scatola e conservate. L’acidità e il contenuto in sale contribuiscono a controllare lo sviluppo del batterio, riducendo quindi la possibilità della produzione della tossina. Infine, è importante non consumare conserve che, all’apertura, siano maleodoranti o che presentino contenitori rigonfi in modo anomalo.

BOUILLAUD, malattia di

(Prende il nome da Jean-Baptiste Bouillaud, medico francese - Garat 1796 - Parigi 1881). vedi febbre REUMATICA

BOURNEVILLE, malattia di

(Prende il nome da Désiré-Magloire Bourneville, neuropsichiatra francese - Garancières, Eure 1840 - Parigi 1909). vedi SCLEROSI TUBEROSA

BOWEN, morbo di

(Prende il nome da John Templeton Bowen, dermatologo statunitense - Boston 1857-1940), malattia della cute che colpisce soggetti di età adulta e si manifesta con la comparsa di una o più chiazze rilevate, di color bruno, ricoperte da squame di cheratina, che si estendono molto lentamente. Tali lesioni compaiono di solito nelle parti coperte (tronco, arti inferiori, ano ecc.) e sono l’espressione di una proliferazione atipica, tumorale, delle cellule epidermiche, proliferazione che determina ispessimento dell’epidermide stessa, ma che per lungo tempo (anche per 15-20 anni) non infiltra gli strati sottostanti. Dopo un periodo più o meno lungo, tuttavia, si può manifestare in seno alla lesione la comparsa di un nodulo a più rapido accrescimento, segno che la proliferazione cellulare ha assunto i caratteri infiltrativi di un vero e proprio tumore maligno.La terapia si basa sull’asportazione chirurgica.

BOWMAN, capsula di

(Prende il nome da William Bowman, medico britannico - Nantwich 1816 - Dorking 1892) o capsula glomerulare, membrana che riveste il glomerulo renale. È costituita di un foglietto viscerale, in intimo contatto con i capillari del glomerulo e di un foglietto parietale che si continua nel tubulo contorto di primo ordine. Nella capsula di B. avviene la filtrazione glomerulare.

BOWMAN, membrana di

Membrana basale particolarmente sviluppata nell’uomo, su cui appoggia l’epitelio della cornea dell’occhio.

BPCO

vedi BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA

BR - BZ
BRACCIO

Parte dell’arto superiore compresa tra la spalla e il gomito. Lo scheletro è costituito da un solo osso, l’omero, che si articola superiormente con la scapola, inferiormente con l’ulna e il radio. L’omero è un osso lungo, pari, situato ai lati del torace, interposto fra la scapola e le ossa dell’avambraccio. Vi si distinguono due epifisi e una diafisi. L’epifisi prossimale (testa dell’omero) è voluminosa e rotondeggiante e si articola con la cavità glenoidea della scapola l’epifisi distale (paletta omerale) è invece schiacciata in senso antero-posteriore e si articola con le ossa dell’avambraccio. La diafisi, o corpo, appare limitata da tre facce, esterna, interna e posteriore L’articolazione scapoloomerale è una enartrosi e consente al b. di muoversi in tutte le direzioni al gomito il condilo dell’omero si articola con la fossetta glenoidea del radio, mentre la troclea si articola con la grande incisura sigmoidea dell’ulna. L’omero ha una lunga diafisi a sezione triangolare, con una faccia anteriore, una mediana e una laterale.Gli spigoli, e in modo particolare la doccia sulla faccia posteriore, dimostrano un andamento a spirale, che testimonia il processo di torsione subìto dall’osso nello sviluppo filogenetico. La testa dell’omero, dalla forma di un terzo di sfera, è unita all’osso da un collo anatomico che forma un angolo di 130° ca. con l’asse della diafisi. L’epifisi superiore è munita di due tuberosità: grande, o trochite, su cui si inseriscono i muscoli sopraspinoso, sottospinoso e piccolo rotondo piccola, o trochine, su cui si inserisce il muscolo sottoscapolare. Tra le due tuberosità, una doccia alloggia il tendine del capo lungo del bicipite. Sul terzo superiore dell’omero si inseriscono i muscoli della spalla e quelli che formano i pilastri anteriore e posteriore dell’ascella oltre ai quattro citati, sono: il deltoide, il grande rotondo, il grande dorsale, il grande pettorale, il coracobrachiale.I muscoli del b. sono contenuti in due logge, anteriore e posteriore, separate tra di loro da due aponeurosi intermuscolari, rispettivamente interna ed esterna, che profondamente si inseriscono sulle due docce dell’omero e superficialmente si congiungono all’aponeurosi brachiale, che circonda tutta la muscolatura.Nella loggia anteriore si trovano il bicipite, il brachiale anteriore, il coracobrachiale in quella posteriore il tricipite.Il fascio nervovascolare formato dall’arteria omerale, dal nervo mediano e da due vene satelliti decorre sul fondo della doccia bicipitale dell’omero, nella loggia anteriore in quella posteriore decorrono il nervo radiale, l’arteria brachiale profonda e le vene satelliti medialmente il nervo ulnare e più superficialmente il nervo muscolocutaneo. Due vene superficiali si trovano nel tessuto adiposo del sottocutaneo: la vena cefalica e la vena basilica.Il b. può essere colpito da difetti di sviluppo durante la vita fetale, ma raramente è colpito in modo isolato nei casi più frequenti o vi è aplasia totale di tutto l’arto, oppure mancano tutti e due i segmenti intermedi, b. e avambraccio, mentre si è sviluppata la mano (focomelia).Anomalie in tal senso possono presentarsi anche in caso di farmaci presi dalla madre durante la gravidanza, soprattutto nei primi 3 mesi che sono i più pericolosi per lo sviluppo dell’embrione.

BRACHIALE

Termine che si riferisce a organi o a formazioni anatomiche aventi relazione con il braccio.

BRACHIALE, arteria

(O arteria omerale), continuazione dell’arteria ascellare che, a livello del gomito, si dirama nell’arteria ulnare e radiale. Si estende dal margine inferiore del grande pettorale alla piega del gomito. Decorre medialmente all’omero, tra i muscoli coracobrachiale e bicipite. A livello del gomito è situato nel punto di mezzo tra epicondilo ed epitroclea.

BRACHIALE, plesso

Rete formata, mediante scambi di fibre, dai rami ventrali dei nervi V, VI, VII, VIII cervicale e I toracico. Riceve anche un piccolo contingente di fibre del IV nervo cervicale e del II nervo toracico. Presenta numerose anastomosi e suddivisioni, largamente variabili da individuo ad individuo. Vi sono tre tronchi principali (superiore, medio ed inferiore). Il plesso ha la forma di un triangolo, con la base rivolta alla colonna vertebrale e l’apice nel cavo ascellare, a livello della faccia posteriore del muscolo piccolo pettorale. Il plesso dà numerosi rami collaterali e terminali: tra questi ultimi i nervi destinati all’arto superiore.Le diverse affezioni che possono colpire il plesso sono: radicoliti, nevriti, interruzioni con conseguente paralisi e anestesia del territorio innervato.È da ricordare la nevralgia o plessite brachiale, caratterizzata da dolore intenso e improvviso, quasi sempre localizzato alle articolazioni. Altro quadro significativo è la lesione del plesso brachiale in ostetricia, dovuta per lo più ad uno scorretto disimpegno delle spalle durante il parto spontaneo: si verifica soprattutto nelle distocie meccaniche.

BRACHIALE, vena

(O vena omerale), vena duplice che accompagna il decorso dell’arteria brachiale.

BRACHIALGIA

Sindrome dolorosa dell’arto superiore dovuta a irritazione dei nervi ad esso destinati.

Cause
Molto spesso la b. è conseguenza di un’artrosi cervicale, che restringe gli spazi tra le vertebre nei quali transitano le radici nervose in altri casi è dovuta a ernie del disco cervicali oppure ad anomalie della settimavertebra cervicale o del sistema muscolo-legamentoso del collo. Spesso le brachialgie riguardano singoli tronchi nervosi, caso che si verifica in compressioni o dislocazioni del tronco nervoso a opera di formazioni patologiche (esostosi, esiti di fratture).

Terapia
La terapia delle brachialgie, se si prescinde dalle cure generiche antinevritiche, deve essere rivolta alla causa responsabile della malattia, da rimuovere con presidi medicamentosi o con interventi chirurgici.
Molto importante è il controllo del proprio assetto posturale, che potrebbe essere alterato e necessitare di un riallineamento. Restare davanti a un computer per tempi prolungati cristallizza alcune masse muscolari e giunture in posture bloccate, sottoponendo altre a sollecitazioni estreme. Le scorrette posizioni, fisse e mantenute a lungo, finiscono così per provocare spasmi muscolari nella parte cervicale della colonna vertebrale e una sofferenza del disco intervertebrale, che già con l’età invecchia e tende a perdere la sua peculiare capacità ammortizzatrice.

BRACHICEFALIA

Forma rotondeggiante della testa (e del cranio), in cui la larghezza equivale pressappoco alla lunghezza (il rapporto fra queste due misure oscilla da 0,82 a 1). Questo carattere è diffuso in tutti i continenti e fra tutte le popolazioni viventi, sia pure con qualche eccezione: è assente per esempio negli Australiani. La forma tondeggiante della testa predomina rispetto a quella allungata, detta dolicocefala, nella fascia centroeuropea e nordhimalayana, mentre è poco frequente in Africa. Poiché nessuna forma di ominide fossile presenta mai cranio tondeggiante, si tende a ritenere questo come un carattere differenziatosi tardivamente, anche se oggi non è correlato né a una maggiore capacità cranica, né a una differenziazione fisionomica più fine, nel confronto con le forme dolicocefale. L’insorgenza tardiva di tale carattere viene generalmente messa in stretta correlazione con la grande capacità polmonare solitamente riscontrabile nei tipi umani provvisti di b. Questa capacità deve infatti essere stata una condizione assai favorevole alla sopravvivenza in periodi di difficoltà ambientali dovute al freddo e all’umidità, come quelle affrontate dagli uomini mesolitici e neolitici, alla fine dell’ultima glaciazione, quando appunto la b. comincia a essere un carattere comune accanto alla dolicocefalia.

BRACHIDATTILIA

Malformazione congenita caratterizzata da una brevità abnorme delle dita. Può interessare un solo dito o, più spesso, tutte le dita della mano, in relazione a un minor sviluppo in lunghezza dei diversi segmenti scheletrici a volte si associa ad altre anomalie malformative (fusione congenita di due o più dita). Si osserva frequentemente in pazienti con sindrome di Down.

BRACHIESOFAGO

Malformazione caratterizzata da un’abnorme brevità dell’esofago.Può essere congenita, per insufficiente sviluppo in lunghezza dell’organo o acquisita. Come conseguenza il tratto addominale dell’esofago e parte dello stomaco vengono attratti nella cavità toracica formando un’ernia attraverso lo iato diaframmatico. Tale condizione, soprattutto se di lieve grado, può non dare alcun sintomo nel bambino o manifestarsi solo con disturbi lievi (rigurgiti, dolori allo stomaco, vomito), che tendono a scomparire col tempo, col passaggio alla posizione eretta e a un’alimentazione solida. Nelle forme più gravi si ricorre a un intervento chirurgico, per riportare lo stomaco nella cavità addominale.

BRACHIO-RADIALE, muscolo

Muscolo laterale dell’avambraccio, origina dal margine laterale dell’omero, il suo ventre si porta in basso occupando una posizione superficiale e prosegue in un lungo tendine che si inserisce al processo stiloideo del radio. È innervato dal nervo radiale e contraendosi flette l’avambraccio sul braccio.

BRACHITERAPIA

Tecnica di radioterapia antineoplastica con applicazione delle radiazioni a diretto contatto o in prossimità della sede del tumore. Si effettua, ad esempio, nei tumori della cervice uterina e dell’utero tramite speciali applicatori intravaginali creati su misura per ogni paziente.

BRACHITIPO

Uno dei tipi morfologici costituzionali. È caratterizzato da statura poco elevata e quindi da un’eccedenza dello sviluppo del tronco rispetto a quello degli arti la massa corporea tende perciò a distribuirsi più in senso trasversale che longitudinale. Il cranio è grande, il collo corto e tozzo (collo taurino). Il torace è corto, di forma quadrata, con spazi intercostali ristretti e coste a decorso orizzontale l’addome è invece globoso. Gli arti sono brevi, soprattutto quelli inferiori. Generalmente è abbondante il tessuto adiposo sottocutaneo.

BRADICARDIA

Rallentamento della frequenza cardiaca al di sotto delle 60 pulsazioni al minuto.

Cause
Questo disturbo può essere conseguenza di alterazione della conduzione (blocco atrioventricolare), per cui non giunge alla muscolatura dei ventricoli l’impulso alla contrazione originato a livello del nodo senoatriale (SA) lo stimolo insorge allora in centri situati più in basso, il cui automatismo non è però capace di dare un numero di impulsi uguale a quelli del nodo senoatriale. La bassa frequenza delle pulsazioni può essere anche dovuta a disturbi del sistema nervoso vegetativo con aumento del tono del parasimpatico che, attraverso il nervo vago, inibisce l’attività cardiaca. Possono agire a questo modo situazioni patologiche come intossicazioni, malattie infettive, itteri e aumento della pressione endocranica da tumori cerebrali che, determinando irritazione o compressione a livello dei centri bulbari, sono causa di eccitazione vagale altre condizioni bradicardizzanti sono l’ipotiroidismo, l’ipotermia, epatopatie avanzate, grave ipossia, acidosi, ipercapnia ed ipertensione acuta. Nella maggior parte dei casi non si rilevano disfunzioni del nodo SA.

Sintomi
I sintomi possono essere l’affaticamento a seguito di una diminuita portata cardiaca. In casi di veri e propri blocchi sinusali possiamo avere capogiri ed episodi sincopali, soprattutto nei casi in cui non intervengano pacemaker inferiori in senso compensatorio. Alcuni soggetti rispondono in senso marcatamente bradicardico a seguito di assunzione di digitale, betabloccanti, chinidina e verapamil. Con il termine sick sinus syndrome si intende un insieme di sintomi (capogiri, confusione, sincope, astenia, insufficienza cardiaca congestizia) causata da una disfunzione SA con spiccata b. Esistono condizioni in cui la b. si alterna con aritmie ipercinetiche (sindrome b.-tachicardia).

Terapia
La terapia, se necessaria, prevede l’utilizzo di pace-maker (che sostituiscono la funzione del nodo SA).La b. infine può essere legata alla costituzione del soggetto: in tal caso non costituisce una condizione patologica, consentendo invece prestazioni fisiche superiori alla norma come avviene per certi atleti.

BRADICHININA

Polipeptide originato per opera di enzimi proteolitici dalle proteine del plasma in corso di reazioni infiammatorie o allergiche (di tipo immediato). In particolare ha proprietà vasoattive ed aumenta la permeabilità capillare: si verifica una vasodilatazione arteriolare e un’adesione dei globuli bianchi all’endotelio delle venule, oltre che un aumento della permeabilità. Importante, in questo senso, la cooperazione con l’istamina.

BRADILALIA

Disturbo della favella caratterizzato da un rallentamento nell’articolazione della parola. È un sintomo di frequente riscontro nel morbo di Parkinson e nel parkinsonismo postencefalitico.

BRADIPNEA

Diminuita frequenza degli atti respiratori. Condizione rara ad osservarsi: esprime una grave sofferenza dei centri respiratori situati nel bulbo, con diminuzione della loro eccitabilità.Compare negli avvelenamenti acuti e mortali da ipnotici, negli stati di commozione cerebrale grave, nell’agonia.A tutti è noto che i movimenti respiratori possono essere modificati con la forza della volontà. Il fatto stesso che si possa trattenere il respiro oppure compiere delle inspirazioni ed espirazioni forzate è indice delle possibilità di un controllo volontario della respirazione. Si deve ricordare, però, che la funzione ventilatoria è un atto involontario e continua il suo ritmo anche quando l’organismo si trova in uno stato di non coscienza: è quanto avviene, per esempio, nel sonno. Gli impulsi che garantiscono questa autonomia della respirazione dalla volontà provengono da un centro nervoso, detto appunto centro respiratorio, situato nella parte più bassa dell’encefalo (il bulbo) in questo centro respiratorio è possibile distinguere un centro inspiratorio e uno espiratorio. Superiormente, a livello di un’altra struttura encefalica, il ponte (di Varolio), esiste un altro centro, il centro pneumotassico, che è collegato con entrambi i centri bulbari (inspiratorio ed espiratorio) e che può essere considerato come un secondo centro espiratorio. L’andamento ritmico della respirazione è dovuto al fatto che l’attività del centro inspiratorio non è continua, ma viene periodicamente inibita da impulsi provenienti dai centri espiratori. Gli impulsi provenienti dai centri respiratori, attraverso i nervi, raggiungono i muscoli respiratori e li fanno contrarre ritmicamente, assicurando il regolare abbassamento ed innalzamento delle coste e il rilasciamento e la contrazione del muscolo diaframma. I centri bulbari del respiro sono sottoposti a impulsi riflessi provenienti sia dalle formazioni nervose superiori (corteccia, ipotalamo), sia dalla periferia (propriorecettori cutanei, viscerali, nasofaringolaringei, broncopolmonari, chemiorecettori e pressorecettori senocarotidei, cardioaortici, termorecettori cutanei). Gli impulsi provenienti dalla periferia raggiungono i centri respiratori determinando cambiamenti ventilatori a volte anche notevoli per esempio, la percezione di un odore pungente da parte delle cellule olfattive causa l’immediato invio di stimoli al centro respiratorio e come conseguenza il subitaneo arresto del respiro. In genere, si può dire che la stimolazione di quasi tutti i nervi sensitivi (quelli cioè che hanno il compito di condurre al cervello gli stimoli di percezioni interne o esterne al corpo stesso), determina l’insorgenza di impulsi che raggiungono il centro respiratorio e come conseguenza si avrà un’alterazione del ritmo respiratorio con un continuo aggiustamento di quest’ultimo. La respirazione comunque viene controllata anche per via chimica. All’altezza del seno carotideo e dell’arco aortico sono situati infatti due corpiccioli simili a piccole ghiandole, chiamati rispettivamente corpo carotideo e corpo aortico all’interno di queste formazioni sono contenute speciali cellule (dette chemiorecettori) che sono in grado di “analizzare” continuamente il contenuto di ossigeno, di anidride carbonica e il valore del pH nel sangue e di stimolare, pertanto, in via riflessa i centri respiratori. Così quando la tensione parziale di ossigeno diventa troppo bassa e quella dell’anidride carbonica troppo alta, con o senza variazioni del pH, essi provvedono a stimolare il centro respiratorio in modo che la ventilazione polmonare venga ad aumentare e si possa smaltire l’eccesso di anidride carbonica e correggere la condizione di ipossiemia. I centri respiratori sono anche sensibili a impulsi provenienti dai termorecettori, dei quali si distinguono un primo gruppo centrale (a sede ipotalamica), sensibile alle variazioni di temperatura del sangue e perciò responsabile della iperventilazione negli stati febbrili, e un secondo gruppo periferico (a sede cutanea), sensibile alla variazione della temperatura esterna e delle condizioni ambientali. I termorecettori periferici sono soprattutto importanti negli animali, specie nei cani, nei quali, mancando la secrezione sudorale, la regolazione della temperatura è affidata prevalentemente alla funzione respiratoria. I centri respiratori, infine, sono direttamente sensibili alle variazioni del pH ematico e della pressione parziale dell’anidride carbonica arteriosa. L’aumento di questa e la diminuzione del pH (acidosi), determinano iperventilazione un comportamento opposto si verificherà in caso di riduzione del contenuto in anidride carbonica e di aumento del pH (alcalosi).
Per tutti questi motivi sopra esposti, per quanti sforzi di volontà si possano fare, non è possibile trattenere molto a lungo il respiro: l’anidride carbonica che si accumula nel sangue, unitamente alla ipossiemia da bloccata ossigenazione del sangue, infatti, stimola in modo tale il centro respiratorio da causare una forzata inspirazione ed è per la stessa ragione che si può andare incontro a un arresto temporaneo del respiro dopo che sono state compiute inspirazioni ed espirazioni profonde e rapide.

BRADIPSICHISMO

Condizione di globale lentezza di svolgimento di tutti i processi psichici che si osserva in diverse situazioni di patologia psichica e neurologica. Il b. si riscontra infatti in tutti gli stati confusionali sia di origine psicogena che traumatica, negli stati demenziali e nel morbo di Parkinson. Si manifesta come scarsa capacità di concentrazione, facile perdita dell’attenzione, lentezza dell’ideazione, difficoltà alla verbalizzazione, diminuita tendenza all’attività e ai rapporti estrinseci. Nel complesso il soggetto bradipsichico appare come sonnolento e invischiato in un suo mondo dal quale non sa uscire.

BRADISFIGMIA

Diminuzione della frequenza delle pulsazioni rilevabili alla palpazione dell’arteria radiale, in corrispondenza del polso. Nella maggior parte dei casi è l’espressione di una bradicardia. Può essere dovuta alla scarsa efficacia di alcune contrazioni cardiache, così che l’onda di pulsazione non raggiunge le arterie periferiche si osserva soprattutto in alcuni disturbi del ritmo, quali il bigeminismo extrasistolico e la fibrillazione atriale.

BRAILLE, alfabeto

Alfabeto usato dai ciechi, composto di segni riportati in rilievo sul foglio percepibili con il polpastrello. Vari tipi di scrittura in rilievo erano stati proposti nel secolo scorso ed erano tutti basati su semplificazioni delle lettere latine: di tali scritture è rimasto in uso solamente il sistema Moon.L’educatore francese Louis Braille (1809-1852) propose nel 1829 un sistema che sostituiva a ciascuna lettera (o altro segno di scrittura) un simbolo formato da punti in rilievo. I punti possono essere al massimo sei, disposti su due colonne di tre punti ciascuna. Vengono incisi con un punteruolo il foglio di carta è tenuto da una tavoletta munita di cornice e la scrittura viene orientata da una apposita guida mobile, fissata ai bordi. Tale sistema consente 63 combinazioni si possono cioè scrivere l’alfabeto, i segni di interpunzione, numeri, segni aritmetici esiste inoltre anche un sistema di notazione musicale. Testi redatti in alfabeto B. sono stampati da tipografie specializzate e in ogni nazione esistono biblioteche con libri in B.

BRANHAMELLA

Branhamella catharralis è classificata insieme a Neisseria, Moraxella, Kingella, e Acinetobacter nella famiglia delle Neisseriaceae. La posizione tassonomica della B. catharralis è stata dibattuta da tempo è stato proposto che B. catharralis sia assegnata al genere Moraxella (M. catharralis) nella famiglia Moraxellaceae, o al suo proprio genere, Branhamella, nella famiglia Branhamaceae. Agli inizi del 1900, descrizioni di “N. catharralis “ nella flora orofaringea erano probabilmente scorrette. Le colonie di B. catarrhalis possono essere friabili nella consistenza, marrone rosato e opache. Se Neisseria spp. ha un’ottima crescita a 35°C-37°C, B. catharralis cresce bene a 28°C. B. catharralis non è frequentemente isolato dall’orofaringe di adulti sani, ma può trovarsi in quello di bambini e anziani. B. catharralis causa infezioni localizzate acute, come otiti medie, sinusiti, e bronchopolmoniti, malattie sistemiche che includono endocarditi e meningiti. I meccanismi con cui causa queste infezioni non sono ancora conosciuti.

BRANHAMELLOSI

Affezione delle vie respiratorie causata dalla Branhamella catharralis, una volta nota come Neisseria Branhamella catharralis e poi ribattezzata in onore della batteriologa americana Sara Branham. Nota anche con il nome di Moraxella Branhamella catharralis.

Cause
La Branhamella è un diplococco aerobico Gram-negativo reniforme, intra o extracellulare, che è un commensale innocuo delle vie respiratorie, ma che può diventare patogeno provocando forme di bronchiti e meno spesso di polmoniti, soprattutto in soggetti affetti da patologie respiratorie croniche, sinusiti e otiti infantili.

Sintomi
La sintomatologia iniziale è caratterizzata da tosse persistente produttiva, febbre poco elevata, infiltrati polmonari sparsi all’esame radiologico nei casi più gravi. Di solito l’infezione ha un’evoluzione favorevole.

Terapia
La terapia si fonda sull’uso di antibiotici quali eritromicina, cefalosporine, tetracicline.

BREATH TEST

È un test semplice ed efficace per diagnosticare l’infezione da Helicobacter pylori, microrganismo presente nella stragrande maggioranza dei pazienti alle prese con ulcere e gastriti, e implicato anche nella genesi del carcinoma gastrico. Il paziente beve una soluzione contenente urea, “marcata” con un tracciante non radioattivo poi soffia con una cannuccia in una provetta e un analizzatore automatico rivela l’eventuale anidride carbonica “marcata”. Infatti, l’Helicobacter pylori possiede un enzima, l’ureasi, che scinde l’urea in ammoniaca e anidride carbonica, la quale, dopo essere stata assorbita, passa in circolo e viene eliminata col respiro e misurata con uno specifico sistema di lettura. Un test positivo, però, non è sinonimo di malattia gastrodudenale ma rappresenta un importante fattore di rischio. L’Urea B. Test rappresenta il metodo ideale per confermare l’eradicazione del batterio dopo un adeguato trattamento anti-Helicobacter.

BREGMA

Punto situato sul cranio in corrispondenza dell’unione tra l’osso frontale e le due ossa parietali, all’incontro tra la linea di sutura coronale (tra frontale e parietali) e quella sagittale (tra i due parietali).Nel neonato questa zona è detta, fontanella bregmatica e si ossifica circa 16-18 mesi dopo la nascita.

BRENNER, tumore di

Raro tumore dell’ovaio. È una forma molto rara che deriva da residui embrionali  compare in donne di età superiore ai 40 anni, di solito dopo la menopausa  di norma si accresce molto lentamente, senza provocare sintomi caratteristici e può raggiungere volumi molto variabili: in alcuni casi può non superare il volume di una nocciola, mentre in altri può raggiungere quello della testa di un uomo adulto. Quando è di piccole dimensioni, non dà segni della sua presenza  quando ha dimensioni maggiori, i sintomi da esso determinati non si distinguono da quelli degli altri tumori benigni dell’ovaio e allora si manifesta, alla palpazione dell’addome, come una massa a limiti netti, localizzata al bacino. In rari casi insorge contemporaneamente in entrambe le ovaie. Può avere un aspetto simile a quello del fibroma o del cistoma pseudomucinoso. È un tumore benigno, a lenta evoluzione, che non recidiva dopo la semplice asportazione chirurgica  solo in casi molto rari si ha un’evoluzione maligna. Il tumore di B. viene riconosciuto per il suo caratteristico aspetto istologico.

BRETILIO

Farmaco antiaritmico indicato nelle aritmie ventricolari (tachicardia e fibrillazione). Agisce come bloccante sinaptico post-gangliare ed inibitore del re-uptake della adrenalina, pertanto potenzia l’azione delle catecolamine somministrate. Si somministra per via endovenosa o intramuscolo. È controindicato in caso di infarto recente, feocromocitoma, aterosclerosi coronaria o cerebrale.

BREVILINEO

vedi BRACHITIPO

BRIGLIA AMNIOTICA

Aderenza patologica che si forma all’interno della cavità amniotica quale espressione di difettosa separazione delle sue pareti. Tali aderenze, di aspetto nastriforme, possono attraversare la cavità amniotica in un punto qualsiasi e persistere fino all’espletamento della gravidanza senza dare alcun segno della loro presenza. In alcuni casi interferiscono con il regolare sviluppo del feto potendo determinare gravi menomazioni anche di tipo sindromico, soprattutto agli arti che si presentano poi mutilati alla nascita.

BRITISH ANTI-LEWISITE

vedi BAL1

BRIVIDO

Termine onomatopeico che indica la contrazione involontaria, ritmica o irregolare, di estesi gruppi muscolari, simile a un tremore, e accompagnata da senso di freddo e orripilazione (erezione dei peli o “pelle d’oca”). Costituisce una reazione con cui l’organismo, mediante un aumento dell’attività muscolare, aumenta la produzione di calore per mantenere costante la sua temperatura, e si manifesta tutte le volte che il corpo perde un’eccessiva quantità di calore. Il b. è innescato da un centro nervoso situato nell’ipotalamo posteriore esso riceve gli stimoli provenienti dai recettori termici della cute, ed è stimolato anche dalla temperatura del sangue. Il b. può insorgere inoltre come reazione a forti stimoli psichici o per alterazione dei centri che regolano la temperatura corporea, come si ha nella febbre. In questo caso esso è sintomo importante di molte malattie infettive: polmonite, sepsi, influenza, malaria, ascesso polmonare, scarlattina, meningite epidemica ecc. Può aversi b. anche dopo trasfusione di gruppo sanguigno non compatibile, o per iniezione endovenosa di soluzioni contaminate da tossine o prodotti batterici.

BROMIDROSI

Secrezione di sudore dall’odore intenso e sgradevole. Può essere un carattere costituzionale, oppure può essere dovuta ad alterazioni della cute di certe regioni (dita dei piedi) con macerazione degli strati più superficiali dell’epidermide (in talune infezioni da funghi). Nel corso di alcune malattie il sudore può acquistare un odore caratteristico: così nell’uremia può avere un odore urinoso, nella tubercolosi un odore acre, nella brucellosi odore di paglia bagnata.

BROMISMO

Intossicazione da ingestione di preparati a base di bromo, soprattutto di bromuro di potassio. Gli effetti acuti più importanti sono a causa di inalazione (tosse, affanno, bruciore, irritazione prime vie aeree, sintomi neurologici con il bromoformio), contatto con la pelle (arrossamento, bruciore, dolore), contatto con gli occhi (arrossamento, dolore, gravi ustioni), ingestione (crampi addominali, bruciore, gola secca, collasso). Importante non fare bere e non indurre il vomito consultare subito il medico. Gli effetti cronici comprendono dermatiti, acne bromica, edema polmonare, colorazione gialla dei denti, congiuntivite, torpore, allucinazioni, alterazioni di memoria e riflessi, danni epatici, azione cancerogena su rene, tiroide, stomaco e intestino.

BROMOCROPTINA

Alcaloide della segale cornuta, con attività dopaminergica. Essa viene utilizzata con successo nella terapia del Parkinsonismo, nelle iperprolattinemie, nel gigantismo.Gli effetti collaterali comprendono disturbi gastrointestinali (anoressia, nausea, vomito, stipsi), cardiovascolari (ipotensione, arirmie), discinesie, psichiatrici, che regrediscono con la fine del trattamento.È controindicata in soggetti con infarto miocardico recente o con storia di turbe psichiche.

BROMURI

Composti del bromo (bromuro di sodio, di potassio e di ammonio) ad azione depressiva del sistema nervoso centrale. Hanno trovato impiego in passato come sedativi e antiepilettici.Il Bromuro fu il primo farmaco introdotto nella terapia dell’epilessia da Locock nel 1857.Trascurato in favore dei barbiturici, viene usato nei casi in cui questi ultimi sono controindicati (porfirie).Dosaggio:3-6 gr/die. Emivita: circa 12 giorni.Frequenti gli effetti collaterali come eritemi cutanei, sedazione e alterazioni comportamentali.

BRONCHIECTASIE

Con il termine di bronchiectasia si indica una dilatazione bronchiale su base anatomica, vale a dire permanente.Le b. si possono suddividere in due grandi categorie: le congenite e le acquisite le forme congenite si osservano già nel neonato e sono riconducibili a fatti malformativi locali molte volte secondari a fattori tossici (alcolismo dei genitori) le forme acquisite possono essere secondarie ad altre malattie delle quali rappresentano una complicanza (ascessi polmonari, neoplasie, corpi estranei presenti nei bronchi) oppure primitive.

Cause
Tra i fattori che portano alla formazione di b. possiamo distinguere fattori predisponenti, fattori infettivi, fattori meccanici. Il fattore predisponente, caratterizzato da un’alterazione della struttura della parete bronchiale con conseguente diminuita resistenza, è indispensabile perché gli altri fattori possano determinare lo stato morboso in questione. I fattori meccanici sono considerati come il primo movente nell’insorgenza della bronchiectasia: i colpi di tosse nella bronchite, nella pertosse, sono molte volte chiamati in causa per spiegare l’insorgenza del processo morboso. Non vanno neppure trascurati i processi retraenti, secondari a malattie infiammatorie a interessamento peribronchiale, polmonare o pleurico che portano a stiramento e a deformazione dei bronchi.

Sintomi
La malattia è a lungo decorso, a insorgenza in genere estremamente lenta e progressiva. Nella fase iniziale i sintomi sono di modesta entità e compaiono a intervalli, con tosse, escreato scarso, specie mattutino, di colorito giallastro. L’umidità e il freddo facilitano la comparsa della sintomatologia funzionale a carico dell’apparato respiratorio. In una fase successiva la sintomatologia diventa più ricca e più costante nel tempo. Spesso si ha la comparsa di febbre, di astenia, di dimagramento, di anemia. Caratteristica in questo periodo è l’espettorazione in genere molto abbondante (talora raggiunge anche i 1000 ml) l’escreato a volte può essere emesso sotto forma di vomica e assume un aspetto nettamente purulento e un odore in genere cattivo che può diventare anche fetido non è rara l’emissione di escreato striato di sangue.Attualmente si ritiene che la malattia bronchiectasica sia la più frequente causa di emottisi (emissione di sangue dalla bocca), emottisi che, a volte, possono essere anche di tale entità da pregiudicare la vita del soggetto.La malattia ha un decorso estremamente lento, in genere progressivo facili sono le complicanze, oltre all’emottisi si può manifestare infatti l’ascesso polmonare, il pneumotorace spontaneo secondario, la polmonite o la broncopolmonite, che spesso aggravano ulteriormente le condizioni già difficili del paziente. Con il tempo si stabilisce una fibrosi del tessuto polmonare, con riduzione del letto circolatorio e aumento della pressione nel piccolo circolo: come conseguenza si avrà una ipertrofia del ventricolo destro, cui può far seguito uno scompenso cardiaco (cor pulmonale).

Diagnosi
La diagnosi deve sempre essere suffragata da un esame broncografico, vale a dire dall’introduzione nell’albero bronchiale di un mezzo radiopaco che permette di evidenziare la presenza delle caratteristiche alterazioni cilindriche o sacciformi o ampollari dei bronchi. La tomografia assiale computerizzata (TAC) può sostituire almeno in parte l’indagine broncografica che in ogni caso va comunque praticata in caso di intervento chirurgico.

Terapia
Il trattamento radicale delle b. è il chirurgico di exeresi. Non sempre però tale provvedimento è indicato e attuabile specie se la sintomatologia emoftoica e/o infettiva è modesta, in quanto le b. si possono riformare col tempo nel polmone residuo (favorite dall’assetto toracopolmonare postintervento) e inoltre molto frequentemente già sin dall’inizio vengono a interessare estesamente tutte le vie bronchiali.Nel caso di b. secernenti, nelle fasi di riacutizzazione, è indispensabile un trattamento antibiotico protratto per almeno 15-20 giorni condotto possibilmente sulla guida di un antibiogramma che permetta di stabilire l’antibiotico al quale il germe o i germi (eventualità molto frequente) isolati dalle secrezioni bronchiali del paziente risultino sensibili. Il trattamento antibiotico se non porta ad alcun miglioramento in caso di somministrazione orale o parenterale può essere attuato (talora con evidenti risultati) per via locale endobronchiale (instillazioni bronchiali).Sempre in presenza di b. secernenti è indispensabile, anche nelle fasi di relativo benessere, attuare un trattamento fisiochinesiterapico respiratorio consistente in particolare modo nell’assumere, specialmente durante la nottata, posizioni che maggiormente favoriscano il drenaggio delle secrezioni dalle aree bronchiectasiche.

BRONCHIOLITE

Malattia infettiva broncopolmonare acuta più grave e più diffusa nei bambini al disotto dell’anno d’età.

Cause
L’eziologia è virale: il virus respiratorio sinciziale (VRS) è responsabile del 50% dei casi nei primi mesi di vita è spesso dovuta alla Clamidia e (indipendentemente dall’eziologia) è sempre particolarmente grave. Il virus danneggia in modo particolare i rami bronchiali più sottili (bronchioli) provocando edema della mucosa, ipersecrezione di muco e necrosi delle cellule epiteliali bronchiolari tutto ciò comporta una notevole riduzione del lume bronchiale, che nel bambino piccolo è già, di norma, molto ristretto. Il VRS si diffonde attraverso le goccioline di saliva e provoca piccole epidemie particolarmente in inverno e primavera.

Sintomi
L’esordio della malattia è acuto: dopo 1 o 2 giorni di banale raffreddore, con poca tosse e febbre modesta (di rado superiore ai 38°C) compare la dispnea che fa precipitare le condizioni del bambino. Per la grande difficoltà respiratoria, il quadro clinico diventa, nello spazio di poche ore, drammatico: il respiro si fa sempre più frequente (oltre 70 atti al minuto), compaiono tachicardia, pallore, tosse insistente e altri evidenti segni di difficoltà respiratoria: alitamento delle ali del naso, rientramenti inspiratori al giugulo (base del collo), intercostali ed epigastrici. Il bambino attiva ogni meccanismo disponibile, nel tentativo spasmodico di attirare l’aria nei polmoni, attraverso i bronchioli parzialmente, o totalmente, ostruiti dal processo infiammatorio. La febbre è elevata solo nei casi complicati da una superinfezione batterica.

Diagnosi
Il reperto auscultatorio del torace conferma l’ingresso d’aria nei polmoni molto ridotto e la presenza d’ostruzione bronchiolare. Il decorso della b. è drammatico, ma fortunatamente breve (3 o 4 giorni) tuttavia poiché le condizioni del bambino sono gravissime è sempre necessario il ricovero in ospedale.

Terapia
La malattia, un tempo assai pericolosa, se ben curata, può oggi guarire. La terapia si basa essenzialmente sulla somministrazione d’ossigeno umidificato, utilizzando apposite tende per ossigenoterapia oppure le culle termiche per i più piccini sono inoltre necessarie l’idratazione e la nutrizione per via venosa, per risparmiare ogni fatica al bambino, che non sarebbe comunque in grado di assumere liquidi per bocca. Come supporto terapeutico si somministra antibiotici (utili ad evitare le complicanze batteriche) e farmaci broncodilatatori e/o cortisonici per migliorare la funzione respiratoria.Nei casi più gravi la comparsa di cianosi o di crisi convulsive (da anossia) rendono necessaria la ventilazione assistita del lattante.

BRONCHIOLO

Diramazione dell’albero bronchiale che costituisce la parte compresa tra i piccoli bronchi e gli alveoli. Il diametro del b. è inferiore a 1 mm la parete, priva di impalcatura cartilaginea, è ricca di tessuto muscolare liscio ed elastico, ed è tappezzata da un epitelio cilindrico semplice. Il b. si suddivide dando origine al b. terminale, di diametro inferiore a 0,4 mm, oltre il quale la parete si assottiglia e da essa protrudono alcuni alveoli. Questo tratto del b. (detto b. respiratorio) rappresenta l’inizio della porzione respiratoria del polmone (comprendente dotti alveolari, sacchi alveolari ed alveoli), a livello della quale avvengono gli scambi gassosi tra l’aria inspirata e il sangue.

BRONCHITE

Processo infiammatorio della mucosa dei bronchi di grosso e medio calibro. In base al decorso e alle caratteristiche cliniche le bronchiti si distinguono in acute e croniche.Bronchiti acute

Cause
I virus sembrano essere in causa più spesso dei batteri nelle bronchiti acute, specie in quelle che colpiscono i giovani. Anche i batteri, però, sono causa di b. acuta. Essi possono giungere ai bronchi con l’aria inspirata, con il sangue, oppure possono appartenere al gruppo dei cosiddetti saprofiti, quei germi cioè che vivono normalmente sulle mucose dell’albero respiratorio (o altrove) senza provocare alcuna malattia. Indebolendosi per un motivo qualunque l’organismo o diminuendo le difese locali (il freddo, l’aria calda e secca, le polveri ecc. le diminuiscono), anche i saprofiti possono far insorgere la b.

Sintomi
Dopo un raffreddamento compare quasi all’improvviso una febbre in genere modesta (37,5-38,5°C), accompagnata da tosse spesso viene avvertito un dolore retrosternale, in mezzo al petto, che si fa più forte con i colpi di tosse in questi casi c’è una infiammazione anche della trachea (tracheo-bronchite). I dolori talvolta si estendono, meno violenti, a tutto il torace, e sono in questo caso i muscoli respiratori che dolgono perché sottoposti a uno sforzo notevole a causa della respirazione frequente e della continua tosse. La comparsa della tosse è il segno tipico della bronchite, anche se non è sintomo solo di questa malattia: essa rappresenta un altro meccanismo di difesa dei bronchi anche normalmente, infatti, i grossi bronchi rispondono alla stimolazione della loro parete, da parte di qualunque sostanza, con accessi di tosse che hanno il preciso compito di espellere il corpo estraneo stimolante. Nella b. acuta, la tosse si spiega con l’irritazione della mucosa bronchiale, dovuta al processo infiammatorio in atto, con l’eccessiva quantità di muco secreta dalla parete dei bronchi e, soprattutto, con la presenza di essudato, un liquido che esce dai piccoli vasi congesti della parete bronchiale, il quale, data la sua abbondanza, funziona a sua volta da corpo estraneo. Questa eccessiva formazione di muco e di essudato è causa di un altro sintomo immancabile: il catarro, con conseguente espettorazione. Scarso e tenace in un primo tempo, l’espettorato diviene poi abbondante e più fluido, potendo arrivare in casi rari a 1/2 litro al giorno e in taluni casi, anche se rari, sino a 1 litro questi casi, in cui l’abbondanza del secreto bronchiale è in tale misura eccedente la norma, vengono raggruppati in un tipo particolare di b. acuta, detta pituitosa. La presenza del catarro nelle vie bronchiali e i suoi spostamenti durante il passaggio dell’aria vengono avvertiti dal medico che ascolta il torace come rumori del tutto caratteristici, che consentono di porre facilmente la diagnosi. La b. acuta, se si presenta come fatto isolato, deve essere ritenuta come un episodio banale che guarisce entro breve tempo e non lascia nessuna traccia. Può però assumere un andamento grave specie nei bambini e nei vecchi, nei soggetti debilitati e in quelli affetti da b. cronica.

Diagnosi
All’esame del torace è tipico il reperto auscultatorio di sibili, ronchi e rantoli all’esame radiologico si nota semplicemente un’accentuazione del disegno broncovasale del polmone.

Terapia
La terapia richiede nella maggior parte dei casi la somministrazione di antibiotici, antipiretici, espettoranti, sedativi della tosse molto utile è anche la somministrazione di antibiotici e decongestionanti per aerosol.Bronchiti cronicheSono anch’esse dovute a batteri o virus, ma trovano la loro causa principale nell’irritazione cronica dell’albero bronchiale per inalazione protratta di gas, polveri e vapori irritanti, e pertanto rivestono spesso il carattere di malattie professionali in altri casi sono favorite da infiammazioni croniche delle prime vie aeree (riniti, rinofaringiti) o da turbe della ventilazione o della circolazione polmonare. Le alterazioni della mucosa bronchiale sono anche in questo caso rappresentate da congestione, edema e formazione di essudato più o meno abbondante, in genere mucopurulento l’epitelio bronchiale assume carattere pavimentoso.È una malattia a inizio subdolo, che progredisce in gravità gradualmente e lentamente attraverso gli anni e può portare a una vera e gravissima insufficienza respiratoria.
La b. cronica viene usualmente definita, con termini clinici, come un processo morboso caratterizzato da espettorazione (superiore ai 2 ml al giorno), con tosse cronica o ricorrente quasi quotidiana per un minimo di due mesi (anche non consecutivi) e per non meno di due anni consecutivi, escludendo naturalmente altre malattie quali la tubercolosi e le bronchiectasie che possono dare per lunghi periodi una sintomatologia analoga. La b. cronica è una malattia da non sottovalutare perché può portare a gravi complicazioni

Cause
Le cause della b. cronica non sono state ancora bene e completamente chiarite, quantunque si debba ritenere che esistano nella sua genesi tre importanti fattori: il fumo di sigaretta, le condizioni ambientali per esposizioni occupazionali o per residenza in un’atmosfera inquinata e l’infezione dovuta solitamente a microrganismi batterici o virali ad essi si possono in verità aggiungere fattori genetici, predisponenti verso le affezioni dell’albero respiratorio. Questa predisposizione, che l’individuo porta con sé sin dalla nascita, viene considerata di scarsa importanza e attualmente si ritiene che l’insorgenza della b. cronica debba farsi risalire, per la massima parte, alle abitudini igieniche e di vita. Il fumo di sigaretta e le condizioni ambientali, attraverso un’irritazione delle vie aeree, sono le cause iniziali dell’aumento di produzione di muco a livello delle cellule mucipare dell’albero bronchiale l’infezione solitamente si associa in un tempo successivo, favorita dalle condizioni anatomopatologiche della mucosa bronchiale, alterata dai precedenti fattori. Importanza determinante hanno gli inquinanti atmosferici (i gas, i vapori, le polveri), di cui è impregnata l’aria, specie in alcuni ambienti industriali dannosi sono l’ammoniaca, l’acetone, gli acidi acetico, cloridrico, fluoridrico, i fumi metallici, l’idrogeno solforato e l’anidride solforosa. Tra i più pericolosi sono il fosfogene e gli ossidi nitrosi che possono ledere irreversibilmente la mucosa bronchiale. A proposito dell’importanza dell’inquinamento atmosferico nell’eziologia della b. cronica, è stata documentata statisticamente l’esistenza di stretti rapporti tra inquinamento atmosferico e urbanizzazione con aumento della mortalità e morbilità da b. cronica. La situazione poi si complica se sopravviene un’allergia verso qualche sostanza inalata i bronchi, specie i più piccoli, diventano spastici, vale a dire la loro muscolatura si contrae, il lume bronchiale si riduce e l’aria trova ancora maggiori ostacoli a passare.

Sintomi
La tosse è il sintomo cardine, accompagnata da espettorazione (a tale proposito va tenuto ben presente che le donne e i bambini difficilmente espettorano in loro si forma il catarro che però non viene espulso di norma all’esterno, ma giunto nel retrobocca, spinto dalle ciglia della mucosa bronchiale, viene ingerito). In genere la febbre è assente o compare ogni tanto come febbricola, aumentando di solito durante le frequenti riacutizzazioni, specie nella stagione invernale in occasione di variazioni brusche di temperatura, di esposizione all’umidità, al freddo, al vento. Notevoli sono invece i sintomi respiratori: la respirazione comporta sempre una certa difficoltà e durante uno sforzo questo fenomeno si fa più evidente, tanto da limitare a volte marcatamente la capacità lavorativa del bronchitico cronico la parte più difficoltosa dell’atto respiratorio è l’espirazione, che si prolunga e richiede uno sforzo attivo da parte del soggetto, mentre è noto che l’espirazione nell’individuo normale è un fenomeno passivo dovuto semplicemente alla retrazione elastica del tessuto polmonare precedentemente disteso dall’atto inspiratorio. Il lume dei bronchi, cioè la via di passaggio dell’aria, è ridotto di ampiezza sia per la presenza in esso di un essudato e di abbondanti secrezioni mucose sia perché la parete bronchiale ispessita è tumida, rigonfia di sangue e di essudato e la muscolatura dei bronchi solitamente risulta contratta. Pure l’elasticità del parenchima polmonare è in parte compromessa, innanzi tutto perché le fibre elastiche che la costituiscono si sono in parte trasformate in fibre connettivali anelastiche e inoltre per fatti infiammatori peribronchitici che hanno fissato i bronchi ai tessuti circostanti impedendo loro le normali variazioni di calibro durante l’atto respiratorio. Tutto ciò ha come conseguenza un difficoltoso passaggio dell’aria attraverso le vie bronchiali e una maggiore resistenza opposta dai polmoni ai movimenti che la ventilazione impone. L’afflusso d’aria agli alveoli polmonari è ridotto, tanto da essere sufficiente, spesso, solo in condizioni di riposo. Uno sforzo muscolare richiede un aumento dell’ossigenazione dei tessuti, pertanto tutto il sistema entra in crisi ed ecco comparire la dispnea, ossia il paziente avverte la sensazione di ventilare e il viso diventa rosso-violaceo: in questi casi il paziente è costretto a sospendere la sua attività.
La dispnea è causata dal fatto che il malato cerca di aumentare la sua ventilazione, impegnando anche i muscoli sussidiari della ventilazione, nel tentativo da parte dell’organismo di compensare la scarsa ossigenazione del sangue a livello polmonare. La b. cronica è una malattia che si sta diffondendo grandemente: in Italia circa il 25% dei soggetti adulti è affetta da b. cronica e tale incidenza va aumentando di anno in anno. Ovviamente si tratta molto frequentemente di b. cronica in assenza di una ricca sintomatologia respiratoria, che il paziente riferisce alla sua abitudine al fumo e quindi trascura totalmente finché giunge a una vera insufficienza respiratoria.

Terapia
Il trattamento della b. cronica è in primo luogo la prevenzione, al fine di non fare progredire la malattia verso la comparsa o il peggioramento dell’insufficienza respiratoria. La massima parte dei pazienti bronchitici cronici è usualmente un fumatore attivo, raramente passivo: entrambe le modalità di inalazione del fumo vanno assolutamente abolite. Le sigarette non sono l’unico fattore responsabile della b. cronica, l’inquinamento dell’atmosfera è un problema estremamente serio che deve venire considerato con la massima attenzione dagli organi competenti. Infatti è estremamente utile lo spostamento dei pazienti con b. cronica nelle zone non inquinate per esempio il bronchitico cronico dovrebbe poter trascorrere alcuni mesi dell’anno in zone non nebbiose, lontane dalla propria casa. È inoltre necessario curare con scrupolosità le bronchiti acute tipiche della stagione invernale, osservando il riposo a letto durante il decorso della malattia e facendo un’adeguata convalescenza in casa sia per evitare il freddo e soprattutto le brusche variazioni di temperatura, sia per non respirare le nebbie o lo smog, quanto mai dannosi ai bronchitici. Gli ambienti dovranno essere ben riscaldati, senza peraltro esagerare, e con una sufficiente umidità (tenere sempre dell’acqua sulle stufe e sui termosifoni). Se le bronchiti si ripetono e si cronicizzano, e se si lavora in ambienti polverosi o ricchi di gas nocivi, sarà bene prendere in considerazione, secondo il giudizio del medico, l’eventualità di un cambiamento di professione. Si deve ricordare, comunque, che se il decorso della b. cronica non si arresta in tempo, gli esiti immancabili sono l’enfisema, cioè la perdita irreversibile di elasticità del parenchima polmonare con conseguente riduzione della superficie respiratoria polmonare, e in seguito il cuore polmonare cronico, cioè un’insufficienza cardiaca conseguente alle lesioni polmonari. La terapia medica propriamente detta completa i trattamenti di prevenzione al fine di limitare la progressione della malattia essa tende essenzialmente al controllo dei processi infettivi e dei fattori che impediscono, attraverso una riduzione del lume delle vie bronchiali (ostruzione bronchiale), una normale ventilazione alveolare. L’infezione è la più frequente complicanza della b. cronica. In questi pazienti, specie se con sintomatologia accentuata, è indicata la profilassi antinfluenzale e la profilassi con lisati batterici. È indicata soprattutto la terapia antibiotica con farmaci ad ampio spettro (penicillina, cefalosporina, chinolonici, macrolidi), da assumere all’esordio di ogni riacutizzazione della sintomatologia catarrale bronchiale, senza attendere che compaiano febbre o espettorato purulento. La terapia antibiotica va protratta per almeno 10-15 giorni, variando la famiglia dell’antibiotico se entro tre giorni dall’inizio del trattamento non si siano ottenuti apprezzabili miglioramenti della sintomatologia clinica. L’ostruzione bronchiale è molto importante nel favorire l’evoluzione negativa della b. verso un quadro di broncopatia cronica ostruttiva. Il miglioramento della ostruzione bronchiale può essere ottenuto migliorando la clearance delle secrezioni e normalizzando il calibro bronchiale. Il primo e più semplice provvedimento per favorire l’eliminazione delle secrezioni bronchiali è il mantenimento di un’adeguata idratazione orale (1,5-2,5 litri di liquidi al giorno). Stesse finalità vengono conseguite con una idratazione locale con aerosol caldo-umido, con mucolitici (ancora in discussione la loro effettiva utilità), con la fisioterapia respiratoria (specie per quanto attiene l’assistenza alla tosse in quanto molte persone non sanno tossire correttamente e utilmente e quindi non sanno espettorare), con il drenaggio posturale. Da quanto detto deriva che non è desiderabile sopprimere il riflesso della tosse nel bronchitico cronico e in genere in tutti i bronchitici (si ricorre a sedativi della tosse sole nel caso di una sintomatologia insistente e altamente fastidiosa).
L’ostruzione bronchiale oltre che al ristagno delle secrezioni può essere dovuta sia a edema e infiammazione della mucosa bronchiale sia a contrazione della muscolatura delle pareti bronchiali (broncospasmo). Nel primo caso si deve ricorrere ai cromoni e ai cortisonici, preferendo quelli per uso topico, nel secondo caso ai farmaci broncodilatatori quali i beta-2-stimolanti, gli anticolinergici, i teofillinici. Va tenuto comunque ben presente che questi farmaci vanno somministrati a tempo indeterminato avendo però l’accortezza di non superare mai i dosaggi terapeutici consigliati al fine di evitare effetti secondari talora molto seri.

BRONCO

Elemento costitutivo dell’apparato respiratorio, di forma tubolare, strutturato in un complesso di elementi similari detto albero bronchiale. I due bronchi principali o bronchi di 1° ordine danno origine ai bronchi lobari o di 2° ordine questi danno origine ai rami segmentari o di 3° ordine e questi ultimi, a loro volta, si dividono in rami subsegmentari o di 4° ordine. Si procede così via via sino alle più piccole ramificazioni bronchiali periferiche, che entrano in rapporto con gli alveoli polmonari. Data l’esistenza di numerose variazioni anatomiche, la classificazione dei due alberi bronchiali, destro e sinistro, è alquanto complessa ed è stata oggetto di lunghe discussioni, prima di venire codificata nel corso di congressi internazionali. A destra il b. principale, che è più verticale, più largo e più breve del sinistro, dà origine, subito dopo l’entrata nel polmone, al b. lobare superiore, che si distacca ad angolo retto dalla sua parete laterale e si divide, dopo circa 1 cm, nei tre rami segmentari: apicale, anteriore e laterale. La diretta continuazione del b. principale destro è comunemente chiamata tronco intermedio: i suoi limiti sono dati in alto dall’origine del b. lobare superiore, in basso dall’origine del tronco lobare medio. Dalla parete anteriore del tronco intermedio origina, infatti, il b. lobare medio, che si porta in basso e in avanti e si divide, poi, nei suoi rami segmentari anteriore e laterale. Dalla parete posteriore del tronco intermedio, allo stesso livello dell’orifizio del lobare medio, nasce il b. apicale del lobo inferiore o bronco di Nelson. Il tronco intermedio si continua direttamente nel b. lobare inferiore, che si porta in basso e indietro, assottigliandosi progressivamente, e dà infine origine ai rami segmentari basali: infracardiaco o interno, anteriore, antero-esterno e posteriore. A sinistra il b. principale si divide in due grossi rami destinati rispettivamente al lobo polmonare superiore e al lobo polmonare inferiore. Il b. lobare superiore sinistro si porta in alto e all’esterno e dopo circa 1 cm si divide in un ramo superiore e in un ramo inferiore o b. della lingula. Il primo dà origine a tre rami segmentari: apicale, anteriore e posteriore il secondo, che corrisponde al b. lobare medio di destra, si divide nei due rami segmentari superiore e inferiore. Il b. lobare inferiore sinistro dà pure origine, dalla parete posteriore, al ramo segmentario apicale o b. di Nelson manca, invece, a sinistra il b. interno o infracardiaco, per cui il b. lobare inferiore termina suddividendosi nei bronchi segmentari: anteriore, antero-posteriore e posteriore. Queste suddivisioni dell’albero bronchiale sono il risultato dei moderni progressi dell’anatomia, della fisiologia, della radiologia, della clinica e della chirurgia toracica che hanno condotto alla concezione della struttura segmentaria dei polmoni: si è potuto cioè dimostrare che esistono delle unità, più piccole dei lobi polmonari e incluse in questi, che sono dotate di una propria autonomia. Queste unità, dette segmenti o zone bronco-polmonari, sono dotate di un proprio b., che è generalmente un ramo segmentario, di una propria arteria, di un proprio sistema di scarico venoso e linfatico, di una propria innervazione. La suddivisione segmentaria dei polmoni è risultata di grande utilità pratica soprattutto nel campo della chirurgia polmonare, consentendo interventi di asportazione circoscritta di uno o più segmenti polmonari, rispettando il tessuto polmonare sano. La precisa conoscenza delle ramificazioni dell’albero bronchiale è inoltre indispensabile per un’esatta localizzazione dei reperti endoscopici nel corso delle broncoscopie. La struttura dei bronchi è simile a quella della trachea: esiste un’impalcatura cartilaginea che nei bronchi principali è costituita da anelli incompleti di cartilagine ialina, completati posteriormente da uno strato di fibrocellule muscolari lisce disposte trasversalmente, mentre nei bronchi intrapolmonari è costituita da piastre cartilaginee, che si possono trovare in qualunque punto della circonferenza bronchiale. All’interno dello scheletro cartilagineo esiste una tonaca mucosa, ricoperta da epitelio di rivestimento cilindrico ciliato, ricca di piccole ghiandole sieromucose all’esterno esiste una tonaca fibroelastica. Il b. è costituito di una guaina di tessuto fibroso ricco di cellule muscolari lisce, rafforzato, con eccezione per le sue ramificazioni più fini dove la componente muscolare liscia è prevalente, da anelli cartilaginei sovrapposti nel senso della sua lunghezza che gli conferiscono solidità e ne conservano la struttura tubolare. All’interno il b. è rivestito da una mucosa ricoperta da epitelio a cellule ciliate e da un sottile strato di muco secreto da apposite ghiandole.
Tale struttura è conforme alle funzioni svolte dal b., che non sono soltanto quelle di fungere da canale trasportatore dell’aria ai polmoni, ma anche di provvederne all’umidificazione, alla regolazione della temperatura affinché sia il più possibile vicina a quella corporea e infine alla sua depurazione dalle particelle inerti o da batteri, che si fissano al muco e vengono poi convogliati verso l’esterno mediante i movimenti delle ciglia dell’epitelio. Una struttura un poco diversa si trova nelle più fini diramazioni del b., dove gli anelli cartilaginei vengono sostituiti da placchette e nei bronchioli respiratori, che sono le estreme diramazioni bronchiali prima degli alveoli polmonari. Nei bronchioli infatti la struttura canalicolare dà luogo a un aspetto irregolare con estroflessioni sacciformi e l’epitelio di rivestimento interno assume già le caratteristiche che consentono scambi respiratori. I bronchi sono vascolarizzati da rami delle arterie bronchiali, e innervati da fibre del sistema nervoso simpatico e parasimpatico queste ultime, provenienti da rami del nervo vago, determinano contrazione della muscolatura con riduzione del lume.I bronchi possono essere interessati da malformazioni congenite, da infiammazioni acute o croniche, da manifestazioni allergiche quali l’asma bronchiale, da alterazione della parete con sfiancamento e dilatazioni (bronchiettasia), da tumori benigni o maligni. Lo studio clinico dei bronchi si avvale di mezzi di esplorazione diretta (broncoscopia), funzionale (broncospirometria), radiologica.

BRONCOASPIRAZIONE

Tecnica di raccolta delle secrezioni bronchiali a scopo diagnostico o terapeutico. Nel secreto bronchiale sono sempre contenute cellule sfaldate dell’epitelio della mucosa accanto ad altri elementi cellulari (globuli rossi, globuli bianchi, istiociti) che possono denunciare eventuali processi patologici a carico della mucosa stessa.La b. può essere eseguita nel corso di una broncoscopia, introducendo nel broncoscopio, sotto continuo controllo visivo, un sottile tubo metallico connesso all’estremità prossimale con un aspiratore ad aria o ad acqua con l’interposizione di un collettore di vetro per la raccolta delle secrezioni. Senza controllo visivo diretto la b. si può praticare, dopo avere realizzato un’anestesia locale di superficie delle vie aeree superiori, con le stesse tecniche usate per la broncografia, introducendo nell’albero bronchiale una sonda di gomma, opportunamente orientata e facendo assumere al paziente posizioni determinate in rapporto al segmento bronchiale che si vuole raggiungere. Il materiale ottenuto (broncoaspirato) viene esaminato al microscopio dopo essere stato debitamente trattato e colorato. La tecnica della b. trova impiego soprattutto nella diagnosi dei tumori polmonari.

BRONCODILATATORI

Farmaci utilizzati nelle patologie da ostruzione cronica delle vie respiratorie, cioè bronchite cronica, enfisema e asma. Comprendono beta2-agonisti ed anticolinergici. I primi sono piu efficaci nell’asma, i secondi nell’enfisema e nella bronchite cronica. Nella crisi respiratoria severa, ove i b. succitati non siano sufficienti, viene associata la teofillina.

BRONCOGRAFIA

Tecnica di indagine radiologica dell’albero bronchiale. Consiste nell’introduzione in trachea, mediante un sottile catetere, di un mezzo di contrasto radiologico che viene poi fatto defluire nei bronchi, con migliore risoluzione delle diramazioni più distali rispetto alla broncoscopia.Una volta eseguita la broncoscopia si inietta un mezzo di contrasto opaco nei bronchi e si eseguire una serie di lastre radiografiche. La b. peraltro si può eseguire anche indipendentemente dalla broncoscopia: in questo caso il mezzo di contrasto viene introdotto nell’albero bronchiale attraverso un sondino flessibile di gomma o di materia plastica che viene fatto scendere in trachea sotto osservazione laringoscopica indiretta, dopo un’anestesia di superficie della mucosa faringea e laringea.Apparirà tutto l’albero bronchiale come un tronco dai rami tutti scuri fino alle più fini diramazioni nel caso che un bronco sia ostruito (tumore, corpo estraneo) il quadro broncografico ne darà un’immagine tronca, che corrisponde al mancato riempimento da parte della sostanza radio-opaca iniettata.L’esame è utile per evidenziare infezioni, lesioni dei bronchi terminali, emorragie, tumori o malformazioni dei bronchi.Normalmente l’esame viene effettuato in regime di day surgery. Il paziente non deve aver bevuto né fumato.Dopo un’anestesia locale, viene introdotto un catetere nell’albero bronchiale, attraverso il naso (o la bocca). Quindi viene iniettata una sostanza di contrasto vaporizzata, opaca ai raggi X, che forma una specie di patina e rende i bronchi visibili fino alle più sottili diramazioni.Vengono quindi scattate diverse istantanee sia in inspirazione che in espirazione.

BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA (BPCO)

Malattia grave e diffusa e notevolmente debilitante.Bronchite cronica ed enfisema risultano frequentemente tra loro strettamente legati.La BPCO rappresenta un consistente problema socio-sanitario risultando una delle più frequenti cause di disabilità permamente nell’uomo oltre i 40 anni. Basti pensare che in Italia il 10% dei soggetti, in prevalenza di sesso maschile, è portatore di questo processo morboso e la sua incidenza è in costante progressivo incremento.

Cause
La broncopneumopatia cronica ostruttiva è una patologia soprattutto conseguente all’esposizione cronica al fumo di sigaretta, che agisce su un terreno costituzionale predisposto.

Sintomi
Bronchite cronica, ed enfisema concorrono nel determinismo della sintomatologia respiratoria. Il paziente pertanto accusa solitamente dispnea, tosse, espettorazione mucosa o, nelle fasi di riacutizzazione, purulenta, limitazione dell’attività fisica e cuore polmonare, ma l’aspetto più rilevante è la facile comparsa, al minimo insulto sul sistema respiratorio, di gravi insufficienze respiratorie acute (IRAC o, in inglese ACRF, Acute or Chronic Respiratory Failure), che si manifestano con dispnea ingravescente e impotenza fisica.

Terapia
Trattamenti opportuni possono indurre un evidente miglioramento del quadro clinico con regressione dell’ipercapnia, la terapia va allora condotta a tempo indeterminato in quanto è molto facile che questi pazienti vadano incontro a una recidiva dello scompenso respiratorio anche per modesti peggioramenti della sintomatologia bronchitica.La terapia attinge di volta in volta a quella della bronchite cronica e dell’enfisema secondo le condizioni cliniche del momentoÈ importante richiamare l’attenzione sull’assoluta necessità di cessare di fumare. Va tenuto ben presente che per la pneumologia non esistono sigarette “leggere”. Il fumo, qualunque sia la sua origine (sigarette, sigari, pipa), interferisce sui sistemi enzimatici alveolari che intervengono nella formazione delle fibre elastiche polmonari. Produce inoltre ossido di carbonio che, data la sua elevata affinità per l’emoglobina, sottrae quantità non indifferenti della stessa alla sua funzione fisiologica di trasporto dell’ossigeno dai polmoni ai tessuti ( -- vedi scheda BPCO).BRONCOPOLMONITEProcesso infiammatorio acuto del polmone, di solito distribuito in focolai multipli e irregolari, con interessamento della mucosa bronchiale, in particolare delle ultime diramazioni, nelle quali il processo infiammatorio ha inizio per diffondersi poi anche agli alveoli polmonari. La b. è una malattia frequente, soprattutto nell’infanzia e nell’età avanzata, e rappresenta spesso la complicazione di una malattia generale, poiché insorge quando le resistenze dell’organismo risultano affievolite.

Cause
I germi direttamente responsabili della b. possono essere streptococchi, stafilococchi, pneumococchi, bacillo di Friedlaender, virus, miceti spesso in associazione tra loro.Tra le condizioni che possono predisporne l’insorgenza sono da considerare: la stasi cronica che si ha, nelle parti basse del polmone, specie in soggetti giacenti a letto da molto tempo (b. ipostatica) l’aspirazione nell’albero bronchiale di materiale infetto, come alimenti, muco, corpi estranei, come si verifica in soggetti con difficoltà alla deglutizione per paralisi nervosa (b. ab ingestis) la presenza di zone polmonari non ventilate, come nei bambini o in soggetti con tumori polmonari che provochino l’occlusione di un bronco (b. atelettasica).

Sintomi
I sintomi, molto vari, dipendono dall’età del soggetto, dalla causa in gioco, dalla estensione dei focolai nei polmoni in molti casi, specialmente negli anziani, i sintomi possono essere tanto attenuati da passare inosservati.La malattia insorge in genere in modo graduale (non bruscamente come la POLMONITE), con la comparsa di febbre che aumenta progressivamente di intensità fino a 38-39°C, brividi, sudorazione con tosse, difficoltà respiratoria e scarsa espettorazione di escreato mucopurulento.L’ascoltazione del polmone in corrispondenza della zona interessata permette di rilevare rantoli a piccole bolle. Molto spesso non si ha un unico focolaio infiammatorio, ma più focolai in diverso stadio di evoluzione.

Diagnosi
I sintomi riferiti dal paziente insieme alla diagnostica per immagini (fondamentalmente basata sulla radiografia del torace in due proiezioni) permettono di formulare una diagnosi. Per individuare l’agente specifico bisogna ricorrere alla ricerca microbiologica del patogeno nei campioni di materiale purulento emesso dal paziente.

Terapia
La terapia, oltre che dell’impiego di chemioterapici (antibiotici, antimicotici,ecc.) si giova di farmaci analettici e cardiotonici che hanno lo scopo di sostenere il cuore e la circolazione, sedativi della tosse, ossigeno, vitamine, norme igieniche e dietetiche.

BRONCOSCOPIA

L’esame diretto della trachea e dei bronchi (oltre a quello della laringe), compiuto per mezzo di particolari strumenti tubolari (rigidi o flessibili), introdotti dalla bocca con una tecnica particolare, si chiama tracheobroncoscopia.Questa metodica, viene eseguita preferibilmente in narcosi e non solo permette di compiere diagnosi di molte malattie dei bronchi, dei polmoni, ma può anche essere impiegata a scopo curativo, come per l’estrazione di corpi estranei, l’asportazione di piccoli tumori, il lavaggio di cavità naturali.Un esame broncoscopico viene di solito compiuto con l’ammalato completamente sdraiato e la testa estesa all’indietro: in questa posizione la bocca, la laringe, la trachea e uno dei bronchi principali vengono a trovarsi su un’unica linea retta, ciò che permette di introdurre un tubo metallico (broncoscopio), munito di lenti e di un apparato d’illuminazione, dall’esterno fino ai bronchi. All’osservatore si presenteranno dapprima gli organi dell’orofaringe (ugola ed epiglottide), poi la laringe con le due corde vocali, attraverso le quali, durante un atto d’inspirazione (vale a dire mentre le due corde si allargano), si fa passare il tubo  appare allora la trachea che termina alla biforcazione dove originano i bronchi. Inclinando leggermente il busto del paziente, si metterà il broncoscopio in asse con la trachea e il bronco di destra o quello di sinistra  l’esame potrà approfondirsi sempre più e, grazie a lenti prismatiche angolate, si vedranno anche le più fini diramazioni bronchiali laterali. Un esame cosi completo dell’albero bronchiale permette una visione in maniera diretta dei bronchi e delle diverse malattie che possono interessare il loro lume o la loro parete, sarà cosi possibile studiare i limiti di un tumore (e asportarne anche un pezzo per l’esame istologico)  osservare la fuoriuscita d’essudato da un bronco, prelevarlo e ricercare in esso i batteri che hanno causato la malattia, rilevare un corpo estraneo ed estrarlo e anche più semplicemente osservare lo stato della mucosa (in altre parole del rivestimento) dei bronchi nel corso delle più diverse malattie dell’apparato respiratorio.L’esame è indispensabile per la diagnosi ed il trattamento di affezioni bronchiali (p. es. tumori, infezioni, aspirazione di escreato e materiale inalato, biopsie, ecc.).L’esame viene praticato in ambiente ospedaliero  il paziente deve essere a digiuno dalle 12 ore precedenti e non deve aver fumato. L’esame infatti può provocare attacchi di tosse che possono essere acuiti dall’irritazione dovuta al fumo.Dopo aver anestetizzato con uno spray le zone interessate, viene spinto il broncoscopio per via orale fino ad arrivare ai bronchi periferici. Alle estremità del tubo è presente una mini telecamera che registra una serie di immagini proiettate, poi, su un monitor.In alternativa alla b. con strumentario rigido viene oggi largamente impiegata, soprattutto ai fini diagnostici, la b. con strumentario flessibile a fibre ottiche. Il broncoscopio flessibile ha una lunghezza di 60-80 cm e un diametro di 4-5 mm, può essere introdotto con facilità attraverso il naso o la bocca del paziente, e la posizione dell’estremità distale può essere controllata dal medico che può dirigerla, sotto controllo visivo, entro i segmenti bronchiali interessati. Dello strumento fa parte una pinza flessibile, pure manovrabile dall’esterno, per prelievi bioptici della mucosa bronchiale o addirittura per l’asportazione di piccole malformazioni.Il paziente è seduto, con anestesia locale di superficie delle mucose delle prime vie aeree, e l’endoscopia, in mani esperte, diviene così un’indagine relativamente semplice e ben tollerata.

BRONCOSCOPIO

Apparecchio costituito da tubi metallici rigidi provvisti di un sistema ottico per la proiezione dei raggi luminosi e per l’osservazione, oppure da fasci di fibre ottiche flessibili. Il primo (b. rigido) consente, attraverso il sistema di lenti, prismi e specchi, di spingere l’osservazione nei diversi rami bronchiali, il secondo (b. flessibile) può essere sospinto direttamente nei bronchi da esaminare. Il b. flessibile ha una lunghezza di 60-80 cm e un diametro di 4-5 mm, può essere introdotto con facilità attraverso il naso o la bocca del paziente, e la posizione dell’estremità distale può essere controllata dal medico che può dirigerla, sotto controllo visivo, entro i segmenti bronchiali interessati.I broncoscopi sono corredati di accessori, quali pinze per biopsia, pinze per estrazione di corpi estranei, sonde ecc.La broncoscopia può essere eseguita in anestesia locale, spruzzando sostanze anestetiche sulla parte posteriore del cavo orale, faringeo, laringe e trachea, oppure in narcosi  in questo caso il b. viene raccordato direttamente all’apparecchio per l’anestesia. L’osservazione broncoscopica consente di valutare lo stato delle diverse sezioni dell’albero tracheobronchiale, di eseguire biopsie della mucosa, di asportare corpi estranei, aspirare secreti ecc. Si tratta di un metodo di esplorazione delicato ma semplice, ben tollerato dal paziente, e in grado di risolvere molteplici problemi diagnostici.

BRONCOSPASMO

È un meccanismo fisiopatologico con cui si manifesta l’asma, insieme all’edema della mucosa e a tappi di muco denso e vischioso. Nell’asma i fattori scatenanti un broncospasmo sono: le infezioni virali, le infezioni a carico dei seni paranasali, il fumo di tabacco, acari della polvere, pelo di animale, aria fredda e esercizio fisico soprattutto nei bambini (vedi ASMA).

BRONZINO, morbo di

vedi ADDISON, morbo di

BROWN-SÉQUARD, sindrome di

(Prende nome da C. Édouard Brown-Séquard, medico francese - Port-Louis, Mauritius 1817 - Parigi 1894), insieme di sintomi conseguenti a lesione trasversa di una metà del midollo spinale, consistente in paralisi e perdita della sensibilità profonda dallo stesso lato della lesione e perdita della sensibilità dolorifica e termica dal lato opposto. Una zona di anestesia superficiale, sormontata da una zona di iperestesia, segna il limite superiore della zona della lesione.

BRUCELLA

Genere di batteri di piccole dimensioni (fra i 0,4-0,6 µ), di forma coccoide o bacillare, Gram-negativi, asporigeni e immobili. Sono patogeni sia per gli animali sia per l’uomo. Sono sensibili al calore, quindi possono essere eliminati a 60° e con la pastorizzazione. Le specie che possono provocare malattie nell’uomo sono: Brucella melitensis, che si riscontra tra ovini e caprini ed è la responsabile della maggior parte dei casi nell’uomo (80%) Brucella abortus è l’agente dell’aborto tra i bovini e ha una minor capacità di infettare l’uomo Brucella suis e canis solo molto raramente infettano l’uomo. Il serbatoio naturale sono gli animali domestici ed importantissima per il contagio è la dismissione da parte delle mucche attraverso il latte. In questi animali infatti, la B. dà luogo ad una mastite cronica, in seguito alla quale il batterio viene eliminato anche per lunghi periodi, senza che le proprietà organolettiche del latte vengano compromesse. L’uomo può infettarsi o per il consumo di prodotti alimentari infetti, o per il contatto cutaneo con materiali animali abortivi, secrezioni vaginali animali, urine e feci infette, o per via aerogena o congiuntivale, dal momento che le brucelle resistono nell’ambiente per lunghi periodi. È intuitivo quindi che veterinari, agricoltori, macellai, siano categorie professionali particolarmente a rischio di contrarre questa infezione.

BRUCELLOSI

(O febbre maltese o febbre ondulante o febbre melitense), malattia infettiva a decorso acuto, subacuto o cronico, propria dell’uomo e di alcune specie animali (bovini, ovini e suini), sostenuta da diversi tipi di microrganismi appartenenti al genere Brucella.

Cause
L’infezione avviene per contagio diretto, da animale ad animale e da animale a uomo, più raramente da uomo a uomo, in genere per via cutanea frequente è il contagio indiretto per via alimentare, per ingestione di latte o latticini non cotti, di carni insaccate non cotte, di verdure consumate crude e inquinate da urine o feci di animali infetti. Il contatto diretto è la via più frequente per alcune categorie professionali: veterinari, pastori, agricoltori. La porta di ingresso è rappresentata dalla cute non integra che venga a contatto con materiale infetto quale sangue, urine o prodotti abortivi. Al di là del rischio professionale, il contagio per ingestione di latte o latticini non pastorizzati si può manifestare ubiquitariamente: soprattutto i formaggi prodotti con latte di capra e di pecora a lavorazione artigianale comportano un rischio elevato. Veri e propri focolai epidemici si possono verificare fra i consumatori di alimenti contaminati.Le brucelle si diffondono in tutto l’organismo attraverso il circolo sanguigno, localizzandosi prevalentemente nella milza, nel fegato e nel midollo osseo, dove si osservano focolai infiammatori con aree di necrosi e formazione di piccoli granulomi.

Sintomi
Dopo un periodo di latenza di circa due settimane, la malattia si manifesta, talora in forma acuta, con febbre elevata, brividi, cefalea, dolori articolari e muscolari, più spesso in forma insidiosa con sintomi vaghi di malessere, debolezza, inappetenza, febbricola nelle ore pomeridiane e notturne. Nelle forme tipiche e nel periodo conclamato della malattia la febbre assume carattere ondulante, con periodi di 1-4 settimane di febbre elevata, continuo-remittente, intervallati da periodi senza febbre. Si associano sudorazioni profuse, debolezza, malessere generale, dimagramento, cefalea, dolori articolari, ossei, muscolari o nevralgici. Si rilevano ingrossamento del fegato e della milza e, all’esame del sangue, diminuzione del numero dei globuli bianchi con aumento dei linfociti. In seguito, per la localizzazione delle brucelle nei diversi organi, possono insorgere complicazioni come artriti, osteoartriti, spondiliti, meningoencefaliti, orchiepididimiti, ascessi epatici o renali, colecistiti. Data la lenta evoluzione della malattia la prognosi è nel complesso buona, tranne nei casi acuti a localizzazione pluriviscerale.

Diagnosi
Si basa sul rinvenimento delle brucelle nelle colture allestite con sangue, urine o liquido cefalorachidiano del malato e nella reazione di sieroagglutinazione secondoWright.

Terapia
Consiste nel trattamento con antibiotici in grado di entrare all’interno delle cellule (rifampicina e\o tetracicline), eventualmente associati a cortisonici nelle fasi più acute.

Profilassi
Oltre che con misure igienico-veterinarie sugli animali e sui loro prodotti, si realizza mediante la vaccinazione. L’isolamento del malato non è indicato come misura di prevenzione visto che il contagio interumano è assente. In caso di focolai epidemici si rivela utile l’indagine epidemiologica che permetta di risalire alla fonte del contagio (in genere alimenti: latte, formaggio).La pastorizzazione del latte risulta la procedura più valida di prevenzione.

BRUDZINSKI, segno di

(Prende il nome da Józef Brudzinski, pediatra polacco - Bolew 1874 - Varsavia 1917), segno di frequente riscontro nelle varie forme di meningite e di irritazione meningea da sostanze chimiche iniettate, da emorragia subaracnoidea o da invasione neoplastica. A paziente supino, si cerca di flettergli la testa portando il mento a contatto con il torace. Il segno di B. è presente quando i tentativi di flessione della testa provocano la flessione delle gambe sulle cosce e di queste sul bacino.Un altro fenomeno osservabile nelle stesse condizioni morbose, pure individuato da Brudzinski, è il riflesso controlaterale: flettendo passivamente una gamba sul tronco, si ha lo spostamento consensuale dell’altra gamba nella stessa direzione.

BRUNNER, ghiandole di

(Dal nome di Johann Konrad Brunner, anatomico e fisiologo tedesco - Diessenhofen 1653 - Mannheim 1727), ghiandole presenti nel duodeno, in particolare nel primo tratto. Queste ghiandole producono un muco alcalino che serve a proteggere la mucosa intestinale dall’acidità del chimo gastrico.

BRUXISMO

Digrignamento dei denti durante il sonno. È un comportamento involontario di origine emotiva e conflittuale, e presente in grado lieve in circa l’80% della popolazione, mentre causa dei problemi clinici odontoiatrici, alla articolazione maxillo-facciale, cefalea, dolori al volto nel 5% dei casi. Per proteggere lo smalto dentale si può indossare una mascherina dentale protettiva durante la notte (il bite) o assumere un farmaco benzodiazepinico, con effetto miorilassante, prima di coricarsi. Bisogna effettuare controlli dentistici periodici ed un eventuale consulto psicologico o psichiatrico, per capire l’origine della tensione emotiva, qualora il problema peggiori.

BSE

(Bovine Spongiform Encephalopathy).

vedi encefalopatia spongiforme

BUBBONE

Nome dato all’adenite acuta quando si ha tumefazione delle ghiandole linfatiche inguinali. Il b. è caratteristico della peste (peste bubbonica) si riscontra nell’ulcera venerea, nella sifilide, nel linfogranuloma di Nicolas-Favre. Il b. della peste è costituito da un linfonodo singolo o da un gruppo di linfonodi, è dolente e tumefatto e si localizza all’inguine nel 70% dei casi non risulta aderente al piano cutaneo o sottostante e la cute sovrastante spesso presenta una reazione eritematosa.

BUCCINATORE

Muscolo proprio della regione della guancia la cui contrazione determina l’allungamento trasversale della bocca. L’azione dei due buccinatori interviene nello zufolare, nella masticazione e nel suonare gli strumenti a fiato (donde il nome).

BUDD-CHIARI, sindrome di

Quadro morboso che si manifesta quando processi patologici di varia natura (trombosi venose, flebiti, proliferazioni tumorali, infiammazioni con formazione di cicatrici) provochino una ostruzione delle vene sovraepatiche, attraverso le quali il sangue proveniente dal fegato raggiunge la vena cava inferiore, o della vena cava inferiore stessa a questo livello.

Sintomi
La malattia può comparire a qualunque età e avere un decorso acuto e grave oppure evolvere in modo lento si manifesta con aumento di volume del fegato accompagnato da dolore, versamento di liquido in cavità addominale (ascite), comparsa di vene dilatate sotto la cute dell’addome. Queste ultime sono espressione di una circolazione collaterale che si stabilisce per scaricare nella vena cava il sangue proveniente dalla vena porta, che non può defluire attraverso le vene sovraepatiche occluse. Sono tuttavia assenti i segni e sintomi di un’insufficienza cardiaca congestizia (elemento caratteristico).La causa più frequente è la trombosi delle vene sovraepatiche, che si può verificare in numerose malattie ematologiche (policitemia vera, sindrome mieloproliferativa, emoglobinuria parossistica notturna etc.), tumorali (con invasione della vena), idiopatiche (ostruzione membranosa, frequente i Giappone).Anche i contraccettivi orali possono essere correlati con la presenza di questa sindrome.Prognosi e terapia variano in rapporto all’origine della sindrome.

BUDESONIDE

Farmaco appartenente alla classe dei glicocorticoidi di sintesi, liposolubile, che pertanto ha il vantaggio di poter essere somministrato per aerosol, evitando gli effetti sfavorevoli tipici dei cortisonici somministrati per via sistemica. Costituisce un valido presidio terapeutico nell’attacco asmatico grave e nella terapia cronica. Riguardo agli effetti collaterali sistemici minimi, sono stati descritti casi di candidosi oro-faringea nel caso di somministrazioni a lungo termine, problema risolvibile con semplici gargarismi con acqua dopo ogni inalazione.

BUFTALMO

(O idroftalmo), forma di glaucoma che si manifesta nella prima infanzia.

Cause
Il b. e dovuto a malformazioni congenite dell’angolo iridocorneale, e consiste nella presenza di una membranella connettivale che ricopre l’angolo irido-corneale, ostacolando il deflusso dell’umore acqueo possono coesistere altre malformazioni angolari e l’assenza congenita dell’iride (aniridia) la bilateralità è frequente.Come conseguenza l’umore acqueo aumenta la sua pressione, determinando uno sfiancamento progressivo della sclera (che nel bambino non è ancora rigida come nell’adulto) e quindi un aumento di volume dell’occhio.

Sintomi
Si manifesta alla nascita o nei primi anni di vita con l’aumento di dimensioni del bulbo oculare per effetto dell’aumento di pressione interna. L’occhio del bambino è infatti più elastico di quello dell’adulto, per cui risponde all’aumento di tono sfiancandosi: inizialmente i genitori possono anche apprezzare il fatto che gli occhi del bambino siano grandi, ma ben presto la malattia si manifesta nella sua gravità.

Diagnosi
Visita oculistica e tonometria oculare: la cornea è grande e brillante (megalocornea), con limiti poco precisi l’iride è tesa come una tenda, a volte con leggeri tremori, perché male sostenuta da un cristallino di dimensioni regolari. Quando il tono oculare supera i 40 millimetri di mercurio, la cornea diviene opaca. Il cristallino può diventare catarattoso oppure, in conseguenza della sovradistensione della zonula causata dalle aumentate dimensioni oculari, lussarsi all’interno dell’occhio la sclera diventa sottile e assume un colorito rosso grigiastro, con voluminose vene che percorrono la sua superficie.

Terapia
Il trattamento è chirurgico, e deve essere eseguito precocemente, per interrompere il processo che conduce alla cecità. L’intervento di elezione è la goniotomia che consiste nell’incidere con un apposito bisturi, e sotto controllo gonioscopico, la membrana che occlude l’angolo irido-corneale. Nella maggior parte dei casi non trattati la cecità sopraggiunge entro i 20 anni, e l’occhio, sede di crisi dolorose e ulcerazioni corneali, deve essere spesso enucleato.

BULBARE, sindrome

Definizione generica di diversi quadri morbosi neurologici, detti anche sindromi alterne, in seguito a incidenti vascolari (emorragie, trombosi, embolie) a carico del bulbo rachidiano. La denominazione di sindromi alterne indica in modo significativo le caratteristiche di queste sindromi in quanto, per la particolare anatomia di questa regione, una lesione che interessi la metà del bulbo determina l’insorgere di una paralisi degli arti di un lato e quella di uno o più nervi cranici del lato opposto. Quale che sia il tipo di lesione in causa, la conseguente sindrome b. esordisce con un periodo breve di cefalee, vertigini, disturbi faringei, difficoltà all’articolazione della parola, per poi conclamarsi con aspetti paralitici crociati  le forme più gravi sono rappresentate dalle emorragie, di solito mortali.

BULBI TERMINALI

vedi KRAUSE, CORPUSCOLI DI

BULBO

Denominazione di diverse formazioni d’aspetto ovalare allungato per esempio: b. oculare, b. olfattorio, b. rachidiano.

BULBO OCULARE

vedi OCCHIO

BULBO OLFATTORIO

Piccolo rigonfiamento di forma olivare, grigio-roseo, situato in corrispondenza del polo anteriore della faccia inferiore dell’emisfero cerebrale costituisce il punto di incontro fra il 1° e il 2° neurone delle vie olfattive: riceve infatti fibre dalla mucosa olfattiva e le invia ai centri dell’olfatto, ove la sensazione diverrà cosciente.

BULBO PILIFERO

Parte terminale del pelo che contiene la matrice e la papilla dermica.

BULBO RACHIDIANO

(O midollo allungato), porzione dell’encefalo posta fra il ponte e il midollo spinale, conformato a tronco di cono, della lunghezza di 3 cm ca e con un diametro medio di 10-12 mm, la cui base maggiore è rivolta in alto e la minore in basso  inferiormente è delimitato dal midollo spinale per la presenza di un restringimento circolare, il colletto del b., e superiormente è limitato, sulla faccia anteriore, dal solco bulboprotuberanziale che lo separa dal ponte. Sulla superficie del b. sono presenti solchi a decorso longitudinale che si alternano a sporgenze pure longitudinali. I solchi sono rappresentati dalla fessura mediana anteriore e dalla fessura mediana posteriore, continuazione dei corrispondenti solchi del midollo spinale  dal solco preolivare, posto al davanti di una sporgenza detta oliva bulbare, dal quale emerge il XII paio di nervi cranici (ipoglosso)  dal solco retroolivare, posto dietro all’oliva, e infine dal solco dei nervi misti, dal quale emergono tre paia di nervi cranici, il IX (glossofaringeo), il X (vago) e il XI (accessorio). Si notano inoltre, in prossimità del ponte, le fossette sopraolivare e laterale del b., dove emergono il VII (facciale) e l’ VIII (acustico) paio di nervi cranici. Le sporgenze sulla superficie del b. sono rappresentate dalla piramide, anteriormente, dal cordone laterale (che fa seguito al cordone omonimo del midollo spinale) e dall’oliva bulbare lateralmente, dalla clava e dal tubercolo cuneato posteriormente. Dal solco bulboprotuberanziale, in vicinanza della linea mediana, emerge il VI paio di nervi cranici (oculomotore esterno o abducente). La metà superiore della faccia posteriore del b. concorre a costituire il pavimento del IV ventricolo  quest’ultimo è una cavità di forma piramidale compresa fra il b., il ponte e il cervelletto, la cui base corrisponde alla faccia posteriore del b. e del ponte e il cui apice si approfonda fra gli emisferi cerebellari. Dalla porzione alta del b., lateralmente al pavimento del IV ventricolo, si dipartono i peduncoli cerebellari inferiori o corpi restiformi, che si dirigono obliquamente in alto e lateralmente verso il cervelletto.Il b. rachidiano deriva dallo sviluppo di una delle tre vescicole in cui, negli stadi più precoci della vita embrionale, risulta espansa la parte anteriore del b. neurale, primo abbozzo del sistema nervoso centrale.La vescicola posteriore (romboencefalo) nelle fasi successive si suddivide in: metencefalo e mielencefalo  quest’ultimo, in condizioni definitive di sviluppo, corrisponde al b. rachidiano. La sua struttura è assai complessa: oltre che dare passaggio a fasci di fibre nervose, in esso si trovano i nuclei di origine o di terminazione di alcuni nervi cranici  inoltre è sede di strutture per il coordinamento di importanti funzioni riflesse ed automatiche. Tali strutture rappresentano centri vitali che presiedono alle attività del respiro, del cuore, della vasomotilità ecc.Eventi patologici (emorragie, trombosi, tumori, traumi ecc.) che colpiscono il b. rachidiano possono causare alterazioni della motilità, della sensibilità e anche la morte se la compromissione si estende a centri vitali quali i centri cardiaco e respiratorio.

BULBO URETRALE

Parte posteriore del corpo cavernoso dell’uretra.

BULIMIA

Termine che indica un forte aumento della fame, con un conseguente aumento della quantità degli alimenti che vengono ingeriti. Si manifesta con un bisogno continuo di cibo che porta il soggetto ad ingerire qualsiasi alimento, in grande quantità e in ogni occasione in cui ciò sia possibile.Le cause della b. possono essere molteplici: le più chiare sono quelle che fanno riferimento a squilibri organici. Disturbi al tubo digerente (ulcera gastrica e duodenale), malattie metaboliche (diabete mellito, obesità, gotta) e dell’apparato endocrino (ipertiroidismo, acromegalia, sindrome ipoglicemica) possono presentare la b. come sintomo. Un caso particolare è dato dalla sensazione di fame insaziabile derivata dalla presenza nell’intestino dell’organismo umano della tenia.Più problematica è invece l’identificazione delle cause che producono la b. nei disturbi di origine psicologica.I soggetti che ne sono colpiti, del tutto sani dal punto di vista organico, sono dominati da un irrefrenabile bisogno di mangiare, benché siano ossessionati da un ideale di magrezza, ed è proprio per ridurre gli effetti dell’assunzione abnorme di cibo che ricorrono a comportamenti di compenso, come provocarsi il vomito e fare forte uso di lassativi. In questi casi la b. si presenta come sintomo di più profondi e complessi disturbi della personalità: tramite il bisogno di mangiare, si coprono altri bisogni e pulsioni che il soggetto non riconosce, di cui non è consapevole e che fondamentalmente non accetta.

BUPROPIONE

Farmaco antidepressivo eterociclico di seconda generazione. Esso ha una azione centrale di tipo dopaminergico, inibendo la ricaptazione di dopamina nei neuroni del sistema nervoso centrale. Non ha effetti collaterali di sedazione o antimuscarinici, ha una rapida comparsa dell’effetto antidepressivo e minore tossicità da sovradosaggio rispetto ai triciclici.Oggi viene largamente utilizzato anche nella terapia della disassuefazione dal fumo di sigaretta.

BURDACH, fascicolo cuneato di

(Prende nome da Karl Friedrich Burdach, anatomico e fisiologo tedesco - Lipsia 1776 - Konigsberg, od. Kaliningrad 1847), fascio di fibre che decorre nella parte posteriore della sostanza bianca del midollo spinale. Esso trasmette ai centri nervosi superiori gli stimoli della sensibilità tattile ben discriminata e propriocettiva (senso di posizione e movimento degli arti nello spazio) provenienti dalla metà superiore del corpo (gli stimoli relativi alla metà inferiore decorrono in un altro fascio, situato vicino). Le fibre del fascicolo cuneato di B. si interrompono in un nucleo situato nel bulbo (nucleo cuneiforme): da questo origina un fascio di fibre, che giunge fino ai nuclei del talamo, e da qui un terzo tratto porta le sensazioni alla corteccia cerebrale, ove esse diventano coscienti.Lesioni del fascicolo cuneato di B., determinano abolizione della sensibilità profonda (senso di posizione e di movimento) e diminuzione della sensibilità tattile.

BURGER, morbo di

(Prende il nome da Leo Buerger, chirurgo e patologo austriaco - Vienna 1879 - New York 1943) o tromboangioite obliterante, malattia che interessa soprattutto le arterie di calibro medio e piccolo degli arti inferiori, con un processo infiammatorio cronico che porta all’occlusione dei vasi colpiti e a gravi fenomeni di sofferenza dei tessuti.

Cause
Le cause sono sconosciute. Ne sono colpiti in particolare soggetti maschi di età inferiore ai 40 anni, specie in talune popolazioni (Polacchi, Ebrei, Russi) e forti fumatori.L’evento primario è una trombosi dei vasi, diversamente dalla vasculite classica. Ma l’intensa flogosi conseguente la fa appartenere alle vasculiti. È nota un’associazione con il fumo di sigaretta.

Sintomi
I sintomi sono caratterizzati da dolori all’arto interessato, simili a crampi muscolari, che compaiono dopo sforzi, associati a senso di freddo e intorpidimento delle dita, a infiammazione saltuaria di brevi tratti di vene superficiali (tromboflebite migrante) e fenomeno di Raynaud. Tali sintomi si aggravano lentamente e progressivamente fino a portare alla cancrena di tratti più o meno estesi degli arti. La malattia può interessare anche arterie viscerali, con manifestazioni diverse a seconda dei distretti colpiti. Sono interessati soprattutto i vasi distali.

Terapia
La terapia si vale di tutti quei presidi che possono migliorare le condizioni della circolazione periferica (abolizione del fumo, dieta ricca di vitamine, farmaci vasodilatatori, bagni caldi e freddi alternati, interventi chirurgici sul sistema nervoso simpatico) in caso di cancrena è necessaria l’amputazione delle parti interessate.

BURKER, camera di

(Prende il nome da Karl Burker, fisiologo tedesco - Zweibrucken 1872 - Tubinga 1957), dispositivo che consente il conteggio al microscopio degli elementi figurati del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine). È costituita da una lastra di vetro su cui è inciso un reticolo composto da quadrati e rettangoli di dimensioni note. Fissando sulla lastra un apposito vetrino, si crea, tra questo e il reticolo, un’intercapedine di 0,1 mm in cui viene posta una goccia di sangue prelevato dal paziente e opportunamente diluito. Gli elementi da contare si distribuiscono sul reticolo per cui, conoscendone le misure, lo spessore dell’intercapedine e la diluizione del liquido, si può risalire al numero di cellule presenti in 1 mm3.

BURKITT, linfoma di

Tumore maligno del tessuto linfatico, individuato nei suoi caratteri clinici e patologici dal chirurgo inglese D. Burkitt nel 1958 in bambini dell’area geografica dell’Africa centrale. Questa particolare distribuzione geografica fece pensare che la malattia potesse essere causata da un virus trasmesso all’uomo con la puntura di un insetto. In seguito il tumore di B. venne riconosciuto anche al di fuori del continente africano, sebbene con caratteri non del tutto simili. La proliferazione tumorale insorge frequentemente nelle ossa mascellari o nell’orbita, per diffondersi poi ad altre sedi: visceri dell’addome e del bacino, tessuti retroperitoneali, sistema nervoso centrale.Rappresenta il prototipo di malattia del tipo linfoma ad alto grado e si caratterizza per un tempo di crescita molto rapido e, oltre ai bambini, può colpire i malati di AIDS. Sebbene siano disponibili stadiazioni cliniche dettagliate la maggior parte dei casi risultano già disseminati al momento della diagnosi.

Terapia
Si basa sull’impiego di farmaci antineoplastici, coi quali si ottengono remissioni anche lunghe, a volte definitive. Più in particolare i protocolli terapeutici prevedono cicli di chemioterapia ad alto dosaggio, prevedendo l’alternanza di diversi farmaci che non interferiscano reciprocamente. L’associazione con fattori di crescita ha permesso di limitare i danni legati alla tossicità dei farmaci antitumorali, rendendo possibile anche un avvicendamento più rapido dei diversi cicli di terapia. La lisi tumorale può causare problemi durante la terapia, rendendo necessario il ricorso a sussidi terapeutici accessori (allopurinolo, bicarbonato di sodio, idratazione etc.). Chemioterapia ad alto dosaggio e trapianto di midollo allogenico permettono di raggiungere una guarigione in circa il 50% dei casi.

BY-PASS

(Ingl., ponte di collegamento o congiunzione alternativa), tecnica di trattamento chirurgico delle malattie occlusive delle arterie consiste nell’applicazione di un canale vascolare che collega a ponte i tratti liberi a monte e a valle della zona di arteria occlusa. Il b.-pass, realizzabile su vasi di calibro anche ridotto (b.-pass aorto-coronarico), si effettua utilizzando tratti di vena dello stesso paziente (vena safena), l’arteria mammaria interna o protesi artificiali. Si ottiene una rivascolarizzazione di una o più arterie coronarie. Si effettua per alcune forme di cardiopatia ischemica, selezionando le indicazioni in base alla gravità dei sintomi e alla funzionalità complessiva del muscolo miocardio, laddove non siano sufficienti le terapie mediche. Oggi la mortalità è piuttosto basa (<1%), tuttavia il rischio di un successivo infarto sembra non essere significativamente ridotto. Un b.-pass vascolare può andare incontro a sua volta ad occlusioni: in tal caso è necessaria la sua rimozione e sostituzione.Il termine b.-pass è usato talvolta in chirurgia per indicare i cortocircuiti posti in atto sul tubo digerente quando esiste un ostacolo (spesso neoplastico) impossibile a rimuoversi (b.-pass derivativi). Altre volte viene proposto in casi di grande obesità per escludere parte del piccolo intestino (b.-pass digiuno-ileale). Quest’ultimo viene indicato in pazienti che siano sopra il peso ideale di oltre il 60% se uomini, 80% se donne. Vengono esclusi circa 5 m di tenue (riducendo di circa il 90% la superficie assorbente). Il calo di peso è notevole ma occorre bilanciare attentamente alcuni deficit nutrizionali inevitabili, soprattutto in merito all’apporto vitaminico.

H
H1N1 (INFLUENZA A)

Il virus dell’influenza A è ampiamente diffuso in animali selvatici e domestici.
Il principale serbatoio naturale del virus è rappresentato da uccelli acquatici, in particolare le comuni anatre selvatiche. Il genoma virale, ad RNA, è composto da otto geni principali.
I diversi ceppi virali vengono classificati n base alle caratteristiche dei prodotti proteici di due di questi, l’emagglutinina (H) e la neuraminidasi (N). Attualmente sono note sedici diverse emagglutinine e nove diverse neuraminidasi virali.
La replicazione del virus comporta l’insorgenza di frequenti mutazioni che, unitamente alla pressione selettiva dell’immunità dell’ospite, favoriscono una rapida e costante modificazione delle caratteristiche genetiche dei ceppi circolanti, definita deriva genica.
A queste modificazioni graduali si sostituisce, ad intervalli irregolari di tempo, una variazione più radicale del ceppo virale predominante, in genere conseguenza di una ricombinazione tra ceppi umani e ceppi presenti in serbatoi animali.
Il ‘nuovo’ virus, acquisendo la capacità di trasmettersi da uomo a uomo, assume la connotazione di ‘virus pandemico’: dal 1580, in media circa ogni 13 anni, si sarebbero verificate almeno trenta pandemie influenzali.
Una prima descrizione riconoscibile dell’influenza risale ad Ippocrate mentre in fonti storiche tra l’XI e il XIX secolo figurano non meno di trecento ‘epidemie influenzali’.
Una pandemia influenzale si distingue da una epidemia stagionale per la percentuale di persone che coinvolge e per la possibile diversa gravità.dei sintomi. L’epidemia stagionale di influenza, che nell’emisfero settentrionale interessa in genere l’intervallo temporale tra novembre e febbraio, presenta, nel corso del periodo, un tasso d’attacco (percentuale di colpiti) pari o inferiore al 10% della popolazione, mentre un nuovo virus pandemico può contemporaneamente coinvolgere percentuali di popolazione anche superiori al 30%.
Nel XX secolo si sono verificate tre grandi pandemie influenzali, causate rispettivamente da un ceppo H1N1 (influenza ‘Spagnola’, 1918) da un ceppo H2N2 (‘Asiatica’, 1957) e H3N2 (‘Hong Kong’, 1968). In tutti questi casi, la comparsa di un nuovo virus pandemico ha comportato la scomparsa del ceppo circolante in precedenza. Nel 1977 è comparso un ceppo H1N1 (‘Russa’, 1977) che non ha dato un significativo aumento di mortalità ed è rimasto in circolazione in parallelamente a H3N2.
Con questa eccezione, tutte le pandemie dei ‘900 hanno causato un eccesso di mortalità ed un elevato tasso d’attacco, pur se con rilevanti differenze tra l’una e l’altra. Se infatti la H1N1 del ’18 ha colpito estensivamente la popolazione, ma con il tasso d’attacco più elevato nei giovani adulti, H2N2 1957 ha coinvolto maggiormente l’infanzia e H3N3 del 1968 tutte le fasce d’età, ma causando più decessi tra gli anziani.
Nei primi mesi del 2009 è comparso un nuovo virus pandemico, un H1N1 risultato di una ricombinazione tra ceppi suini, umani, aviari.
A questo nuovo tri-ricombinante è attualmente attribuita (28/09/2009) una letalità decisamente inferiore a quella dei precedenti virus pandemici.
A oggi, questo ceppo di virus dell’influenza A sembra poter essere più facilmente trasmessa ai soggetti più giovani, privi di immunità parziale conferita da infezioni con ceppi H1N1 circolanti in passato. È attualmente in fase finale di realizzazione uno specifico vaccino e il virus risulta, con minori eccezioni, sensibile ai farmaci inibitori della neuraminidasi virale.

H2 ANTAGONISTI

Gruppo di farmaci largamente impiegati per la terapia dell’ulcera gastroduodenale, sulla quale agiscono in quanto bloccano i recettori H2 per l’istamina e quindi inibiscono l’eccessiva secrezione acida gastrica, che è uno dei fattori implicati nella genesi dell’ulcera. Appartengono a questa categoria cimetidina, ranitidina, famotidina e nizatidina.

H5N1

H5N1 è un ceppo particolarmente aggressivo dell’influenza aviaria o virus dei polli, isolato per la prima volta in Sud Africa nel 1961. La prima apparizione conosciuta di questo tipo di influenza negli esseri umani è stata diagnosticata ad Hong Kong nel 1997. Il nome si riferisce ai sottotipi di antigeni presenti sul virus, la Emagglutinina di tipo 5 e la Neuraminidase di tipo 1. Nella pandemia di influenza spagnola del 1917 o in quella cosiddetta asiatica del 1957, l’unione tra un virus aviario e un virus umano ha generato un ibrido capace di proliferare all’interno del corpo umano e di trasmettersi come un normale influenza. Per questo motivo gli episodi di influenza aviaria vengono attentamente seguiti e monitorati dall’OMS (organizzazione Mondiale della Sanità) e dai Ministeri della Salute dei vari paesi. Ad oggi non è stato segnalato alcun caso di influenza causato da H5N1 e trasmesso da uomo a uomo: gli sporadici casi di persone infettate hanno tutti riguardato soggetti a diretto contatto con volatili infetti, particolarmente per esposizioni ripetute per causa lavorativa.

HAEMOPHILUS INFLUENZAE

(Famiglia Pasteurellaceae), coccobacillo Gram-negativo, asporigeno, aerobio, immobile.Provoca varie patologie, secondo le molteplici localizzazioni: faringite, sinusite, otite media, laringite, bronchite, polmonite alveolare, pleurite, meningite e, più raramente, cellulite, artrite purulenta (nei bambini), endocardite.

HANDICAP

Il termine h. è di origine inglese: viene utilizzato tanto per indicare una persona con gravi problemi di autonomia, quanto nel gergo sportivo per indicare uno “svantaggio”. Ma sulla piena definizione della parola è intervenuta l’Organizzazione mondiale della Sanità, che ha centrato il cuore del problema mettendo in diretto rapporto l’aspetto clinico e quello funzionale con il contesto sociale in cui l’handicappato si trova a vivere. Più in dettaglio, l’aspetto clinico, la sua esteriorizzazione è la menomazione, intendendo qualsiasi perdita o anomalia permanente a carico di una struttura anatomica o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. Come conseguenza di tale mancanza, l’Oms, però non parla più di disabilità o di h., ma di attività personali e diversa partecipazione sociale. Con attività personali vengono intese le limitazioni che una persona finisce per subire nelle proprie attività, a qualsiasi livello di complessità, a causa di quella menomazione strutturale o funzionale. Quindi, sulla base di questa definizione ogni persona è diversamente abile. L’espressione partecipazione sociale fa invece riferimento alle restrizioni che una persona subisce in tutte le aree o gli aspetti della propria vita (sfere) per l’interazione fra le menomazioni, le attività ed i fattori contestuali. Ne deriva che, quando una persona – a causa della propria menomazione – si ritrovi a svolgere funzioni personali o sociali in situazione di svantaggio, è da considerarsi “handicappato”. Perciò, l’h. diventa soprattutto un problema globale, nel senso che la menomazione si combatte rimuovendo gli ostacoli sociali. In realtà, nella nuova classificazione dell’Oms, il termine h. viene proprio accantonato, esaltando invece l’aspetto “dinamico” del disagio. Ovvero: un’amputazione è un dato oggettivo e non può essere negata, ma lo svantaggio (l’h.) è relativo alle condizioni di vita e di lavoro, cioè al contesto concreto in cui l’individuo amputato è collocato e opera. In sintesi, l’ha. è il risultato dell’incontro fra individuo e situazione. Dunque, uno svantaggio che può essere contenuto (o, purtroppo, amplificato).

HAND-SCHULLER-CHRISTIAN, MORBO DI

Rara malattia caratterizzata da proliferazione, in diverse sedi dell’organismo, di istiociti contenenti colesterolo, misti a volte a granulociti eosinofili tali proliferazioni, simili a masse tumorali, determinano distruzione e fenomeni di compressione dei tessuti. Le sedi più colpite sono le ossa, la cute, il fegato, la milza, i polmoni, i linfonodi. Le localizzazioni ossee, evidenziabili all’esame radiografico come aree di osteolisi, sono molto caratteristiche quando si ha interessamento delle ossa craniche, e in particolare della regione ipofisaria e dell’orbita, si determinano diabete insipido ed esoftalmo. La natura della malattia di Hand-Schuller-Christian è tuttora sconosciuta. Essa colpisce di solito bambini o giovani, e viene raggruppata, insieme alla malattia di Letterer-Siwe ed al granuloma eosinofilo, nella denominazione generica di istiocitosi.Il morbo di H.-Schuller-Christian infatti presenta alcune caratteristiche in comune con le altre due inoltre è nota la possibilità di trasformazione di una forma nell’altra. Il morbo di H.-Schuller-Christian ha un decorso lento, cronico, con alternarsi di peggioramenti e di remissioni spontanee. Nel 15-30% ca. dei casi l’esito è letale per le lesioni polmonari, o per scompenso cardiaco molti casi però possono regredire spontaneamente. Remissioni di lunga durata sono state ottenute con la somministrazione di ormoni steroidi.

HANSEN, bacillo di

(Prende il nome da Gerhard Henrich Armauer Hansen, medico norvegese - Bergen, 1841-1912), nome con cui è comunemente noto il Mycobacterium leprae, agente patogeno della lebbra Gram-positivo, ha l’aspetto di un sottile bastoncino a volte ad estremità rigonfie. Si colora con il metodo di Ziehl.Ha una speciale affinità per la cute, i nervi periferici e le estremità, quindi anche il naso (zone fredde dell’organismo), si estrinseca dopo un lungo periodo di incubazione in manifestazioni cliniche che rappresentano il risultato della reazione tissutale dell’organismo. Il coinvolgimento e la formazione di noduli sul volto danno il quadro clinico del la facies leonina: ispessimento delle arcate sopraccigliari, zigomatiche e dei padiglioni auricolari, scomparsa delle ciglia e sopracciglia (madarosi) e crollo della piramide nasale (naso a “sella”). Si distinguono vari tipi della patologia causata da questo micobatterio: una forma indeterminata (L.I.) spesso iniziale, due forme polari tubercoliode (T.T.) a forte impegno immunitario e la lepromatosa (L.L.) a risposta immunitaria debole o negativa, altre forme interpolari dette borderline (B.T., BB., B.L.) a risposta variabile ed instabile.

Terapia
La terapia basa sulla somministrazione di antibiotici primo fra tutti la rifampicina (600 mg una volta al mese) farmaco battericida nel 99% dei casi, la clofazimina (300 mg una volta al mese più 50 mg al giorno) batteriostatico come il diaminodifenilsulfone (100 mg al giorno).

HANTAVIRUS

Virus responsabile della omonima sindrome polmonare acuta caratterizzata da edema polmonare, cioè accumulo di liquido nei setti alveolari e negli spazi extracellulari del parenchima polmonare, accompagnato da congestione e dilatazione dei capillari del circolo polmonare. e alta mortalità, e della febbre emorragica con sindrome renale (identificata nel 1951 nelle truppe impegnate nella Guerra di Corea). Attualmente l’h. è responsabile di casi sporadici in varie zone geografiche.

HARRISON, solco di

Depressione circolare che compare, alla base del torace, nei bambini rachitici durante gli atti inspiratori. È determinato dalla trazione verso il basso che il diaframma esercita durante la fase inspiratoria, sulle costole divenute morbide e cedevoli a causa della carenza di calcio che è tipica del rachitismo. Il nome gli deriva dal medico britannico E. Harrison (1766-1838). È un segno patognomonico della malattia insieme al rosario rachitico, al craniotabe, al doppio malleolo e al polso a “coppa”.

HASHIMOTO, malattia di

Infiammazione cronica della tiroide, non rara, che colpisce quasi esclusivamente soggetti femminili di età adulta, tra i 40 e i 60 anni. Prende nome dal chirurgo giapponese contemporaneo H. Hashimoto. È una malattia autoimmune, che si può presentare in una forma classica o atrofica. Viene anche detta struma linfomatoso o gozzo linfoadenoideo.Il morbo si manifesta con una sintomatologia inizialmente molto vaga: comparsa di un aumento di volume diffuso o irregolare della tiroide (gozzo), con senso di pienezza del collo qualche volta si hanno anche febbricola e dolori alle articolazioni. Col passare del tempo (la malattia ha un decorso molto lento) compaiono i segni di insufficiente attività della tiroide e di fibrosi della ghiandola stessa, con compressione di strutture vicine (difficoltà alla deglutizione per compressione dell’esofago, disfonia per compressione del nervo ricorrente). Può coesistere con altre patologie autoimmuni come la sindrome di Sjogren, l’anemia perniciosa, il lupus eritematoso sistemico, il morbo di Addison, il diabete ed altre.Le cause della malattia sono poco chiare, ma si ritiene si tratti di una malattia autoimmune, determinata cioè dalla formazione di anticorpi diretti contro la tireoglobulina e contro vari antigeni cellulari di provenienza tiroidea, con distruzione progressiva del tessuto tiroideo. Lasciata a sé la malattia di H. porta all’insufficienza tiroidea. Inizialmente il paziente è eutiroideo, poi inizia la fase di scompenso, con relativo aumento del TSH. Se presente ipertiroidismo è corretto pensare ad un’associazione con il morbo di Graves.La terapia si basa sulla somministrazione di ormoni tiroidei associati a cortisonici.

HASHISH

Nome dato alla resina essudata dalle infiorescenze femminili non fecondate di Cannabis indica, specie appartenente alla famiglia delle Cannabacee. Preparato in piccoli blocchi in polvere, è una droga illegale appartenente al gruppo dei cannbinoidi. Il principio attivo è rappresentato dal tetraidrocannabinolo (THC), che viene assorbito attraverso i polmoni se l’h. viene fumato o attraverso l’apparato gastro intestinale se i cannabinoidi vengono ingeriti. L’h. ha un contenuto in THC di 8 volte superiore rispetto a quello della marijuana. Gli effetti iniziano qualche minuto dopo l’assunzione e possono durare dalle 3 alle 4 ore. Piccole dosi provocano sensazione di benessere, diminuzione delle inibizioni, tendenza a parlare e ridere più del solito, perdita di concentrazione, appetito, aumento della frequenza cardiaca, arrossamento degli occhi, difficoltà di equilibrio e coordinamento motorio, sonnolenza. Dosi più forti intensificano gli effetti e tendono a falsare la percezione del tempo, dello spazio, dei suoni e dei colori dosi molto forti provocano confusione, ansietà, panico. Queste sostanze interferiscono con la memoria a breve termine e con il pensiero logico. Tra le persone che consumano cannabinoidi abitualmente vi è chi sviluppa una sindrome cosiddetta “amotivazionale”, caratterizzata da passività, demotivazione e ansia la relazione fra il consumo di cannabinoidi e questa sindrome non è stato, tuttavia, ancora accertato. Come avviene con l’alcol, anche l’assunzione di marijuana e h. sembra influire negativamente sulla capacità di comprendere testi scritti, di esprimersi oralmente, di risolvere problemi teorici, sulla memoria e sui tempi di reazione. Non esistono, tuttavia, prove che la marijuana possa indurre o provocare danni cerebrali e gli effetti del consumo prolungato di questa sostanza sul cervello sono ancora sconosciuti. I fumatori di cannabinoidi sono a maggior rischio di contrarre malattie dell’apparato respiratorio. Recenti ricerche hanno inoltre confermato la presenza – nel fumo di cannabinoidi – di molteplici sostanze chimiche ad azione cancerogena come per il fumo di sigaretta, l’effetto cancerogeno sembra essere legato alla quantità e alla durata di esposizione.

HASSALL, corpuscoli di

(Prende il nome da Arthur Hill Hassall, medico e anatomico britannico - Teddington, Londra, 1817 - Sanremo, Imperia, 1894), formazioni presenti nella sostanza midollare del timo costituite da cellule epiteliali aggregate in modo concentrico, con tendenza a cheratinizzare oppure a calcificare.

HDL

Sigla di High Density Lipoprotein, lipoproteina ad alta densità.I grassi vengono trasportati nel sangue da proteine dette lipoproteine tra queste vi sono le HDL che hanno la funzione di rimozione del colesterolo presente in eccesso nel plasma, e ciò spiega perché le HDL vengano popolarmente indicate come “gli spazzini del sangue”. In particolare sembra che le HDL trasportino la porzione di colesterolo non esterificato che, in seguito, viene combinato con un acido grasso tramite una reazione catalizzata da un enzima detto lecitin-colesterolo-aciltransferasi (LCAT). A questo punto gli esteri così formati vengono trasferiti sulle VLDL e, infine, compaiono nelle ldl, completando così il circolo.Sembra che un elevato livello di HDL protegga dal rischio di aterosclerosi (la quale, invece, sarebbe favorita da un elevato livello di LDL, lipoproteine a bassa densità, il cui contenuto di grassi può salire sino all’80% dell’intera molecola) in quanto queste lipoproteine rappresentano il principale mezzo per asportare il colesterolo dai tessuti e indirizzarlo al catabolismo e alla escrezione da parte del fegato. L’attività fisica e sportiva controllate tendono a far elevare il tasso di HDL nel sangue. Un ruolo fondamentale è svolto dall’alimentazione. Le recenti linee guida italiane e internazionali su una corretta alimentazione finalizzata alla riduzione dell’obesità e del rischio cardio vascolare raccomandano di usare meno grassi per condiemento e scegliere il più possibile alimenti più magri, in particolare moderando il consumo dei condimenti di origine animale (burro, lardo, panna, pancetta, ecc.) che rappresentano importanti fonti di grassi saturi e preferendo l’olio d’oliva in primis, e sucessivamente altri olii vegetali e usandoli a crudo. Le raccomandazioni includono la moderazione nel consumo di carni ed insaccati, orientandosi verso tagli più magri (come pollo, tacchino, coniglio, ecc) ed avendo cura di eliminare il grasso visibile, l’aumento percentuale di consumo di pesce e la riduzione del consumo di latticini e formaggi.

HEAD, zone di

(Prende il nome da Henry Head, neurologo britannico - Londra, 1861 - Reading, 1940), zone di proiezione cutanea dei riflessi sensitivi viscerali queste regioni diventano ipersensibili in caso di lesioni patologiche di vario tipo dei corrispondenti visceri in questo modo costituiscono un importante aiuto a una sicura diagnosi.

HEIMLICH, manovra di

 

hmlchGesto di primo soccorso da eseguirsi in casi di ostruzione delle vie respiratorie. Si pratica posizionandosi dietro il soggetto con le mani unite subito sotto lo sterno. Stringendo con forza le braccia si determina un brusco aumento della pressione tracheo-bronchiale che può essere sufficiente per disostruire le vie respiratorie.

È una manovra non priva di complicazioni agli organi addominali per cui dovrebbe essere compiuta come ultima possibilità (dopo quindi aver tentato con l’asportazione manuale) e sicuramente quando il soggetto esaurisce il meccanismo di difesa (tosse) e si instaura l’ipossia acuta. La manovra di H. è controindicata nelle gravida e nei soggetti obesi. Non appena possibile il soggetto deve essere prontamente intubato.

HELICOBACTER PYLORI

Batterio Gram-negativo di forma ricurva, a spirale. Possiede da 2 a 7 flagelli unipolari cresce a 37 gradi in un ambiente poco ossigenato (e perciò è definito microaerofilo). La nicchia dell’H. pylori è rappresentata dallo stomaco dei primati, dove vive tra lo strato di muco e l’epitelio gastrico, determinando una risposta infiammatoria. È stato calcolato che circa la metà della popolazione mondiale è colonizzata dall’H. pylori. Il batterio è dotato di attività ureasica, mediante la quale scinde l’urea in ossido di carbonio e ammoniaca. Tale attività ureasica è implicata nella colonizzazione e nella patogenicità del batterio, in quanto sembrerebbe determinare un’azione lesiva, diretta, sui tessuti da parte dell’ammoniaca. Una ricca letteratura scientifica ha dimostrato il cruciale ruolo dell’H. pylori nelle gastriti e nella malattia ulcerosa peptica (l’associazione è più evidente con l’ulcera duodenale, nella quale l’infezione si rileva in percentuali variabili tra l’85% e il 100%). Inoltre, la cura del microrganismo modifica la storia naturale della malattia, con un drastico decremento delle recidive ulcerose. Di recente, inoltre, ha assunto sempre maggiore importanza il ruolo svolto dall’H. pilori nella genesi del carcinoma gastrico: la sua presenza nello stomaco, infatti, può alterare – nel corso di anni – i delicati equilibri che esistono a livello dell’organo. Il ruolo dell’infezione da H .pylori nella catena di eventi che porta all’evoluzione verso il cancro gastrico, è sottolineato dall’importanza assegnatagli dall’International Agency for Research on Cancer che lo ha classificato come “carcinogeno di gruppo I”. Per eradicare il batterio si ricorre alle combinazioni farmacologiche, che comprendono due-tre antibiotici in associazione con un inibitore della pompa protonica. Sono stati gli australiani Barry Marshall e Robin Warren ad aver provato che le infiammazioni dello stomaco, così come l’ulcera, sono provocate da un’infezione dovuta all’H. pilori, scoperta insignita del Premio Nobel per la Medicina 2005 (vedi scheda HELICOBACTER PYLORI).

HELPER, LINFOCITI

Cellule che regolano la risposta immunitaria, appartenenti ai T linfociti del gruppo OKT, che costituiscono un buon terzo della popolazione T matura. Per svolgere la loro funzione debbono essere attivati da un antigene, dopo di che aiutano (donde il loro nome helper) i linfociti B a produrre anticorpi, i linfociti killer a compiere la loro azione distruttiva e i macrofagi a svolgere i loro particolari compiti in tutti i casi di reazioni allergiche. Probabilmente queste attività sono svolte da diverse sottopopolazioni di linfociti h., i quali producono alcune linfochine (come le interleuchine 2 e 3) e a loro volta vengono stimolati da un’altra linfochina, l’interferon gamma. Una drastica riduzione dei linfociti T h. (CD4+) può avere delle conseguenze infettive estremamente rilevanti, specialmente quando è sostenuta dall’infezione da HIV. In questa malattia la conta di questa specie linfocitaria rappresenta uno dei cardini nel monitoraggio della malattia ed è strettamente correlata al decorso stesso.

HENLE, ansa di

(Prende il nome da Friedrich Gustav Jacob Henle, fisiologo e anatomico tedesco - Furth, Baviera, 1809 - Gottinga, 1885), porzione del tubulo renale che, formando un’ansa, collega il tubulo contorto prossimale al tubulo contorto distale, si approfonda nella massa renale, talora attraversando tutta la midollare del rene fino alla sua estremità interna. In ogni ansa si distingue un ramo discendente ed uno ascendente il ramo discendente e la parte inferiore del ramo ascendente hanno pareti molto sottili pertanto costituiscono il cosiddetto segmento sottile dell’ansa. La parte superiore del ramo ascendente dell’ansa in direzione della corticale torna ad avere pareti spesse, come quelle delle altre porzioni del sistema tubulare questa porzione dell’ansa è detta segmento spesso del ramo ascendente. Insieme ai vasa recta svolge una parte attiva nella funzione del rene soprattutto nella concentrazione dell’urina.

HERPES SIMPLEX

 

Malattia della pelle provocata da un virus appartenente al gruppo dei virus erpetici caratterizzata dalla comparsa di gruppi di vescicole delle stesse dimensioni, aventi come sedi di predilezione le zone di passaggio tra cute e mucose. Interessa quindi le zone limitrofe delle labbra e della regione anogenitale, ma può, in talune occasioni, interessare esclusivamente le mucose. Precedute da vivo senso di prurito o di bruciore, compaiono sulla pelle delle chiazzette arrossate, sulle quali insorgono successivamente delle vescicole non più grandi di un grano di miglio.Traumi anche lievi possono provocare la rottura delle vescicole successivamente si formano delle crosticine grigiastre che cadono senza lasciare cicatrici. Alcune volte l’h. simplex si localizza sulle mucose della bocca, della faringe, dell’utero e dell’uretra.È la più diffusa di tutte le infezioni virali dell’uomo ed è causata dall’H. Simplex Virus (HSV). La più comune delle manifestazioni cutanee dovute al virus erpetico è la cosiddetta febbre, eruzione che si presenta con notevole frequenza in coincidenza con affezioni febbrili, quasi che il virus, approfittando delle condizioni defedate dell’ospite, prenda il sopravvento in quelle occasioni e si renda manifesto, restando invece nascosto e silente durante i periodi di benessere. È dimostrato che, praticamente, tutti i componenti della popolazione sono venuti almeno una volta in contatto con il virus erpetico. L’h. simplex può essere episodico o recidivante. Sono note, infatti, alcune condizioni scatenanti che possono indurre la recidiva dell’h.: l’esposizione al freddo o ai raggi solari, la mestruazione, lo stress fisico o psichico, i disturbi gastrointestinali ecc. In molti casi, tuttavia, non è possibile identificare una causa scatenante ben precisa e questo avviene non solo in casi di h. simplex della regione periorale ma anche nell’h. genitale. In questi casi la malattia, pur non essendo grave di per sé, costituisce un grave ostacolo alle relazioni sociali fino a condurre a vere e proprie nevrosi.

Sintomi
L’h. simplex è un’affezione comunissima il suo esordio, preceduto spesso da febbre o malessere, è caratterizzato dall’insorgenza di una o più chiazze eritematose, generalmente a sede sulla semimucosa delle labbra o sui genitali, sulle quali rapidamente si formano gruppi di vescicole disposte “a grappolo”. Quando l’h. simplex si localizza nella faringe (angina erpetiforme) si ha arrossamento con tumefazione della parte, e febbre anche molto elevata quando si localizza nella mucosa dell’uretra, il paziente accusa vivo senso di bruciore al passaggio dell’urina, mentre la pressione dell’uretra provoca oltre ad un dolore molto intenso anche la fuoruscita di una gocciolina di liquido sieroso, con tenui filamenti mucosi.Il virus dell’h. simplex si può trasmettere da un individuo ad un altro per mezzo delle vescicole erpetiche.Possono essere causa di trasmissione della malattia anche la saliva, il sangue e il liquido cefalorachidiano. Il virus è stato frequentemente osservato anche negli individui sani, soprattutto nella saliva questo fa pensare che il virus dell’h. simplex sia sempre presente negli individui, seppure allo stato latente.

Terapia
La terapia dell’h. simplex episodico non offre gravi difficoltà: è sufficiente, una volta comparsa la lesione, attendere la guarigione spontanea, adottando misure terapeutiche semplici, per esempio evitare soprattutto che la sovrapposizione di germi banali induca la comparsa di una piodermite o impetigine, cosa che complica e prolunga la durata della malattia. In questi casi, è sufficiente l’applicazione di una pomata antibiotica, per esempio a base di tetracicline o gentamicina per ottenere la guarigione clinica. L’uso di pomate cortisoniche deve essere accuratamente evitato: con questo medicamento infatti, le semplici lesioni vescicolari dell’h. guariscono molto più lentamente e possono lasciare cicatrici spesso indelebili.La terapia dell’h. simplex recidivante offre, invece notevoli difficoltà. Da alcuni anni la terapia di questi casi è affidata a un farmaco antivirale, l’acyclovir, la cui somministrazione per bocca (200 mg 5 volte al giorno per 5 giorni), è in grado, in gran parte dei casi, di assicurare la comparsa di una sintomatologia attenuata e che guarisce in pochissimi giorni a patto che la somministrazione del farmaco inizi precocemente al primo insorgere dei sintomi soggettivi che ogni malato impara ben presto a riconoscere.
L’uso dell’acyclovir in pomata, invece, si è rivelato meno efficace. Il vaccino anti-h., a proposito del quale erano state formulate alcune riserve di ordine teorico circa la possibilità di induzione di neoplasie, introducendo nell’organismo il genoma di un virus oncogeno, quale è il virus dell’h. simplex, esiste in due forme (per il tipo I e per il tipo II, rispettivamente labiale e genitale) e si rivela efficace in molti casi, alla condizione di seguire esattamente e scrupolosamente le norme di prescrizione. In molti casi infatti, il vaccino determina un mutamento della sintomatologia in quanto le recidive compaiono meno frequentemente, le manifestazioni cliniche vengono obiettivamente ridotte e anche i sintomi soggettivi vengono influenzati favorevolmente.Attualmente sono allo studio vaccini formati da subunità del DNA virale, inattivato dal formolo e iniettabili per via intramuscolare: questi vaccini sarebbero stati proposti per il trattamento dell’h. genitale, di tipo II, mentre per l’h. labiale recidivante sono allo studio vaccini vivi attenuati per i quali, pur essendo stati documentati risultati sperimentali favorevoli, non si può del tutto escludere l’oncogenicità.

HERPES ZOOSTER

 

(O fuoco di sant’Antonio), malattia della pelle provocata da un virus specifico, appartenente al gruppo dei virus erpetici può avere andamento acuto o subacuto, talora recidivante, ed è caratterizzata dalla comparsa di vescicole che insorgono nel territorio di innervazione cutanea e lungo il decorso di un nervo sensitivo. È sostenuto da un virus, detto HZV (Herpes Zoster Varicella), che è lo stesso che causa la varicella. Infatti, in queste due malattie, le alterazioni microscopiche delle cellule infette sono praticamente identiche. Inoltre è stata frequentemente constatata la coincidenza di varicella nel bambino e di h. zooster nell’adulto convivente è rarissimo, tuttavia, constatare un vero e proprio contagio dell’h. zooster da individuo affetto da h. zooster. La varicella può essere considerata l’infezione virale primaria, mentre l’h. zooster sarebbe la manifestazione che insorge nel soggetto parzialmente immune. A differenza dell’h. simplex, l’h. zooster, come la varicella, lascia una immunità permanente ed è estremamente raro che queste due ultime affezioni diano luogo a recidive.L’insorgenza dell’h. zooster può essere spontanea, ma spesso è favorita da intossicazioni, da gravi infezioni, come per esempio polmoniti e meningiti, da traumi cranici, da malattie del sistema nervoso centrale e da tutte le condizioni di decadimento generale dell’organismo (per es. durante una grave malattia). La malattia, più frequente in primavera e in autunno, colpisce soprattutto le persone adulte.

Sintomi
L’h. zooster presenta una combinazione di segni e sintomi caratteristici: esso, infatti, si manifesta con lesioni cutanee e sintomi di interessamento del sistema nervoso periferico. Le manifestazioni cutanee seguono in genere il decorso di fasci nervosi. La maggior parte dei casi presenta lesioni a carico della regione toracica (nervi intercostali). In altri casi può essere interessato il viso, la fronte, la regione palpebrale, la regione latero-cervicale. La caratteristica fondamentale dell’h. zooster è quella di limitarsi a colpire esattamente una metà del corpo, lasciando l’altra metà perfettamente indenne. È eccezionale il riscontro di lesioni diffuse, a tipo varicella. Le lesioni tipiche sono precedute da sensazioni che variano dal semplice formicolio al dolore urente, di entità tanto più elevata quanto più il soggetto è anziano. Nel giovane, l’h. zooster può anche decorrere senza alcun sintomo doloroso. Le lesioni consistono nella comparsa di gruppi di vescicole, disposte a grappolo come nell’h. simplex ma più numerose, più grosse e distribuite lungo il decorso di un nervo periferico. Queste lesioni compaiono in un certo periodo di tempo e raggiungono la massima estensione in tre-quattro giorni. Dopo un periodo iniziale, caratterizzato da malessere generale, febbre, disturbi gastrointestinali e dolori nevralgici, si ha la comparsa, sempre monolaterale, lungo il decorso di uno o più tronchi nervosi vicini, di chiazze eritematose, rigonfie ben presto queste chiazze si ricoprono di vescicole, a cupola notevolmente resistente. Esse contengono inizialmente un liquido chiaro, ma dopo alcuni giorni esso diventa più o meno purulento, talora emorragico.Il dolore, in corrispondenza del tronco nervoso colpito, è vivissimo, di tipo urente. Le linfoghiandole regionali appaiono modicamente tumefatte. Dopo un periodo che varia da 1 a 3 settimane le lesioni si afflosciano e si essiccano, con formazione di croste. La caduta eccessiva delle croste mette a nudo piccole ulcerazioni che tendono a riepitelizzarsi, lasciando come residuo delle chiazzette biancastre depresse.Sede di predilezione è il torace, in cui le vescicole sono disposte lungo la striscia nettamente delimitata, in corrispondenza di un nervo intercostale. In questo caso si parla di zooster intercostale o zooster toracico.Talora la malattia si localizza al cuoio capelluto e alla fronte (metà destra o sinistra), interessando la branca oftalmica del nervo trigemino, provocando lesioni anche della cornea dell’occhio colpito: è il cosiddetto zooster oftalmico.Allorché viene anche compromesso il nervo mascellare, si possono verificare minute ulcerazioni della lingua.Se la malattia interessa la cute della nuca e del braccio si parla di zooster cervico-brachiale. Nello zooster sacro-ischiatico, infine, l’eruzione cutanea interessa il perineo, insieme delle formazioni muscolari e fibrose che chiudono inferiormente il piccolo bacino.Esiste infine una forma di h. zooster generalizzato che colpisce soprattutto gli individui vecchi e debilitati: le lesioni tendono all’emorragia e alla cancrena ed interessano soprattutto la regione della bocca e quella genitale. Si osservano spesso febbre, prostrazione, mal di testa e abbastanza comune è la compromissione delle meningi.In particolari condizioni di defedamento organico, nel corso di malattie quali diabete o tumori, l’h. zooster può assumere caratteri di estrema gravità, in quanto le lesioni possono andare incontro a fenomeni necrotici molto vasti e profondi inoltre, specialmente in questi casi, si può associare una grave nevrite posterpetica dolorosissima e tenace.

Terapia
La terapia dell’h. zooster è anch’essa affidata all’acyclovir, efficace se somministrato nei primi giorni d’insorgenza della malattia. In tali casi si assiste a un drammatico arresto della sintomatologia obiettiva e soggettiva il dolore scompare in poche ore e la malattia guarisce. La dose, per un adulto senza precedenti renali e comunque sempre controllando accuratamente la funzione renale, è di 800 mg, cinque volte nelle 24 ore, per 10 giorni. Anche per l’h. zooster la terapia locale con acyclovir in pomata non sembra in grado di influenzare il decorso della malattia, ma può essere utile per ottenere una riduzione della infettività delle lesioni. La complicanza più temibile dell’h. zooster, la nevralgia posterpetica, non viene scongiurata dall’uso precoce e a dosi massive di acyclovir. Sembra peraltro che la sua durata sia minore anche se è difficile stabilirlo con certezza. In presenza di un h. zooster in fase avanzata la terapia con acyclovir non dà risultati soddisfacenti in tali casi è sufficiente somministrare analgesici, come il ketoprofene, e attendere la guarigione spontanea che di solito avviene in 10-20 giorni. Sarà utile l’applicazione di pomate antibiotiche a base di tetraciclina o di gentamicina allo scopo di prevenire o curare sovrapposizioni di germi banali.

HERPESVIRUS

 

(O virus erpetici), gruppo di virus di notevole grandezza, a simmetria cubica, contenenti DNA, proteine e fosfolipidi. Comprendono virus patogeni per l’uomo quali il virus della varicella, dell’herpes zoster, dell’herpes simplex e il virus citomegalico.- VZV (O virus varicella-zooster), la varicella e l’herpes zooster sono due distinte entità cliniche causate dallo stesso agente eziologico, il virus varicella-zooster.La varicella costituisce l’infezione esogena primaria in un soggetto non immune. È una malattia altamente contagiosa che colpisce prevalentemente, ma non esclusivamente, il bambino, caratterizzata da febbre e da un esantema vescicoloso generalizzato, e lascia un’immunità permanente. L’herpes zooster, denominato anche “fuoco di Sant’Antonio”, è causato da una riattivazione del virus presente in forma latente nell’organismo a livello dei gangli nervosi sensitivi, che si manifesta con una eruzione vescicolosa unilaterale dolorosa, in genere localizzata lungo il percorso cutaneo di uno o più nervi. La varicella si trasmette per contatto diretto. Il virus eliminato con le secrezioni rinofaringee e il liquido delle vescicole penetra nell’uomo per via respiratoria. La contagiosità permane dal giorno antecedente la comparsa delle prime vescicole per 5-6 giorni le croste non trasmettono il virus. La contagiosità dello zooster è più prolungata: 7-9 giorni. La notifica è obbligatoria. L’isolamento è prescritto per 7-10 giorni dall’inizio della malattia.Nel caso dell’herpes zooster non esistono misure specifiche. È da evitare il contatto di soggetti affetti da herpes zooster con neonati o soggetti immunodepressi.- HSV, (O virus herpes simplex), è la più diffusa di tutte le infezioni virali dell’uomo e comprende i quadri clinici, numerosi e a variabile espressione sintomatologica, dovuti all’infezione con il virus Herpes simplex. La più comune delle manifestazioni cutanee dovute al virus erpetico è la cosiddetta “febbre”, eruzione che si presenta con notevole frequenza in coincidenza con affezioni febbrili, quasi che il virus, approfittando delle condizioni defedate dell’ospite, prenda il sopravvento in quelle occasioni e si renda manifesto, restando invece nascosto e silente durante i periodi di benessere. È dimostrato che, praticamente, tutti i componenti della popolazione sono venuti almeno una volta in contatto con il virus erpetico. L’herpes simplex può essere episodico o recidivante. Sono note, infatti, alcune condizioni scatenanti che possono indurre la recidiva dell’herpes: l’esposizione al freddo o ai raggi solari, la mestruazione, lo stress fisico o psichico, i disturbi gastrointestinali ecc. In molti casi, tuttavia, non è possibile identificare una causa scatenante ben precisa e questo avviene non solo in casi di herpes simplex della regione periorale ma anche nell’herpes genitale. In questi casi la malattia, pur non essendo grave di per sé, costituisce un grave ostacolo alle relazioni sociali fino a condurre a vere e proprie nevrosi. Si tratta di un virus a DNA appartenente anch’esso al genere Herpesvirus di cui si conoscono due sierotipi: il tipo 1 e il tipo 2. L’infezione primaria con il tipo 1 avviene in genere nell’infanzia, tanto più precocemente quanto più le condizioni socio-economiche sono scadenti. Nei bambini piccoli l’infezione erpetica è asintomatica o determina manifestazioni localizzate al cavo orale (gengivostomatite), nei bambini più grandi e nell’adulto si manifesta più frequentemente alla cute.L’herpes simplex tipo 2 si trasmette per contagio sessuale. È più frequente nella donna e causa infezioni genitali o cutanee nella parte inferiore del corpo. Il neonato può contagiarsi durante il parto e successivamente manifestare un’infezione generalizzata.Non è prevista né la notifica né l’isolamento. Le misure igieniche consistono nell’evitare contatti diretti con i soggetti malati e l’uso promiscuo di biancheria, asciugamani ecc.- CMV (O citomegalovirus), il virus presente in tutti i materiali organici, ma si trasmette solo in seguito ad un contatto molto stretto e ripetuto. I quadri clinici sono molteplici e assai variabili, andando da una forma asintomatica ad una sindrome mononucleosica, all’interessamento multiorgano nel caso di soggetti immunocompromessi.

HESS, prova di

 

(Prende il nome da Walter Rudolf Hess, fisiologo svizzero - Frauenfeld, Turgovia, 1881 - Zurigo, 1973), nota anche come prova del laccio. Si tratta di una prova diagnostica volta ad accertare:- condizioni di insufficienza venosa degli arti inferiori: ponendo un laccio ad altezze diverse attorno alla coscia è possibile evidenziare alterazioni del riempimento delle vene della gamba, segno di incontinenza delle valvole del sistema venoso dell’arto.- uno stato di abnorme fragilità dei vasi capillari: applicando al braccio il manicotto di uno sfigmomanometro per cinque minuti, gonfiato ad una pressione intermedia tra quella diastolica e quella sistolica in caso di positività del test compaiono petecchie emorragiche nel cavo del gomito, sull’avambraccio e sulla mano.

HIATUS

 

(O iato), termine generico, che indica in anatomia alcune fessure, aperture, orifizi, cavità, di forma diversa, presenti in tessuti o visceri. Gli h. aortico, esofageo e della cava sono tre orifizi presenti nel diaframma, attraverso i quali passano dal torace all’addome, rispettivamente, l’aorta, l’esofago e la vena cava. Lo h. di Winslow è l’apertura attraverso cui, nella cavità addominale, la retrocavità degli omenti comunica con la cavità peritoneale è situata tra la faccia inferiore del fegato e il duodeno.

HIGHMORE, corpo di

 

(Prende il nome da Nathaniel Highmore, medico inglese - Fordingbridge, Hamptonshire 1613 - Sherburne, Dorsetshire, 1685), mediastino del testicolo, noto come corpo di Highmore si tratta di una zona ispessita della tonaca albuginea entro la quale decorrono i piccoli dotti che mettono in comunicazione i tubuli seminiferi con i tubuli dell’epididimo.

HIRSCHPRUNG, malattia di

 

(O megacolon agangliare), la malattia di Hirschsprung è una delle più comuni malformazioni intestinali (1/5.000). È caratterizzata da assenza di gangli nella tonaca muscolare e mucosa del colon: è dovuta a un’anomalia dello sviluppo del sistema nervoso enterico. È caratterizzata dall’assenza delle cellule gangliari, responsabili dell’innervazione intrinseca delle fibre muscolari nella parte terminale dell’intestino, nel retto (30%), retto-sigma (44%), intero colon (8%) questo difetto è responsabile dell’occlusione o di una grave costipazione nella regione più bassa dell’intestino. La maggior parte dei casi sono sporadici, ma i fattori genetici hanno un ruolo importante. Sono stati finora identificati diversi geni di suscettibilità (RET, GDNF, EDNRB, EDN3, SOX10).

Sintomi
Nel neonato o nel lattante c’è una mancata espulsione di meconio, vomito, distensione addominale, diarrea esplosiva, febbre. Nell’infante soprattutto stipsi, fecalomi.

Diagnosi
La diagnosi si effettua con radiografia con bario via catetere: dilatazione dell’ampolla rettale biopsia rettale: assenza dei gangli nella mucosa

Terapia
Il trattamento è chirurgico e consiste nella resezione del segmento agangliare.

HIS, fascio di

 

(Prende il nome da Wilhelm His junior, medico svizzero - Basilea, 1863 - Riehen, Basilea, 1934), insieme di fibre nervose che dall’atrio destro, e in particolare dal nodo atrioventricolare di Aschoff-Tawara, si portano attraverso il setto interventricolare fino ai muscoli papillari dei ventricoli.

HIV

 

Acronimo di Human Immunodeficiency Virus, con la quale viene ormai chiamato per convenzione internazionale il retrovirus “lento” responsabile dell’AIDS (in passato noto come HTLV 3).Sono stati identificati due virus HIV, l’ HIV1 (il più diffuso) e l’HIV2 (diffuso nell’Africa occidentale) entrambi responsabili delle malattie del sistema immunitario che portano all’AIDS.Bersaglio specifico dello HIV sono i linfociti CD4+ helper, in cui il virus rimane a lungo (per anni) silente, prima di moltiplicarsi e diffondersi ulteriormente.L’infezione nell’adulto si diffonde attraverso contatti sessuali oppure attraverso il sangue e gli emoderivati. Infatti, nonostante il virus sia stato isolato oltre che dallo sperma e dal sangue anche dalla saliva e dalle lacrime, il contagio per via aerea o per contatto casuale attraverso la cute indenne (stretta di mano, per esempio) è da escludere.Nel bambino la via di gran lunga più seguita di trasmissione è quella “verticale” vale a dire da madre infetta al figlio, durante la gravidanza, attraverso la placenta. Anche il parto per via vaginale e l’allattamento al seno possono essere vie di contagio. La quasi totalità dei casi infantili è rappresentata dai figli di madri tossicodipendenti, affette da AIDS o, più frequentemente, portatrici asintomatiche del virus. La probabilità che una madre HIV positiva infetti il proprio figlio è stimata all’incirca del 20%. Con la somministrazione di AZT alla gravida e con il cesareo il rischio di infezione neonatale si riduce al 5-8%.L’HIV è un retrovirus, cioè un virus a rna che viene trascritto a DNA all’interno delle cellule grazie a una trascrittasi inversa. Le cellule bersaglio del virus sono una sottopopolazione di linfociti T: CD4+ helper. L’infezione virale determina nel giro di alcuni mesi o anni la distruzione pressoché completa dei CD4+. Dal momento che i linfociti CD4+ costituiscono le cellule implicate in quasi tutte le modalità di risposta immunologica, la loro riduzione numerica determina un vero e proprio sconvolgimento dell’intero sistema immunitario, finché l’individuo colpito finisce col trovarsi completamente privo di ogni difesa nei confronti dei diversi agenti infettivi, compresi quelli che abitualmente si comportano come agenti poco patogeni. Sono così spiegate le numerose e gravi infezioni da batteri e funghi, altrimenti innocui, che diventano infezioni mortali nei pazienti con AIDS.Infine, la genesi delle alterazioni neurologiche tipiche della malattia è legata a un’azione diretta del virus anche contro le cellule del sistema nervoso centrale che vengono distrutte così come succede ai linfociti CD4+.L’RNA virale può rimanere libero nel citoplasma, ma soprattutto integrarsi nel DNA del nucleo delle cellule, rimanendo quiescente o divenendo attivo: in tal caso produce molecole di cui ha portato i geni, in modo da riprodursi e moltiplicarsi. L’attivazione del virus è molto variabile e dipende dallo stato di attivazione della cellula: in particolare l’attivazione del virus dell’AlDS è in relazione alla presenza di altri virus, così come di qualunque tipo di stimolazione immunitaria. L’originalità di questo virus risiede nella capacità di infettare quasi esclusivamente le cellule del sistema immunitario, soprattutto macrofagi e linfociti T-helper amplificatori e regolatori. Il recettore di questo virus è una molecola di superficie caratteristica di queste cellule, la molecola CD4+. Questa molecola accessoria è fisiologicamente utile alle interazioni cellulari, coinvolgendo il complesso maggiore di istocompatibilità di classe II. Pertanto il preciso meccanismo patogeno del virus dell’AIDS resta spiegato in modo imperfetto: il sistema immunitario è profondamente e rapidamente turbato, molto di più di quanto ci si aspetterebbe dalla scarsa porzione di linfociti CD4+ infettati. L’interpretazione della fase di latenza clinica rimane controversa. Inizialmente si pensava che il virus si moltiplicasse rapidamente al momento della prima infezione, che poi la risposta immunitaria del soggetto distruggesse le cellule colpite, a eccezione di quelle in cui il virus rimaneva quiescente, infine, che le riaccensioni di attivazione cellulare portassero alla distruzione di parte del sistema immunitario, la cui efficacia andava successivamente diminuendo, permettendo all’infezione di amplificarsi sempre più.
Sembra, invece, attualmente chiaro che il virus non diventi mai del tutto silente e distrugga tutti i giorni una piccola parte del sistema immunitario, fino al suo crollo. Bisogna anche supporre che il virus sia ugualmente capace di paralizzare precocemente le capacità di autoriparazione del sistema immunitario, poiché altrimenti questi danni quotidiani non avrebbero conseguenze finali gravi. Si ipotizza anche un ruolo aggravante della risposta immunitaria anti-HIV: da un lato il virus ricoperto da anticorpi e dal complemento può più facilmente infettare i macrofagi portatori dei recettori per queste molecole, dall’altro dei fenomeni autoimmuni potrebbero contribuire alla distruzione del sistema immunitario, aggiungendosi all’effetto citolitico diretto del virus stesso. Qualunque sia il meccanismo, il virus installato nel cuore del sistema immunitario finisce per portare alla scomparsa delle cellule CD4+ e poi di tutto il sistema immunitario.Posto che l’infezione da HIV non coincide automaticamente con la comparsa di AIDS, può essere importante definire dei fattori prognostici per stabilire parametri oggettivi utili per seguire l’evoluzione di un malato, per apprezzare gli effetti della terapia, o per decidere il momento opportuno per l’impiego della terapia. Ciononostante, nessuno dei fattori prognostici permette di predire con certezza in un dato malato l’evoluzione a lungo o anche a medio termine dell’infezione. Essi permettono però di valutare in un dato momento il rischio di complicanze in un certo soggetto. I fattori legati al virus stesso sono la quantità di virus valutata nelle colture per amplificazione genica quantitativa o con il dosaggio degli antigeni virali rilasciati nel circolo. L’abbondanza del virus è un fattore prognostico negativo. La diminuzione degli anticorpi, in particolare la scomparsa degli anticorpi diretti contro la molecola p24, è prognosticamente negativa. I parametri linfocitari quantitativi dello stato del sistema immunitario sono il numero dei linfociti e soprattutto il numero dei linfociti CD4+. Il numero dei linfociti CD4+ diminuisce regolarmente durante il periodo della latenza clinica. Vi è anche una diminuzione sulla superficie degli eritrociti del numero dei recettori CR1 per il frammento C3b del complemento. I parametri umorali importanti sono il tasso di b2-microglobulina, di IgA e di neopterina: la neopterina testimonia la distruzione cellulare, le IgA il cattivo controllo dei linfociti T sulla produzione degli anticorpi e la b2-microglobulina l’attivazione del sistema immunitario. Gli aumenti del tasso di queste molecole si correlano generalmente molto bene tra di loro e con una cattiva prognosi.La profilassi dell’infezione a trasmissione sessuale si effettua mediante la riduzione della promiscuità e l’uso di profilattici: i tossicodipendenti devono usare siringhe sterili gli emofilici devono impiegare concentrati di Fattore VIII e IX sottoposti a riscaldamento e provenienti da sangue di donatori HIV negativi.Per quanto concerne la popolazione in generale, una volta eliminato il rischio derivante dalle emotrasfusioni mediante l’individuazione dei donatori infettati tramite gli esami oggi obbligatoriamente eseguiti su tutte le donazioni e quindi l’eliminazione delle sacche di sangue infetto, la prevenzione dell’infezione consiste nell’evitare i rapporti sessuali con persone con comportamento a rischio e comunque con persone sconosciute.Ovviamente una prevenzione migliore e più efficace è rappresentata dalla disponibilità di un vaccino, il cui allestimento non sarà comunque possibile finché non saranno conosciuti i meccanismi di protezione immune dalla infezione.Nel bambino, la diagnosi d’avvenuta infezione risulta molto difficile nei primi mesi di vita. Fino a 15 mesi, infatti, possono persistere in circolo degli anticorpi anti-HIV d’origine materna che hanno raggiunto il piccolo attraverso la placenta. Quindi la diagnosi d’infezione nel bambino con la sierologia classica (determinazione degli anticorpi anti-HIV) è sicura solo dopo i 15 mesi di vita. Prima di quest’epoca la diagnosi d’infezione necessita d’analisi più sofisticate quali l’isolamento del virus dai linfociti oppure con la Polymerase Chain Reaction che ricerca il genoma virale, o ancora dimostrando la presenza d’anticorpi anti-HIV associata a sintomatologia clinica tipica dell’AIDS e ad un quadro di disordini immunologici.L’infezione da HIV in età pediatrica può manifestarsi in due forme. Una forma è ad evoluzione piuttosto lenta e inizia dopo il primo anno di vita. Una seconda forma invece ha un’evoluzione molto rapida. I sintomi iniziano già nei primi mesi di vita.Il decorso clinico in età pediatrica è caratterizzato da arresto dell’accrescimento staturo-ponderale, febbre, diarrea, ingrossamento dei linfonodi, infezioni da germi opportunisti quali la polmonite da Pneumocystis carinii, infezioni da Cytomegalovirus, candidiasi e toxoplasmosi disseminate.Particolarmente temibili sono i disturbi neurologici con regressione dello sviluppo psicomotorio da encefalite multifocale progressiva espressione dell’azione lesiva dell’HIV sul sistema nervoso centrale.I cardini della terapia dell’AIDS si basano sulla somministrazione d’immunoglobine, d’antibiotici per combattere le infezioni e sull’impiego di farmaci antivirali.
Per contrastare la proliferazione dell’HIV si utilizza oggi una serie di farmaci, chiamati antiretrovirali. Attualmente sono tre i gruppi di farmaci più utilizzati contro il virus:- NRTI (dal termine inglese Nucleoside Reverse Transcriptase Inhibitor- inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa, che è un enzima fondamentale per la replicazione del virus HIV): i farmaci principali di questo gruppo sono a base di AZT, DDI, ddC, 3TC, d4T e Abacavir.- NNRTI (dal termine inglese Non Nucleoside Reverse Transcriptase Inhibitor- Inibitori della trascrittasi inversa non nucleosidici): i farmaci principali di questo gruppo sono Nevirapina e Stocrin.- IP (Inibitori delle proteasi): i più comuni di questo gruppo sono Saquinavir, Indinavir, Ritonavir e Nelfinavir.Oggi si tende a scartare qualsiasi terapia con un solo farmaco: le esperienze più positive riguardano diverse combinazioni dei tre tipi di farmaci.Un aspetto particolarmente importante dell’infezione da HIV è quello rappresentato dall’inserimento dei bambini HIV positivi in comunità (asili, scuole ecc.). Considerato che l’infezione da HIV non si diffonde attraverso casuali contatti, è del tutto assurdo impedire ad un bambino, ancora in buone condizioni fisiche, di frequentare la scuola e di giocare con i coetanei. Il personale addetto all’assistenza dovrà ovviamente adottare, nell’accudire i bambini e pulire i locali, quelle misure igienico-profilattiche (uso di guanti e di disinfettanti) che sarebbero in ogni caso necessari, per prevenire qualunque tipo d’infezione trasmessa per via ematica.La messa a punto di un vaccino rappresenterà soluzione ideale e definitiva dei problemi connessi all’infezione con l’HIV. La difficoltà di tale ricerca è variabile a seconda degli agenti infettivi. Quando l’agente infettivo è stabile, senza variazioni da un ceppo all’altro, e gli anticorpi sono sufficienti a neutralizzarlo, si può sperare in risultati positivi in tempi brevi. Il risultato è meno scontato nel caso dell’HIV, che cambia rapidamente, si completa con ricombinazioni con altri ceppi o altri virus della stessa famiglia ed è necessaria una reattività cellulare per bloccare la sua infettività. Qualche esperimento negli scimpanzé sembra indicare come in alcune condizioni di immunizzazione sia possibile ottenere un’attività anticorpale e cellulare capace di prevenire l’infezione da parte del ceppo che è stato utilizzato per l’immunizzazione. Questo modesto risultato rappresenta per adesso soltanto una speranza, ma indica anche i limiti quello che si è potuto ottenere finora nel campo della vaccinazione anti-AIDS.

HLA

 

(Acronimo di Human Leucocyte Antigen, antigene leucocitario umano), complesso di molecole glicoproteiche presenti sulla superficie di leucociti e altre cellule, chiamate anche antigeni di istocompatibilità perché responsabili della compatibilità tissutale, cioè della accettazione di organi provenienti da un altro organismo. Ogni individuo ha infatti il suo specifico HLA per la riuscita di un trapianto d’organo è quindi indispensabile che donatore e ricevente abbiano un HLA il più possibile simile.Ai centri che coordinano trapianti d’organo spetta il compito importantissimo di tipizzare preventivamente i complessi HLA di donatori e riceventi potenziali, in modo da poter scegliere al momento della necessità il donatore con HLA più simile al ricevente.Nel 1958 Dausset ha individuato e descritto, sui leucociti umani mediante tecniche di agglutinazione, antigeni particolari, geneticamente determinati da loci collocati sul cromosoma 6. Il complesso antigenico è stato chiamato HLA (Human Leukocytes Antigens) ed è caratterizzato da un numero elevato di geni, a ciascuno dei quali è associato un grande numero di alleli: le combinazioni genotipiche possibili superano i 10 miliardi. È possibile individuare nel sistema HLA (chiamato, altresì, complesso maggiore di istocompatibilità) almeno quattro classi di loci (classe I II III IV): tra questi la classe I e la classe II sono deputate al riconoscimento antigenico di particolari popolazioni linfocitarie (CD8 e CD4), responsabili di effetti citotossici e immunitari.È stato possibile valutare l’associazione tra malattie e particolari antigeni HLA.In particolare risulta significativo: la probabilità di individui B27 di sviluppare una spondiloartrite anchilosante o una sindrome di Reiter (poliartrite associata a congiuntivite, uretrite e spesso interessamento di altre mucose) la probabilità di individui DR3 di ammalarsi di dermatite erpetiforme il diabete giovanile è significativamente correlato allo stato di eterozigosi DR3/DR4 e la malattia celiaca (enteropatia da glutine, in genere già presente nell’infanzia) alla condizione DR3/DR7.Essenziale, infine, per la buona sopravvivenza di tessuti e visceri trapiantati risulta la compatibilità HLA, che risulta ottimale quanto più sovrapponibili risultano i caratteri di classe II (HLA-DR) o di classe I (HLA-A HLA-B).Lo studio dei caratteri ematologici può condurre, inoltre, a escludere una presunta paternità, in quanto:- un carattere dominante nella prole, deve essere proprio di almeno uno dei genitori - non può ammettersi che l’omozigosi paterna per un determinato carattere corrisponda a omozigosi del figlio per diverso carattere - gli aplotipi devono essere ereditati come complesso indivisibile.D’altra parte, il calcolo delle frequenze geniche dei diversi determinanti di gruppo sanguigno (eritrocitari e leucocitari) e dei polimorfismi sierici (Gm Km Hp Tf Gc, per esempio) rispetto alla frequenza dei fenotipi paterni compatibili può mettere in condizione di valutare la probabilità di paternità. Per quanto sopra esposto anche nel sistema processuale italiano si è giunti alla conclusione di ammettere la prova emogenetica di paternità.

HODGKIN, morbo di

 

(Prende il nome da Thomas Hodgkin, medico britannico - Tottenham, Middlesex, 1798 - Giaffa, Israele, 1866), malattia caratterizzata da un processo tumorale maligno che colpisce i tessuti linfoidi, manifestandosi dapprima in un distretto singolo, per evolvere poi in modo progressivo estendendosi ad altre stazioni linfatiche e ad organi diversi. È il tipo più frequente fra i linfomi maligni colpisce in grande prevalenza soggetti tra i 20 e i 40 anni con netta preferenza per i maschi, ma non manca anche fra i 60 e i 70 anni.

Sintomi
L’esordio dell’H. è estremamente variabile e spesso molto subdolo. Di fronte a un quadro clinico complesso che si trascina da tempo e per il quale non si riesce a trovare spiegazione valida, è bene porsi il sospetto che possa trattarsi di H. Nei casi a esordio tipico, l’H. si manifesta con la tumefazione di un solo linfonodo o di un solo pacchetto di linfonodi e le sedi più di frequente colpite sono le laterocervicali o le sopraclaveari. Non è raro il persistere di un’unica localizzazione per alcuni mesi, talvolta quasi asintomatica, per interessare poi una sede vicina o la stessa sede dal lato opposto del corpo. In altri casi sin dall’inizio sono interessate più sedi linfonodali, collo, ascelle, mediastino meno frequenti le sedi inguinali. I linfonodi colpiti oltre che ingranditi, potendo raggiungere le dimensioni di un mandarino, sono duri, ma ben separati gli uni dagli altri, mobili e sempre indolenti. Possono essere interessate le più diverse stazioni profonde: il mediastino e nell’addome, le lomboaortiche, le iliache, le mesenteriche. Tra i sintomi generali dell’H. sta in primo piano la febbrìcola, assai spesso associata a profusa sudorazione, specie notturna. Talvolta l’esordio della malattia è costituita soltanto da puntate febbrili sino a 39-40°C, con quasi regolare comparsa ogni 12 ore circa e magari è reperibile un solo piccolo linfonodo non più grande di un pisello questi casi hanno evoluzione quasi sempre rapidamente infausta. Sintomo importante è il prurito, insistente, diffuso, ribelle a tutte le comuni cure. Certi casi di H. hanno presentato esclusivamente prurito per 1-2 anni rendendo impossibile precisare la diagnosi che solo la successiva comparsa di un linfonodo ha permesso. L’ingrandimento della milza di modesta entità è presente incirca il 60% dei casi molto rara la grande splenomogalia. L’H. può interessare qualunque organo o tessuto non rare le localizzazioni scheletriche, specie le vertebre. È di notevole importanza pratica stabilire per ogni caso lo stadio della malattia, che può evolvere dal I al IV stadio o ultimo. Stabilito, in base alle localizzazioni, lo stadio di malattia, si parla di tipo A o B rispettivamente se è assente o invece presente uno o più dei sintomi generali, cioè febbre, sudorazioni notturne, dimagramento a parità di stadio, l’H. B ha prognosi è sempre assai meno favorevole dell’A.

Diagnosi
È sempre e soltanto istologica e basata sul riscontro nel linfonodo o nella milza o nel midollo o in qualsiasi altro organo del caratteristico “tessuto sternberghiano”, nei quale l’elemento decisivo è la presenza delle grandi inconfondibili cellule di Reed-Sternberg o delle cellule di H., ambedue elementi tumorali. Nel quadro istologico dell’H. v’è poi la componente di tipo reattivo costituita dalla presenza di eosinofili, spesso assai numerosi, plasmacellule, macrofagi. In base alle caratteristiche del quadro istologico si distinguono quattro istotipi di H., i quali sono assai importanti ai fini prognostici:- forma a predominanza linfocitaria, nella maggioranza dei casi a lenta favorevole evoluzione - forma a sclerosi nodulare, più frequente nelle giovani donne e con quasi costante interessamento del mediastino - forme a cellularità mista, riscontrabile in più di un terzo di tutti i linfomi hodgkiniani e con andamento variabile - forma a deplezione linfocitaria, più frequente nei pazienti anziani e pressoché sempre a rapida sfavorevole evoluzione.Per un’esatta stadiazione è necessario stabilire se l’H. è localizzato a una sola o a più stazioni linfonodali e se non v’è interessamento di altri organi o tessuti. A questo scopo si ricorre a esame istologico del midollo osseo, radiografie del torace, ecografia dell’addome, eventualmente linfografia dei linfonodi retroperitoneali e, in certi casi, anche TAC total-body.
I casi nei quali, espletatì gli esami sopraelencari, risultano a sede unica (stadio I, specie se A) hanno indicazione alla radioterapia con grandi probabilità di completa guarigione, ma in questi casi bisogna procedere a laparatomia per praticare 3-4 prelievi del fegato e asportare la milza, onde essere certi che in detti organi non esistano microlocalizzazioni hodgkiniane. La laparoscopia non sempre dà risultati sicuri, specie per la milza, in genere di difficile esplorazione. Sino a circa 20-25 anni fa, quando la sola arma era la radioterapia nessun caso giungeva a guarigione definitiva, pur essendovi qualche caso di sopravvivenza sino a 10-15 anni. Adesso la sopravvivenza di oltre 10 anni senza il minimo segno di malattia, il che significa guarigione definitiva, supera il 70%. Purtroppo resta un 20% di casi refrattari anche alle più energiche terapie e sono quelli che iniziano subito con elevate puntate febbrili e spiccati sintomi generali (tipo B), quelli nei quali si ha precoce recidiva (già entro 12-18 mesi), e assai spesso i pazienti anziani. I casi con la migliore prognosi sono quelli in stadio IA e IIA e la peggiore quelli in IV stadio, specie con tipo istologico di deplezione linfocitaria.

terapia
I cardini fondamentali della terapia sono la radio e la chemioterapia, che in non pochi casi vengono impiegate insieme. Il presupposto fondamentale per raggiungere l’eradicazione della malattia è di ottenere la remissione completa, cioè la totale scomparsa di tutte le lesioni constatabili. La radioterapia deve determinare totale e permanente distruzione del tessuto neoplastico e i migliori risultati si ottengono con le radiazioni ad alta energia (telecobalto, acceleratori lineari). In via preventiva, è opportuno irradiare anche i singoli gruppi linfonodali più vicini a quelli malati. La polichemioterapia, cioè ripetuti cicli di almeno 4 dei più classici farmaci citostatici, è la via maestra nella terapia dell’H., anche se comporta effetti secondari assai molesti (vomito, perdita dei capelli) ma pressoché tutti reversibili.

HOLTER, metodo di

(O elettrocardiogramma dinamico), tecnica di registrazione continua (in genere per 24 ore o più) dell’elettrocardiogramma (ECG) mediante un apparecchio portatile, comprendente un piccolo registratore a nastro alimentato a batteria, che il paziente indossa per tutto il tempo previsto per la registrazione. L’apparecchio è costruito in modo tale che il paziente possa immettere nella registrazione uno specifico segnale nel momento in cui avverte sintomi particolari. In nastro viene poi stampato (o letto sul monitor) permettendo così di analizzare un’eventuale aritmia o la presenza di segni di ischemia riferibili a sintomi accusati dal paziente.

HPV

 

Virus a DNA della famiglia dei Papovavirus, del quale ad oggi sono stati identificati oltre 200 sottotipi: di questi, circa 100 possono infettare l’uomo e circa 35 presentano un tropismo specifico per le aree cutanee e mucose del tratto genitale. Solo il 10-15% degli individui con una nuova infezione presenta segni e sintomi clinicamente evidenti. La trasmissione del virus avviene quasi certamente per via sessuale, anche se non si può escludere l’eventualità di trasmissione con contatti mucose-oggetti o indumenti (cosiddetti fomiti). Si trasmette, in particolare, nel contatto pelle a pelle, quindi non è necessario un rapporto sessuale completo. Bisogna anche ricordare un’ultima, seppur rara via di trasmissione, che è quella verticale, dalla madre al feto. Essa può avvenire per via transplacentare o postnatale/perinatale. Il rischio di infettarsi una volta nella vita è dell’80% tra i 20 e i 79 anni. Il virus dell’HPV, oltre a causare a livello genitale i classici condilomi acuminati (v. condilomi), ha un ruolo causale dimostrato nella genesi delle neoplasie invasive e preinvasive del collo dell’utero tuttavia, solo poche donne infettate sviluppano il cancro. L’incubazione è variabile e quasi mai localizzabile correttamente nel tempo, anche in virtù della frequente assenza di sintomi e segni d’infezione.Distinguiamo sostanzialmente due diversi gruppi di papillomavirus, quelli a basso e quelli ad alto rischio oncogeno (nell’ambito del quale vengono distinti alcuni a cosiddetto medio rischio oncogeno). I primi sono gli agenti eziologici dei condilomi genitali, che rappresentano la più frequente malattia sessualmente trasmessa dei paesi industrializzati e sono causati nella stragrande maggioranza dei casi dai sottotipi 6 e 11 di HPV.È stimato che i due terzi circa dei soggetti aventi contatti sessuali con un individuo affetto da condilomatosi genitale florida svilupperà condilomi entro 3 mesi. Da un punto di vista scolastico possiamo distinguere due forme di condilomatosi genitale: la c. florida o acuminata (visibile ad occhio nudo) e la c. piatta o subclinica (diagnosticabile solo con l’impiego del colposcopio o di una lente a forte ingrandimento e magari l’applicazione di acido acetico al 3 o al 5%). Le forme floride, nell’uomo, possono coinvolgere il glande, il solco balano-prepuziale, l’asta, l’uretra e, più raramente, lo scroto nella donna, la vulva fino alla zona perianale, la regione paraclitoridea, il meato uretrale, la superficie delle piccole e delle grandi labbra, la vagina e la cervice uterina in ambo i sessi le proliferazioni condilomatose posso interessare anche la zona anale e presentare diverse forme, apparendo come escrescenze irregolari e talvolta fastidiose, occasionalmente tondeggianti, “a cupola”, biancastre o pigmentate.Le forme piatte (più spesso causate da virus a basso rischio oncogeno, di cui i più studiati sono il 16 e il 18) sono più frequentemente riscontrate a livello cervicale, dando luogo a quadri colposcopici tipici e dettagliatamente descritti nei testi specialistici. Frequente è l’associazione – anche a livello cervicale – di lesioni piatte e floride adiacenti.Il caso raro della trasmissione materno-fetale è stata descritto nel 40% delle madri HPV positive, nel 50% dei parti vaginali e nel 30% dei tagli cesarei. È stata inoltre descritta la presenza di HPV DNA nelle mucose infantili anche di madri HPV negative al momento del parto. L’infezione neonatale (se presente) si negativizza generalmente entro 6 mesi, ma è corretto ricordare che esiste una forma rara, ma severa, di infezione da HPV extragenitale che è quella della papillomatosi respiratoria recidivante del bambino (juvenile onset recurrent respiratory papillomatosis: JORRP).Per quel che riguarda la terapia, non esistono presidi specifici rivolti contro il virus. Per altro le prime infezioni, in soggetti giovani e senza fattori di rischio particolari, possono risolversi spontaneamente nel giro di 10-12 mesi. Le energie andranno altresì rivolte nei confronti delle lesioni generate dal virus che potranno essere ora tenute sotto controllo, per valutarne l’evoluzione, ora trattate con l’impiego di tecniche escissionali a lama fredda o sfruttando la diatermocoagulazione, la crioterapia e la laserterapia.A scopo profilattico, si sta tuttora studiando un vaccino, i cui risultati preliminari sembrerebbero confortanti (vedi scheda HPV).

HTLV

 

Acronimo di Human T Leucocytes Virus, virus umano dei linfociti T. Un tipo, l’HTLV 1 è stato evidenziato la prima volta negli USA in due pazienti di razza nera, affetti da una forma di leucemia a cellule T (frequente soprattutto in Giappone e nei neri caraibici). È presente in tutte le parti del mondo ed un tipo particolare di questo virus è riconosciuto come endemico in alcune popolazioni tribali del Sud Pacifico. La trasmissione avviene per contatto sessuale, allattamento al seno e trasmissione materno-fetale. Un altro tipo, correlato con una rara forma di leucemia cronica è nota come tricoleucemia (HTLV 2). Si tratta di retrovirus simili al virus dell’AIDS, un tempo noto come HTLV 3 e ora invece definito HIV.

HUNT-HESS, classificazione

 

Gli autori Hunt ed Hess hanno stabilito, per valutare il grado di gravità di un’emorragia subaracnoidea, una scala in base alla quale si può decidere, basadosi appunto sul grado di gravità del quadro clinico, se intervenire o non intervenire chirurgicamente. Il trattamento chirurgico è generalmente consigliato in caso di aneurisma che non ha sanguinato scoperto accidentalmente (grado 0) o di emorragie di grado I,II,III (con segni neurologici da assenti a lievi e, nel grado III, sonnolenza e stato confusionale). Nei grado IV e V (laddove è più profondamente alterato lo stato di coscienza) si valuta, in base ad una serie di variabili, se e quando intervenire chirurgicamente.

HUNTINGTON, corea di

 

(Prende il nome da George Huntington, medico statunitense - East Hampton, Connecticut 1851 - Cairo, New York 1916), malattia del sistema nervoso centrale ereditaria e a evoluzione cronica, consegue alla degenerazione progressiva di talune strutture nervose extrapiramidali.

Cause
È una malattia ereditaria, a trasmissione autosomica dominante, legata alla mutazione di un gene sito sul braccio corto del cromosoma 4. Questo gene che codifica per la proteina “huntingtina” (forse implicata nei meccanismi di accelerazione della l’apoptosi neuronale processo, geneticamente regolato che permette alle cellule la morte con una minima infiammazione e ridotta liberazione di materiale genetico). Esso contiene una sequenza di ripetizioni del trinucleotide citosina-adenina-guanina (CAG) in uno dei suoi estremi. In soggetti normali il numero di ripetizioni della tripletta CAG è variabile e oscilla tra 11 e 32. I pazienti con malattia di H. hanno 40 o più trinucleotidi CAG. Si è visto che maggiore è il numero di ripetizioni più precoce è l’inizio della malattia. Questa variazione è specialmente importante nei casi di trasmissione paterna, nei quali la lunghezza del segmento di ripetizioni del trinucleotide può espandersi in gran maniera durante la spermatogenesi. La patogenesi di questa malattia è sconosciuta. L’esame macroscopico dei cervelli di pazienti con la malattia di H. avanzata mostra atrofia della corteccia cerebrale, soprattutto nei lobi frontali e, con un marcato allargamento delle parti anteriori dei ventricoli laterali dovuto ad atrofia del nucleo caudato (l’atrofia riguarda nel suo insieme il corpo striato di cui il nucleo caudato fa parte insieme al putamen).

Sintomi
Il quadro clinico classico della malattia include demenza, alterazioni psichiatriche e disturbi del movimento, generalmente corea, unitamente ad un pattern ereditario autosomico dominante. La malattia è propria dell’età adulta (inizia tra i 35 e i 44 anni). È caratterizzata dalla presenza di movimenti involontari e da disturbi psichici. In generale, la malattia di H. giovanile presenta una tendenza a decorrere con un sindrome rigido-acinetica e deterioramento mentale severo, mentre quella che appare in età senile tende a presentare prevalentemente corea. Il decorso della malattia è progressivo con una crescente disabilità e dipendenza da altre persone. I malati sono coscienti delle loro alterazioni cognitive e della loro difficoltà per realizzare attività intellettuali, ivi inclusi altri aspetti della loro malattia come la prognosi, fino a stadi avanzati della stessa, al contrario di altre demenze come la malattia di Alzheimer.Nella malattia di H. può apparire una gran varietà clinica di alterazioni psichiatriche che possono essere le prime manifestazioni della malattia in un terzo dei pazienti. I disturbi affettivi sono i più frequenti.La prevalenza della depressione in differenti studi si approssima al 40%. Ben frequenti sono i sintomi psicotici, specialmente idee paranoidi, mania o allucinazioni, alterazioni sessuali con tendenza alla ipersessualità principalmente in uomini, così come condotte sessuali socialmente inadeguate.La corea è il disturbo neurologico più caratteristico di questa malattia (corea di H., quantunque non è l’unico disturbo del movimento, potendosi osservare in stadi avanzati movimenti e posture distoniche così come rigidità e bradicinesia, mascheranti i movimenti coreici).Inoltre la rigidità può essere un segno iniziale, specialmente nella malattia di H. ad inizio giovanile (variante di Westphal).La malattia dura, in genere, dai venti ai trent’anni, e in essa si assiste a un fatale progressivo aggravamento tanto dei disturbi motori (i movimenti involontari coreici finiscono con il disturbare gravemente tutti gli atti volontari, cosicché la parola, la deambulazione e la possibilità stessa di portare il cibo alla bocca e di vestirsi vengono a essere notevolmente compromesse), quanto di quelli mentali, che nel tempo giungono a configurare un quadro demenziale.

Diagnosi
La diagnosi genetica può essere utile in pazienti con sintomi nei quali la malattia di H. è parte di una diagnosi differenziale più ampia o per differenziare questa malattia da altre sindromi coreiche. È molto utile nella diagnosi di malattia di H. in casi sporadici o in quelli in cui non si possa ottenere una adeguata storia familiare.Lo studio genetico permette inoltre di rilevare la mutazione della malattia in soggetti presintomatici. Al riguardo esistono una serie di problemi pratici ed etici. Il risultato deve essere confidenziale e non deve praticarsi a richiesta di terze persone. È possibile la diagnosi prenatale.Le neuroimmagini (TC, RM) dimostrano un aumento dei ventricoli laterali cerebrali come conseguenza della atrofia del nucleo caudato e possono essere utili per escludere altre cause di corea. Studi pet hanno dimostrato un diminuito metabolismo del glucosio nello striato, già nella fase iniziale o prima delle manifestazioni cliniche della malattia.

Terapia
La terapia è puramente sintomatica, non potendosi in alcun modo arrestare l’evoluzione della malattia. Per il controllo dei movimenti involontari si utilizzano neurolettici.

HURLER, sindrome di

 

vedi GARGOILISMO

HUTCHINSON, melanosi di

 

(Prende il nome da Jonathan Hutchinson, medico britannico - Selby, Yorkshire, 1828 - Haslemere, Surrey, 1913), affezione che colpisce soprattutto le persone anziane. È caratterizzata dalla comparsa sulla cute del volto di una macchia intensamente pigmentata, che si estende lentamente e che può trasformarsi in un melanoma maligno invasivo.

HUTCHINSON, triade di

 

Manifestazione tipica della sifilide congenita, caratterizzata dall’associazione di cheratite interstiziale, sordità ed anomalie dei denti incisivi superiori.

HYDROA

 

Termine impiegato un tempo per indicare tutte le malattie della pelle caratterizzate da eruzioni di vescicole e bolle. Oggi viene riferito solamente alla h. vacciniforme.

HYDROA VACCINIFORME

 

Malattia congenita legata ad alterato metabolismo delle porfirine. Insorge nell’infanzia con gettate eruttive di bolle e vescicole preferibilmente in primavera o in estate, nelle parti del corpo esposte alla luce. L’affezione, durante l’infanzia, tende a recidivare con facilità, ma generalmente essa regredisce spontaneamente con il raggiungimento dell’età adulta.La terapia si fonda sulla protezione delle parti esposte ai raggi solari con creme-barriera e farmaci fotoprotettivi.

J
JACKSONIANA, epilessia

 

vedi EPILESSIA JACKSONIANA

JET-LAG, sindrome

 

Malessere legato al cambiamento di fuso orario. È caratterizzata da turbe del sonno, inappetenza, nausea, irregolarità dell'intestino, malessere generale, senso di spossatezza, riduzione dell'efficienza psichica con depressione del tono dell'umore. Si tratta di una sindrome complessa alla quale contribuiscono un gran numero di variabili. La ragione fondamentale è l'alterazione dei ritmi circadiani che manifestano un'inerzia ad adattarsi alle nuove alternanze di luce e buio. La sindrome tende a presentarsi principalmente in individui sopra i 50 anni di età e durata e severità sono proporzionali al numero di fusi orari attraversati, alla direzione (est o ovest) del volo e all'ora di partenza e arrivo. Allungare o accorciare il giorno non è la stessa cosa. È, infatti, dimostrato che spostandosi verso est sono necessarie più ore per riadattarsi rispetto a quando si va verso ovest. Il disturbo si manifesta, in genere, il secondo giorno dopo l'arrivo poiché il sonno del primo giorno recupera quanto perso durante il viaggio aereo. La durata del disturbo è di 2-3 giorni circa, arrivando ad un massimo di 7-10 per i viaggi verso est che hanno comportato l'attraversamento di 8-12 fusi orari. Ogni giorno si dovrebbero recuperare circa 90 o 60 minuti rispetto allo sfasamento, rispettivamente da volo verso ovest e verso est.

Terapia
È necessario adattarsi il più in fretta possibile ai ritmi del paese di arrivo. Spostare, quindi, il proprio orologio interno con il ritmo luce-buio locale e, se possibile, anticipare questo aggiustamento sin dall'inizio del viaggio. La luce è, infatti, uno degli orologi più efficienti per regolare i ritmi dell'organismo. Altri semplici accorgimenti riguardano l'alimentazione, per esempio pranzando e cenando secondo l'orario in vigore nel Paese di destinazione. Già in aereo poi è importante bere molti liquidi ed evitare bevande alcoliche o stimolanti come il caffè. Può essere utile anche, nelle 24 ore che precedono la partenza, evitare di sottoporsi a stress di qualsiasi natura: uno stato di rilassamento generale, infatti, aiuta l'organismo ad adattarsi con più facilità ai nuovi ritmi. Ma la tendenza più diffusa negli ultimi anni per ridurre o eliminare i disturbi da jet lag è il ricorso alla melatonina. La melatonina è un ormone prodotto da una ghiandola posta alla base del cervello, la ghiandola pineale o epifisi. Viene sintetizzata o secreta di notte, poco dopo la comparsa dell'oscurità le sue concentrazioni nel sangue aumentano rapidamente e raggiungono il massimo tra le 2 e le 4 di notte per poi ridursi gradualmente all'approssimarsi del mattino. L'esposizione alla luce inibisce la produzione della melatonina in misura dose-dipendente. A dosi farmacologiche la melatonina sembra poter risincronizzare l'orologio biologico interno in caso di variazioni indotte da repentini cambi di fuso orario.
Per evitare il jet-lag, possono esser dÕaiuto alcune misure che ricalibrano il sistema sonno-veglia al nuovo ritmo giorno-notte. Intanto, prima della partenza,  utile un adeguato riposo (almeno 1-2 notti di sonno regolare, possibilmente coricandosi pi tardi del solito se si viaggerˆ verso Ovest e pi presto se verso Est). Raccomandabile  poi lÕastensione da alimenti e pasti pesanti, nonchŽ da bevande alcoliche, tranquillanti o sonniferi. La melatonina sintetica pu˜ servire a mimare il ritmo circadiano della sua secrezione naturale: appena arrivati, sono consigliabili 2-5 milligrammi della sostanza, assunti la sera, unÕora prima di mettersi al letto, per quattro giorni. Per una maggiore efficacia, la cura andrebbe cominciata 3-4 giorni prima della partenza e continuata per altrettanti giorni dopo lÕarrivo. Dosi e tempi di somministrazione vanno comunque decisi assieme al medico di fiducia (in base alle caratteristiche della persona, alla durata del viaggio e alla differenza di fuso orario).

JET-LESION

Termine inglese che indica le lesioni provocate nell'organismo dalle grandi variazioni della forza di gravità (accelerazione-decelerazione) cui sono sottoposti i piloti degli aviogetti e gli astronauti. Le sollecitazioni in gioco sono molto grandi e possono superare i limiti di resistenza di alcuni tessuti particolarmente delicati. Le lesioni più osservate sono: distacchi di retina, emorragie retiniche, epistassi, visione nera e lipotimia per transitoria ischemia cerebrale.

JUNG, metodo di

C. G. Jung, considerato dapprima dallo stesso Freud il proprio erede spirituale, si distaccò nel 1913 dall'ortodossia freudiana dando vita ad un sistema personale che prese il nome di psicologia analitica. Una differenza fondamentale tra Freud e J. , riguarda il carattere della libido: J. rifiuta di considerare questa in termini esclusivamente sessuali, interpretandola invece sotto forma di energia generalizzata che si manifesta in tutto il processo vitale dell'individuo. Tale energia, inizialmente al servizio della crescita e della nutrizione, assumerebbe carattere sessuale dopo la pubertà. J. apportò delle modifiche anche alla concezione freudiana della struttura della personalità, che suddivise in tre distinti livelli: il conscio, l'inconscio personale e l'inconscio collettivo. Il conscio, come per Freud, rappresenta il principale canale di comunicazione e di adattamento con la realtà e l'ambiente esterno. L'inconscio personale, situato subito al di sotto della coscienza, contiene gli impulsi, i desideri, le esperienze, relative alla storia personale dell'individuo. Tali contenuti, dimenticati, possono tuttavia, secondo J. , essere agevolmente riportati alla coscienza in quanto l'inconscio personale non è molto profondo. Il terzo livello psichico, situato al di sotto dell'inconscio personale, è rappresentato dall'inconscio collettivo, che ha carattere universale, racchiudendo in sé la storia dell'umanità e le esperienze di tutte le passate generazioni. Questo livello più profondo è la sede di immagini primordiali universali, che J. definì "archetipi", considerati i centri dell'energia psichica. Gli archetipi si manifestano alla coscienza dell'individuo sotto forma di immagini in occasione di esperienze umane decisive o in stadi particolari della vita (per esempio durante l'adolescenza) condizionando l'intera esperienza psichica ed emotiva. La presenza degli archetipi è rintracciabile nei sogni e nel ricco materiale simbolico presente in tutte le culture, anche se di origini diverse e molto distanti tra loro. Uno degli aspetti più conosciuti dell'opera di J. riguarda gli studi sui tipi psicologici, che egli suddivise in introversi ed estroversi. L'introversione e l'estroversione sono considerati atteggiamenti presenti in ogni individuo, sebbene in gradi diversi. Generalmente uno dei due è infatti più pronunciato rispetto all'altro ed assume carattere stabile e dominante. L'introversione è l'atteggiamento dei soggetti che traggono le proprie motivazioni principalmente da fattori interiori e soggettivi: sono individui più contemplativi ed introspettivi, scarsamente orientati verso il mondo esterno e i rapporti sociali. L'estroversione è invece l'atteggiamento dei soggetti che traggono le proprie motivazioni prevalentemente da fattori esterni: sono individui socievoli, molto influenzabili e partecipi a fatti e situazioni dell'ambiente circostante. Non è sempre facile classificare un individuo in base a questi due aspetti sia perché lo stesso individuo può oscillare da un atteggiamento ad un altro nel corso della vita e a seconda delle circostanze, sia perché è difficile osservare un alto grado di introversione ed estroversione ed è più frequente la presenza di tipi intermedi. Metodo J. ritiene che nel momento in cui occorre chiarire un fatto psicologico sia necessario valutarlo sotto due aspetti, l'aspetto causale e l'aspetto finale. La concezione finalistica intende le cause come mezzo diretto a uno scopo. Un semplice esempio è il problema della regressione: causalmente la regressione è dovuta alla "fissazione alla madre" finalisticamente, invece, la libido regredisce all'imago della madre per cogliervi le associazioni mnestiche attraverso le quali può avvenire lo sviluppo, ad esempio, dal sistema sessuale a un sistema psichico. La sua teoria guarda al risultato finale dell'analisi e considera gli impulsi fondamentali dell'inconscio come simboli, che indicano una determinata linea dello sviluppo futuro. Dobbiamo tuttavia ammettere che non c'è giustificazione scientifica per quest'ipotesi, perché la nostra presente scienza naturale si fonda completamente sulla causalità. Ma la causalità non è che uno dei principi e la psicologia non può essere esaurita con metodi soltanto causali, perché lo spirito vive anche in vista di scopi. (. . ) Un'esclusiva riduzione a cause rinforza le tendenze primitive della personalità, ma ciò è giovevole soltanto se queste tendenze primitive vengono in pari tempo tenute in equilibrio mediante il riconoscimento del loro valore simbolico. In tal senso, J. legge i sintomi quali simboli di cambiamenti da effettuare, non soltanto come segni di disadattamento da riadattare, e tale visione della patologia lo induce ad avvalersi dialetticamente nell'attività psicoterapeutica sia del metodo riduttivo sia del metodo costruttivo: mentre il metodo riduttivo implica l'uso di modalità interpretative, adeguate al problema in atto in quel momento, il metodo costruttivo, che consiste nell'accompagnare il paziente nella realizzazione del progetto esistenziale rivelatogli dall'inconscio, chiama in causa la personalità del terapeuta.
La pratica terapeutica junghiana è caratterizzata dal rifiuto di ogni forma di rigorismo tecnico e dall'impegno personale dell'analista che, per contribuire alla crescita del soggetto, deve al contempo trasformare se stesso. J. , quindi, a differenza di Freud che utilizza esclusivamente il metodo riduttivo e considera il materiale analiticamente, risolvendo cioè il presente nel passato, ritiene che tale materiale vada trattato sinteticamente, attraverso la costruzione del futuro dal presente e attraverso il tentativo di stabilire rapporti tra coscienza e inconscio, tra coppie di opposti psichici, per fornire una nuova base alla personalità, sulla quale edificare un saldo equilibrio psichico.

K
K, vitamina


(O fillochinome), È la vitamina antiemorragica per eccellenza viene utilizzata dal fegato per la sintesi della protrombina (importante fattore della coagulazione del sangue) viene sintetizzata dalla flora batterica intestinale. La sua carenza causa la comparsa di manifestazioni emorragiche. Nel bambino il quadro più classico di ipovitaminosi K è la malattia emorragica del neonato, che si manifesta col sangue nelle feci (melena) sanguinamento del cordone ombelicale dovuti al deficit transitorio di vitamina, tipico dei primi giorni di vita. L'incidenza della malattia emorragica si è ora notevolmente ridotta grazie all'abitudine di somministrare a tutti i neonati 1 mg di vitamina K subito dopo la nascita, come profilassi.

KALA-AZAR


Nome indiano della leishmaniosi viscerale, parassitosi che colpisce prevalentemente il fegato, la milza, i linfonodi e il midollo spinale. È provocata dal protozoo Leishmania donovani, trasmesso all'uomo da insetti del genere Phlebotomus.

KALIEMIA


vedi POTASSIEMIA

KANAMICINA


Antibiotico prodotto dal batterio Streptomyces kanamyceticus, attivo contro i germi Gram-negativi e contro la maggior parte degli stafilococchi e il micobatterio tubercolare. Fenomeni di resistenza si instaurano molto rapidamente. A dose elevata provoca danni alla funzione uditiva (sordità, vertigini, ronzii) altri effetti collaterali sono riferibili a danni renali (generalmente reversibili con la sospensione della terapia) per cui deve essere somministrata con cautela in pazienti con preesistenti lesioni renali.

KAPOSI, morbo di


(Prende il nome da Móric Kaposi, dermatologo ungherese - Kaposvár, Somogy, 1837 - Vienna, 1902), o sarcoma di Kaposi, affezione che si manifesta con la comparsa di noduli e placche tumorali multiple, di color rosso violaceo, localizzati specialmente sulla cute degli arti inferiori, delle mucose oro-nasali e dell'ano tali lesioni tendono ad estendersi anche a sedi viscerali (quali il tratto gastroenterico, il fegato, i polmoni, i linfonodi). Hanno il carattere di un processo tumorale derivato da vasi sanguigni. La malattia ha un decorso cronico, che può durare a lungo, con tendenza delle lesioni a estendersi e a ulcerare la cute. Prima del 1980 questa patologia era molto rara e quasi sconosciuta, che colpiva gli anziani, i trapiantati immunosoppressi o gli uomini di razza nera. Dal momento dell'epidemia di AIDS, le segnalazioni di sarcoma di K. si moltiplicarono. Esistono diversi tipi di morbo di K., il classico (a lenta progressione), il K. correlato a trattamenti immunosoppressivi (pazienti trapiantati), l'epidemico (nei pazienti con AIDS, a rapida progressione) e il ricorrente.

Diagnosi
La diagnosi è clinica e/o tramite biopsia. In presenza di sospetto di K. il medico prescrive sempre esami atti a verificare la sieropositività HIV e lo stato immunitario del soggetto.

Terapia
La terapia è chirurgica (escissione bioptica della lesione, diatermocoagulazione della lesione e curettage, crioterapia), chemioterapica, radioterapia e con farmaci che potenziano il sistema immunitario (biologic response modifiers).

KATZ, indice di

 

Espressione numerica della velocità di sedimentazione dei globuli rossi (abbreviato con I K) formulata dal chimico J. R. Katz (1880-1938). I globuli rossi, quando il sangue viene reso incoagulabile, tendono a sedimentare in quanto hanno densità superiore a quella del plasma tale proprietà viene utilizzata per la determinazione di un particolare indice biologico che prende appunto il nome di velocità di sedimentazione degli eritrociti (o velocità di eritrosedimentazione, indicata di solito con la sigla VES). Questa viene valutata ponendo in una apposita pipetta graduata una certa quantità di sangue e leggendo fino a che livello sono sedimentati i globuli rossi dopo 1 o 2 ore. L'indice di K. si ottiene sommando al valore di lettura alla prima ora la metà del valore di lettura alla seconda ora e quindi dividendo il tutto per due. Vengono considerati normali valori compresi tra 4 e 10 per l'uomo, tra 4 e 15 per la donna.Variazioni dell'indice di K. si possono avere per diverse cause, in parte legate ai globuli rossi, in parte a fattori plasmatici di cui solamente alcuni identificati. Un aumento dell'indice di K., e quindi della VES, è indice di attività di malattia, pur senza assumere mai un significato preciso e specifico ai fini diagnostici tale aumento, infatti, si può avere, indifferentemente, nel corso di malattie infettive acute, subacute o croniche, di malattia reumatica, di molte emopatie, di infarto miocardico, di alcune cardiopatie scompensate, di epatopatie e di neoplasie maligne. Pertanto è di scarso ausilio diagnostico ma può fornire un valido supporto durante la terapia, rappresentando un attendibile indice di flogosi. La velocità di eritrosedimentazione è condizionata essenzialmente dalle caratteristiche del plasma (in particolare dalla sua composizione proteica) e dalle caratteristiche dei globuli rossi (forma, numero, tendenza ad aggregarsi ecc.). Accanto alla VES, nell'inquadramento di malattie a patogenesi infiammatoria, vengono usati altri indici, di cui il più comune è la proteina C reattiva.

KAVA-KAVA

 

La pianta Kava (sinonimi sono Kava Kava e Kawa o Kawa Kawa) cresce in Oceania e appartiene alla famiglia delle piperaceae. Il nome latino è Piper methysticum (pepe tossico). In fitoterapia si usa la radice. Le sue proprietà ansiolitiche e sedative hanno fatto si che la pianta venisse nel tempo utilizzata durante rituali religiosi o cerimonie sociali o come pianta medicinale presso le popolazioni dell'Oceania. A seconda della dose utilizzata, gli estratti della radice possono produrre un effetto inizialmente ansiolitico e sedativo e, con l'aumentare della dose, rilasciamento muscolare e incoordinazione motoria. Nella medicina popolare la radice di Kava è stata usata per curare la gonorrea, indurre il sonno, come rilassante muscolare e antifatica. Anche se sono state isolate varie sostanze tra cui flavonoidi e chetoni alcuni composti (ne sono stati isolati 18) denominati kavapironi sembrano essere responsabili delle principali attività farmacologiche. L'assunzione di Kava può essere controindicato se si è affetti da depressione (può aumentare il rischio di suicidio nei soggetti affetti da depressione endogena) se si assumono benzodiazepine, barbiturici o altri psicofarmaci. L'assunzione di Kava può rallentare i riflessi motori e ridurre lo stato di vigilanza. È opportuno non guidare automezzi o adoperare macchinari pesanti.

KAWASAKI, malattia di

 

È una vasculite, cioè una malattia dei vasi sanguigni. Fu descritta per la prima volta nel 1967 in Giappone dallo scienziato Tomisaku Kawasaki, da cui prende il nome. é una forma morbosa in continuo aumento anche negli Stati Uniti e in Europa.

Cause
Ancora oggi non se ne conosce la causa, anche se sono stati ipotizzati fattori virali o genetici. La malattia colpisce entrambi i sessi (con una lieve prevalenza per quello maschile) a partire dai primi mesi di vita fino ai 5-6 anni con un picco di incidenza intorno all'anno di vita e più di rado dopo i 6 anni. Secondo alcuni studi l'incidenza in Italia sarebbe di 14 casi ogni 100 mila bambini, contro gli 8/10 casi degli Stati Uniti e i 4 casi dell'Inghilterra.

Sintomi
Poiché si presenta con febbre elevata ed esantema, la malattia di K. viene a volte inizialmente confusa con il morbillo, con la scarlattina, con la mononucleosi od altre malattie infettive dell'infanzia. In realtà si tratta di una vasculite che interessa la pelle, le mucose e le arterie coronarie. La malattia spesso comincia con la febbre alta e persistente, che non regredisce con la normale terapia con farmaci antifebbrili. La febbre può rimanere elevata anche per due settimane. Nella maggior parte dei casi si osserva una congestione delle mucose congiuntivali con occhi fortemente arrossati, e della mucosa dell'interno della bocca, con gola arrossata, lingua iperemica con le papille rilevate tipo lingua "a lampone" della scarlattina. Le labbra sono fortemente arrossate con presenza di fessure doloranti. In genere dopo 4 o 5 giorni dall'inizio della febbre è presente un esantema maculo-papuloso che scompare dopo una settimana. Questo esantema si manifesta inizialmente sul tronco per poi estendersi al viso e agli arti. Sempre in questo periodo compare un arrossamento delle palme delle mani e della pianta dei piedi che si accompagna ad un edema duro "a guanto" ed "a calzino", della durata di circa 10 giorni, seguito da una desquamazione della cute delle dita. Può essere presente anche un ingrossamento dei linfonodi latero-cervicali o angolomandibolari. Il decorso della malattia, che è autolimitante e che tende alla guarigione spontanea nella maggior parte dei casi, può variare da 2 a 12 settimane.

Diagnosi
La diagnosi della malattia di K. è solo clinica: non esistono, infatti, esami di laboratorio specifici, eccettuato un tardivo aumento del numero delle piastrine. Una complicanza temibile della malattia, che si presenta in forma grave nel 5-10% dei casi, è l'interessamento del cuore. La malattia di Kawasaki può infatti provocare una infiammazione delle coronarie, cioè delle arterie che portano il sangue al cuore. Il piccolo paziente corre allora il rischio di un infarto, perché l'arteria si ostruisce e il sangue non arriva, o di un aneurisma, cioè di una dilatazione dell'arteria, che può arrivare a rompersi. I bambini affetti dalla sindrome di K. devono quindi essere affidati al controllo di un centro cardiologico specializzato, che deciderà la terapia da seguire.

Terapia
La malattia di K. va curata, iniziando al sesto giorno di febbre, con acido acetilsalicilico per venti giorni e immunoglobuline per cinque giorni. In linea generale si tratta di una terapia che ha come unico obiettivo quello di controllare l'infiammazione per prevenire conseguenze cardiologiche e ridurre il rischio della formazione di trombi (coaguli) nelle arterie dilatate. Non essendo stata ancora scoperta la causa non esiste dunque una terapia specifica. Generalmente si ricorre a salicilati e ai cortisonici per ridurre l'infiammazione e agli antiaggreganti piastrinici (tipo l'acido acetilsalicilico) per i rischi alle arterie coronarie. Il linea generale, le dilatazioni arteriose si risolvono entro due anni in due casi su tre. Negli altri casi rimane qualche difetto (dilatazione o restringimento) che va poi tenuto sotto controllo.

KAYSER-FLEISCHER, anello di

È un anello periferico a livello della cornea, di colore giallo-brunastro, dovuto a un accumulo di proteinato di rame sulla membrana di Descemet, visibile mediante la lampada a fessura che è un particolare strumento utilizzato in ambito oculistico, e, talora, anche a occhio nudo. È segno diagnostico importante del m. di Wilson.

KEARNS-SAYRE, sindrome di

 

Miopatia mitocondriale appartenente al gruppo delle miopatie oculari e più in particolare al gruppo delle oftalmoplegie esterne progressive, un gruppo di sindromi caratterizzate da deficit simmetrico, lentamente progressivo, dei movimenti oculari funzionalità pupillare risparmiata, senza dolore, possibile presenza di ptosi.

Sintomi
Oftalmoplegia, degenerazione pigmentale retinica, blocco della conduzione atrioventricolare cardiaca, sindrome cerebellare. Altre possibili alterazioni presenti comprendono bassa statura, sordità neurosensoriale, demenza, ridotta capacità respiratoria ed endocrinopatia multipla (diabete mellito, ipotiroidismo, ritardo della comparsa delle caratteristiche sessuali secondarie).

Diagnosi
La diagnosi è basata su una serie di dati di laboratorio: aumento delle proteine liquorali. Elevati livelli sierici di lattato e piruvato. Alla biopsia muscolare fibre rosse raggiate (ragged red fibers) che riflettono la presenza di mitocondri alterati. In associazione alle fibre rosse raggiate e alle alterazioni mitocondriali si è rilevato un deficit della citocromo C ossidasi, del citocromo B e AA3, del complesso citocromo b-NADH-CoQ-reduttasi o dell'ATPasi. Gli studi di genetica molecolare mostrano, nella maggior parte dei pazienti, ampie delezioni del DNA mitocondriale di varia dimensione che compromettono la adeguata formazione di proteine codificate dal DNA mitocondriale, colpiscono il muscolo scheletrico e anche altri tessuti e sono correlate alla variabilità dell'espressione clinica di tale sindrome.

KENDO


Una delle arti marziali giapponesi. Le sue origini risalgono al periodo medioevale (XII secolo) durante il quale i samurai avevano il privilegio di portare due spade e accompagnare il principe nei suoi combattimenti. Nel corso dei secoli, le arti marziali sono diventate discipline estremamente complesse che richiedono un perfetto controllo su se stessi.
La tecnica Il k., unitamente allo iaido e al batto-do, fa parte delle arti giapponesi di maneggiare la spada. Lo iaido e il batto-do insegnano a estrarre la spada dal fodero, uccidere con un solo colpo l'avversario e riporre la spada nel fodero. Il k. insegna a maneggiare la spada quando è fuori dal fodero. Prima di poter praticare il k., l'allievo deve imparare i cerimoniali dell'arte. Come per tutte le discipline orientali, la tecnica è soltanto un mezzo per raggiungere il completo dominio di se stessi. Solo la capacità di concentrazione rende infatti possibile la perfetta esecuzione di movimenti. Il k. è stato definito "meditazione in movimento". Per apprendere la tecnica, è necessaria un'intera vita. La spada è solo un mezzo per raggiungere il controllo e la profonda comprensione di sé.
Quando può essere utile Il k. viene usato oggi per scopi puramente pacifici. È particolarmente adatto per correggere i difetti di portamento, in caso di ansia, instabilità e stress: la capacità di concentrazione, il controllo del respiro e la meditazione sono indispensabili per la pratica del k. Come altre discipline orientali, il k. offre il vantaggio di unire l'esercizio fisico a pratiche di controllo del pensiero e delle emozioni.

KERION

 

Malattia della pelle provocata da funghi microscopici dei generi Tricophyton e, più raramente, Microsporon. Si osserva nei bambini e negli adulti che abbiano contatti frequenti con animali.

Sintomi
Si localizza al cuoio capelluto, alla nuca, alle regioni della barba, alle mani, agli avambracci e si presenta come una chiazza arrossata, molle, dolente, di 5-7 cm di diametro, rilevata, sulla cui sommità sono presenti pustole e croste. L'affezione ha decorso subacuto e tende a guarire spontaneamente in un mese, lasciando una cicatrice. La terapia si basa sull'applicazione locale di pomate antimicotiche.

KERNICTERUS

 

(O encefalopatia da bilirubina), sindrome neonatale associata alla Paralisi Cerebrale (PC). Il termine relativamente non specifico paralisi cerebrale indica generalmente una lesione statica del sistema nervoso centrale che non è la conseguenza di una malformazione nota e che causa problemi cronici nel controllo motorio e/o nella forza muscolare. Generalmente, si ritiene che la PC indichi una lesione che è la conseguenza di un insulto al sistema nervoso che si sta sviluppando più che un problema dello sviluppo in sé. Sebbene l'esatto momento della lesione che causa la PC sia spesso ignoto, le lesioni all'encefalo che si realizzano dopo la prima infanzia di solito non causano le caratteristiche anomalie motorie che si osservano nella PC. Pertanto, se si esclude il 10% dei casi che sono chiaramente di origine postnatale e sono causati da traumi cranici, meningite batterica o altri insulti avvenuti nella prima infanzia, la PC è considerata una lesione congenita o praticamente congenita. Sebbene il limite di età superiore per gli insulti che causano la PC non sia stato chiaramente definito, l'età indicata da alcuni è due anni. Poiché un'ampia gamma di lesioni può causare la PC, le sue manifestazioni cliniche sono numerose. Mentre la lesione di per sé è per definizione statica o non progressiva, insorge in un sistema nervoso centrale che sta subendo modificazioni nel corso dello sviluppo durante un periodo di rapida crescita di conseguenza, le sue manifestazioni, benché non veramente progressive, non sono statiche. Infatti, una delle caratteristiche che distinguono la PC dalle lesioni cerebrali statiche nei bambini più grandi è lo sviluppo nel tempo di deficit motori. Le lesioni del SNC nella PC, se coinvolgono la corteccia, la sostanza bianca sottocorticale, le vie corticospinali, i gangli della base, il cervelletto o il tronco cerebrale, determinano una riduzione delle afferenze (input) dalle aree lese ad altre sedi nel sistema nervoso che controllano i movimenti volontari, come il midollo spinale e i neuroni motori. Il complesso gioco reciproco tra le diverse strutture che controllano il movimento volontario e la crescita e lo sviluppo di queste strutture durante la prima infanzia determina la caratteristica evolutività nel tempo delle manifestazioni cliniche della PC. Nel K. la bilirubina non legata e non coniugata, che è in grado di superare la barriera ematoencefalica, entra nel sistema nervoso e determina un danno neuronale. Le regioni dell'encefalo più colpite sono i gangli della base, l'ippocampo, la sostanza nera, i nuclei dei nervi cranici e gli altri nuclei del tronco encefalico, i nuclei cerebellari e le cellule delle corna anteriori del midollo spinale. In modo molto selettivo sono coinvolti il pallido e i nuclei subtalamici. La colorazione della bilirubina nelle regioni neuronali specifiche e la necrosi neuronale sono le due caratteristiche neuropatologiche tipiche del k. Le sedi del danno neuronale corrispondono alla distribuzione della colorazione della bilirubina. Nei neonati prematuri, il livello di iperbilirubinemia necessario per causare il danno neuronale non è elevato come nei neonati a termine, soprattutto se vi sono fattori complicanti associati, come l'acidosi, l'asfissia, l'ipotermia e/o la sepsi. In realtà, esistono indicazioni che la presenza di infezioni sistemiche riduce la soglia per il k. anche nei neonati a termine. I neuroni corticali non sono colpiti in modo evidente nel k. Riflettendo la distribuzione delle alterazioni, le caratteristiche cliniche comprendono anomalie extrapiramidali, soprattutto atetosi, paralisi dello sguardo e disturbi uditivi, ma, pur potendo essere presenti deficit intellettivi, i bambini normalmente non hanno una grave compromissione delle funzioni intellettive. Il k. è diventato molto meno comune con la prevenzione più efficace e il migliore trattamento dell'iperbilirubinemia nel periodo neonatale.

KERNIG, segno di

 

(Prende il nome da Vladimir Michajloviè Kemig, medico russo, 1840-1917), ricercato in posizione seduta e sdraiata. Quando il paziente è seduto è impossibile mantenere le gambe estese perché ciò provoca intenso dolore quando il paziente è nella posizione sdraiata, se si cerca di flettere tutto l'arto sul bacino, sempre per intenso dolore, la gamba tende a flettersi sulla coscia. Il segno di K. si riscontra negli stati di sofferenza meningea: se c'è irritazione meningea, c'è scatenamento del dolore.

KETANSERINA

 

Farmaco ipotensivo e antitrombotico che agisce antagonizzando i recettori della serotonina posti sulle cellule lisce dei vasi sanguigni e sulle piastrine. Poiché la serotonina, fissandosi ai suoi recettori, produce vasocostrizione e aggregazione piastrinica, si comprende perché il blocco di questi recettori ne impedisca l'azione. L'azione anti-ipertensiva del farmaco è stata la più studiata e si è rilevato che la k. abbassa la pressione progressivamente, rivelandosi quindi adatta nelle forme lievi e medie di ipertensione, specie nei soggetti anziani.

KETOPROFENE

 

Farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS) che agisce inibendo la sintesi delle prostaglandine. Si usa per alleviare il dolore e la rigidità delle articolazioni dovuti ad artrosi, artrite reumatoide ecc. Come tutti i FANS è controindicato nei pazienti affetti da ulcera gastroduodenale, gastrite ecc.

KINESITERAPIA


vedi FISIOCHINESITERAPIA

KIRSCHNER, metodo di

 

Trazione transcheletrica, che consiste nella infissione di un filo metallico in corrispondenza dell'estremità dell'osso fratturato per esercitare una trazione lungo l'asse maggiore dell'osso, nel trattamento delle fratture. Spetta appunto a K. il merito di avere messo a punto una tecnica precisa per tale scopo ideando sia il filo di metallo con diametri vari sia l'attrezzatura necessaria alla sua introduzione nell'osso. Tale attrezzatura consiste in un trapano per l'introduzione del filo, filo guida, una staffa di trazione, una corda di trazione, dei pesi e tutto un sistema di aste e carrucole per assicurare le sospensioni dell'arto. Il metodo di K. si prefigge lo scopo, trazionando l'osso lungo il suo asse maggiore, di vincere gli spostamenti tipici delle fratture e favorirne quindi le riduzioni per la guarigione. Oggi la tecnica è usata soprattutto per riallineare i monconi ossei in attesa dell'intervento chirurgico di osteosintesi.

KITTEN TEST

 

Accertamento dell'intossicazione alimentare da stafilococco utilizzando la dimostrazione diretta di germi produttori di enterotossina negli alimenti per mezzo della prova biologica praticata nel gattino (ingl. kitten). Dai cibi sospetti si isola lo stafilococco e lo si coltiva per tre giorni. Raccolti i germi vengono distrutte al calore le tossine termolabili, ma non l'enterotossina, termostabile. Si iniettano pochi ml di filtrato per via endoperitoneale in gattini (del peso di ca. 500 g) poco dopo il pasto abituale. Se si osserva vomito e diarrea negli animali si può concludere a favore dell'intossicazione da enterotossina stafilococcica.

KLEBSIELLA

 

(Prende il nome da Edwin Klebs, medico tedesco-Königsberg, od. Kaliningrad, 1834 - Berna, 1913), genere di batteri appartenente alla famiglia delle Enterobatteriacee. Sono germi di aspetto bastoncellare, capsulati, Gram-negativi producono un materiale mucoide che dà alle colonie un aspetto gelatinoso.

KLEBSIELLA OZAENAE

 

Isolata dal muco nasale di soggetti affetti da ozena è una rinite cronica atrofica. Questa condizione morbosa può condurre alla distruzione della mucosa ed è caratterizzata da una secrezione nasale cronica, di tipo purulento, e spesso maleodorante.

KLEBSIELLA PNEUMONIAE

 

(O bacillo di Friedlaender), asporigeno, aerobio, immobile, provoca infezioni cutanee, respiratorie, urinarie, gastrointestinali, delle vie biliari, del peritoneo, nonché artriti e, nei casi più gravi, meningiti a liquor torbido, ascessi cerebrali, sepsi con possibili localizzazioni cardiovascolari e shock endotossico, talora mortale. Caratteristica è una forma di polmonite lobare che colpisce di preferenza alcolisti affetti da diabete mellito o BPCO: il quadro evolve frequentemente ad ascessi ed empiemi.

KLEBSIELLA RHINOSCLEROMATIS

 

(O bacillo di Frisch), agente del rinoscleroma una rara infezione granulomatosa cronica che interessa il tragitto nasale ed i seni e può anche estendersi al faringe ed alla laringe. La malattia è progressiva e si manifesta con sviluppo di tipo simil tumorale con estensione locale. Sebbene sia frequente nell'Europa Orientale, nell'Africa Centrale, in America Latina e nel Sud Est asiatico, il rinoscleroma sembra essere scarsamente diffusibile.

KLINEFELTER, sindrome di

 

Descritta dal medico statunitense H. Klinefelter assieme a E. C. Reifenstein e F. Albright nel 1942 è una condizione patologica propria del soggetto maschio, legata ad una anomalia nel corredo di cromosomi con presenza di un cromosoma X in più. Il corredo cromosomico quindi, anziché essere di tipo 46XY come nel soggetto normale, risulta essere 47XXY. In casi più rari esso può risultare XXXY, oppure XXXXY, o un mosaico con varie combinazioni. La sindrome di K. è la forma più comune fra le anomalie della differenziazione sessuale, con una prevalenza di 1 nuovo caso ogni 500 neonati maschi (circa). La forma classica è dovuta alla mancata disgiunzione meiotica dei cromosomi durante la gametogenesi. Circa il 60 % è di origine materna (avviene durante l'ovogenesi) mentre il 40 % di questi errori è di origine paterna (avviene durante la spermatogenesi). Uno dei principali fattori predisponenti è rappresentato pertanto dall'età avanzata della madre o del padre al momento del concepimento. La sindrome di K. comporta gravi alterazioni nella struttura del testicolo, tali da determinare la sterilità dei pazienti. Il quadro ormonale si caratterizza di un'elevata quantità di ormoni ipofisari stimolanti gli ormoni sessuali (cioè FSH e LH) e bassi livelli di testosterone come conseguenza delle alterazioni testicolari. Questi individui presentano inoltre un aspetto eunucoide del corpo, aumento di volume delle mammelle, scarso sviluppo degli organi genitali ed in particolare dei testicoli che risultano piccoli e duri, l'esame del liquido seminale rivela assenza completa di spermatozoi, statura elevata spesso si ha anche scarsa maturazione intellettiva, disadattamento sociale, alterazioni funzionali tiroidee, diabete mellito o malattie dell'apparato respiratorio.

Diagnosi
Può essere definita solo dall'analisi citogenetica e cioè attraverso lo studio dei cromosomi. Prima della nascita la diagnosi si può effettuare attraverso: la villocentesi (nel I trimestre di gravidanza, su colture di cellule derivate dai villi coriali) l'amniocentesi (nel II trimestre, su colture di cellule provenienti dal liquido amniotico). Dopo la nascita la diagnosi si effettua su coltura di linfociti del sangue periferico.

Terapia
Nei pazienti con scarsa virilizzazione viene utilizzata la somministrazione di androgeni (ormoni di tipo maschile) tuttavia questa terapia, in alcuni casi, può paradossalmente aggravare la ginecomastia probabilmente a causa dell'aumento del substrato androgenico per la sintesi periferica di estrogeni. Durante la terapia con il testosterone i livelli plasmatici di LH ritornano alla normalità anche se solo dopo molti mesi di trattamento. Talvolta però, nonostante tutti gli sforzi terapeutici, gli ormoni ipotalamici non tornano affatto alla normalità. L'intervento chirurgico è il trattamento principale per eliminare la ginecomastia mentre purtroppo non esistono metodi efficaci per correggere la sterilità.

KLIPPEL-FEIL, sindrome di

 

(Prende il nome da Maurice Klippel, neurologo francese - Mulhouse, 1858 - Parigi, 1942), malformazione congenita caratterizzata dall'arresto nello sviluppo di una o due vertebre cervicali, che comporta un aspetto caratteristico del paziente, il quale sembra privo del collo, con il capo attaccato direttamente al torace.

KOCH, bacillo di

 

Nome con il quale è stato chiamato per lungo tempo il micobatterio tubercolare (mycobacterium tuberculosis), batterio che appartiene al genere Mycobacterium (agente della tubercolosi), in onore dello scopritore Robert Koch, che nel 1882 riesce ad individuarlo e a coltivarlo. Il bacillo di K. è un batterio intracellulare facoltativo. Ha come serbatoio e sorgente principale l'uomo: è trasmesso dal soggetto malato, che presenta cioè una forma attiva di tubercolosi. Essendo un microrganismo intracellulare, l'organismo umano si difende tramite l'immunità cellulo-mediata: macrofagi e linfociti T. Una volta penetrato nell'organismo il micobatterio è fagocitato dai macrofagi, i quali lo inglobano, senza però eliminarlo completamente. La capacità di provocare la malattia sta appunto nel fatto che i batteri possono rimanere a lungo quiescenti nel citoplasma dei macrofagi: una alterazione nell'equilibrio dell'immunità cellulare predispone l'organismo allo sviluppo della malattia per la riattivazione dell'infezione latente, che si può verificare anche dopo un lungo periodo di tempo (mesi, o anche anni dopo l'infezione iniziale). Le modalità di trasmissione della malattia sono legate all'emissione da parte del soggetto malato di goccioline di saliva (con la tosse, parlando, starnutendo) che contengono una certa concentrazione di microrganismi: i nuclei delle particelle possono rimanere sospesi nell'aria e venire poi inalati le particelle più piccole, dell'ordine di grandezza di 1 µm, con maggiore facilità sono trattenute negli alveoli polmonari, dove possono dare luogo all'infezione. Anche l'ingestione di latte infetto non pastorizzato può rappresentare la via d'ingresso per il microrganismo in questo modo l'infezione si sviluppa a livello del tratto gastrointestinale. La presenza dell'immunità cellulare (che permane in genere per tutta la vita) può essere evidenziata attraverso la reattività cutanea verso l'antigene introdotto per via intradermica (reazione alla PPD). Il PPD (Protein Purified Derivative) consiste in un estratto purificato di bacilli tubercolari, dosato secondo una preparazione standard, il quale viene inoculato per via intradermica nell'avambraccio del soggetto da testare. Se vi è stata una pregressa infezione, nella sede dell'inoculo si forma entro 72 ore (momento al quale viene effettuata la lettura) una papula, che viene considerata indicativa se il suo spessore è uguale o superiore a 10 mm. Se si dimostra che un soggetto, in precedenza negativo, si è positivizzato, questo è l'espressione di un avvenuto contatto con il microrganismo. Tale riscontro riveste importanza anche in un soggetto vaccinato con il BCG (bacillo di Calmette-Guérin) per dimostrare l'attecchimento del vaccino. Il micobatterio tubercolare è un microrganismo particolarmente resistente. Per quanto riguarda quindi la disinfezione, è necessaria sia una disinfezione di tipo continuo al letto del malato, sugli oggetti di uso personale quali fazzoletti, stoviglie ecc. , sia una disinfezione nella stanza occupata, che va effettuata con vapori di formaldeide e altre energiche soluzioni disinfettanti. Sempre per questi pazienti si rende necessario l'isolamento, per evitare la circolazione di batteri nell'aria, fino a che l'esame dell'espettorato non risulti negativo. La denuncia della malattia è obbligatoria per i casi in forma contagiosa. La chemioprofilassi può essere effettuata sia su soggetti tubercolino-negativi (persone non infette esposte al rischio di tubercolosi) sia su cuti-positivi (bambini o soggetti giovani che abbiano sieroconvertito recentemente o che vivano a contatto con una fonte di infezione diabetici soggetti sottoposti a trattamenti immunosoppressivi). Il trattamento di scelta è rappresentato dall'isoniazide. Attualmente si consiglia di utilizzare l'isoniazide per un periodo di 6-12 mesi. La vaccinazione di un tubercolino-negativo, cioè di un soggetto non infetto, può indurre un grado di protezione in una percentuale superiore al 90% dei vaccinati. Alcuni studi hanno dimostrato che la protezione può persistere fino a 20 anni dopo l'inoculo, dimostrabile dalla positività alla reazione alla PPD. Essendo il rischio di contrarre la malattia modesto, nel nostro come in altri Paesi occidentali, la vaccinazione non rientra fra quelle obbligatorie estensive. Viene effettuata su gruppi a rischio (compreso il personale di assistenza in aree a rischio). La vaccinazione di bambini e giovani adulti a stretto contatto con ammalati di tubercolosi può rappresentare una valida misura di controllo della malattia.
Il vaccino in uso è il BCG composto da bacilli tubercolari (M. bovis) viventi, attenuati fino al punto da non poter più provocare la malattia, ma solo una risposta immunitaria. La protezione offerta è variabile. In genere, si adopera il vaccino liofilizzato, che si conserva per 12 mesi se tenuto al riparo dalla luce. Questo, una volta ricostituito, viene inoculato nel braccio per via intradermica in un'unica dose. Nella sede di inoculo compare dopo circa due settimane una papula eritematosa che scompare entro due mesi. Nei Paesi dove la tubercolosi è endemica il vaccino viene somministrato già in epoca neonatale.

KOJEWNIKOW, sindrome di

 

(o epilessia parziale continua), è una sindrome relativamente rara, caratterizzata dalla comparsa di crisi parziali motorie di tipo jacksoniano e, successivamente, di mioclonie localizzate per lo più all'arto superiore in bambini di età compresa tra 1 e 10 anni. Alcuni autori ne distinguono due sottotipi a differente prognosi, a seconda del quadro elettroclinico associato: nel primo gruppo, bambini con una lesione di tipo non evolutivo in sede rolandica, deficit neurologico stabile e segni EEG focali presentano una sindrome non evolutiva che, pur resistente ai comuni farmaci antiepilettici, può beneficiare di un trattamento neurochirurgico il secondo gruppo è costituito da bambini senza precedenti neurologici, in cui la sindrome si presenta senza un'eziologia nota, l'EEG mostra alterazioni del ritmo di fondo e anomalie parossistiche focali e diffuse l'evoluzione è progressiva con comparsa di deficit neurologici, differenti tipi di crisi e deterioramento mentale. I pazienti di questo secondo gruppo, un tempo descritto come sindrome di Kojewnikow tipo II di J. Bancaud, rientrano nella s. di Rasmussen, un'encefalite cronica a decorso progressivo.

KOROTKOFF, suoni di

 

Rumori che si percepiscono con il fonendoscopio appoggiato sull'arteria compiendo una leggera compressione della parete. Se ne distinguono cinque, che compaiono in sequenza progressiva nella fase di rilasciamento del bracciale dello sfigmomanometro durante la misurazione della pressione arteriosa.La comparsa del primo tono corrisponde al valore della pressione arteriosa sistolica, la scomparsa dei toni corrisponde al valore della diastolica.

KORSAKOV, sindrome di

 

(Prende il nome da Sergej Sergeeviè Korsakov, medico russo - Vladimir, 1854 - Mosca, 1900), psicosi da alcolismo o in altri casi di carenza alimentare (ad esempio nella anoressia nervosa), caratterizzata da disturbi della fissazione dei ricordi, amnesia retrograda, confabulazione di significato compensatorio, associati a polineuropatia. È la conseguenza di una prolungata carenza vitaminica (complesso B) che comporta degenerazione neuronale ed assonale.

KRAUSE, corpuscoli di

 

(Prendono il nome da Wilhelm Krause, anatomista tedesco - Hannover, 1833 - Charlottenburg, 1910), o bulbi terminali, terminazioni nervose contenute nel derma. Sono costituite da filamenti nervosi liberi avvolti da una sottile capsula di tessuto connettivo che conferisce loro la forma di un piccolo bulbo. Sono recettori della sensibilità cutanea, probabilmente sensibili agli stimoli termici, e si trovano nella congiuntiva bulbare, nella mucosa della cavità buccale e nella cute.

KREBS, ciclo di

 

Prende il nome dallo scienziato anglo-tedesco Sir Hans Adolf Krebs (1900-1981) che propose nel 1937 gli elementi chiave della via metabolica. Per questo scoperta ricevette nel 1953 il Premio Nobel per la medicina. Il ciclo di Krebs (anche detto ciclo degli acidi tricarbossilici) è una serie di reazioni chimiche cicliche di importanza fondamentale in tutte le cellule che utilizzano ossigeno nel processo della respirazione cellulare. In questi organismi aerobici il ciclo di Krebs è l'anello di congiunzione delle vie metaboliche responsabili per la degradazione (catabolismo) dei carboidrati, grassi e delle proteine in anidride carbonica e acqua con la formazione di energia chimica. Queste reazioni avvengono nei mitocondri in cellule eucariote e nel citoplasma nelle cellule procariote. Il catabolismo delle molecole "combustibili" di glucosio e di acidi grassi, tramite la glicolisi e la beta ossidazione, produce Acetil-CoA, un gruppo acetile legato al coenzima A. Il citrato è sia il primo che l'ultimo prodotto del ciclo ed è rigenerato attraverso la condensazione dell'acido ossalacetico con acetil-CoA. L'acetil-CoA è il primo prodotto del ciclo, ma non meno importanti sono i cofattori ossidati NAD+ e FAD. Il catabolismo dei carboidrati (la degradazione degli zuccheri) fa parte del ciclo di Krebs. La glicolisi demolisce il glucosio (una molecola con sei atomi di carbonio) in acido piruvico (una molecola a tre atomi di carbonio). Il piruvato entra dai mitocondri nel citoplasma (dove si effettua la glicolisi) qui viene convertito in acetil-CoA perdendo un atomo di carbonio come CO2 ed entra nel Ciclo di Krebs. Le proteine sono degradate da enzimi negli aminoacidi costituenti. Alcuni aminoacidi possono costituire una fonte di energia se vengono incanalati nel Ciclo di Krebs dopo opportune modificazioniI trigliceridi sono idrolizzati per formare acidi grassi e glicerolo che nel fegato può entrare nella glicolisi o essere trasformato in glucosio seguendo la via metabolica della gluconeogenesi. In molti tessuti, specialmente il cuore, gli acidi grassi sono degradati attraverso un processo noto come beta-ossidazione, che produce acetil-CoA che a sua volta può essere usato nel Ciclo di Krebs.

KRUKENBERG, tumore di

 

(Prende il nome da Georg Heinrich Peter Krukenberg, ginecologo tedesco - Calbe, Sassonia, 1855 - Bonn, 1899) metastasi a entrambe le ovaie di tumori primitivi dello stomaco, dell'intestino crasso, o più raramente di origine mammaria, biliare o pancreatica.

Sintomi
I sintomi, in genere banali, comprendono disturbi del ciclo mestruale come la metrorragia (emorragia uterina) con presenza di dolori pelvici. Sono possibili anche l'ascite (presenza di liquido patologico nella cavità peritoneale) e la pleuresia (presenza di liquido patologico nella pleure, tessuto che riveste i polmoni).

Diagnosi
La diagnosi viene effettuata mediante celioscopia o laparoscopia. Le ovaie si presentano entrambe di volume aumentato, di aspetto solido, colore biancastro e dure al taglio. Microscopicamente la struttura ovarica è completamente sovvertita e dominata da un infiltrato costituito da cellule dalla caratteristica morfologia ad "anello con castone". In presenza di tale quadro clinico ed istologico devono essere messi in atto tutti gli accertamenti necessari per determinare la sede di origine del tumore (gastroscopia, colonscopia, TAC, RMN, ecc. ). Talvolta le metastasi pelviche, addominali, a livello del fegato o della pleure sono rivelatrici.

Terapia
Il trattamento è chirurgico, con rimozione (ablazione) dell'ovaio. Alla chirurgia possono venire associati la radioterapia e la chemioterapia. I dosaggi sierici dell'antigene CA125 e CA 72-4 consentono di sorvegliare gli effetti del trattamento.

KUMMELL-VERNEUIL, malattia di

 

(Prende il nome da Hermann Kummell, chirurgo tedesco - Corbach, Assia, 1852 - Amburgo, 1937), deformazione della colonna vertebrale con conseguenti dolori violenti, disturbi midollari e deformità può essere la conseguenza di traumi con frattura dei corpi vertebrali non immediatamente riconosciuta e trattata.

KURU

 

Malattia appartenente al gruppo delle encefalopatie spongiformi subacute causate da prioni, comprendente, oltre a questa, la m. di Creutzfeldt-Jacob negli uomini e lo scrapie nelle pecore. Individuata nel decennio 1950-60 presso i Fore, una popolazione che vive sugli altipiani orientali della Nuova Guinea. Il termine, nella lingua locale, significa tremore associato a senso di freddo e di paura. La malattia inizia in modo insidioso con progressiva incapacità a coordinare i movimenti nell'ambito di atassia cerebellare, tremori, paralisi piramidale, rigidità, disturbi oculari, incontinenza sfinterica e disturbi psichici. Non dà febbre e conduce all'exitus. Il tremore interessa il capo, il tronco, le estremità, e nell'arco di pochi mesi rende il paziente totalmente incapace di camminare, di nutrirsi, di esprimersi, tanto che nel giro di un anno circa sopravviene la morte per cachessia, o per infezioni intercorrenti, senza che si sia potuto ottenere miglioramento da alcuna terapia. Il kuru è stato trasmesso sperimentalmente allo scimpanzè (Gajdusek 1966) dopo una latenza di 18-36 mesi. Il k. colpisce prevalentemente le donne ed i bambini. La trasmissione dell'agente patogeno, che con ogni probabilità richiede anche una particolare predisposizione genetica, era legata alla pratica del cannibalismo, per cui cervello ed altri visceri venivano mangiati o comunque maneggiati nelle tribù della Nuova Guinea. Infatti, il tessuto infetto veniva ingerito e sfregato sul corpo del parente della vittima (donne e bambini piccoli), consentendo così l'assorbimento dell'agente infettivo attraverso la congiuntiva, le membrane mucose e le abrasioni cutanee. Con l'abolizione del cannibalismo la malattia è virtualmente scomparsa.

KWASHIORKOR

 

Termine che nel Gana significa "malattia del bambino staccato dal seno": infatti indica una grave affezione diffusa soprattutto nei paesi tropicali, che colpisce i bambini di 1-3 anni, dopo lo svezzamento, e che dipende da un insufficiente apporto di proteine con la dieta. Nelle popolazioni africane a bassissimo tenore di vita l'alimentazione è quasi esclusivamente a base di vegetali, farina di cereali e olio di arachidi, priva quindi di proteine animali e povera di vitamine B e di vitamina A (delle quali il latte è invece ricco). Il k. innesta una serie di processi degenerativi a carico del fegato e del pancreas con alterazione dei processi digestivi e peggioramento dello stato di nutrizione già compromesso dalla dieta incongrua. Questi bambini accusano quindi inappetenza, vomito, diarrea. L'addome diventa gonfio, si ha edema generalizzato, il fegato è notevolmente ingrossato. La pelle del volto e del torace perde la sua pigmentazione, mentre quella delle cosce presenta chiazze iperpigmentate. Frequenti le lesioni corneali e le neuriti da mancanza di vitamine sono inoltre presenti apatia, debolezza e ipotonia della muscolatura scheletrica, ritardo nello sviluppo staturale e ponderale. La mortalità è, nei casi non curati, del 70%. La terapia richiede inizialmente la somministrazione di piccole ma frequenti dosi di latte, e successivamente una dieta ad alto contenuto calorico, ricca di proteine animali e di vitamine.

Q
Q.I.

vedi QUOZIENTE DI INTELLIGENZA

Q.R.

vedi QUOZIENTE RESPIRATORIO

Q-T LUNGO, sindrome del

Sindrome caratterizzata da episodi sincopali indotti da stress fisico ed emotivo che spesso degenerano nell’arresto cardiaco e nella morte improvvisa. La sindrome si manifesta generalmente in soggetti giovani (per lo più bambini e adolescenti) apparentemente sani. La sindrome prende nome da un caratteristico reperto elettrocardiografico: l’allungamento dell’intervallo Q-T (superiore a 450 msec. nei maschi e superiore a 460 msec. nelle femmine). Altre caratteristiche cliniche sono sordità congenita nella variante di Jervell e Lange-Nielsen, frequenza cardiaca inferiore alla norma nei bambini, familiarità, in alcuni casi alternanza dell’onda T. I sintomi spesso possono apparire simili a convulsioni epilettiche e/o essere scambiati per reazioni isteriche. Esistono varianti a trasmissione dominante e recessiva (Jervell e Lange-Nielsen). L’alterazione riguarda i geni che controllano i canali sodio-potassio. La terapia si basa sulla somministrazione di beta bloccanti o mediante denervazione simpatica (asportazione del ganglio stellato di sinistra) che ha ridotto notevolmente gli eventi cardiaci (sincope, arresti).

QUADRIPLEGIA

vedi TETRAPLEGIA

QUARANTENA

Misura igienica che consiste nell’isolamento per 40 giorni di persone o gruppi di persone che abbiano avuto contatto con malati di forme infettive gravi. Fino a qualche tempo fa la pratica consisteva nel completo isolamento in casa o in ospedale per i convalescenti, nell’internamento a bordo di navi o in apposite stazioni per i viaggiatori. Oggi le migliori conoscenze su modalità d’insorgenza, periodo di incubazione e profilassi delle malattie infettive hanno modificato le forme di intervento sanitario, tanto che la q. è caduta in disuso, sostituita da altre misure.

QUERVAIN, malattia di

(Prende il nome da Fritz de Quervain, chirurgo svizzero - 1868-1940), forma di tenosinovite cronica che comporta un restringimento progressivo delle guaine dei tendini dei muscoli abduttore lungo ed estensore breve del pollice che si verifica nel punto in cui questi tendini passano sopra una sporgenza ossea che è la stiloide del radio. L’affezione, relativamente frequente, si osserva quasi esclusivamente nella donna dopo i 40 anni.La causa determinante è sempre da ricercarsi in microtraumatismi ripetuti, legati soprattutto all’attività professionale (è frequente in dattilografe, pianisti, stiratrici).I sintomi, che di solito si instaurano progressivamente, sono caratterizzati da un dolore sulla faccia esterna del polso, a livello della stiloide radiale, che viene acuito da tutti i movimenti del pollice. A volte si può associare una tumefazione fusiforme, lungo il decorso dei tendini. Può condurre a una seria limitazione funzionale della mano, specie in certe attività. L’evoluzione è cronica il disturbo può persistere per mesi e anni.La terapia si giova di trattamenti fisioterapici, infiltrazioni di cortisonici, eventualmente dell’apertura delle guaine tendinee.

QUERVAIN, tiroidite di

Rara forma di infiammazione della tiroide che si manifesta con tumefazione e dolore della ghiandola, febbre, e decorso subacuto della durata di 2-3 mesi.L’affezione, le cui cause sono sconosciute, determina la comparsa di alterazioni patologiche caratteristiche nella ghiandola, con infiltrazione infiammatoria cronica granulomatosa, rottura dei follicoli tiroidei, e stravasi di colloide nell’interstizio.La terapia si basa essenzialmente su trattamenti antinfiammatori.

QUINCKE, edema di

(Prende il nome da Heinrich Irenaeus Quincke, medico tedesco - Francoforte sull’Oder 1842 - Francoforte sul Meno 1922) o edema angioneurotico o orticaria gigante, condizione caratterizzata dalla rapida comparsa di tumefazioni estese alla faccia, alle mani, ai piedi, agli organi genitali, o anche alle mucose (particolarmente quella orofaringea, con possibili crisi di soffocamento) tali tumefazioni, indolenti e non accompagnate da prurito, persistono per 2-3 giorni e poi scompaiono, potendo ricomparire nella stessa sede o in sedi diverse.

Cause
L’edema di Q. è dovuto a un’alterazione nella permeabilità dei vasi sanguigni. Le cause sono sovrapponibili a quelle dell’orticaria (allergie, infezioni, ecc.), ma le regioni colpite sono più estese.

Terapia
La terapia si fonda sull’impiego di cortisonici, adrenalina e l’intubazione orotracheale nei casi di soffocamento.

QUINTA MALATTIA

vedi MEGALOERITEMA EPIDEMICO

QUOZIENTE DI INTELLIGENZA

(O Q.I.), rapporto tra età mentale ed età cronologica moltiplicato per cento. L’età mentale si stabilisce sottoponendo il soggetto a test (o scale) formati di una serie di prove (reattivi) caratteristiche per ogni età: se, per esempio, un bambino di sette anni riesce a superare le prove previste per la sua età, l’età mentale è uguale a sette (e coincide con quella cronologica), se è solo in grado di superare quelle per i sei anni la sua età mentale è uguale a sei. In linea di massima un soggetto nella norma, per definizione, ha un Q.I. pari a cento. I valori al di sotto di cento indicano un deficit intellettivo, più o meno grave.I primi psicologi a utilizzare in funzione di applicazioni pratiche i test mentali furono Binet e Simon, in Francia, con intenti educativi e clinici, e Wechsler, negli Stati Uniti, che validò i suoi test di intelligenza sulla popolazione militare americana. I test di “livello” si riferiscono a un concetto di intelligenza che ha subito variazioni nel tempo la prima Scala Metrica di Intelligenza di Binet e Simon, commissionata dal Ministero dell’Istruzione francese per studiare il problema del recupero dei bambini con ritardo mentale, si fonda su una teoria “pluralista” dell’intelligenza, che risulterebbe essere uno strumento di adattamento al mondo attraverso l’utilizzo di strumenti quali la comprensione (di vocaboli, ma anche di situazioni di vita), l’invenzione (analisi dei dati e ricerca della soluzione), la direzione (capacità di procedere, senza deviazioni, verso la soluzione dei problemi) e la critica (capacità di verificare il processo di soluzione dei problemi). La scala costruita da Binet e Simon si componeva di una serie di problemi da risolvere, attinenti alla vita quotidiana.Un concetto già presente in Binet, ripreso successivamente da Terman, è quello di “abilità mentale”, qualità mentale innata che aumenta con l’età, distinta da “ingegno”, qualità costante che determina il tasso di sviluppo della capacità mentale di un individuo ed il grado di abilità mentale che esso raggiungerà.Tale distinzione, al fine della costruzione dei test, si rivela metodologicamente fondamentale, in quanto l’abilità mentale (in seguito detta età mentale) viene misurata dal punteggio che l’individuo riceve nelle prove, mentre una misura dell’ingegno (valutato, in seguito, come Quoziente Intellettivo) viene ottenuta confrontando il punteggio di un soggetto alle prove del test con quello degli altri della stessa età. La scala di Binet-Simon ebbe un’enorme diffusione, anche perché ne fu esteso l’uso anche agli adulti.Tale estensione venne, tuttavia, criticata da D. Wechsler, principalmente sulla base del fatto che l’intelligenza di un adulto non si può valutare in termini di età mentale. Wechsler, inoltre, si basò sulle teorie multifattoriali dell’intelligenza per la costruzione di tutte le sue scale, articolate, infatti, in prove verbali e prove di performance.I subtest verbali valutano la cultura generale, l’orientamento in situazioni di vita quotidiana, la memoria a breve termine, il ragionamento aritmetico, le analogie tra due oggetti e il vocabolario posseduto. Le prove pratiche consistono nell’associazione di simboli grafici a numeri, nel riordinare vignette che costituiscono una breve storia, nella prova di completamento di figure disegnate senza un particolare, in una prova di riproduzione di disegni con cubi colorati e nella ricostruzione di figure di cartoncino.I risultati delle scale Wechsler, oltre a dare un’indicazione sul livello globale di efficienza mentale (QI totale), offrono indicazioni più articolate, per quanto da utilizzarsi con cautela, quali, ad esempio, il calcolo del livello di deterioramento mentale, dato dal rapporto fra i subtest che non variano con l’età, rispetto a quelli sensibili al deterioramento nel tempo.Le stesse teorie che hanno originato le scale individuali di intelligenza sono anche alla base dei test collettivi di livello. Le differenze fra strumenti somministrati a singoli e a gruppi sono soprattutto in funzione della maggior autonomia che la somministrazione collettiva presuppone.I test collettivi presentano, in genere, le seguenti caratteristiche: le risposte sono sempre a scelta multipla i test sono autosomministrabili all’interno della prova i quesiti sono disposti secondo un ordine “a spirale”, cioè viene presentato successivamente un quesito per ogni tipo di contenuto o di problema, per poi ricominciare da capo quando la tipologia è esaurita.I più diffusi test di livello reperibili in Italia sono il test Mosaico di Gille, utilizzato a livello di scuola elementare, il test di Otis e il test Eta Beta. Ampia diffusione hanno anche i test carta e matita, quali il test della figura umana della Goodenough o il test della Fay, nei quali viene richiesto di disegnare, appunto, una figura umana.Tali test si basano sul principio che, nell’esecuzione del disegno, siano implicati processi di analisi e astrazione, abilità visuo-spaziali e di coordinamento.

QUOZIENTE RESPIRATORIO

(O Q.R.), rapporto tra volume di anidride carbonica prodotta dall’ossidazione degli alimenti nel corso dei vari processi metabolici e volume di ossigeno consumato a tale scopo nell’unità di tempo. Le sostanze energetiche degli alimenti bruciano nell’organismo consumando ossigeno e liberando energia chimica sotto forma di calore che è misurabile con vari metodi. L’ossigeno che viene consumato e le calorie prodotte variano secondo la sostanza che brucia. Si può calcolare l’energia che si produce quando 1 litro di ossigeno viene utilizzato per bruciare glucidi, grassi o proteine. Si ha così che per ogni litro di ossigeno utilizzato per bruciare grassi si producono 4,7 kcal nel caso che brucino glucidi o proteine si hanno rispettivamente 5,05 e 4,5 kcal.

R - RH
RABDOMIOLISI

Rara condizione in cui un grave danno muscolare causa il rilascio nel sangue di un pigmento nefrotossico, la mioglobina, che, accumulandosi, può essere causa di insufficienza renale. Se il danno renale non viene individuato e non si interviene con gli opportuni trattamenti, si può arrivare fino alla morte. I dolori muscolari, che sono tra i primi sintomi di r., possono esseri dovuti a cause diverse.Può essere legata al consumo di particolari farmaci o a traumi con schiacciamento muscolare.

RACHICENTESI

vedi LOMBARE, PUNTURA

RACHIDE

vedi COLONNA VERTEBRALE

RADICOTOMIA

(O rizotomia), intervento chirurgico che consiste nella sezione di una o più radici dei nervi spinali  con la r. vengono interrotte fibre nervose sensitive, sopprimendo così la percezione delle sensazioni tattili, termiche e dolorifiche del territorio che fa capo alla radice nervosa sezionata  essa viene attuata in caso di sindromi dolorose intense e non trattabili con mezzi farmacologici (per es. nella nevralgia del trigemino o in caso di infiltrazioni neoplastiche di nervi) e più recentemente trova applicazione nel trattamento della spasticità degli arti.Si effettua tramite la sezione chirurgica delle radici dei nervi spinali eseguita nel punto in cui emergono dai forami vertebrali.Si distingue una rizotomia anteriore, se sono interessate le radici dei nervi spinali motori, e una rizotomia posteriore se sono interessate le radici dei nervi spinali sensoriali.

RADICOTOMIA PERCUTANEA MEDIANTE RADIOFREQUENZA

Chiamata a volte Coagulazione di Sweet, può essere utilizzata nella nevralgia del trigemino, nei casi resistenti alla terapia farmacologia. La tecnica consiste nell’inserire, attraverso la puntura percutanea del forame ovale, un elettrodo a radiofrequenza nel cavo di Mekel e provocando una rizotomia selettiva. Come effetti collaterali sono segnalati un lieve intorpidimento al viso (frequente), fastidiose disestesie (fino al 9%) e l’anestesia dolorosa (0.2-4%), cheratite neuroparalitica (4%).La tecnica alternativa che utilizza il Glicerolo, ha minor percentuale di perdita di sensibilità e di anestesia dolorosa. Queste metodiche hanno un successo iniziale nel 90% dei casi, ma il tasso di recidiva è alto, poiché tra i 5 ed i 10 anni post-intervento la sintomatologia dolorosa si ripresenta nel 20-80% dei casi, ma sono ripetibili. A causa di queste caratteristiche, tali metodiche vengono ritenute indicate nei soggetti anziani.

RADICOTOMIA SELETTIVA POSTERIORE

Metodica neurochirurgica utilizzata per ridurre la spasticità. Si realizza con la sezione di una porzione di radici nervose sensitive, di solito nel tratto L1-S2. Per esporre le radici si effettua la laminotomia.Tale procedura è selettiva in quanto seleziona le fibre danneggiate, da sezionare, grazie ad un monitoraggio elettromiografico. I risultati sono apprezzabili in termini di riduzione dell’ipertono muscolare, miglioramento della funzione globale, della postura miglioramento della motricità, riduzione della sintomatologia dolorosa. Nei 6 mesi successivi all’intervento è necessaria una riabilitazione intensiva per favorire un allenamento al cammino e un buon rinforzo muscolare.

RADIO

Osso lungo, pari e simmetrico, misurante 20-25 cm, che, con l’ulna che gli sta medialmente, costituisce lo scheletro dell’avambraccio. L’articolazione con l’ulna avviene al gomito e al polso ed è perfezionata da una membrana interossea tesa fra i corpi delle due ossa. L’estremità superiore o testa o capitello del r. si articola con il condilo dell’omero integrandosi nell’articolazione del gomito. L’estremità inferiore è foggiata a fossa articolare per le ossa del carpo terminando all’esterno in una sporgenza rivolta in basso, il processo stiloideo del r., mentre nel suo versante interno presenta una fossetta articolare per la testa dell’ulna.

RADIOATTIVE, acque

Acque minerali che contengono in tracce sostanze radioattive (uranio, radio, radon, torio, attinio). Quasi tutte le acque minerali posseggono una radioattività, tuttavia perché questa abbia un’efficacia terapeutica è necessario che raggiunga 50 unità Mache per litro.

RADIOBIOLOGIA

Scienza che studia gli effetti sui tessuti e sulle cellule delle radiazioni ionizzanti (raggi X, raggi g, particelle emesse dalle sostanze radioattive: protoni, neutroni ecc.). Gli intimi meccanismi fisico-chimici secondo i quali le radiazioni interagiscono con la materia vivente sono noti solo in parte essi dipendono comunque dalla capacità propria delle radiazioni ionizzanti di modificare l’equilibrio elettrico degli atomi che ne vengono colpiti, ponendoli in uno stato di eccitazione o trasformandoli in ioni. Queste modificazioni a livello atomico comportano modificazioni a livello molecolare, con la possibile comparsa di alterazioni nei legami chimici all’interno di molecole di grandi dimensioni (quali per es. gli acidi nucleici, enzimi, macromolecole legate alla superficie delle membrane cellulari), oppure con la formazione di radicali liberi, fortemente reattivi, che tendono a legarsi tra loro o con altre molecole disturbando in vario modo il biochimismo cellulare, fino alla eventuale morte della cellula.Gli effetti biologici delle radiazioni dipendono da molti fattori. Innanzitutto dalla quantità di energia radiante e dal periodo di tempo in cui questa viene a contatto con i tessuti. La quantità dell’irradiazione viene misurata con diverse unità: raggi "X" e raggi "g" vengono misurati in Röntgen (r) gli elementi radioattivi vengono valutati in curie la quantità di radiazione effettivamente assorbita dai tessuti viene invece valutata in rad.È importante anche l’intervallo di tempo durante il quale una determinata dose di radiazioni viene assorbita: infatti pur essendo l’effetto ionizzante delle radiazioni istantaneo, le conseguenze sull’attività cellulare possono rendersi manifeste soltanto dopo un certo tempo, a volte molto lungo (esso è di solito tanto più breve quanto più intensa è l’irradiazione e maggiore la dose di radiazioni somministrate).A dosi di irradiazione basse le cellule possono, nell’intervallo tra una irradiazione e l’altra, riparare il danno subito se invece al momento della seconda dose il ricupero cellulare non è completo, si avrà un effetto cumulativo delle radiazioni assorbite, anche se soltanto parziale, perché la cellula recupera comunque almeno in parte.Anche il tipo di radiazione svolge un ruolo importante nel determinare l’entità del danno cellulare e tessutale: la loro possibilità di penetrare i tessuti dipende sia dall’energia della radiazione, sia dalla sua natura così le radiazioni costituite da particelle hanno un potere penetrante notevolmente inferiore rispetto a quello dei raggi X e. Infine anche il tipo di tessuto ha importanza, perché non tutti hanno la stessa capacità di lasciarsi attraversare dalle radiazioni.Da questi diversi dati viene definito il cosiddetto LET (Linear Energy Transfer), cioè la quantità di energia che viene ceduta dalla radiazione al tessuto per ogni unità di lunghezza di tragitto percorso dalla radiazione nel tessuto così le particelle dotate di elevata massa e di carica elettrica, hanno un potere penetrante basso, e quindi un LET molto più alto che non le radiazioni g che, essendo molto penetranti, cedono la loro energia lungo un percorso maggiore. Per quanto più specificamente si riferisce ai fattori dipendenti dal tessuto che viene attraversato dalla radiazione, è noto da tempo come non tutti i tessuti abbiano la stessa radiosensibilità, cioè la stessa capacità di venir danneggiati dall’azione dei raggi.Le manifestazioni morfologiche del danno da raggi nelle singole cellule possono interessare sia il citoplasma sia il nucleo.Spesso la cellula assume una forma irregolare, con nucleo voluminoso o con più nuclei anche i cromosomi mostrano alterazioni di vario tipo: frammentazioni, traslocazioni, delezioni, ecc.Le lesioni a livello del nucleo sono particolarmente importanti in quanto da esse dipende l’eventualità di una alterazione permanente del patrimonio genetico cellulare, alterazione che, se la capacità riproduttiva della cellula non viene compromessa, può essere trasmessa alle cellule discendenti.Questo fenomeno può spiegare l’insorgenza, in un tessuto irradiato, di una popolazione di cellule anomale, neoplastiche.Il danno da radiazioni di lieve grado può anche non manifestarsi con lesioni morfologiche immediate, ma può rendersi evidente solo in particolari condizioni, per esempio quando la cellula prolifera. A livello dei vari tessuti, organi e apparati le manifestazioni del danno da raggi possono assumere caratteri molto diversi da sede a sede.Nella cute si hanno i quadri che vengono definiti radiodermite.Il danno dei tessuti emolinfopoietici (midollo osseo, milza, linfonodi ecc.), specie se grave e diffuso, determina una profonda deplezione sia delle cellule di questi tessuti sia di quelle circolanti nel sangue, con tendenza alle emorragie e alle infezioni è inoltre dimostrata la capacità delle radiazioni ionizzanti di causare l’insorgenza di leucemie.Nelle gonadi il danno alle cellule germinali può comportare la sterilità e, col tempo, l’atrofia e la fibrosi della gonade stessa.Le mucose del tratto gastroenterico, molto sensibili alle radiazioni dato l’elevato turnover cellulare dell’epitelio, vanno incontro a fenomeni di congestione, edema, ulcerazioni, emorragia, che si manifestano con sintomi quali perdita dell’appetito, nausea, vomito, diarrea come conseguenza tardiva si può avere fibrosi della sottomucosa con possibilità di stenosi e di occlusioni intestinali.Anche i polmoni sono molto suscettibili: il danno da raggi comporta lesioni di tipo infiammatorio simili a quelle provocate dalle infezioni (polmonite da raggi) e, in fase tardiva, una fibrosi polmonare diffusa che porta all’insufficienza respiratoria.
Nel polmone le radiazioni possono avere anche un effetto cancerogeno, come documenta l’elevata incidenza di tumori polmonari maligni in minatori esposti all’inalazione di particelle radioattive.Le ghiandole endocrine sono strutture relativamente resistenti alle radiazioni si segnala tuttavia una maggiore incidenza di carcinoma della tiroide nei soggetti che hanno subito irradiazioni alla regione del collo, o che sono stati trattati con iodio radioattivo.Anche i reni sono resistenti la loro irradiazione può portare tuttavia ad alterazioni diffuse del tessuto renale (nefrite da raggi) che determinano secondariamente nefrosclerosi e insufficienza renale.Lesioni da irradiazione a livello di altri organi e apparati (sistema nervoso, cardiocircolatorio ecc.) sono meno caratteristiche e di più rara osservazione.L’esposizione alle radiazioni di aree estese del corpo, o dell’intero organismo, può portare a quadri clinici molto gravi, o addirittura letali. L’assorbimento di basse dosi di radiazioni (10-50 rad) può non dare alcun disturbo apprezzabile, salvo modeste alterazioni nel numero degli elementi corpuscolati circolanti nel sangue (globuli bianchi, globuli rossi, piastrine). A dosi di 100-300 rad (quest’ultima rappresenta la dose letale più bassa) si ha, entro poche ore, la comparsa di nausea, vomito, malessere, seguiti poi da diarrea, febbre, manifestazioni emorragiche nella cute e dalle mucose. Per dosi più elevate (dosi di 1000 rad sono pressoché costantemente letali) il quadro clinico può essere caratterizzato da disturbi a carico della funzione emopoietica (rapida diminuzione delle cellule del sangue, emorragie, infezioni, con sopravvivenza media di 10-14 giorni), oppure con disturbi prevalenti gastrointestinali (nausea, vomito, grave diarrea, collasso e morte entro la prima settimana). Per le dosi più elevate, sopraletali (1500-2000 rad) i sintomi sono prevalentemente neurologici cerebrali, con convulsioni, coma, e morte nel volgere di poche ore.Anche quando l’irradiazione generalizzata non sia stata fatale possono, a distanza di tempo, manifestarsi gravi alterazioni irreversibili, quali anemia aplastica, cataratta, disturbi dell’accrescimento corporeo e ritardo mentale (se l’irradiazione ha colpito bambini), sviluppo di leucemie o di tumori maligni, a volte multipli il danno alle cellule germinali può rendersi evidente solo nella prole, per esempio con la comparsa di malformazioni o di malattie genetiche.

RADIODIAGNOSTICA

Branca della radiologia che utilizza, per l’indagine diagnostica di diverse malattie, la proprietà che hanno i raggi X di attraversare più o meno i tessuti dell’organismo e di lasciarne un’immagine su una pellicola fotografica o su uno schermo fluorescente.L’analisi dell’immagine, che riproduce su un piano le diverse strutture anatomiche con grado diverso di trasparenza, consente infatti di valutare i rapporti reciproci tra le diverse formazioni, e di apprezzare l’esistenza di eventuali anomalie malformative, o di processi patologici che comunque alterino la struttura dei tessuti o i rapporti tra le varie parti.Le due metodiche di studio fondamentali della r. sono la radioscopia e la radiografia. Nella prima, l’immagine formata dai raggi viene raccolta ed evidenziata da uno schermo fluorescente nella seconda essa viene invece fissata su una pellicola fotografica.La formazione dell’immagine dipende dal fatto che i vari tessuti presentano un grado diverso di assorbimento nei confronti delle radiazioni, con parti che risultano opache (per es. le ossa) e parti più o meno trasparenti (tessuti molli, cavità naturali dell’organismo ecc.). Per lo studio di alcune parti (per es. cavità naturali o patologiche, vasi sanguigni), onde aumentare il contrasto tra le diverse strutture si ricorre all’introduzione di mezzi artificiali trasparenti (per es. l’aria) oppure opachi ai raggi X (diversi composti chimici contenenti bario o iodio). A seconda delle strutture interessate le tecniche di indagine prendono denominazioni diverse: carotidografia, angiografia, colecistografia, urografia, broncografia ecc.La radioscopia viene utilizzata soprattutto per lo studio di immagini in movimento (il cuore, il tubo digerente, il diaframma) essa però non fornisce immagini pari a quelle che vengono ottenute con la radiografia. A questo si è ovviato in parte con apposite apparecchiature, dette amplificatori di brillanza, che permettono di ottenere immagini più luminose, erogando quantità di radiazioni minori, quindi con minor rischio per il paziente e per l’osservatore, e con la possibilità di prolungare l’osservazione.Con la radiografia l’immagine fotografica può essere ottenuta impressionando la pellicola con le radiazioni che attraversano la parte da esaminare (in genere attraverso schermi di rinforzo, cioè fogli di materiale plastico posti a contatto con la pellicola, ricoperti da una sostanza che diviene fluorescente) oppure fotografando l’immagine che si forma su uno schermo fluorescente (schermografia o fotofluorografia).Per lo studio di fenomeni che si svolgono nel tempo si ricorre all’esecuzione di radiografie in serie (seriografia), o di radiografie effettuate in momenti opportunamente scelti nel corso della indagine radioscopica (radiografia mirata), o anche alla ripresa su pellicola cinematografica (röntgencinematografia). Per lo studio di organi in movimento si ricorre anche alla chimografia, che registra sulla pellicola fotografica l’ampiezza dei movimenti del profilo di una struttura.Per ovviare al fatto che l’immagine radiografica proietta su un unico piano strutture che nella realtà sono disposte in piani diversi, si ricorre alla esecuzione di due radiografie della stessa parte, secondo due diverse direzioni di incidenza dei raggi, tra loro ortogonali: lo studio comparato dei due radiogrammi consente così di valutare i rapporti di profondità tra le diverse parti dell’immagine. Questo problema viene ovviato anche utilizzando una particolare tecnica, la tomografia o stratigrafia: con questa, imprimendo un determinato movimento alla sorgente dei raggi e alla pellicola fotografica, è possibile avere l’immagine delle strutture disposte in un certo piano, mentre le altre strutture risultano sfocate. La tomografia viene utilizzata soprattutto per lo studio del torace e del sistema scheletrico.Un ulteriore perfezionamento di questa tecnica si è avuto nella tomografia assiale computerizzata (TAC) che ha portato progressi veramente notevoli soprattutto nella diagnostica delle affezioni endocraniche.Per ottenere immagini radiografiche più definite si è ricorso anche ai sistemi utilizzati nelle macchine fotocopiatrici a secco (xeroradiografia) questa tecnica, che richiede dosi di radiazioni superiori a quelle della normale radiografia, e per questo poco utilizzata, trova impiego nello studio delle affezioni della laringe, della faringe, della mammella.Importanti perfezionamenti riguardano le tecniche di rilevazione delle radiazioni emesse da isotopi somministrati al paziente: si può così osservare un organo interno in condizioni normali e patologiche, e capire che cosa avvenga quando quest’organo funziona (radiocardiogrammi, radionefrogrammi ecc.) risultati simili si ottengono con la PET, o tomografia a emissione di positroni.Ai raggi X e a quelli degli isotopi si aggiungono poi altre fonti di energia capaci di darci immagini.
L’ultrasonografia permette di osservare direttamente la stessa parte anatomica sotto diverse angolazioni grazie all’effetto Doppler possiamo osservare entità e direzione e regolarità di un flusso di sangue in un’arteria o in una parte del cuore: utero gravido, cuore, vasi sanguigni, testa e collo sono il campo di indagine ideale per gli ultrasuoni. La RNM (Risonanza Magnetica Nucleare), infine ci dà immagini ineguagliabili delle strutture cerebrali.Nell’ambito della diagnostica radiologica oggi tendono a differenziarsi delle specialità distinte e autonome (neuroradiologia, radiologia pediatrica ecc.) in rapporto con l’ampio sviluppo assunto da tali tecniche di indagine, e con la vastità dei settori di patologia in cui esse possono trovare applicazione.

RADIOESTESIA

(O radiestesia), termine coniato nei primi decenni del Novecento per dare una dignità scientifica all’arte dei rabdomanti, praticata fin dai tempi più antichi. I rabdomanti, ma anche la maggioranza delle persone seppure inconsapevolmente e in misura minore, possiederebbero la capacità di percepire le onde elettromagnetiche che vengono generate sottoterra (onde telluriche) dai corsi d’acqua o dalle fratture negli strati del sottosuolo.In ambito medico, il praticante la r., a volte chiamata anche medicina psionica, si ritiene in grado di captare le radiazioni emesse da organismi viventi e da sostanze inanimate e su queste basi capace di formulare una diagnosi.- La diagnosi delle malattie. È importante sottolineare che non vi è alcuna prova o evidenza scientifica in favore della radioestesia in ambito diagnostico o terapeutico. Le teorie dai radioestesisti secondo le quali un organismo malato o l’organo colpito dalla malattia produrrebbero radiazioni di una intensità tale da consentire la diagnosi, e la mente umana sarebbe in grado di captare le radiazioni emesse e di tradurle in impulsi nervosi e muscolari (che si manifestano con le oscillazioni del pendolo) non hanno riscontro scientifico.

RADIOGRAFIA

Tecnica di indagine diagnostica che sfrutta la capacità dei raggi X di attraversare i diversi tessuti dell’organismo, e quella di impressionare una emulsione fotografica: l’immagine o radiogramma che risulta su quest’ultima dipende dal diverso grado in cui le formazioni anatomiche assorbono i raggi: le strutture più compatte, come le ossa, appaiono più chiare (perché la pellicola risulta meno esposta ai raggi), mentre le parti molli, più o meno trasparenti ai raggi stessi, appaiono con diverse sfumature di grigio.Se un fascio di raggi (raggi X) attraversa un oggetto esso sarà assorbito in misura proporzionale alla densità delle strutture incontrate. Nel caso specifico, l’osso assorbe molti fotoni, i muscoli e la pelle pochi, l’aria quasi nessuno. La pellicola su cui arrivano i raggi sarà “annerita” in maniera proporzionale alle radiazioni che la raggiungono: l’osso risulterà in bianco, i tessuti molli in grigio medio, l’aria in scuro o in nero. Più le strutture radiografate hanno un contrasto elevato (osso, metallo) più le immagini appaiono ben evidenziate e ben definite.È molto utile soprattutto per lo studio dei dettagli delle ombre e per controllare a distanza di tempo, confrontando due radiografie, eventuali modificazioni di forma e di volume sopraggiunte a carico delle strutture cardiovascolari.Offre il vantaggio di uno studio più dettagliato, ma presenta anche l’inconveniente di offrire un’immagine statica. Nella sua forma standard la r. deve essere eseguita in determinati modi, che devono rimanere sempre costanti: tra questi il più importante è la distanza tra la sorgente raggi X e la pellicola radiografica (posta a contatto con la cute del soggetto) che deve essere sempre uguale a 150 cm. Questa distanza è necessaria affinché i raggi possano essere considerati paralleli e non diano quindi deformazioni dell’immagine.

RADIOISOTOPI

Isotopi radioattivi degli elementi. Nella ricerca biologica, i r. vengono utilizzati per studiare il destino metabolico di varie sostanze (metaboliti vari, o farmaci) in cui essi vengono incorporati sostituendo uno degli atomi della molecola con un suo isotopo radioattivo. La proprietà che hanno alcuni r. di venire concentrati selettivamente in alcuni organi (per es. lo iodio 131 nella tiroide, l’oro 198 nel fegato e nella milza, la metionina marcata con selenio nel pancreas) consente indagini diagnostiche sull’attività funzionale e le eventuali condizioni patologiche degli organi stessi, così come consente di portare in quella sede le radiazioni emesse dall’isotopo, da utilizzarsi eventualmente a scopo terapeutico (particolarmente nel trattamento di tumori maligni o di metastasi tumorali). Come fonte di radiazioni da impiegare nella terapia dei tumori, i r. vengono anche posti in appositi contenitori, sia a contatto della parte da trattare (isotopoterapia interstiziale o endocavitaria) sia a distanza dall’organismo (teleisotopoterapia).Sono inoltre impiegati per molte indagini diagnostiche immunologiche (ria).

RAGGIO

vedi ABBRONZATURA, LASER e RADIOTERAPIA

RANTOLO

Termine semeiologico che indica un rumore rilevabile all’ascoltazione del torace in tutte quelle condizioni in cui nelle vie aeree sia contenuto un secreto fluido, così che durante gli atti respiratori l’aria inspirata o espirata lo attraversa formando delle bolle. Vengono classificati nei rumori umidi insieme ai crepitii, differenziandoli dai rumori secchi, quali fischi, sibili e ronchi legati a patologie di tipo restrittivo (come per esempio l’asma). Il fenomeno può prodursi entro i bronchi (nelle bronchiti acute e croniche), in cavità bronchiectasiche, in caverne. I caratteri con cui esso viene percepito dipendono essenzialmente dalla grandezza delle bolle che si formano e dalle condizioni del tessuto polmonare circostante. Vengono pertanto definiti a piccole, medie e grandi bolle.

RANULA

Cisti della ghiandola salivare sottolinguale, che appare come una tumefazione circoscritta al di sotto della lingua, ricoperta da mucosa tesa e liscia, di aspetto normale, così da ricordare l’aspetto dei sacchi membranosi che le rane presentano ai lati della mandibola.

Cause
Si determina in genere a seguito di processi infiammatori cronici della ghiandola o di incuneamento di un calcolo nel dotto escretore, e si accresce lentamente potendo portare, per semplice ingombro meccanico, a disturbi della deglutizione o della fonazione raramente può andare incontro a complicazioni, quali rottura, infezioni, suppurazione. La lingua appare spostata all’indietro e oltre la linea mediana.

Terapia
La terapia consiste nell’asportazione chirurgica della r. e della ghiandola salivare attigua.

RANVIER, nodo di

Spazio (di circa 1 micron) che si interpone tra una cellula di Schwann e l’altra lungo il decorso dell’assone. Nelle fibre mieliniche la conduzione dell’impulso nervoso avviene in maniera “saltatoria” da un nodo di Ranvier all’altro, in quanto il processo di autoeccitazione e l’inversione di polarizzazione (che caratterizza il potenziale d’azione) si verifica solo a livello dei nodi (a causa della minor resistenza della fibra non mielinizzata), mentre l’internodo ha una funzione passiva. La conduzione saltatoria permette un notevole aumento della velocità dell’impulso nervoso lungo le fibre mieliniche rispetto a quelle amieliniche.

RAPTUS

Impulso improvviso e irresistibile a compiere un’azione non programmata. Si può manifestare in stati di violenta emozione, nelle psicosi confusionali, nelle crisi allucinatorie, durante un attacco epilettico. L’azione sfugge al controllo della volontà, implicando un minor grado di responsabilità se in questo stato vengono compiute azioni delittuose il r. può essere suicida o omicida.

RAUCEDINE

Particolare alterazione della voce, che perde la sua normale sonorità e appare modificata nel timbro. È solitamente dovuta a processi patologici che determinano una modificazione del margine libero delle corde vocali. Pertanto queste, durante la fonazione, non si accostano più l’una all’altra in modo regolare e simmetrico e di conseguenza l’emissione della voce risulta alterata.

Cause
È nella maggior parte dei casi dovuta a processi infiammatori anche lievi delle corde vocali può tuttavia essere determinata anche da neoformazioni quali noduli, polipi, diversi tumori benigni o maligni, e inoltre dovuta a disturbi della motilità vocale da paralisi nervose o muscolari, a disturbi endocrini.

Sintomi
La voce diviene roca (r.) e si abbassa se le corde vocali vengono colpite in modo particolare è possibile che si giunga alla perdita quasi completa della voce (afonia). Il paziente avverte poi nel profondo della gola un vivo senso di secchezza o di bruciore o la sensazione di avere qualcosa di estraneo: questo porta spesso a “raschiare” la gola. Infine, un’importante manifestazione è data dalla tosse, secca, fastidiosa, che solo dopo qualche tempo permette di espettorare un poco di catarro.

Terapia
Dipende dalla causa in gioco nelle forme infiammatorie sono in genere sufficienti il riposo vocale, la limitazione del fumo e delle bevande alcoliche, ed eventualmente cicli di inalazioni o aerosol con farmaci decongestionanti e antinfiammatori.

RAYNAUD, fenomeno di

(Prende il nome da Maurice Raynaud, medico francese - Parigi, 1834-1881) disturbo della motilità vascolare (vasospasmo) a carico delle piccole arterie delle mani o dei piedi, con episodi intermittenti caratterizzati da impallidimento marcato della porzione distale delle dita, seguito prima da cianosi e poi da arrossamento da iperemia reattiva. Le mani sono più frequentemente colpite rispetto ai piedi tutte le falangi possono essere simmetricamente affette o solo alcune possono essere colpite in maniera asimmetrica. Gli episodi possono essere associati a intorpidimento e formicolio durante la fase ischemica e a dolore durante la fase di riperfusione.Gli attacchi sono per lo più scatenati dall’esposizione al freddo, ma possono anche verificarsi dopo pressione (anche traumi di lieve entità e ripetuti, come per es. nei pianisti, nelle dattilografe) o stress emotivi. Alcuni soggetti che presentano i sintomi di R. hanno una causa sottostante, come la sclerodermia o meno spesso il Lupus eritematoso sistemico o la malattia mista del tessuto connettivo o condizioni rare come la crioglobulinemia. Alcuni individui presentano solo anomalie di laboratorio, come gli anticorpi antinucleo o alterazioni capillari nel letto ungueale: è probabile che questi pazienti sviluppino in futuro la malattia reumatica. Il protrarsi del fenomeno può portare a disturbi anche gravi del trofismo dei tessuti, con ulcere alla punta delle dita delle mani, distrofia delle unghie e perdita della massa falangea distale (sclerodattilia). Quando il fenomeno di R. si presenta isolatamente, cioè non è secondario a particolari processi patologici oppure a fattori scatenanti precisi, si parla di malattia di R.: tale condizione si osserva soprattutto in donne giovani, in età compresa tra i 20 e i 40 anni, e ha un decorso favorevole. È rilevabile con una certa frequenza in pazienti già affetti da emicrania o angina vasospastica e tale associazione sembra indicare l’intervento di una fattore predisponente comune, quale una esagerata vasocostrizione simpatica riflessa. La terapia include quella per la malattia sottostante. È importante mantenere la temperatura corporea centrale e periferica rispetto al freddo ambientale tramite vestiti caldi e l’uso di guanti. Occasionalmente possono essere necessari farmaci vasodilatatori come la nifedipina o interventi chirurgici di asportazione di gangli nervosi simpatici cervicali.

REATTIVO MENTALE

Prova psicologica che fornisce risultati da cui trarre interpretazioni e valutazioni sui processi psichici.

REAZIONE DI RIGETTO

Complesso di fenomeni con i quali un organismo, in cui sia stato trapiantato un tessuto proveniente da un soggetto a struttura genetica diversa, reagisce determinandone col tempo la distruzione. Ha il significato di una reazione di difesa dell'organismo, volta allo scopo di preservare l'individualità dei propri tessuti nei confronti di tessuti estranei, e i meccanismi attraverso i quali si attua si basano su reazioni immunitarie. Le reazioni immunitarie sono di due tipi: cellulo-mediata (linfociti T) ed umorale (linfociti B). L'immunità cellulo-mediata è quella che svolge un ruolo di primo piano nel r. La reazione di r. può essere:- iperacuto, avviene entro pochi minuti dalla rivascolarizzazione dell'organo trapiantato, manifestandosi con la trombosi dei vasi dell'organo. È dovuto ad anticorpi preformati che legano gli antigeni dell'endotelio vascolare. Può essere evitato selezionando un donatore con gruppo sanguigno compatibile con il ricevente ed eseguendo un test che rivela la presenza nel siero del ricevente di anticorpi che distruggano i linfociti del donatore, detto cross-match. - acuto, entro pochi giorni dal trapianto. é di tipo vascolare (necrosi fibrinoide delle arteriole) o cellulare (infiltrato linfocitario e macrofagico e necrosi parenchimale) a seconda del quadro anatomo-patologico. - cronico, se linfociti sensibilizzati verso gli antigeni del tessuto raggiungono i vasi del trapianto, ne danneggiano l'endotelio e infine ne attraversano la parete per infiltrare gli interstizi del trapianto stesso. Si manifesta con la progressiva fibrosi dell'organo. La reazione comporta il venir meno della funzione propria della struttura trapiantata acutamente o progressivamente, fino alla sua totale abolizione. Per ridurre o sopprimere la reazione di r. si sono sperimentati vari metodi, che hanno lo scopo di ridurre l'entità delle risposte immunitarie: estese irradiazioni, impiego di farmaci cortisonici o immunosoppressivi, quali la ciclosporina, l'azatioprina, il tacrolimus, o di siero antilinfocitario (contenente anticorpi antilinfociti). L'immunosoppressione purtroppo ha effetti collaterali, come l'aumento di incidenza di neoplasie (tra il 5 ed il 16% nei trapiantati di rene) e la suscettibilità a gravi infezioni. é importante anche l'accurata scelta del donatore, attraverso lo studio degli antigeni dei leucociti, in modo che tra donatore e ricevente vi sia il massimo grado possibile di compatibilità la migliore conservazione dell'organo donato nel periodo che intercorre tra il momento in cui l'organo viene asportato al donatore e quello in cui termina la manovra di trapianto il controllo continuo dei primi segni di r. , anche con periodici esami istologici di microframmenti dell'organo trapiantato (vedi BIOPSIA).

REAZIONE TRASFUSIONALE

Complicazione che può seguire a trasfusioni di sangue. Le reazioni trasfusionali di tipo immune (dovute cioè a incompatibilità plasmatica o eritrocitaria) comprendono la sindrome brivido-ipertermica, le reazioni allergiche, ma soprattutto le reazioni emolitiche post-trasfusionali, causate dalla distruzione dei globuli rossi del donatore o del ricevente per trasfusione di sangue non gruppo-compatibile e caratterizzate da nausea, vomito, dolori lombari, ittero e nei casi più gravi shock e insufficienza renale. Le reazioni trasfusionali di tipo non immune (cioè non dovute a incompatibilità) comprendono soprattutto il sovraccarico di circolo e le infezioni da contaminazione dei materiali usati per la raccolta o da presenza di microrganismi nel sangue trasfuso. La gran parte (80% circa) delle infezioni post-trasfusionali è dovuta al virus dell’epatite C, molto più raramente al virus dell’epatite B, all’HIV, a Toxoplasma, ai plasmodi della malaria.

RECETTORE

Termine con cui si indicano strutture anatomiche capaci di rilevare stimoli di varia natura, provenienti dall’ambiente esterno o dall’interno dell’organismo, e di trasmetterli attraverso fibre nervose al sistema nervoso centrale. I recettori e gli stimoliI recettori sono sensibili a un tipo di stimolo ben determinato, che può essere rappresentato dal contatto con sostanze chimiche, dalla luce, dalla pressione o da altri stimoli meccanici, e inoltre ne rilevano la durata e l’intensità, attraverso un aumento della frequenza degli impulsi che originano nel r., o del numero di fibre nervose attivate.I recettori più semplici sono costituiti da ramificazioni o espansioni di fibre nervose sensitive. Strutture più complesse sono i cosiddetti corpuscoli di senso, dai quali dipendono alcuni tipi di sensibilità cutanea in questi il tessuto connettivo o le cellule di Schwann formano particolari involucri attorno alle terminazioni della fibra nervosa.Se gli stimoli sono complessi, per esempio stimoli luminosi e acustici, i recettori sono caratterizzati dalla presenza di cellule specializzate, di forma diversa in relazione al tipo di stimolo e alle modalità con cui ha luogo la stimolazione: tali sono per esempio le cellule sensoriali dei bottoni gustativi, della mucosa olfattiva, dell’organo del Corti nell’orecchio, dei fusi neuromuscolari. Queste cellule sono in rapporto con fibre nervose afferenti, alle quali viene trasmesso l’impulso generatosi con lo stimolo.I recettori vengono classificati in vario modo:- secondo il tipo di stimolo cui sono sensibili, per esempio fotocettori - secondo la localizzazione e funzione nell’organismo, per esempio esterocettori, propriocettori, introcettori, rispettivamente localizzati alla cute (per segnalare stimoli provenienti dall’ambiente esterno), nei muscoli e nelle articolazioni (per rilevare in ogni momento la posizione del corpo nello spazio), nei visceri (per rilevare diversi tipi di stimoli originatisi all’interno stesso dell’organismo) i recettori che rilevano stimoli provenienti da lontano vengono anche definiti telecettori.I recettori di membranaSono denominate recettori anche particolari molecole presenti sulla superficie di molte cellule, capaci di combinarsi in modo specifico con sostanze chimiche dalle quali la cellula viene stimolata a una determinata attività funzionale. Tali recettori, detti anche recettori di membrana, sono di due tipi: recettori canali che fungono da via di passaggio e recettori enzimi che per la loro azione richiedono la stimolazione di un enzima. Sono noti i recettori per l’acetilcolina e per l’adrenalina in cellule nervose e muscolari, i recettori per gli ormoni estrogeni nella ghiandola mammaria, i recettori per la dopamina, il cui cattivo funzionamento sembra essere una delle cause del morbo di Parkinson.La presenza di tali strutture è documentata soprattutto da esperienze farmacologiche, mediante le quali è possibile attivare o bloccare i recettori utilizzando sostanze a configurazione sterica molecolare vicina a quella della sostanza verso la quale un certo tipo di r. è specificamente sensibile.Per quanto riguarda i recettori ormonali, per esempio, la regolazione della loro attività dipende dagli ormoni corrispondenti: così la presenza di insulina nel sangue, in concentrazione elevata, determina la diminuzione dei recettori corrispondenti in modo che la risposta della cellula alla concentrazione ormonale non sia eccessiva.

RECLUS, apparecchio di

(Prende il nome da Paul Reclus, chirurgo francese - Orthez 1847 - Parigi 1914), supporto a staffa metallica che veniva usato per permette di camminare appoggiando sulla gamba ingessata.

REFLUSSO MITRALICO

In seguito a lesioni distruttive delle cuspidi o delle corde tendinee o a deformazione della loro zona di inserzione, la valvola mitrale può non essere più in grado di chiudere perfettamente consentendo così, durante la sistole ventricolare, il r. di una certa quantità di sangue dal ventricolo sinistro verso l’atrio (insufficienza mitralica).

REFLUSSO VESCICO-URETERALE

Passaggio retrogrado di urina dalla vescica nell’uretere, che può essere origine di infezioni delle vie urinarie alte (pielonefriti). È spesso reperto occasionale in bambini di età inferiore ai due anni studiati in seguito al verificarsi di uno o più episodi di infezione delle vie urinarie. La diagnosi viene posta con la cistografia menzionale, esame che consente anche di quantificare l’entità del r. l’eventuale esecuzione di una urografia consente la valutazione di un eventuale danno renale. Nella maggioranza dei casi la prognosi è buona, e il fenomeno tende ad attenuarsi e a risolversi spontaneamente con la crescita del bambino. Solo raramente è necessario l’intervento chirurgico, in caso di infezioni frequenti e non adeguatamente controllabili con terapia antibiotica, con r. di grado elevato e non risolventesi spontaneamente.

REFSUM, malattia di

La malattia di R. fa parte del gruppo delle neuropatie ereditarie sensitivo-motorie (HSMN). La Classificazione proposta da Dick nel 1975 delle Hereditary Sensory-Motor Neuropathies o “HSMN” comprende:- Atrofia muscolare peroneale dominante (Charcot-Marie-Tooth -CMT 1).- Forma neuronale dell’atrofia peroneale (Charcot-Marie-Tooth -CMT 2).- Polineuropatia ipertrofica dominante di Dejerine-Sottas.- Malattia di Refsum.- Paraplegia spastica con HSMN.- Polineuropatia con atrofia ottica.- Polineuropatia con retinite pigmentaria.La malattia di R. o eredopatia atassica polineuritiforme o HSMN tipo IV è una malattia rara, con ereditarietà autosomica recessiva. Ne sono colpiti entrambi i sessi. L’età d’insorgenza dei sintomi può variare da pochi mesi a 50 anni. Generalmente i sintomi sono evidenti entro i 20 anni. È caratterizzata dalla presenza di retinite pigmentosa, atassia cerebellare e polineuropatia cronica in concomitanza con un aumento di acido fitanico nel sangue. Spesso sono osservate anche sordità neurogena, miocardiopatia, alterazioni pupillari, cataratta, ittiosi cutanea e altri segni di interessamento del sistema nervoso centrale. La polineuropatia ha carattere sensitivo-motorio: la compromissione è prevalente a livello dei segmenti distali e degli arti inferiori. I tronchi nervosi sono ipertrofici con formazioni a bulbo di cipolla. L’accumulo di acido fitanico, acido grasso tetrametilato a 16 atomi di carbonio, è dovuto a un difetto del suo catabolismo.Una dieta priva di acido fitanico comporta una riduzione dei livelli plasmatici. Quando viene condotta per lungo tempo ed in modo corretto consente di prevenire la progressione della neuropatia, la scomparsa dell’ittiosi e di arrestare la progressione dei deficit uditivi e visivi.

Terapia
La plasmaferesi appare efficace nel trattamento dei sintomi neurologici associati e, associata alla dieta, determina un iniziale miglioramento dei sintomi.La diagnosi biochimica consente di individuare i portatori.

REGRESSIONE ATAVICA

In ipnosi, costituisce una caratteristica significativa. Si parla di r. atavica del soggetto, intendendo con il termine r. la rievocazione di eventi o circostanze precedenti, atavica in quanto ha a che fare con, e connota, le origini ci si riferisce alla perdita o oscuramento di attività biologiche recentemente acquisite, quelle che rendono il soggetto all’erta, critico si tende ad abbassare il livello di guardia, il senso critico. Il soggetto diventa quasi infantile con un accresciuto rispetto per l’ipnotista e, in un rapporto più sviluppato o intensificato, nasce il desiderio di identificazione con l’ipnotista. L’ipnosi può essere indotta da numerose e diverse procedure che iniziano con un certo grado di r. del soggetto.

REIDRATAZIONE

Provvedimento terapeutico che ha l’obiettivo di ripristinare il patrimonio idrico dell’organismo in tutte quelle condizioni in cui si sia instaurata una sindrome di disidratazione. Viene attuata essenzialmente con l’introduzione endovenosa di abbondanti quantità di soluzione fisiologica glucosata o di plasma, di albumina, o di altre soluzioni.In caso di diarrea acuta è necessario reintrodurre l’acqua persa, nei bambini soprattutto, che si disidratano molto più facilmente e prima degli adulti al posto dell’alimento abituale si somministrano dosi piccole e frequenti di soluzioni reidratanti a base di glucosio e di sali minerali, oppure, se queste non sono gradite, tè o semplicemente acqua. Solo se, così facendo, si induce ancora più il vomito, o comunque la diarrea è cospicua, si passa alla r. endovenosa.

REIL, corona di

(Prende il nome da Johann Christian Reil, medico e anatomista tedesco - Rhaude, Frisia 1759 - Halle 1813), ventaglio di fibre sito nella capsula interna, tra talamo e corteccia cerebrale.

REIL, nastro di

Termine usato per indicare le vie che dal midollo spinale e dal bulbo conducono vari tipi di sensibilità al talamo.

REIMPIANTO

Tecnica chirurgica che consiste nella riposizione della porzione terminale di un organo, per lo più cavo, in sede diversa o comunque dislocata rispetto a quella occupata in precedenza. Si definisce in questo modo anche il riattaccamento mediante intervento chirurgico di una parte totalmente recisa dall’organismo, per esempio di una mano o di un arto. Si hanno buone probabilità di successo solo se la lesione è netta, tipicamente da taglio, e abbastanza recente, in genere non oltre la mezz’ora. I grandi progressi nelle suture realizzate dalla microchirurgia consentono di riallacciare i vasi sanguigni e ristabilire l’integrità dei tronchi nervosi.

REINFEZIONE

Fenomeno che consiste nella infezione di un organismo da parte di un microrganismo patogeno dal quale esso era già stato in precedenza infettato.Si verifica soprattutto per i microrganismi alla cui infezione non segue un’immunità forte e duratura o perché esistono diversi ceppi dello stesso microrganismo (per esempio, influenza) o perché l’immunità acquisita non è sufficiente a proteggere dalla malattia qualora il parassita sia un organismo complesso (per esempio, verminosi). Altrimenti la r. non è seguita da una malattia conclamata, ma può rafforzare l’immunità. Si parla di r. endogena quando il processo origina dalla riaccensione di focolai infettivi clinicamente inattivi, nei quali i microrganismi persistono allo stato quiescente, capaci però di riprendere la loro attività patogena quando vengano meno le capacità di difesa dell’organismo. Tale eventualità è frequente nella tubercolosi.

RELAZIONE

Nella teoria psicanalitica si usa il termine relazione oggettuale per indicare i rapporti che il bambino stabilisce nel corso dello sviluppo, con persone o anche con “cose dell’ambiente esterno significative sul piano affettivo”. Dagli anni Trenta, tale concetto acquista una crescente importanza nell’ambito psicoanalitico, tanto da soppiantare il termine “oggetto”, a causa del fatto che si ritiene indispensabile sottolineare la precocissima interazione dell’organismo con l’ambiente. La teoria delle relazioni oggettuali riguarda la capacità – come funzione fondamentale dell’io – di creare relazioni con l’oggetto reciprocamente soddisfacenti.È Melanie Klein, ritenuta la fondatrice della suddetta teoria, che sottolinea l’essenzialità delle relazioni nello sviluppo del bambino, in cui l’oggetto a cui fa riferimento è sempre quello interno e trae origine dalla relazione affettiva che egli ha con le persone reali. Questi oggetti interni, però, non sono la replica di quelli esterni, ma vengono trasformati dal processo dell’introiezione, definita come la primitiva operazione che il bambino compie verso il seno materno al fine di creare un oggetto buono dentro di sé, perché solo con tale fantasmatica presenza si può costituire il nucleo dell’Io. La cosa essenziale nel considerare la mente del bambino non è la madre come oggetto reale, bensì una madre come è vissuta dal figlio, costruita dentro di sé, attraverso la relazione con lei: una madre introiettata, insomma. L’oggetto primario del bambino è perciò costituito da particolari modalità con le quali egli percepisce la madre e con cui si relaziona a essa, non la madre reale colta dal bambino di 5-6 anni, bensì qualcosa di diverso, costruito su particolarissime modalità attraverso cui il bambino di 1-2 anni la percepisce e interagisce con essa.L’evoluzione della capacità dei bambini di instaurare relazioni con gli altri, progredendo dal narcisismo alle relazioni sociali nell’ambito familiare e poi nel gruppo, è stata descritta da A. Freud e da D. Burlingham (1943).D. Fairbairn (1946), insieme a M. Balint, discusse le fasi precoci della relazione del neonato con quegli oggetti che soddisfano il suo bisogno e lo sviluppo graduale del sentimento suscitato dalla separazione dalla madre.La relazione oggettuale è stata poi particolarmente studiata da Spitz che ha individuato, nello stabilirsi delle relazioni oggettuali, tre fasi successive, distinguendo rispettivamente:- lo stadio pre-oggettuale - lo stadio dell’oggetto precursore lo stadio dell’oggetto libidico propriamente detto (intorno all’ottavo mese).Le età tipiche di ogni stadio hanno valore puramente indicativo perché alquanto variabili da un soggetto ad un altro:- lo stadio pre-oggettuale (0-3 mesi) corrisponde al narcisismo primario di altri autori e denota la condizione di non differenziazione fra il soggetto ed il mondo esterno - lo stadio dell’oggetto precursore (3-8 mesi) inizia con la comparsa del sorriso al volto umano, prima risposta intenzionale ed a carattere sociale.Le osservazioni di Spitz hanno tuttavia dimostrato che il bambino non percepisce ancora, in questo stadio, un oggetto specifico e non distingue gli individui tra di loro (per es. il volto della madre da quello degli estranei). Lo dimostra il fatto che il lattante risponde col sorriso non solo a qualsiasi volto umano in movimento, posto di fronte a lui, bensì anche ad una maschera di cartone. Cessa inoltre di sorridere se il volto gli viene presentato di profilo. Il segnale che scatena la risposta del sorriso è quindi formato da una Gestalt (forma) detta “privilegiata”, costituita dall’insieme fronte-occhi- naso visti di prospetto, preferibilmente in movimento - lo stadio dell’oggetto (all’ottavo mese) è caratterizzata inizialmente da una reazione specifica, che Spitz ha definito “angoscia dell’ottavo mese”.Il bambino comincia a distinguere le figure familiari reagendo alla vista di quelle estranee con evidenti comportamenti di dispiacere (grida, pianto, reazioni di evitamento).Secondo Spitz, non è l’estraneo in quanto tale che scatena queste reazioni, bensì la delusione che il bambino prova percependo la non-identità tra il volto sconosciuto e quello materno.L’angoscia dell’8° mese, considerata da Spitz il prototipo dell’angoscia propriamente detta, è la prova che il rapporto individualizzato con la madre è stato definitivamente stabilito. A partire da questo momento, l’intero comportamento sociale del bambino si fa più complesso vengono stabilite relazioni differenziate con altre figure familiari (padre, fratelli, etc.), la gamma delle emozioni si arricchisce di un registro più vario di sentimenti (tenerezza, collera, invidia, gelosia), compare la preferenza per un gioco o un oggetto particolare.All’affermarsi definitivo del rapporto oggettuale corrisponde parallelamente la formazione di un’identità personale separata ed autonoma, che si realizza con l’acquisizione della consapevolezza del proprio Io.L’evoluzione di tale identità trova un momento fondamentale nella fase dell’oppositività (2-3 anni), la quale costituisce la prima chiara manifestazione, da parte del bambino, dei tratti distintivi della personalità.La progressiva acquisizione della coscienza di sé induce il bambino a modificare le modalità relazionali con l’ambiente circostante, che si caratterizzano a quest’età con spiccato egocentrismo, tendenza ad attirare l’attenzione su di sé, scoppi di collera, comparsa di condotte più autonome e spesso chiaramente in opposizione alle richieste parentali.

REMISSIONE

Attenuazione o scomparsa dei sintomi di una malattia. Può essere dovuta al cessare di un’azione patogena, al suo superamento da parte dei meccanismi di difesa dell’organismo, all’attuazione di una terapia adeguata.Il termine viene impiegato quando il fenomeno è transitorio può avere durata variabile, anche molto lunga (mesi o anni) il processo morboso tuttavia persiste nell’organismo, e torna poi fatalmente a ripresentarsi.L’evoluzione attraverso fasi di r. e di esacerbazione della sintomatologia è propria di cardiopatie, di malattie infettive croniche, di malattie epatiche ecc.

RENE

Organo pari che, insieme a ureteri, vescica urinaria e uretra, costituisce l’apparato urinario. Provvede alla formazione ed escrezione dell’urina con la quale si eliminano acqua e scorie metaboliche. Oltre a questa funzione di depurazione e di regolazione del contenuto di acqua e sali, il r. è coinvolto nella regolazione della pressione sanguigna e nella stimolazione del midollo delle ossa.L’embriologiaIl r. prende origine, nel corso dello sviluppo embrionale, dal mesoderma intermedio nella sua porzione anteriore. Il primo abbozzo di r., definito pronefro, è destinato a regredire e a essere sostituito da una nuova formazione, il mesonefro, che si differenzia sempre dal mesoderma intermedio, ma in una zona caudale rispetto al pronefro. Il mesonefro a sua volta regredisce e viene sostituito da una nuova struttura renale, il metanefro, abbozzo destinato a diventare il r. definitivo.L’anatomiaNell’adulto il r. ha una lunghezza di 12 cm ca., una larghezza di 6 cm e pesa 140 g ca. è contenuto nella parte superiore della cavità addominale all’altezza dell’ultima vertebra toracica e delle prime due lombari, posteriormente al peritoneo, ed è circondato da tessuto adiposo. È rivestito da una capsula fibrosa, e alla sezione appare costituito di due porzioni di aspetto differente: una parte periferica o corticale, e una parte interna o midollare.Il tessuto renale è composto di un gran numero di unità elementari, sia dal punto di vista morfologico sia dal punto di vista funzionale, le quali vengono definite nefroni. Ogni nefrone consta di due porzioni, il glomerulo, o corpuscolo renale, e il tubulo.Il glomerulo è un gomitolo di piccoli vasi sanguigni arteriosi dai quali, per effetto della pressione esistente all’interno dei vasi stessi, vengono filtrati acqua, sali e altre sostanze.Il tubulo è un sottile e lungo canalino, che raccoglie il liquido filtrato dai glomeruli (detto anche preurina) e lo convoglia verso le vie escretrici del r.: durante il passaggio attraverso il tubulo il filtrato glomerulare si arricchisce di nuove sostanze secrete dalle cellule tubulari, mentre altre sostanze vengono invece riassorbite e reimmesse in circolo.Le dimensioni del glomerulo e del tubulo sono microscopiche.I glomeruli sono situati soprattutto nelle porzioni corticali del r. (ve ne sono ca. 2 milioni e mezzo per ogni r.) i tubuli, lunghi e convoluti, sboccano in tubuli collettori, e questi sono raccolti in formazioni dette piramidi renali o piramidi di Malpighi l’apice di ogni piramide, detto papilla renale, costituisce il punto in cui i tubuli collettori sboccano nel bacinetto in un unico tubulo collettore confluiscono diversi nefroni. Per la presenza di parte dei tubuli renali e dei tubuli collettori la porzione midollare del r. ha un aspetto striato caratteristico. I tubuli renali sono lunghi 50-70 mm, e vi si distinguono tre parti: il tubulo contorto prossimale, l’ansa di Henle, il tubulo contorto distale: l’ansa di Henle è contenuta nella zona midollare, le altre due porzioni del tubulo nella zona corticale del r. A livello del tubulo contorto prossimale ha luogo il riassorbimento dal filtrato glomerulare di una grande quantità di acqua e di varie altre sostanze: glucosio, aminoacidi, cloruro di sodio, potassio, fosfati, solfati. Anche l’ansa di Henle è sede di fenomeni di riassorbimento di acqua e di sali, particolarmente di sodio.A livello del tubulo distale avviene essenzialmente l’eliminazione di ammonio e solfati, e l’acidificazione dell’urina. Il r. è irrorato dall’arteria renale, che origina dal tratto addominale dell’aorta e si ramifica ripetutamente all’interno dell’organo, formando dapprima arterie interlobari, e poi rami di divisione inferiori, dai quali si formano i glomeruli. In questi ultimi si distinguono: una arteriola afferente, che si sfiocca in un complesso di anse queste confluiscono in un’arteriola efferente che, lasciato il glomerulo, si suddivide a formare vasi capillari che prendono rapporto con i tubuli e confluiscono infine nella vena renale. Le anse del glomerulo sono avvolte da una capsula a doppia parete detta capsula di Bowman: la cavità compresa tra le due pareti, entro la quale si raccoglie il filtrato glomerulare, si continua nel tubulo contorto prossimale. Nello spazio compreso tra l’arteriola afferente e quella efferente si trova un complesso di formazioni che nel loro insieme prendono il nome di apparato iuxtaglomerulare esse svolgono un ruolo importante nella regolazione del flusso sanguigno glomerulare, e a questo livello ha luogo la produzione di renina, un ormone da cui dipende la formazione di aldosterone.FisiologiaIl r. opera come un vero e proprio apparato di depurazione, sottraendo al sangue le sostanze superflue e quelle il cui eccesso potrebbe alterarne l’equilibrio chimico-fisico. Da un punto di vista più specifico, le sue principali funzioni sono quelle di regolare nel sangue il grado di acidità relativa, il contenuto idrosalino, le concentrazioni tollerabili di urea, ammoniaca e acido urico. Il r. ha infine un importante compito di disintossicazione: quello di eliminare le sostanze circolanti fisiologicamente attive, cioè capaci di modificare radicalmente il funzionamento degli organi e dei tessuti. Nel novero di queste sostanze attive rientrano: gli ormoni elaborati dalle ghiandole endocrine, i farmaci somministrati durante le cure mediche e i composti ad azione nociva incidentalmente introdotti nel corpo. A questo proposito è utile ricordare che le proprietà disintossicanti del r. per molte sostanze sono potenziate da fenomeni di secrezione attiva a livello dei tubuli contorti distali. In tal caso il passaggio nell’urina di questi composti viene accelerato al di sopra del livello consentito dalla semplice ultrafiltrazione glomerulare.Formazione dell’urinaLe pareti dei capillari glomerulari formano una vera e propria membrana filtrante attraverso la quale il sangue che circola nel glomerulo trasuda nella cavità della capsula di Bowman. Si tratta del fenomeno di “ultrafiltrazione”, principalmente prodotto dalla forte differenza che esiste tra la pressione del sangue e la pressione presente all’interno della capsula di Bowman. La membrana basale del glomerulo è liberamente permeabile all’acqua, ai sali inorganici e alle piccole molecole organiche trattiene invece le cellule (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine) e le grosse molecole proteiche (albumina, globuline, fibrinogeno). Il fluido filtrato nella capsula di Bowman ha quindi la composizione chimica del sangue arterioso privato della parte cellulare e delle frazioni proteiche tuttavia si tratta di preurina. La formazione di urina richiede l’intervento di complessi fenomeni di riassorbimento selettivo e di secrezione a livello delle altre parti del nefrone. Si calcola che i due reni producano nelle 24 ore fino a 180 l. di ultrafiltrato a livello glomerulare.Questo enorme volume giornaliero di fluido viene riassorbito dai tubuli, riducendo la quantità di urina finale a circa 1,5 1. I tubuli infatti riassorbono il 99% dell’acqua e grandi quantità di sali e di sostanze essenziali.Il normale svolgimento delle funzioni emuntorie renali dipende da:- l’ampiezza del filtro glomerulare (numero di glomeruli funzionanti) - la pressione intraglomerulare - la pervietà dei capillari sanguigni e dei tubuli del nefrone - l’integrità delle cellule che rivestono i tubuli.Difetti a carico di uno di questi meccanismi provocano alterazioni dell’escrezione urinaria, che possono tuttavia, entro certi limiti, essere compensate dal r. stesso. Questa compensazione avviene mobilitando le capacità di riserva o meccanismi di emergenza, che aumentano l’impegno funzionale dei vari fattori condizionanti la diuresi.Non tutti i glomeruli sono contemporaneamente in stato di attività, ma si alternano nei compiti loro assegnati, cosicché nei reni lavora in media solo il 25% di essi.
I rimanenti si trovano in uno stato di riposo, ma possono entrare in attività nel momento in cui ci fosse bisogno.La pressione del sangue nelle anse capillari del glomerulo è causa determinante dell’ultrafiltrazione di liquido nella capsula di Bowman. Il r. elabora un enzima, la renina, capace di trasformare l’angiotensinogeno, prodotto dal fegato, in angiotensina, una sostanza che esercita vasocostrizione e aumenta quindi la pressione sanguigna sia a livello sistemico sia a livello glomerulare (tramite costrizione dell’arteriola efferente). In caso di bisogno, per mezzo della renina, la pressione del sangue arterioso glomerulare può essere aumentata, accrescendo il rendimento del processo di ultrafiltrazione.La mancanza di pervietà in uno dei segmenti del nefrone impedisce la formazione dell’urina. L’occlusione dei capillari sanguigni glomerulari può portare all’esclusione forzata di un nefrone dall’attività funzionante. In tal caso si ricade nel deficit della condizione 1. In alcune malattie la pervietà stessa dei canali tubulari può venire compromessa in seguito a gravi alterazioni dei glomeruli che permettono il passaggio attraverso il filtro glomerulare di cellule (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) e proteine del sangue. Sia le cellule sia le proteine, a causa dell’ambiente acido che si viene a formare nelle parti distali dei tubuli contorti, possono coagulare assumendo la forma di cilindri solidi. Perciò, nelle malattie renali con lesioni del filtro glomerulare, si trovano nell’urina, accanto alle proteine e agli elementi cellulari del sangue, anche “cilindri” di varia natura (ialini, grassi, granulosi, cellulari).Le cellule che tappezzano le pareti dei tubuli renali contribuiscono attivamente alla diuresi, compiendo il lavoro osmotico necessario per trasformare l’ultrafiltrato glomerulare (avente una concentrazione di sostanze disciolte pressoché uguale a quella del sangue) in urina definitiva, nella quale la concentrazione di sostanze disciolte e la densità (o peso specifico) sono nettamente superiori a quelle dei liquidi fisiologici. Tale lavoro consiste essenzialmente in un attivo riassorbimento di acqua e di sali di sodio dal filtrato glomerulare e richiede un notevole dispendio di energia che viene ricavata dai processi di respirazione cellulare.Il r. svolge un’attività di regolazione a carico di alcune fondamentali proprietà chimico-fisiche del sangue. Il significato generale di tale controllo è quello di contenere entro limiti di sicurezza le variazioni della composizione sanguigna che sono dovute alla continua attività metabolica dei tessuti e all’intermittente assorbimento alimentare. In particolare, verranno qui considerati i principali caratteri del sangue sottoposti alla regolazione renale.Equilibrio idro-elettroliticoIl r. è il principale organo regolatore del contenuto in acqua e sali dell’organismo. Ogni giorno vengono filtrati dai glomeruli quantità enormi di acqua e di elettroliti, la maggior parte delle quali vengono recuperate attraverso un processo di riassorbimento tubulare che è molto complesso. Un primo riassorbimento avviene a livello del tubulo prossimale. Circa il 60% dell’acqua e dei soluti contenuti nel filtrato glomerulare vengono riassorbiti dalle cellule del tubulo prossimale, trasportati nei capillari sanguigni che circondano i tubuli e riportati quindi nella circolazione sistemica. Questo riassorbimento prossimale è isoosmotico, viene cioè riassorbita tanta acqua quanti soluti. L’urina che giunge all’ansa di Henle ha quindi la stessa concentrazione di soluti del sangue.Le cellule che tappezzano il tratto discendente sono permeabili all’acqua ma poco permeabili agli elettroliti e all’urea. Poiché l’interstizio attraversato dall’ansa di Henle diventa sempre più ipertonico man mano che si approfonda verso la papilla, l’acqua passerà per gradiente osmolare dalla soluzione più diluita (urina) alla più concentrata (liquido interstiziale), producendo un’urina sempre più ipertonica rispetto al sangue. Al contrario, il tratto ascendente dell’ansa di Henle è caratterizzato da impermeabilità all’acqua ed elevata permeabilità agli ioni sodio e cloro, che vengono riassorbiti con meccanismo attivo. In questo tratto l’urina ridiventa ipotonica (formazione di acqua libera da soluti). Nel nefrone distale si svolgono altri importanti processi per la formazione dell’urina finale. Le pareti del tubulo distale e del tubulo collettore sono impermeabili all’acqua ma sotto l’azione dell’ormone antidiuretico (prodotto nella parte posteriore dell’ipofisi in seguito a minima variazione dell’osmolarità sanguigna) possono diventare permeabili, favorendo quindi un riassorbimento d’acqua, che è proporzionale ai livelli di ormone antidiuretico nel plasma e all’ipertonicità del liquido interstiziale. Sempre nel tubulo distale si ha un ulteriore riassorbimento di ioni sodio che si scambiano contro ioni potassio e/o idrogeno. Questo meccanismo è regolato da un ormone mineraloattivo, l’aldosterone, prodotto dalla parte midollare dei surreni.Equilibrio acido–baseIl grado di acidità di una soluzione è dato dalla concentrazione di idrogenioni (H+).
Nella pratica l’acidità è misurata dal pH, che è il cologaritmo decimale della concentrazione idrogenionica. Il pH si mantiene nel sangue intorno a 7,4.Variazioni anche modeste di pH ematico (± 0,6) possono causare la morte. Il mantenimento di un equilibrio acido-basico soddisfacente è affidato ai polmoni e ai reni.L’organismo produce quotidianamente una gran quantità di anidride carbonica, la quale può essere considerata come un acido volatile che viene eliminato dai polmoni. L’eliminazione dei radicali acidi fissi, non volatili, è invece affidata al r. che mette in opera tre meccanismi fondamentali per tamponare gli idrogenioni: il sistema dei fosfati (nel lume tubulare ogni fosfato cattura un idrogenione, trasformandosi da fosfato bibasico a monobasico), il sistema dei bicarbonati (nel lume tubulare gli idrogenioni vengono catturati dal bicarbonato che è poi trasformato in acqua e anidride carbonica, quest’ultima è ritrasformata in bicarbonato che viene riassorbito da tubuli queste reazioni chimiche sono mediate da un enzima chiamato anidrasi carbonica), l’escrezione di ammoniaca ( le cellule tubulari producono ammoniaca che è liberamente diffusibile ogni molecola di ammoniaca che passa nel lume tubulare si lega a un idrogenione trasformandosi in ione ammonio che viene eliminato con le urine).Questi sistemi tampone sono in grado di assicurare un pH stabile nel sangue sia attraverso l’eliminazione degli idrogenioni sia attraverso il recupero di basi (soprattutto bicarbonato di sodio).La difesa da un eventuale eccesso di basi (alcalosi) è affidata a un’eliminazione urinaria di bicarbonato. Esiste infatti una soglia per il riassorbimento dei bicarbonati corrispondente al valore ottimale di bicarbonato nel sangue. Perciò quando i bicarbonati nel sangue superano questo valore-soglia non vi è più riassorbimento tubulare e queste basi vengono perse con l’urina.Riassorbimento tubulareIl flusso sanguigno renale è notevolmente elevato (il r. riceve all’incirca un quarto della gittata cardiaca), e viene mantenuto costante da diversi meccanismi regolatori.Corrispondentemente anche la quantità di filtrato glomerulare è molto alta, pari a ca. 150-170 l. nelle 24 ore. Il 99% del filtrato viene tuttavia riassorbito a livello dei tubuli, per cui la quantità di urina prodotta è solo di ca. 1-1,5 l. nelle 24 ore. Il riassorbimento tubulare dell’acqua è sotto il controllo di un ormone prodotto dall’ipofisi: l’adiuretina o ormone antidiuretico o ADH. Un altro ormone, l’aldosterone, prodotto dalle ghiandole surrenali, influenza invece il riassorbimento del sodio.PatologiaIl r. può essere interessato da processi patologici di varia natura.Abbastanza frequenti sono:- le malformazioni, che comprendono anomalie di forma (come il cosiddetto r. “a ferro di cavallo”, r. unico formato dall’unione dei due organi in corrispondenza del loro polo superiore o inferiore), di numero, di sede, di sviluppo e differenziazione del tessuto renale un’anomalia di posizione del r. può essere dovuta anche a fattori acquisiti che comportino lo spostamento verso il basso o ptosi dell’organo, quando vengano meno i mezzi che lo mantengono nella sua posizione anatomica corretta - le affezioni di natura infiammatoria genericamente definite nefriti, comprendenti forme assai diverse, che, in rapporto alla sede in cui il processo infiammatorio si localizza, vengono distinte in glomerulonefriti, nefriti interstiziali, pielonefriti - le affezioni di natura degenerativa denominate nefrosi (glomerulonefrosi o tubulonefrosi secondo che siano colpiti i glomeruli o i tubuli), che possono essere determinate dall’azione di sostanze tossiche, da disturbi di circolo, da ostruzioni delle vie urinarie, da malattie metaboliche, dalla deposizione nel r. di sostanze anomale - le affezioni dei vasi (arteriosclerosi, arteriolosclerosi, arteriti, trombosi ed embolie) in conseguenza delle quali si possono determinare infarti, o sclerosi diffusa dell’organo (nefroangiosclerosi).- Altre affezioni renali comprendono i tumori (più frequenti quelli maligni primitivi: carcinoma renale, nefroblastoma) e la calcolosi quest’ultima, che può interessare contemporaneamente anche altri tratti delle vie urinarie, è determinata dalla precipitazione di sostanze contenute nelle urine (acido urico, urati, fosfati, ossalati, cistina) a formare concrezioni più o meno voluminose.- Conseguenza di processi patologici: può accadere che il r. vada incontro a fenomeni di sclerosi connettivale e di atrofie delle sue strutture, con rimpicciolimento dell’organo, aumento della consistenza, aspetto granuloso della superficie in tali condizioni la funzione del r. risulta sempre gravemente compromessa. Quando la funzione di entrambi i reni è diventata insufficiente alle necessità dell’organismo si manifesta una grave condizione patologica che viene definita uremia e che, se lasciata a sé, porta a morte il paziente per gli squilibri metabolici conseguenti.L’indagine diagnostica delle malattie renali si avvale, oltre che dell’esame clinico del paziente, di una serie di esami di laboratorio: esame delle urine, prove che permettono di analizzare la funzionalità delle sue componenti, di indagini radiologiche, dell’esame istologico, di biopsie.La terapia, che varia secondo la natura e lo stadio evolutivo della malattia, in caso di insufficienza renale cronica si avvale di un opportuno regime igienico-dietetico, della dialisi con r. artificiale, eventualmente del trapianto renale.

RENE ARTIFICIALE

Apparato costituito schematicamente da una membrana sulla quale viene fatto scorrere il sangue e sulla cui faccia opposta scorre un liquido di purificazione: in questo modo la membrana lasciando passare le scorie del sangue simula la funzione depuratrice del r. Il principio chimico-fisico sul quale si basano i diversi modelli di r. artificiale è quello della dialisi. Il compito del r. artificiale è quello di riprodurre l’attività del r., cioè di eliminare le scorie azotate in eccesso (mantenendo l’azotemia nei valori limite della norma) e di conservare inalterato l’equilibrio dell’acqua e dei sali e il pH dei liquidi organici.Il r. artificiale trova applicazione negli stati di insufficienza renale acuta o cronica. In quest’ultimo caso il trattamento consiste in due o tre sedute di dialisi alla settimana, oltre naturalmente a tutti i presidi medici e dietologici che le malattie renali croniche comportano.

RENE MOBILE

Il r. è normalmente in posizione toracica e addominale. Quando la posizione diviene esclusivamente addominale, specie nella stazione eretta, si parlerà di r. mobile (o ptosico) e, a seconda della entità di tale mobilità, si avranno diversi gradi di ptosi in quella di terzo grado il r. scivola addirittura nello scavo pelvico. Questa situazione è quasi esclusiva della donna per la caratteristica ampiezza del bacino, per la lassità dei tessuti di sostegno e infine per quanto può influire la gravidanza nel peggiorare il tono dei muscoli addominali non raramente incidono i forti dimagrimenti. Il r. mobile può essere l’espressione locale di una ptosi viscerale multipla.Clinicamente il r. mobile può essere perfettamente tollerato. Alcune volte può determinare coliche che scompaiono a letto, dolori al fianco accompagnati da rialzi termici (sovrapposizione di infezione renale), disturbi gastrici e digestivi.La diagnosi è abbastanza facile, in quanto la visita Clinica permette di apprezzare l’organo abnormemente mobile con gli atti respiratori o addirittura situato nella fossa iliaca tuttavia può essere fatto risalire verso l’alto con la palpazione bimanuale.L’urografia darà, con la posa in posizione eretta, la dimostrazione visiva della situazione e inoltre dimostrerà se la posizione anomala del viscere ha determinato dilatazioni delle vie escretive (idroureteronefrosi).Per quanto concerne la terapia, comunemente si ritiene che un r. mobile ben tollerato e ben funzionante non abbisogni di cure particolari è opinabile che possano riuscire di qualche utilità la dieta ingrassante o il corsetto. Per contro, nelle ptosi con frequenti coliche, o con segni di infezioni o incipienti idroureteronefrosi, vale la pena di correggere la situazione con l’atto chirurgico (nefropessi).Si preferiscono le metodiche meno traumatizzanti, che non comportano il rischio di ledere il parenchima o i calici: sono i cosiddetti metodi capsulari, che appunto usano la capsula come elemento di sospensione. Il più conosciuto e sicuro è quello di Albarran-Marion che, se eseguito con la dovuta accuratezza, dà ottimi risultati.

RENELLA

(O sabbia renale), insieme di fini concrementi sabbiosi o granulari che vengono emessi con le urine da soggetti predisposti alla calcolosi delle vie urinarie. Sono in genere costituiti da cristalli di acido urico o di suoi sali e, depositandosi sul fondo del recipiente, formano un sedimento di colore rossiccio (sedimento laterizio) se sono costituiti da fosfati hanno un aspetto biancastro (vedi CALCOLOSI).

RENNINA

Enzima della mucosa gastrica, necessario per la digestione della caseina, principale proteina del latte vaccino. La r. ottenuta dalla mucosa gastrica di vitelli neonati viene utilizzata nell’industria casearia per ottenere il caglio, elemento di partenza per la produzione dei formaggi. Attualmente l’enzima r. può essere ottenuta da batteri con tecniche di ingegneria genetica. L’enzima r. è presente nella mucosa gastrica umana ma la sua concentrazione diminuisce con l’età, essendo particolarmente riscontrabile nel bambino fino ai cinque anni di età. La capacità di digerire la caseina del latte sembra quindi diminuire con l’avanzare degli anni.

RENOGRAFIA

Tecnica diagnostica medico-nucleare impiegante radioisotopi per la valutazione della funzionalità renale. Essa sfrutta la caratteristica di alcuni radiofarmaci (definiti glomerulari o tubulari in relazione alla loro maggiore efficacia nella valutazione della filtrazione glomerulare o della secrezione tubulare) di venire captati ed eliminati dai reni in modo proporzionale alla funzionalità renale. Permette quindi di valutare la funzionalità renale e il deflusso urinario lungo tutto l’asse escretore. L’indagine in sé è praticamente indolore (prevede la semplice iniezione endovenosa di una soluzione contenente specifici radioisotopi e la lettura della distribuzione del radioisotopo mediante una gamma camera) e gravato da effetti collaterali o eventi avversi (es.: reazioni allergiche) veramente rari. I radioisotopi non intaccano la funzionalità renale e il basso dosaggio e la rapida decadenza del tracciante radioattivo consentono l’eventuale ripetizione dell’esame dopo beve periodo. Oltre alla r. tradizionale con tecnica standard vengono oggi eseguite due varianti funzionali: la scintigrafia renale sequenziale con stimolo diuretico e la scintigrafia renale sequenziale dopo somministrazione di un ACE-inibitore.

REOGRAFIA

Tecnica di indagine diagnostica utilizzata per lo studio del flusso sanguigno che attraversa una parte del corpo, basata sulla misurazione delle variazioni di conducibilità dei tessuti (determinata dal carattere discontinuo e ritmico del flusso in rapporto con l’attività cardiaca): tali variazioni vengono rilevate mediante due elettrodi metallici a disco e registrate su carta scorrevole. La r. trova utile impiego nella diagnostica delle affezioni vascolari, specie di quelle cerebrali (reoencefalografia) in quanto dai caratteri della registrazione si possono trarre deduzioni sulle condizioni delle pareti vasali. Oggi non più usata perché superata dalle metodiche per immagini (ecocolordoppler, TAC, RM, angiografia, ecc.) che permettono una sempre più precisa visualizzazione dell’albero vascolare ed inoltre lo studio del flusso sanguigno.

REPRESSIONE

Termine usato nella letteratura psicoanalitica per riferirsi al processo attivo di rigetto e di espulsione dalla coscienza di quelle idee o di quegli impulsi che non sono accettabili nell’ambito della coscienza stessa. Quando un’idea o un gruppo di idee cariche affettivamente ed emozionalmente sono penose per i contenuti della coscienza, viene fatto uno sforzo per spingerle nell’inconscio questo meccanismo di r. può rivolgersi verso l’idea o la carica affettiva singolarmente, o esercitarsi contemporaneamente nei loro confronti.

RESERPINA

Alcaloide estratto da varie specie di Rauwolfia, piante legnose tropicali.Indicata come ipotensivo e successivamente come antipsicotico, agisce anche sul sistema cardiovascolare inducendo diminuzione della pressione e rallentamento del polso.La r. provoca anche una certa vasodilatazione periferica, che sembra indipendente dalla sua azione sul sistema simpatico. Si usa come farmaco iniziale nella terapia dell’ipertensione di media gravità, quando sia consigliabile non cominciare il trattamento con un diuretico ma anche l’associazione con i diuretici è correntemente praticata.L’effetto antipsicotico del farmaco appare dovuto allo stesso meccanismo evidenziato nel sistema cardiocircolatorio: deplezione delle catecolamine e della serotonina. Non si può affermare con certezza che l’aumento di questi mediatori provochi sintomi psicotici, ma è evidente che la somministrazione di r. causa non solo una marcata sedazione, ma anche uno stato di indifferenza agli stimoli esterni dosi elevate conducono a un vero e proprio stato di depressione, che è stato messo in relazione con un livello eccessivamente basso di catecolamine. Questi effetti indesiderati hanno limitato notevolmente l’impiego clinico della r. in psichiatria essa tuttavia conserva un elevato interesse per quanto riguarda le ricerche di psicofarmacologia.

RESIDUO VESCICALE

Quantità di urina presente nella vescica dopo la minzione. La misurazione del r. vescicale viene effettuata mediante l’introduzione di un catetere trans-uretrale, o mediante esame ecografico.

RESIDUO, volume polmonare

Il volume r. (VR) è il volume presente nei polmoni dopo una massima espirazione. In presenza di alcune patologie polmonari come l’enfisema (v.) il volume r. può aumentare sensibilmente a fronte della minore capacità polmonare, con conseguente aumento del rapporto tra VR e CPT (capacità polmonare totale). Per determinare i volumi polmonari, si usa un test di base chiamato spirometria (v.)

RESPIRATORIO, apparato

Complesso delle strutture che hanno la funzione di permettere gli scambi di gas respiratori (ossigeno e anidride carbonica) tra i tessuti e l’ambiente esterno. Oltre alla respirazione serve anche alla fonazione. L’apparato r. è formato essenzialmente da una serie di condotti, le vie aeree, che a una estremità comunicano con l’esterno, all’altra fanno capo a due organi cavi sacciformi, i polmoni, la cui struttura è organizzata in modo da creare un complesso di superfici estese che separano il sangue dall’aria ambientale. L’embriologiaL’apparato r. si sviluppa nella regione cervicale dell’embrione dall’endoderma che costituisce la parete anteriore dell’intestino primitivo in questa sede si forma dapprima un solco, che poi si approfonda a costituire un diverticolo. Questo si estende caudalmente disponendosi sulla faccia ventrale di quello che sarà l’esofago. Successivamente la parte terminale del diverticolo si suddivide formando l’abbozzo dei due polmoni che accrescendosi vanno a occupare la cavità toracica, vengono rivestiti dalla membrana sierosa della pleura e rimangono collegati alla faringe per mezzo di un condotto che, in condizioni definitive di sviluppo, risulta differenziato a costituire la laringe, la trachea e i bronchi extrapolmonari.L’anatomia Le vie aeree superiori comprendono le cavità nasali e la cavità boccale, la faringe superiore e media, la laringe, la trachea, i bronchi extrapolmonari e quelli polmonari.

- La cavità boccale e la faringe media servono anche al passaggio degli alimenti, mentre le cavità nasali e la faringe superiore sono adibite unicamente al passaggio dell’aria.

- La laringe è situata nella parte media e anteriore del collo, davanti all’esofago è un organo particolarmente differenziato per la produzione della voce. Comunica con la parte inferiore della faringe e si continua nella trachea.

- La trachea ha la forma di un cilindro appiattito posteriormente.Dal collo penetra nel torace e dopo un decorso di 10-12 cm si divide in due rami, i grossi bronchi (bronchi extrapolmonari), uno per il polmone destro, l’altro per il sinistro.

- I bronchi entro i polmoni si ramificano per distribuirsi a tutte le parti dell’organo il loro calibro diminuisce progressivamente e quando è di ca. 1 mm prendono il nome di bronchioli. Questi si suddividono ulteriormente e le loro ultime ramificazioni sono i bronchioli terminali, con un diametro di 0,65 mm ca. Tutte queste formazioni, pur non partecipando agli scambi gassosi veri e propri, provvedono al riscaldamento, alla umidificazione e alla depurazione dell’aria inspirata. Infatti la mucosa che riveste la maggior parte delle vie aeree è composta di un epitelio vibratile e i movimenti delle ciglia creano una corrente di muco che nelle fosse nasali è diretta verso la faringe, nella trachea e nei bronchi verso l’alto. In questo modo è possibile l’eliminazione (con la deglutizione o con l’espettorazione) del muco e delle particelle che vi si sono depositate. Le vie aeree superiori sono anche la sede del senso dell’olfatto (i relativi recettori sono localizzati nella parte più alta della mucosa nasale) e partecipano alla funzione fonatoria. La pervietà della trachea e dei grossi bronchi è assicurata da anelli cartilaginei incompleti nei bronchi di minor calibro vi sono placche cartilaginee. La pervietà dei bronchioli invece dipende unicamente dalla elasticità del tessuto polmonare circostante. Nell’albero bronchiale si trova anche uno strato di tessuto muscolare liscio, innervato da fibre del sistema nervoso vegetativo la sua contrazione o il suo rilasciamento possono modificare il calibro delle vie aeree. Il volume totale delle vie aeree superiori è di 150 ml ca. ed è detto spazio morto respiratorio in quanto l’aria che vi è contenuta non partecipa agli scambi respiratori. Le vie aeree inferioriLa porzione propriamente respiratoria dell’apparato è costituita dal complesso di strutture polmonari che fanno seguito ai bronchioli terminali. Questi si suddividono a formare i bronchioli respiratori, i quali a loro volta si suddividono a formare i dotti alveolari, ciascuno dei quali termina a fondo cieco in una espansione detta sacco alveolare. Le pareti di tutte queste strutture presentano delle estroflessioni, gli alveoli: essi costituiscono le strutture ove ha sede lo scambio dei gas respiratori.

- Gli alveoli hanno la parete tappezzata da cellule epiteliali appiattite e circondata da un fitto intreccio di vasi sanguigni capillari derivati dall’arteria polmonare. Aria alveolare e sangue sono qui separati soltanto da una lamina di spessore inferiore a 1 mm. La superficie totale disponibile per gli scambi gassosi è valutata tra i 75 e i 100 m2. La superficie degli alveoli è rivestita da un velo liquido di una sostanza lipoproteica tensioattiva detta surfattante: ha un ruolo fondamentale perché riduce la tensione superficiale e di conseguenza il lavoro r. inoltre impedisce il collasso degli alveoli e la trasudazione di liquido dai vasi capillari.

- La pleura è una membrana sierosa che circonda ciascun polmone: è costituita da due foglietti, uno aderente intimamente al polmone (pleura viscerale) e uno alla superficie interna della gabbia toracica (pleura parietale). Tra i due foglietti si trova una piccola quantità di liquido (liquido pleurico, che favorisce gli spostamenti del polmone dovuti alle variazioni di volume della gabbia toracica indotte dagli atti respiratori.La patologia L’apparato r. può essere interessato da processi patologici di varia natura, sia primitivi sia secondari a malattie di altri organi o apparati.

- Le infiammazioni acute o croniche sono forme alle quali l’apparato r. è particolarmente esposto a causa della possibilità che microrganismi infettivi o sostanze estranee dannose vi possano pervenire con l’aria inspirata. Sono perciò molto comuni le infiammazioni delle vie aeree superiori, le bronchiti, le polmoniti, le broncopolmoniti, tutte provocate per lo più da microrganismi patogeni di natura batterica o virale. Le infiammazioni della pleura sono in genere secondarie alla diffusione di processi infiammatori del polmone o di organi vicini.

- Le pneumoconiosi sono un gruppo di malattie polmonari, dovute a inalazione di polveri nocive, che possono alterare gravemente il tessuto polmonare.

- I disturbi del circolo sono molto comuni, soprattutto nel polmone: edema, stasi, embolie, infarti, ma anche nella pleura. Si manifestano di solito come conseguenza di altre malattie, soprattutto cardiache.

- I processi tumorali possono interessare qualunque struttura dell’apparato: particolarmente frequenti al polmone e alla laringe. Le diverse malattie dell’apparato r. possono in vario modo disturbare la funzione respiratoria, determinando un restringimento o l’occlusione delle vie aeree e ostacolando il flusso dell’aria, oppure causando una riduzione della superficie attraverso la quale avvengono gli scambi gassosi, o ancora ostacolando la diffusione dei gas tra gli alveoli e i capillari. La diagnosi delle patologie dell’apparato r. si avvale, oltre che dello studio clinico del paziente, di indagini strumentali: esami radiologici, prove di funzionalità respiratoria, esami endoscopici, esami citologici e istologici di secreti o di biopsie.

RESPIRAZIONE

Insieme dei processi fisici e chimici mediante i quali l’organismo assume dall’aria l’ossigeno (necessario allo svolgersi delle reazioni metaboliche che rendono disponibile energia per i diversi processi vitali) e cede a essa anidride carbonica (uno dei prodotti terminali del metabolismo). In questo processo si possono distinguere tre fasi:

- scambio dei gas respiratori ossigeno e anidride carbonica tra l’organismo e l’ambiente a livello delle strutture dell’apparato respiratorio (r. esterna)

- trasporto dei gas respiratori ai diversi tessuti attraverso la circolazione del sangue

- scambi gassosi tra cellule e liquidi intercellulari (r. interna). Il passaggio e il continuo rinnovo dell’aria nelle cavità dell’apparato respiratorio sono determinati da movimenti ritmici e automatici di espansione e di riduzione della cavità toracica, dipendenti dalla contrazione del diaframma e di diversi altri muscoli che si inseriscono sulle coste. L’atto respiratorioNella inspirazione si ha l’aumento di volume della cavità toracica e ciò comporta il passaggio di aria nell’albero respiratorio l’opposto si verifica nella espirazione. L’insieme di una inspirazione e di una espirazione costituisce l’atto respiratorio. L’inspirazione è un processo attivo che dipende dalla contrazione di muscoli i polmoni seguono in modo passivo l’aumento di volume del torace e si espandono. L’espirazione invece, in condizione di r. tranquilla, è passiva: infatti dipende essenzialmente dalla elasticità dei polmoni, che tendono a retrarsi. I movimenti inspiratori ed espiratori determinano variazioni di pressione dell’aria contenuta nelle cavità dell’apparato: come conseguenza si ha il passaggio di aria dall’ambiente nei polmoni e viceversa. Il volume d’aria dell’atto respiratorioIn condizioni di riposo si hanno 12-15 atti respiratori al minuto e a ogni atto vengono inspirati ed espirati 500 ml ca. di aria (aria o volume corrente), corrispondenti a ca. 6 l al minuto quest’ultimo valore indica la ventilazione polmonare o volume/minuto. La quantità massima di aria che dopo una inspirazione normale può essere ancora introdotta nei polmoni con una inspirazione forzata è di 2000-3000 ml (volume di riserva inspiratoria o aria complementare). Anche dopo una espirazione normale si può, con un atto espiratorio forzato, espellere altra aria, per una quantità di 1000-1500 ml (volume di riserva espiratoria o aria supplementare). La somma del volume di aria corrente, di quello di riserva inspiratoria e di quello di riserva espiratoria costituisce la capacità vitale il suo valore è compreso tra 3500 e 5000 ml. Anche dopo una espirazione forzata tuttavia permane una certa quantità di aria nell’apparato respiratorio questa quantità è detta volume residuo e ammonta a 1000 ml ca. La somma della capacità vitale e del volume residuo dà la capacità totale, che è di 6000 ml ca. I meccanismi regolatoriIl succedersi regolare degli atti respiratori e la loro profondità sono regolati da meccanismi nervosi che dipendono dal centro respiratorio nel tronco dell’encefalo. Da qui si generano gli impulsi ritmici che provocano la contrazione dei muscoli respiratori. Il centro respiratorio funziona come un centro riflesso e viene influenzato da vari tipi di stimoli.Innanzitutto stimoli chimici, rappresentati dalle variazioni nella pressione parziale dell’ossigeno e dell’anidride carbonica, e dalla concentrazione degli ioni idrogeno nel sangue: essi agiscono su strutture chemorecettrici situate nel bulbo dell’encefalo (in prossimità del centro respiratorio) e nell’apparato circolatorio (nei glomi carotidei, nei glomi aortici). L’attività del centro respiratorio è inoltre influenzata, per via nervosa, da impulsi originati nelle vie aeree e nei polmoni (per es. in conseguenza della distensione o della desufflazione dei polmoni, o per irritazione delle mucose respiratorie), nei propriocettori dei muscoli respiratori, nei recettori sensibili alle variazioni della pressione arteriosa situati nel seno carotideo e nell’arco aortico. Tutti questi stimoli influenzano la frequenza e la profondità degli atti respiratori in modo che il livello dell’ossigeno e quello dell’anidride carbonica nel sangue vengano mantenuti entro certi limiti, affinché lo scambio dei gas sia adeguato alle necessità metaboliche dell’organismo. Una riduzione dell’ossigeno o un aumento dell’anidride carbonica stimolano il centro respiratorio, che aumenta la ventilazione polmonare il centro respiratorio può essere influenzato anche da impulsi provenienti da centri nervosi superiori: la frequenza e la profondità del respiro si possono modificare con la volontà, o possono variare in rapporto a stati d’ansia o a sensazioni dolorifiche. La regolazione dell’attività respiratoria è correlata al controllo di altre funzioni dalle quali dipende l’omeostasi dell’ambiente interno: circolazione sanguigna, termoregolazione, metabolismo, bilancio idroelettrolitico.

- A livello degli alveoli polmonariIl passaggio dei gas respiratori dall’aria alveolare al sangue e viceversa dipende unicamente dalle differenze di pressione parziale di ciascun gas.
Così per quanto riguarda l’ossigeno la sua pressione parziale negli alveoli polmonari è di ca. 100 mm/Hg, mentre nel sangue venoso che circola nei capillari addossati alla parete degli alveoli essa è di 40 mm/Hg: ciò comporta il rapido passaggio dell’ossigeno nel sangue. Per l’anidride carbonica si ha l’inverso, dato che la sua pressione parziale nel sangue che giunge ai polmoni è di 46 mm/Hg, mentre nell’aria alveolare essa è di 40 mm/Hg. La velocità con cui i gas respiratori diffondono attraverso la parete alveolare dipende anche dalla solubilità del gas nel sangue, dalla sua densità, dall’area di superficie alveolare disponibile e dallo spessore della parete alveolare.La diffusione dei gas respiratori attraverso la superficie degli alveoli è facilitata dal continuo rinnovo dell’aria alveolare.

- Nel sangueL’ossigeno si trova in minima parte (0,3%) disciolto nel plasma il rimanente è legato all’emoglobina dei globuli rossi. A livello dei polmoni, l’emoglobina lega in modo labile l’ossigeno e diventa ossiemoglobina, mentre a livello dei tessuti essa cede l’ossigeno e si trasforma in emoglobina ridotta. Fattori che possono influenzare l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno sono il pH, la temperatura, la pressione parziale dell’anidride carbonica, la concentrazione degli elettroliti e quella dell’acido difosfoglicerico nel sangue. Per quanto riguarda l’anidride carbonica, questa è trasportata dal sangue sotto diverse forme: l’8% è disciolta nel plasma e nei globuli rossi la quantità più cospicua (65%) è trasportata sotto forma di bicarbonati (bicarbonato di sodio nel plasma, bicarbonato di potassio nei globuli rossi) formati dalla reazione dell’anidride carbonica con l’acqua la quota rimanente (27%) si lega ai gruppi amminici dell’emoglobina e delle proteine plasmatiche.

- A livello dei tessutiGli scambi gassosi avvengono, come a livello degli alveoli polmonari, in relazione alle differenze di pressione parziale dei singoli gas respiratori. Il consumo di ossigeno in un soggetto adulto in condizioni di riposo è di ca. 250 ml/minuto e può salire sino a 2-3 l/minuto in condizioni di sforzo muscolare. La produzione di anidride carbonica è, a riposo, di ca. 200 ml/minuto. Il rapporto tra anidride carbonica prodotta e ossigeno consumato è il quoziente respiratorio. PatologiaIn condizioni patologiche la funzione della r. può risultare in vario modo alterata con una deficienza di ossigeno a livello dei tessuti (ipossia o anossia). L’evenienza più comune si verifica per insufficiente ossigenazione del sangue nei polmoni (ipossia ipossica o anossia anossica) e può dipendere da diminuzione della tensione di ossigeno nell’aria (r. ad altitudini elevate) o da varie malattie la cui conseguenza è un’insufficiente quantità di ossigeno agli alveoli. In altri casi la ventilazione non è uniforme in rapporto al flusso sanguigno, o viene ostacolato il passaggio dell’ossigeno dagli alveoli ai capillari. Spesso più di una di queste condizioni agiscono contemporaneamente. L’ipossia può essere dovuta anche a diminuita capacità al trasporto dell’ossigeno da parte del sangue (ipossia o anossia anemica): questo per esempio si ha nelle anemie (per la riduzione della quantità di emoglobina) o quando l’emoglobina viene parzialmente trasformata in un composto più stabile e non adatto al trasporto dell’ossigeno (come nel caso di avvelenamento da ossido di carbonio o da sostanze metaemoglobinizzanti). Ipossia si determina anche in tutte le condizioni che comportano un rallentamento della circolazione (come nello shock, nel collasso, nella insufficienza cardiaca congestizia, nei vizi valvolari della mitrale) con congestione del circolo polmonare o di altri distretti circolatori (ipossia o anossia stagnante). Il rallentamento della circolazione nei capillari facilita la cessione di ossigeno ai tessuti così che aumenta la quantità di emoglobina ridotta. Quando la sua concentrazione nel sangue capillare supera il 5% compare una colorazione bluastra diffusa alla cute e alle mucose, che viene denominata cianosi. Altri sintomi che compaiono frequentemente nei disturbi della r. sono la dispnea e le alterazioni del ritmo respiratorio (accelerazione della frequenza degli atti respiratori o tachipnea accelerazione della frequenza e della profondità o iperpnea rallentamento della frequenza del respiro o bradipnea alterazioni del ritmo degli atti respiratori, come nel respiro periodico).

RESPIRAZIONE ARTIFICIALE

Insieme delle tecniche rianimatorie che permettono di mantenere l’ossigenazione del sangue in un soggetto che, per una causa patologica, è incapace di un’attività respiratoria spontanea .I metodi di r. artificiale sono numerosi e si possono dividere in due gruppi all’interno dei quali sono comprese differenti tecniche: le manovre di pronto soccorso, manuali e non l’impiego dei respiratori meccanici (vedi RIANIMAZIONE).

RESTRINGIMENTO

vedi STENOSI

RETICOLARE, tessuto

Tipo di tessuto connettivo composto in gran parte da fibre reticolari, che formano un intreccio molto fitto e delicato nel quale si trovano cellule dette cellule reticolari. Le fibre reticolari sono molto sottili, di diametro variabile da 1000 Å (angstrom)… a 1,5mm, e sono evidenziabili nei preparati istologici con metodi di colorazione che sfruttano l’affinità delle fibre stesse per i sali d’argento.Ogni singola fibra risulta costituita da numerose fibrille, individuabili soltanto con il microscopio elettronico, che hanno un diametro di 100-500 Å…. Le fibre reticolari più spesse hanno una struttura simile a quella delle fibre collagene.Le cellule reticolari sono elementi di forma irregolare, con citoplasma ramificato esse sono intimamente associate allo stroma formato dalle fibre reticolari e sono unite tra di loro per mezzo di prolungamenti cellulari. Tali cellule sono dotate di capacità fagocitarie, e vengono considerate una componente essenziale del sistema reticoloendoteliale una importante funzione, almeno di una parte delle cellule reticolari, si svolge nell’ambito delle reazioni immunitarie e consiste nel trattenere sulla propria superficie sostanze dotate di potere antigene per facilitarne il contatto con i linfociti. Il tessuto r. costituisce l’impalcatura di sostegno degli organi linfoidi (linfonodi, milza, timo, tonsille) e del midollo emopoietico.

RETICOLO SARCOPLASMATICO

Complesso di vescicole derivate dal reticolo endoplasmatico della fibra muscolare striata. Il r. sarcoplasmatico è parte integrante dell’apparato di stimolazione della fibra muscolare: al passaggio dell’impulso di contrazione, infatti, il r. sarcoplasmatico diventa molto più permeabile ad alcuni ioni, specialmente al calcio, la cui presenza è essenziale per l’inizio della contrazione.

RETICOLOSARCOMA

Tumore maligno che insorge a livello dei tessuti linfatici e, più raramente, anche a carico di cute, ossa, tubo digerente, derivato da cellule reticolari. Tali tumori sono rari: la maggior parte dei casi una volta così classificati (quando si riteneva che le cellule reticolari costituissero elementi progenitori dei linfociti) sono oggi considerati neoplasie delle cellule della serie linfatica, e classificati come linfomi.

RETINA

Membrana dell’occhio nella quale sono contenuti i recettori per la luce, le cellule cioè capaci di trasformare uno stimolo di natura luminosa in un impulso nervoso che, attraverso le fibre del nervo ottico, viene trasmesso ai centri del sistema nervoso centrale. La r. è la più interna delle tre tuniche o membrane di cui risulta costituito il bulbo oculare ha uno spessore di 0,1 mm nella sua parte anteriore, di 0,4 mm nella parte posteriore è accollata alla coroide, alla quale aderisce più strettamente in avanti, a livello dell’equatore del bulbo oculare. La r. è una struttura di derivazione nervosa: essa prende origine, nel corso dello sviluppo embrionale, da una evaginazione a forma di vescicola che si differenzia ad entrambi i lati dal diencefalo (vescicola ottica). La vescicola, che rimane collegata al sistema nervoso centrale per mezzo di un peduncolo, si invagina poi a formare un calice (calice ottico) a doppia parete: lo strato interno diventerà la parte fotosensibile della r. la parete esterna del calice ottico diventa un epitelio pigmentato che assorbe i raggi luminosi dopo che questi hanno attraversato la parte fotosensibile della r., evitando così diffrazioni e riflessioni dell’immagine. La porzione fotosensibile della r. consta essenzialmente di tre strati di cellule:

- lo strato dei fotorecettori, più esterno e a contatto dell’epitelio pigmentato sono cellule nervose particolarmente differenziate e specializzate, e sono di due tipi: i bastoncelli, sottili e cilindrici, e i coni, meno lunghi. Queste cellule specializzate sono disposti con l’asse maggiore perpendicolare alla superficie retinica e sono formati da una parte o articolo esterno, contenente il pigmento visivo fotosensibile, e da un articolo interno. L’articolo esterno dei bastoncelli ha forma cilindrica e allungata, mentre quello dei coni è più corto e piramidale. I coni rispondono alla luce diurna e sono responsabili della visione distinta e del riconoscimento dei colori. I bastoncelli sono responsabili della visione in condizioni di scarsa illuminazione, ma non consentono la discriminazione delle varie lunghezze d’onda della luce e quindi dei colori. I bastoncelli sono più numerosi dei coni, che sono maggiormente presenti al polo posteriore. A livello della foveola sono presenti circa 2500 coni, ma nessun bastoncello. Nell’uomo si calcola vi siano ca. 6 milioni di coni e 120 milioni di bastoncelli per ogni occhio. I coni sono rari alla periferia della r. e sono invece particolarmente numerosi nel punto in cui converge il fuoco dei raggi luminosi: in questa regione, che corrisponde alla zona di maggiore acutezza visiva, la r. presenta un’area pigmentata di colore giallastro (macula lutea), centrata da una lieve depressione (fovea centralis)

- lo strato delle cellule nervose bipolari che prendono contatto da un lato con i fotorecettori e dall’altro con le cellule nervose dello strato più profondo .

- lo strato delle cellule gangliari (che è appunto lo strato più profondo), dalle quali prendono origine le fibre nervose dirette al sistema nervoso centrale, che costituiscono il nervo ottico. La regione della r. in cui le fibre nervose confluiscono per formare il nervo ottico prende il nome di papilla ottica: qui la r. è priva di fotorecettori, ed è quindi insensibile agli stimoli luminosi (macula cieca). Oltre ai tre strati di cellule descritti vengono individuati nella r. anche strati di fibre nervose, che collegano tra loro le cellule nervose ed i fotorecettori. A 25 mm ca. dal nervo ottico la r. si assottiglia, i suoi diversi strati non sono più distinguibili, ed essa si trasforma in un semplice epitelio che riveste il corpo ciliare e la faccia posteriore dell’iride. L’attività funzionale della r. dipende dalla presenza, nei coni e nei bastoncelli, di particolari pigmenti: questi, sotto l’azione della luce, subiscono modificazioni biochimiche che danno l’avvio all’impulso nervoso. Il più noto di questi pigmenti è la rodopsina, contenuta nei bastoncelli uno dei pigmenti dei coni è la iodopsina.La patologia. La r. può essere interessata da anomalie malformative congenite, processi infiammatori (retinite), alterazioni degenerative determinate da disturbi metabolici, o da disturbi di circolo (retinopatia), tumori (gliomi, angiomi, retinoblastoma), alterazioni circolatorie (emorragie, ischemie, iperemie).
Frequenti sono anche i disturbi funzionali, indipendenti cioè da documentabili alterazioni anatomiche, che si possono manifestare con sintomi vari, quali scotomi, restringimento del campo visivo, riduzione del visus, comparsa di “mosche volanti”.Una conseguenza di diverse affezioni retiniche può essere il distacco della r., che può essere determinato anche da traumi tale condizione, se non trattata con urgenza, porta all’atrofia della r. ed alla perdita della sua funzione visiva.Sono attualmente in atto ricerche volte alla rigenerazione e al trapianto di r. Vengono sperimentati trapianti totali di r. fetale, trapianti di epitelio pigmentato (che potrebbe rivelarsi utile nella rigenerazione della r.) e trapianti parziali o addirittura di singole cellule.

RETINITE

Processo infiammatorio che interessa la retina. Può essere primitivo, oppure secondario a una malattia infettiva generalizzata, con impianto nella retina di microrganismi trasportati dalla corrente sanguigna (vedi CORIORETINITE). Una r. può essere determinata da diverse specie di batteri, da virus, da protozoi (per es. Toxoplasma), da funghi, e anche da vermi parassiti. Frequentemente il processo infiammatorio interessa anche la coroide (corioretinite) comporta la distruzione di zone più o meno estese di tessuto retinico, che viene poi sostituito da tessuto fibroso cicatriziale, responsabile a volte di aderenze tra coroide e retina, o di retrazioni dell’umor vitreo con possibile distacco della retina stessa.

Sintomi
In tutte le retiniti il sintomo principale è costituito da una diminuzione del visus e da disturbi a carico della visione.

Diagnosi
È importante l’esame oftalmoscopico, ed eventualmente l’elettroretinografia.

Terapia
Dipende dalla causa in gioco.Il termine r. viene impropriamente usato per indicare processi patologici della retina non di natura infiammatoria per i quali si utilizza con maggior proprietà il termine di retinopatia.

RETINOBLASTOMA

Raro tumore maligno dell’occhio, che insorge nell’infanzia ed è costituito da tessuto nervoso della retina con aspetto immaturo, embrionale.È un tumore maligno infantile che deriva dalla retina immatura colpisce circa 1 bambino ogni 20.000 nati vivi e da solo rappresenta il 2% dei tumori maligni infantili. Il r. è bilaterale in un terzo dei casi. Una caratteristica del r. è la ereditarietà nel 10% dei casi. Tutta la prole di questi soggetti e di quelli con forme bilaterali è affetta dal tumore, che in questi casi viene trasmesso come carattere dominante il restante 60% ha una malattia monolaterale generalmente non ereditaria.

Cause
Recenti studi di genetica hanno evidenziato in alcuni soggetti affetti da r. la delezione (cioè la perdita) di un segmento del braccio lungo del cromosoma 13: si tratta pertanto del primo caso scoperto di tumore maligno geneticamente determinato.

Quadro clinico
All’esame del fondo oculare, il r. si presenta con bozze retiniche singole o multiple di colore grigio-biancastro caratteristica è la possibile presenza di masse tumorali libere nel vitreo. La diffusione del tumore è in parte ritardata dalla sua tendenza alla necrosi, con calcificazioni visibili anche oftalmoscopicamente, oltre che con la TAC. Nel suo accrescimento esso determina distacco della retina e tende poi a infiltrare e a distruggere le strutture oculari e il nervo ottico, dando metastasi nel sistema nervoso centrale, raggiunto attraverso il nervo ottico, e il midollo osseo polmoni e fegato sono sedi meno frequenti.

Diagnosi
La diagnosi è precoce nei soggetti nei quali lo si sospetti per la storia familiare negli altri casi avviene invece verso i 2-3 anni, quando compare un riflesso biancastro alla pupilla (leucocoria o “riflesso a occhio di gatto”), oppure durante gli accertamenti per uno strabismo.

Terapia
La terapia è efficace in oltre il 90% dei casi senza metastasi ed è chirurgica con enucleazione del globo oculare in caso di r. unilaterale al IV-V stadio o di r. bilaterale ma solo a carico del bulbo oculare più estesamente interessato. Si propone la radioterapia come unico trattamento in pazienti al I, II e III stadio come supporto nei pazienti trattati con terapia chirugica negli stadi IV e V. La chemioterapia si usa nei pazienti in stadio V o con metastasi.

RETINOPATIA

Termine generico che indica una malattia della retina di natura non infiammatoria, quali: i diversi tipi di alterazioni degenerative dell’età senile, secondari a disturbi trofici del tessuto retinico in rapporto all’invecchiamento le degenerazioni retiniche a carattere ereditario e familiare, in rapporto a disturbi metabolici del tessuto retinico determinati geneticamente o a malattie generali del metabolismo (come per esempio in alcune lipidosi) le affezioni retiniche legate a disturbi o a malattie vascolari (per esempio r. diabetica, ipertensiva, da panarterite nodosa, da trombosi dei vasi retinici), e altre forme ancora, non chiaramente inquadrate in un capitolo preciso.L’esame diagnostico di primo livello per questo gruppo di patologie è l’esame oftalmoscopico del fundus oculi, eventualmente completato da esami più specifici (per es. la campimetria, la fluoroangiografia retinica per i disturbi di natura vascolare, l’elettroretinogramma per i disturbi con alterata conduzione nervosa degli stimoli visivi, etc.).

RETINOPATIA ARTERIOSCLEROTICA

Negli anziani lo strato muscolare della parete arteriosa si sclerotizza, per cui il vaso assume un decorso meno flessuoso e il lume si restringe. A livello retinico questi fenomeni involutivi interessano l’arteria centrale e le sue branche maggiori che presentano una parete di riflesso metallico, dapprima “a filo di rame” per accentuazione del riflesso assiale, poi “a filo d’argento” in seguito al restringimento generalizzato del lume. Gli incroci arterovenosi patologici sono un segno caratteristico di arteriosclerosi. Inizialmente l’arteria sembra interrompere la vena (segno di Gunn), poi quest’ultima assume un decorso a “S” italica (segno di Salus). Il lume venoso risulta realmente ridotto quando a monte dell’incrocio si osserva una dilatazione venosa (segno di ingorgo) e ancor più quando si associa uno screzio emorragico (segno di pretrombosi). Se la perfusione capillare diventa insufficiente, si manifestano anche chiari segni di sofferenza retinica quali essudati duri puntiformi, microemorragie, modesto edema maculare. La prognosi funzionale è condizionata dal rischio di complicanze acute, quali occlusioni venose e arteriose retiniche in loro assenza il decorso è lentamente progressivo. Un’interessante considerazione da fare è che l’arteriosclerosi retinica riflette abbastanza fedelmente lo stato della circolazione cerebrale, ma meno quello di altri distretti come, per esempio, quello cardiaco.

Terapia
Il trattamento farmacologico si sovrappone a quello instaurato dall’internista per l’arteriosclerosi sistemica in caso di occlusioni vascolari si utilizzano agenti antiaggreganti piastrinici.

RETINOPATIA DEL PREMATURO

È una retinopatia proliferante che colpisce quasi esclusivamente neonati prematuri, con peso alla nascita inferiore a 1300 grammi e sottoposti nell’incubatrice ad alte pressioni di ossigeno. La sua comparsa dipende dall’effetto tossico dell’ossigeno sui vasi retinici immaturi, soprattutto sul lato temporale della retina. Particolarmente esposti sono i neonati di peso inferiore a 1000 grammi, la cui sopravvivenza oggi è spesso possibile, ma nei quali l’incidenza della r. supera l’80%. Nell’80% dei casi la malattia ha una risoluzione spontanea, nel 20% residuano invece esiti cicatriziali di varia gravità che in qualche caso, soprattutto nei prematuri più piccoli, possono portare alla cecità completa. La r. del prematuro si manifesta quasi sempre nelle prime 9 settimane di vita e la sua evoluzione richiede qualche settimana, anche se in alcuni casi sono sufficienti pochi giorni. La malattia è bilaterale, ma non necessariamente i due occhi hanno lesioni di uguale gravità.

Quadro clinico
Nel 1984 un comitato internazionale ha stabilito una classificazione evolutiva della r. del prematuro attraverso cinque stadi che, con poche modifiche, è ancora in uso e si è dimostrata fondamentale per stabilire le indicazioni al trattamento:- Stadio 1: la retina periferica immatura e non vascolarizzata appare separata dalla retina posteriore vascolarizzata da una linea bianco-grigia parallela all’ora serrata e sulla quale si inseriscono vasi anomali.- Stadio 2: la linea di demarcazione diviene una cresta rilevata, che corrisponde a uno shunt (letteralmente corto-circuito), di tessuto connettivale immaturo tra arterie e vene, cioè il tessuto mette in connessione i due vasi sanguigni. Posteriormente alla cresta si sviluppano ciuffi isolati di neovasi.- Stadio 3: la cresta diventa rossa e rugosa in conseguenza di una marcata proliferazione fibrovascolare i vasi retroequatoriali sono dilatati e tortuosi possono essere presenti manifestazioni emorragiche retiniche e vitreali.- Stadio 4: l’ulteriore proliferazione fibrogliale causa un distacco retinico trazionale, che dalla periferia progredisce verso il polo posteriore.- Stadio 5: il distacco di retina è totale.Alla fase attiva segue la fase cicatriziale, durante la quale la retina completamente distaccata tende a chiudersi a imbuto e il vitreo subisce una organizzazione fibrotica. Nelle ultime fasi la retina si porta dietro al cristallino, dal quale è separata da un tessuto fibrovascolare: questi fenomeni sono responsabili del colore bianco della pupilla (leucocoria). Questa fase terminale è stata in passato denominata fibroplasia retrolentale, associata a cataratta complicata e glaucoma secondario. In altri casi la fase cicatriziale è meno devastante, limitata alla comparsa di bande fibrose nella periferia temporale, che tuttavia possono stirare la retina e la papilla verso la loro sede.

Terapia
Il trattamento della fase attiva è ancora oggetto di studi clinici, soprattutto nelle fasi precedenti il distacco di retina, in ragione dell’alto numero di risoluzioni spontanee. Nello stadio 3 il criotrattamento dall’esterno mediante applicazione sulla sclera di una sonda fredda (criosonda) in corrispondenza della retina avascolare sembra utile al fine di ottenere la cicatrizzazione alcuni operatori ottengono risultati simili con la fotocoagulazione laser ad argon, ma in questo caso la tecnica presenta delle difficoltà di esecuzione. Il distacco di retina viene trattato chirurgicamente con le tecniche tradizionali di piombaggio episclerale o con la vitrectomia in rapporto alle caratteristiche del caso. A volte è possibile riappianare la retina anche in caso di fibroplasia retrolentale attraverso complessi interventi di chirurgia vitreoretinica, ma in questi casi il risultato funzionale è limitato alla percezione della luce.

RETINOPATIA DIABETICA

La retinopatia diabetica è una delle complicanze croniche del diabete mellito, e da alcuni decenni è diventata la prima causa di cecità nella fascia di età compresa tra i 20 e i 65 anni. La durata del diabete e la qualità del suo compenso metabolico rappresentano i principali fattori di rischio per l’insorgenza della r. diabetica. Se il diabete è insorto prima dei 30 anni di età (come avviene generalmente nel diabete insulino-dipendente o di tipo 1), a 5 anni dalla diagnosi sono presenti lesioni retiniche nel 17% dei casi, mentre dopo 15 anni sono presenti in oltre il 95% dei casi. Quando invece il diabete è comparso dopo i 30 anni (in pratica nelle forme non insulino-dipendenti o di tipo 2), le percentuali sono rispettivamente del 29 e del 78%. I casi più gravi di r. diabetica si manifestano soprattutto dopo 10 anni dalla diagnosi dopo 20 anni circa la metà dei pazienti presenta forme evolute della malattia retinica. È stato ipotizzato che i pazienti che non abbiano sviluppato complicanze retiniche entro 20-25 anni dalla diagnosi di diabete appartengano a una sottopopolazione protetta geneticamente. Nonostante la grande quantità di ricerche condotte, non esistono ancora dati conclusivi sulla patogenesi della r. diabetica, che viene comunque inquadrata tra le complicanze microangiopatiche del diabete.

Quadro clinico
Quale che sia la patogenesi della microangiopatia diabetica a livello retinico, la sua evoluzione avviene attraverso gli usuali meccanismi dell’edema e dell’ischemia. Le prime lesioni clinicamente rilevabili con l’esame oftalmoscopico del fondo oculare sono i microaneurismi (dilatazioni dei vasi), la cui comparsa anche in poche unità testimonia l’esordio della complicanza. La successiva evoluzione può richiedere anche molti anni, durante i quali le lesioni sono dapprima confinate nello spessore retinico, ma successivamente interessano anche la camera vitrea. Su questa evidenza si fonda la tradizionale classificazione della r. diabetica in forma non proliferante o background e in forma proliferante. L’esame maggiormente informativo sull’evoluzione della r. diabetica è la fluorangiografia retinica, perché documenta le sedi di essudazione dai vasi, la localizzazione delle zone edematose, la presenza ed estensione delle aree ischemiche, l’esistenza di anomalie microcircolatorie intraretiniche e di neovascolarizzazioni. In rapporto al tipo prevalente di danno del microcircolo, la r. diabetica può anche essere classificata in forma edematosa e forma ischemica la r. proliferante costituisce l’evoluzione di quest’ultima.Nella r. diabetica non proliferante di tipo edematoso la maggior parte delle lesioni è concentrata al polo posteriore: microaneurismi, emorragie intraretiniche, essudati duri ed edema maculare. È principalmente quest’ultimo, quando coinvolge la fovea, a causare una riduzione dell’acutezza visiva, soprattutto nei diabetici non insulino-dipendenti. In questi casi si parla di maculopatia diabetica edematosa, che può essere di tipo focale o diffuso. La prima, meno grave, è dovuta all’essudazione localizzata da microaneurismi e capillari dilatati, in vicinanza dei quali si trovano chiazze o corone di essudati duri. Nella forma diffusa, l’essudazione è generalizzata a tutti i capillari della regione maculare nei casi più gravi la cronicità dell’edema provoca un danno tessutale permanente per la formazione di spazi intraretinici microcistici in sede foveale (edema maculare cistoide).Un particolare sottogruppo delle forme non proliferanti è costituito dai casi nei quali sono presenti all’esame fluorangiografico estesi territori ischemici nella media periferia retinica, spesso associati a grappoli di microaneurismi. Questi casi sono definiti come r. diabetica preproliferante a causa del rischio elevato di sviluppare neovascolarizzazioni. Un segno oftalmoscopico caratteristico di questa forma è la comparsa di essudati cotonosi.La r. diabetica proliferante è caratterizzata dalla comparsa di nuovi vasi ai margini delle aree ischemiche maggiori (neovasi retinici) e della papilla ottica (neovasi papillari), probabilmente stimolata da un fattore vasoproliferativo locale liberato dalla retina in risposta all’ischemia. La r. proliferante è l’evoluzione più temuta della r. diabetica e, tra i 10 e i 20 anni dalla diagnosi, interessa circa un quinto dei diabetici, soprattutto di tipo insulino-dipendente. I neovasi crescono sulla superficie retinica e sulla ialoide accompagnati da una trama connettivale che inizialmente è esile e trasparente, ma in seguito diviene opaca e fibrosa. La loro parete è fragile per cui facilmente, anche in modo spontaneo, possono verificarsi emorragie. Se non associata a maculopatia, la r. diabetica proliferante non dà sintomi fino alla prima emorragia. Il sangue può raccogliersi nello spazio tra retina e ialoide (emorragia preretinica o retroialoidea), oppure infarcire direttamente il gel del corpo vitreo (emovitreo) il riassorbimento del sangue richiede qualche mese. Un ruolo importante nell’ulteriore progressione della r. proliferante è svolto dal corpo vitreo, perché le proliferazioni fibrovascolari aderiscono sia alla retina sia alla ialoide.
Il sangue delle emorragie scolla queste due strutture, ma i ponti costituiti dalle proliferazioni fibrovascolari rendono incompleto il distacco del corpo vitreo. La sua progressione, associata alla trasformazione fibrotica delle membrane proliferanti, è causa di trazioni sulla retina, che con il tempo si stacca (distacco trazionale di retina). La r. diabetica proliferante è detta in fase florida, quando c’è attivo sviluppo di neovasi con emorragie recidivanti in fase fibrogliale, quando predominano i fenomeni cicatriziali con il distacco trazionale. La storia naturale della r. diabetica può anche concludersi con il glaucoma neovascolare, quando l’estensione dell’ischemia è tale che compaiono neovasi anche sulla superficie dell’iride e nell’angolo irido-corneale.

Terapia
Il trattamento dipende dallo stadio evolutivo. Non esiste attualmente un trattamento medico sicuramente efficace al di là di un buon controllo metabolico della malattia diabetica. I progressi maggiori sono stati ottenuti con la fotocoagulazione laser e con la chirurgia vitreoretinica, la cui efficacia è stata dimostrata attraverso studi clinici controllati. Per quanto riguarda la fotocoagulazione laser, l’uso del laser ad argon nel trattamento della r. diabetica si è diffuso a partire dalla metà degli settanta, ma è stato necessario almeno un decennio per stabilire le modalità ottimali di trattamento e le indicazioni. Attualmente è possibile intervenire sulla maculopatia diabetica edematosa, sulle forme preproliferanti più gravi e sulla r. proliferante in fase florida. Nella maculopatia edematosa il trattamento è diverso a seconda che l’edema sia focale o diffuso: nel primo caso si fotocoagulano direttamente le sedi di essudazione evidenziate con la fluorangiografia, nel secondo si esegue un trattamento a griglia su tutta la regione maculare, con esclusione della sola fovea. In entrambi i casi si ottiene una evidente regressione dell’edema e il riassorbimento degli essudati duri, ma l’eventuale riduzione visiva non sempre viene recuperata. Una estesa fotocoagulazione della periferia retinica consente, in un’elevata percentuale di casi, la regressione delle neovascolarizzazioni nella r. diabetica proliferante. Questo trattamento, denominato fotocoagulazione panretinica, viene eseguito in alcune sedute e consiste nell’applicazione sulla retina di 1500-2000 impatti laser di 0.5 millimetri di diametro, distanziati l’uno dall’altro di uno spazio corrispondente al loro diametro. La fotocoagulazione panretinica può provocare un aumento, in genere modesto, dell’eventuale edema maculare associato, ma è efficace nella maggior parte dei casi a stabilizzare la malattia ottenendo entro 2 mesi la regressione parziale o totale dei vasi neoformati. A distanza di due mesi dalla fotocoagulazione, è opportuno un controllo fluorangiografico per valutare la risposta al trattamento e decidere se è necessario completarlo o ripeterlo. Per quanto riguarda la chirurgia vitreoretinica, la possibilità di operare l’occhio dall’interno è divenuta concreta dagli anni ‘80, quando la tecnologia ha reso disponibili affidabili sistemi di taglio e rimozione del vitreo. La vitrectomia è indicata sia in caso di emovitreo persistente, per poter rimuovere il sangue e procedere alla fotocoagulazione panretinica, sia di distacco di retina trazionale. Questo è il caso più complesso, perché bisogna liberare la retina dalle trazioni che la sollevano sezionando e asportando, oltre al vitreo, anche le membrane fibrovascolari.

RETINOPATIA TRAUMATICA

I traumi oculari possono essere:

- perforanti, se l’agente causale (per esempio, una piccola scheggia di vetro o di metallo) è penetrato nel bulbo

- contusivi, quando l’agente causale si è limitato a deformare temporaneamente l’occhio, senza determinare lesioni della superficie.

I traumi perforanti provocano non di rado effetti devastanti sul bulbo, con quadri complessi di cataratta traumatica e distacco di retina, oltre al rischio di infezioni molto gravi. Il trattamento d’urgenza prevede la rimozione del corpo estraneo, se affiorante l’asportazione dell’eventuale cataratta traumatica da perforazione del cristallino una prima ricostruzione delle strutture lesionate e la sutura della ferita. Successivamente si procederà, in rapporto al caso, al trapianto di cornea (se opacata), all’impianto di cristallino artificiale (se è stata estratta una cataratta traumatica), alla chirurgia vitreo-retinica (se il corpo estraneo è ancora in camera vitrea o se è presente distacco di retina). L’insieme di queste procedure costituisce un complicato iter chirurgico che può consentire di salvare anatomicamente e funzionalmente occhi che in passato dovevano spesso essere enueleati (asportati). I traumi contusivi (non perforanti), sono seguiti nelle prime 24 ore da un edema retinico esteso all’equatore del fondo dell’occhio o ad altre zone, tra cui la macula. Questa condizione, denominata commotio retinae di Bertin, si manifesta con chiazze biancastre associate a emorragie quando è coinvolto il polo posteriore, c’è una grave riduzione visiva. Entro 1-2 settimane il quadro regredisce con recupero funzionale, ma le forme maculari possono condurre successivamente alla formazione di un foro lamellare e successivamente di un vero foro maculare.La r. traumatica di Purtscher è, invece, una complicanza oculare di gravi traumi contusivi del capo o toraco-addominali. La causa non è ben chiarita. Al fondo dell’occhio compaiono emorragie ed essudati che, in rapporto al coinvolgimento della macula, possono provocare una riduzione visiva. Nel giro di qualche mese, emorragie ed essudati vengono riassorbiti, ma frequentemente permane una perdita di acutezza visiva. Tra le retinopatie traumatiche può essere inserito anche il fototraumatismo maculare che colpisce chi osservi direttamente il sole (come Galileo dopo l’invenzione del telescopio, ma anche chi osservi le eclissi di sole senza protezione, oppure fissi il sole per credenze religiose). Dopo l’osservazione, compare uno scotoma (area di non visione) centrale di minima ampiezza, dovuto all’edema della fovea come effetto del riscaldamento (non si dimentichi che il sistema diottrico oculare è centrato proprio sulla fovea). Nei casi meno gravi la sintomatologia regredisce nelle settimane successive, durante le quali si somministrano antinfiammatori cortisonici. La r. da raggi, conseguente all’irradiazione terapeutica o accidentale dell’occhio, è una r. edematoso-essudativa che presenta analogie di aspetto con la r. diabetica background evolve verso l’atrofia dell’epitelio pigmentato e l’atrofia ottica da lesione del nervo ottico.

RETINOPATIA VASCOLARE

Molte malattie della retina sono la diretta conseguenza di stati patologici dei vasi retinici in relazione sia a cause generali (diabete, arteriosclerosi, ipertensione ecc.) sia locali (malformazioni ecc.). Le modalità con cui un’alterazione dei vasi retinici, di qualunque origine, provoca una r., ovvero la sofferenza delle cellule nervose retiniche, sono principalmente due: l’essudazione e l’ischemia. L’essudazione è dovuta all’aumento della permeabilità delle pareti dei vasi, soprattutto dei capillari, per cui si stabilisce un passaggio di liquido e proteine plasmatiche verso il tessuto retinico. L’occlusione progressiva del lume vascolare a livello del microcircolo, cioè dei capillari e dei vasi minori, comporta la riduzione dell’apporto di sangue alla retina (ischemia). In queste forme l’esame del fondo dell’occhio rivela la presenza di segni caratteristici quali:

- alterazioni del calibro vasale, soprattutto restringimenti arteriosi diffusi o segmentari e dilatazione venosa

- alterazioni del decorso vasale, come un percorso rettilineo di arterie e arteriole o una tortuosità venosa

- opacizzazione delle pareti vasali, per fenomeni degenerativi che conferiscono al vaso un colorito bianco-giallastro, il quale maschera ai lati o del tutto la colonna ematica

- incroci arterovenosi patologici, nei quali un’arteria sclerotica deforma o schiaccia la vena nel loro punto di intersezione

- microaneurismi, dilatazioni capillari puntiformi di colore rosso porpora e diametro massimo di 0,1 millimetri, isolati o riuniti in grappoli

- edema retinico extracellulare, raccolta di liquido di essudazione soprattutto nello strato plessiforme esterno, inizialmente localizzato alle sedi di essudazione, ma in seguito diffuso alle zone vicine

- essudati duri, raccolte giallastre, a margini definiti, di lipidi e altre sostanze di provenienza ematica localizzati nelle zone di essudazione ed edema

- essudati cotonosi o molli, chiazzette biancastre di aspetto sfumato espressione di microinfarti nelle fibre ottiche per occlusione di un’arteriola precapillare

- edema retinico ischemico, di aspetto lattescente e pallido, espressione di un infarto retinico maggiore

- emorragie preretiniche, con presenza di un livello superiore, intraretiniche, sia superficiali e striate sia profonde e puntiformi, e sottoretiniche, di colore scuro

- vasi neoformati, elementi vascolari sviluppatisi come risposta a processi ischemici, senza utilità per gli scambi emato-retinici, ma con elevato rischio emorragico.

Un esame fondamentale nell’inquadramento clinico delle più gravi retinopatie vascolari è la fluorangiografia retinica. Con questa indagine è possibile localizzare con precisione le sedi di essudazione all’origine, sia dell’edema, sia degli essudati duri ad esso associati, e l’estensione delle aree ischemiche, fornendo le informazioni necessarie per condurre, quando indicato, il trattamento fotocoagulativo laser. La sintomatologia visiva nelle retinopatie vascolari dipende in gran parte dal tipo di interessamento della regione maculare: un modesto edema è compatibile inizialmente con una discreta acuità visiva, mentre le lesioni ischemiche della fovea determinano danni molto gravi e irreversibili.

RETINOSCOPIA

Esame diagnostico utilizzato in oftalmologia e consistente nella osservazione della retina. Le varie tecniche retinoscopiche possono essere suddivise in due gruppi: la r. statica (in cui il soggetto esaminato mantiene la fissazione su un bersaglio a lunga distanza, cercando così di mantenere l’accomodazione il più rilassata possibile) e la r. dinamica (nella quale il bersaglio diventa prossimale allo scopo di stimolare l’accomodazione per discriminarla).

RETRODEVIAZIONE

Anomalia di posizione di un organo, che risulta deviato all’indietro. Il termine è usato soprattutto con riferimento all’utero.

RETRODEVIAZIONE UTERINA

Retroflessione del corpo dell’utero rispetto al collo e retroversione associata dell’organo rispetto alla vagina. Normalmente l’utero si trova in lieve antiversoflessione e in tale posizione è mantenuto dai legamenti, dai muscoli del pavimento pelvico e dalle connessioni con la vagina in condizioni normali, l’angolo di versione, formato dall’asse longitudinale dell’utero con l’asse della vagina, è aperto in avanti e misura 90° ca. l’angolo di flessione, formato dal corpo uterino con il collo, è anche esso aperto in avanti e misura 120° ca. Nella r. uterina, al contrario, l’asse longitudinale dell’utero si continua con quello della vagina o forma con esso un angolo aperto indietro (retroversione) inoltre il corpo dell’utero forma con il collo un angolo aperto posteriormente (retroflessione). La frequenza di r. è del 10-15%, specie fra le donne che hanno partorito. Raramente è congenita per lo più si tratta di forme acquisite per l’intervento di molteplici fattori, quali la costituzione astenica, la lassità dei legamenti e dei muscoli che talora residua dopo una gravidanza. In queste condizioni ogni aumento della pressione addominale può spostare l’utero dalla sua posizione normale. Anche i processi infiammatori e le formazioni tumorali che si sviluppano nella pelvi possono respingere o attrarre l’utero in r. La r. viene anche distinta in fissa e mobile: fissa quando, a seguito di aderenze, l’anomalia di posizione non puo’ essere corretta con le manovre bimanuali eseguibili durante una esplorazione vaginale mobile quando tali manovre riportano l’utero in asse.

Sintomi
I disturbi legati alla r. uterina sono in gran parte dovuti alla stasi circolatoria che si determina nella pelvi per l’angolatura dei plessi venosi utero-ovarici: si tratta di dolori alla regione sacrococcigea e sacrolombare, disturbi del ciclo mestruale, sterilità o infertilità, leucorrea, disturbi neurovegetativi extragenitali.

Diagnosi
Molto importante è l’esame ginecologico tramite il quale si può valutare la porzione vaginale del collo uterino che risulta spostata in avanti ed in alto e l’orificio uterino esterno rivolto verso la parete vaginale anteriore ed il pube il corpo dell’utero che viene invece avvertito, attraverso il fornice posteriore, rivolto verso la concavità sacrale. La diagnosi differenziale deve soprattutto accertare che la formazione percepita sia effettivamente il corpo uterino e non tumore uterino, una cisti ovarica o una neo-formazione a carico della tuba ci si basa sulla consistenza, sulla mobilità, sulla possibilità di trasmettere ad essa i movimenti impressi sul collo dell’utero. L’ecotomografia può confermare l’anomala posizione dell’utero oppure la presenza di una neoformazione, che sposta l’utero in avanti ed in alto. Se la retroversoflessione si associa con sintomatologia molto dolorosa e/o alla visita ginecologica si provoca dolore premendo sulla cervice o spostando l’utero, di solito viene consigliato di eseguire una laparoscopia, per escludere l’endometriosi o altre patologie.

Terapia
La terapia si avvale essenzialmente di mezzi medici: antiflogistici se occorre attenuare le conseguenze di stati aderenziali analgesici durante la mestruazione. Nei casi con sintomatologia irriducibile si ricorre a un intervento chirurgico inteso a fissare l’utero nella sua posizione normale.Comunque l’intervento di isteropessi, al fine di portare l’utero in posizione fisiologica, si giustifica soprattutto se alla r. si associano altre manifestazioni patologiche che possono giovarsi dell’atto chirurgico: cisti ovariche, fibromi, alterazioni mestruali, grave dolore durante il coito, sterilità, ripetuti aborti non è invece indicato nelle retroversoflessioni congenite, in quanto in questi casi è la struttura stessa dell’utero a formare un angolo aperto posteriormente, angolo che non è quindi modificabile dall’azione dei legamenti (gli interventi difatti correggono l’anomalia accorciando i legamenti rotondi con varie modalità).

RETROFLESSIONE UTERINA

Anomalia di posizione nella quale l’utero presenta l’angolo normalmente esistente tra corpo e collo, anziché aperto, come di regola, anteriormente, aperto posteriormente verso la concavità dell’osso sacro. Raramente si presenta come anomalia isolata per cui l’utero rimane in normali rapporti con la vagina e con gli altri organi del bacino per lo più si associa a un certo grado di retroversione. In genere retroversione e r. sono associate, per cui si parla di retroversoflessione dell’utero: per lo più l’utero va incontro prima ad una retroversione per una eccessiva lassità dei legamenti rotondi e successivamente, per l’aumento della pressione endoaddominale che agisce sulla sua parete anteriore, si determina una r. in seguito si può anche associare, se ci sono le condizioni predisponenti, una discesa dell’utero, potendo arrivare sino al prolasso uterino.La r. dell’utero può essere corretta mediante intervento chirurgico (isteropessia).

RETROGNATISMO

Malformazione delle ossa mascellari in cui una delle due mascelle si presenta retratta rispetto all’altra (r. inferiore o r. superiore). Il r. può essere dovuto ad un’atrofia con retrazione oppure ad una iper-trofia con proiezione in avanti della mascella.

RETROPERITONEO

Insieme delle strutture comprese tra il peritoneo parietale posteriore e la parete posteriore della cavità addominale. Tale spazio è occupato da abbondante tessuto connettivo adiposo, entro il quale sono disposti i surreni, i reni e le loro vie escretrici, l’aorta, le arterie iliache comuni e le arterie iliache esterne, le vene iliache e la vena cava inferiore, i linfonodi iliaci e lomboaortici, i vasi linfatici tributari della cisterna del Pecquet, la porzione lombare del tronco del simpatico, il plesso nervoso solare o plesso celiaco.

RETROPNEUMOPERITONEO

Tecnica di indagine diagnostica radiologica che consiste nello studio degli organi retroperitoneali, dopo introduzione di aria nello spazio retroperitoneale per accentuare il contrasto tra le diverse formazioni anatomiche. È l’unico tipo di esame radiologico che permette di visualizzare i surreni e quindi di studiarne i diversi processi morbosi, ma è ormai caduta in disuso, soppiantata dalla TAC e dall’ecografia.

RETTO INTESTINO

Porzione terminale dell’intestino crasso, compresa tra il sigma e l’ano ha una lunghezza complessiva di 14 cm ca. e una struttura simile a quella del colon.

RETTO MUSCOLO

Denominazione di diversi muscoli striati scheletrici, quali i muscoli retti del bulbo oculare, il muscolo r. femorale, il muscolo r. posteriore della nuca. Il muscolo r. dell’addome è un muscolo della parete addominale anteriore, posto a lato della linea mediana, esteso dal margine inferiore delle cartilagini costali al pube. La sua contrazione fa flettere il torace sul bacino e comprime i visceri addominali, azione questa che si manifesta nella minzione, nella defecazione, nel vomito, durante il travaglio del parto.

RETTOCELE

Condizione patologica caratterizzata da una estroflessione della parete anteriore dell’intestino retto, che prolassa entro la vagina.

Cause
Il r. dovuto al cedimento del setto rettovaginale, spesso come conseguenza di lacerazioni ostetriche del perineo o in seguito a quelle condizioni patologiche croniche che determinano un aumento della pressione intraddominale come le broncopneumopatie e la stitichezza.

Sintomi
Può insorgere con una sensazione di peso riferita dalla paziente soprattutto dopo una prolungata stazione eretta o dopo sforzi con il passare del tempo la paziente lamenta la comparsa di una tumefazione che sporge dall’apertura vulvare, ricoperta da mucosa vaginale si fa più evidente con la tosse o con lo sforzo della defecazione.

Diagnosi
L’ispezione permette di confermare la diagnosi presuntiva e di quantificare il danno. La defecografia permette di dimostrare il difetto della parete.

Terapia
La terapia richiede un intervento di chirurgia plastica per ristabilire i corretti rapporti anatomici fra le diverse formazioni.

RETTOCOLITE

Processo infiammatorio acuto o cronico che interessa l’intestino retto e/o crasso.

Cause
Il contemporaneo interessamento del colon e del retto si osserva in numerose malattie intestinali: dissenteria amebica, shigellosi, colite ulcerosa, varie forme di enterocolite acuta o cronica aspecifica.

Sintomi
Il coinvolgimento dell’intestino retto si manifesta in genere con tenesmo, dolori, alterazioni nel ritmo dell’evacuazione, diarrea ematica.

RETTOCOLITE ULCEROSA

vedi COLITE ULCEROSA

RETTOSCOPIA

(O proctoscopia), tecnica di indagine diagnostica che consiste nell’esame dell’intestino retto ed eventualmente anche del sigma (rettosigmoidoscopia) per mezzo di un apposito strumento detto rettoscopio, introdotto attraverso l’ano. La r. riveste una importanza di primo piano nella diagnostica di diverse affezioni rettosigmoidee, particolarmente di ulcere, polipi, tumori, proctiti, rettosigmoiditi. Oggi la r. viene generalmente compresa nella più completa colonscopia, che consente l’esplorazione di tutto il colon mediante un endoscopio flessibile a fibre ottiche.

RETTOSCOPIO

Strumento costituito essenzialmente da un tubo rigido o flessibile nel quale è contenuto un sistema ottico che consente di illuminare l’interno dell’intestino e contemporaneamente di effettuarne l’osservazione. Nel r. è inoltre possibile inserire appositi strumenti che consentono di effettuare biopsie della mucosa o di eventuali formazioni patologiche, e anche di realizzare piccoli interventi chirurgici quali l’asportazione di polipi.

REUMATISMO

Termine generico con il quale si indicano diverse condizioni morbose che hanno caratteristiche comuni nella sintomatologia e nel decorso. Il carattere principale è costituito da sintomi dolorosi, localizzati soprattutto alle articolazioni o a strutture pararticolari (borse tendinee, tendini), con carattere vagante. Nel concetto di malattia reumatica si riassumono quadri clinici di malattie isolati o diffusi riguardanti l’apparato locomotore, tronco e arti. In realtà, sono affezioni provocate da cause completamente diverse (infettive, degenerative, metaboliche), che hanno in comune solo il fatto di interessare le articolazioni del tronco o delle estremità e di manifestarsi soggettivamente con malessere, difficoltà di movimento, dolori, con o senza compromissione delle condizioni generali. Mentre le forme degenerative sono legate all’usura delle articolazioni che aumenta con il passare degli anni, le forme infiammatorie (come l’artrite reumatoide) sono, invece, caratteristiche dell’età giovanile. Una classificazione delle artropatie è difficile sia dal punto di vista eziologico (cioè della causa che le provoca) che anatomo-patologico. Una delle più semplici e pratiche è quella di De Seze, che distingue le artropatie in vari gruppi:1. Artropatie infiammatorie (reumatiche) - reumatismo articolare acuto- artrite reumatoide- spondilite anchilosante- artrite psoriasica 2. Artropatie infettive- tubercolari- da germi piogeni (stafilococchi ecc.)- da brucelle- da gonococchi 3. Artropatie degenerative- artrosi 4. Artropatie dismetaboliche- gotta- ocronosi- alcaptonuria 5. Artropatie neurogene- tabe- siringomielia- Charcot-Marie6. Reumopatie para-articolari- sindromi canalicolari- tendiniti di inserzione- tenosinoviti- miositi- algodistrofia

Terapia
Queste affezioni sono tutte sensibili alla terapia antinfiammatoria.

L’umidità, il freddo e soprattutto gli sbalzi di pressione atmosferica possono peggiorare i dolori reumatici per via dell’aumento della produzione di citochine a livello articolare e del conseguente accentuarsi dell’infiammazione. L’umidità può anche provocare l’aumento del volume delle fibre elastiche che compongono l’articolazione e l’accumulo di liquido sinoviale, causando il gonfiore e l’aggravamento del dolore in corrispondenza delle sedi colpite. Per questo può esser d’aiuto il controllo del clima domestico e talvolta anche la crenoterapia. Ma è importante rimarcare come i fattori atmosferici non abbiano alcuna influenza sulle persone che non soffrono già di malattie di tipo reumatico. E nemmeno sono in grado di scatenare ex novo queste condizioni negli individui sani.

REUMATISMO POLIARTICOLARE ACUTO

vedi FEBBRE REUMATICA

REUMATOLOGIA

Branca della medicina che studia le malattie reumatiche in questo termine vengono comprese numerose affezioni, di diversa natura, con interessamento prevalente dei tessuti connettivi e dell’apparato locomotore, in particolare le articolazioni, e con sintomi clinici essenzialmente caratterizzati da dolore e rigidità.

RH, fattore

Tipo di antigene che può essere presente sulla superficie dei globuli rossi. Gli antigeni genericamente denominati Rh sono circa 30 quello più importante è quello denominato come antigene D, la sua presenza o assenza distingue il sangue in Rh-positivo o Rh-negativo. La sua presenza è un carattere genetico, che viene trasmesso secondo le leggi dell’ereditarietà.I fattori Rh furono scoperti nel 1940 da Landsteiner e Wiener dopo aver inoculato in alcune cavie e conigli campioni di sangue della scimmia Macacus Rhesus.Essi dimostrarono che il siero dei conigli e delle cavie così immunizzati era in grado di agglutinare l’85% di tutti i gruppi umani.I due ricercatori chiamarono il fattore agglutinogeno presente sui globuli rossi umani Rh, dall’abbreviazione del nome della scimmia.L’incompatibilità del fattore Rh tra madre e figlio è alla base della cosiddetta isoimmunizzazione Rh.Una donna con un gruppo Rh-negativo, che partorisce un figlio che presenta invece un fattore Rh-positivo può sviluppare in una successiva gravidanza una reazione immunitaria contro il feto che può portare fino alla sua morte in utero.Oggi grazie alla terapia profilattica con immunoglobuline somministrate a queste madri nei giorni successivi al parto si è drasticamente ridotta l’incidenza di questa grave malattia.

RHABDOVIRUS

Gruppo di virus a RNA appartenenti alla famiglia Rhabdoviridae, provvisti di involucro, a simmetria elicoidale, delle dimensioni di 50-95 per 130-380 nm.La famiglia Rhabdoviridae è costituita da virus altamente infettanti, agenti di malattie degli animali e delle piante, generalmente trasmessi da artropodi.A questo gruppo appartengono anche virus patogeni per l’uomo (virus della rabbia).

RHINOVIRUS

Gruppo di virus a RNA appartenenti alla famiglia Picornaviridae: sono privi di involucro, a simmetria icosaedrica, resistenti all’etere, con dimensioni di 20-30 nm. Si localizzano alle mucose delle prime vie aeree dove trovano una temperatura ottimale di 33°C, e sono la causa più frequente del raffreddore comune. Se ne conoscono all’incirca 90 tipi, con proprietà antigeniche diverse, il che rende ragione della facilità con cui il raffreddore può recidivare.

RI - RZ
RIABILITAZIONE

Complesso di provvedimenti che hanno lo scopo di mettere nelle migliori condizioni di funzionalità e di autonomia un soggetto in precedenza reso inabile da una qualsiasi circostanza patologica. La r. si può scomporre in tre fasi teoricamente susseguenti nel tempo, ma praticamente contemporanee: la rieducazione, la riqualificazione, il reinserimento.RieducazioneIl trattamento è diverso a seconda dei diversi tipi di minorazione (fisica, psichica, sensoriale) ed è differenziato con riferimento alla causa che ha dato origine alla minorazione e a seconda del diverso tipo di essa. Sono per lo più le tecniche mediche, chirurgiche e di rieducazione funzionale che vengono usate per ottenere il massimo recupero degli organi compromessi e per ottenere che altri organi (sussidiari) possano svolgere le funzioni dei primi, sostituendosi ad essi. I trattamenti sono pure molto diversi a seconda dell’età in cui sono intervenute le minorazioni.Fra i servizi che attuano la rieducazione vale la pena ricordare quelli di fisioterapia. Ma spesso le attrezzature per le terapie (piscine, vasche, stimolatori elettrici) sono costose ed è difficile poter disporre di numeroso personale preparato per svolgere l’assistenza terapeutica necessaria.Esaurite le possibilità di recupero offerte dalla rieducazione, se ancora necessario, si farà uso di protesi che sostituiscano l’organo o la funzione mancante.RiqualificazioneÈ la fase successiva nella quale si tende a sviluppare nel minorato le capacità fisiche, intellettuali e sensoriali necessarie per svolgere un lavoro. Anche qui diverse sono le metodiche di educazione e di apprendimento per le diverse forme di minorazione. Si può andare da un semplice trattamento educativo (subnormali gravi) ad una istruzione approfondita (minorati con buone facoltà intellettive) attraverso una graduatoria infinita di varie possibilità. Ecco perciò che, mentre nella fase di rieducazione una separazione fra minorati e non minorati è necessaria, nella successiva fase di riqualificazione essa può non esserlo ed anzi per molti soggetti minorati può essere più producente, in vista del successivo reinserimento, iniziarlo già in questa fase educativa si ottiene così non solo la preparazione dei minorati ma anche la sensibilizzazione dei non minorati ai problemi dei primi. Anche in questa fase un’importanza di notevole rilievo potranno assumere le protesi e gli ausili per lo studio (lettura e scrittura) e per il lavoro (macchine con particolari adattamenti).ReinserimentoLo scopo della r. è il reinserimento nella società. Questo può avvenire solo se i minorati sono efficacemente preparati per il mondo come esso è, e se le persone non minorate riescono a vincere quel senso di timore nell’affrontare individui che appaiono diversi, ma che di fatto hanno tutte le problematiche delle persone non minorate cui si aggiunge il problema specifico derivante dalla minorazione. Una società aperta ai minorati deve provvedere agli alloggi a loro idonei, ai servizi di trasporto adatti dall’alloggio al posto di lavoro e viceversa, ai servizi idonei per il tempo libero.Le soluzioni prospettate per risolvere i problemi dell’accessibilità ai minorati fisici, ossia per eliminare le cosiddette barriere architettoniche, sono molte e valgono sia per gli edifici pubblici e privati, di abitazione o di lavoro e per il tempo libero, sia per i mezzi di trasporto (per es. le rampe abbinate ai gradini o gli ascensori sufficientemente ampi e le automobili opportunamente adattate).Le soluzioni da un punto di vista sociale sono ancora più numerose e differenziate, andando dall’adozione alla costituzione di piccole unità familiari in cui minorati e non minorati convivono contribuendo tutti all’andamento e alla gestione, all’organizzazione di pensionati o istituti aperti da cui il minorato giornalmente possa uscire per recarsi ad accudire alla propria occupazione ed in cui possa trovare le attrezzature architettoniche, assistenziali e sociali di cui necessita.

RIANIMAZIONE

Complesso di tecniche che vengono attuate allo scopo di riportare alla norma le funzioni vitali fortemente depresse o temporaneamente sospese. I metodi della r. vengono applicati d’urgenza in casi di insufficienza respiratoria, cardiocircolatoria, renale, di coma, di intensi squilibri biochimici del ricambio. L’attrezzatura indispensabile dei centri di r., esistenti nei principali ospedali, comprende sistemi elettronici di monitoraggio per il controllo continuo delle funzioni vitali, respiratori automatici, stimolatori e defibrillatori per il cuore.Uno dei metodi di r. più efficaci resta il massaggio cardiaco, mediante il quale si comprime il cuore ritmicamente esso può essere effettuato direttamente, a torace aperto, o indirettamente, a torace chiuso, sulla parte inferiore dello sterno e deve essere associato alla respirazione artificiale. Il massaggio cardiaco esterno va intrapreso con tempestività, affinché venga ancora pompato sangue al cervello e a tutti gli altri organi vitali. Contemporaneamente si inizia la respirazione artificiale con aria espirata (cioè la respirazione bocca a bocca) o, se invece ci si trova in un ambiente attrezzato, la ventilazione manuale con ossigeno puro, previa intubazione endotracheale. In casi disperati, qualora il massaggio cardiaco esterno non risultasse sufficiente al mantenimento di una gettata cardiaca abbastanza valida, si può rendere necessaria l’apertura del torace e l’effettuazione del massaggio cardiaco interno. Il farmaco di elezione per l’arresto cardiaco è l’adrenalina, che preferibilmente va iniettata direttamente nel cuore. Se il quadro elettrocardiografico è quello della fibrillazione ventricolare, bisogna effettuare la defibrillazione elettrica. Lo stato di acidosi metabolica, che inevitabilmente si instaura durante l’arresto cardiaco e in seguito al massaggio, deve essere chiaramente neutralizzato mediante l’impiego di bicarbonato di sodio o di altre sostanze alcalinizzanti. Le manovre rianimatorie dovrebbero essere continuate per almeno un’ora se oltre questo limite di tempo il cuore non riprende a battere, ben poche sono le speranze di un ricupero, anche se si sono avuti casi sporadici di risultati favorevoli dopo diverse ore di trattamento.

RIBOFLAVINA

(O vitamina B2), sostanza indispensabile a tutte le cellule dell’organismo, in quanto è uno dei costituenti fondamentali delle flavoproteine, molecole che fanno parte di numerosi sistemi enzimatici che intervengono nel metabolismo intermedio e nei processi ossido-riduttivi cellulari.La r. fu isolata per la prima volta nel 1927 ad opera di Paul Gyorgy, che osservò che il latte presenta elevate concentrazioni di tale sostanza (denominata all’inizio lattoflavina). Successivamente si scoprì che la r. legava una molecola di ribitolo, ed il nome della vitamina venne cambiato in r. Nel 1935 R. Kuhn sintetizzò tale sostanza. Dal punto di vista biochimico la r. è un composto eterociclico (una molecola di isoallosazina con una catena laterale di ribitolo), di colore giallo poco solubile in acqua, stabile al calore (la cottura determina l’inattivazione di solo il 10-20% del quantitativo totale) e fluorescente qualora sottoposto a luce ultravioletta. Se colpito dalla luce, si determina una reazione di fotolisi che produce il distacco del radicale ribitolo, determinando la perdita dell’azione vitaminica (ad esempio il latte perde gran parte della vitamina B2 se esposto al sole).Le sue fonti alimentari sono: latte e derivati, lievito, verdure fresche (spinaci, asparagi, broccoli e cavoli), albume d’uovo, fegato. Una piccola parte è sintetizzata autonomamente dalla flora batterica intestinale.La carenza di r. determina sintomi principalmente a livello cutaneo-mucoso che scompaiono non appena le carenze vengono reintegrate (secchezza, erosione agli angoli della bocca, lesione alla lingua, perdita di capelli, calo di peso, tremori, vertigini, stanchezza).Un aspetto interessante della r. è il suo ruolo protettivo, insieme all’enzima glutatione reduttasi, nei confronti dei radicali liberi, infatti ha azione antiossidante, che cattura e distrugge le cellule anormali nel corpo, come quelle che causano il cancro.La dose giornaliera raccomandata è per l’uomo di 1,5 mg dagli 11 ai 14 anni, 1,8 mg dai 15 ai 18 anni, 1,7 mg dai 19 ai 50 anni e 1,4 mg dopo i 50.Per le donne invece la dose raccomandata è di 1,3 mg dagli 11 ai 50 anni e dai 50 in su, 1,2 mg.Le gestanti dovrebbero aggiungere 0,3 mg, le donne che allattano durante i primi sei mesi necessitano un supplemento di 0,5 mg e per i sei mesi successivi 0,4 mg.I bambini da 1 a 3 anni dovrebbero assumerne 0,8 mg, dai 4 ai 6 anni 1,0 mg, e dai 7 ai 10 anni sono sufficienti 1,2 mg.I neonati sino a sei mesi hanno bisogno di 0,4 mg e dai sei mesi a un anno, 0,5 mg.Le persone che praticano uno sport dovrebbero assumere dai 2 ai 2,5 mg al giorno.Non è stata mai dimostrato alcun effetto tossico della r.In ogni caso, è bene sapere che un’assunzione prolungata di una qualsiasi delle vitamine B, compresa la r., può portare a grosse perdite di altre vitamine B. Pertanto, è indispensabile assumere tutte le vitamine del complesso B anche nei casi di carenza di una sola di queste vitamine.La r. ed il suo 5’-fosfato sono additivi alimentari censiti dall’Unione Europea e identificati rispettivamente dalle sigle E 101 e E 101a.
La carenza di riboflavina è rara e si verifica generalmente nel contesto di uno stato carenziale delle vitamine del complesso B, associato alla deficienza secondaria di ferro, triptofano e niacina. Non esiste, invece, una tossicità da riboflavina, perché la quota in eccesso eventualmente assorbita viene eliminata rapidamente con le urine. Una buona fonte di riboflavina è il latte, ma poiché la vitamina è sensibile alla luce, si consiglia di evitare le confezioni trasparenti. La riboflavina contenuta nella verdura si perde invece con la cottura prolungata e in quantità eccessive di acqua, dato che la vitamina è idrosolubile. La Società italiana di nutrizione consiglia un apporto di riboflavina pari a 0,6 mg ogni 1000 kcal assunte con l'alimentazione.

RICAMBIO, malattie del

(O disordini del ricambio glucidico), comprendono tutte quelle malattie che coinvolgono il metabolismo glucidico. La malattia più conosciuta è sicuramente il diabete mellito (vedi). Il quadro opposto del diabete è rappresentato dalle sindromi ipoglicemiche.

Cause
Possono essere distinte in forme da ridotta produzione di glucosio e in forme da aumentato consumo.Possono essere anche classificate come ipoglicemie spontanee (con aumentati livelli di insulina e con livelli normali di insulina) e ipoglicemie reattive (postprandiali).

Sintomi
I sintomi derivano dall’attivazione del sistema adrenergico e della sofferenza cerebrale secondaria e consistono in ansietà, cardiopalmo, sudorazione, pallore, tremori, affaticamento, disturbi visivi e successivamente crisi convulsive e coma.La complessità di queste patologie richiede una diagnosi differenziale che coinvolge molte malattie ed una terapia mirata alla guarigione o correzione della causa scatenante il quadro clinico.

RICOMBINANTE, dna

È il DNA risultante da una procedura di ingegneria genetica che consente di inserire un frammento di DNA estraneo nel DNA di un organismo geneticamente semplice (un fago o un plasmide), che mantiene le proprie capacità replicative. Questo meccanismo è utile quando si voglia isolare e modificare un frammento di genoma o un determinato gene, al fine di studiarlo meglio. La ricombinazione consente di avere più copie del frammento di DNA che interessa e si realizza grazie all'impiego di particolari enzimi detti di restrizione che tagliano la doppia elica del DNA in maniera asimmetrica e generano delle code con delle estremità "appiccicose", denominate sticky ends. Quando lo stesso enzima taglia due molecole di DNA provenienti da due organismi diversi, le loro estremità appiccicose possono riassociarsi fra loro, dando luogo ad un organismo r. in grado di replicare se stesso, più la nuova regione di DNA che si è associata ad esso. Il primo esperimento del genere fu compiuto nel 1973 all'Università della California e contemporaneamente a Stanford. Poiché il DNA da inserire nel gene del plasmide può derivare da qualunque specie, compresa quella umana, si intuì subito quali fossero le potenziali applicazioni di questo nuovo approccio genetico.

RIEDEL, malattia del

(Prende il nome dal medico tedesco B. Riedel - 1846-1916) o tiroidite lìgnea, infiammazione cronica della tiroide con sclerosi dei tessuti circostanti e aderenze estese negli stadi avanzati la malattia determina fenomeni di ipotiroidismo. Determina un indurimento del collo e si può associare a fibrosi mediastinica e retroperitoneale. Può essere confusa con una neoplasia della tiroide.

RIFAMICINE

Antibiotici prodotti dallo Streptomyces mediterranei, caratterizzati da notevole instabilità e da scarsa solubilità. Sono soprattutto attivi sui germi Gram-positivi, in particolare streptococchi, diplococchi, stafilococchi, sull'agente responsabile della gonorrea, sul micobatterio della tubercolosi e sull'Haemophilus influenzae. La rifamicina SV ha azione spiccata nei confronti del Corynebacterium diphteriae, del bacillo del carbonchio, del bacillo della cancrena gassosa. Si somministra per via parenterale. Le r. , come il derivato semisintetico rifampicina, inibiscono l'inizio della sintesi dell'RNA, interferendo con la formazione del primo legame fosfodiesterico della sua catena.

RIFAMPICINA

Derivato semisintetico della rifamicina (rifamicine). Si utilizza soprattutto nella terapia della tubercolosi, associata con altri farmaci antitubercolari. Si assume per via orale, in dose unica giornaliera, in genere di 600 mg.

RIFLESSO NERVOSO

Fenomeno che consiste in una risposta involontaria, fissa e automatica, con la quale l'organismo reagisce a un determinato stimolo esso si realizza attraverso una serie di collegamenti nervosi tra la struttura recettrice dello stimolo e la struttura effettrice della risposta. Questo circuito nervoso è detto arco riflesso i riflessi più semplici hanno i loro centri nel midollo spinale, mentre quelli più complessi e specializzati coinvolgono anche centri nervosi superiori. I riflessi vengono classificati in somatici e viscerali a seconda che riguardino funzioni della vita di relazione o funzioni della vita vegetativa. Tra i riflessi somatici vengono distinti:- i riflessi esterocettivi o riflessi superficiali, attivati da stimoli che agiscono su esterocettori - i riflessi propriocettivi o riflessi profondi, attivati da stimoli che agiscono su propriocettori. I riflessi superficiali possono essere indotti dalla stimolazione della cute o delle mucose. I più comuni riflessi cutanei sono il r. nervoso addominale, il r. cremasterico, il r. plantare. I riflessi mucosi comprendono il r. congiuntivale e il r. corneale (rapida chiusura della palpebra in seguito al toccamento della mucosa congiuntivale e della cornea), il r. faringeo (contrazione dei muscoli faringei e conati di vomito per stimolazione della parete posteriore della faringe). I riflessi provocati dalla stimolazione di recettori della cute o delle mucose hanno in genere un significato protettivo e di difesa, cioè tendono ad allontanare la parte dallo stimolo nocivo. I riflessi profondi (o riflessi muscolotendinei) sono provocati da stimoli che agiscono sui propriocettori muscolotendinei, cioè sui fusi neuromuscolari e sui corpuscoli muscolotendinei di Golgi. Questi riflessi hanno grande importanza per il mantenimento del tono muscolare e della postura, per la deambulazione. In condizioni fisiologiche lo stimolo che attiva questi riflessi è rappresentato dallo stiramento dei fusi neuromuscolari e dei tendini i riflessi muscolotendinei però possono essere provocati anche mediante percussione del tendine muscolare con un apposito martelletto ottenendo così una rapida contrazione del muscolo. I principali riflessi di questo tipo sono il r. rotuleo (la percussione del tendine del muscolo quadricipite femorale determina estensione della gamba sulla coscia), il r. achilleo (percussione del tendine di Achille ed estensione del piede), il r. tricipitale (percussione del tendine del tricipite brachiale con estensione dell'avambraccio), il r. bicipitale (percussione del tendine del bicipite alla piega del gomito e flessione dell'avambraccio). I riflessi viscerali sono responsabili di diverse attività vegetative quali la vasomotilità, la sudorazione, le modificazioni della pupilla alla luce e all'accomodazione, le variazioni dell'attività cardiaca, il controllo degli sfinteri vescicale e rettale. Nell'arco riflesso, quando il neurone sensitivo afferente e quello motore efferente si articolano direttamente tra loro, il r. viene definito monosinaptico (perché comprende un'unica sinapsi interneuronica) si parla invece di riflessi polisinaptici quando tra i neuroni afferenti ed efferenti si interpongono uno o più neuroni (interneuroni o neuroni intercalari). Un esempio di r. monosinaptico è quello rotuleo tipici riflessi polisinaptici sono quelli flessori. Una lesione in qualunque punto dell'arco produce, a seconda della sua entità, un indebolimento o l'abolizione del r. in particolari condizioni si può avere invece una esaltazione di determinate reazioni riflesse. L'esame dei riflessi costituisce pertanto una indagine diagnostica molto importante per valutare l'integrità e la reattività globale del sistema nervoso.
In alcune condizioni patologiche possono manifestarsi reazioni riflesse che non si osservano nel soggetto normale. Tra queste il più noto è il segno di Babinski. Tutti i riflessi sono innati: sono legati alla struttura del sistema nervoso e si manifestano non appena sono sviluppati i circuiti nervosi che ne costituiscono la base anatomica.

RIFRAZIONE, vizi di

(O ametropie), turbe della funzione visiva dovute ad alterazioni del potere diottrico dell'occhio. La luce può essere considerata come un'oscillazione elettromagnetica che si propaga nel vuoto, in linea retta, alla velocità di 300.000 Km/s. Se un raggio luminoso che si propaga in un mezzo omogeneo incontra un altro mezzo omogeneo e trasparente, ma di densità diversa, subisce quando non incide perpendicolarmente sulla superficie dei due mezzi una deviazione (refrazione), che segue precise leggi fisiche. Nel sistema oculare i raggi luminosi vengono influenzati nel loro cammino in quanto incontrano le superfici rifrangenti dell'occhio (cornea, umor acqueo, cristallino e vitreo), che ne costituiscono l'apparato diottrico. L'occhio è un sistema convergente che, quando la refrazione è normale (occhio emmetrope), permette la formazione di un'immagine retinica focalizzata in pratica, l'occhio emmetrope focalizza sulla retina le immagini provenienti idealmente dall'infinito o comunque da oltre 5 metri. Un occhio il cui potere di refrazione non permetta, invece, la focalizzazione di tali immagini sul piano retinico è detto ametrope. Le ametropie, o vizi o difetti di refrazione, sono tre: ipermetropia e miopia (vizi sferici), e astigmatismo (vizio cilindrico). L'associazione tra difetti sferici e cilindrici costituisce le ametropie composte. Qualora la refrazione tra i due occhi sia diversa si parla di anisometropia. I vizi di r. possono essere corretti con sistemi diottrici ausiliari all'apparato oculare, quali gli occhiali o le lenti corneali o con particolari interventi di chirurgia oculare.

RILASCIO

Termine con il quale si indicano i nuovi sistemi di somministrazione dei farmaci, in modo che questi si diffondano con continuità e regolarità nei tessuti. Vi sono molte condizioni morbose (infezioni, ipertensione, artropatie reumatiche, diabete, psicopatie) in cui è necessario che una certa dose di farmaco sia sempre presente nell'organismo. Si è allora pensato di applicare sulla pelle un cerotto o di innestare sottocute un piccolo serbatoio, contenenti la sostanza terapeutica, che attraverso una membrana semipermeabile fluisca nei vasi sanguigni cutanei. Esistono particolari preparazioni farmacologiche iniettabili per via intramuscolare che permettono la dismissione graduale e costante del principio attivo per un periodo che può variare da giorni a mesi. Le prime applicazioni in questa direzione sono state fatte con ormoni sessuali, nitroglicerina, nicotina (per disabituare al il paziente al fumo di tabacco), antalgici maggiori ecc.

RIMOZIONE

Termine usato in psicoanalisi per indicare il processo mediante il quale vengono esclusi dalla coscienza determinati contenuti psichici, particolarmente sgradevoli per il soggetto, e respinti nell'inconscio. Un tale processo si diversifica dalla semplice repressione intenzionale di idee, rappresentazioni e stati emotivi, contrari alla volontà cosciente del soggetto, poiché agisce automaticamente e ad un livello di inconsapevolezza. Oggetto della r. sono i rappresentanti psichici di una pulsione. Quale operazione difensiva dell'io, la r. ha il compito di allontanare dei moti pulsionali che, se fossero soddisfatti, provocherebbero un notevole dispiacere al soggetto. Sigmund Freud (1915) ha distinto tre fasi del processo rimozionale:- la prima fase (o r. originaria) consiste nell'impedire ai rappresentanti ideativi della pulsione l'accesso alla coscienza in tal modo verrebbero a formarsi delle prime formazioni inconsce o particolari legami di rappresentanti delle pulsioni medesime - la seconda fase (o r. posteriore) consiste nell'influenza delle formazioni inconsce originarie sulle future rappresentazioni, respinte a loro volta dalla difesa messa in atto dall'Io: in sostanza la r. , oltre a essere il principale tra i meccanismi di difesa, è responsabile della costituzione stessa dell'inconscio nella r. posteriore agirebbero sia le forze attrattive delle formazioni inconsce originarie sia i processi repulsivi dell'Io - la terza fase consiste nel riemergere degli elementi rimossi in forma onirica o di sintomi vari.

RINENCEFALO

Insieme delle formazioni nervose encefaliche che sono in rapporto con il senso dell'olfatto. Comprende le parti filogeneticamente più antiche del sistema nervoso centrale, quelle con struttura più semplice che, in seguito allo sviluppo assunto dagli emisferi cerebrali, sono molto ridotte e limitate alla corteccia cerebrale frontale inferiore (lobo olfattorio con le circonvoluzioni olfattorie, bulbo olfattivo, peduncolo, trigono, strie olfattive, corteccia perforata anteriore) e periilare (circonvoluzione del corpo calloso e dell'ippocampo) di ogni emisfero, e ai nuclei profondi a esse collegati (nuclei dell'amigdala e del setto pellucido). In queste strutture si distribuiscono le fibre nervose che costituiscono le vie olfattive, che prendono origine dalle cellule nervose (dette cellule mitrali) contenute nel bulbo olfattivo: a tali cellule giungono, con le fibre del nervo olfattivo, gli stimoli raccolti dai recettori dell'olfatto distribuiti nell'epitelio della mucosa nasale. Le strutture del r. tuttavia non hanno solo funzioni olfattive appartengono a un sistema di integrazione più complesso e relativamente autonomo, detto sistema limbico, che ha scarse connessioni con le parti di corteccia cerebrale di acquisizione filogenetica più recente e che presiede, insieme con l'ipotalamo, all'espressione di risposte emotive e istintive, del comportamento sessuale, dei ritmi biologici, e di alcune funzioni neuroendocrine.

RINITE ALLERGICA

È una particolare forma di raffreddore che si manifesta negli individui che sono allergici ossia sensibilizzati verso determinate sostanze dette allergeni. In questi individui il primo contatto con l'allergene porta alla formazione di un particolare tipo di anticorpi, le immunoglobuline E o IgE, che si localizzano sulla superficie di particolari cellule del tessuto connettivo, i mastociti, o di particolari globuli bianchi del sangue, i granulociti basofili. Quando l'individuo così sensibilizzato viene nuovamente a contatto con l'allergene, questo reagisce con le IgE e si determina la liberazione da parte dei mastociti e dei granulociti basofili di una serie di sostanze, di cui la più nota è l'istamina, conosciute come i mediatori chimici della reazione allergica. A loro volta i mediatori possono provocare una serie di reazioni agendo su diverse cellule bersaglio: nel caso della mucosa nasale agiscono sulle terminazioni sensitive del nervo trigemino, provocando prurito e, in via riflessa, starnuti, sulle ghiandole sieromucose, stimolandone la secrezione, sulle pareti dei vasi, dilatandoli e aumentandone la permeabilità. Tutto questo si traduce nei classici sintomi nasali della r. allergica: prurito nasale, crisi di starnuti, secrezione nasale liquida, limpida e abbondante (rinorrea), chiusura del naso. Facilmente la reazione allergica interessa anche la congiuntiva degli occhi, provocando pure prurito oculare e lacrimazione (oculo-r. allergica).

Cause
Non si conoscono con precisione le cause per cui un individuo è un allergico: esiste una predisposizione ereditaria generica all'allergia, per cui è facile che i figli di genitori allergici siano a loro volta degli allergici.

Sintomi
L'allergia può manifestarsi sin dai primi anni di vita e può interessare non solo le mucose del naso e degli occhi, ma anche quella dei bronchi (asma) o la pelle (crosta lattea, eczemi, orticaria). Nel caso dell'allergia nasale gli allergeni sono solitamente contenuti nell'aria che respiriamo (allergeni inalatori) e proprio questo fa sì che il primo e principale contatto si verifichi in corrispondenza della mucosa nasale, che diviene così l'organo bersaglio. In rapporto alla presenza degli allergeni nell'aria, esistono diverse forme di r. allergica, con un diverso andamento nel corso dell'anno: stagionali, occasionali e perenni. La r. allergica stagionale o pollinosi è legata a una sensibilizzazione ai pollini delle graminacee e si manifesta quindi nel periodo primavera estate, talora con possibilità di una più modesta ripresa in autunno. La r. allergica occasionale è legata alla sensibilizzazione verso sostanze come piume di uccelli o peli di cavallo, di cane, di gatto, con cui si viene a contatto solo saltuariamente. La r. allergica perenne è legata a una sensibilizzazione verso piante che in certe regioni fioriscono lungo tutto l'arco dell'anno, come la parietaria (erba vetriola), ma soprattutto a una sensibizzazione alle polveri di casa. Si è stabilito che l'agente responsabile dell'allergia alle polveri domestiche sono gli escrementi di un microscopico acaro, il Dermatophagoides pteronyssinus, che alberga nei materassi, nella biancheria, nella moquette e nel mobilio delle vecchie case.

Diagnosi
Se è spesso facile, specialmente in base alla periodicità delle crisi, dire che una r. è di natura allergica, non sempre è cosi semplice identificare la sostanza che l'ha provocata, conoscendo la quale la cura diverrebbe molto più semplice. Il riconoscimento dell'allergene può avvenire in maniera empirica, raccogliendo con la massima accuratezza la storia clinica dell'ammalato. Oggi però esistono dei metodi di laboratorio molto precisi: un esame del sangue può consentire il dosaggio delle IgE totali (PRIST) e anche quello delle IgE specifiche verso determinati allergeni (RAST) ancora più precisi sono i test cutanei, con i quali si pongono a contatto della cute quantità minime dei sospetti allergeni, in genere sotto forma di estratti acquosi, e si valuta l'intensità della reazione cutanea. In casi particolari si può ricorrere ai test di provocazione nasale, in cui si valuta la risposta all'esposizione al sospetto allergene proprio a livello dell'organo bersaglio.

Terapia
Se si riesce a identificare l'allergene, il trattamento più semplice della r. allergica consiste nell'evitare al paziente l'esposizione alla sostanza e alle sostanze sensibilizzanti: cambiare aria o restare chiusi in casa durante i periodi di fioritura nel caso della pollinosi, bonificare la casa nel caso dell'allergia alle polveri domestiche. Un trattamento piuttosto lungo e noioso ma talora con risultati definitivi è la terapia desensibilizzante specifica: sotto il controllo dello specialista allergologo al paziente vengono iniettate sottocute dosi progressivamente crescenti dell'allergene sino a creare uno stato di immunità verso questa sostanza. Nel caso in cui l'allergene o gli allergeni non siano stati individuati o non si ritenga opportuno ricorrere alla desensibilizzazione, non restano che le terapie sintomatiche, intese a bloccare la liberazione dei mediatori chimici dell'allergia da parte dei mastociti o a impedirne gli effetti sulle cellule bersaglio. Esistono oggi in commercio preparati ad azione locale sotto forma di spray nasali, come il sodio cromoglicato, il beclometasone dipropionato e la flunisolide, che svolgono un'eccellente azione protettiva nel confronti della r. allergica. Bisogna ricordare che questi prodotti sono efficaci solo se vengono usati in continuazione per tutto il periodo dell'allergia, e non solo saltuariamente in occasione delle crisi, e per contro questi prodotti non determinano quegli effetti collaterali negativi che sono tipici dei più comuni spray nasali contenenti vasocostrittori. Un'alternativa al trattamento endonasale è rappresentata dalla assunzione per bocca di farmaci antistaminici. Oggi i prodotti più moderni (cetirizina, terfenadina, loratidina), hanno un'azione molto più efficace e selettiva che in passato e solo eccezionalmente danno luogo a effetti collaterali, come la sonnolenza. Grazie a tutte queste possibilità terapeutiche, oggi l'allergia nasale può essere tenuta sotto controllo e questo è di importanza fondamentale, sia per il disturbo in sé sia per le conseguenze che una r. allergica trascurata può provocare: dalle sovrapposizioni di natura infettiva (riniti batteriche, sinusiti, otiti), alle alterazioni permanenti della mucosa nasale (ipertrofia dei turbinati, poliposi nasale), all'interessamento delle vie aeree inferiori (asma).

RINOFARINGE

Porzione superiore della faringe, estesa tra la base del cranio ed il palato molle che ne segna il confine con l'orofaringe. é una cavità lunga ca. 2 cm e larga 3, che comunica in avanti con le fosse nasali e in basso con l'orofaringe. La parete posteriore è in rapporto con i muscoli e le fasce connettivali poste davanti alla colonna vertebrale sulla parete laterale si apre la tromba di Eustachio, che la mette in comunicazione con la cassa del timpano dell'orecchio medio e che assicura la normale aerazione di quest'ultima. La mucosa della r. è ricca di strutture linfoidi, addensate sulla volta faringea a costituire la cosiddetta tonsilla faringea, particolarmente sviluppate nei bambini, e chiamate vegetazioni adenoidi. La r. partecipa soprattutto alla funzione respiratoria, convogliando l'aria proveniente dalle fosse nasali, e a quella fonatoria durante la deglutizione essa viene separata dall'orofaringe dal velo palatino che si solleva. Le principali affezioni della r. comprendono, oltre alle vegetazioni adenoidi, processi infiammatori acuti o cronici e tumori.

RINOLALIA

(O rinofonia), turba della fonazione dovuta a un'alterazione del naso o della faringe, per cui si modificano le caratteristiche dell'apparato risonatore della voce. Tutte queste alterazioni possono essere corrette con adeguati interventi chirurgici, eventualmente seguiti da una rieducazione foniatrica.

RINOPLASTICA DEL SETTO

(O settoplastica), consiste nel riposizionamento del setto cartilagineo e osseo ed eventualmente, nella parziale asportazione delle parti in posizione anomala. Frequentemente la respirazione difficoltosa è dovuta anche alla ipertrofia delle mucose endonasali (turbinati), in questo caso si effettua, anche in combinazione con la settoplastica, la turbinectomia (asportazione chirurgica, elettrocoagulazione, laser).

RINORRAGIA

vedi EPISTASSI

RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE

(O RMN), moderna tecnica diagnostica per immagini è, tra le più recenti metodiche di diagnostica per immagini, quella meno invasiva (esclusi, ovviamente, gli ultrasuoni). Essa si basa sulla capacità di captare i segnali emessi dagli atomi di idrogeno, praticamente ubiquitari nel corpo umano, quando questi vengono eccitati da un campo magnetico. Non vengono impiegate radiazioni ionizzanti. Le immagini sono ottenute attraverso un complesso processo di interazione fra i nuclei degli atomi di idrogeno, che è l'elemento più rappresentato nei tessuti biologici, e i campi magnetici esterni. Un campo magnetico prodotto da una grossa elettrocalamita agisce sui nuclei di idrogeno, che allineano il proprio momento magnetico parallelamente alla linea di forza del magnete, esattamente come la limatura di ferro intorno a una calamita. Opportuni impulsi di radiofrequenza permettono di variare spesso l'orientamento dei nuclei che, al cessare di ogni impulso, tornano a orientarsi secondo l'asse del campo magnetico. Così facendo risuonano, cioè emettono un debolissimo segnale a frequenza caratteristica detto segnale di risonanza. Captato da ricevitori radio, convertito in impulsi digitali ed elaborato al computer permette di ottenere un'immagine la cui scala dei grigi corrisponde alle diverse intensità del segnale di risonanza. L'indagine è innocua perché non utilizza raggi X è estremamente versatile e fornisce immagini nitidissime e preziosissime dal punto di vista diagnostico. Le immagini che si ottengono con la RMN consentono una risoluzione superiore a quelle della tomografia computerizzata, con l'eccezione della presenza di sangue, e non risentono degli artefatti dell'osso. La metodica si rivela quindi preziosa per le strutture in fossa posteriore e per il midollo spinale ed è particolarmente sensibile per svelare le lesioni demielinizzanti nella sclerosi multipla. Si può anche visualizzare l'encefalo in diversi piani. Le zone di segnale alterato non sono però patognomoniche di specifiche malattie. L'indagine del fegato costituisce la migliore indicazione dell'RMN addominale. Offre delle immagini del corpo per sezioni, unicamente ad informazioni fisiche e chimiche sui differenti tessuti che lo costituiscono. Chiare quanto quelle della TAC, queste immagini precisano ancora meglio la densità dei tessuti. Inoltre la RMN presenta il vantaggio di effettuare sezioni su piani differenti: frontale, sagittale e trasversale (mentre la TAC non offre che piani di quest'ultima categoria). La RMN permette di evidenziare con grande precisione le diramazioni vascolari di maggior calibro. Mediante l'impiego di sostanze paramagnetiche (sono sostanze che si comportano in un certo modo alla presenza di un campo magnetico), per esempio i derivati del gadolinio, è possibile mettere in luce le alterazioni della barriera ematoencefalica e dei tessuti patologici ipervascolarizzati come quelli dei tumori. é nell'esplorazione del sistema nervoso (cervello e midollo) che la RMN fornisce il maggior numero d'informazioni preziose. Le indicazioni sono identiche a quelle della TAC e spesso questi due esami vengono praticati contemporaneamente perché possono fornire al medico delle importantissime informazioni, in termini d'immagini, che sono complementari. L'esame è controindicato ai portatori di stimolatore cardiaco (pace-maker), alle persone che hanno protesi metalliche interne, a qualsiasi persona che soffra di claustrofobia l'assunzione di un tranquillante un'ora prima dell'esame aiuta tuttavia a sopportarlo.

RISORIO, muscolo

Muscolo appartenente ai mimici del volto, di forma triangolare con la base posteriore e l'apice anteriore. Prende origine dalla fascia parotidea e si porta anteriormente sulla commessura labiale dove si inserisce profondamente alla cute. Con la sua contrazione permette la tipica espressione associata al riso.

RITENZIONE IDROSALINA

Meccanismo che il rene mette in atto in risposta alla diminuzione della pressione di perfusione dell'organo, per far sì che essa rimanga costante e non si crei danno ischemico, come avviene in caso di shock. Consiste nell'aumento del riassorbimento di acqua e sali, prevalentemente sali sodio, a livello dei tubulo contorto distale e dell'ansa di Henle (v. RENE). Questo è un efficace meccanismo di compenso quando il volume ematico si riduca davvero in tutto il torrente circolatorio, ma se per esempio questo deficit di perfusione dipende solo da una vasocostrizione locale e quindi avviene in presenza di un volume ematico totale non diminuito, come nella patologia cardiaca, i liquidi recuperati in eccesso attraversano l'endotelio e si raccolgono nello spazio interstiziale dove danno luogo alla formazione di edemi. A livello cardiaco, si genera un sovraccarico del ventricolo le cui fibre tenderanno a stirarsi fino al livello massimo, oltre il quale il lavoro da esse generato non produrrà più un aumento della funzione di pompa, ma solo un consumo di ossigeno (scompenso).

RITENZIONE URINARIA

Consiste nella presenza di urina nella vescica o nelle vie urinarie superiori come conseguenza dell'incapacità delle stesse di svuotarsi. La presenza di urina nelle vie urinarie la differenzia dall'anuria. Si può verificare in caso di vescica neurologica (con ipertono dello sfintere vescicale, normo- o ipotono del detrusore): la vescica progressivamente si sfianca (si formano i diverticoli), si instaura il reflusso vescico-ureterorenale e lentamente la funzionalità renale si compromette inoltre l'urina ristagnando provoca infezione per la vescica stessa e per il rene a volte tanto gravi da mettere in pericolo di vita il paziente. Un'altra situazione in cui si può verificare è dopo interventi o manovre che abbiano coinvolto la vescica, come le laparotomie, i parti, gli interventi uroginecologici. Questa però è più spesso solo una situazione temporanea che si risolve spontaneamente in 2-3 giorni.

RITMO CIRCADIANO

vedi BIORITMO

RIVALTA, prova di

Prova diagnostica introdotta dal medico italiano F. Rivalta agli inizi del Novecento, che si esegue per rivelare la concentrazione proteica (sotto forma di glicoproteine) nei liquidi organici patologici (versamenti pleurici e peritoneali). In un calice pieno di acqua leggermente acidificata si lasciano cadere una o due gocce del liquido in esame e si osserva il calice contro il fondo oscuro. Per i versamenti di natura infiammatoria ad alta concentrazione proteica (essudati) la prova è positiva: le gocce, cadendo nell'acqua e scendendo verso il fondo, precipitano formando una nubecola "a fumo di sigaretta" negativa invece la prova per i versamenti di altra natura (trasudati): le gocce cadendo non lasciano alcuna traccia. Oggi sempre meno usata grazie all'avvento delle metodiche di laboratorio che permettono una quantificazione più precisa della concentrazione di proteine contenute nel liquido.

RIVASCOLARIZZAZIONE

Consiste nella ricostituzione artificiale o spontanea dell'irrorazione arteriosa di un determinato distretto anatomico. Le forme spontanee di r. si hanno in caso di occlusione o stenosi permanente di un vaso, ad opere di circoli collaterali o in virtù della capacità dell'organismo di generare nuovi vasi funzionanti (neoangiogenesi). Questo di solito si verifica quando la patologia si è instaurata nel tempo, provocando danni ripetuti ma di entità ridotta, tali da dare il tempo all'organismo di porvi rimedio. In terapia, invece la r. si può ottenere per via chirurgica (v. By-pass)o non chirurgica, come avviene nei pazienti affetti da patologie arteriose periferiche (specialmente coronariche). Si riserva ai soggetti con sintomi ingravescenti legati all'ostruzione di un arteria e quindi all'ischemia del territorio da essa irrorato. Le tecniche non chirurgiche sono l'angioplastica transluminale percutanea, il posizionamento di STENT e l'aterectomia e la somministrazione di farmaci fibrinolitici (v. ). Angioplastica transluminale percutanea È una delle scelte principali in caso di malattia coronarica. Si impiega un catetere guida e un catetere munito al suo apice di un palloncino pieno di mezzo di contrasto. Il catetere guida viene introdotto in anestesia locale da un accesso cutaneo periferico (ad esempio, dall'inguine si può accedere all'arteria femorale e da qui risalire fino a raggiungere l'albero coronarico). La guida ha tre funzioni: la prima, di raggiungere il vaso occluso la seconda di immettervi del mezzo di contrasto per evidenziare il grado di stenosi la terza di fungere appunto da guida per l'inserimento del catetere a palloncino (sgonfio) fino al punto dell'ostruzione. Qui, il palloncino verrà ripetutamente gonfiato, dilatando a poco a poco il vaso. I cosiddetti cateteri a palloncino sono capaci di tollerare una pressione fino a 20 atmosfere, che corrisponde ad un diametro variabile da 2 a 4 mm, in base al diametro del vaso normale. Le possibili complicanze (rare), in caso di angioplastica coronarica, sono legate sia alla esecuzione della coronarografia che alla successiva angioplastica. La probabilità di complicazioni dipende strettamente dalla gravità della malattia coronarica di base, dalla capacità del cuore di contrarsi e di svolgere correttamente le sue funzioni e, in generale, dall'età e dallo stato di salute complessivo del paziente. La mortalità è di circa 1% (infarto acuto nello 0,2-3%). L'incidenza di complicazioni locali minori (ematoma nella sede di puntura dell'arteria femorale) è del 1-3%. é opportuna una degenza di 12-24 ore in unità coronarica, mantenendo gli introduttori dei cateteri in sede, per essere pronti a reintervenire in caso il vaso dilatato si rioccludesse acutamente (< 4%). Durante la degenza verrà effettuata una terapia per via endovenosa a base di farmaci anticoagulanti (eparina) e vasodilatatori (nitrati). é un'ottima alternativa all'esecuzione di un by-pass arterioso per via chirurgica, ma ha lo svantaggio di non essere spesso una terapia definitiva, dal momento che l'ostruzione tende spesso a riformarsi (20-30% dei casi entro sei mesi). In questi casi l'angioplastica può essere ripetuta con le stesse probabilità di successo e senza aumento dei rischi. Inoltre, è possibile trattare le restenosi applicando all'interno del vaso ostruito un particolare supporto metallico chiamato STENT. Infine questa metodica è sconsigliata nelle ostruzioni multiple. Posizionamento di STENTConsente di ridurre l'incidenza della restenosi, se utilizzato nel corso della prima procedura di angioplastica oppure di trattare con successo la lesione riformatasi in seguito all'angioplastica. Esso consiste in una struttura tubolare che funge da scheletro del vaso, in modo da tenerlo dilatato. Si distinguono diversi tipi di stent: a spirale, tipo molla, a struttura elicoidale, a rete, di acciaio, di tantalio o di palladio. Differenti sono anche le tecniche di posizionamento: possono essere inseriti sul palloncino così che questo, gonfiandosi, li dilati oppure possono dilatarsi automaticamente una volta liberati dalla guaina di rivestimento.
In caso di applicazione di stent sarà adottata una terapia antiaggregante. Benché infatti siano indicati nelle ristenosi, anche questi sono gravati da una certa percentuale di riocclusioni, sebbene per meccanismi in parte differenti da quelli che si verificano in seguito alla semplice angioplastica. Per questo esistono anche degli stent medicati, ovvero contenenti farmaci in grado di agire sul tratto di arteria interessato, con l'obbiettivo che non si realizzi una nuova occlusione. Aterectomiaé una tecnica che consente, grazie all'impiego di un catetere su cui è montato un dispositivo meccanico, di distruggere la placca aterosclerotica che ostruisce il vaso. I residui possono essere estratti insieme al dispositivo o essere frantumati in pezzi talmente piccoli da potersi dissolvere nel torrente circolatorio. L'area in cui devono essere inseriti i cateteri (inguine, braccio o polso) viene depilata e disinfettata previa anestesia locale, vengono inseriti i cateteri e, attraverso essi, il liquido di contrasto che evidenzierà il vaso ostruito a mezzo di apparecchi radiografici. Individuato il punto, si introdurrà il catetere con il dispositivo meccanico al suo apice che, poco per volta, distruggerà la placca ostruente. Dopo la procedura, il paziente viene sottoposto a frequente controllo della pressione arteriosa e viene collegato a un monitor ECG per ottenere un monitoraggio cardiaco continuo. é bene tenere a riposo per qualche ora la regione che si è scelta per procurarsi l'accesso vascolare e spesso si tengono in sede i cateteri, sfruttandoli per la somministrazione di eparina, che viene somministrata come profilassi delle trombosi. Di solito il paziente può ricominciare a camminare nel giro di 12-24 ore e viene dimesso in uno due giorni.

RIVOLGIMENTO

(O versione), manovra ostetrica che consiste nel modificare manualmente la posizione del feto nell'utero, allo scopo di favorire l'espletamento del parto, o di ovviare ad alcune sue complicazioni. Attualmente il r. del feto viene attuato in casi eccezionali, dato il ricorso sempre più frequente al taglio cesareo.

RIZOTOMIA

vedi RADICOTOMIA

RMN

vedi RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE

ROCCA PETROSA

Porzione dell'osso temporale, a forma di piramide quadrangolare, diretta obliquamente dall'indietro in avanti e dall'esterno verso l'interno concorre alla formazione della base cranica. La r. petrosa è scavata dalle cavità dell'orecchio interno, che costituiscono il labirinto osseo, ed è attraversata da canali che danno passaggio a formazioni vascolari e nervose (arteria carotide interna, nervi facciale, acustico e intermediario di Wrisberg) spesso contiene piccole cavità dette cellule petrose, che comunicano con quelle scavate nel processo mastoideo dell'osso temporale. La r. petrosa partecipa ai processi patologici delle formazioni in essa contenute nella maggior parte dei casi si tratta di processi infiammatori (petrositi) derivanti dalla cassa del timpano o dalle cavità della mastoide, o di erosioni ossee dovute a tumori.

RODOPSINA

Pigmento rossastro contenuto nei bastoncelli retinici, che prende anche il nome di porpora retinica o porpora visivi da esso dipende il meccanismo della visione crepuscolare e notturna. La r. è costituita dalla proteina opsina, un membro della famiglia dei recettori accoppiati alla proteina G, e da un derivato della vitamina A, l'11-cis-retinaldeide, che assorbe la luce trasformandosi in trans-retinaldeide e poi si dissocia dall'opsina. La r. viene costantemente rigenerata dall'intervento di una isomerasi che ripristina l'11-cis-retinaldeide. In altre parole, sotto l'azione della luce questa sostanza rossa si trasforma in un pigmento arancione, poi giallo e come prodotto finale dà origine ad un composto carotenoide, detto retinene, e ad un residuo proteico. Il retinene si trasforma a sua volta, per una reazione termodinamica indipendente dalla luce, in vitamina A1 e residuo proteico. Se la retina non viene più illuminata, ma viene mantenuta all'oscurità, la vitamina A1, riunendosi al gruppo proteico, dà origine al retinene che a sua volta, unendosi ad un ulteriore gruppo proteico, attraverso tappe intermedie, provoca la comparsa di r.

ROENTGENTERAPIA

vedi Röntgenterapia

ROMBENCEFALO

Porzione posteriore dell'encefalo embrionale, a forma di espansione vescicolosa, individuabile verso la fine della 4a settimana di vita intrauterina. Si continua anteriormente col mesencefalo e posteriormente nel midollo spinale. Nel corso della 5a settimana esso si differenzia in due vescicole, una anteriore detta metencefalo, ed una posteriore detta mielencefalo.

ROMBERG, prova di

(Prende il nome da Moritz Heinrich Romberg, neurologo tedesco - Meiningen, 1795 - Berlino, 1873), prova per la valutazione clinica delle strutture vestibolari dell'orecchio interno, a cui è affidata la regolazione dell'equilibrio e dell'orientamento nello spazio. Il soggetto, in posizione di attenti e a occhi chiusi, tende a cadere dal lato ove è minore l'eccitabilità vestibolare.

RONCO

Termine semeiologico che indica un rumore a tonalità bassa e profonda che si avverte ascoltando il torace quando il lume dei bronchi di grosso calibro risulta ristretto in conseguenza di processi patologici (quali per es. infiammazioni acute o croniche, tumori). Viene classificato nel gruppo dei rumori secchi insieme a fischi e sibili.

RÖNTGENTERAPIA

(O roentgenterapia), forma di radioterapia che utilizza le proprietà biologiche dei raggi X, cioè utilizza a fini terapeutici gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti. La r. è oggi utilizzata quasi esclusivamente nel trattamento dei tumori, e mira ad ottenere la distruzione totale nella neoplasia limitando quanto più possibile gli effetti dannosi ai tessuti sani circostanti. Il danno biologico indotto dalle radiazioni alle cellule tumorali deve cioè essere definitivo e irreversibile, mentre quello alle cellule vicine e sane deve essere al massimo temporaneo e quindi reversibile. La terapia con raggi X, o roentgenterapia (vedi), si vale di apparecchiature diverse da quelle utilizzate nella radiodiagnostica, capaci di produrre raggi x di lunghezza d'onda molto breve e quindi "duri", cioè più penetranti esse sono inoltre dotate di filtri e di dispositivi capaci di rendere molto omogeneo il fascio delle radiazioni, e di limitarlo ad una zona esattamente circoscritta della superficie corporea da irradiare. Quando il processo patologico da trattare è superficiale e di limitata estensione si utilizzano radiazioni poco penetranti (che vengono quindi per la massima parte assorbite dagli strati più superficiali del tessuto, evitando così di danneggiare le strutture sottostanti), e la sorgente dei raggi viene posta molto vicino alla superficie da irradiare (plesioroentgenterapia). Quando invece il focolaio da irradiare è situato in profondità, per concentrare in corrispondenza di esso una dose elevata di radiazioni ed evitare danno alle strutture sane circostanti si ricorre a varie tecniche: l'irradiazione può essere effettuata mediante l'impiego successivo di fasci a diversa direzione, che investono il focolaio profondo passando attraverso parti del corpo (o "porte di entrata") diverse, oppure facendo compiere un movimento rotatorio o pendolare alla sorgente di raggi o al paziente.Le tecniche più frequentemente utilizzate sono descritte nel lemma radioterapia. Qui può essere utile ricordare che i tumori più radiosensibili sono quelli del sistema linfatico, il seminoma del testicolo, i carcinomi indifferenziati delle prime vie respiratorie e digestive, il sarcoma osseo di Ewing, il basalioma e l'epitelioma cutaneo e vulvare. A questi vanno aggiunti il tumore del corpo dell'utero, il carcinoma mammario, i tumori del grosso intestino e di alcune ghiandole endocrine (ipofisi e tiroide), alcuni tumori del sistema nervoso centrale. Va precisato che, oltre al fattore puramente biologico rappresentato dalla radiosensibilità dei vari istotipi tumorali, concorrono alla possibilità di curare con la r. anche altri fattori, quali il volume tumorale e la sua vascolarizzazione (i tumori più vascolarizzati sono più ossigenati e quindi più soggetti all'azione delle radiazioni per la produzione facilitata dei radicali liberi), lo stato clinico generale del paziente, la disposizione e la tolleranza alle radiazioni dei tessuti sani circostanti.

ROSACEA

È una affezione cronica, piuttosto comune, che colpisce soggetti per lo più della 4a o 5a decade, con leggera prevalenza del sesso femminile, soprattutto in età menopausale. Esistono notevoli differenze di incidenza nelle varie razze: tra queste la celtica è senz'altro la più frequentemente interessata dalla patologia.

Cause
Nella patogenesi della r. possono giocare in modo importante vari fattori (alimentari, ambientali, costituzionali, infettivi, psicologici e farmacologici), nessuno dei quali però è sufficientemente indagato e, almeno al momento attuale, apparentemente in grado di determinare da solo la malattia.

Sintomi
Clinicamente la r. si manifesta con l'associazione variabile di cinque sintomi cardinali: eritema, teleangectasie, papule, pustole ed edema. Di solito questi compaiono in successione durante l'aggravamento della dermatosi, ma non di rado, vengono a sovrapporsi gli uni agli altri apparendo in tal modo contemporaneamente presenti. Proprio in conseguenza della successione della comparsa dei sintomi si può affermare che la r. è una patologia a decorso polifasico nella quale, a grandi linee, si possono distinguere quattro stadi evolutivi:- Il I stadio è caratterizzato da flash e vasodilatazione con eritrosi facciale ad accessi. In questo stadio sono interessate le guance, il naso, la fronte, il mento. I flash tendono a ripresentarsi a intervalli sempre più ravvicinati e possono essere scatenati da vari fattori come stress psichici, assunzione di bevande calde e di alcolici, variazioni di temperatura. - Nel II stadio vi è un arrossamento permanente, in piccole chiazze, delle stesse aree del volto questo arrossamento è in realtà il risultato del formarsi di piccole, fini dilatazioni capillari, le cosiddette teleangectasie. Non infrequentemente queste aree si mostrano anche lievemente edematose. L'entità dell'eritema non è sempre la stessa e anche in questo stadio si può notare la tipica accessionalità che caratterizza le varie manifestazioni sintomatologiche della r. - Nel III stadio compaiono solitamente sulle preesistenti aree eritemato-teleangectasiche papule infiammatorie, emisferiche, non dolorose. Il loro numero varia notevolmente e vi possono essere forme di r. con interessamento massivo del volto. Proprio in tali forme si riscontrano anche lesioni pustolose: queste ultime, infatti, non sono un reperto obbligatorio della r. e si ritrovano soltanto nel 2% dei pazienti. Le pustole non hanno sede follicolare e non contengono batteri o altri agenti infettivi, sono cioè pustole sterili. - Il IV stadio è quello dell'elefantiasi facciale nell'evoluzione della r. , esso, tuttavia, non è un evento obbligatorio e molti autori ritengono le manifestazioni di questa fase come vere e proprie complicazioni della malattia. Queste sembrano manifestarsi quasi esclusivamente in soggetti di sesso maschile. I pazienti presentano un linfedema persistente in vari distretti del volto: mento, palpebre, guance ma, soprattutto, naso. Quest'ultimo appare notevolmente ingrossato, rosso-cianotico, bozzuto, con follicoli piliferi dilatati dai quali può essere spremuto materiale biancastro untuoso: il quadro clinico viene, in termini medici, definito rinofima. Non di rado nella r. si ha, oltre all'interessamento cutaneo, un contemporaneo coinvolgimento oculare con comparsa di blefarite, congiuntivite, e, nelle forme più gravi, di cheratite.

Terapia
Data la presenza di fattori determinanti l'accessionalità del quadro morboso, è importante per prima cosa, astenersi dall'esposizione ad essi. é indispensabile, quindi, abolire le bevande molto calde o molto fredde, i cibi piccanti, gli alcolici, gli stress emotivi e, possibilmente, le variazioni troppo brusche della temperatura ambientale. Chi ha tendenza all'acne r. , specie le donne, non dovrebbe limitarsi a cospargere le manifestazioni cutanee con pomate cosmetiche che non risolvono e mascherano soltanto i danni dell'incipiente affezione. Il trattamento appropriato per tutti gli stadi della r. , eccetto quello dell'elefantiasi facciale, è fondato sull'uso delle tetracicline per via orale. Queste devono essere somministrate a dosaggio pieno, 1 g/die, per i primi 20 giorni e quindi gradualmente e lentamente scalate nei mesi successivi. L'uso del metronidazolo per via generale, per quanto efficace, è da sconsigliare, data la possibile insorgenza di gravi effetti collaterali. Priva di rischi di rilievo appare, invece, l'applicazione topica del metronidazolo che, in tempi lunghi, può dare risultati soddisfacenti, soprattutto in pazienti che non possono assumere le tetracicline (donne gravide, nefropatici, epatopatici).
Nelle forme iperplastiche e papulo-nodulari molto infiammate si può usare l'isotretinoina che sembra in grado di migliorare anche il rinofima. Per tale manifestazione morbosa, comunque, gli interventi chirurgici di decorticazione con elettrobisturi o con laser o con dermoabrasione, appaiono gli unici veramente risolutivi. Sono inutili e anzi dannosi i trattamenti prolungati con pomate o creme cortisoniche: le lesioni acneiche della r. , dopo un lieve e momentaneo miglioramento, manifestano riacutizzazioni sempre più gravi e ravvicinate, realizzando spesso quadri di r. cortisono-dipendenti, il cui trattamento è reso sempre più problematico proprio a causa di una precedente, lunga terapia a base di cortisonici locali.

ROSEOLA

Lesione elementare della cute consistente in macchie rosse eritematose, che scompaiono alla pressione. La comparsa di r. si può avere nel corso di malattie esantematiche, infettive o in seguito ad assunzione di determinati farmaci. Nella infezione sifilitica rappresenta la prima manifestazione esantematica a distanza di circa 2 mesi dal contagio. Sono localizzate al tronco e alla superficie flessoria degli arti superiori. Scompaiono in circa 20 giorni senza lasciare traccia.

ROSOLIA

(O rubeola o terza malattia), malattia infettiva acuta, esantematica moderatamente contagiosa, di origine virale, in genere a decorso benigno.

Cause
é causata da un virus della famiglia dei Togavirus, assai poco resistente nell'ambiente esterno. Colpisce in genere i bambini, tra i 5 e i 10 anni, con epidemie che si manifestano soprattutto in inverno e in primavera. Il virus viene trasmesso dal soggetto ammalato (sia esso sintomatico o asintomatico) a quello sano per contagio diretto, tramite le goccioline emesse dalla bocca e dal naso, e si localizza alla mucosa rinofaringea. é possibile il contagio tramite oggetti contaminati (fazzoletti, biancheria, posate).

Sintomi
Dopo un periodo di incubazione variabile da 14 a 21 giorni, completamente privo di sintomi, la malattia comincia ad evidenziarsi nel periodo invasivo, molto breve, al quale segue il periodo esantematico. Nella fase invasiva vi è un po' di febbre, mai molto elevata (38-38,5¡ C), mal di testa, raffreddore modesto, gli occhi sono leggermente arrossati e il faringe è pure rosso, con segni di una lieve infiammazione. Questi sintomi, a volte, sono così poco evidenti da passare inosservati, specialmente quando manca la febbre. Nei casi tipici di r. vi è un sintomo caratteristico che incomincia a comparire proprio nella fase iniziale: l'ingrossamento delle linfoghiandole. Le linfoghiandole di tutte le stazioni, ma specialmente quelle del collo, aumentano di volume si possono palpare sotto la mandibola, intorno al muscolo sternocleidomastoideo, sulla nuca sono grandi come un pisello o una piccola noce, un poco dolenti, di consistenza molle. Questa tumefazione compare presto e scompare molto lentamente, anche dopo una o due settimane, quando la malattia è completamente guarita. Dopo poche ore o uno o due giorni di lieve malessere, inizia il periodo esantematico, durante il quale si nota una lieve accentuazione dei fatti catarrali: il raffreddore diventa un po' più forte e l'infiammazione dalla gola può diffondersi ai grossi bronchi e dare una modesta bronchite con tosse. Compare l'esantema, i cui caratteri sono quanto mai variabili e tutt'altro che tipici. Dapprima al viso, dietro le orecchie, sulla testa, sul collo, e poi a poco a poco in tutto il corpo compaiono delle chiazze di colore rosso chiaro, poco rilevate, non pruriginose, ora molto piccole, non confluenti, come nell'esantema scarlattinoso, ora più grandi, a macchia, separate da tratti di cute indenne, come nel morbillo. L'esantema si diffonde in un giorno dalla testa al tronco e agli arti, e rapidamente impallidisce e scompare senza lasciare né aree iperpigmentate né desquamazione cutanea. Se nel periodo esantematico si prende dalla punta di un dito una goccia di sangue, si striscia su un vetrino, si colora e si osserva al microscopio, si può trovare un altro dato caratteristico della r. Oltre agli elementi della serie bianca (granulociti neutrofili e linfociti) un poco diminuiti di numero con prevalenza dei linfociti, vi sono altri elementi: le plasmacellule, la cui presenza è caratteristica non perché siano elementi patologici ma perché si trovano molto raramente negli strisci di sangue periferico. La r. guarisce in breve tempo senza complicazioni e lascia immunità per tutta la vita la contagiosità, iniziata nel periodo d'incubazione, cessa alla fine del periodo esantematico, e dopo tre o quattro giorni dalla comparsa dell'esantema i bambini possono ritornare all'asilo o a scuola.

Diagnosi
Tra le malattie dell'età infantile, la r. è senz'altro una delle più banali, a decorso sempre benigno e mai grave rimane però tra le meno facili da diagnosticare. Il dubbio diagnostico più frequente si pone col morbillo, in particolare con le forme leggere e, a volte, quando mancano i segni caratteristici sia dell'una sia dell'altra malattia, la soluzione del problema diventa un vero guaio. Gli elementi più importanti per un'esatta diagnosi rimangono le tumefazioni linfoghiandolari e la presenza di plasmacellule negli strisci di sangue periferico mentre la mancanza di fatti catarrali acuti, delle macchie di K—plik, della congiuntivite con fotofobia permettono di escludere con buone probabilità il morbillo.
Anche la mononucleosi infettiva (in cui vi sono febbre, linfonodi tumefatti e talvolta esantemi) e più spesso la scarlattina (per il tipo d'esantema) sono poste in discussione. Non bisogna dimenticare che molte forme lievi, senza adenopatia e con esantema fugace e poco appariscente, passano completamente inosservate: quasi nel 90% delle persone adulte è infatti possibile documentare la presenza di anticorpi-antirosolia, significativo di avvenuta infezione. Dosando gli anticorpi delle classi IgG e IgM, è possibile collocare nel tempo il contagio.

Terapia
é puramente sintomatica (riposo a letto, dieta leggera) piuttosto infrequenti sono le complicazioni. La prevenzione della r. tramite vaccinazione è consigliata non tanto per le complicanze gravi (polmonite, encefalite) che possono sopravvenire e che in realtà sono rare e interessano di solito soggetti immunodepressi, oppure per complicanze ad andamento benigno e a risoluzione spontanea quali artrite e trombocitopenia (diminuzione del numero delle piastrine con conseguente pericolo d'emorragia), quanto invece per il pericolo di causare malformazioni congenite se contratta in gravidanza. Tale obiettivo può essere raggiunto tramite la vaccinazione associata alla valutazione dello stato immunitario della donna prima e durante la gravidanza. é importante attuare delle campagne di informazione al fine di sensibilizzare le donne a sottoporsi a verifica del loro stato immunitario (vaccinate o no) prima di ogni possibile gravidanza. Il vaccino è costituito da virus vivo e attenuato che si presenta allo stato liofilo, in forma monovalente, o associato al vaccino antimorbillo o, in triplo, associato anche al vaccino antiparotite. Il suo impiego avviene con una somministrazione sottocutanea o intramuscolo e non prevede, normalmente, ulteriori richiami. Tuttavia, in numerosi Paesi si preferisce attuare l'iniezione di richiamo al 6¡ anno di vita (secondo l'American Academy of Pediatrics) o al 12¡ anno (secondo l'Immunization Practices Advisory Committee). La vaccinazione può essere effettuata dall'anno di vita in poi e viene consigliata nelle femmine in età prepubere. La vaccinazione non va effettuata nei primi tre mesi di gravidanza e, comunque, dopo la somministrazione, è necessario che non intervengano gravidanze entro tre mesi dalla vaccinazione. In gravidanza è un'affezione temibile nei primi tre mesi: il virus infetta la placenta, aggredisce l'embrione (50% dei casi di rischio) e danneggia gravemente le cellule che più attivamente si stanno sviluppando. Nelle prime 14 settimane di gestazione il virus della r. può causare aborti spontanei oppure portare alla nascita di un bambino con embriopatia rubeolica, caratterizzata da lesioni agli occhi (cataratta congenita, anomalie delle retina, globi oculari molto piccoli) e alle orecchie (sordità), mancato sviluppo del cranio (microcefalia) cardiopatie congenite di vario tipo lesioni cerebrali (ritardo mentale, disturbi del linguaggio e del comportamento). Nel secondo trimestre (periodo fetale) il rischio per il feto si riduce al 10% dei casi. In fase avanzata di gravidanza i danni al feto sono certamente minori è in ogni modo frequente la nascita di bambini di basso peso (che avranno una crescita sempre molto stentata) oppure affetti da epatite o porpora trombocitopenica congenite. Anche in bambini che alla nascita appaiono senza problemi si possono avere forme più o meno gravi di sordità, che si manifestano solo a distanza di anni. Da anni è in corso una campagna vaccinale con lo scopo di prevenire la malattia durante la gestazione, in quanto, per le possibili malformazioni che il virus può provocare al feto, essa rappresenta un serio problema sanitario e sociale. Quanto più breve è il periodo di gestazione tanto più gravi sono le malformazioni: più precocemente avviene l'infezione e più alta è la possibilità di trasmissione transplacentare con conseguenze gravi.

ROTACISMO

Difetto dell'articolazione delle parole, caratterizzato dalla mancata o difettosa pronuncia della lettera "r". é molto comune e può essere di origine funzionale, ma solitamente è di origine organica o meccanica periferica, e precisamente dovuto ad alterazioni anatomiche particolari, congenite o acquisite, delle labbra, della lingua, delle arcate dentarie o del palato, che ostacolano la corretta esecuzione dei movimenti fisiologici dell'articolazione. La correzione foniatrica si ottiene con esercizi particolari che sviluppino progressivamente il movimento vibratorio della punta della lingua.

RT-PA

(Sigla di Attivatore tissutale ricombinante del Plasminogeno), sostanza che normalmente è secreta in minima quantità dagli endoteli vascolari, ma che ormai è prodotta industrialmente in grande quantità, con una manovra di ricombinazione genetica, da una coltura di cellule di criceto in cui è stata inserita l’informazione genetica dell’attivatore umano. Questo attivatore è un enzima glicoproteico, che ha la proprietà di ìattivare” il plasminogeno presente nel sangue, convertendolo in plasmina, la quale a sua volta è in grado di dissolvere i trombi. Somministrato tempestivamente (entro 3 ore al massimo) dopo un attacco acuto di infarto cardiaco in dose adatta e per via endovenosa, l’rt-PA scioglie i trombi formatisi nelle coronarie arteriosclerotiche, rendendo più agevole il flusso del sangue, diminuendo l’estensione della zona infartuata e rendendo meno frequente la mortalità. La terapia trombolitica ha costituito un reale progresso nella gestione clinica dell’infarto miocardio acuto con sopraslivellamento ST. Queste sostanze infatti sono in grado, determinando una lisi del trombo che sta alla base dell’evento infartuale, di ristabilire il flusso coronarico verso il territorio colpito. Il meccanismo d’azione di questi farmaci consiste sostanzialmente nell’attivazione del plasminogeno (proteina plasmatica) in plasmina, enzima proteolitico in grado di depolimerizzare la fibrina e quindi di disaggregare il trombo. I farmaci attualmente nell’uso clinico, la streptochinasi e l’rt-PA hanno un reale impatto prognostico positivo nella prognosi di questi pazienti, tuttavia presentano anche importanti limiti: in circa la metà dei pazienti trattati non si ottiene infatti una ricanalizzazione coronaria efficace, mentre sussiste un rischio emorragico non trascurabile (il 5-10% dei pazienti trattati vanno incontro ad una emorragia cerebrale). Tra questi l’rt-PA è il prototipo dei trombolitici fibrino-specifici questa proprietà comporta una minor deplezione di fibrinogeno e plasminogeno rispetto alla streptochinasi. Il protocollo di impiego di questo farmaco rappresenta ancora (in associazione ad eparina ed aspirina) il trattamento farmacologico standard dell’infarto miocardio acuto con sopraslivellamento di ST entro 90 minuti dall’evento ischemico. Sono state introdotte più di recente varianti dell’rt-PA che possono essere somministrate in bolo, tra cui: tenecteplase (TNK-PA), reteplase (rPA) lanoteplase (nPA). Queste sostanze sembrano possedere un’emivita più lunga rispetto all’rt-PA.

RUBEOLA

vedi ROSOLIA

U - UQ
UBICHINONE

vedi UBIDECARENONE

UBIDECARENONE

(O ubichinone), nome farmacologico dato a una particolare molecola, il coenzima Q 10, presente nelle cellule e in moltissimi altri animali. Si tratta di un componente essenziale della respirazione cellulare il suo ruolo più importante è quello di fornire al muscolo cardiaco l’energia necessaria alle sue funzioni, quindi come farmaco è particolarmente indicato negli stati di scompenso cardiaco. L’u. ha anche la capacità di annullare la tossicità dei radicali liberi che si formano nel cuore danneggiato da un infarto è pertanto utilizzato negli esiti di infarto, nella miocardiopatia dilatativa, nell’arteriosclerosi e nei disturbi circolatori della vecchiaia.

UBRIACHEZZA

Condizione patologica determinata da una intossicazione acuta da alcol etilico, che si manifesta nei soggetti che abbiano bevuto una quantità eccessiva di bevande alcoliche.

UDITO

Funzione di senso che consente la percezione di stimoli costituiti da movimenti vibratori dell’ambiente questi agiscono su recettori specifici nei quali si generano impulsi nervosi che, trasmessi a determinati centri della corteccia cerebrale, producono la sensazione cosciente del suono. Le vibrazioni capaci di determinare sensazioni uditive sono dette anche onde sonore esse si propagano nell’aria, o in altri mezzi, e raggiungono così la membrana del timpano, che chiude in profondità il condotto uditivo esterno dell’orecchio. La velocità con cui le onde sonore si propagano dipende dalla natura del mezzo, dalla temperatura, dall’altitudine nell’aria al livello del mare e a una temperatura di 20° C esse viaggiano a 344 m/s ca. nell’acqua la velocità è maggiore, 1428 m/s ca.L’apparato di trasmissione. L’organo di senso dal quale dipende la funzione dell’u. è l’orecchio le cellule sensoriali recettrici per le sensazioni uditive sono incorporate in una struttura complessa, l’organo del Corti, contenuto nella chiocciola dell’orecchio interno.Il padiglione e il condotto uditivo esterno, che nel loro insieme hanno la forma di imbuto, agiscono come un collettore di onde sonore, convogliandole alla membrana timpanica in quantità circa doppia rispetto a quella in arrivo a livello del padiglione. La membrana del timpano all’arrivo dell’onda sonora entra in vibrazione oscillando come una tenda sospesa ad un asse curvilineo posto in prossimità del suo margine superiore. Le vibrazioni della membrana sono rese più facili dal fatto che la pressione dell’aria sulle due superfici è in equilibrio, in quanto la cassa del timpano comunica liberamente con la rinofaringe attraverso la tuba di Eustachio. Inoltre l’elasticità della membrana e la sua massa piccolissima ne rendono possibili le vibrazioni per quantità di energia estremamente piccole (0,0002 dine/cm2), con spostamenti altrettanto piccoli (10-9cm).La catena degli ossicini. Le vibrazioni della membrana timpanica si trasmettono alla catena degli ossicini contenuti nella cassa del timpano l’ampiezza delle oscillazioni, l’asse di rotazione del sistema e i moti relativi degli ossicini vengono modificati e modulati dalla contrazione dei muscoli dell’orecchio medio (tensore del timpano e stapedio).L’orecchio interno. Attraverso la catena degli ossicini le vibrazioni vengono trasmesse ai liquidi dell’orecchio interno: infatti ad ogni pressione positiva nel condotto uditivo esterno il piede della staffa si affonda nella finestra ovale comprimendo il liquido endolabirintico o perilinfa nella rampa vestibolare del canale cocleare. Poiché le pareti ossee del canale cocleare sono rigide ed il liquido endolabirintico non è comprimibile, quest’ultimo scarica la pressione che gli viene trasmessa dalla staffa attraverso la rampa timpanica della chiocciola e la finestra rotonda, ove si avrà una corrispondente estroflessione, verso la cassa del timpano, della membrana che la chiude. Le vibrazioni della staffa nella finestra ovale determinano quindi una serie di onde viaggianti nella perilinfa del vestibolo come l’onda avanza nella chiocciola la sua altezza raggiunge un massimo e poi decresce rapidamente, e a seconda della frequenza dell’onda sonora varia la distanza (rispetto alla finestra ovale) alla quale l’onda raggiunge il suo massimo. Per i suoni gravi (vibrazioni di bassa frequenza) il picco dell’onda migrante è posto in prossimità dell’apice della chiocciola, mentre per i suoni acuti esso è vicino alla base. In corrispondenza dei picchi delle onde che percorrono la rampa vestibolare del canale cocleare si determinano depressioni e distorsioni della membrana basilare, con spostamento delle cellule ciliate dell’organo del Corti le ciglia, comprese tra la superficie apicale delle cellule e la membrana tectoria, vengono così variamente stirate, compresse, piegate. Queste deformazioni delle ciglia determinano la stimolazione delle cellule sensoriali, che a loro volta stimolano le terminazioni nervose afferenti delle fibre del ramo cocleare del nervo acustico, situate alla base delle cellule stesse.
Padiglione auricolare, condotto uditivo esterno, membrana del timpano, cassa timpanica, catena degli ossicini e muscoli annessi, liquidi della porzione cocleare del labirinto e membrana basilare costituiscono nel loro insieme l’apparato di trasmissione delle onde sonore, che vengono condotte alle strutture dell’orecchio interno e rendono possibile la stimolazione delle cellule sensoriali recettrici. In questo sistema il rapporto sfavorevole tra la resistenza (o impedenza) acustica del mezzo aereo e quella più elevata del mezzo liquido dell’orecchio interno, viene quasi completamente corretto grazie al meccanismo di leve della catena degli ossicini, ed anche grazie alla differenza di superficie tra membrana del timpano e finestra ovale. La trasmissione delle onde sonore, oltre che attraverso la membrana del timpano e la catena degli ossicini (trasmissione ossiculare), è possibile anche attraverso la membrana timpanica secondaria che chiude la finestra rotonda (che pure viene fatta vibrare dalle onde sonore, trasmissione aerea, poco importante in condizioni normali), così come attraverso le vibrazioni delle ossa craniche (trasmissione ossea, che ha una parte nella trasmissione dei suoni molto forti).I centri d’analisi per l’elaborazione del suono. Gli impulsi nervosi che si producono per effetto della stimolazione delle cellule ciliate raggiungono i centri del sistema nervoso attraverso le fibre del ramo cocleare del nervo acustico, VIII paio dei nervi cranici l’insieme delle fibre e dei centri nervosi attraverso i quali ascende e viene elaborato l’impulso nervoso originato nella chiocciola prende il nome di via acustica. Le terminazioni nervose situate alla base delle cellule ciliate dell’organo del Corti originano dalle cellule del ganglio spirale, contenuto nello spessore della lamina spirale ossea della chiocciola i prolungamenti centrali delle stesse cellule gangliari entrano nel modiolo della chiocciola e poi nel condotto uditivo interno, che percorrono insieme alle fibre del ramo vestibolare e a quelle del nervo facciale entrano poi nel tronco dell’encefalo al limite tra midollo allungato e ponte, in vicinanza del peduncolo cerebellare inferiore le fibre terminano in corrispondenza di nuclei di sostanza grigia detti nuclei cocleari (dorsale e ventrale), i quali rappresentano un primo centro per l’analisi e l’elaborazione dello stimolo sonoro. Dai nuclei cocleari gli impulsi proseguono lungo vie complesse, in parte dirette ed in parte crociate. Alcune fibre raggiungono direttamente i tubercoli quadrigemini posteriori del mesencefalo e i corpi genicolati mediali, mentre altre fibre si interrompono a livello di centri nervosi del ponte (nucleo olivare superiore e nucleo del corpo trapezoide). I tubercoli quadrigemini posteriori e i corpi genicolati mediali costituiscono i principali centri acustici sottocorticali dai primi originano fibre nervose discendenti per le reazioni motorie riflesse dipendenti da stimoli sonori. Dai corpi genicolati mediali gli impulsi nervosi raggiungono poi la corteccia cerebrale della prima circonvoluzione temporale: tale regione è detta area acustica primaria essa è collegata con l’area acustica dell’emisfero opposto, e con altre aree corticali sensoriali ed associative. Gli impulsi nervosi provenienti dalle diverse parti della chiocciola mantengono anche nei vari centri nervosi e nella corteccia dell’area acustica primaria una certa distribuzione spaziale topografica, per i suoni delle diverse frequenze, analoga a quella esistente nella chiocciola. È interessante notare come nel sistema nervoso centrale la “rappresentazione” della chiocciola si espanda progressivamente fino a risultare, a livello della corteccia cerebrale, 340 volte superiore rispetto a quella che si ha nelle fibre del nervo acustico ciò spiega forse la grande capacità che l’u. consente di analizzare i suoni complessi e di identificarne i componenti (l’uomo può normalmente distinguere fino e 2000 toni, i musicisti molti di più). Nella via acustica esistono anche fibre efferenti, dirette e crociate, che originano nei nuclei olivari superiori e discendono lungo il nervo acustico sino alla chiocciola, ove terminano distribuendosi in una fitta rete alla base delle cellule ciliate nell’organo del Corti esse avrebbero una funzione inibitrice, importante per la modulazione della chiocciola agli stimoli sonori. Vibrazioni di frequenza e orecchio umano. L’apparato uditivo dell’uomo è in grado di percepire suoni corrispondenti a vibrazioni di frequenza variabile da un minimo di 20 a un massimo di 20.000 cicli al secondo con l’avanzare dell’età il limite superiore di frequenza si riduce progressivamente.
A seconda dell’altezza (o tonalità) del suono varia la sensibilità dell’orecchio, che è massima per le frequenze comprese tra 1000 e 3000 Hz (la tonalità della voce usuale corrisponde a 120-250 Hz). Mentre la tonalità del suono dipende dalla frequenza delle vibrazioni, la sua intensità dipende dalla loro ampiezza. L’intensità dei suoni viene misurata in decibel a un certo valore di intensità (120 dB ca.) le vibrazioni sonore provocano una sensazione di fastidio per valori ancora superiori esse determinano una sensazione dolorosa, e possono danneggiare in modo permanente l’organo di Corti. Onde sonore che si ripetano danno una sensazione di suono musicale, il cui timbro dipende dalla forma dell’onda e da vibrazioni armoniche (o sovratoni) che si aggiungono al tono fondamentale. Le vibrazioni non periodiche danno invece una sensazione di rumore. La percezione della direzione di provenienza dei suoni dipende dalla differenza di tempo che le vibrazioni provenienti da una certa sorgente sonora impiegano nel raggiungere l’uno e l’altro orecchio (si tratta di differenze minime, ma il cervello è in grado di apprezzare una differenza di soli 10 microsecondi).Disturbi della funzione uditivaAlterazioni dell’u., dalla semplice diminuzione della acuità uditiva (ipoacusia) sino alla sordità completa (cofosi), si possono manifestare in conseguenza di processi patologici e lesioni che possono interessare l’orecchio nelle sue varie parti (orecchio esterno, medio, interno), o il nervo cocleare, o le vie uditive nel sistema nervoso centrale sino alla corteccia cerebrale.Sordità di trasmissione. I disturbi dipendenti da lesioni localizzate nell’orecchio esterno e nell’orecchio medio vengono definiti anche sordità di trasmissione o di conduzione, in quanto sono dovuti a riduzione nella trasmissione dei suoni. Tra le condizioni più comuni vi sono l’ostruzione del condotto uditivo esterno da parte di corpi estranei o di tappi di cerume, la distruzione della catena degli ossicini o l’ispessimento della membrana timpanica in seguito a processi infiammatori recidivanti dell’orecchio medio, l’abnorme rigidità nella inserzione della staffa nella finestra ovale quale si ha nell’otosclerosi.Sordità di percezione. Vengono definite sordità di percezione le forme, molto meno frequenti, dovute a lesioni che colpiscano l’orecchio interno o le strutture nervose, dal nervo acustico sino alla corteccia cerebrale. Tra le cause vi possono essere tumori del nervo acustico, processi patologici (tumorali o non tumorali) che interessino la base del cranio coinvolgendo il nervo acustico, alterazioni degenerative del nervo stesso (per es. da tossici o da farmaci quali la streptomicina), lesioni vascolari o d’altra natura a livello del ponte, del mesencefalo, o di altri distretti encefalici.I due tipi di sordità vengono distinti, oltre che per alcuni caratteri clinici, per mezzo di prove effettuate con un diapason (prova di Weber, di Rinne, di Schwabach). Spesso tuttavia si hanno forme con caratteri atipici o misti, di conduzione e di percezione, che risultano difficilmente classificabili.Altri disturbi. Oltre alla riduzione dell’acutezza uditiva altri disturbi dell’u. possono essere costituiti da sensazioni soggettive di ronzii o di altri rumori di varia tonalità, continui o ritmici (acufeni), che si associano spesso alle ipoacusie di varia natura, e che possono comparire anche nelle nevrosi, in disturbi circolatori alterazioni qualitative delle sensazioni uditive (paracusie) allucinazioni uditive disturbi nel riconoscimento del linguaggio parlato (sordità verbale), dei suoni, dei rumori.Queste ultime dipendono da lesioni dell’area uditiva nella corteccia cerebrale si associano in genere a disturbi di altre funzioni del linguaggio (afasia).L’u., così come la vista, il tatto e altri sensi, costituisce una modalità specifica molto importante dell’esperienza, che consente di conoscere sistemi fenomenici esterni (quali oggetti, persone, ambienti o mezzi interposti), sistemi intrapersonali, strutture di relazione tra il soggetto e il mondo esterno, qualità di oggetti, persone, ambienti ecc. L’u. consente anche forme di propriocettività allorché il soggetto è impegnato a cogliere, per via aerea o anche per via intracorporea, suoni e rumori personali come quelli da lui stesso prodotti nel parlare, nel cantare, nel respirare, nel muoversi (queste esperienze uditive propriocettive costituiscono importanti complementi per l’attuazione di svariate condotte pratiche, quali la fonazione, l’esecuzione musicale ecc.). L’esperienza uditiva presenta anche importanti aspetti spaziali (riguardanti le posizioni, le grandezze, le forme, le consistenze, le distanze delle sorgenti sonore) così come aspetti temporali (in quanto essa si svolge tipicamente per sequenze, nelle quali le caratteristiche fenomeniche di un singolo suono vengono determinate anche da quelle dei suoni adiacenti, che precedono o che seguono, cioè dai loro contesti di riferimento, nella loro dimensione anche temporale).
Per tutte queste ragioni l’u. riveste una importanza fondamentale non solo nell’ambito della attività conoscitiva, ma anche in quella della socialità, dell’aggressività, della sessualità attraverso le espressioni naturali o le arti musicali e teatrali, esso è inoltre fonte importante di esperienze estetiche. Di conseguenza le carenze uditive possono produrre notevoli deficit e distorsioni della personalità, delle quali la più vistosa è rappresentata dal mancato apprendimento del linguaggio orale, onde il mutismo nei soggetti sordi dalla nascita.

UGOLA

Prolungamento mediano e verticale che si stacca dalla porzione centrale del margine libero del velo palatino e divide la cavità anteriore della bocca da quella posteriore.

ULCERA

Escavazione della superficie di un organo o di un tessuto causata sempre da un processo patologico che interessa gli strati più profondi del tessuto colpito è caratterizzata da scarse capacità riparative spontanee. Le cause determinanti sono varie: processi infiammatori, turbe circolatorie periferiche, disturbi trofici di origine nervosa, traumi fisici e chimici. A volte può rappresentare l’evoluzione di una lesione come, per esempio, di bolle, pustole, noduli. La riparazione di un’u. avviene tramite la formazione di una cicatrice.

ULCERA MOLLE

(O ulcera di Ducrey), è una malattia altamente infettiva causata da Haemophilus ducreyi, un batterio gram-negativo. Il contagio è per via diretta, tramite rapporto sessuale. Dopo l’incubazione, che può variare dai 2 ai 14 giorni, si formano nella regione genitale e in quella anale delle lesioni vescico-pustolose che rompendosi danno origine a ulcerazioni dai bordi tumefatti, mentre il fondo è anfrattoso e molle, da cui il nome. La linfoadenite e la linfangite sono possibili complicazioni, determinate dalla diffusione del batterio per via linfatica. Causano un dolore sordo, che diviene forte alla palpazione. Si curano con sulfamidici e antibiotici. Per il medico è obbligatoria la denuncia.

ULCERA PEPTICA

Ulcera correlata a Helicobacter pylori, ulcere correlate ai FANS e ulcere di Zollinger-Ellison. In Italia si calcolano circa un milione di casi l’anno. Si tratta tra l’altro di una patologia che interessa tutte le fasce d’età, anche se gli adolescenti ben difficilmente ne sono colpiti ed ancora meno lo sono i bambini. Si può comunque distinguere tra u. duodenale, la più frequente 65% dei casi, che si verifica per la prima volta tra i 30 e i 50 anni ed è più comune tra gli uomini e quella gastrica che invece caratterizza in genere gli ultrasessantenni e soprattutto le donne. Durante il suo normale percorso il cibo attraversa l’esofago e raggiunge lo stomaco qui avviene la digestione mediata da acidi ed enzimi che costituiscono il succo gastrico. Il cibo quindi viene dirottato al duodeno, porzione superiore del piccolo intestino, dove viene completata la digestione e si ha l’assorbimento nutritivo. Le due forme più frequenti sono l’u. gastrica e l’u. duodenale, le quali, pur rappresentando localizzazioni ben distinte di una stessa malattia, aspetti causali e caratteri clinici fanno sì che esse debbano essere considerate come un’unica entità. L’attività della mucosa gastrica e duodenale è mantenuta grazie a un bilancio tra fattori aggressivi, come l’acido e la pepsina, e i normali meccanismi difensivi dell’epitelio gastrico e duodenale, fra cui la secrezione di muco che riveste la superficie gastrica, bicarbonato prodotti localmente che neutralizzano l’acido, la rigenerazione di nuove cellule epiteliali e la normale irrorazione sanguigna della mucosa gastrica. Questi meccanismi di difesa dipendono dalla sintesi di prostaglandine da parte della mucosa. In condizioni patologiche, le cui cause sono complesse e ancora non del tutto conosciute, aumenta la produzione acida ed enzimatica, mentre diminuisce la quantità di fattori protettivi che rivestono lo stomaco. Il succo gastrico agisce così in modo aggressivo sulla mucosa che riveste lo stomaco e il duodeno e si produce prima una infiammazione della parete e quindi la sua erosione o per meglio dire ulcerazione. Oggi è stato dimostrato che la maggior parte delle ulcere si svilupperebbe in seguito ad una vera e propria infezione della mucosa gastroduodenale causata da un germe, l’Helicobacter pylori ne è stata dimostrata la presenza nel 100% dei portatori di u. duodenale e nel 70% dei portatori di u. gastrica. Questo batterio produce una infezione cronica durante la quale il batterio si attacca alle cellule epiteliali gastriche, rilasciando una varietà di enzimi extracellulari, fra cui l’ureasi, che rompe lo strato mucoso della parete gastrica. Sebbene una gastrite cronica attiva sia presente in tutte le persone infette, solo una minoranza sviluppa in realtà ulcere duodenali. Eventi critici nello sviluppo dell’u. duodenale comprendono lo sviluppo di metaplasia plastica nel bulbo duodenale, la colonizzazione della metaplasia da parte di Helicobacter Pylori e la secrezione di proteine citotossiche da parte di alcuni ceppi. L’eradicazione di Helicobacter Pylori ripristina i livelli di gastrina basali e postprandiali al valore normale ed elimina sostanzialmente il rischio di u. peptica ricorrente.Tra le cause vanno poi ricordati alcuni farmaci, come gli antiinfiammatori in genere, che oltre a favorire la formazione di ulcere più o meno gravi possono aumentare il rischio di sanguinamento di un’u. preesistente. Le ulcere correlate ai FANS sono causate soprattutto dall’inibizione della sintesi di prostaglandine da parte dei FANS. Pertanto l’u. peptica può seguire la somministrazione intrarettale o parenterale di FANS. Alcuni FANS presentano anche un effetto tossico topico diretto, che è stato meglio studiato con l’aspirina. L’aspirina, gli oxicami e il naprossene sodico facilitano la retrodiffusione di acido attaverso la mucosa gastrica interferendo con la capacità dello stomaco di produrre la mucosa protettiva e condizionando anche l’afflusso di sangue nella zona gastrica.Le ulcere di Zollinger-Ellison sono causate dall’ipersecrezione di acido, che deriva direttamente da elevati livelli circolanti di gastrina prodotti da tumori endocrini che originano nel pancreas o nella parete dell’intestino tenue.Altri fattori ritenuti tradizionalmente importanti nell’eziopatogenesi dell’u.
peptica come stress, sia fisico sia emozionale, alimentazione scorretta, fumo, caffeina, alcol possono modificare il rischio di malattia ulcerosa, ma di se stessi non sono sufficienti a provocare ulcere.Di questi il più importante è il fumo di sigaretta. Il rischio di sviluppo di u. duodenale, il rischio di fallimento della terapia antisecretoria e il rischio di recidive sono direttamente proporzionali al numero di sigarette fumate.

Sintomi
La sintomatologia è inizialmente subdola e poco chiara, tanto che molti pazienti con l’u. possono non avere alcun sintomo e andare incontro a una guarigione spontanea e variano a seconda della sede dell’u. Tuttavia, il sintomo più importante, spesso l’unico, è il dolore. Questo è tipico sia per la sua ricorrenza stagionale (si presenta generalmente in primavera e autunno) sia per la sua ritmicità di comparsa nella giornata. I sintomi classici di u. duodenale comprendono dolore nella parte centro superiore dell’addome urente presenza di crampi che svegliano il paziente di notte e sono attenuati dai pasti e dagli antiacidi e possono durare da alcuni minuti a parecchie ore. Si realizza un “ritmo a tre tempi” (pasto-benessere-dolore). I pazienti con u. gastrica lamentano, invece, sazietà precoce, nausea e vomito, esacerbazione del dolore con il pasto e localizzazione atipica del dolore, come al quadrante superiore sinistro. Si realizza il cosiddetto “ritmo a quattro tempi” (pasto-benessere-dolore-benessere). Più spesso i pazienti con u. peptica si presentano con un gruppo di sintomi conosciuti come dispepsia. La più tipica caratteristica dell’u. peptica è la attenuazione o la scomparsa del dolore con l’ingestione di cibo o di sostanze alcaline. I sintomi dispeptici comprendono dolore epigastrico urente, meteorismo addominale superiore, gonfiore e nausea. Sono possibili anche complicazioni come emorragia, perforazione (seguita da peritonite) o processi ostruttivi. La sede del dolore è tipicamente epigastrica sono possibili diverse irradiazioni a seconda della localizzazione dell’u.: all’ipocondrio destro, dorsale, bilateralmente lungo le ultime coste, raramente retrosternale. A tutt’oggi non è chiaro per quale ragione l’ulceroso senta dolore. L’ipotesi iniziale, che l’acidità gastrica irritasse le fibre nervose che risultano scoperte nella zona ulcerata, è stata smentita perché pare che queste diventino insensibili agli stimoli. Si fa l’ipotesi che il dolore sia dovuto all’aumento della pressione intraviscerale indotta da spasmo oppure da stimolazioni dolorifiche provocate dallo stato infiammatorio. Non c’è comunque una dimostrazione sicura di ciò.

Diagnosi
L’approccio diagnostico dell’u. peptica prevede l’esecuzione dell’endoscopia e della ricerca dell’infezione da Helicobacter Pylori. Si può eseguire anche la radiografia con bario a doppio contrasto come alternativa accettabile all’endoscopia per la diagnosi di u. peptica. Tuttavia, si preferisce l’endoscopia perché è più accurata nel rilevare le ulcere, consente di differenziare l’u. attiva da quella inattiva, consente la biopsia delle ulcere gastriche per escludere una neoplasia maligna, e consente la documentazione anatomopatologica della gastrite nonché dell’infezione da Helicobacter Pylori. La diagnosi di infezione da Helicobacter Pylori viene fatta in modo non invasivo tramite il breath test. Questo test si basa sulla capacità dell’Helicobacter Pylori di metabolizzare rapidamente l’urea in ammonio e CO2 (anidride carbonica). L’urea, marcata con l’isotopo 13 del carbonio, non radioattivo e presente in natura, viene somministrata al paziente ed attraverso il respiro (aria espirata) si può misurare l’eliminazione di CO2 marcata mediante una raffinata metodica di laboratorio (spettrometria di massa). Un aumento della quota di CO2, tra due prove consecutive (una si fa prima e l’altra mezz’ora dopo la somministrazione dell’urea), è quindi un indice indiretto della presenza di infezione da Helicobacter Pylori a livello gastrico.

Terapia
Le ulcere da Helicobacter Pylori vengono trattate principalmente con l’eradicazione dell’infezione. La terapia migliore consiste nella somministrazione di un farmaco antisecretorio in combinazione con la terapia anti-Helicobacter. Gli inibitori della pompa protonica (IIP) (Omeprazolo) sono gli agenti antisecretivi preferiti perché presentano anche una attività anti-Helicobacter annullano completamente la secrezione gastrica, sedano i sintomi mediamente in sole 24-48 ore, riducono del 50% il tempo di cicatrizzazione dell’ulcera.

Per l’eradicazione si utilizza bismuto, metronidazolo o claritromicina, tetraciclina o amoxicillina e un omeprazolo questa quadrupla terapia si associa a tassi di eradicazione del 98%. In alternativa c’è la tripla terapia con omeprazolo (o lansoprazolo), claritromicina e metronidazolo i tassi di eradicazione con tripla terapia sono del 90%. Dovranno essere poi eseguiti esami quali il breath test o una nuova gastroduodenoscopia con prelievo bioptico per confermare l’eliminazione del batterio dopo qualche settimana di terapia. Il trattamento delle ulcere da FANS comprende l’esame per la presenza di Helicobacter Pylori e l’eradicazione dell’infezione, se presente. I pazienti con u. peptica da FANS devono essere trattati con un ciclo di 8 settimane con inibitori del recettore H2 della istamina, i capostipiti sono la cimetidina e la ranitidina. Più recenti sono poi la famotidina e la nizatidina seguiti, ultimamente, dalla roxatidina, o con un ciclo di 4 settimane con un inibitore della pompa protonica. Si preferiscono gli IPP se l’u. è più grande di 5mm. Tra i protettori della mucosa merita particolare attenzione il sucralfato, che forma un film protettivo sulle lesioni ulcerose e stimola i fattori difensivi della mucosa. L’indicazione alla terapia chirurgica è di scelta per le ulcere gastriche o duodenali complicate cioè perforate, sanguinanti o che in seguito a cicatrizzazione abbiano determinato un restringimento della cavità gastrica o duodenale. I trattamenti per l’u. peptica complicata possono essere:- la gastroresezione, che consiste nell’asportazione chirurgica dell’ultimo tratto di stomaco (regione antrale) e del bulbo duodenale con successivo abboccamento del restante stomaco al digiuno (ricostruzione secondo Billroth II) oggi si preferisce tuttavia utilizzare la tecnica di ricostruzione su ansa a Y secondo Roux.- la piloroplastica con vagotomia selettiva, limitata a ulcere dell’antro gastrico o del bulbo duodenale. Consiste nell’asportazione del solo tratto perforato tramite incisione orientata secondo l’asse longitudinale e successiva sutura della stessa unendo i lembi in senso trasversale viene poi associata la resezione dei rami gastrici del nervo vago allo scopo di ridurre notevolmente la stimolazione nervosa alla secrezione di acido cloridrico. Questo tipo di vagotomia sacrifica però tutta l’innervazione vagale che regola la motilità dell’antro e del piloro gastrici. Pertanto viene oggi sostituita con la vagotomia superselettiva, che denerva solo la porzione acido-secernente dello stomaco, conservando un normale svuotamento gastrico e una buona contrattilità dell’antro: si rende così superflua l’esecuzione della piloroplastica, a meno che non ci sia una stenosi pilorica infiammatoria.

ULCERA VARICOSA

Si forma di solito sulla parte inferiore della gamba presso la caviglia (perciò è chiamata anche ulcera trofica della gamba), in persone che soffrono di insufficienza venosa degli arti inferiori, varici, flebiti, varicoflebiti, favorite da malattie sistemiche quali diabete, ipertensione, cardiopatie. Si forma per lento avanzamento di piaghe di origine traumatica, per convergenza di punti necrotici dovuti a occlusione di vasi sanguigni, per edemi dovuti a stasi venose o a scompensi cardiaci. Ha forma irregolare con fondo lardaceo o purulento con bordi cianotici. La terapia richiede l’uso di farmaci ad attività flebotonica e un’attenta pulizia locale della piaga.

ULCERAZIONE

vedi ULCERA

ULERITEMA

L'ulerythema oophryogenes è una malattia della pelle piuttosto rara, facente parte delle cosiddette cheratosi pilari atrofizzanti, patologie caratterizzate da cheratosi follicolare associata a diversi gradi di infiammazione che porta alla distruzione dei follicoli interessati con la loro conseguente atrofia.Si manifesta solitamente nella prima infanzia, interessando preferenzialmente la porzione più laterale delle sopracciglia, in maniera simmetrica. Inizia come una lesione eritematosa persistente e induce la formazione di piccole papule cornee, con conseguente atrofia dei follicoli e perdita permanente dei peli coinvolti le lesioni residuano sotto forma di piccole cicatrici puntiformi. Non si conoscono terapie in grado di modificare il decorso spontaneo della patologia né di eliminare o ridurre le cicatrici residue.

ULNA

(O cubito), osso lungo che, con il radio che gli sta accanto, forma lo scheletro dell’avambraccio. È lungo 25-35 cm, e ha sezione irregolarmente triangolare. La sua estremità superiore si collega, nell’articolazione del gomito, all’estremità inferiore dell’omero, alla quale corrisponde perfettamente. Una robusta sporgenza situata posteriormente, l’olecrano, nei movimenti di estensione dell’avambraccio va ad incastrarsi in una corrispondente fossa (fossa olecranica) dell’omero, impedendo una estensione superiore ai 180°. L’estremità superiore si articola inoltre con il radio in modo tale da consentire una rotazione dell’osso nei movimenti di pronazione e di supinazione. L’estremità inferiore dell’u. si articola lateralmente con il radio e, nell’articolazione del polso, con le ossa del carpo.

ULTRASONOGRAFIA DOPPLER

L’u. Doppler è effettuata mediante ultrasuoni e permette di misurare la velocità del flusso cerebrale attraverso un’arteria (è definita pertanto anche velocimetria Doppler). Gli ultrasuoni sono onde di tipo meccanico (di compressione e rarefazione del mezzo materiale interposto), della stessa natura dei suoni udibili dall’orecchio umano, ma di frequenza più elevata (al di sopra dei 20000 Hz), e quindi non udibili. La maggior parte delle applicazioni diagnostiche si effettua con frequenze comprese tra 2,5 e 10 MHz. Vengono generati sfruttando la proprietà di opportuni cristalli di entrare in vibrazione ad altissima frequenza (produzione delle onde ultrasonore) quando eccitati da impulsi elettrici. Il cristallo, che fra un impulso elettrico generatore di ultrasuoni ed il successivo, entra in una fase di riposo, viene deformato meccanicamente dalle onde riflesse e genera a sua volta impulsi elettrici (effetto piezoelettrico) amplificati ed elaborati dall’apparecchiatura.L’effetto Doppler è rappresentato dalla variazione di frequenza subita da un fenomeno vibratorio, quale è il suono, quando questo venga riflesso da un ostacolo in movimento. Uno spostamento verso la sonda aumenterà la frequenza di ritorno, mentre un movimento che se ne allontana tenderà a diminuirlo.Nell’esplorazione vascolare, un fascio di ultrasuoni emesso con frequenza nota, e diretto verso un vaso, viene in larga parte disperso ed in parte riflesso dai globuli rossi in movimento, con frequenze diverse: le differenze fra la frequenza di emissione e quella di riflessione risultano situate in un intervallo di suono udibile ed, opportunamente filtrate, sono, quindi analizzabili sia acusticamente che graficamente. Le variazioni di frequenza rilevabili con corretta angolatura fra sonda e vaso, saranno proporzionali alle velocità relative di spostamento dei diversi globuli rossi rispetto alla sorgente dell’ultrasuono. Nel corso dell’esame, una sonda emettente ultrasuoni viene posta sulla cute sovrastante il vaso da esaminare e la frequenza dell’eco fornisce indicazioni sulla velocità di flusso proprio perchè qualsiasi spostamento di frequenza è proporzionale alla velocità degli eritrociti e all’angolo del fascio di onde sonore. Quando il lume arterioso è ristretto, la velocità di flusso aumenta, e l’u. Doppler evidenzia un aumento delle frequenze registrate.La velocimetria Doppler consente di esplorare le carotidi comuni, le carotidi interne ed esterne, le arterie succlavie e, in parte, le arterie vertebrali. Di tali vasi, è possibile riconoscere con affidabilità stenosi di grado superiore al 50%. In presenza di stenosi di grado elevato o di occlusioni dell’arteria carotide interna, si può documentare l’inversione della direzione del flusso dell’arteria epitrocleare, che riceve sangue, anziché dalla carotide interna ostruita, dai rami anastomotici provenienti dalla carotide esterna diretti per via retrograda verso l’arteria oftalmica.Nell’u. di tipo B (B-mode) gli echi riflessi dalle strutture anatomiche vengono rappresentati nello schermo di un oscilloscopio in due dimensioni. La luminosità risultante in ciascun punto riflette la densità della struttura rappresentata. La tecnica è stata utilizzata per visualizzare l’arteria carotide interna e la biforcazione nel collo, consentendo la valutazione dell’entità della patologia vascolare extracranica. Può essere visualizzata la parete arteriosa e possono essere evidenziate le lesioni arteriosclerotiche.Le strumentazioni Duplex, attualmente diffusamente utilizzate per l’u. vascolare, consentono di combinare le immagini B-mode e quelle dell’u. Doppler, fornendo simultaneamente informazioni sulla struttura e sull’emodinamica circolatoria mediante codifica colorimetrica. La tecnica viene sempre più utilizzata per valutare i pazienti con sospette lesioni ateromasiche dell’arteria carotide interna a livello cervicale. Tale screening sonografico si è rivelato utile nell’identificare i pazienti candidati all’arteriografia, riducendo così il numero di esami arteriografici non necessari. Qualora l’u. evidenziasse una patologia significativa con possibili indicazioni chirurgiche, è necessaria l’angiografia per fornire una panoramica della vascolarizzazione e aiutare a pianificare il trattamento. Nell’esame duplex dei tronchi sovra-aortici, si evidenziano anche lesioni minori della parete vasale che sfuggono alle tecniche Doppler quando non modificano i parametri velocimetrici. Lo studio ecografico è inoltre in grado di precisare le caratteristiche delle alterazioni parietali: ispessimenti parietali, placche ateromatose, dissecazioni della parete arteriosa, alterazioni displastiche.La velocimetria Doppler transcranica, per le sue caratteristiche non invasive, ha assunto sempre maggior importanza negli ultimi anni. Viene utilizzata una sonda da 2 MHz ad emissione pulsata (fascio di ultrasuoni emesso ad intervalli regolari) capace di penetrare la teca cranica nei punti più sottili (finestre ossee) e visualizzare i grossi vasi di cerebrali grazie al vantaggio dell’emissione pulsata, costituito dal fatto che la profondità di riflessione dell’ultrasuono è calcolabile consentendo informazioni soltanto riguardo ad una regione circoscritta, corrispondente al cosiddetto volume campione.
Essa permette di valutare le caratteristiche della circolazione intracranica in pazienti portatori di varie patologie e di seguirne l’evoluzione nel tempo. Le indicazioni del Doppler transcranico sono:- Studio degli effetti emodinamici a livello intracranico delle patologie extracraniche delle arterie carotidi ( stenosi carotidea al collo o stenosi succlavio-vertebrale) - Riconoscimento di stenosi od occlusione dell’arteria cerebrale media - Diagnosi e monitoraggio del vasospasmo conseguente a emorragia subaracnoidea che compare tra il quarto e l’ottavo giorno dall’esordio di quest’ultima, con normalizzazione alla terza-quarta settimana - Identificazione di malformazioni arterovenose di medie e grosse dimensioni - Monitoraggio in corso di interventi chirurgici con by-pass cardiopolmonare e di endoarterectomia carotidea.- È stato inoltre descritto l’utilizzo del Doppler transcranico per il riconoscimento del passaggi di microemboli nell’arteria cerebrale media e per lo studio indiretto dell’esistenza di pervietà del forame ovale.- Con questa metodica si possono inoltre effettuare test funzionali: ne è un esempio il Test con anidride carbonica (CO2) basato sul seguente principio. La CO2 è un potente vasodilatatore delle arterie della base cerebrale: varia il flusso ematico essendo capace di modificare le resistenze cerebrovascolari. La respirazione di una miscela gassosa (ossigeno puro + CO2 al 5%) oppure l’induzione di ipercapnia (aumento della concentrazione ematica di CO2) con iniezione di acetazolamide, sono seguite dalla determinazione dell’ aumento di flusso, indotto con CO2 nell’arteria cerebrale media. Tale determinazione permette di stabilire se i vasi cerebrali della base cerebrale siano dilatati completamente già a riposo per compensare le stenosi o se esista ancora una “capacità di riserva di CO2”. Questi test sono importanti per verificare le capacità della circolazione cerebrale ad adattarsi a condizioni diverse ed a modificare le sue caratteristiche (reattività vasale). Tali capacità sono più o meno alterate in varie patologie.

ULTRASUONOTERAPIA

Tecnica di terapia fisica che sfrutta i vari effetti biologici prodotti dagli ultrasuoni: questi agiscono sui tessuti determinando forti sollecitazioni meccaniche delle cellule, aumento della temperatura locale, e modificazioni chimiche soprattutto a carico delle molecole di maggiori dimensioni, con fenomeni di ionizzazione, scissione di catene lunghe, accelerazione di fenomeni osmotici. Gli ultrasuoni consistono in vibrazioni sonore a frequenza così elevata da non essere percepibili all’orecchio umano. Pertanto vengono modificate e migliorate le condizioni di nutrizione dei tessuti, con effetti analgesici, antinfiammatori, spasmolitici. L’azione biologica sarebbe dovuta alla capacità degli ultrasuoni di accelerare i processi metabolici cellulari, di determinare una reazione termica locale dovuta all’assorbimento di energia sonora, di provocare positive modificazioni del tono neuromuscolare e neurovascolare.L’u. viene effettuata mediante oscillatori piezoelettrici (che producono gli ultrasuoni) i quali vengono applicati a diretto contatto della parte da trattare, oppure con l’interposizione di acqua.Essa trova indicazione in diverse affezioni dell’apparato locomotore (spondilite anchilosante, spondilartrosi, artriti, periartriti scapolo-omerali, epicondiliti), del sistema nervoso periferico (nevralgie, sciatalgie, nevriti, morbo di Dupuytren), della pelle (ulcere varicose, piaghe torpide), stati infiammatori superficiali (ascessi infiltrati, mastiti) ed in varie malattie dell’apparato respiratorio, urogenitale e cardiovascolare.L’u. è controindicata in presenza di neoplasie, in vicinanza dell’area cardiaca o di organi sessuali, osteoporosi, flebiti in fase acuta.

ULTRAVIOLETTO

Spettro di radiazioni non visibili con lunghezza d’onda compresa fra i 176 ed i 400 nm. Il campo dei raggi ultravioletti (UV) viene diviso in tre bande:- UVA, con lunghezza d’onda da 400 a 315 nm - UVB, con lunghezza d’onda da 315 a 280 nm - UVC, con lunghezza d’onda inferiore ai 280 nm.I raggi UV fanno parte delle radiazioni solari. Gli UVC sarebbero bloccati dal filtro di ozono e pertanto non dovrebbero arrivare allo strato terrestre gli UVA e gli UVB hanno un particolare interesse in campo dermatologico dal momento che gli UVA, penetrando nel derma profondo, lo possono danneggiare, soprattutto nella sua componente elastica (invecchiamento) e gli UVB limitando la loro azione all’epidermide, danneggiano il nucleo del cheratinocita ed esplicano un effetto mutageno. Questo determina una reazione di difesa della cute che si manifesta come pigmentazione e si verifica in due tappe. La prima rapida, ma di scarsa efficacia, dovuta all’ossidazione della melanina già disponibile dello strato corneo. La seconda, più tardiva ma persistente, dovuta alla neosintesi di melanina ed al suo trasporto all’interno dei cheratinociti. Se le esposizioni ai raggi UV si ripetono, aumenta anche il numero dei melanociti. Infine gli UV determinano una parziale immunodepressione, poiché agiscono sull’attività dei linfociti T e delle cellule di Langerhans e questa reazione viene anche sfruttata nella terapia di alcuni quadri patologici (fototerapia).La razza caucasica possiede un’epidermide che in media lascia passare il 55% degli UVA ed il 27% degli UVB, mentre nella razza afroamericana queste percentuali sono del 17 e del 7% rispettivamente. Come appena accennato, gli UV vengono usati anche a scopo terapeutico e il loro impiego in questo senso si chiama fototerapia. Sono indicati soprattutto nella psoriasi, ma anche nella dermatite seborroica o atopica, nel prurito diffuso secondario ad insufficienza renale. Spesso si associano a farmaci (fotochemioterapia), come avviene soprattutto per gli UVA e gli psoraleni nella terapia della psoriasi (PUVA). Gli psoraleni sono sostanze biologiche capaci di amplificare gli effetti biologici delle radiazioni luminose sulla cute e pertanto vengono assunti dopo esposizione agli UVA, poiché trasferiscono l’energia assorbita al DNA delle cellule dermo-epidermiche, soprattutto ai linfociti T, ed inibiscono la fase sintetica del ciclo cellulare, ovvero le replicazione. In corso di psoriasi, l’epidermide va incontro ad iperplasia epidermica e, a livello dermoepidermico, si genera un’infiammazione testimoniata dalla presenza di linfociti T attivati. Appare chiaro quindi il motivo per cui la psoriasi si avvalga dell’applicazione della PUVA-terapia.Ma i raggi UV non sono impiegati solo in dermatologia. Essi posseggono a determinate lunghezze d’onda, anche effetto microbicida, proprio in virtù dell’effetto lesivo sul DNA. La loro azione è molto rapida, ma poiché non hanno grandi capacità di penetrazione, il loro effetto si esplica solo sulle superfici direttamente esposte. Vengono prodotti attraverso l’impiego di particolari lampade germicide e si usano nella sterilizzazione dell’aria e dei piani d’appoggio in ambienti protetti: laboratori, reparti di neonati pretermine, ecc. queste radiazioni però provocano lesioni su cute e mucose, per cui richiedono opportune protezioni.

UMORALE, immunità

Tipo di immunità mediata da particelle circolanti chiamate anticorpi. La risposta immunitaria, che come abbiamo detto si basa sulla reazione antigene-anticorpo, può essere inoltre immediata, quando gli anticorpi sono solubili (circolanti), o ritardata, quando gli anticorpi sono cellulari (linfociti). Questi due aspetti identificano rispettivamente l’immunità u. e l’immunità cellulare.Nel primo caso la fase effettrice (cioè di realizzazione che segue alla fase di allarme) della risposta immunitaria dipende essenzialmente dalla produzione e messa in circolo di particolari proteine, chiamate anticorpi o immunoglobuline, in grado di legarsi all’antigene, formando così un complesso antigene-anticorpo. Questi complessi sono in seguito eliminati da cellule denominate fagociti, che sono in grado di fissare, internalizzare (cioè inglobare) e poi digerire tali complessi. I linfociti che producono gli anticorpi vengono denominati linfociti di tipo B. Vediamo, dunque, come gli anticorpi abbiano la possibilità di riconoscere e identificare gli antigeni, e soprattutto come alcuni specifici linfociti T siano in grado di far scattare il riconoscimento anche da parte dei linfociti B, a loro volta capaci di costituire delle cellule memoria che, nel caso di una nuova infezione con una stessa particella patogena, permetteranno una risposta immunitaria immediata.I linfociti B sono caratterizzati dall’espressione sulla loro superficie di una proteina che è la forma di membrana dell’anticorpo che essi potranno in seguito sintetizzare e liberare nel circolo, quando l’organismo lo richiederà. Un’estremità dell’anticorpo forma una specie di tasca, nella quale si può incastrare una data struttura, unica, che corrisponde a un unico antigene, nello stesso modo in cui una chiave, e una sola, si può adattare a una data serratura. L’osservazione che il sistema immunitario è pronto a rispondere a un’infinità di antigeni, suggerisce quindi che nel sangue esistono un’infinità di anticorpi, aventi ognuno una particolare conformazione strutturale che permette loro di fissarsi a uno specifico antigene.Il meccanismo con cui i linfociti T riconoscono l’antigene dipende dalla presenza sulla loro superficie di un recettore per l’antigene, ma essi non sono in grado di riconoscere direttamente un antigene quando questo si trovi, per esempio, sulla superficie di un virus. Le cellule, preposte a tale compito, presentano al linfocita T gli antigeni in una configurazione che ne permetta il riconoscimento. I monociti e le cellule dendritiche hanno questo compito e sono capaci di captare e internalizzare l’antigene, poi di digerirlo, per mostrarlo in seguito sulla loro superficie, sotto forma di piccoli frammenti. Durante la cooperazione tra le cellule presentatrici dell’antigene e i linfociti T, la presentazione degli antigeni ai linfociti si realizza sotto forma di combinazione tra un frammento dell’antigene e una particolare molecola di superficie facente parte di un sistema che prende il nome di complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Il linfocita T riconosce una conformazione particolare del complesso MHC-antigene, e solo a quella potrà rispondere. Esistono differenti tipi di linfociti T che schematicamente si possono distinguere in tre tipi diversi a seconda delle loro funzioni: i linfociti T-helper, T-suppressor e T-citotossici.I linfociti T-helper (termine inglese che significa “aiutante”) producono delle molecole, chiamate linfochine, il cui compito è di sviluppare e amplificare la risposta immunitaria. Tra queste molecole, alcune sono capaci di stimolare la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B. I linfociti B, pur derivando da un precursore comune ai linfociti T, sono una categoria di cellule completamente diversa. Come già visto in precedenza, essi esprimono sulla loro superficie una molecola che ha funzione di recettore ed è di fatto una forma particolare dell’anticorpo che produrranno durante la risposta immunitaria. Al contrario dei linfociti T, i linfociti B, attraverso la mediazione dei loro anticorpi di membrana, riconoscono gli antigeni liberi e non hanno quindi bisogno che l’antigene sia presentato loro da altre cellule. Di fatto, si potrebbero considerare i linfociti B stessi come cellule presentanti l’antigene, poiché, grazie al loro anticorpo di superficie, fissano l’antigene e poi lo internalizzano. Dopo averlo inglobato, i linfociti B possono esprimere l’antigene sulla loro superficie sotto forma di piccoli frammenti e presentarlo così ai linfociti T che vengono quindi messi in grado di cooperare con essi. Durante questa cooperazione, il linfocita T, attraverso le linfochine, trasmette al linfocita B i segnali che lo attiveranno per fargli acquisire la sua funzione, cioè quella di secernere l’anticorpo che porta sulla sua superficie. Il linfocita B può quindi essere considerato come una cellula presentante l’antigene che, contrariamente alle altre, è capace di presentare un solo antigene, cioè quello che riconosce attraverso il suo anticorpo di superficie.Il linfocita B attivato, detto plasmacellula, si trasforma in una vera e propria “officina” per fabbricare gli anticorpi che hanno una forma leggermente diversa da quelli espressi sulla superficie della cellula, tale da consentire loro di essere secreti nel circolo.Ad eccezione di alcuni antigeni particolari, capaci di dare direttamente al linfocita B un segnale che gli permette di fabbricare gli anticorpi, per la grande maggioranza degli antigeni la produzione degli anticorpi dipende dalla stretta collaborazione dei linfociti T con i linfociti B.
Questo è importante perché le anomalie funzionali dei linfociti T possono portare a dei deficit anche dei linfociti B. Va ricordato ancora una volta che ogni linfocita B è capace di produrre una sola immunoglobulina, poiché i geni che gli permettono di fabbricarla si sono riarrangiati nel corso della sua differenziazione e non possono più cambiare dopo il completamento del riarrangiamento. Dopo il riarrangiamento si potranno avere solo alcune piccole modificazioni dei geni, che permetteranno ai linfociti B di adattare a poco a poco la fine struttura dei loro anticorpi per poter riconoscere sempre meglio l’antigene.Quando un microrganismo riesce a penetrare nell’organismo umano, scatena una risposta immunitaria diretta specificamente contro di sé i meccanismi di tale risposta saranno diversi a seconda che quel microrganismo sia stato precedentemente in contatto con il sistema immunitario di quell’individuo, oppure che si tratti di un primo contatto. Dopo la penetrazione, alcuni microrganismi verranno attaccati dalle cellule fagocitarie, in particolare dalle cellule di tipo monocitario presentatrici dell’antigene. Queste, come è stato già detto, distruggono i microrganismi e in seguito ne presentano dei frammenti ai linfociti. Si pone allora in azione l’insieme del sistema immunitario e si sviluppano sia un’immunità cellulo-mediata sia un’immunità u., dirette contro tale microrganismo. L’immunità u. porta allo sviluppo degli anticorpi che rendono molto più facile la fagocitosi dei microrganismi da parte delle cellule fagocitarie. Gli anticorpi, fissandosi ai microrganismi e in seguito al complemento, accrescono di molto la capacità delle cellule fagocitarie di riconoscere questo complesso antigene-anticorpo-complemento, che in seguito verrà ingerito. Gli anticorpi sono anche capaci, fissando una delle proteine del complemento, di provocare direttamente la distruzione di alcuni batteri o di alcune cellule infettate. Essi possono ugualmente, come visto in precedenza, intervenire nei fenomeni di citotossicità mediati dalle cellule killer. Infine gli anticorpi possono neutralizzare i virus, cioè impedirne la penetrazione nelle cellule, nelle quali essi di solito si moltiplicano, e indirizzarli verso le cellule fagocitarie che li degraderanno possono anche neutralizzare alcune tossine prodotte dai batteri, rendendole così inefficaci. Una memoria immunologica di questi eventi persisterà e nel momento in cui un microrganismo dello stesso tipo penetrasse nell’organismo una seconda volta porterebbe allo sviluppo di una risposta immunitaria secondaria, molto più rapida e soprattutto molto più efficace di quella primaria. Nel caso della risposta primaria, la prima tappa essenziale è la fagocitosi dei microrganismi da parte dei macrofagi, affinché questi possano in seguito presentare l’antigene ai linfociti. La fagocitosi presuppone il riconoscimento dei microrganismi da parte dei macrofagi, processo più difficile in assenza di anticorpi o complemento legati ai microrganismi. Al contrario, nel caso della risposta secondaria, gli anticorpi sono già presenti nei liquidi corporei e, quando il microrganismo penetra, essi si possono fissare su di esso, aumentando così l’efficacia della fagocitosi.Nello stesso modo, in caso di infezione virale, la presenza di anticorpi circolanti nel siero contribuirà a neutralizzare immediatamente le particelle virali e impedirà che queste penetrino nelle cellule per moltiplicarvisi. Anche se qualche virus sfuggisse a questo meccanismo, le cellule da essi infettate sarebbero in seguito distrutte rapidamente dalle cellule citotossiche già armate degli anticorpi specifici.

UMORE

Termine che nella medicina antica indicava i quattro liquidi circolanti nell’organismo: sangue, flemma o muco, bile gialla e bile nera, il cui equilibrio assicurava la buona salute. In psicologia viene detto u. quella disposizione affettiva di base o temperamento determinato da caratteristiche intrinseche costituzionali e da fattori acquisiti, come apprendimenti, esperienze, abitudini cui partecipano istanze emozionali ed istintive, capace di dare ad ogni stato d’animo una tonalità particolare alternante tra i due poli piacevole-spiacevole. Ha un ruolo preminente nella risposta emozionale individuale, che varia da soggetto a soggetto esprime sia la disposizione affettiva di base, sia un temporaneo stato affettivo può subire modificazioni in senso euforico o depressivo.Gli studi di neurofisiologia ci hanno mostrato che la regolazione del tono dell’u. è sotto la dipendenza di un centro diencefalico: si è definita questa regolazione funzione timica e, a seconda che l’u. sia esaltato o rallentato, si parla quindi di ipertimia o ipotimia più genericamente inoltre si parla di distimia per indicare ogni perturbazione dell’u.

UMORE ACQUEO

Liquido chiaro, incolore, che è contenuto negli spazi dell’occhio davanti al cristallino nelle camere anteriore e posteriore. Esso è prodotto dal corpo ciliare, ed è costituito da acqua con una minima quantità di sali e sostanze proteiche disciolte. L’u. acqueo ha una funzione ottica in quanto fa parte dei mezzi di rifrazione dell’occhio, ed una funzione nutritiva, specie nei riguardi del cristallino, una funzione statica, poiché contribuisce a contenere la pressione intraoculare.

UMORE VITREO

(O corpo vitreo), sostanza trasparente di aspetto gelatinoso che riempie tutta la cavità del bulbo oculare dietro il cristallino cioè la cavità posteriore del globo oculare, precisamente lo spazio compreso tra la superficie posteriore del cristallino e la retina esso è avvolto da una sottile membrana, la ialoide, formata da una condensazione dell’u. vitreo stesso alla sua periferia. Ha un’importante funzione come mezzo di rifrazione e di mantenimento della tensione oculare.

UNCINATO, osso

Piccolo osso della mano, di forma piramidale, appartenente alla seconda fila delle ossa del carpo è così detto perché presenta, sulla sua faccia palmare, una sporgenza a forma di uncino.

UNGHIA

Formazione annessa alla cute, che ricopre la superficie dorsale dell’estremità delle dita, sia alle mani sia ai piedi. Ha la forma di una lamina ovoidale a superficie convessa, ed è costituita da strati di cellule appiattite, completamente cheratinizzate, che derivano dall’epidermide con un processo analogo a quello che porta alla formazione della guaina dei peli. La superficie profonda dell’u. appoggia su epidermide modificata (letto ungueale), i margini laterali si insinuano in un infossamento della cute (doccia ungueale) e sono ricoperti da una ripiegatura della cute stessa (vallo ungueale) l’estremità prossimale o radice dell’u. si addentra nello spessore della cute e si connette con la parte prossimale ispessita del letto ungueale, che costituisce la matrice dell’u.: qui vengono aggiunte sempre nuove cellule alla radice dell’u., per cui la lamina ungueale si sposta continuamente in avanti scivolando sul letto ungueale, con un accrescimento di 0,5-1 mm la settimana.

UNGHIA INCARNITA

Affezione determinata dall’approfondimento di uno o di entrambi i margini di un’unghia nei tessuti molli vicini si verifica di solito a livello dell’alluce, in rapporto all’uso di calzature troppo strette. Tale condizione comporta infiammazione del tessuto, con tumefazione, eventualmente anche suppurazione, dolore, e di conseguenza limitazione funzionale del dito ammalato.La terapia è chirurgica e richiede l’asportazione di parte o dell’intera u., e del tessuto infiammatorio esuberante, associata a trattamenti antibiotici e antiinfiammatori

UNGUENTO

vedi POMATA

UNGUIS

vedi LACRIMALE, osso

UNITA' CORONARICA

(O unità cardiaca di terapia intensiva), reparto di cura abitualmente associato alla divisione di cardiologia, particolarmente attrezzato per il trattamento tempestivo di condizioni di emergenza cardiovascolare quali si possono manifestare nel corso di un infarto miocardico (tali per es. disturbi del ritmo, arresto cardiaco o altre complicazioni). Le u. coronariche sono particolarmente dotate di apparecchiature per indagini diagnostiche e per procedimenti terapeutici urgenti e sofisticati: monitor elettrocardiografici con sistema di allarme per ogni letto, defibrillatori elettrici, respiratori a mano ed automatici, stimolatori transtoracici non invasivi, strumentari per misurare la pressione arteriosa e quella venosa, per effettuare intubazioni, tracheotomie, cateterismi cardiaci. Esse devono inoltre disporre di personale particolarmente addestrato ed efficiente, che sia in grado di riconoscere le aritmie, di adeguare la velocità di infusione dei farmaci antiaritmici, vasoattivi, anticoagulanti e di eseguire una rianimazione, compreso l’eventuale shock elettrico. Il ricovero deve essere effettuato nelle prime ore della malattia , quando la struttura può fornire il massimo di efficacia terapeutica. Le u. coronariche hanno migliorato la qualità del trattamento dei pazienti affetti da infarto miocardio acuto determinando una significativa riduzione della mortalità e il miglioramento delle conoscenze sulla malattia.

UOMO

Termine con cui si indica l’individuo adulto della specie umana. L’uomo è un essere che si evolve, sia come singolo che come specie nel suo complesso. Certamente anche altri animali cambiano nel tempo, trasformandosi profondamente sino a divenire qualcosa di completamente diverso da ciò che erano inizialmente. Ma gli altri animali, a differenza dell’u., non hanno memoria del proprio passato in senso storico: né come individui né come specie. L’u. ha invece una grande qualità: svolge azioni che vengono continuamente integrate in maniera attiva nel proprio patrimonio di conoscenze e di ricordi. L’u. ha cioè esperienza, nel senso che basa il proprio comportamento presente sulla conoscenza critica del passato, ed organizza il proprio futuro operando previsioni. Queste ultime sono formulate in base alle esperienze che l’u. ha condotto personalmente e/o che ha riconosciuto negli altri individui della propria specie. È la capacità di operare previsioni una delle qualità che maggiormente differenziano l’u. dagli altri esseri viventi. Per lui non esiste solo un presente o, nelle migliori occasioni, un passato: esiste anche un futuro da prevedere e da controllare. È proprio attraverso la capacità di costruire “scenari” futuri, in base all’analisi critica del passato, che viene esaltata la capacità dell’u. di controllare e modificare la natura e la realtà circostanti: la costruzione di qualsiasi sistema scientifico sarebbe impensabile senza l’elaborazione di previsioni. In questo caso infatti cadrebbe la possibilità di formulare ipotesi mentre proprio questa possibilità si costituisce come uno degli strumenti tra i più potenti di cui l’u. dispone per conoscere la natura, per conoscere se stesso, per conoscere gli altri individui. È questa un’altra caratteristica dell’u.: il coordinare le proprie azioni a quelle degli altri individui, collegandole all’ambiente in cui si è inseriti. L’u. cioè non può mai essere descritto come individuo singolo, bensì deve sempre essere visto collocato in un ambiente e posto in relazione ad altri uomini. Dalla famiglia alla fabbrica, alla scuola, a tutte le altre organizzazioni sociali, l’u. è sempre inserito in contesti definiti dai fattori ambientali in senso stretto e dalla presenza di altri individui. Si attua una interazione continua, tra il singolo, l’ambiente e gli altri individui, che è fonte di esperienza e di apprendimento. Si costituisce così un sistema relazionale a tre (individuo, gruppo sociale, ambiente) che risulta fondamentalmente indissolubile: è impossibile prenderne in considerazione una parte trascurandone le rimanenti due. Qualsiasi variazione intervenga a produrre cambiamenti in una componente del sistema, causa modificazioni anche nelle restanti parti. A questo punto diventa necessario, piuttosto che parlare di u., riferirsi al concetto di “sistema umano”, comprendendo in esso sia l’ambiente naturale in genere sia gli ambienti cosiddetti artificiali costruiti dall’u. stesso. In questa prospettiva, l’evoluzione della specie umana sovradetermina l’u. singolo in quanto tale: infatti quest’ultimo non può fare a meno di ciò che è stato, tanto che il presente può ben essere descritto come retroazione del passato. L’attuale condizione dell’u. è determinata dalla storia passata dell’evoluzione della specie, anche se questa evoluzione alla sua origine non poteva considerarsi a sua volta predeterminata. L’interazione tra singolo, specie ed ambiente, più il concomitante verificarsi di fattori casuali, ha indirizzato l’evoluzione in un verso piuttosto che in un altro. Ciò che è il presente, nel bene e nel male, non può essere ben valutato se non si tiene conto che esso è il risultato di scelte successive che l’u., magari inconsapevolmente, ha compiuto nel proprio passato. Non si può non considerare ciò quando si affrontano i problemi che l’u. oggi incontra. È stata tracciata una strada, e qualsiasi cambiamento richiede un pedaggio elevatissimo: si deve combattere infatti non contro il presente, bensì contro il passato che in quanto tale è immutabile. Il sottovalutare questo aspetto, pone l’u. occidentale contemporaneo nella condizione di impotenza operativa ad effettuare cambiamenti, ed impone un costo molto alto in termini sociali e psicologici. Lo stress e la depressione, disturbi tipici dell’u. contemporaneo, trovano le proprie radici nella sensazione che il singolo prova di essere schiacciato da una situazione esistenziale non riconosciuta come propria e vissuta come imposta. L’interdipendenza tra l’u. e l’ambiente che ha costruito intorno a sé è divenuta tale per cui risulta sempre più difficile distinguere quanto l’uno influenzi l’altro e viceversa. Nelle fabbriche, nella caotica vita delle grandi città l’u. si sente schiavo di un ambiente che lui stesso ha costruito. Molte di quelle malattie, che spesso vengono definite professionali, sono il risultato di questo disagio psicologico. Dalle ulcere agli incidenti casuali e ripetuti sul lavoro: ci troviamo sempre di fronte ad una paradossale reazione dell’individuo.
Inconsapevolmente comunica la propria insoddisfazione, la propria alienazione, attraverso la produzione di sintomi che in qualche modo giustificano la propria impotenza a modificare la realtà in cui è inserito. La complessità delle organizzazioni sociali contemporanee rende sempre più problematica ed articolata l’esistenza del singolo. Perciò una definizione dell’u. che sia rispondente alla complessità del mondo moderno potrebbe essere quella di soggetto relazionale strategico: “soggetto” in quanto individuo che compie azioni di cui è responsabile e consapevole “relazionale” perché è sempre inserito in contesti in cui si stabiliscono e si gestiscono relazioni con altri individui, e tra questi e l’ambiente “strategico” in quanto opera delle scelte e prende delle decisioni per conseguire obiettivi precisi.

UOVO

(O ovulo o cellula uovo o ovocito), gamete femminile, portatore di un corredo cromosomico aploide, espulso dall’ovaio ad ogni ciclo mestruale durante l’età fertile. È il prodotto dell’ovogenesi, è una cellula di grandi dimensioni, fornita di abbondante citoplasma, circondata da una membrana detta zona pellucida.Nell’alimentazioneL’u. è un alimento lipoproteico che è prodotto dagli animali ovipari, entro una custodia di protezione costituita dal guscio. In quest’unica, enorme cellula sono presenti tutti i composti necessari per formare un organismo animale (funzione fisiologica comune a tutte le cellule-u. degli esseri viventi, che, se fecondate, danno origine ad un nuovo organismo). L’u. utilizzato per il consumo umano è quasi esclusivamente quello di gallina prodotto in allevamenti razionali di particolari razze ovaiole. Due uova che corrispondono circa a 100 g forniscono 150 kcal, contengono il 14% di proteine, che sono della qualità più completa ed equilibrata in aminoacidi essenziali, infatti è il termine di paragone usato per giudicare la qualità delle proteine contenute negli altri alimenti. Contengono inoltre l’11% di lipidi e una quantità di glicidi trascurabile. Le sostanze nutritive non sono omogeneamente distribuite: l’albume (parte più esterna e bianca) è meno ricco di proteine (11% contro 16%) e di lipidi (0,3% contro 32%) rispetto al tuorlo. Le proteine del tuorlo sono d’altissimo valore biologico perché sono costituite da tutti gli aminoacidi essenziali. Per il loro contenuto in fosforo, sono chiamate fosfoproteine. Il 60% delle proteine dell’albume (la parte bianca fluida) è costituito da ovoalbumina, che contiene in quantità apprezzabili, anche se inferiori rispetto al tuorlo, tutti gli aminoacidi essenziali. Tra le rimanenti proteine figura il lisozima, che è dotato di proprietà antibatteriche e che perciò rappresenta un fattore di protezione naturale. Il tuorlo è costituito per la maggior parte da fosfolipidi (lecitine): è da notare che gli acidi grassi presenti nella frazione lipidica sono per il 70% insaturi. Le uova (soprattutto il tuorlo) sono ricche anche di sali minerali (1%) di calcio, ferro, zolfo, potassio e soprattutto fosforo combinato organicamente con proteine e lipidi, e vitamine tra cui la A (anche se unicamente nel tuorlo), la B1, la B2, la PP e la biotina. È assente invece la vitamina C. Il colesterolo è presente in grande concentrazione (circa 200-250 milligrammi per 100 grammi), e questo è l’unico motivo per cui se ne sconsiglia un consumo eccessivo, soprattutto in soggetti sottoposti a dieta povera di colesterolo. L’ingestione delle uova provoca una secrezione di acido cloridrico assai inferiore a quella provocata dalla carne e dal pesce, perciò è uno dei cibi basilari in tutte le forme di gastrite e nelle ulcere. Le caratteristiche nutritive delle uova (presenza di grassi insaturi, di proteine ad alto valore biologico, di vitamine e sali minerali, carenza di glicidi e di purine) le rendono adatte a tutti gli stati patologici (eccetto le ipercolesterolemie). L’intensità del colore del tuorlo può dipendere dal mangime utilizzato: i mangimi ricchi di sostanze grasse danno tuorlo giallo-rosso molto intenso e carico viceversa i mangimi poveri di sostanze grasse danno un tuorlo di colore più chiaro. Ciò è dovuto all’azione dei carotenoidi e della vitamina A presenti nei mangimi ricchi di sostanze grasse. Va detto comunque che, in generale, questi accorgimenti (si usa anche mischiare della paprica alla normale dieta) non influenzano per nulla le caratteristiche nutrizionali dell’u., né tantomeno sono significative ai fini bionutrizionali le variazioni di colore del guscio. Quindi il colore del tuorlo e del guscio, non possono essere presi come criterio di qualità delle uova, né assicurano sul loro stato di freschezza. La convinzione che il consumo di uova sia sconsigliabile durante le terapie antibiotiche non ha alcun fondamento scientifico. Spesso le uova sono accusate di essere poco tollerate o, peggio, di favorire l’insorgere di alcuni disturbi digestivi e di malattie legate all’alimentazione. Niente di più falso: il più delle volte non sono tanto le uova a non essere tollerate, ma piuttosto è il loro modo di cottura che non è corretto o è inadeguato, specialmente se prevede l’uso di quantità abbondanti di grassi cotti.

UR - UZ
URACO

Condotto che nell’embrione collega la vescica con l’ombelico esso corrisponde alla parte intraembrionale dell’allantoide (v.), ed è destinato a regredire trasformandosi in un cordone fibroso che in condizioni definitive di sviluppo unisce l’apice della vescica all’ombelico (legamento ombelicale medio). Raramente questo processo involutivo può non aver luogo, e allora persisterà una comunicazione abnorme tra la vescica e l’esterno, attraverso la quale l’urina può uscire in corrispondenza dell’ombelico (fistola urinaria ombelicale). Quando la regressione dell’u. è parziale si potranno avere un diverticolo all’apice della vescica, o un condotto a fondo cieco che si apre all’ombelico, o cisti del legamento vescico-ombelicale. Da residui dell’u. possono originare anche tumori (in genere localizzati all’apice della vescica).

URANISMO

Omosessualità passiva maschile (vedi inversione sessuale).

URANOSCHISI

Malformazione congenita del volto consistente in una fissurazione del palato duro, che si prosegue spesso fino al labbro superiore (labio-palatoschisi). La frequenza stimata di tale malformazione è uno ogni 800-1000 nati, e si riconosce una ereditarietà: il rischio di u. nel secondo nato di una coppia che ha avuto il primogenito affetto è stimato intorno a 1/25, mentre se anche uno dei genitori era portatore della lesione il rischio sale a uno su cinque. La palatoschisi favorisce le infezioni broncopolmonari da aspirazione, interferisce con l’alimentazione e con lo sviluppo del linguaggio: è correggibile chirurgicamente presso centri specializzati di chirurgia plastica e maxillo facciale. Il trattamento deve essere eseguito precocemente, e comunque prima del completo sviluppo del linguaggio al fine di evitare la comparsa di difetti di fonazione altrimenti difficilmente correggibili.

URATI

Anioni organici di origine endogena. Di solito si indicano così i cristalli presenti nelle urine a pH acido e solubili con il riscaldamento. Si formano di solito in presenza di grandi quantità di acido urico, prodotto terminale del metabolismo delle purine, che possono essere introdotte con la dieta o sintetizzate dall’organismo. L’acido urico si forma per ossidazione delle purine ad opera di un enzima chiamato xantino-ossidasi e viene eliminato per due terzi dal rene. A pH 5,3 l’acido urico è per metà in forma di ione urato e per metà in forma di acido urico indissociato. Se il pH urinario aumenta, prevale le forma di urato, se diminuisce prevale la forma indissociata. Quest’ultima è quella che precipita dando luogo alla calcolosi uratica. Bastano anche lievissime variazioni di pH per far variare lo stato di dissociazione dell’acido urico, tanto che non è necessario che sia presente nelle urine in elevata quantità perché si formino dei cristalli. Rimane comunque il secondo più importante fattore di rischio.In presenza di u. sono quindi sconsigliati i cibi ricchi in purine (acciughe, sardine, interiora, selvaggina) ed è utile alcalinizzare le urine con bicarbonato di sodio o citrato di potassio, fino a far raggiungere ad esse un pH compreso fra 6 e 7. in caso di iperuricemia, sono indicati farmaci specifici, come l’allopurinolo.

UREA

Composto organico di formula CO(NH2)2 anche detto carbammide. Si presenta in cristalli incolori, leggermente igroscopici, solubili in acqua. È il prodotto finale della degradazione metabolica delle proteine, metabolita terminale della degradazione dell’azoto la sua sintesi avviene nel fegato attraverso una sequenza metabolica, detta ciclo dell’u. Una volta prodotta dal fegato, l’u. passa nel sangue dove, in normali condizioni fisiologiche, si trova in concentrazioni variabili da 15 a 40 mg per 100 ml. Una sua maggiore concentrazione è sintomi di disfunzione dei reni (uremia). La sostanza è liberamente diffusibile attraverso le membrane sia del glomerulo sia dei tubuli. Pertanto l’u. si trova nell’ultrafiltrato glomerulare nella stessa concentrazione presente nel sangue, e può ritornare, in parte, al sangue attraversando passivamente le pareti tubulari. La sua elevata concentrazione nell’urina è la conseguenza dell’attivo riassorbimento tubulare di acqua e sali che supera in intensità il passaggio di u. dall’ultrafiltrato al sangue, per diffusione passiva. La sua eliminazione avviene con le urine nella misura di 20-30 g giornalieri. In tutte le malattie renali nelle quali vi sia una notevole diminuzione della funzionalità renale, l’eliminazione dell’u. viene ridotta, con conseguente aumento della sua quantità nel sangue. La determinazione dell’u. nel sangue viene di norma effettuata per valutare l’azoto totale non proteico, o azotemia, a cui in realtà concorrono, assieme all’u., la creatinina, l’acido urico, aminoacidi, peptoni e l’ammoniaca. Poiché la concentrazione nel sangue degli aminoacidi liberi è minima rispetto a quella di u., il valore dell’azotemia corrisponde in pratica alla concentrazione dell’u. circolante. L’u. di sintesi è impiegata come intermedio nella preparazione di vari farmaci (barbiturici, antiepilettici, ecc.).

URECOLINA

(O betanecolo), è un estere della colina strutturalmente simile alla acetilcolina di cui possiede gran parte delle azioni farmacologiche. Produce vasodilatazione, diminuzione della frequenza cardiaca, aumento del tono e della motilità della muscolatura liscia gastrointestinale e delle vie urinarie, stimolazione della secrezione salivare, lacrimale, sudoripara, gastrica (sia di pepsina che di acido cloridrico). Degli effetti colinomimetici esso esercita esclusivamente quelli di tipo muscarinico, mentre manca degli effetti nicotinici a livello gangliare e della muscolatura striata. Si tratta quindi di una tipica sostanza di tipo parasimpaticomimetico. A differenza della acetilcolina non viene scissa idroliticamente dalle colinesterasi, per cui la sua azione è prolungata. L’azione parasimpaticomimetica è particolarmente spiccata a livello dell’apparato gastroenterico e della vescica urinaria, per cui il suo impiego è utile nella ipotonia gastrointestinale, nell’ileo paralitico, nella ritenzione urinaria e in tutti i disturbi gastrointestinali in cui si richieda stimolazione del parasimpatico. Si somministra per via orale o per via sottocutanea.

UREMIA

Condizione patologica tossica che si instaura quando, per effetto di processi patologici di varia natura, l’attività funzionale dei reni è diventata insufficiente rispetto alle necessità dell’organismo. L’u. rappresenta il quadro terminale di tutte le forme gravi e irreversibili della patologia renale. L’u. è caratterizzata dalla ritenzione, nel sangue e negli altri liquidi organici, dell’urea e di altri prodotti terminali del metabolismo (specie del metabolismo delle proteine e degli aminoacidi), prodotti che normalmente vengono escreti con le urine. Il termine u. è spesso usato come sinonimo di insufficienza renale cronica, soprattutto per indicarne le fasi terminali.

Cause
Le cause più comuni di u. sono le glomerulonefriti croniche, le nefropatie tubulari ed interstiziali croniche, la nefropatia diabetica, la nefrosclerosi vascolare.

Sintomi
I sintomi variano a seconda dell’entità dell’insufficienza renale e della rapidità con cui essa si instaura, e dipendono anche dalla contemporanea compromissione funzionale di altri apparati, che si determina per effetto dell’u. stessa. Le prime manifestazioni si hanno quando la capacità filtrante dei reni si riduce al di sotto del 20-35%, e sono caratterizzate da aumento dell’azotemia, associato ad ipertensione, anemia, e ad altri segni quali aumento dell’acido urico e dei trigliceridi nel sangue, intolleranza ai carboidrati, diminuzione della capacità di concentrazione delle urine quest’ultima determina un aumento della quantità di urine che vengono eliminate (poliuria), e la necessità per il paziente di alzarsi anche di notte per urinare (nicturia). Quando la capacità filtrante dei reni si riduce al di sotto del 20-25%, l’anemia e l’ipertensione si aggravano, compaiono vari disturbi a carico dell’apparato digerente (perdita dell’appetito, nausea, vomito, odore urinoso dell’alito, stomatiti, diarrea, eventuale comparsa di ulcere peptiche), dell’apparato nervoso e muscolare (sonnolenza, apatia, perdita della memoria, astenia, disturbi della sensibilità e dell’eccitabilità neuromuscolare, e, negli stati terminali, attacchi convulsivi, stato stuporoso, coma), dell’apparato circolatorio (insufficienza cardiaca, pericardite, aggravamento della aterosclerosi), dell’apparato endocrino e del metabolismo (alterazioni della funzione delle paratiroidi, amenorrea, disturbi del metabolismo del glucosio, dell’insulina, dei lipidi), alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico e tendenza all’acidosi, suscettibilità alle infezioni, alterazioni cutanee (pallore dovuto all’anemia associato ad una colorazione giallastra che dipende dalla deposizione nella cute di metaboliti pigmentati dell’urea o urocromi, prurito, secchezza, eventuali lesioni da grattamento, ecchimosi, ematomi). L’u., se lasciata a sé, ha un decorso progressivo e può portate a morte per diverse complicazioni.

Terapia
La terapia, nelle fasi iniziali, mira soprattutto a rallentare la progressione della malattia attraverso varie misure intese ad abbassare la pressione arteriosa, a controllare l’anemia e lo squilibrio idroelettrolitico, a combattere le infezioni, a ridurre la produzione e l’accumulo di cataboliti proteici azotati (attraverso opportune norme dietetiche, in particolare mediante riduzione dell’apporto proteico).
Nei casi avanzati, o quando altre considerazioni lo richiedano, si ricorre al trapianto renale o alla dialisi (dialisi peritoneale, o emodialisi mediante rene artificiale). In generale si ricorre al trapianto renale nei soggetti giovani e per il resto sani, mentre l’emodialisi e la dialisi peritoneale vengono preferite nei soggetti anziani o in quelli che, per eventuali altre affezioni concomitanti, non tollererebbero la terapia immunosoppressiva e cortisonica necessarie per impedire il rigetto del trapianto. Entrambe le tecniche consentono comunque la riabilitazione effettiva di una percentuale elevata di pazienti.

URETERE

Condotto di forma tubulare, lungo 25-30 cm (l’uretere destro è più corto di circa 1,5 cm) e del diametro di 6-8 mm, che collega il bacinetto renale con la vescica. Gli ureteri, uno per lato, decorrono verticalmente ai lati della colonna vertebrale e penetrano nel fondo della vescica ai due angoli esterni del cosiddetto trigono. Può essere suddiviso in una porzione addominale, che origina dal bacino renale con un segmento imbutiforme (infundibolo) e continua con un tratto di maggior calibro (fuso addominale), in una porzione pelvica e in una intramurale, che decorre nello spessore della parete della vescica. Quest’ultimo tratto dell’u. decorre nello spessore della parete vescicale, per cui quando la vescica è piena esso rimase chiuso: viene così impedito il reflusso dell’urina. La struttura anatomica dell’u. è identica a quella di calici, bacinetto. La parete degli ureteri è formata da uno strato di tessuto muscolare liscio (le fibre sono disposte longitudinalmente e circolarmente e determinano, contraendosi alternativamente, i fusi peristaltici), rivestito internamente da mucosa ed epitelio di transizione, così chiamato perché rappresenta una forma di passaggio fra l’epitelio pavimentoso e l’epitelio cilindrico, ed esternamente da uno strato di tessuto connettivo la parete degli ureteri è animata da movimenti peristaltici che aiutano la progressione dell’urina verso la vescica, ove essa entra a fiotti. L’u. può essere interessato da processi patologici di varia natura, dei quali i più importanti sono le anomalie malformative congenite (arresto di sviluppo, duplicità, anomalie di sbocco, diverticoli, dilatazioni cistiche, megauretere), i processi infiammatori (ureteriti, che in genere si associano ad infiammazioni del bacinetto renale o della vescica), calcolosi, tumori. Questi vari processi possono determinare una stenosi o una occlusione dell’u. ostacolando il deflusso dell’urina, con eventuale dilatazione delle vie urinarie a monte dell’ostacolo, sia dell’u. (idrouretere) sia del bacinetto renale (idronefrosi). I traumi dell’u. sono per la grande maggioranza dovuti a lesioni chirurgiche nel corso di interventi sullo scavo pelvico e in regione lombare. Il riconoscimento della lesione, alcune volte non facile (quando si tratti di tumori dell’utero, per esempio), è essenziale per una riparazione chirurgica immediata: questa è la via di scelta per risolvere al meglio il problema. In caso contrario, si istituisce una fistola urinosa che a lungo andare determina una compromissione renale: da qui la necessità di intervenire il più presto possibile. L’intervento ha lo scopo dì ricostruire la continuità del condotto e si esegue con diverse tecniche chirurgiche.

URETERECTOMIA

Intervento chirurgico consistente nell’asportazione totale o parziale dell’uretere. Viene attuato quando affezioni di varia natura (quali restringimenti congeniti o acquisiti, tumori ecc.) dell’uretere ne abbiano compromesso la funzione. La continuità della via urinaria, interrotta dall’u., viene successivamente ristabilita con una anastomosi termino-terminale tra i due monconi ureterali sani e/o reimpianto dell’uretere. Il reimpianto può avvenire in vescica od in una neovescica confezionata chirurgicamente, per esempio utilizzando un’ansa duplicata di intestino tenue. L’u. costituisce inoltre il completamento indispensabile per la completa asportazione del rene corrispondente.

URETEROCELE

Anomalia malformativa congenita che può interessare uno o entrambi gli ureteri consiste nella dilatazione cistica dell’estremità ureterale, in corrispondenza dello sbocco vescicale, per cui l’uretere protrude entro la cavità della vescica. Si verifica in un caso su 500 e più spesso nelle bambine. È ortotopico se si trova alla base della vescica, ectopico se è sul collo vescicale o nell’uretra. Provoca ostruzione del meato ureterale con idroureteronefrosi omolaterale.

Sintomi
I sintomi più frequenti sono dovuti alla frequenza delle infezioni urinarie e alla formazione di calcoli. Altri sintomi sono un ritardo di crescita, disturbi gastrointestinali e sovradistensione della vescica.

Diagnosi
La diagnosi viene effettuata con l’urografia endovenosa. L’ecografia può indurre il sospetto nel caso in cui evidenzia un rene non funzionante. Infine si esegue una cistografia minzionale, dal momento che un 15% presentano reflusso vescica-ureterale.

Terapia
Tale condizione, che può ostacolare l’eliminazione delle urine e favorire l’insorgenza di infezioni delle vie urinarie, richiede un intervento chirurgico correttivo. Nei bambini si può tentare in prima istanza l’approccio endoscopico, che ha successo in circa la metà dei casi.

URETEROGRAFIA

Tecnica di indagine diagnostica che permette di visualizzare radiologicamente gli ureteri mediante un mezzo di contrasto introdotto per via endovenosa ed eliminato dal rene (u. discendente) o introdotto negli ureteri mediante cateterismo (u. ascendente o retrograda) (vedi PIELOGRAFIA).

URETEROTOMIA

Intervento chirurgico consistente nell’apertura dell’uretere. L’u. è necessaria quando calcoli, corpi estranei, tumori benigni o maligni, malformazioni ureterali vengono ad ostacolare il deflusso urinario. Può essere eseguita con tecnica laparotomica o laparoscopica. Al termine dell’intervento viene inserito un catetere endouretrale, o stent, per consentire una cicatrizzazione ottimale della parete dell’uretere, prevenendo la formazione di fistole.

URETRA

Condotto impari e mediano, a parete muscolomembranosa, che costituisce la porzione terminale delle vie urinarie attraverso l’uretra vengono emesse all’esterno le urine e, nel maschio, anche lo sperma. L’uretra inizia a livello della vescica. Nella femmina ha una lunghezza di 3-4 cm, decorre davanti alla vagina e parallelamente alla stessa, e si apre all’esterno con un orifizio (meato urinario) situato nel vestibolo della vagina, alla sommità di una piccola sporgenza detta papilla uretrale. La sua parete comprende uno strato interno mucoso e uno esterno muscolare. Nel maschio invece l’u. è lunga 18 cm ca la sua prima porzione, di 3 cm ca., decorre verticalmente ed è compresa nell’interno della prostata (u. prostatica) segue poi l’u. membranosa, breve segmento lungo poco più di 1 cm, che attraversa il piano muscolomembranoso del perineo. L’ultima porzione, la più lunga, è contenuta nel tessuto cavernoso che costituisce il corpo del pene e il glande (u. cavernosa). Il muscolo bulbocavernoso circonda il bulbo uretrale e contribuisce all’espulsione dell’urina. L’u. maschile termina in corrispondenza dell’apice del glande con un meato urinario. L’u. prostatica presenta, nella sua parete posteriore, una rilevatezza longitudinale mediana detta collicolo seminale sulla sua parte più sporgente si trova un infossamento a fondo cieco, l’utricolo prostatico ai lati di questo sboccano i due condotti eiaculatori, attraverso i quali viene immesso nell’u. lo sperma che si è accumulato nelle vescicole seminali ai lati del collicolo si hanno gli sbocchi delle ghiandole prostatiche. Alla mucosa che riveste la superficie dell’u. sono annesse ghiandole di vario tipo, che producono un particolare secreto mucoso. In ambo i sessi, la mucosa è costituita da un epitelio cilindrico stratificato, nel quale sono inserite delle ghiandole.La parete muscolare comprende delle fibre longitudinali interne e uno strato esterno circolare. L’elemento più importante di questo strato è costituito da un anello sfinterico che si trova a livello della parte posteriore del condotto e serve alla continenza dell’urina.L’u. può essere sede di diversi processi patologici, dei quali i più comuni sono costituiti dalle infiammazioni (uretriti). Non rare sono anche le malformazioni congenite, delle quali le più importanti si hanno nel maschio, con sbocco anomalo dell’u., anziché sulla sommità del glande, sulla superficie dorsale del pene (epispadia) o sulla superficie ventrale (ipospadia).

URETRITE

Infiammazione acuta o cronica dell’uretra. Nella maggior parte dei casi essa è determinata da microrganismi patogeni che si impiantano in questo tratto delle vie urinarie. Difficilmente, si trova isolata senza il coinvolgimento della vescica, specialmente nelle donne dove il condotto uretrale è molto corto.

Cause
I germi possono provenire da organi vicini ammalati (vescica, prostata, uretere, reni), o da focolai di infezione lontani (tonsilliti, ascessi dentari), o direttamente dall’esterno, in genere in rapporto a contatti sessuali. L’infezione può essere sostenuta anche da germi già presenti nell’uretra, che diventano patogeni per diminuzione delle difese dell’organismo (così per es. nel diabete, nella gotta) o per particolari condizioni anatomiche locali (presenza di restringimenti uretrali, di diverticoli ecc.). I microrganismi più comunemente causa di u. sono Bacterium coli, stafilococchi, streptococchi, gonococchi, Trichomonas, Chlamydia trachomatis e Ureaplasma Urealyticum. Si possono avere anche uretriti dipendenti da irritazioni provocate da agenti meccanici (per es. in caso di cateterismo), o da sostanze chimiche (per es. per lavaggio dell’uretra con soluzioni disinfettanti troppo concentrate), o da congestione protratta (per es. nel caso di eccitamenti sessuali prolungati e intensi).

Sintomi
Le uretriti si manifestano, di solito dopo 10-15 giorni di incubazione, con bruciori, difficoltà e dolori all’emissione delle urine, secrezione catarrale o purulenta dal meato uretrale. Nelle forme croniche la sintomatologia è attenuata. Le uretriti infettive possono complicarsi con una diffusione dell’infezione a strutture vicine quali la prostata, o l’epididimo altra complicazione può essere costituita da restringimenti cicatriziali del lume uretrale, che possono ostacolare il deflusso dell’urina. Nei bambini le ostruzioni sottovescicali sono frequente causa di u. Le ostruzioni sottovescicali sono meno frequenti delle soprevescicali e prediligono il sesso maschile: le più comuni sono le valvole dell’uretra posteriore. Si tratta di pliche mucose che occludono più o meno il lume dell’uretra, appena sotto la prostata l’ostruzione al deflusso dell’urina causa l’ingrossamento dell’uretra prostatica e della vescica, la cui muscolatura parietale diventa ipertrofica. Nel lattante la presenza di valvole può dare una sintomatologia come da insufficienza renale con iperazotemia e squilibri elettrolitici in età successiva si hanno disturbi della minzione: minzioni molto frequenti, anche involontarie, che possono essere interpretate come enuresi, oppure un’incontinenza paradossale, per perdita di urina dalla vescica sempre troppo piena diventa, inoltre, apprezzabile, in sede sovrapubica, una massa addominale corrispondente al globo vescicale. In questi casi le infezioni urinarie sono particolarmente frequenti.Come conseguenza di infezioni croniche o di ripetuti traumatismi (ad esempio cateterismi), si può instaurare la stenosi dell’uretra, soprattutto dopo i 50 anni. Questa si manifesta con diminuzione del calibro e della forza del mitto, che talora assuma strani profili (mitto a ventaglio o biforcuto).

Diagnosi
La diagnosi è fatta tramite esame del tampone uretrale e l’urinocoltura. In caso di malformazioni, soprattutto nei bambini, utili sono la cistouretrografia e l’uretrocistoscopia, in occasione della quale è possibile talvolta eseguire la rimozione delle valvole.

Terapia
La terapia si fonda sulla somministrazione di antibiotici nelle forme microbiche, di blandi disinfettanti delle vie urinarie nelle forme non infettive. In età pediatrica ed in caso di ostruzioni uretrali, l’intervento chirurgico è sempre risolutivo nei casi diagnosticati e trattati con ritardo, la conseguente displasia renale può portare, fin dall’età infantile, a una condizione di insufficienza renale.

URETRITE GONOCOCCICA

vedi BLENORRAGIA

URETROGRAFIA

Tecnica di indagine diagnostica che permette di visualizzare radiologicamente il canale uretrale mediante mezzi di contrasto. Si può eseguire per via discendente al termine dell’indagine urografica (pielografia), oppure per via ascendente tramite catetere. Di solito durante l’esame s’indaga anche la vescica (uretro-cistografia retrogada). Consiste nell’iniezione di un mezzo di contrasto nell’uretra (canale per l’escrezione delle urine), al fine di opacizzarla insieme alla vescica e di effettuare un controllo radiologico. Fornisce un’immagine molto nitida della vescica e dell’uretra, più precisa ancora di quella ottenuta con un’urografia endovenosa. Consente di:- scoprire un tumore, benigno o maligno, della vescica - localizzare un restringimento dell’uretra - individuare, in caso d’infezioni ripetute delle vie urinarie superiori (pielonefriti), un riflusso anormale dell’urina verso l’uretere (il canale che collega il rene alla vescica). La possibilità di un’allergia allo iodio implica il rispetto di tutte le precauzioni d’uso. Quest’esame esige sempre importanti precauzioni d’asepsi, al fine d’evitare qualsiasi rischio d’infezione.

URETRORRAGIA

Emissione di sangue dall’uretra. I caratteri dell’u., che corrispondono propriamente ad uno scolo di sangue dall’uretra, non devono essere confusi con l’emissione di sangue con le urine che costituisce invece l’ematuria. Il deflusso di sangue dall’uretra può d’altronde accompagnare i primi momenti della minzione. L’u. può dipendere da cause abbastanza diverse, quali traumi, processi infiammatori, calcolosi, tumori benigni o maligni, o altri processi patologici dell’uretra.

URETROSCOPIA

Tecnica di indagine diagnostica che consiste nella esplorazione, sotto visione diretta, dell’uretra e delle sue formazioni interne viene eseguita con un apposito apparecchio (uretrocistoscopio) e consente di individuare la presenza di varie lesioni (per es. stenosi) diversamente difficili da diagnosticare con esattezza e di avere le informazioni utili ai fini della scelta dell’eventuale intervento chirurgico. L’esame viene effettuato con uno strumento molto sottile per non danneggiare l’uretra. Al fine di condurre un esame soddisfacente per il medico e privo di sofferenza per il paziente, l’esame va effettuato in anestesia.

URETROTOMIA

Apertura chirurgica dell’uretra. L’u. viene utilizzata per la ricanalizzazione del condotto uretrale in presenza di ostacoli che ostruiscano il deflusso della urina (valvole, stenosi cicatriziali, tumori benigni o maligni, calcoli, corpi estranei ecc.). Le stenosi dell’uretra posteriore sono quasi sempre secondarie alla chirurgia prostatica o ad i traumi del bacino.Esistono diverse tecniche di u.: a freddo, laser, a cielo aperto. La metodica più attuale è l’u. endoscopica con laser Holmium, che deve però essere riservata ai pazienti con dimostrata continuità del canale uretrale, seppur ristretto.I pazienti in cui si abbia il sospetto, o la certezza, di una discontinuità uretrale vanno trattati con la riparazione chirurgica a cielo aperto.Nell’immediato post-operatorio è necessario mantenere in sede un catetere uretrale per circa 4 settimane, allo scopo di consentire la completa guarigione della parete uretrale, prevenendo la formazione di fistole. Dopo la rimozione del catetere il paziente viene sottoposto ad esami uroflussimetrici mensili, che servono a controllare che la stenosi non si riformi. Nel caso vi si questo sospetto, verrà eseguita una uretroscopia, con possibilità di un ritrattamento endoscopico nella stessa seduta.

URICEMIA

Contenuto in acido urico del sangue. L’uomo non dispone di un enzima capace di metabolizzare ulteriormente l’acido urico per questo motivo questa sostanza, quando venga prodotta in eccesso o non venga eliminata (per lo più per via renale) con sufficiente rapidità, tende ad accumularsi nel sangue e nei tessuti determinando diverse manifestazioni morbose: gotta articolare acuta quando i cristalli di acido urico si depositano nel liquido e nei tessuti delle articolazioni, tofi per accumulo nei tessuti molli, calcoli renali o nefropatia uratica per precipitazione dell’acido rispettivamente nelle vie urinarie o nel tessuto renale. I valori normali di u. variano un poco a seconda dei metodi usati per le determinazioni: si ammette che nell’uomo siano da ritenere elevati valori superiori a 5-6 mg %, nella donna valori superiori a 4,5-5,5 mg %. La malattia che si accompagna a iperuricemia è per definizione la gotta valori elevati di u. si possono però osservare in molte altre condizioni, in parte per diminuita eliminazione di acido urico in corso di insufficienza renale: in parte come conseguenza di una esaltata demolizione di nuclei cellulari, come avviene in corso di leucemia, policitemia, broncopolmonite.

URICO, acido

Prodotto finale del metabolismo delle purine, sostanze contenute nelle nucleoproteine esso deriva pertanto sia dai nuclei delle cellule introdotte nell’organismo con gli alimenti, sia dalla distruzione delle cellule dell’organismo stesso.

URICOSURICI

Farmaci utilizzati nella terapia della gotta o come coadiuvanti in alcune terapie antiblastiche, i quali, inibendo a livello renale il riassorbimento degli urati, ne favoriscono l’eliminazione portando ad una diminuzione dei loro livelli ematici. I più utilizzati sono il probenecid, il sulfinpirazone, l’isobromidione. Sono acidi organici, agiscono a livello dei siti di trasporto a livello del tubulo renale. Tutti questi farmaci sono talora accompagnati da effetti collaterali generalmente lievi, che comprendono cefalea, nausea, vomito e, in qualche occasione, all’inizio della terapia, un riacutizzarsi dei dolori gottosi. È molto importante che il paziente beva molta acqua per mantenere elevato il volume urinario per minimizzare la possibilità che si formino i calcoli.

URICURIA

Quantità di acido urico e di urati contenuta nelle urine essa dipende dalla funzionalità del rene così come dalla quantità di acido urico presente nel plasma. L’u. è particolarmente elevata nella gotta. L’acido urico è, nell’uomo, il prodotto finale della degradazione delle basi puriniche (tali sostanze entrano a far parte di importanti componenti cellulari, quali gli acidi nucleici). L’acido urico e i suoi sali sono poco solubili in acqua e tendono a precipitare anche nelle condizioni chimico-fisiche dei liquidi biologici. La concentrazione di acido urico nel sangue e nei fluidi interstiziali è relativamente bassa (2-6 mg per decilitro) e a essa corrisponde un’eliminazione urinaria di 0,5-1 g nelle 24 ore. L’acido urico viene filtrato dai glomeruli renali e viene riassorbito a livello del tubulo prossimale. Nelle urine se ne trova solo il 10% circa di quello che raggiunge il rene. Il riassorbimento avviene insieme a quello del sodio, per cui in caso di ipovolemia si riduce sia l’escrezione di sodio che quella di acido urico e, allo stesso modo, l’utilizzo prolungato di diuretici può provocare una deplezione di sodio così come di acido urico. Il ripristino di valori normali di acqua e sodio corregge anche l’uricemia. L’ingestione di cibi di origine animale, contenenti grandi quantità di basi puriniche, innalza il livello ematico dell’acido urico il cui eccesso, trattandosi di una sostanza a bassa soglia renale, viene prontamente riversato nell’urina. In questi casi il contenuto di acido urico nelle urine può aumentare grandemente, cosicché i sali di acido urico (gli urati) precipitano gradualmente nell’urina. Se in queste condizioni esiste anche un ristagno dell’urina nei tubuli collettori o nel bacinetto renale, la precipitazione degli urati può avvenire in tali sedi sotto forma di sedimento, ovvero di cristalli rosso-marroni detti renella pratica, o di franchi calcoli renali. Questo fenomeno avviene più facilemente a pH acido.

URINA

Liquido prodotto dalla attività funzionale dei reni, che viene eliminato periodicamente all’esterno attraverso le vie urinarie, dopo essersi accumulato nella vescica. L’atto con cui le urine vengono emesse si definisce minzione.In condizioni normali l’u. è limpida, di colore giallo-citrino, con densità media compresa tra 1015 e 1022, e pH di norma acido, con valori attorno al 6. La quantità eliminata giornalmente, detta diuresi, si aggira sui 1500 ml, ma questo valore può variare notevolmente anche in condizioni fisiologiche in relazione al tipo di alimentazione, alla quantità di liquidi introdotti, all’entità della sudorazione. L’u. è essenzialmente una soluzione composta per il 95% ca. di acqua, e per la quota rimanente di diverse sostanze organiche e inorganiche.Formazione dell’u.Le pareti dei capillari glomerulari formano una vera e propria membrana filtrante attraverso la quale il sangue che circola nel glomerulo trasuda nella cavità della capsula di Bowman. Si tratta del fenomeno di ultrafiltrazione, principalmente prodotto dalla forte differenza che esiste tra la pressione del sangue e la pressione presente all’interno della capsula di Bowman. La membrana basale del glomerulo è liberamente permeabile all’acqua, ai sali inorganici e alle piccole molecole organiche trattiene invece le cellule (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine) e le grosse molecole proteiche (albumina, globuline, fibrinogeno). Il fluido filtrato nella capsula di Bowman ha quindi la composizione chimica del sangue arterioso privato della parte cellulare e delle frazioni proteiche tuttavia si tratta di preurina. La formazione di u. richiede l’intervento di complessi fenomeni di riassorbimento selettivo e di secrezione a livello delle altre parti del nefrone. Si calcola che i due reni producano nelle 24 ore fino a 180 litri di ultrafiltrato a livello glomerulare.Questo enorme volume giornaliero di fluido viene riassorbito dai tubuli, riducendo la quantità di u. finale a circa 1,5 1. 1 tubuli infatti riassorbono il 99% dell’acqua e grandi quantità di sali e di sostanze essenziali.Il normale svolgimento delle funzioni emuntorie renali dipende da:1) l’ampiezza del filtro glomerulare (numero di glomeruli funzionanti) 2) la pressione intraglomerulare 3) la pervietà dei capillari sanguigni e dei tubuli del nefrone 4) l’integrità delle cellule che rivestono i tubuli.Difetti a carico di uno di questi meccanismi provocano alterazioni dell’escrezione urinaria, che possono tuttavia, entro certi limiti, essere compensate dal rene stesso. Questa compensazione avviene mobilitando le capacità di riserva o meccanismi di emergenza, che aumentano l’impegno funzionale dei vari fattori condizionanti la diuresi. Non tutti i glomeruli sono contemporaneamente in stato di attività, ma si alternano nei compiti loro assegnati, cosicché nei reni lavora in media solo il 25% di essi. I rimanenti si trovano in uno stato di riposo, ma possono entrare in attività nel momento in cui ci fosse bisogno. La pressione del sangue nelle anse capillari del glomerulo è causa determinante dell’ultrafiltrazione di liquido nella capsula di Bowman. il rene elabora un enzima, la renina, capace di trasformare l’angiotensinogeno, prodotto dal fegato, in angiotensina, una sostanza che esercita vasocostrizione e aumenta quindi la pressione sanguigna sia a livello sistemico sia a livello glomerulare (tramite costrizione dell’arteriola efferente). In caso di bisogno, per mezzo della renina, la pressione del sangue arterioso glomerulare può essere aumentata, accrescendo il rendimento del processo di ultrafiltrazione. La mancanza di pervietà in uno dei segmenti del nefrone impedisce la formazione dell’u. L’occlusione dei capillari sanguigni glomerulari può portare all’esclusione forzata di un nefrone dall’attività funzionante.
In alcune malattie la pervietà stessa dei canali tubulari può venire compromessa in seguito a gravi alterazioni dei glomeruli che permettono il passaggio attraverso il filtro glomerulare di cellule (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) e proteine del sangue. Sia le cellule sia le proteine, a causa dell’ambiente acido che si viene a formare nelle parti distali dei tubuli contorti, possono coagulare assumendo la forma di cilindri solidi. Perciò, nelle malattie renali con lesioni del filtro glomerulare, si trovano nell’u., accanto alle proteine e agli elementi cellulari del sangue, anche cilindri di varia natura (ialini, grassi, granulosi, cellulari).Le cellule che tappezzano le pareti dei tubuli renali contribuiscono attivamente alla diuresi, compiendo il lavoro osmotico necessario per trasformare l’ultrafiltrato glomerulare (avente una concentrazione di sostanze disciolte pressoché uguale a quella del sangue) in u. definitiva, nella quale la concentrazione di sostanze disciolte e la densità (o peso specifico) sono nettamente superiori a quelle dei liquidi fisiologici. Tale lavoro consiste essenzialmente in un attivo riassorbimento di acqua e di sali di sodio dal filtrato glomerulare e richiede un notevole dispendio di energia che viene ricavata dai processi di respirazione cellulare.Il rene svolge un’attività di regolazione a carico di alcune fondamentali proprietà chimico-fisiche del sangue. Il significato generale di tale controllo è quello di contenere entro limiti di sicurezza le variazioni della composizione sanguigna che sono dovute alla continua attività metabolica dei tessuti e all’intermittente assorbimento alimentare. In particolare, verranno qui considerati i principali caratteri del sangue sottoposti alla regolazione renale.Contenuto dell’u.Le principali sostanze organiche presenti sono l’urea, l’acido urico, la creatinina, alcuni pigmenti (soprattutto l’urocromo) in quantità minime sono presenti anche acido ossalico, acido lattico, acetone, acido ippurico, indacano, composti solforati (solfoeteri, tiocianati, mercaptani), diversi ormoni e loro cataboliti. Tra le sostanze inorganiche sono cloruri, fosfati e solfati, salificati soprattutto con sodio, ed in minor quantità con potassio, calcio, magnesio.In condizioni patologiche possono comparire sostanze normalmente non presenti, quali glucosio, corpi chetonici, aminoacidi, pigmenti biliari, emoglobina, proteine plasmatiche, cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi), cellule sfaldate dalla mucosa delle vie urinarie o da eventuali formazioni patologiche (tumori della vescica o del bacinetto renale), cristalli, formazioni cilindriche dovute alla precipitazione entro i tubuli renali di materiale proteico o di cellule, che vengono poi eliminate e riproducono la forma del lume tubulare. Possono inoltre risultare notevolmente modificati anche i caratteri fisici delle urine, in particolare l’aspetto, che può essere torbido per la presenza di pus (piuria) o di sangue (ematuria), ed il colore. L’eliminazione di una quantità eccessiva di u. è definita poliuria mentre la riduzione e la soppressione della diuresi sono definite rispettivamente oliguria e anuria.Esame dell’u.L’esame delle urine costituisce un’indagine diagnostica di uso corrente e di notevole importanza in quanto può fornire elementi utili al riconoscimento di malattie del rene e delle vie urinarie, di malattie di altri organi e apparati, o di condizioni morbose generali dell’organismo. Esso viene condotto in genere in tre tempi, valutando dapprima le caratteristiche fisiche (volume, aspetto, reazione chimica, peso specifico), poi le caratteristiche chimiche (di solito è la ricerca di alcune sostanze di maggiore importanza diagnostica: proteine, sangue, glucosio, acetone, urobilinogeno, pigmenti biliari) infine si valutano al microscopio i caratteri del sedimento ottenuto con la centrifugazione di un campione di u.: così si può rilevare l’eventuale presenza di globuli rossi, di globuli bianchi, di cellule di sfaldamento, di cellule atipiche, di precipitati amorfi o cristallini, di cilindri, di microrganismi (batteri, miceti, protozoi).

URINARIA

Consiste nella presenza di urina nella vescica o nelle vie urinarie superiori come conseguenza dell'incapacità delle stesse di svuotarsi. La presenza di urina nelle vie urinarie la differenzia dall'anuria. Si può verificare in caso di vescica neurologica (con ipertono dello sfintere vescicale, normo- o ipotono del detrusore): la vescica progressivamente si sfianca (si formano i diverticoli), si instaura il reflusso vescico-ureterorenale e lentamente la funzionalità renale si compromette inoltre l'urina ristagnando provoca infezione per la vescica stessa e per il rene a volte tanto gravi da mettere in pericolo di vita il paziente. Un'altra situazione in cui si può verificare è dopo interventi o manovre che abbiano coinvolto la vescica, come le laparotomie, i parti, gli interventi uroginecologici. Questa però è più spesso solo una situazione temporanea che si risolve spontaneamente in 2-3 giorni.

URINARIO, apparato

Complesso delle strutture deputate alla produzione e alla eliminazione dell’urina. Con l’urina l’organismo si libera di prodotti di rifiuto del metabolismo (particolarmente dei prodotti terminali del metabolismo proteico: urea e acido urico) e anche di sostanze estranee solubili (quali farmaci e loro metaboliti, prodotti azotati o solforati derivati dai cibi ecc.) inoltre attraverso l’emissione delle urine viene controllato e mantenuto costante l’equilibrio idrico e quello osmotico dell’organismo. L’apparato u. è composto da due organi ghiandolari pari e simmetrici, i reni, che hanno la funzione di produrre l’urina, e da un insieme di cavità e di canali denominati vie urinarie, attraverso le quali l’urina viene eliminata.EmbriologiaLe strutture dell’apparato u. si differenziano, nel corso dello sviluppo embrionale, dal mesoderma e dalla cloaca. Dal mesoderma deriva il rene attraverso tre successivi abbozzi (pronefro, mesonefro e metanefro) dei quali solo l’ultimo darà origine al rene definitivo. Le vie urinarie derivano in parte dalla cloaca (estremità caudale dell’intestino primitivo) e in parte da una estroflessione che si sviluppa dal dotto del mesonefro in prossimità del suo sbocco nella cloaca. Sia durante le fasi dello sviluppo sia in condizioni definitive le strutture dell’apparato u. hanno stretti rapporti con quelle dell’apparato genitale, donde la trattazione di entrambe in un apparato urogenitale.Anatomia e fisiologiaI reni sono situati nella cavità addominale, contro la sua parete posteriore, in corrispondenza della regione lombare essi sono essenzialmente degli agglomerati di un gran numero di piccole unità dette nefroni. Il nefrone è costituito di un tubulo molto convoluto, il quale prende stretti rapporti con una fitta rete di vasi sanguigni capillari. A una delle sue estremità ciascun tubulo forma una struttura caliciforme, capsula di Bowman, che circonda una rete di vasi capillari derivati da una arteriola renale. L’insieme della capsula e dei vasi capillari costituisce un glomerulo renale. L’estremità opposta del tubulo si unisce a quella di altri tubuli a formare un tubulo collettore. I tubuli collettori sboccano nel bacinetto renale, che costituisce la prima porzione delle vie urinarie. In ogni nefrone avvengono essenzialmente tre processi: ultrafiltrazione del sangue che fluisce nei capillari del glomerulo, riassorbimento di acqua e di sostanze utilizzabili presenti nel liquido filtrato (quali glucosio, aminoacidi, ioni di sali minerali), secrezione di diverse altre sostanze destinate ad essere eliminate (ioni idrogeno e potassio, varie sostanze estranee). I diversi tratti di ogni tubulo renale sono specializzati nel trattare gruppi differenti di sostanze. L’urina che alla fine di questi processi passa nel tubulo collettore rappresenta solo l’1% ca. del volume di liquido filtrato a livello dei glomeruli, e la sua concentrazione può essere fino a quattro volte superiore a quella del sangue. L’insieme dei processi di filtrazione, riassorbimento e secrezione fa sì che il rene sia in grado di eliminare dal sangue i prodotti di rifiuto e contemporaneamente di conservare le sostanze utilizzabili presenti nel sangue stesso.Le vie urinarie comprendono diverse formazioni: i calici e i bacinetti renali, gli ureteri, la vescica e l’uretra. I bacinetti, uno per lato, sono strutture imbutiformi, appiattite in senso antero-posteriore, collegati al parenchima renale per mezzo di 6-9 tubi membranosi detti calici renali, i quali si raggruppano prima di confluire nel bacinetto. L’apice del bacinetto si continua in un condotto tubolare lungo 25-30 cm, l’uretere, che scende verticalmente in basso fino alla pelvi quivi l’uretere di destra e quello di sinistra sboccano in un organo cavo a parete muscolo-membranosa, la vescica, situato nella piccola pelvi dietro al pube.
La vescica funge da serbatoio nel quale si raccoglie l’urina che viene prodotta in continuazione dai reni.La vescica comunica con l’esterno attraverso un condotto impari e mediano, l’uretra. Il tratto iniziale dell’uretra è circondato da fasci di fibre muscolari lisce che costituiscono lo sfintere interno dell’uretra con la sua contrazione esso impedisce che l’urina esca spontaneamente dalla vescica. La vescica può accogliere notevoli quantità di urina, fino a 400 ml e più il suo svuotamento avviene a intervalli ed è determinato dalla contrazione delle pareti vescicali il bisogno di urinare incomincia a farsi sentire quando il volume vescicale è di ca. 150 ml. Lo svuotamento della vescica avviene tramite un meccanismo nervoso riflesso che ha i suoi centri nella porzione sacrale del midollo spinale. Il riflesso può essere temporaneamente inibito dai centri nervosi superiori e dalla volontà.L’uretra ha caratteristiche diverse nei due sessi. L’uretra femminile è lunga ca. 3,5 cm, decorre davanti alla vagina e sbocca nel vestibolo vaginale l’uretra maschile è molto più lunga (ca. 16-18 cm) e serve anche per l’emissione del liquido seminale essa attraversa la prostata, gli strati membranosi del perineo e infine, circondata da tessuto cavernoso, decorre nella parte infero-posteriore del pene (nell’angolo formato dai suoi due corpi cavernosi), percorrendolo fino alla sua estremità libera, ove essa si apre in corrispondenza della sommità del glande.La patologiaL’apparato u. può essere interessato da processi patologici di varia natura, i quali possono essere limitati al rene, o alle vie escretrici dell’urina, oppure possono coinvolgere reni e vie urinarie.Le anomalie. Relativamente comuni sono le anomalie malformative congenite anche quando di per sé non comportano conseguenze di rilievo esse possono tuttavia predisporre l’apparato u. ad altri processi patologici.Le infiammazioni sono dovute ad infezioni e sono favorite da tutte le condizioni che determinano il ristagno dell’urina (per es. calcoli, ipertrofia prostatica, tumori) spesso le infezioni diffondono in senso ascendente lungo le vie urinarie sino ad interessare il tessuto renale. Il ristagno dell’urina può portare alla dilatazione dell’uretere e del bacinetto renale determinando contemporaneamente atrofia del parenchima renale (idronefrosi). L’apparato u. può anche essere sede di tumori, benigni o maligni le sedi più frequenti sono il rene e la vescica.

UROBILINA

Pigmento biliare, chimicamente identico alla stercobilina, presente nelle urine derivato per ossidazione dall’urobilinogeno. Il precursore è la bilirubina che dopo essere stata coniugata con l’acido glucuronico nel fegato, viene eliminata nella bile. Giunta nell’intestino tenue subisce un processo di riduzione divenendo urobilinogeno, di cui una parte va nelle feci (stercobilinogeno) ed una parte viene riassorbita dalla mucosa intestinale, torna in circolo e viene riportata nel fegato. Di qui può essere riversata nella bile o raggiungere il rene per essere ossidato ad u. ed essere escreto con le urine. Un eccesso di pigmento biliare nelle urine è facilmente riscontrabile, poiché conferisce loro un tipo colore scuro (urine ipercromiche).

UROBILINOGENO

Pigmento che si forma nell’intestino per azione della flora batterica ivi presente sulla bilirubina contenuta nelle urine.

UROCHINASI

Enzima presente nelle urine dei mammiferi e quindi anche dell’uomo, elaborato dalle cellule renali appartiene, come la streptochinasi (v.), alla categoria degli attivatori del plasminogeno. L’u. legandosi ad un recettore situato sulle cellule tumorali, controlla il distacco di queste cellule e quindi la loro migrazione a distanza per dare metastasi.

UROCOLTURA

(O urinocoltura), tecnica di indagine diagnostica microbiologica che consiste nella coltura di urine su appositi terreni, allo scopo di ricercarvi la presenza di eventuali microrganismi patogeni. Essa richiede un prelievo di urina effettuato possibilmente direttamente in vescica, tramite un catetere vescicale sterile, in modo da evitare la contaminazione dell’urina da parte di germi presenti sul meato uretrale o sugli organi genitali esterni. Nella normale pratica clinica il prelievo è fatto dalle urine emesse al mattino con alcuni accorgimenti: dopo accurata pulizia con acqua del meato esterno ed eliminazione del primo getto, si raccolgono le urine in contenitore sicuramente sterile (metodo del mitto intermedio) in questo modo si limita la contaminazione del campione. Le urine vengono poi seminate su terreni di coltura per avere la riproduzione rapida dei germi eventualmente presenti e poterli quindi identificare. La presenza di germi dà luogo alla crescita di colonie batteriche dopo alcuni giorni. Si considera positivo un numero di oltre 10.000 batteri/ml. È indice di infezione delle vie urinarie.

UROGENITALE, apparato

Termine usato per indicare l’insieme di organi o delle funzioni che riguardano gli apparati urinario e genitale. Comprende i reni, gli ureteri, la vescica, l’uretra in entrambi i sessi. Nell’uomo i testicoli, la prostata, le vescichette seminali, i dotti deferenti, il pene e nella donna le ovaie, le tube, l’utero, la vagina, la vulva, il clitoride.Lo studio della patologia u. ha subito negli ultimi tempi una vera e propria rivoluzione, basti l’esempio della patologia renale, che è stata sottoposta a rinnovati metodi classificativi e interpretativi su base essenzialmente immunologica e sulla pratica della biopsia renale in clinica, ai fini della predittività della terapia. Di grande ausilio il perfezionamento delle tecniche diagnostiche strumentali, con l’ecografia, la TAC, la RMN, la flussometria, che hanno consentito la limitazione al ricorso a metodiche invasive come l’arteriografia, la cavografia e la pielografia, che pure rimangono strumenti diagnostici di grande importanza, riservati ai casi in cui il quesito diagnostico ne giustifichi l’impiego. Così pure le innovazioni terapeutiche, con l’introduzione di farmaci che hanno reso possibile l’aver ragione di svariate situazioni patologiche. Per quanto concerne la patologia urinaria maschile legata alla patologia della prostata, l’applicazione di farmaci che determinano l’effettiva riduzione volumetrica dell’ipertrofia prostatica benigna e di altri che controllano la dinamica urinaria del soggetto prostatico, e, per le forme patologiche più strettamente interessanti il sesso femminile, di farmaci risolutivi delle diverse forme di cistite, e di quelli impiegati nella profilassi di situazioni imparentate con squilibri ormonali. Tutto ciò senza voler prendere in esame il campo oncologico, ove, perfezionate procedure chirurgiche associate ad adeguato trattamento farmacologico, hanno fatto registrare successi nel controllo di neoplasie come quelle del testicolo. L’apparato u. comprende vari organi deputati alla produzione, alla raccolta e alla eliminazione dell’urina. Gli organi genitali sono quelli addetti alla riproduzione nell’uomo in alcune parti le strutture anatomiche urinarie e genitali sono le medesime: nell’uretra maschile infatti passa sia l’urina che proviene dalla vescica, sia gli spermatozoi prodotti dai testicoli che devono fecondare l’uovo femminile. I reni sono organi pari e simmetrici che filtrano sangue e producono l’urina che a sua volta attraverso gli ureteri viene raccolta nella vescica, per poi essere a intervalli espulsa all’esterno attraverso l’uretra. La fisiologia urinaria è molto complessa sia per quel che riguarda i meccanismo di produzione, sia per quel che riguarda i meccanismi di raccolta e espulsione dell’urina. I reni infatti sono organi anche di regolazione della pressione sanguigna e del quantità di liquidi dell’intero organismo mediante sofisticati sistemi di concentrazione o di diluizione dell’urina, intervenendo e interagendo sull’equilibrio acido-base mediante sofisticati e assai delicati meccanismi di controllo. La vescica, che è il serbatoio di raccolta dell’urina, deve provvedere anche alla sua espulsione: al suo interno esistono numerosi recettori che segnalano il progressivo riempimento, cosicché la muscolatura che circonda la vescica stessa, contraendosi ne provoca lo svuotamento. Ma contemporaneamente deve avvenire l’apertura dei sistemi sfinteriali che consentono la contenzione dell’urina stessa, e una volta svuotata gli sfinteri devono di nuovo riprendere la loro tonicità.

UROGRAFIA

Tecnica di indagine diagnostica radiologica dell’apparato urinario che si fonda sulla iniezione endovenosa, effettuata con modalità variabili, di un mezzo di contrasto radiopaco (si impiegano a questo scopo composti organici di iodio idrosolubili): tale sostanza viene eliminata attraverso i reni, e consente quindi la visualizzazione completa delle vie urinarie, che vengono studiate mediante radiogrammi effettuati ad intervalli di tempo.

UROLITIASI

vedi CALCOLOSI URINARIA

UROLOGIA

Branca delle scienze medico-chirurgiche che studia le malattie dell’apparato urogenitale maschile e femminile e delle ghiandole annesse e mette in atto i metodi di cura. Il campo d’azione dell’u. si esercita nell’ambito delle malattie chirurgiche dell’apparato urogenitale. Le malattie di carattere strettamente medico che concernono il rene costituiscono invece una branca autonoma che prende il nome di nefrologia.

USO ESTERNO

Indicazione usata nella ricettazione dei medicinali. Essa distingue le pomate, gli unguenti, le polveri e in genere le forme farmaceutiche da applicare alla pelle, mucosa orale e nasale, eventualmente su abrasioni, ferite.

USO INTERNO

Indicazione generica che comprende varie forme di somministrazione di un farmaco: per via orale per iniezione ipodermica, intramuscolare, endovenosa per via perlinguale per via rettale.

USTIONE

(O scottatura), lesione provocata nei tessuti dall’azione di temperature elevate può formarsi in seguito al contatto con corpi caldi, o con sorgenti di calore, ma lesioni simili possono essere provocate anche da agenti chimici (alcali, acidi, fosforo ed altri), dall’elettricità, dalle radiazioni ionizzanti, da frizioni meccaniche intense o prolungate.Il danno tessutale è proporzionale alla temperatura ed alla durata dell’esposizione mentre la gravità di una u. dipende essenzialmente dall’estensione e dall’intensità delle alterazioni che presentano i tessuti. In base a quest’ultima si parla di:- u. di primo grado quando è interessata soltanto la cute, che si presenta arrossata e tumida - u. di secondo grado quando la cute, oltre ad apparire arrossata e gonfia, presenta anche vescicole più o meno estese, piene di liquido sieroso - u. di terzo grado quando si ha la necrosi della cute, o anche dei tessuti sottostanti, e la parte necrotica assume i caratteri di un’escara - u. di quarto grado quando si ha la carbonizzazione dei tessuti, con interessamento di strutture profonde (tessuto adiposo, muscoli, ossa).L’estensione delle ustioni viene comunemente espressa come percentuale rispetto alla superficie cutanea totale, e il corrispondente valore si può calcolare approssimativamente facendo riferimento alle diverse regioni corporee: la testa rappresenta il 9% ca., un arto superiore il 9%, metà del tronco il 18%, un arto inferiore il 18%, gli organi genitali l’1%. Nel bambino queste percentuali variano leggermente, poiché la percentuale di cute che copre la testa ed il tronco è maggiore che nel soggetto adulto. Quanto più estesa è la superficie ustionata, tanto più gravi sono le conseguenze: le alterazioni dei vasi sanguigni capillari nella zona colpita li rendono permeabili al plasma, ma non alle cellule del sangue, per cui si ha la fuoruscita di plasma nei tessuti con riduzione del volume di sangue circolante, e aumento della sua viscosità: si sviluppa così una condizione di shock, e questo fenomeno si verifica quando è interessato più del 15% di superficie cutanea (10% nei bambini). Inoltre l’u. può danneggiare i globuli rossi, con emolisi ed anemia, o con occlusione dei piccoli vasi ed impedimento alla circolazione. In pratica vengono considerate gravi le ustioni superiori al 20%, gravissime quelle superiori al 40% a parità di condizioni risultano più gravi le ustioni nei vecchi e nei bambini. Lo stato di shock si manifesta ca. 8 ore dopo una u. grave e, se non viene adeguatamente curato (meglio se prevenuto), porta a morte il paziente. Il decorso delle ustioni varia a seconda del loro grado in quelle di primo e di secondo grado l’evoluzione è favorevole, e la guarigione avviene nell’arco di pochi giorni senza formazione di cicatrice. Nelle ustioni di terzo e quarto grado si ha invece dapprima l’eliminazione della parte necrotica, che si stacca spontaneamente dopo 2-3 settimane la piaga che residua viene poi riparata con la formazione di una cicatrice, che può causare disturbi funzionali anche notevoli. In questi casi, se la zona ustionata non viene accuratamente protetta, si ha facilmente la sovrapposizione di infezioni batteriche, che in genere si manifestano 4-5 giorni dopo l’u. Tali infezioni sono sostenute soprattutto da stafilococchi, da streptococchi, da bacilli coliformi, e possono complicarsi con gravi sepsi. Le manifestazioni generali che accompagnano le ustioni più gravi comprendono quindi lo shock, che si manifesta nei primi giorni se il paziente supera questa fase segue un periodo più lungo di disturbi legati specialmente alle infezioni batteriche o ad alterazioni metaboliche con febbre, perdita di peso e dell’appetito, anemia, ipoproteinemia, alterazioni della funzione renale, eventualmente polmoniti, setticemie, o altre complicazioni infettive.

Terapia
La terapia corretta e tempestiva delle ustioni, attuata oggi in centri altamente specializzati, riesce a salvare in qualche caso soggetti ustionati fino al 70%. Gli esiti delle ustioni, si correggono con interventi di chirurgia plastica.
In caso di ustione, è subito fondamentale bagnare la parte corporea con abbondante acqua fredda per diversi minuti, allo scopo di rinfrescare la persona ferita e alleviarne il dolore. Un'ustione poco estesa può poi essere spalmata con pomate dedicate anche in ambiente domestico. Non si devono rimuovere le flittene, per evitare il rischio di infettare la ferita, e tutta la zona dev’essere toccata il meno possibile, se non per detergerla, disinfettarla e medicarla, ricordando che le ustioni vanno facilmente incontro a infezioni. Il paziente deve essere reidratato e, se molto sofferente, si possono somministrare analgesici o antinfiammatori. Un'ustione molto estesa o una lesione che colpisca un bambino, un anziano o un malato dev’essere sottoposta alla valutazione di un medico.

UTERO

Organo cavo dell’apparato genitale femminile, situato nella piccola pelvi, tra la vescica, anteriormente, e il retto, posteriormente. Nella donna adulta, al di fuori dello stato di gravidanza, ha forma tronco-conica, con la base in alto e l’apice in basso, sensibilmente appiattita in senso dorso-ventrale, la sua forma può essere paragonata, grosso modo, a quella di una pera. Le dimensioni dell’u. variano a seconda dell’età della donna. Nelle neonate è lungo circa 3 cm, nella donna matura è lungo 6-9 cm e subisce un processo di atrofia in seguito alla menopausa. Nella donna che abbia già partorito, le sue dimensioni sono: 7-8 centimetri di lunghezza, 2,5 centimetri di spessore, 4 centimetri di larghezza. Il suo peso è di circa 50-70 grammi. Durante la gravidanza raggiunge i 35-37 cm e aumenta il suo volume di 30-40 volte. Si divide in tre parti: una maggiore, chiamata corpo che si divide a sua volta nel fondo (o cupola) e nel corpo propriamente detto, ai due estremi laterali del fondo sono presenti gli angoli tubarici, a livello dei quali l’u. si continua nelle salpingi uterine che lo collegano alle ovaie l’istmo, situato tra il corpo e il collo e la minore, chiamata collo o cervice, sul quale si inserisce la cupola vaginale esso costituisce la parte inferiore dell’u. e si divide a sua volta in due porzioni, la sopravaginale, situata al disopra della vagina, e la portio vaginale, o muso di tinca, che sporge libera in fondo alla vagina. La cavità che si trova all’interno del corpo è all’incirca triangolare, mentre nel collo si trova un canale, chiamato canale cervicale. Normalmente corpo e collo non sono allineati, ma formano fra di loro un angolo, aperto in avanti e in basso, di circa 120° (antiflessione dell’u.). Salpingi, ovaie e legamenti formano gli annessi uterini. L’u. è posto nel piccolo bacino ed è piuttosto mobile. Davanti ad esso si trova la vescica: i due organi sono separati da un cul di sacco, formato dal peritoneo. Posteriormente è situato l’intestino retto: anche qui il peritoneo si piega a formare un cul di sacco (scavo del Douglas), più ampio e più profondo del precedente. Secondo il maggiore o minore grado di riempimento della vescica o del retto, l’u. si sposta alquanto, ma in media si presenta quasi orizzontale, e il suo asse forma con la vagina, che si trova al di sotto, un angolo di 90° aperto in avanti (antiversione dell’u.). Questa posizione è importante perché in alcune condizioni patologiche può essere modificata. Pur godendo di una notevole mobilità, che gli consente le grandi variazioni di forma cui va incontro durante la gravidanza e durante il parto, l’u. è dotato di un valido apparato di sospensione costituito dai legamenti rotondi, tesi tra il fondo dell’u. e la parete anteriore della pelvi, dai legamenti larghi, tesi dai margini laterali dell’u. alle pareti laterali del bacino, dai legamenti u.-sacrali, dai legamenti u.-pubici, uterovescicali e cardinali e di un forte apparato di sostegno. Quest’ultimo viene chiamato nel suo complesso pavimento pelvico ed è costituito da due lamine muscolari, disposte a imbuto, che chiudono in basso il bacino. La prima, più profonda, è costituita dai muscoli elevatori dell’ano e ischio-coccigeo essi nel loro insieme hanno la forma di una coppa rivolta verso l’alto. La seconda, più superficiale, è costituita dal muscolo trasverso profondo del perineo.Le pareti dell’u. sono costituite da tre strati, che procedendo dall’esterno all’interno sono: il peritoneo, la tonaca muscolare (miometrio) e la mucosa (endometrio). È proprio nello spessore dell’endometrio che l’ovulo, qualora venga fecondato, va ad annidarsi. Perciò, mentre nell’ovaio avviene la maturazione dell’ovulo e l’ovulazione, nell’endometrio avviene tutta una serie di preparativi, per creare le condizioni più adatte ad accogliere l’ovulo fecondato.
Il susseguirsi delle varie fasi di questi preparativi è regolato dagli ormoni prodotti dall’ovaio. Queste modificazioni dell’endometrio prendono il nome di ciclo mestruale infatti, come punto di riferimento nella descrizione del ciclo uterino viene presa la mestruazione. All’inizio del ciclo, cioè dopo la fine della mestruazione, la mucosa ha uno spessore di 1-1,5 millimetri ed è rappresentata unicamente da quella sua porzione che viene chiamata strato basale. Essa è in attiva proliferazione ed è costituita da ghiandole tubolari semplici, che si dirigono in modo rettilineo verso la superficie e sono separate da abbondante tessuto connettivale. Il periodo che va dal 5° al 14° giorno dopo la fine della mestruazione prende il nome di fase follicolare proliferativa, perché in questo periodo la mucosa dell’u. si inspessisce fino a 6-8 millimetri, le ghiandole si allungano e diventano alquanto sinuose, assumendo un andamento a cavatappi. Questa nuova porzione inspessita della mucosa uterina prende il nome di strato funzionale.Il succedersi di tali fenomeni è stimolato dagli ormoni estrogeni che sono prodotti dal follicolo ovarico in via di maturazione. Intorno al 14° giorno del ciclo avviene l’ovulazione e il follicolo si trasforma in corpo luteo quest’ultimo produce il progesterone, l’ormone responsabile delle successive modificazioni della mucosa uterina. Si entra in questo modo nella fase luteale o secretiva: le ghiandole, che durante la fase precedente si erano sviluppate in modo completo, cominciano a secernere abbondantemente, mentre il tessuto connettivo che le circonda s’inturgidisce. Le piccolissime arterie che decorrono parallele alle ghiandole diventano tortuose e formano una fitta rete subito al di sotto della superficie della mucosa. Se l’ovulo liberato dall’ovaio è fecondato, viene ad annidarsi nell’endometrio. Se invece non è stato fecondato, il corpo luteo regredisce e di conseguenza diminuisce e cessa la produzione degli ormoni ovarici. Al 28° giorno avviene la mestruazione: il sangue stravasa nello spessore della mucosa, separando lo strato funzionale da quello basale il primo si distacca a brandelli, che vengono eliminati con il sangue. L’eliminazione di questo materiale dura 3 o 4 giorni e prende il nome di mestruazione. La quantità di sangue perduto in complesso a ogni mestruazione è di circa 100-200 grammi. Una proprietà del sangue mestruale è quella di non coagulare. Alle modificazioni cicliche che abbiamo descritto non partecipa la mucosa del collo: le ghiandole che vi si trovano, solo al 14°-16° giorno, quando cioè è appena avvenuta l’ovulazione e l’ovulo è fecondabile, producono un muco fluido e filante che facilita la salita degli spermatozoi. L’irrorazione sanguigna è assicurata dalle arterie uterine, rami dell’arteria ipogastrica, e dall’arteria ovarica. La rete venosa che raccoglie il sangue refluo dall’u. si dispone sulla superficie esterna a formare il plesso venoso uterovaginale, dal quale nascono tronchi venosi che si immettono nella vena iliaca interna e quindi nella vena cava inferiore. La rete linfatica risulta particolarmente sviluppata. L’innervazione è fornita dai rami del sistema simpatico e dal terzo e quarto nervo sacrale che formano il plesso nervoso uterovaginale.L’u. è l’organo destinato ad accogliere il prodotto del concepimento durante i 9 mesi del suo sviluppo funziona quindi come camera incubatrice. Le modificazioni che avvengono nell’ambito della parete uterina durante la gravidanza consentono di provvedere alle necessità vitali del feto durante tutto il periodo della gestazione. Infine, l’u., contraendosi, esplica un ruolo fondamentale nell’espulsione del feto durante il travaglio del parto.

UTRICOLO

Piccola vescicola tondeggiante, del diametro di 2 mm ca. che fa parte, insieme al sacculo e ai canali semicircolari, delle formazioni del labirinto membranoso dell’orecchio interno.

UTRICOLO PROSTATICO

Piccola formazione tubolare a fondo cieco presente nella prostata, che si apre nell’uretra in corrispondenza del collicolo seminale. È una struttura rudimentale che costituisce, nel maschio, l’omologo dell’utero e della vagina, di cui ha la stessa derivazione embriologica.

UVEA

Tonaca vascolare dell’occhio, divisa in tre parti: iride (anteriore), corpo ciliare (intermedio), coroide (posteriore).IrideSi trova su un piano frontale davanti al cristallino in questa sede separa la camera anteriore dell’occhio dalla posteriore, facendole comunicare attraverso la pupilla. Ha la forma di un anello piatto che circonda la pupilla. Il suo diametro maggiore misura 12 millimetri, mentre quello pupillare varia tra 1 e 9 millimetri, in rapporto alla motilità iridea il diametro pupillare fisiologico è compreso tra 2,5 e 4 millimetri. Queste variazioni sono legate alla sua funzione principale, che è quella di regolare la quantità di luce che entra nell’occhio, comportandosi come il diaframma di una macchina fotografica. La ricca vascolarizzazione, inoltre, rende l’iride importante per il nutrimento del segmento anteriore dell’occhio. La motilità iridea è possibile per la presenza di due formazioni muscolari lisce o involontarie: il muscolo costrittore o sfintere della pupilla e il muscolo dilatatore. Nella struttura dell’iride, sulla faccia anteriore, si può osservare una linea circolare festonata, il collaretto irideo, che separa il terzo centrale (parte pupillare), dai due terzi periferici (parte ciliare). Nella prima sono presenti dei piccoli anfratti, detti cripte iridee. Nella zona intermedia della parte ciliare si osservano dei solchi di contrazione circolari e concentrici la zona più periferica di questa parte costituisce la radice dell’iride, che si trova in corrispondenza dell’angolo irido-corneale e posteriormente si impianta nel corpo ciliare. La caratteristica più evidente dell’iride è il colore, per la sua importanza nell’estetica del viso. Il colore dipende dall’interazione di due fattori: la presenza all’interno dell’iride di cellule pigmentate e di cellule cromatofore e l’esistenza sulla faccia posteriore di uno strato di epitelio pigmentato. Le cellule cromatofore contengono granuli giallastri e marroni, le cellule pigmentate e l’epitelio pigmentato posteriore contengono, invece, granuli nerastri. Nelle iridi chiare, azzurre o grigie, l’epitelio pigmentato è sottile e le cellule nello spessore irideo sono scarsamente pigmentate il contrario si realizza nelle iridi scure. In sezione microscopica si distinguono nell’iride quattro strati, che dall’avanti all’indietro sono: l’endotelio, lo stroma, lo strato delle cellule mioepiteliali e l’epitelio pigmentato. L’endotelio riveste la superficie anteriore senza penetrare nella profondità delle cripte, dove pertanto l’umore acqueo è in diretto contatto con lo stroma. Lo stroma ha natura connettivale fibrosa e contiene numerose cellule, tra cui quelle pigmentate, le cromatofore e i melanociti in prossimità del margine pupillare si riconoscono le fibre muscolari a decorso circolare dello sfintere. Dietro allo stroma è presente uno strato di cellule epiteliali modificate per la presenza di prolungamenti contrattili a decorso radiale: il loro insieme costituisce il muscolo dilatatore. Infine, l’epitelio pigmentato chiude l’iride verso la camera posteriore. La contrazione dello sfintere stira l’iride, restringendo la pupilla: questa condizione è definita miosi. La contrazione del dilatatore ripiega invece l’iride, provocando la midriasi, cioè la dilatazione della pupilla. L’antagonismo di questi due muscoli trova riscontro nella diversa innervazione vegetativa: parasimpatica per lo sfintere, ortosimpatica per il dilatatore. Il primo si contrae in risposta alla luce intensa (riflesso fotomotore) o alla messa a fuoco per vicino (riflesso di accomodazione-convergenza-miosi), mentre il secondo si contrae in situazioni con forte contenuto emozionale. L’iride è riccamente vascolarizzata da rami delle arterie ciliari, soprattutto anteriori, che formano il grande cerchio arterioso in periferia, ed il piccolo cerchio arterioso in corrispondenza del collaretto irideo tra questi decorrono vasi ad andamento radiale. Il sangue venoso viene in gran parte drenato, assieme a quello delle altre parti dell’u., verso il sistema delle vene vorticose.Corpo ciliareSi trova tra la radice dell’iride e la coroide ha sezione triangolare, con base anteriore e apice verso la coroide. La sua importanza è duplice: è la sede di produzione dell’umor acqueo, per cui è indispensabile alla nutrizione dell’occhio, e partecipa direttamente al meccanismo dell’accomodazione, in quanto contiene il muscolo ciliare e offre inserzione al cristallino.
Anche la forma del corpo ciliare è anulare, con una porzione anteriore rilevata (pars plicata o corona ciliare) e una posteriore piana (pars plana o orbicolo ciliare). La pars plicata è caratterizzata dalla presenza di circa 80 rilevatezze a decorso radiale, i processi ciliari, separati l’uno dall’altro da vallecole sia sui primi che sulle seconde si inseriscono le fibre del legamento sospensore del cristallino o zonula di Zinn. I processi ciliari producono l’umore acqueo. Ognuno di essi contiene nella parte interna lo stroma, un gomitolo di vasi capillari dipendenti dal grande cerchio arterioso dell’iride. Sulla superficie è presente un doppio strato epiteliale: quello esterno è pigmentato e continua l’epitelio pigmentato retinico, quello interno chiaro (epitelio ciliare), guarda verso la camera posteriore ed è caratterizzato da una elevata attività metabolica perché partecipa alla secrezione dell’umor acqueo. Il muscolo ciliare è localizzato nello spessore del corpo ciliare ed è formato da fibre muscolari lisce a decorso radiale, circolare e longitudinale. La contrazione del muscolo ciliare causa il rilasciamento della zonula per cui il cristallino, che è elastico, può aumentare il proprio diametro antero-posteriore e quindi il proprio potere diottrico. In questo modo l’occhio avvicina il punto di focalizzazione, permettendo la visione nitida di oggetti vicini. Questa azione è detta accomodazione ed è stimolata dallo sfuocamento dell’immagine e dalla convergenza dei bulbi nella visione per vicino. La contrazione del muscolo ciliare è governata dal parasimpatico. La pars plana costituisce la porzione più periferica del fondo oculare, oltre l’ora serrata retinica. In prossimità dell’ora serrata offre inserzione alla base del vitreo.CoroideLa coroide è essenzialmente uno strato vascolare compreso tra sclera e retina ed è ricca di melanociti. I vasi retinici maggiori decorrono negli strati esterni, mentre internamente, verso la retina, formano una rete capillare, la coriocapillare. Questa è separata dalla retina per mezzo della membrana di Bruch, a struttura collagene ed elastica, che risulta dall’unione della membrana basale della coriocapillare con quella dell’epitelio pigmentato retinico. La coriocapillare fornisce per diffusione nutrimento agli strati retinici esterni. La regolazione degli scambi metabolici tra queste strutture è opera della membrana di Bruch e dell’attività dell’epitelio pigmentato retinico. Il sangue refluo dalla maggior parte dell’u. viene drenato dalle vene vorticose, che hanno forma di ampolla e si trovano all’equatore del bulbo in numero di 1 o 2 per quadrante.

UVEITE

Processo infiammatorio a carico dell’uvea che può essere diffuso, oppure localizzato ad una delle sue parti: coroide, corpo ciliare, iride (in questo secondo caso si parla rispettivamente di coroidite, ciclite, irite, irido-ciclite) il processo può coinvolgere anche altre strutture dell’occhio ad esempio la retina e la sclera. L’u. può avere carattere acuto, subacuto o cronico.

Cause
L’u. può essere determinata da traumi, o da agenti infettivi che si impiantano nell’occhio in conseguenza di ferite, o che vi pervengono per via sanguigna o linfatica da altri focolai di infezione: così possono essere in gioco germi piogeni, il bacillo della tubercolosi, il Treponema della sifilide, Protozoi come il Toxoplasma, virus (Citomegalovirus, virus della varicella, Herpesvirus), e anche funghi microscopici o Metazoi parassiti (per es. cisticerchi). A volte il processo infiammatorio non è dovuto all’azione diretta dell’agente infettivo, ma a reazioni di natura immunitaria indotte dallo stesso o scatenate da agenti fisici o tossici di varia natura. Una u. può costituire anche la manifestazione di malattie generali dell’organismo quali: artrite reumatoide, sarcoidosi, diabete, gotta. In molti casi la causa di una u. rimane sconosciuta.

Sintomi
L’infiammazione dell’uvea comporta fenomeni di congestione e di essudazione, con infiltrazione di leucociti tra le strutture uveali nelle forme a carattere acuto si può avere la rapida diffusione del processo a tutte le altre strutture dell’occhio: retina, corpo vitreo, sclera eccezionalmente si può avere anche l’evoluzione verso la suppurazione.Nelle uveiti croniche si può avere la formazione di granulomi.Una forma particolare di u. è la cosiddetta oftalmite simpatica, che si può sviluppare in conseguenza di un trauma oculare perforante che abbia interessato l’occhio controlaterale.

Terapia
La terapia delle uveiti, oltre alle misure dirette contro la causa responsabile, mira a ridurre l’infiammazione e a impedire il formarsi di aderenze tra l’iride e le strutture vicine.

UVEOPAROTIDITE

(O uveoparotite), processo infiammatorio cronico granulomatoso a carico dell’uvea e della parotide è una delle manifestazioni che può assumere la sarcoidosi, e frequentemente si associa a interessamento di uno o più nervi cranici con eventuale paralisi degli stessi, e a localizzazioni cutanee, ossee, polmonari della malattia.

V1
V2
V3
W
WARFARIN

Farmaco utilizzato come anticoagulante. Fa parte degli anticoagulanti dicumarolici. Questi agiscono bloccando la carbossilazione di alcuni residui glutamminici della protrombina e dei fattori VII, IX, X. Tale reazione biochimica necessita della vitamina K come substrato. A questo blocco consegue incompletezza delle molecole che, pertanto sono inattive per la coagulazione. L’azione del w. richiede un tempo di latenza di 8-12 ore. L’effetto coagulante è il risultato dell’inibizione parziale dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti. Viene utilizzato in molte patologie definite a rischio trombotico quali: la fibrillazione atriale, infarto del miocardio, ictus ischemici, trombosi venose o arteriose profonde, malattie genetiche caratterizzate da difetti della coagulazione. L’efficacia dell’effetto anticoagulante del w. deve essere frequentemente monitorato tramite dosaggio del tempo di protrombina. I pazienti in terapia con il w. devono pertanto eseguire controlli periodici della coagulazione. Dosi eccessive di w. possono determinare l’insorgenza di emorragie.Bisogna inoltre ricordare gli anticoagulanti sono soggetti ad interazioni con gli altri farmaci, aumentando o diminuendo l’effetto del w. anche in maniera significativaIl w. attraversa facilmente la barriere placentare e può determinare affezioni emorragiche al feto non deve essere usato in gravidanza.

WASSERMANN, reazione di

(Prende il nome da August von Wassermann, medico tedesco - Bamberga, 1866 - Berlino, 1925), test diagnostico per l’accertamento della sifilide. Esiste un sistema immunologico rivelatore, costituito da una soluzione di globuli rossi di montone e da siero di coniglio immunizzato contro tali globuli rossi (cioè con anticorpi emolitici capaci di produrre, in presenza di complemento, la distruzione degli eritrociti di montone). Esiste inoltre un sistema principale, costituito dal siero in esame inattivo (che non contiene complemento) e da un antigene derivante dall’agente morboso della lue (treponema). La reazione ha inizio al momento dell’unione del siero in esame con l’antigene treponemico, in presenza di una piccola quantità di siero di cavia, che apporta il complemento. Se il siero in esame contiene anticorpi contro il treponema, in quanto il paziente è affetto da sifilide, questi reagiscono con l’antigene in una reazione antigene-anticorpo che comporta la fissazione del complemento se il siero non contiene anticorpi, la reazione antigene-anticorpo non avviene e il complemento resta libero. Nel primo caso, l’unione del sistema principale al sistema rivelatore non comporta alcuna emolisi, in quanto, in assenza di complemento, le emolisine non inducono la lisi dei globuli rossi di montone nel secondo caso, la persistente disponibilità del complemento consente l’emolisi. Tale test è poco sensibile e poco specifico, risultando positivo anche in altre infezioni (morbillo, tubercolosi polmonare, toxoplasmosi, varicella ecc.). È consigliabile eseguire il prelievo a digiuno da 8 ore.

WATERHOUSE-FRIDERICHSEN, sindrome di

Forma di infezione da meningococchi a carattere setticemico fulminante, caratterizzata da emorragie cutanee disseminate, febbre, emorragie surrenaliche bilaterali e collasso. Il coinvolgimento del sistema coagulativo avviene probabilmente per l’azione di tossine batteriche, che promuovono la formazione di trombi di fibrina che si depositano nei piccoli vasi e grazie all’opera di enzimi litici, vengono poi sciolti in firinopeptidi ad effetto anticoagulante. Questo può innescare il verificarsi di emorragie. Dal punto di vista clinico il quadro e quello di una coagulazione intravasale disseminata, con riduzione di globuli rossi e piastrine e alterazione dei parametri coagulativi, cui può associarsi un quadro di shock. In queste forme la prognosi è infausta. La terapia è antibiotica e di supporto e una efficace forma di prevenzione e la somministrazione di vaccini monovalenti contro i meningococchi di gruppo A e C.

WATSON E CRICK, doppia elica di

Il 25 aprile 1953 James Watson e Francis Crick pubblicarono sulla rivista Nature l’articolo scientifico in cui si presentava il modello di struttura a doppia elica della molecola di DNA da loro scoperto al Cavendish Laboratory di Cambridge. In realtà la data che si usa far coincidere con la scoperta è quella del 28 Febbraio 1953, giorno in cui Francis Crick entrò nell’Eagle Pub di Cambridge, in Inghilterra, dichiarando ad alta voce di “aver scoperto il segreto della vita”. Nel 1952 si sapeva molto del DNA, compreso il suo ruolo esclusivo di materiale genetico: è l’unica sostanza in grado di trasmettere tutte le informazioni necessarie per creare la vita. Quello che non si conosceva era il suo aspetto e come esso attua la sua stupefacente funzione ereditaria. Tutto questo cambiò nel giro di un solo anno, il 1953, quando venne decifrata la struttura a doppia elica del DNA e la funzione cruciale delle sue basi accoppiate nel fenomeno dell’ereditarietà. Anche Maurice Wilkins ebbe un ruolo cruciale e tutti e tre nel 1962 furono insigniti del premio Nobel in Fisica e Medicina per questo. Ma rimane un’altra importante figura, senza la quale la scoperta non sarebbe stata possibile: Rosalind Franklin. Watson, Crick e Wilkins basarono il loro lavoro in parte su considerazioni sperimentali prese furtivamente dagli appunti di Rosalind Franklin. Per tornare al DNA, alla fine degli anni quaranta si sapeva che era costituito di una sequenza di basi, molecole a forma di anello appartenenti a due famiglie: quelle pirimidiniche, timina (T) e citosina (C) formate da un solo anello, e quelle puriniche, adenina (A) e guanina (G) formate da due anelli. Si sapeva inoltre che nella costituzione della molecola entravano anche uno zucchero (il desossiribosio) e gruppi di acido fosforico. E che nel nucleo il DNA era associato a proteine. Come si sa, le scoperte grandi e piccole della scienza non sbocciano dal nulla. Così, il lavoro di Watson e Crick deve molto a una serie di progressi ottenuti in quegli anni in diversi filoni di ricerca: la messa a punto di tecniche di cristallografia a raggi X nello studio delle molecole organiche la dimostrazione da parte di Erwin Chargaff che nella molecola del DNA il numero di basi A e T e di basi G e C è uguale la scoperta di Linus Pauling che le molecole di alcune proteine assumono forme elicoidali e, infine, gli studi dei genetisti, che accumulavano indizi sempre più convincenti che il vero materiale contenuto nei cromosomi responsabile della trasmissione dei caratteri, dell’ereditarietà, non fossero le proteine, ma il DNA. Certo, a quell’epoca, e ancora per qualche tempo dopo, nessuno metteva insieme in un quadro unitario tutti questi risultati. E, come accade spesso con le novità, buona parte del mondo accademico non era pronto ad accoglierne le implicazioni e neppure a riconoscerne il valore. Gli esperimenti di Avery, McLeod e McCarty sugli pneumococchi, per esempio, avevano dimostrato per la prima volta, e con un’indiscutibile eleganza, che le caratteristiche ereditarie erano convogliate dal DNA e non, come molti credevano, dalle proteine.Eppure, per molto tempo questi risultati non sono stati riconosciuti. È in questo contesto storico e scientifico che si sono trovati a lavorare James Watson e Francis Crick. Watson aveva sempre avversato l’idea, propugnata da alcuni, che nel DNA entrassero a far parte tre filamenti.La prova della struttura elicoidale della molecola era quello che cercava per provare la sua intuizione. Fu così che nel 1953 Watson e Crick pubblicarono su Nature il loro modello di DNA: due filamenti con uno scheletro costituito da molecole di zucchero (desossiribosio) unite l’una all’altra da molecole di acido fosforico avvolte intorno a un asse centrale a formare un’elica (doppia) al cui interno sporgono le basi che, legando ognuna quella affacciata con una alta specificità (A si appaia solo con T e G con C), contribuiscono a tenere uniti i due filamenti.

WEBER, compasso di

(Prende il nome da Ernst Heinrich Weber, anatomico e fisiologo tedesco - Wittenberg, 1795 - Lipsia, 1878), strumento che misura la distanza minima tra due punti sulla pelle capaci di dare sensazioni distinte.

WEBER FECHNER, legge di

Legge psicofisica che afferma la costanza del rapporto tra l’incremento della sensazione e dello stimolo.

WEBER, prova di

Esperimento che misura la differenza tra la percezione di un suono per via aerea e per via ossea nelle lesioni dell’orecchio.

WERLHOF, morbo di

(O porpora trombocitopenica emorragica), condizione morbosa, descritta per la prima volta dal medico tedesco P. G. Werlhof (1699-1767), caratterizzata da manifestazioni emorragiche a carico della cute e delle mucose, che si instaurano spontaneamente, e che possono dare sintomi di vario tipo a seconda della sede interessata (epistassi, emorragie intestinali, vescicali, uterine, ecc. a livello cutaneo si hanno petecchie, specialmente agli arti inferiori) nel sangue circolante si ha una riduzione spiccata del numero di piastrine. Sono colpiti soprattutto i giovani. La malattia ha evoluzione cronica.

Terapia
La terapia si giova della somministrazione di cortisonici e della asportazione della milza.

WERNICKE, encefalopatia di

(O polioencefalite emorragica superiore), caratterizzata da disturbo oculomotorio (nistagmo, paralisi dei nervi abducenti) e paralisi dei movimenti oculari coniugati, andatura atassica e stato confusionale. I sintomi hanno di solito un esordio improvviso e possono verificarsi singolarmente o, più spesso, in associazioni e combinazioni diverse. È dovuta a una carenza nutrizionale, più specificamente a un deficit di tiamina, e si osserva per lo più, ma non esclusivamente, negli alcolisti (per esempio anche nella anoressia nervosa). Le alterazioni anatomopatologiche descritte da Wernicke consistevano in emorragie puntiformi, per lo più localizzate a livello della sostanza grigia che circonda il 3° e 4° ventricolo e l’acquedotto di Silvio queste alterazioni erano di natura infiammatoria e si presentavano inoltre circoscritte alla sostanza grigia da cui la definizione di polioencephalitis hemorrhagica superioris. Nei pazienti alcolisti e con carenze nutrizionali, è di solito associata alla psicosi di Korsakoff che è una grave sindrome amnestica caratteristicamente associata a confabulazioni. In altri termini, la psicosi di Korsakoff è l’espressione psichica della encefalopatia di W. Per questa ragione e per altre, la definizione di encefalopatia di W. dovrebbe essere riservata a quel complesso di sintomi che include paresi oftalmica, nistagmo, atassia e uno stato apatico confusionale acuto. Il complesso di sintomi che include sia le manifestazioni della encefalopatia di W. sia il disturbo persistente o stabilizzato dell’apprendimento e della memoria viene correttamente inquadrato come sindrome di Wernicke-Korsakoff.In più dell’80% dei pazienti affetti da sindrome di Wernicke-Korsakoff è possibile rilevare la presenza di segni di sofferenza dei nervi periferici di solito non grave. Sono inoltre frequenti segni di alterazioni cardiovascolari (tachicardia, dispnea da sforzo, ipotensione ortostatica). L’ipotensione posturale e la sincope sono eventi comuni nella encefalopatia di W., forse dovuti all’alterazione del sistema nervoso autonomo. Altre disfunzioni spesso correlate possono essere un’alterazione nella capacità di distinguere gli odori e un’alterazione della funzionalità vestibolare, denominata paresi vestibolare.La diagnosi si basa anche su esami di laboratorio che mostrano piruvato e lattato aumentati e diminuzione di tiamina nel siero. Alla RMN si riscontrano modificazioni di segnale nelle aree descritte da Wernicke: nello stadio acuto si osservano emorragie, edema, necrosi. Nello stadio tardivo, si osserva atrofia delle regioni corrispondenti. Il tasso di mortalità durante la fase acuta di malattia è del 17% circa, per lo più attribuibile a infezioni, scompenso epatico da cirrosi o deficit irreversibile di tiamina. I pazienti che migliorano rispondono al trattamento specifico (somministrazione di tiamina) in modo abbastanza prevedibile. Il miglioramento più evidente si verifica a partire dalle manifestazioni oculari, entro poche ore o alcuni giorni dalla somministrazione di tiamina. Tale effetto è così costante che la presenza di paralisi oculari che non rispondono alla tiamina dovrebbe far insorgere dubbi sulla diagnosi di encefalopatia di W. Anche i sintomi iniziali di tipo mentale, come ad esempio l’apatia, la sonnolenza, l’indifferenza e l’incapacità di concentrarsi e di sostenere una conversazione, scompaiono rapidamente dopo terapia.

WHARTON, gelatina di

Tessuto connettivo mucoide di aspetto gelatinoso che circonda i vasi ombelicali nel loro decorso lungo il cordone ombelicale. Ha funzione protettiva nei confronti dei vasi fetali, in quanto ne impedisce l’occlusione a seguito di attorcigliamenti e compressioni.

WHIPPLE, morbo di

(Prende il nome da George Hoyt Whipple, patologo statunitense - Ashland, Oregon, 1878 - Rochester, 1976), o lipodistrofìa intestinale, malattia caratterizzata dalla comparsa di un gran numero di macrofagi carichi di lipidi e di materiale glicoproteico nella mucosa dell’intestino tenue e nei tessuti linfatici del mesentere. Possono essere interessate anche altre sedi quali milza, cuore, fegato, reni, sistema nervoso centrale, polmoni, muscolatura scheletrica. Le cause sono sconosciute.

Sintomi
La malattia si manifesta essenzialmente con sintomi di malassorbimento intestinale: steatorrea, perdita progressiva di peso, edemi, ed anche febbre, dolori addominali ed articolari.

Diagnosi
La diagnosi richiede l’esame istologico di una biopsia dell’intestino.

Terapia
La risposta favorevole al trattamento con antibiotici fa ritenere trattarsi di una condizione infettiva.

WILSON, morbo di

È una malattia del metabolismo del rame che si manifesta con disturbi neurologici, principalmente del sistema extrapiramidale. La malattia è trasmessa con modalità autosomica recessiva il gene responsabile è stato localizzato sul braccio lungo del cromosoma 13.

Cause
La malattia è determinata da un difetto nell’escrezione biliare del rame, che determina un aumento del rame libero circolante e conseguente accumulo a livello del fegato e, successivamente, di altri organi.

Sintomi
Dal punto di vista clinico, i sintomi epatici esordiscono precocemente (8-16 anni) con predominanza femminile e sono costituiti da ittero, vomito, ipostenia e faticabilità, associati ad alterazione delle prove di funzionalità epatica l’insufficienza epatica progredisce e, se non trattata, porta alla cirrosi. I sintomi neurologici non esordiscono prima dei 12 anni (solitamente a 20-30 anni): la disartria è uno dei sintomi più frequenti e precoci e può presentarsi con caratteristiche parkinsoniane (parola monotona, ipofonia) o cerebellari (parola scandita o esplosiva), la disartria può evolvere fino a una completa anartria e associarsi a scialorrea e disfagia. Sono presenti movimenti involontari distonici e, talora, coreoatetosici agli arti. Le alterazioni del tono presentano le caratteristiche della rigidità extrapiramidale: questa è prevalentemente assiale e spesso asimmetrica, cosicché conferisce al malato particolari atteggiamenti statuari (pose ginniche di De Lisi). Caratteristica è la presenza di tremori, il più spesso un tremore d’azione, meno comune il tremore a riposo o il flapping tremor. Sono presenti, in quasi tutti i pazienti, disturbi psichiatrici di vario tipo: nevrosi ansiose, ossessive o fobiche, psicosi paranoidi o maniaco-depressive, turbe della personalità e quadri di deterioramento mentale. Seppur non patognomonica, la presenza dell’ anello di Kayser-Fleischer è considerato un segno importante della malattia.

Diagnosi
Dal punto di vista diagnostico, è importante un’accurata indagine anamnestica familiare in seguito, oltre alla ricerca dell’anello di Kayser-Fleischer, si possono riscontrare riduzione della concentrazione sierica di ceruloplasmina (meno di 20 mg/100 ml nel 96% dei casi) e aumento della concentrazione di rame in prelievi bioptici epatici (maggiore di 100-250 mg/g) le indagini neuroradiologiche possono documentare spesso un’ipodensità dei gangli della base e del cervelletto, atrofia corticale e troncale e dilatazione ventricolare.

Terapia
La terapia si basa sulla rimozione del rame in eccesso, attraverso l’impiego di sostanze chelanti. Attualmente, il farmaco più impiegato è la penicillamina (1-1,5 g/die per os, in dosi frazionate, a stomaco vuoto e in associazione a piridossina) con monitoraggio dell’escrezione urinaria del rame (1-2 mg/die). Inizialmente si può avere un peggioramento e possono essere necessari 3-6 mesi prima che compaiano benefici clinici. In caso di intolleranza si può ricorrere a terapie alternative con dimercaptopropranololo, trietilenetetramina e sali di zinco. Infine, l’unico provvedimento terapeutico possibile nei casi resistenti è il trapianto di fegato.

WOLFF-PARKINSON-WHITE, sindrome di

Si tratta di una tachicardia di tipo prevalentemente parossistico nota anche come sindrome da preeccitazione, poichè l’impulso elettrico che normalmente passa dagli atri ai ventricoli attraverso il nodo atrio-ventricolare, in questa situazione vi può giungere anche attraverso vie anomale. Dal punto di vista elettrocardiografico la sindrome si caratterizza per: intervallo PQ corto, impastamento della parte iniziale dell’onda R (onda delta) e tachicardia. Nei pazienti con sindrome di W.P.W è anche frequente osservare flutter atriale e fibrillazione atriale con alta risposta ventricolare e pericolo di degenerazione in fibrillazione ventricolare. Per la conferma diagnostica, la localizzazione della via anomale di conduzione e per valutare il rischio di sviluppare aritmie mortali i pazienti con WPW devono essere sottoposti a studio elettrofisiologico. I farmaci più usati nella sindrome sono i beta-bloccanti e i calcio-antagonisti. È necessaria la cardioversione elettrica esterna in presenza di frequenza ventricolare rapida e particolarmente pericolosa. L’uso della digitale è controindicato. L’ablazione transcatetere della via anomala è possibile in più del 90% dei casi e garantisce una guarigione permanente.

WUCHERERIA BANCROFTI

Verme nematode parassita dell’ordine dei Filarioidei. È diffusa in africa, nel Sud-Est Asiatico, in America, nel Mediterraneo. È responsabile della filariosi linfatica.Il maschio è lungo circa 4 cm, mentre la femmina 10 cm. Quando si accoppiano danno luogo a delle microfilarie che vivono di giorno nel torrente circolatorio periferico del soggetto infettato e di notte nei capillari polmonari. I vettori sono diverse specie di zanzare e attraverso la puntura di queste ultime, penetrano nella cute dell’uomo. Da qui raggiungono le strutture linfatiche profonde, dove i vermi divengono adulti e si accoppiano. Le microfilarie, ovvero gli embrioni di questi nematodi, si riscontrano nel sangue a circa 12 mesi dall’infestazione.I sintomi esordiscono con febbricola e reazioni di tipo allergico, che precedono episodi di linfangite e linfadenite. Il paziente riferisce dolore lungo il decorso del linfatico coinvolto e linfonodi aumentati di volume, arrossati e dolenti. Sono spesso interessati i linfatici dell’area genitale maschile. L’infiammazioni può portare i vasi linfatici ad ostruirsi e dopo molti anni, intorno ai nematodi morti, si forma una reazione granulomatosa che rende l’ostruzione definitiva e porta dunque ad un quadro di elefantiasi, soprattutto scrotale. In alcuni soggetti si evidenzia marcatamente l’interessamemto polmonare con febbre, tosse e asma, dovuti probabilmente ad una reazione immunitaria esuberante, con intrappolamento e distruzione delle filarie nel torrente circolatorio polmonare.

X
XANTELASMA

Chiazza di colore giallo bruno, piana o leggermente rilevata, di forma irregolare, che compare sulla cute delle palpebre specie dal lato nasale. È formata dall’accumulo di cellule istiocitarie cariche di sostanze lipidiche, e si osserva soprattutto in soggetti adulti o anziani (particolarmente nelle donne), specie se affetti da disfunzioni epatiche, diabete, disturbi del metabolismo lipidico. Lo x. non dà alcun disturbo la sua asportazione può essere richiesta per ragioni estetiche.

XANTINE

Gruppo di composti a struttura chimica analoga, i cui rappresentanti più importanti, teofillina, aminofillina e caffeina, sono usati in medicina. La teofillina e la aminofillina trovano il loro impiego soprattutto nella terapia dell’asma, patologia nella quale esplicano un effetto broncodilatatore. L’uso della caffeina è invece come analettico centrale del respiro e del circolo.

XANTINURIA

Rara anomalia congenita del metabolismo purinico, causata dal deficit dell’enzima xantinossidasi. Ne consegue un accumulo tissutale di xantina, che viene pertanto eliminata in abbondante quantità e concentrazione con le urine e può formare calcoli delle vie urinarie, e scarsissima o assente formazione di acido urico.

XANTOGRANULOMA

Processo patologico caratterizzato da una infiltrazione infiammatoria cronica a carattere granulomatoso nella quale sono presenti un gran numero di cellule istiocitarie cariche di sostanze lipidiche. Si può osservare in diverse sedi quali la cute, i tessuti dell’occhio o dell’orbita, la parete della colecisti, il rene, le capsule articolari e le guaine tendinee.

XANTOGRANULOMA GIOVANILE

È una lesione cutanea che si manifesta nei bambini, soprattutto a livello delle regioni della testa, del collo e del tronco ha l’aspetto di un nodulo rilevato di colore giallo bruno si possono avere anche lesioni multiple, che spesso regrediscono spontaneamente.La lesione consiste in una proliferazione benigna di istiociti, con significato analogo ad altre proliferazioni benigne della prima infanzia, delle dimensioni variabili tra pochi millimetri a 5 cm (emangioma, mastocitoma). Può essere un unico nodulo localizzato (x. isolato nel 60-82% dei casi) od un processo diffuso a vari distretti. In ogni caso il comportamento clinico si caratterizza per una crescita rapida nei primi mesi di vita, seguita da una altrettanto rapida risoluzione spontanea. I tempi di regressione oscillano fra 3 mesi e oltre 11 anni, con una media di 2 anni.La più frequente, seppur rarissima, localizzazioni extracutanea è l’occhio che è presente in circa lo 0,4% dei casi, e si ritrova per lo più in bambini di età inferiore ai 2 anni con lesioni multiple.

Sintomi
Una lesione nodulare di aspetto fibromatoso o raramente fibroangiomatoso, di colore giallastro. Nelle forme diffuse tutta la cute appare rilevata da minutissime granulazioni. Le lesioni più grosse possono raramente ulcerarsi. È interessante sottolineare come questa patologia, al contrario di quanto detto per gli xantomi non si associa a turbe del metabolismo lipidico, infatti, la malattia più frequentemente associata allo x. è la neurofibromatosi. Più importante, ma molto più rara è l’associazione x., neurofibromatosi e leucemia (parrebbe che la coesistenza di x. e neurofibromatosi aumenti significativamente il rischio di leucemia, rispetto alla sola presenza di sola neurofibromatosi).

Diagnosi
È in genere semplice e si basa sul caratteristico viraggio di colore dal roseo-brunastro al giallo dopo digitopressione non è quindi quasi mai necessario praticare un esame istologico per confermare la diagnosi.

Terapia
Non è necessario alcun trattamento, nemmeno per le lesioni extracutanee, in quanto esse rimangono asintomatiche e regrediscono come le cutanee. Per la complicanza oculare, che è più probabile nei bambini di età inferiore ai 2 anni con xantogranulomi multipli può essere indicata una consulenza oculistica.

XANTOMA

Lesione costituita da un ammasso più o meno voluminoso di cellule istiocitarie contenenti sostanze lipidiche (goccioline di colesterina mista a fosfati, grassi e carotenoidi) si manifesta specialmente a livello della cute, con l’aspetto di una rilevatezza di colore giallo bruno meno frequente è l’interessamento delle mucose, o di sedi profonde.Gli xantomi si osservano nella cute in forma di placchette, specialmente alle palpebre, dove prendono il nome di xantelasma, e sulla fronte, specialmente in persone anziane, o nei soggetti con elevati livelli di lipidi nel sangue (dislipidemie) od altri disordini metabolici, come diabete, cirrosi biliare primitiva. In altri casi gli xantomi possono avere l’aspetto di papule, o di noduli, o anche di lesioni similtumorali a lento accrescimento (x. tuberoso), oppure possono presentarsi come lesioni disseminate a rapida comparsa (x. eruttivo). In questi casi si collocano a livello di gomiti, articolazioni, ginocchia, mani, piedi, natiche.

Sintomi
I sintomi consistono nell’apprezzare a livello cutaneo una rilevatezza o un nodulo piatto, soffice al tocco, di colore giallo, con margini netti, non dolente.

Diagnosi
La diagnosi è fatta tramite esame obiettivo, storia familiare di dislipidemie, eventualmente biopsia, controlli ematochimici mirati (profilo lipidico).

Terapia
L’obiettivo primario è quello di scoprire un eventuale disordine metabolico alla base degli xantomi e xantelasmi. Se il paziente lo desidera, possono essere facilmente rimossi con piccoli interventi estetici in anestesia locale, ma, se la causa scatenante non viene rimossa, essi si ripresentano.

XANTOMATOSI

Denominazione generica di affezioni caratterizzate dalla comparsa in diverse sedi (particolarmente nella cute e nei tendini) di formazioni nodulari giallastre dette xantomi, che risultano dall’accumulo di cellule istiocitarie inglobanti sostanze lipidiche. Le x. sono l’espressione di disturbi a carico del metabolismo lipidico, che comportano aumento abnorme della quantità di lipidi circolanti nel sangue, e possono manifestarsi in diverse condizioni morbose quali per esempio il diabete mellito, l’ipotiroidismo, occlusioni delle vie biliari, alcune malattie renali, e soprattutto in malattie congenite del metabolismo lipidico.

XANTOMATOSI CEREBROTENDINEA

(O Malattia di van Bogaert), è un disordine del metabolismo lipidico a trasmissione genetica autosomica recessiva (gene CYP27A1). Il difetto alla base di questo disordine è il deficit di un enzima epatico (la 27-idrossilasi) della via biosintetica degli acidi biliari, che ha il compito di trasformare il colesterolo in acidi biliari.Tale via sintetica risulta così anormalmente interrotta, causando l’accumulo di colesterolo nella bile, nella maggior parte dei tessuti, compreso il cervello, e la formazione di xantomi. Inoltre si verifica aterosclerosi prematura.

Sintomi
Nell’infanzia: diarrea, cataratta, ritardo psicomotorio, segni piramidali e cerebellari (atassia progressiva). In età adulta: demenza, sintomi psichiatrici, xantomi, atassia, coronaropatia, calcolosi della colecisti, diarrea cronica intrattabile.

Diagnosi
La diagnosi è fatta con gli esami ematochimici e delle urine, test genetico per individuare la specifica mutazione.

Terapia
La terapia è medica con acido chenodesossicolico per via orale, allo scopo di inibire la sintesi degli acidi biliari, per ridurre la formazione di colesterolo e rallentare la progressione della malattia.

XANTOPSIA

Disturbo della visione per cui gli oggetti appaiono colorati in giallo, come se visti attraverso un vetro di questo colore in particolare gli oggetti bianchi vengono visti gialli e gli oggetti scuri vengono visti di colore violetto.

Cause
È un sintomo che si può manifestare in alcune intossicazioni (per es. da ossido di carbonio, da barbiturici).

Terapia
La terapia è causale.

XENODIAGNOSI

Tecnica di indagine oggi poco in uso, che può essere utilizzata nella diagnostica di alcune malattie infettive e parassitarie: il paziente viene fatto pungere da insetti allevati in laboratorio ed esenti da infezioni, nei quali il microrganismo sospetto responsabile della malattia possa riprodursi il parassita stesso viene poi ricercato, dopo un opportuno periodo di tempo, nelle feci o nel sangue dell’insetto.Così si può fare per es. nella malattia di Chagas o tripanosomiasi americana, utilizzando triatomi, nella fase acuta della malattia, quando la ricerca del parassita su sangue risultasse negativa.

XENOTRAPIANTO

Trapianto di organi, cellule o tessuti tra specie animali differenti. Il primo xenotrapianto effettuato nell'uomo risale al 1964, quando fu trapiantato il rene di uno scimpanzè in un paziente umano. Attualmente i centri esistenti al mondo sono sette, tra cui uno in Italia, quello di Padova.

XERODERMA PIGMENTOSO

Malattia della pelle a carattere ereditario e familiare, caratterizzata da un’abnorme sensibilità della cute alle radiazioni solari.

Cause
Lo x. pigmentoso, che viene trasmesso come un carattere autosomico recessivo, dipenderebbe almeno in certi casi da un difetto dei meccanismi cellulari dai quali dipende la riparazione delle alterazioni indotte dalle radiazioni ultraviolette nel DNA dei nuclei cellulari.

Sintomi
Si manifesta precocemente, già entro il primo o secondo anno di vita, con la comparsa sulla cute delle parti scoperte (dorso delle mani, volto, ecc.) di piccole chiazze simili alle efelidi, di aree arrossate, di alterazioni degenerative che danno alla cute stessa un aspetto vecchieggiante.Le lesioni si accentuano durante il periodo estivo, con l’esposizione al sole esse hanno inoltre una spiccata tendenza a subire la trasformazione tumorale maligna, con insorgenza già in età giovanile (verso i 10-15 anni) di carcinomi cutanei, a volte multipli: perciò la malattia ha una prognosi sfavorevole vi sono però anche forme attenuate, a evoluzione e con caratteri meno gravi.

Terapia
L’unica possibilità di trattamento consiste nel riconoscimento precoce delle lesioni tumorali e nella loro asportazione per prevenirne l’insorgenza è necessario proteggere la cute dalle radiazioni solari.

XERODERMA PILARE

vedi CHERATOSI

XEROFTALMIA

Abnorme secchezza della mucosa congiuntivale, con perdita della sua caratteristica lucentezza.

Cause
Si osserva tipicamente in caso di grave deficienza di vitamina A, particolarmente nei bambini, e si determina in seguito a insufficiente secrezione lacrimale questa a sua volta dipende da fenomeni di cheratinizzazione dell’epitelio dei dotti nelle ghiandole lacrimali, con desquamazione di cellule ed occlusione dei dotti stessi.La x. predispone all’impianto di infezioni nella congiuntiva e nella cornea, con possibili ulcerazioni, perforazioni, ed eventuale grave compromissione della funzione visiva, fino alla completa cecità. La metà dei bambini ciechi nel mondo lo è a causa della carenza di vitamina A.In generale sono causa di x. tutte le condizioni che possono portare ad una xerosi congiuntivale, come per esempio si ha nella sindrome di Sjogren.

Terapia
Nel caso della avitaminosi A, per correggere la x. si somministrano cibi ricchi in vitamina A o la vitamina stessa in capsule, che bloccano l’evoluzione della malattia nel caso della Sjogren, la terapia è a base di cortisonici per via locale e/o sistemica esistono peraltro colliri, soluzioni e pomate oftalmiche umidificanti da usare come coadiuvanti nella terapia della x.

XERORADIOGRAFIA

Metodo di indagine radiografica che utilizza, per ottenere l’immagine dei tessuti attraversati dalle radiazioni, la tecnica impiegata nelle fotocopiatrici a secco. Rispetto alla normale radiografia presenta alcuni vantaggi (maggiore ricchezza di dettagli, rapidità di esecuzione, ecc.) e alcuni svantaggi (alta dose di radiazioni somministrate, elevato costo, ecc.) per tali motivi e per l’avvento di tecniche più accurate, quali la TAC e RMN, è caduta in disuso.

XEROSI

Alterazione della congiuntiva caratterizzata da una modificazione del suo epitelio di rivestimento, il quale assume in aree più o meno estese i caratteri dell’epidermide, con cheratinizzazione ed eventualmente ipercheratosi: in conseguenza, le aree interessate si presentano opache, asciutte.

Cause
La x. può essere la conseguenza di diverse condizioni patologiche, quali insufficiente secrezione lacrimale, avitaminosi A, atrofie delle ghiandole congiuntivali (come esito di un tracoma o di altra congiuntivite cronica), irradiazioni, esoftalmo, patologie autoimmuni, ed in generale tutte le alterazioni delle palpebre che ne impediscono la chiusura completa.

Terapia
La terapia causale o sintomatica (colliri, pomate oftalmiche), prevenzione delle complicanze come infezioni ed ulcere.

XEROSTOMIA

Abnorme secchezza della mucosa della cavità orale, dovuta ad insufficiente secrezione di saliva da parte delle ghiandole salivari può essere la conseguenza di diversi processi patologici a carico delle ghiandole stesse, quali flogosi croniche, esiti di irradiazioni, litiasi, atrofia senile. Una x. può dipendere anche da fenomeni puramente emotivi, o dall’impiego di farmaci simpaticomimetici.

XILOCAINA

vedi LIDOCAINA

Y
YAWS (O FRAMBOESIA)

Malattia granulomatosa causata da spirochete, facente parte del gruppo delle treponematosi endemiche, infezioni croniche non veneree trasmesse da contatto corporeo. La patologia è sostanzialmente limitata a zone endemiche, specie le regioni umide equatoriali e la sua trasmissione è favorita da un abbigliamento inadeguato, scarsa igiene e dai traumi cutanei. Dopo un periodo di incubazione di alcune settimane compare una lesione granulomatosa o maculare nella sede di inoculo, più spesso sulle gambe. La lesione successivamente si rimargina, ma è seguita dalla comparsa di una eruzione di granulomi soffici generalizzata, più frequentemente interessanti il volto, gli arti e le regioni muco-cutanee. In una fase ancora più tardiva possono manifestarsi lesioni distruttive quali periostiti (specie della tibia), esostosi proliferative, noduli, lesioni cutanee gommose e ulcere facciali mutilanti. La terapia prevede il trattamento dei soggetti affetti e dei loro familiari e contatti con benzatin penicillina, che induce la rapida scomparsa della spirocheta e la guarigione.

YOGA

Sistema filosofico e scientifico indiano di antichissima origine, nato nell’alveo dell’induismo. Lo y. conta ancora oggi molti seguaci, chiamati yogi, in India e in Tibet. La parola sanscrita y. significa “unione” e si riferisce all’unione tra il corpo e la mente, tra l’uomo e lo spirito cosmico. Lo y. si propone di mettere l’uomo in armonia con le forze del cosmo, portandolo a vivere secondo le leggi naturali. La via da seguire passa attraverso otto stadi. Si tratta di una specie di allenamento graduale: nei primi stadi è un allenamento di ordine fisico, in quelli intermedi è, al tempo stesso, fisico e spirituale, in quelli superiori l’allenamento è totalmente spirituale. Le diverse scuole di y. si differenziano soprattutto per l’importanza data a questi stadi. In Occidente si è diffuso l’Hatha y., o y. della volontà, che attribuisce grande peso agli stadi preliminari. L’obiettivo è di condurre gradualmente, senza alcuna forzatura e rispettando i tempi di ciascuno, al raggiungimento della padronanza del proprio corpo e della propria mente, alla salute e al benessere.

YOHIMBINA

vedi IOHIMBINA

Z
ZALEPLON

È una pirazolopirimidina, un ipnotico non-benzodiazepinico è stato introdotto recentemente. Agisce a livello dei recettori benzodiazepinici, l’inizio dell’azione è più rapido rispetto alle benzodiazepine ed ha una velocità di eliminazione maggiore, che conferisce un migliore profilo di sicurezza rispetto ai farmaci precedenti, ha una durata d’azione molto breve. Deve essere utilizzato solo per brevi periodi.È utilizzato nell’insonnia, grave e invalidante, in cui vi è difficoltà all’addormentamento, non è indicato invece come farmaco singolo per il trattamento della depressione e delle psicosi. Se durante l’assunzione del farmaco si verificano eventi come cefalea, astenia, sonnolenza, dipendenza, vertigini, amnesia, effetto paradosso è necessario interrompere il trattamento.Le dosi consigliate sono di 10 mg prima di coricarsi o dopo essere andati a letto in caso di difficoltà ad addormentarsi, negli anziani è consigliato dimezzare la dose.Non si deve assumere una seconda dose durante la stessa notte. Sembrerebbe non causare l’effetto rebound e l’effetto da sospensione. L’uso di questo farmaco è controindicato in caso di sindrome dell’apnea notturna, nella miastenia grave.Non deve essere utilizzato in caso di insufficienza respiratoria grave, insufficienza epatica grave, se vi è storia di abuso di alcol o droghe, nelle donne in gravidanza e in allattamento. È sconsigliato nelle persone sotto i 18 anni. Bisogna evitare l’uso prolungato e la sospensione improvvisa.

ZECCA

Nome di varie specie di Acari. Parassite ematofaghe dell’uomo e degli animali, le zecche sono pericolose perché possono trasmettere agenti di malattie infettive. La specie più nota è la z. del cane (Ixodes ricinus), lunga 1-2 mm. La z. è un insetto che si attacca ostinatamente alla pelle, da cui succhia il sangue per giorni. Il morso di solito non è doloroso e non causa prurito, per cui può passare inosservato.I problemi che determina si limitano di solito a una lesione locale nella sede della puntura, raramente seguita da sintomi generali. Alcuni tipi di z., per fortuna rari nel nostro paese, possono trasmettere col loro morso gravi malattie, tra cui la malattia di Lyme.Le zecche provengono dagli animali domestici, oppure dagli arbusti del sottobosco (da qui si attaccano ai vestiti e quindi alla pelle, in genere durante un’escursione). La puntura della z. responsabile della malattia di Lyme non provoca né dolore né prurito, per cui spesso passa inosservata: casualmente, per esempio durante un bagno o una doccia, si riscontra la z. attaccata alla pelle.Quando la z. si stacca, la zona della puntura si presenta come un piccolo rigonfiamento rosso con la zona centrale un po’ ribassata, che si trasforma ben presto in crosta. Raramente, nei giorni successivi, il bambino può avere febbre, eruzione cutanea e ingrossamento dei linfonodi vicini.Cosa fare- Rimuovete la z.: la z. rimane attaccata alla pelle attraverso la sua bocca. Tentativi maldestri di asportare la z. possono pertanto facilmente causare il distacco della testa dell’insetto, che rimane infissa nella pelle e deve essere rimossa.- Utilizzate un paio di pinzette, o, in alternativa, le dita, o un filo avvolto intorno alle mascelle della z. Proteggete le mani con guanti o un fazzoletto e gli occhi con occhiali, per evitare di infettarvi.- Cercate di serrare la presa il più possibile vicino alla pelle, possibilmente in corrispondenza della testa tirate poi lentamente ma costantemente, con un delicato movimento di rotazione, finché l’insetto non molla la presa.- Se la z. è molto piccola, potete usare la lama di un coltellino o il bordo di una carta di credito.- Se avete rimosso la z., ma la testa è rimasta attaccata, dovete rimuoverla con un ago sterile (operando come per rimuovere una scheggia).- Una volta rimossa la z., disfatevene rimettendola nel suo ambiente naturale, o schiacciandola con una pietra, o buttandola nel water.- Lavate le mani e la zona della puntura con acqua e sapone.- Chiamate il medico se: non riuscite a rimuovere la z., la testa della z. è rimasta in profondità nella pelle, nella settimana successiva alla puntura compaiono febbre o un eruzione sulla pelle.Cosa non fare- Non cercate di rimuovere la z. facendola oscillare o tirandola bruscamente: favorireste il distacco della testa.- Non uccidete la z. schiacciandola con le mani.- Non cercate di staccare la z. cospargendola di smalto per le unghie, alcol o petrolio: si tratta di tentativi di interromperne la respirazione, destinati però all’insuccesso, perchè la z. respira solo poche volte in un’ora. Tali tentativi possono inoltre indurre nella z. il vomito, contribuendo a mettere in circolo tossine dannose.Se la zona o il bosco che frequentate è particolarmente a rischio per infestazione da zecche:- Camminare al centro dei sentieri evitando se possibile il contatto con la vegetazione.- Indossare calzature chiuse ed alte sulla caviglia, se possibile pantaloni e camicie a maniche lunghe.- Usare repellenti per insetti a base di permetrina ripetendo eventualmente l’applicazione ogni 2-3 ore. Questi prodotti non vanno applicati sulla pelle, ma sui vestiti.- Una volta di ritorno a casa procedere ad un’accurata ispezione di tutto il corpo, parti coperte e scoperte senza trascurare il cuoio capelluto, per verificare la presenza di zecche ed effettuare una immediata rimozione.

ZIGOMATICO, osso

Osso della faccia, chiamato anche osso malare, posto a ponte (arcata zigomatica) tra il mascellare e tre ossa del cranio (frontale, squama del temporale e grande ala dello sfenoide). L’osso z. forma la parete esterna e parte della parete inferiore dell’orbita. La notevole prominenza dell’osso z. costituisce uno dei tratti fisionomici caratteristici di alcune razze umane (razza gialla, razza amerinda).

ZIGOMO

Parte della faccia situata inferiormente e lateralmente rispetto agli occhi, che corrisponde al rilievo dell’osso zigomatico (arcata zigomatica).

ZIGOTE

Cellula che risulta dall’unione dello spermatozoo con la cellula uovo al momento della fecondazione in essa viene ristabilito il corredo di 46 cromosomi, che si era ridotto a metà in ciascuna delle due cellule germinali durante il loro processo di maturazione. Dalla suddivisione dello z. e delle cellule che ne derivano origina il nuovo individuo (vedi FECONDAZIONE).

ZILGREI, metodi di

Metodo di manipolazione messo a punto intorno al 1970 dall’italiana Adriana Zillo e dallo statunitense Hans Greissig. La manipolazione Z. si svolge essenzialmente in due tempi: la messa in tensione e la manipolazione. Con la messa in tensione, il terapeuta fa compiere al collo una rotazione fino a quando ha la sensazione di essere arrivato alla fine del movimento possibile. La manipolazione consiste nell’imprimere un ulteriore movimento di rotazione in modo da superare la resistenza incontrata. L’articolazione produce allora un rumore caratteristico, detto scroscio. Fra la rotazione e la manipolazione il paziente esegue alcune respirazioni profonde ciò permette di proseguire nel movimento perché la respirazione modifica, anche se leggermente, la curvatura della colonna vertebrale, che diventa in tal modo più elastica.

ZINCO, ossido di

Medicamento facente parte di una categoria di sostanze che trovano indicazione nella protezione di superfici altrimenti non più protette dalla cute come ulcere e ferite, e il cui compito è di formare uno strato protettivo e di assorbire gli eventuali essuadati. L’ossido di z. entra come componente nella lozione di calamina usata come mitigante e disidratante.

ZOLFO

Elemento presente in tracce nell’organismo umano che partecipa al metabolismo delle cartilagini, del fegato e della pelle, dei peli e delle unghie. L’organismo trae lo z. in forme biologicamente disponibili principalmente da due aminoacidi (cisteina e metionina) contenuti nelle proteine. Un adeguato apporto di proteine animali preserva da disturbi carenziali, che si evidenziano come disturbi delle cartilagini. È utilizzato sotto varie forme anche naturali (acque, fanghi solforati) per la terapia delle artrosi, delle infiammazioni croniche delle vie respiratorie, per le malattie della pelle di tipo acneico.

ZOLLINGER-ELLISON, sindrome di

Condizione morbosa caratterizzata da grave ipersecrezione gastrica acida, da ulcere peptiche croniche recidivanti, spesso multiple e a volte localizzate in sedi atipiche, e dalla presenza di un tumore endocrino secernente quantità eccessive di gastrina, che nella maggior parte dei casi è localizzato al pancreas. A volte si associano anche tumori a carico di altre ghiandole endocrine (paratiroidi, ipofisi, surrene). È una malattia grave, in relazione alla malignità del tumore, o a eventuali complicazioni a carico delle lesioni ulcerose (emorragie, perforazioni).

Terapia
La terapia richiede la gastrectomia totale oltre all’asportazione del tumore.

ZOLPIDEM

È una imidazopiridina, non è una benzodiazepina, ma agisce comunque a livello dei recettori delle benzodiazepine (o sottotipi di recettori). Ha una durata d’azione breve. L’assunzione del farmaco può causare diarrea, nausea, vomito, vertigini, barcollamenti, cefalea, sonnolenza, astenia sono stati riportati dipendenza, quindi la durata del trattamento deve essere breve e non superare le due settimane, disturbi della memoria, incubi, acatisia notturna, depressione, confusione, disturbi percettivi o diplopia, tremore, atassia, cadute.È utilizzato nella terapia dell’insonnia (utilizzo a breve termine) la sua azione insorge entro circa 30 minuti. Evitare l’uso prolungato (e quindi la sospensione improvvisa). La dose consigliata è di 10 mg prima di coricarsi negli anziani (o debilitati) e consigliabile dimezzare la dose è sconsigliato l’uso nei bambini.L’assunzione di questo farmaco è controindicato in caso di sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno, insufficienza polmonare acuta, depressione respiratoria, miastenia grave, insufficienza epatica grave (se non grave ridurre la posologia), insufficienza renale grave, psicosi, anziani (sembra che aumenti il rischio di fratture), gravidanza e allattamento, storia di abuso di droghe e alcol. Può persistere sonnolenza durante il giorno successivo all’assunzione soprattutto se assunto a notte inoltrata, questo può compromettere lo svolgimento delle normali attività in particolare la guida, il farmaco potenzia l’effetto dell’alcol, ha interazioni con gli ansiolitici e gli ipnotici. Bisogna evitare l’uso prolungato e la sospensione improvvisa.

ZONDEK, reazione di

(Prende il nome da Bernhard Zondek, ginecologo polacco - Wronke, Posnania 1891 - New York 1966). vedi "ASCHHEIM-ZONDEK, reazione di"

ZOOFILIA

Termine che viene usato per designare un modesto disturbo dell’affettività che spinge alcuni individui ad una esagerata espansività nei confronti degli animali. In genere ci si trova di fronte a soggetti iperaffettivi, ossessionati di tenerezza, ai quali le circostanze della vita non hanno concesso delle normali soddisfazioni (celibi, coppie senza figli, ecc.) e che d’altra parte sono trattenuti da un vago rancore verso l’umanità e da un costante sottofondo di egoismo dall’orientare i loro sentimenti altruisti verso dei fini filantropici.Nel DSM-IV la z. è citata tra le forme non altrimenti specificate di parafilia ed è intesa come relazione sessuale con animali.Per evitare confusioni terminologiche è opportuno definire tale parafilia z. erotica.

ZOOFOBIA

Paura patologica, immotivata, suscitata dalla presenza, o anche soltanto dal pensiero, di animali. In psicopatologia la z. è una delle forme di comportamento fobico dei nevrotici.Ciononostante la z. può manifestarsi in certe società, in certe epoche storiche, in un determinato sesso, anche al di fuori di un quadro strettamente patologico: ad esempio è nota la z. dei ragni, dei topi, e dei serpenti, diffusa tra le donne nella nostra cultura.La z. può anche essere immaginaria, soprattutto tra i bambini: è per esempio frequente la fobia infantile del lupo, conosciuto unicamente attraverso fiabe e racconti. Talvolta la z. si collega ad un animale in quanto sudicio ed apportatore di contagi e malattie.La psicoanalisi spiega la z. riportandola a conflitti psichici di carattere sessuale nel soggetto fobico, per cui l’animale oggetto della fobia sarebbe per lo più un rappresentante simbolico d’una persona temuta e desiderata inconsciamente.

ZOOPROFILASSI

Forma di politica sanitaria tesa a prevenire, individuare e curare le zoonosi (brucellosi, leptospirosi, rabbia, tetano e toxoplasmosi).

ZOOPSIA

Particolare forma di delirio allucinatorio che consiste nella visione di animali, spesso strani e mostruosi, per lo più terrificanti. In genere c’è la visione di animali di grossa taglia (macrozoopsie), ben distinguibili nelle loro forme e associati a uno stato emotivo-affettivo di paura e minaccia, più raramente piacevole o di meraviglia. Talora si associa ad un’esperienza dermatozoica, ossia una visione di animali di piccola taglia (microzoopsie) che si situano sulla superficie corporea del paziente, evocando uno stato di disgusto e ribrezzo e un comportamento di allontanamento.La z. è frequente nell’alcolismo acuto e anche nell’intossicazione da droghe e allucinogeni.

ZOPICLONE

È un ciclopirrolone, non è una benzodiazepina, ma agisce a livello degli stessi recettori delle benzodiazepine (o sottotipi di recettori). Ha una breve durata d’azione. Evitare l’uso prolungato e la sospensione improvvisa.Durante l’assunzione del farmaco si possono verificare gusto amaro o metallico disturbi gastrointestinali inclusi nausea e vomito, secchezza delle fauci irritabilità, confusione, umore depresso sonnolenza, barcollamenti, vertigini, sensazione di testa vuota e scoordinazione cefalea dipendenza reazioni da ipersensibilità (incluse orticaria e rash) allucinazioni, incubi, amnesia e disturbi del comportamento (inclusa aggressività).Viene utilizzato per il trattamento a breve termine dell’insonnia. La dose consigliata è di 7,5 mg prima di coricarsi anziani, all’inizio 3,75 mg prima di coricarsi, da aumentare se necessario. Miastenia grave, insufficienza respiratoria, sindrome dell’apnea notturna grave, insufficienza epatica grave, insufficienza respiratoria grave, gravidanza e allattamento, anziani, storia di abuso di alcol e droghe, psicosi. Può persistere sonnolenza il giorno dopo l’assunzione soprattutto se assunto a notte inoltrata, compromettendo lo svolgimento di attività complesse in particolare la guida. Potenzia gli effetti dell’alcol e ha interazioni con ansiolitici e ipnotici. È sconsigliata l’assunzione nei bambini.

ZOPPIA

vedi CLAUDICAZIONE

ZUCCHERO

La denominazione zucchero indica specificamente il saccarosio, largamente diffuso nei vegetali, ma di introduzione relativamente recente nell’alimentazione moderna. Viene estratto dai vegetali soprattutto la canna da z. e la barbabietola da z. Grezzo si presenta in masse cristalline di colore giallo-bruno sottoposto a processi di raffinazione e decolorazione lo z. diventa bianco, cristallino, raffinato. La composizione chimica dello z. (quello in commercio è formato dall’unione di una molecola di fruttosio e una di glucosio) lo rende essenzialmente un alimento energetico (4 kcal per grammo come tutti i glucidi) privo di qualsivoglia funzione plastica o protettiva come tale è indicato in alcune circostanze che richiedono un apporto di energia prontamente utilizzabile (come nella pratica sportiva, per esempio), ma in tutti gli altri casi non è conveniente superare il 5-7% del totale delle calorie giornaliere, pari a circa 25-45 g di z. visibile e invisibile al giorno. Un eccessivo consumo di “calorie vuote” (così sono state definite le calorie fornite dallo z.) tende a ridurre il consumo di alimenti protettivi, perché lo z. e gli alimenti dolci deprimono l’appetito.È opinione corrente della maggior parte dei nutrizionisti che occorre limitare il consumo di z., poiché il saccarosio è ritenuto corresponsabile di alcune malattie come l’obesità, il diabete, la carie dentaria e l’arteriosclerosi. Il rapporto tra consumo di z. e incidenza di alcune malattie dismetaboliche è stato riscontrato sulla base di ricerche epidemiologiche molto attendibili, tuttavia è importante rilevare che non è dannoso lo z. in sé, ma piuttosto un uso continuo e smodato, tenendo anche presente che lo z. che è ingerito non è solo quello aggiunto al latte o al caffè, ma anche quello contenuto nei vari dolciumi (zuccheri nascosti).

D - DH
D, VITAMINA

La v. D è una v. liposolubile e può essere acquisita sia con l’ingestione che con l’esposizione alla luce solare. Il termine v. D è usato per indicare i composti steroidei che hanno l’attività biologica del colecalciferolo (v. D3) e del calciferolo (v. D2). Oltre a questi due composti esistono altre 10 sostanze con attività simile (provitamine), ma le più importanti restano la v. D3 e la D2: la prima presente nei tessuti animali, la seconda in cibi d’origine vegetale. Si depositano principalmente nel fegato, ma le riserve non sono cospicue. La trasformazione delle provitamine in v. ha luogo nel tessuto cutaneo questa reazione è catalizzata dai raggi ultravioletti e dipende quindi dall’esposizione ai raggi solari. L’effetto fisiologico più importante della v. D consiste nel facilitare la calcificazione dell’osso aumentando l’assorbimento del calcio assunto con la dieta. Tuttavia, l’azione specifica della v. D consiste nel tenere elevata la calcemia. Pertanto, se il calcio introdotto con la dieta è abbondante, l’effetto finale può essere la sua deposizione nelle ossa se il calcio è insufficiente, esso, per azione della v. D, è mobilizzato dall’osso e immesso nel sangue allo scopo di mantenere normale la calcemia. Inoltre la v. D è necessaria per una buona crescita dei bambini, in quanto, senza di essa, le ossa e i denti non calcificano bene. Essa è preziosa nel mantenere un sistema nervoso stabile, un’azione cardiaca e una coagulazione sanguigna normali, poiché tali funzioni sono collegate ad una buona utilizzazione da parte dell’organismo di calcio e fosforo. Gli oli di fegato di pesce sono la maggior fonte naturale di v. A e D.

Il latte di mucca, ma anche il latte umano, non contiene quantità sufficienti di v. D è deve perciò essere integrato o vitaminizzato. Attualmente i dosaggi di v. D vengono espressi in microgrammi di colecalciferolo (mg) invece che in Unità Internazionali (UI). L’equivalenza è 100 UI = 2,5 mg e 400 UI = 10 mg. Se presa in dosi eccessive, la v. D è la più tossica in assoluto. Il fabbisogno da parte dell’organismo di v. D può essere soddisfatto tramite l’esposizione ai raggi solari, che non ha conseguenze tossiche e l’ingerimento di piccole quantità di cibo. L’azione del sole sulla pelle può essere ostacolata dalla presenza di fattori come il fumo, i vetri od i vestiti.Chi vive in zone poco soleggiate o chi non può esporsi al sole, dovrebbe consumare almeno due tazze al giorno di latte vitaminizzato o una giusta quantità di tuorlo d’uovo, pesci grassi e fegato, secondo il grado di esposizione.Un eccesso di v. D aumenta l’assorbimento del calcio, che può portare alla rimozione del calcio dalle ossa ed a un accumulo nei tessuti molli, con la formazione di calcoli, come nei reni. Quantità eccessive possono determinare alti livelli di calcio e di fosforo nel sangue e una notevole escrezione di calcio nelle urine, e ciò provoca la calcificazione dei tessuti soffici, delle pareti dei vasi sanguigni e dei tubuli renali: tali disturbi si riassumono nella ipercalcemia. L’indurimento dei vasi sanguigni nel cuore e nei polmoni può portare alla morte. Un’aumentata attività cardiaca richiede più calcio, il quale viene fornito solo se vi è nel sistema sufficiente v. D. Sintomi di dosaggio eccessivo, in forma acuta, si manifestano con frequente urinazione, perdita dell’appetito, nausea, vomito, diarrea, stitichezza, debolezza muscolare, vertigini, stanchezza e calcificazione dei tessuti soffici del cuore, dei vasi sanguigni e dei polmoni e nei casi più gravi confusione, ipertensione, insufficienza renale e coma.Da una carenza di v. D consegue un inadeguato assorbimento del calcio da parte del tratto intestinale e una ritenzione di fosforo nei reni, apportando una mineralizzazione difettosa della struttura ossea. I sintomi della carenza di calcio sono uguali a quelli della carenza di v. D. L’incapacità delle ossa deboli di sopportare lo stress del peso si manifesta in deformazioni scheletriche.

Il rachitismo, un disturbo osseo dei bambini, è un effetto diretto della carenza di v. D. Segni di rachitismo sono l’indebolimento del cranio e delle ossa, con inarcamento delle gambe e della colonna vertebrale, ingrossamento dell’articolazione del polso, del ginocchio e dell’anca, muscoli scarsamente sviluppati e irritabilità nervosa.La v.D ha un ruolo importante durante la dentizione. Essa è necessaria per un buon sviluppo, crescita e rafforzamento della dentatura. Secondo Adelle Davis, la v. D serve anche a prevenire le carie dei denti e la piorrea, un’infiammazione degli alveoli dentali. La v. D protegge le persone in menopausa dall’osteoporosi causata dal cortisone. Attualmente vengono effettuati degli studi sul legame tra calcitrolo e osteoporosi. Sia la v. D che il calcio mantengono le ossa sane o forti durante la menopausa. La v. D previene la frattura dell’anca negli anziani. In uno studio scandinavo la v. D è stata collegata alla difesa dalla depressione.

DACARBAZINA

Composto del triazene, appartenente al gruppo degli antineoplastici alchilanti. Esso richiede un’attivazione metabolica nel fegato prima di formare un agente alchilante attivo.La sua principale utilizzazione risiede nel trattamento del melanoma maligno, dove sembra essere efficace nel 20% dei casi. In associazione con altri farmaci la d. viene utilizzata nel trattamento del morbo di Hodgkin. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, come effetti di tossicità acuta provoca quasi sempre nausea, vomito, e diarrea, eccezionalmente reazioni anafilattiche come effetti di tossicità ritardata determina quali mielosoppressione, epatotossicità, nefrotossicità.

DACRIOADENITE

Processo infiammatorio delle ghiandole lacrimali. Le dacrioadeniti si suddividono in forme acute o croniche.

Cause
Infezioni batteriche e virali. Tra le forme virali bisogna ricordare quella che può manifestarsi in corso di parotite, per l’affinità strutturale tra parotide e ghiandola lacrimale.

Sintomi
Le forme acute, dovute generalmente a infezione virale, sono caratterizzate dall’infiammazione acuta della ghiandola lacrimale principale con tumefazione della porzione esterna della palpebra superiore, che si presenta gonfia e dolente, con vivo dolore alla pressione e in qualche caso al movimento del bulbo.Le forme croniche sono meno comuni, generalmente dovute a infezione tubercolare od a patologie autoimmuni, si manifesta con una tumefazione dura e non dolente, che può deformare il margine della palpebra superiore l’alterata lacrimazione che ne consegue è non di rado causa di cheratocongiuntivite secca.

Diagnosi
Il rovesciamento della palpebra superiore permette di apprezzare la ghiandola infiammata, al di sotto della congiuntiva. Il dolore è particolarmente intenso quando viene colpita anche la parte orbitaria della ghiandola.

Terapia
È in relazione alla causa che ha determinato l’infiammazione. Nel caso di infezione batterica la guarigione si completa in 10-15 giorni con terapia antibiotica sia locale sia generale, mentre nel caso di d. virale la sintomatologia è più attenuata ma il decorso prolungato.

DACRIOCISTITE

Processo infiammatorio dei sacchi lacrimali. È molto più frequente e alquanto più grave, rispetto alle infiammazioni che interessano le altre parti dell’apparato lacrimale. Generalmente, ha un decorso cronico.

Cause
Alla base di questa infiammazione quasi sempre c’è una stenosi (restringimento) congenita che ha sede tra il sacco lacrimale e il dotto naso-lacrimale. Quando per un fatto intercorrente la mucosa del dotto, già stenotico, si infiamma, il dotto viene completamente occluso. Il ristagno di lacrime nel sacco chiuso determina un’infiammazione della mucosa che lo riveste con conseguente facile impianto di germi piogeni (germi che producono pus, generalmente rappresentati da streptococchi e stafilococchi che, in queste condizioni di diminuzione della difesa della mucosa del sacco, proliferano facilmente).

Sintomi
Il primo sintomo è un’intensa lacrimazione inoltre la congiuntiva appare arrossata e presenta i classici segni di una congiuntivite. La pressione sulla regione del sacco lacrimale all’angolo mediale dell’orbita (cioè quello vicino al radice del naso), determina la fuoriuscita di un liquido bianco, viscoso, di aspetto simile al bianco d’uovo. Dato che il secreto può risalire le vie lacrimali e arrivare alla congiuntiva e alla cornea, anch’esse possono infettarsi. Perciò sono facilmente concomitanti alla d.: congiuntiviti, infiammazioni del bordo palpebrale (blefariti) e infiammazioni della cornea (cheratiti), che possono anche presentare l’aspetto di cheratite purulenta. Generalmente le dacriocistiti hanno carattere cronico (evoluzione lenta, senza sintomi molto appariscenti) talvolta, però, quando il ristagno della secrezione muco-purulenta è accentuato se nuovi agenti infettivi si aggiungono ai precedenti, l’infezione può decorrere acutamente. In questo caso, la cute della regione del sacco si gonfia e il gonfiore si diffonde alle palpebre, che diventano, insieme al sacco, dolenti al tatto. In seguito, la cute corrispondente al sacco diviene giallastra e si perfora e dalla perforazione fuoriesce un secreto purulento. Dopo questa manifestazione, i sintomi di infezione regrediscono e si verifica solo fuoriuscita di lacrime: si è istituita in tal modo una fistola lacrimale.

Terapia
Dato che il punto iniziale di tutto il processo è la stenosi che si istituisce tra il sacco lacrimale e il dotto naso-lacrimale, nei casi iniziali è possibile ristabilire la pervietà del dotto con un sondaggio delle vie lacrimali, che consiste nell’introduzione di una sottile sonda attraverso i punti lacrimali, fino al condotto naso-lacrimale. È necessario che l’operazione venga eseguita da uno specialista esperto. Ai sondaggi si alternano irrigazioni con antibiotici. Qualora con questi mezzi non si ottengano risultati apprezzabili, è necessario ricorrere all’intervento chirurgico (dacriocistorinostomia). Questo consiste nella formazione di una nuova via di comunicazione tra il sacco lacrimale e la cavità nasale, che permetta di ristabilire un facile deflusso delle lacrime.

DAKIN-CARREL, soluzione di

Disinfettante per uso esterno dotato di buon potere battericida, costituito da una soluzione acquosa di ipoclorito di sodio (0,45 - 0,50%). È attualmente superato da preparati di più pronto impiego e con minor grado di tossicità.

DALTONISMO

Anomalia congenita della percezione dei colori, descritta nel 1794 dal fisico britannico J. Dalton, che ne era affetto.

Cause
Tale anomalia, dovuta a un disturbo funzionale dei coni (particolari cellule della retina deputate alla percezione dei colori), viene trasmessa ereditariamente come un carattere recessivo legato al sesso i geni responsabili del d. sono situati sul cromosoma X e, poiché si tratta di geni recessivi, la malattia si manifesta in tutti i soggetti di sesso maschile che hanno il gene anomalo, e nelle femmine che hanno il gene anomalo in doppia dose, che sono cioè omozigoti: per questo motivo la frequenza del d. è molto più elevata nei maschi che nelle femmine. Donne daltoniche nascono solo da un padre daltonico e da una madre portatrice, mentre i maschi daltonici nascono da madre portatrice del gene e da padre normale. Per questo tipo particolare di trasmissione ereditaria, donne daltoniche coniugate con uomini normali hanno tutti i figli maschi daltonici e tutte le figlie femmine normali, ma portatrici, e quindi capaci di trasmettere l’anomalia alla prole uomini daltonici coniugati con donne normali hanno tutte le figlie normali, ma portatrici (le quali trasmetteranno l’anomalia a metà dei figli maschi), e tutti i figli maschi normali. Sono affetti da d. di vario grado il 4% ca. degli individui.

Sintomi
Il soggetto daltonico confonde varie sfumature di rosso con varie sfumature di verde nello spettro dei colori egli può distinguere solo il blu e il giallo, che risultano separati da una zona in cui le sue capacità di discriminazione sono deficitarie.In altre parole il d. è una cecità cromatica parziale: se l’asse di confusione è per il verde-rosso si parla di deuteranopia, se è per il rosso-blu/verde è la protanopia, se è per il violetto-giallo/ verde l’anomalia è definita tritanopia.

Diagnosi
L’esame del senso cromatico si basa sul riconoscimento dei colori operato dai coni foveali. Per uno screening possono essere presentate al paziente delle matassine di lana colorate oppure delle tavole nelle quali un insieme di tondini colorati descrivono dei numeri o dei simboli, come le tavole pseudoisocromatiche di Ishikara. Questi test sono concepiti in modo da indurre false risposte in caso di anomalie del senso cromatico. Per un esame clinico più approfondito si utilizza il test di Farnsworth che consiste in una serie di dischetti colorati (100 nella versione completa) che il paziente deve allineare in sequenza tonale.

Terapia
Non esiste.

DANTRONE

Farmaco lassativo antrachinonico appartenente al gruppo degli irritativi, o lassativi di contatto, del quale fanno parte anche la senna ed il bisacodile (vedi bisacodil). Il d. viene usato molto raramente in quanto sono stati dimostrati effetti genotossici e cancerogeni (cancro colo-rettale) nei roditori in seguito ad uso cronico infatti il d. ed altri antrachinoni contengono nella loro struttura chimica dei gruppi reattivi dal potere mutageno.

DAPSONE

Farmaco della classe dei sulfoni, ampiamente usato nella terapia antilebbra (vedi anche ANTILEPROMATOSI), ha effetto battericida grazie all’inibizione dell’enzima folato-sintetasi. È il farmaco di prima scelta per la sua buona efficacia e ridotta tossicità può essere utilizzato anche nei bambini ed in gravidanza. Si somministra per via orale o intramuscolare alle dosi di 100 mg/die per cicli di 30-40 giorni, con intervalli di una settimana. Sono descritte resistenze nel 10-30% dei casi, pertanto, di prassi si associa a rifampicina ed etambutolo. Gli effetti tossici secondari sono quelli che si riscontrano per i sulfoni in generale, cioè emolisi nei soggetti con deficit della G6PDH, dermatite, rash cutanei, epatite, febbre, cefalea, astenia, agranulocitosi è inoltre descritta una sindrome da d. simile alla mononucleosi.

DARTOS

Sottile lamina di tessuto muscolare liscio, che aderisce intimamente alla faccia profonda della cute dello scroto.È un muscolo pellicciaio, che si contrae sotto l’azione del freddo e si rilascia con il caldo: con la sua contrazione, o semplicemente con la sua tonicità, determina il pieghettamento delle borse scrotali e il loro aspetto rugoso.Il d. si prolunga in alto sotto la cute del pene, del perineo e delle regioni inguinali, sperdendosi nel tessuto connettivo sottocutaneo corrispondente.

DARWIN, spina di

(O tubercolo di Darwin), piccola sporgenza del margine libero del padiglione auricolare dell’uomo, al limite tra la parte superiore e la parte discendente dell’elice: è dovuta a un ispessimento della cartilagine dell’elice e corrisponde all’apice dell’orecchio degli altri primati. La spina di D. può costituire il punto di partenza di processi infiammatori della cartilagine dell’elice e della cute che la ricopre (condrodermatite), che si manifestano con la comparsa di un nodulo arrossato e molto doloroso.

DATTILOFASIA

Tecnica usata dai sordomuti per esprimere, mediante segni convenzionali delle dita, delle mani o delle braccia, lettere o sillabe è più comunemente nota come alfabeto muto. Le moderne tecniche audiologiche e protesiche oggi consentono spesso il riconoscimento e l’amplificazione di residui uditivi anche modesti, spesso presenti anche nei casi più gravi di ipoacusia quindi l’insegnamento della lettura labiale e un’adeguata educazione foniatrica consentono un buon recupero sociale dei sordomuti senza che sia necessario far ricorso alla d.

DATTILOSCOPIA

Esame e studio delle linee o creste epidermiche presenti sulla cute dei polpastrelli delle dita. Le creste sono in rapporto con le papille vascolonervose del derma sottostante, ma non vi corrispondono esattamente: in realtà la parte rilevata della cresta epidermica corrisponde al solco limitante due creste dermiche adiacenti.

I disegni formati dalle creste epidermiche e dai solchi, detti anche dermatoglifi, seguono uno schema di massima eguale in tutti gli individui. Ogni impronta è costituita da tre gruppi di segni, o sistemi:-basilare, formato dalle linee trasversali parallele alla piega interdigitale -marginale, formato dalle linee arcuate che seguono il margine esterno del polpastrello -centrale, costituito dal vortice o ansa, al centro.Entro questo schema di massima, il disegno varia da individuo a individuo, in un numero di combinazioni infinito, senza ripetersi mai. Da ciò l’interesse giudiziario di questo carattere, che permette di riconoscere l’identità di una persona. Il sistema dattiloscopico permette di identificare, mediante opportuni reattivi, impronte lasciate su oggetti.

DAUNOMICINA

Antibiotico dotato di attività citotossica e antimitotica, usato come antineoplastico nel trattamento della leucemia acuta. Tra gli effetti collaterali vi è l’azione depressiva sul midollo osseo.

DAY HOSPITAL

Particolare forma di assistenza ospedaliera che prevede un ricovero giornaliero seguito da una singola permanenza notturna se necessario.In regime di d. hospital si possono eseguire esami preoperatori, esami strumentali poco invasivi, cicli di terapie farmacologiche in pazienti cronici ecc.Oggi è una formula molto utilizzata anche per eseguire piccoli interventi chirurgici (day surgery) che di solito non richiedono anestesie generali o comunque di lunga durata, come le artroscopie, il gruppo delle endoscopie diagnostiche e piccolo operative gastroenterologiche (es.: gastroduodenodigiunoscopia, pancolonscopia) e ginecologiche (laparoscopie diagnostiche, salpingocromoscopie, isteroscopie diagnostiche e piccolo operative), interventi dermatologici o di chirurgia plastica ed estetica, ecc.

L’impiego di tale approccio organizzativo, molto favorito dalle organizzazioni sanitarie e dalle aziende ospedaliere in quanto consente un migliore utilizzo dei posti letto e la conseguente riduzione dei costi, richiede una accurata selezione delle procedure e dei pazienti da operare. È infatti essenziale che i pazienti e gli interventi vengano selezionati al fine di ridurre al minimo possibile le complicanze e le necessità di conversione del ricovero al regime ordinario. L’organizzazione di un servizio di day surgery richiede un lavoro di equipe che vede coinvolti i chirurghi e gli anestesisti ma anche il personale infermieristico e di assistenza, visto che la dimissione precoce prevede la possibilità per il paziente di usufruire di una disponibilità – telefonica e personale – quanto più efficace possibile nelle ore immediatamente successive alla dimissione.

DCI

Sigla di Denominazione Comune Internazionale, che distingue le varie molecole di sintesi dotate di proprietà farmacologiche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha accettato il compito di catalogare tutte le DCI, che sono ormai oltre 5000, e che vengono definite anche con la sigla INN (International Nonproprietary Names, Nomi internazionali non commerciali).

DE LA PEYRONIE, malattia di

(O Induratio Penis Plastica IPP) deriva dal nome del chirurgo che la scoprì nel 1743 è una malattia del pene la cui causa non è ancora ben nota. Si caratterizza con una fibrosi circoscritta della tunica albuginea, la guaina scarsamente vascolarizzata che riveste i corpi cavernosi del pene. L’area di fibrosi, definita genericamente placca, causa una limitazione dell’elasticità durante l’erezione della porzione di pene ove è localizzata e determina una curvatura verso il versante malato. Il riscontro frequentissimo delle placche sulla linea mediana del pene nella regione ventrale o dorsale di esso ha fatto pensare che alla base della malattia vi siano traumi o microtraumi ripetuti nel tempo a carico del pene eretto che determinano lesioni, anche minime, di quell’area della tunica albuginea che si trova a livello del setto di separazione tra i due corpi cavernosi (setto intercavernoso). I corpi cavernosi presentano un rivestimento formato da fibre circolari e fibre a decorso longitudinale che li rivestono consensualmente. Sulla linea centrale queste fibre si incontrano nel setto intercavernoso. Un trauma a pene eretto può scollare questi due strati di fibre lacerandoli. A queste lacerazioni, uniche o ripetute, conseguono i normali processi riparativi dell’organismo che all’inizio producono fenomeni di infiammazione locale e, nel tempo, probabilmente in individui predisposti,la formazione di una cicatrice. Questa costituisce la tipica placca della malattia di De la P. Questi processi cicatriziali, a causa della deposizione di calcio, si stabilizzano nel tempo formando placche calcifiche immodificabili, tipiche delle IPP stabilizzate. Con una certa frequenza la malattia si accompagna al diabete, alla gotta, all’ipertensione, all’aterosclerosi ed è spesso concomitante con altre patologie del tessuto connettivo. La malattia colpisce più spesso gli uomini tra i 50 e i 65 anni, molto più raramente soggetti giovani o anziani.

Sintomi
La malattia, nella metà dei casi, ha esordio improvviso, e nell’altra metà dei casi, esordio insidioso e lento nel tempo. Alcuni pazienti ricordano il trauma penieno accompagnato da vivo dolore durato da pochi minuti a qualche giorno, intercorso circa 1-4 settimane prima dell’insorgenza della curvatura. Gli altri non ricordano invece un evento traumatico preciso. Nel primo caso è possibile che il trauma abbia provocato una lacerazione sufficientemente importante da essere corredata da dolore e impotenza funzionale più o meno lunga, nel secondo caso probabilmente una serie di ripetuti microtraumi sono alla base della malattia.La malattia conclamata si manifesta con una fase acuta e una fase di stabilizzazione. Nella fase acuta il paziente lamenta dolore spontaneo o all’erezione e curvatura del pene in erezione e, meno frequentemente, anche in stato di flaccidità. Dopo circa 12-18 mesi, si verifica la fase di stabilizzazione in cui i processi infiammatori sono risolti e residua una placca calcifica inattaccabile dalla terapia medica. È importante trattare la patologia nella fase acuta, quella in cui l’infiammazione e i processi cicatriziali sono ancora in atto, per ridurre, con la corretta terapia, la formazione della cicatrice e il deposito dei sali di calcio. Alla malattia può associarsi un deficit erettile a causa del dolore e della curvatura, con il conseguente dolore alla penetrazione per entrambi i partner. Questo provoca un importante effetto psicologico negativo sull’attività sessuale, perché le modificazioni dei tessuti penieni coincidono con quelle che concorrono al determinismo delle disfunzioni erettili organiche.

Diagnosi
La diagnosi di IPP si fa con 4 semplici modalità:1) accurata raccolta della storia clinica del paziente (modalità e tempi di insorgenza, sintomi, manifestazioni associate, vita sessuale) 2) autofotografie, in almeno due proiezioni, che il paziente deve eseguire a pene eretto che permettono di calcolare l’esatto angolo di curvatura del pene 3) esame obiettivo che eseguito da mani esperte permette valutazioni estremamente precise dello stato di malattia 4) ecografia peniena a pene flaccido e in erezione farmacoindotta.

Terapia
Attualmente la terapia non chirurgica comprende trattamenti suddivisibili in 3 categorie:1) terapia farmacologica generale 2) terapia farmacologica locale 3) terapia con mezzi fisici.Queste terapie vengono impiegate nella fase iniziale della malattia (fase infiammatoria) per attenuare o bloccare quei fenomeni che portano alla formazione della placca.

È segnalata una regressione spontanea della malattia, con percentuali variabili dal 13 al 50 %, che rende ancora più difficile una valutazione scientifica sulla reale efficacia dei vari trattamenti proposti.

  1. Per quanto riguarda l’uso di farmaci da assumersi per bocca o per via iniettiva, non c’è un protocollo di trattamento standard. Il farmaco attualmente più utilizzato è la Vitamina E che attraverso un’azione eutrofizzante ed antifibroblastica, agisce positivamente sul rinnovamento cellulare ma la sua efficacia non è del tutto certa.
  2. Le vie di somministrazione per via locale sono due, la ionoforesi, con la quale ci si affida alla penetrazione del farmaco per via transdermica, attraverso l’uso di una corrente elettrica e l’infiltrazione tramite siringa peri o intraplacca. Come per la terapia farmacologica generale la terapia medica locale è considerata inutile quando la malattia si è stabilizzata e la placca presenta dei fenomeni di calcificazione, specie per placche particolarmente estese e deformanti. Anche in questo caso i farmaci utilizzati sono stati molti attualmente i più utilizzati, da soli o in associazione, sono il Verapamil e Cortisonici. Si utilizza anche la collagenasi che è un enzima che attacca il collagene, uno dei principali componenti delle placche di Peyronie.
  3. Con il termine di terapie con mezzi fisici si identificano quei trattamenti che utilizzano ultrasuoni o energie laser. Sono forme di trattamento ben tollerate, senza effetti collaterali, ma che non si sono dimostrate più efficaci rispetto ai trattamenti già illustrati.T. chirurgicaÈ bene precisarlo, è da consigliare solo nei casi più gravi che rendono veramente difficile avere normali rapporti sessuali e nei casi di malattia stabilizzata (da almeno sei mesi). Importante è valutare quando il paziente “non accetta” l’incurvamento del pene.Gli interventi di plastica ricostruttiva possono essere raggruppati in due tipi: - Rimozione di tessuto sano dalla parte opposta alla curvatura. Sono interventi di raddrizzamento senza escissione della placca. Gli interventi di semplice raddrizzamento, che possono essere anche eseguiti in anestesia locale, prevedono la creazione di una trazione controlaterale alla retrazione esercitata dalla placca e determinano un accorciamento del lato più lungo del corpo cavernoso (lato convesso) in modo da renderlo simmetrico al controlaterale. Effetto collaterale: accorciamento del pene.- Rimozione della placca e sostituzione con una “pezza” di pelle. Effetto collaterale: possibile parziale perdita della funzione erettile.Gli interventi prevedono 24-48h di ricovero.Qualora sia presente un deficit erettile irreversibile, il trattamento chirurgico prevede il posizionamento di una protesi peniena.
DE TONI-CAFFEY, SINDROME DI

Forma patologica a probabile origine familiare che coinvolge lo scheletro e i tessuti adiacenti del bambino. È caratterizzata da febbre, irritabilità, edema dei tessuti molli e da neoformazione di tessuto osseo nella parte centrale di diverse ossa con ispessimento delle corticali. La mandibola è l’osso più colpito, meno frequentemente la clavicola, la tibia e l’ulna.La sindrome è di solito diagnosticata nei primi sei mesi di vita.Non è nota la causa della malattia, che comunque si risolve spontaneamente in breve tempo.

DEAMBULAZIONE

Successione ritmica di movimenti degli arti inferiori accompagnati a movimenti di altri settori corporei, eseguiti per produrre uno spostamento lineare del corpo.Essa è la risultante di un complesso ciclico di atti elementari consistenti nell’alternarsi di movimenti flessori ed estensori dei diversi segmenti che compongono l’arto inferiore, incernierati nelle articolazioni dell’anca, del ginocchio, della caviglia e delle dita del piede.Questa successione di movimenti è scomponibile in due fasi:

- la fase portante, caratterizzata dall’appoggio al suolo di un arto sul quale grava il peso del corpo;

- la fase oscillante, caratterizzata dall’arto controlaterale arretrato rispetto al precedente e sgravato del peso corporeo. 

Da questa posizione inizia lo spostamento, dall’indietro in avanti, del secondo arto, che viene portato davanti al primo fino ad appoggiarsi al suolo a una distanza variabile. Con tale movimento il centro di gravità del corpo si sposta in avanti e grava sul nuovo arto. Scambiatisi in tal modo i ruoli, il ciclo deambulatorio riprende. Tutti questi movimenti sono accompagnati da una corrispondente serie di movimenti ritmici del tronco, del capo e degli arti superiori, aventi lo scopo di mantenere l’equilibrio dinamico del corpo. La d. quindi richiede l’intervento complesso di numerosi gruppi muscolari, agonisti e antagonisti, anche non direttamente interessati nel far muovere gli arti inferiori: la coordinazione tra le diverse parti interessate e l’aggiustamento continuo della postura e del tono muscolare, in modo da fornire una base stabile ai movimenti, dipendono dall’attività del cervelletto e delle strutture del sistema extrapiramidale. Il meccanismo fisiologico della d. può andare incontro a disturbi che conseguono ad alterazioni di una o più strutture implicate nella sua esecuzione.Si possono quindi verificare disturbi della d. quali effetti di lesioni di strutture articolari, ossee, muscolari e nervose. Le alterazioni più caratteristiche sono tuttavia determinate da lesioni del sistema nervoso centrale o periferico esse possono infatti conferire alla d. caratteri inquadrabili in schemi peculiari.Si distinguono così vari tipi di d.: anserina, atassica, cerebellare, parkinsoniana, del piede cadente, spastica e isterica.

  • D. anserina. È tipica delle malattie che interessano i muscoli del cingolo pelvico. In questi casi i muscoli affetti non possono svolgere regolarmente la funzione di mantenere la stazione eretta, per cui a ogni passo tutto il corpo subisce un’oscillazione ritmica da un lato all’altro, con carattere dondolante, quale si verifica nelle oche.
  • D. atassica. Si osserva in pazienti affetti dalla tabe dorsale, che è una manifestazione della sifilide terziaria.Ad ogni passo l’arto è sollevato più di quanto non sia necessario e viene poi lasciato cadere violentemente al suolo.Durante la marcia tutto il corpo presenta forti oscillazioni che sembrano compromettere la stabilità del paziente a occhi chiusi il paziente stesso cade facilmente.
  • D. cerebellare. È detta anche andatura da ubriaco, perché il paziente affetto da malattie del cervelletto perde la capacità di dosare armoniosamente i movimenti e assume un’andatura incerta, zigzagante, a gambe divaricate, col busto inclinato indietro e con tendenza a cadere lateralmente a ogni passo.
  • D. parkinsoniana. È presente nei pazienti affetti da morbo di Parkinson ed è caratterizzata da una successione di passi piccoli e rapidi, eseguiti con rigidità, col busto portato in avanti a tal punto che il malato tende a cadere.
  • D. del piede cadente. È caratteristica delle lesioni paralitiche dei muscoli estensori del piede. Non potendo sollevare la punta del piede che striscerebbe per terra, il paziente solleva a ogni passo il ginocchio in modo esagerato come se dovesse superare un ostacolo, assumendo quel carattere dell’andatura che viene detto steppage.
  • D. spastica. È osservabile nel paziente affetto da paralisi in fase spastica. La rigidità dell’arto in estensione, che consegue alla malattia, fa sì che il paziente porti l’arto molto in avanti facendogli compiere un movimento ad arco verso l’esterno (andatura falciante), appoggiando poi il piede sul bordo esterno. Nella diplegia spastica congenita, o morbo di Little, il paziente presenta ambedue gli arti irrigiditi, bloccati in estensione e in adduzione, con la punta del piede estesa. In tal modo l’andatura si fa estremamente difficile perché gli arti, portati in avanti con movimenti supplementari e artificiosi, si incrociano ostacolandosi a vicenda.
  • D. isterica. Non essendo legata a una vera e propria malattia degli organi di movimento o delle vie nervose, si presenta come un’imitazione incompleta e irregolare delle diverse andature sopra descritte, manifestandosi il più spesso con il semplice trascinamento passivo dell’arto che si vuole dimostrare ammalato.
DEANAFILASSI

Condizione in cui si trova un individuo sensibilizzato, dopo che è stato messo ripetutamente a contatto con piccole dosi (iniettate nel derma) dell’antigene corrispondente. In tal caso l’antigene lega l’anticorpo in modo graduale e la successiva somministrazione di antigene anche in dosi letali non provoca alcuna reazione anafilattica.In tale condizione si trova anche l’organismo che abbia superato uno shock anafilattico per molto tempo infatti resta insensibile all’inoculazione dell’antigene che ha in precedenza scatenato lo shock.

DEBRÉ-FANCONI, sindrome di

Forma patologica caratterizzata da disturbi dell’accrescimento con rachitismo resistente alla vitamina D, alterazioni scheletriche, perdita di glucosio, di aminoacidi e di fosfati con le urine.

DECALCIFICAZIONE

Processo patologico che consiste nella perdita di sali di calcio da parte del tessuto osseo. Si può manifestare nel corso di diverse affezioni, sia interessanti l’intero organismo (per es. malattie endocrine quali l’iperparatiroidismo o il morbo di Cushing), sia limitate a un distretto scheletrico (traumi, fratture, disturbi di circolo, processi infiammatori, tumori primitivi o secondari) nel primo caso la d. interessa in modo diffuso tutto lo scheletro. La d. si osserva spesso come conseguenza di lunghe immobilizzazioni in apparecchi gessati per fratture o altri processi patologici, particolarmente agli arti inferiori, ove il carico agisce da stimolo alla deposizione di calcio nell’osso.Come conseguenza della d. le ossa interessate assumono un aspetto spugnoso e diventano fragili, andando incontro a fratture anche in seguito a traumi di lieve entità. La perdita di calcio dell’osso può essere seguita in alcuni casi dalla comparsa di focolai di calcificazione nei tessuti molli extrascheletrici.Per analogia, si parla di d. anche nei casi in cui il tessuto osseo risulta povero di sali di calcio per scarsa deposizione degli stessi (per es. in casi di osteomalacia o di rachitismo).La terapia, diretta soprattutto contro la malattia principale, si giova di diete ricche di calcio, di integratori per via orale e di alendronati, farmaci che stimolano la deposizione di osso.

DECEREBRAZIONE

Separazione dei centri nervosi cerebrali dai centri posti inferiormente. Tale condizione viene ottenuta sperimentalmente in cani, gatti, scimmie, per lo studio dell’attività del midollo spinale, del bulbo, del cervelletto e del ponte. Si realizza mediante taglio all’altezza della lamina quadrigemina talvolta viene asportato il cervello. L’animale decerebrato perde la capacità di movimenti volontari e acquista una rigidità dovuta a maggior tono dei muscoli estensori, riesce a mantenere la stazione eretta, ma in maniera instabile. L’aumento del tono dei muscoli estensori è interpretato come conseguenza del venir meno di stimoli inibitori provenienti dai centri superiori, nei riguardi dei riflessi posturali spinali, con facilitazione della reazione di raddrizzamento. Nell’uomo la rigidità della d. è caratterizzata da una estensione con rotazione interna sia degli arti superiori sia degli arti inferiori ed è parzialmente riprodotta in caso di trauma cranico con segni di lesione del tronco encefalico. Nell’esame neurologico obiettivo in un paziente in coma, la comparsa di una risposta in decerebrazione in risposta ad uno stimolo doloroso, indica una disfunzione cerebrale grave.

DECIBEL

Unità di misura del livello dell’intensità energetica del suono. È pari alla decima parte del bel.

DECIDUA

(O caduca), denominazione con cui si indica la mucosa dell’utero durante la gravidanza, mucosa la cui struttura si è modificata in modo particolare per poter consentire l’impianto dell’uovo fecondato.La d., che risulta molto più spessa della mucosa uterina normale, è composta da uno strato superficiale a struttura compatta nel quale il tessuto connettivo interstiziale è costituito in gran parte da grosse cellule rotondeggianti o poliedriche, dette cellule deciduali, e da uno strato profondo, detto anche strato spugnoso, formato essenzialmente dalla porzione profonda delle ghiandole uterine, irregolarmente dilatate.Una volta avvenuto l’annidamento dell’uovo e fino al 4° mese di gravidanza si possono distinguere nella d. tre parti: la d. capsulare, che copre e incapsula la superficie dell’uovo la d. parietale, che riveste la porzione rimanente della cavità uterina, e la d. basale, che comprende la porzione sottostante la zona di impianto dell’uovo: quest’ultima, da cui dipende la nutrizione dell’embrione, subisce poi ulteriori modificazioni e partecipa alla formazione della placenta. Con il progredire della gravidanza, poiché l’embrione viene a occupare l’intera cavità uterina, la d. capsulare viene ad aderire a quella parietale e si fonde con essa formando un’unica membrana.Dopo il parto, con il secondamento, la d. si distacca e viene espulsa insieme con la placenta e le membrane che rivestono il feto (da qui l’altro nome di caduca).

DECIDUI, denti

Sono i cosiddetti denti da latte, chiamati più esattamente decidui perché sono destinati a cadere, per lasciare il posto a quelli che poi formeranno la dentatura definitiva dell’adulto, cioè ai denti permanenti.

DECLORAZIONE

Processo che permette di estrarre dalle acque il cloro o i suoi composti ivi presenti.La d. trova particolare applicazione negli impianti di potabilizzazione delle acque a valle del trattamento di disinfezione eseguito mediante clorazione, allo scopo di liberare le acque potabili dal cloro residuo e dai suoi composti (soprattutto clorofenoli) che conferiscono un sapore e un odore sgradevoli.

DECOMPRESSIONE

Termine del linguaggio chirurgico indicante vari tipi di interventi che hanno lo scopo di diminuire la pressione alla quale, in condizioni patologiche, sono sottoposte talune strutture racchiuse in un involucro inestensibile o compresse da formazioni rigide. Interventi di questo tipo vengono attuati per esempio nel caso di processi patologici endocranici (ematomi o tumori) o endorachidei, o nel caso di gravi traumi degli arti tali da comportare una eccessiva tumefazione dei muscoli. In questo ultimo caso l’edema o l’emorragia nel compartimento osseofasciale della gamba, dell’anca o dell’avambraccio possono causare un marcato aumento della pressione distrettuale dei tessuti. (sindrome da ipertensione compartimentale).

La decompressione compartimentale deve essere attuata il prima possibile, attraverso un’incisione che liberi il contenuto intrappolato nel compartimento coinvolto (fasciotomia decompressiva). Il termine d. viene impiegato anche in medicina subacquea, per indicare la condizione cui si trova sottoposto l’organismo nel suo insieme durante la risalita dopo una immersione. Se la risalita non avviene seguendo determinate regole si possono manifestare gravi lesioni, dovute essenzialmente alla brusca espansione dei gas contenuti nelle cavità dell’organismo e alla loro rapida liberazione dal sangue e dai tessuti (barotraumatismo), lesioni la cui gravità dipende dalla profondità raggiunta, dalla durata dell’immersione, e soprattutto dalla velocità di risalita.

Quando un soggetto respira gas sotto pressione, i componenti dell’aria si sciolgono nel sangue e nei tessuti in relazione alla loro pressione parziale. Durante la fase di risalita subacquea (decompressione) se il soggetto per varie ragioni risale verso la superficie troppo rapidamente, senza rispettare l’indispensabile gradualità, si può avere la rapida liberazione nel sangue e nei tessuti di bolle di azoto con conseguente embolismo diffuso (malattia dei cassoni o embolismo gassoso). Oltre a tutte le misure rianimatorie del caso, si rende anche necessario attuare l’immediato trattamento del paziente in apposite strutture chiamate camere iperbariche o di decompressione che riportano il paziente alle pressioni ambientali in cui si trovava prima della risalita (ricompressione). Così facendo si può ridurre il volume delle bolle gassose ed eliminare i sintomi accusati dal paziente, procedendo successivamente alla progressiva e graduale d. secondo le opportune modalità.

DECONTAMINAZIONE

Eliminazione o riduzione della contaminazione, di solito quella radioattiva, mediante pulizia delle superfici degli oggetti o dei locali contaminati, oppure mediante la separazione chimica delle sostanze radioattive che contaminano un prodotto.

DECORTICAZIONE

Intervento chirurgico che si attua quando un viscere rivestito da una membrana sierosa abbia contratto con essa aderenze patologiche che ne limitino la normale attività.Ciò avviene a carico del cuore o del polmone, soprattutto quale esito di infiammazioni più o meno gravi che abbiano determinato una raccolta di liquido reattivo entro la cavità sierosa (per es. pericarditi, empiemi pleurici, tubercolosi polmonare).L’intervento ha lo scopo di scollare le aderenze e asportare le parti di sierosa ispessite e rigide, allo scopo di ripristinare le possibilità di espansione e di movimento del viscere interessato.

DECUBITO

Atteggiamento del corpo che giace su un piano orizzontale. Nell’individuo sano varia secondo l’età (il bambino assume di solito un atteggiamento ventrale, l’adulto dorsale) e le abitudini: in tal caso non è significativo e si dice indifferente.Si distingue anche un d. preferito e un d. obbligato: quest’ultimo è sempre legato a condizioni patologiche e imposto dalle evenienze della malattia.Malattie respiratorie con fame d’aria obbligano a un d. ortopnoico, ossia seduto o semiseduto la pleurite a un d. laterale la meningite a un d. (o meglio posizione) a cane di fucile, con le ginocchia ripiegate verso il mento può essere prono nel caso di coliche addominali o di violenti dolori da ulcere gastriche o duodenali in cui il paziente comprimendo l’addome cerca di lenire il dolore. Infine si ha un d. passivo nei pazienti in stato soporoso o comatoso che giacciono in totale abbandono fisico e psichico.

DECUSSAZIONE

Termine impiegato in anatomia per indicare il passaggio di fibre o di interi fasci nervosi da una metà all’altra del sistema nervoso centrale (per es. dei fasci nervosi piramidali a livello del bulbo, di parte delle fibre ottiche a livello del chiasma ecc.). Tale condizione anatomica rende ragione di come processi patologici localizzati in una parte dell’encefalo possano determinare disturbi nella metà opposta del corpo.

DEFECAZIONE

(O evacuazione), atto con cui il contenuto intestinale (feci) viene espulso attraverso l’orifizio anale. Lo stimolo alla d. è dato dalla distensione del retto, esercitata dalle feci, che provoca in via riflessa la contrazione della sua muscolatura. La d., pur essendo un atto riflesso, può essere inibita dalla volontà attraverso la contrazione del muscolo sfintere esterno, o facilitata dal rilasciamento dello stesso muscolo. Quando il retto viene disteso, lo sfintere interno si rilascia essendo un muscolo involontario. Anche la distensione dello stomaco causata dal cibo provoca contrazioni del retto (riflesso gastrocolico) e bisogno di defecare. Per tale ragione di solito i bambini defecano subito dopo i pasti. Nell’adulto, l’abitudine e vari fattori individuali concorrono a determinare il momento della d., che spesso risulta condizionata da particolari situazioni ambientali.

La frequenza della d. è variabile: in condizioni normali vi sono individui che defecano una sola volta al giorno, altri due o tre volte, altri ancora ogni due o tre giorni, senza che questo fatto rappresenti una malattia. La d. frequente con emissione di feci semiformate o liquide viene definita diarrea e in genere costituisce un sintomo di molte malattie del tubo digerente, ma può manifestarsi anche in condizioni patologiche interessanti l’organismo in generale, o come espressione di disturbi puramente psicologici. Quando la frequenza delle defecazioni è ridotta e soprattutto la d. avviene con difficoltà, si parla di stipsi o stitichezza o costipazione. Anche questa condizione può essere la manifestazione di diversi processi patologici intestinali, o di disturbi generali dell’organismo più spesso tuttavia essa costituisce un disturbo funzionale della motilità intestinale a volte si instaura in conseguenza dell’abitudine a rimandare la d. quando se ne avverta lo stimolo in questi casi si parla di dischezia. La stipsi può costituire anche un meccanismo riflesso di difesa in tutti i casi in cui, a causa di processi patologici interessanti l’ultimo tratto dell’intestino retto (per es. emorroidi, ragadi, fistole anali ecc.), l’atto della d. diventi doloroso.

DEFERENTE, dotto

Tratto delle vie genitali maschili che fa seguito all’epididimo e serve al passaggio dello sperma. Dalla sua origine, presso la coda dell’epididimo, si dirige verso l’alto partecipando alla costituzione del funicolo spermatico insieme con i vasi e i nervi del testicolo percorre poi il canale inguinale ed entra nella cavità addominale: qui esso descrive una curva a concavità mediale, costeggia la faccia laterale della vescica urinaria e ne raggiunge la faccia posteriore termina in corrispondenza della faccia posteriore della prostata ove, unitosi con l’apice della vescicola seminale, prende il nome di dotto eiaculatore.

Il dotto d. ha una lunghezza totale di 40 cm ca. e un diametro di 1-2 mm, che nella porzione terminale, detta ampolla del deferente, presenta delle dilatazioni. La sua parete è costituita da uno spesso strato di tessuto muscolare liscio, rivestito esternamente da connettivo e internamente da mucosa con epitelio cilindrico provvisto di ghiandole. Il dotto d. può essere interessato da processi patologici quali anomalie malformative, processi infiammatori (deferentiti), calcolosi, tumori, ai quali può conseguire l’obliterazione del lume del dotto stesso che se bilaterale comporta la sterilità.

DEFERENTITE

Processo infiammatorio che interessa il dotto deferente.Può essere acuto o cronico, e di solito si produce per diffusione di processi infiammatori insorti inizialmente nella parete posteriore dell’uretra o nell’epididimo.La patologia infettiva più frequentemente interessata è il gonococco, ma anche lo stafilococco e il colibacillo (forme suppurative acute), ed il bacillo tubercolare (forme croniche). La d. è per lo più secondaria a una preesistente infezione dell’uretra posteriore e porta spesso al coinvolgimento dell’epididimo. Come conseguenza di una d. si possono stabilire occlusioni cicatriziali del condotto, così che risulta impedito il passaggio degli spermatozoi: se l’affezione è bilaterale si può avere quindi la sterilità.Talora l’asportazione chirurgica di un adenoma prostatico può predisporre alla d.

Sintomi
La sintomatologia è dominata, particolarmente nelle forme acute, dal dolore e dalla febbre nelle forme croniche i sintomi sono invece molto più attenuati.Nell’infezione da piogeni il dotto deferente risulta ingrossato e indurito per l’edema con un’essudazione purulenta nel suo lume.Nell’infezione tubercolare è ingrossato, indurito e a volte deformato dalla presenza di formazioni nodulari.

Terapia
Si basa sull’impiego di antibiotici, di antinfiammatori, di disinfettanti urinari.Sono indicate, a scopo preventivo, legatura e sezione del dotto deferente per impedire la diffusione all’epididimo di affezioni uretrali o vescicali.

DEFERENZIALE, arteria

Tratto dell’arteria spermatica interna che, discendendo dall’aorta lungo il margine del muscolo psoas, penetra nel tragitto inguinale qui entra a far parte del funicolo spermatico accollata al dotto deferente dal quale prende il nome. Uscita dal tragitto inguinale penetra nello scroto, accompagnata agli elementi del funicolo spermatico, e si distribuisce al testicolo e all’epididimo.

DEFERVESCENZA

Termine che indica la fase di regressione e di scomparsa di una febbre. Essa può avvenire più o meno lentamente (d. per lisi) oppure bruscamente (d. per crisi).

DEFIBRILLATORE

Apparecchio con cui si effettua la defibrillazione (v.).Attualmente sono largamente usati i Defibrillatori Semiautomatici Esterni (DAE) e i defibrillatori elettrici particolarmente indicati nei gravi disturbi del ritmo quali il flutter ventricolare e la fibrillazione ventricolare.

DEFIBRILLAZIONE

Terapia cardiologica di urgenza che viene praticata esclusivamente a pazienti privi di coscienza, respiro e polso (stato di arresto cardiorespiratorio), per interrompere gravi aritmie cardiache il cui protrarsi è incompatibile con la vita.I ritmi che più frequentemente causano arresto cardiocircolatorio sono:

  • la fibrillazione Ventricolare (FV : alterazione del ritmo cardiaco caratterizzata da caos elettrico con perdita di funzione di pompa del cuore e conseguente assenza clinica di polso)
  • la Tachicardia Ventricolare (TV: successione talmente rapida di impulsi elettrici da rendere le contrazioni cardiache inefficaci con conseguente assenza di circolo e polsi non apprezzabili spesso evolve in FV).

In entrambe le aritmie l’unico trattamento risolutivo “salvavita” è il ricorso alla d.: la probabilità di successo dell’uso di defibrillatori (manuali o semiautomatici) diminuisce rapidamente col passare del tempo ideale sarebbe riuscire ad intervenire entro 2-3 minuti dallo stabilirsi dell’aritmia. La d. consiste nell’erogazione di scariche di corrente elettrica continua attraverso elettrodi applicati alla superficie anteriore del torace collegati ad un apparecchio detto defibrillatore: i picchi di corrente attraversano, in un breve intervallo di tempo (4/20 di msec), una porzione sufficiente di massa miocardia (massa critica) rendendo il cuore refrattario all’onda di attivazione della aritmia ventricolare che viene pertanto interrotta. Allo stato di refrattarietà provocato dallo shock elettrico normalmente segue il ripristino del segnapassi naturale (nodo del seno) che ristabilisce il ritmo cardiaco e l’efficacia delle contrazioni cardiache.

Fattori che possono influenzare la soglia di d. e quindi l’efficacia dello shock elettrico sono: lo stato metabolico del miocardio, eventuali patologie cardiache, la temperatura corporea, la presenza in circolo di farmaci.Particolare attenzione va posta al paziente in ipotermia grave o bagnato.Attualmente sono largamente usati i Defibrillatori Semiautomatici Esterni (DAE) che incorporano un sistema di analisi del ritmo cardiaco in grado di indicare se la d. in presenza di quel particolare ritmo può essere efficace: in caso affermativo, il dispositivo carica i propri condensatori e, dopo conferma ed attivazione da parte dell’operatore, erogano lo shock elettrico.I DAE posseggono alta sensibilità e specificità per cui non vengono tratti in inganno dai movimenti del paziente (es. convulsioni o respirazione agonica..) il loro uso va riservato a bambini adulti (> 8 anni) o di peso superiore a 25 Kg.

DEFIBRINAZIONE

Tecnica utilizzata quando, per motivi particolari di studio, si voglia avere a disposizione sangue privo di fibrina, reso pertanto incoagulabile. La stessa tecnica serve anche allorché si voglia raccogliere dal sangue la fibrina per studiarne la quantità e le caratteristiche, o per utilizzarla come substrato di reazioni enzimatiche (per es. reazioni di proteolisi). La tecnica è assai semplice e si ottiene agitando delicatamente il sangue appena prelevato, entro un recipiente che contenga palline di vetro: su queste, a mano a mano che si forma, viene a depositarsi la fibrina, che può in tal modo essere allontanata.

DEFICIENZA MENTALE

(O frenastenia o oligofrenia), termine che indica uno stato anormale caratterizzato da un difetto permanente dell’intelligenza dovuto a cause ereditarie, congenite, prenatali e postnatali.L’anormalità psichica di un ascendente può essere la causa remota di una insufficienza mentale ereditaria se poi i genitori sono consanguinei, le tare ereditarie si sommano o si accentuano. Per fattori congeniti si intendono invece le conseguenze di una gravidanza anormale, quale si verifica, per esempio, negli stati di alcolismo, di intossicazione, o per effetto di trattamento con radio.Aggiungiamo a queste cause congenite le lesioni arrecate accidentalmente al cervello durante il parto. Tra le cause postnatali vi sono le malattie del sistema nervoso centrale, come l’encefalite e i traumi che possono colpire il cervello anche i traumi psichici prodotti da un ambiente sfavorevole o la mancanza di cure genitoriali sono causa di molti ritardi nello sviluppo. La classificazione della d. mentale è piuttosto labile perché valutabile solo in base ai risultati di test applicati per misurare il quoziente di intelligenza (Q.I.).

Più modernamente oggi si parla di ritardo mentale: è un disturbo eterogeneo caratterizzato da una funzionalità intellettiva inferiore alla norma e da compromissione delle capacità adattative, definito dalla classificazione internazionale dei disturbi psichici DSM-IV come funzionamento intellettuale generale significativamente al di sotto della media: la funzione intellettiva generale è misurata da test standard di intelligenza (Wechsler Adult Intelligence Scale o Wechsler Intelligence Scale for Children–Revised) all’interno dei quali si intende per sotto la media un quoziente intellettivo (QI) di circa 70 o meno. Il DSM-IV presenta diversi tipi di ritardo mentale, classificati a seconda del grado di compromissione intellettiva:- ritardo mentale lieve (storicamente denominato anche subnormalità): livello di QI da 50-55 a circa 70 - ritardo mentale moderato (noto anche come debolezza mentale o debilità): livello di QI da 35-40 a 50-55 - ritardo mentale grave (storicamente denominato imbecillità): livello di QI da 20-25 a 35-40 - ritardo mentale gravissimo (storicamente noto come idiozia): livello di QI al di sotto di 20 o 25 - ritardo mentale con gravità non specificata: quando vi sia un forte motivo di sospettare un ritardo mentale, ma l’intelligenza del soggetto non possa essere valutata con i test standardizzati, ad esempio nei bambini molto piccoli.

DEFLORAZIONE

Rottura dell’imene generalmente in occasione del primo rapporto sessuale completo è accompagnata da sensazione di dolore e da modesta emorragia. In seguito l’imene cicatrizza e non ne rimangono che piccole escrescenze (caruncole mirtiformi) separate da incisure. La constatazione della d. ha rilevanza medico legale in casi di violenza carnale, di avvenuta o non avvenuta consumazione del matrimonio ecc. A tal fine deve esser tenuto presente che l’imene in un notevole numero di casi (imene compiacente) rimane integro anche dopo ripetuti coiti.

DEFORMITA'

(O deformazione), alterazione permanente della forma del corpo o di una sua parte. Tale condizione può essere la conseguenza di processi patologici diversi, particolarmente di quelli che interessano l’apparato locomotore: tali per esempio traumi, rachitismo, osteomalacia, malattie osteoarticolari di natura infiammatoria o degenerativa. Anche disturbi funzionali quali ipotonie o paralisi di gruppi muscolari, o atteggiamenti viziati, soprattutto se agiscono durante l’epoca di accrescimento e sviluppo dell’organismo, possono condizionare modificazioni permanenti nella forma dello scheletro.

Un numero notevole di d. sono congenite, cioè presenti già al momento della nascita: queste forme sono più correttamente definite malformazioni e possono essere la conseguenza di malattie sofferte durante la vita intrauterina dal feto, che abbiano compromesso il regolare sviluppo di parti del suo organismo, oppure possono esprimere vere e proprie anomalie del patrimonio genetico, trasmissibili quindi come caratteri ereditari.

DEGENERATIVA, reazione

In fisiologia sperimentale, scomparsa o diminuzione dell’eccitabilità faradica di un muscolo, con aumento dell’eccitabilità galvanica.Aggettivo che definisce una patologia a decorso più e meno rapido caratterizzata dalla progressiva alterazione delle funzioni dell’organo colpito fino alla totale perdita di funzione dell’organo stesso (miopia degenerativa, artropatia degenerativa).

DEGENERATIVI, caratteri

Tratti somatici che nell’antropologia criminale di C. Lombroso venivano interpretati come una regressione evolutiva, un ritorno a uno stadio ancestrale essi sono: la microcefalia, la fronte bassa e sfuggente, l’abbondanza di capelli, il cosiddetto lobulo darwiniano dell’orecchio. Questi caratteri erano considerati indici di profonde alterazioni della personalità, in rapporto con le tendenze criminali.

DEGENERATIVO

Termine spesso usato in patologia per caratterizzare o definire quei processi che si manifestano con fenomeni regressivi, o di sofferenza delle cellule dei tessuti, determinando una diminuita efficienza dei tessuti ed organi colpiti (vedi DEGENERAZIONE).Alcuni esempi di patologie degenerative: amiloidosi, statosi epatica, amiotrofia spinale, morbo di Parkinson, malattie degenerative retiniche.

DEGENERAZIONE

Termine impiegato in patologia per indicare le modificazioni della struttura cellulare, evidenziabili al microscopio, che sono l’espressione di uno stato di sofferenza della cellula stessa, legato al turbamento del suo equilibrio metabolico. Tale condizione è però ancora reversibile, cioè capace di regredire completamente quando vengono meno le cause responsabili. I limiti tra d. e morte cellulare tuttavia sono mal definiti: gli stessi fattori capaci di provocare alterazioni degenerative cellulari reversibili possono infatti creare un danno irreversibile e determinare la morte della cellula quando agiscono in modo intenso o a lungo.

La d. cellulare si manifesta, all’osservazione al microscopio, con la comparsa nel citoplasma della cellula, o nell’interstizio, di quantità abnormi di determinate sostanze (acqua, sostanze lipidiche, calcio, glicogeno, sostanze proteiche) che fanno parte dei normali costituenti cellulari, ma che normalmente non sono evidenziabili come deposito.Possono essere in gioco fattori di varia natura: infezioni, intossicazioni, disturbi di circolo, ridotta ossigenazione del sangue ecc. A seconda della sostanza che si accumula nel citoplasma si distinguono diverse forme: d. vacuolare, grassa (o steatosi), ialina, mucoide, idropica, ecc.A seconda della sede si distinguono in degenerazioni cellulari (d. vacuolare, steatosi), extracellulari o interstiziali (d. ialina, amiloide e fibrinoide). In realtà molte di queste modificazioni non esprimono una condizione di sofferenza cellulare, ma piuttosto una reazione vitale della cellula stessa, una modificazione adattativa di fronte a mutate condizioni dell’ambiente che la circonda. Per questo si preferisce, al termine d., quello di metamorfosi (vacuolare, adiposa, idropica, ecc.), che risulta solo descrittivo e non impegnativo quanto a significato patologico.

DEGLUTIZIONE

Atto con cui il cibo masticato nella bocca (bolo alimentare), oppure il sorso liquido viene spinto dalla bocca nella faringe e successivamente nell’esofago fino allo stomaco. La d. è un processo piuttosto complicato, per la cui normale esecuzione è necessaria una perfetta integrità del sistema nervoso. Il cibo, infatti, per passare dalla bocca all’esofago, deve attraversare la faringe sulla quale convergono più vie, rappresentate dalle cavità nasali, laringea, esofagea e da quella orale. La faringe costituisce il centro d’incrocio di due importanti linee di passaggio: la prima trasporta l’aria e decorre dalla parte più interna delle cavità nasali alla laringe e di qui ai polmoni l’altra, attraverso cui passa il cibo, corre dalla cavità orale all’esofago. È evidente che, durante la d. non solo il respiro sarà trattenuto per breve tempo, ma dovranno essere prese tutte le precauzioni affinché il cibo non trovi la via sbagliata, non passi cioè nella laringe, o, come si dice più comunemente, “vada di traverso”.

Il primo tempo della d., durante il quale il cibo passa dal dorso della lingua all’istmo delle fauci, viene controllato dalla volontà i tempi successivi, durante i quali il cibo attraversa la faringe, avvengono automaticamente. Il bolo, pertanto, viene sospinto all’indietro dall’azione della lingua, coadiuvata dalle guance. Il palato molle, alzandosi, chiude l’orifizio che fa comunicare le cavità nasali con la faringe, impedendo in questo modo, che l’aria possa entrare e trascinare erroneamente il cibo verso la laringe. Quest’ultima, poi, viene tempestivamente chiusa dal contemporaneo abbassamento dell’epiglottide e innalzamento della laringe, cosicché al bolo non resta che scegliere l’unica via aperta, quella dell’esofago. Una volta venuto a contatto con le pareti muscolari del canale esofageo, il bolo provoca un’onda peristaltica di contrazione, che scorre lungo tutto il tubo portando avanti il cibo fino alla valvola che chiude l’apertura superiore dello stomaco, chiamata cardias. Questo sfintere, normalmente contratto per impedire che il cibo rifluisca dallo stomaco, a questo punto si rilascia, permettendo al bolo di entrare nello stomaco. Inizia così la digestione gastrica.

DEIESCENZA

In fisiologia, processo di rottura dei follicoli ovarici.- Riapertura spontanea di un taglio chirurgico o di una ferita dopo che i margini della stessa avevano aderito.

DEITERS, nucleo di

(Prende il nome da Otto Friedrich Karl Deiters, patologo tedesco - Bonn 1834-1863), nucleo di cellule nervose situato sotto l’angolo laterale del IV ventricolo, nel midollo allungato, e al quale giungono in parte le fibre del nervo vestibolare (ramo del nervo acustico) e dal quale originano fibre dirette ai motoneuroni del midollo spinale.

DÉJÀ VU

Particolare disturbo della coscienza e del senso della realtà caratterizzato dall’impressione di riconoscere un luogo che invece si vede per la prima volta o di rivivere un avvenimento o una situazione nuova come già vissuta nel passato. Il fenomeno è noto anche come crisi del giro uncinato, in quanto fu da J.H. Jackson (che lo descrisse in pazienti affetti da tumore del lobo temporale del cervello) attribuito a sofferenza dell’uncus, una parte dell’ippocampo. Nelle forme di epilessia temporale il fenomeno del d. vu può essere inquadrato tra le aure premonitrici della crisi convulsiva o come equivalente della crisi stessa, in quanto può presentarsi come manifestazione isolata non seguita dalla crisi convulsiva.

DÉJÉRINE

Sindrome di (prende il nome da Jules Déjérine, neurologo francese - Plainpalais, Ginevra 1849 - Parigi 1917), denominazione con cui vengono indicate le polinevriti secondarie a infezione difterica e le sindromi caratterizzate da emiplegia e paralisi controlaterale del nervo ipoglosso.

DEL SETTO

(O settoplastica), consiste nel riposizionamento del setto cartilagineo e osseo ed eventualmente, nella parziale asportazione delle parti in posizione anomala. Frequentemente la respirazione difficoltosa  dovuta anche alla ipertrofia delle mucose endonasali (turbinati), in questo caso si effettua, anche in combinazione con la settoplastica, la turbinectomia (asportazione chirurgica, elettrocoagulazione, laser).

DELIQUIO

Temporanea perdita della coscienza, con caduta della pressione arteriosa, polso piccolo e frequente, sudorazione, pallore in qualche caso perdita di feci e urine per rilassamento degli sfinteri. È dovuto a temporanea insufficienza della circolazione cerebrale, e può conseguire a cause assai diverse: disturbi di circolo (legati ad arteriosclerosi, ipotensione, labilità vasomotoria), o anemia, emozioni violente e improvvise, affaticamento, talvolta anche lunga permanenza in piedi. Alcuni sintomi premonitori precedono a volte il d.: nausea, sudorazione, polso frequente, diminuzione della pressione arteriosa massima con aumento della minima.

DELIRIO ACUTO

D. che insorge bruscamente è caratteristico delle psicosi deliranti acute, di reazioni paranoidi improvvise, ma può spesso essere originato da cause infettive o tossinfettive. In quest’ultimo caso si accompagna a febbre alta e agitazione e si risolve con il risolversi dello stato febbrile. Se la tossinfezione è grave e sono presenti iperazotemia e disidratazione si può avere anche l’esito di morte. Le psicosi deliranti acute vengono generalmente dominate dai moderni psicofarmaci e derivati.

DELIRIO ALLUCINATORIO CRONICO

(O psicosi allucinatoria cronica), d. caratterizzato da un’insorgenza spesso acuta, con la tendenza però a svilupparsi e a sistematizzarsi. È stato studiato soprattutto da autori francesi come H. Hey, il quale ne indica la triade sintomatologica che lo individua: automatismo ideoverbale, automatismo sensoriale e sensitivo, automatismo psicomotorio. 

Il più importante dei sintomi è il primo. Il paziente sente voci, sovente minacciose, che lo assillano, lo perseguitano. A volte ha l’impressione che l’altrui pensiero s’intrufoli nel proprio e lo diriga, lo comandi in una sorta di telepatia che si realizza come imposizione di idee. Le più comuni allucinazioni sono quelle uditive, ma possono essere presenti anche allucinazioni visive, gustative, olfattive che si inquadrano nell’automatismo sensoriale e sensitivo. In genere il d. allucinatorio cronico ha un decorso evolutivo, che si accompagna però a una conservata lucidità delle capacità intellettuali da parte del paziente.

DELIRIO

Disturbo del pensiero caratterizzato dalla presenza di idee deliranti, cioè di convinzioni intime del soggetto, non corrispondenti alla realtà, ma che esprimono la modificazione della sua esperienza, cioè dei suoi rapporti con il mondo. Il d. può essere semplice o sistematizzato, quando più idee deliranti si organizzano seguendo un’apparente logica interna. Il d. inoltre può essere confuso, se la coscienza è obnubilata, o lucido quando invece la coscienza è vigile. Se è ricco di illusioni o di allucinazioni è detto psicosensoriale.È detto interpretativo se invece le esperienze percepite sono erroneamente interpretate intuitivo, infine, se per una sorta di improvvisa illuminazione interiore il soggetto raggiunge l’assoluta intima certezza della realtà di un determinato fatto. I deliri hanno contenuto assai vario. Possono essere distinti in d. di persecuzione, d. depressivo, d. di grandezza, d. ipocondriaco, d. di gelosia e d. mistico. Il d. di persecuzione è il più frequente chi ne è affetto si crede erroneamente perseguitato da persone o da gruppi di persone con ogni mezzo materiale (veleni, assalti) o morale (diffamazione, calunnia ecc.) il d. di rivendicazione è una varietà del d. di persecuzione. Il soggetto si crede vittima di soprusi o di ingiustizie sofferte e cerca di ottenere giustizia (suppliche, querele, diffide ecc.) nel d. di influenzamento, invece, il malato è portato a ritenere che il suo agire, la sua volontà, il suo stesso pensiero siano forzati da influenze esterne di varia natura (onde elettriche, magnetiche ecc.).

- I deliri depressivi comprendono il d. di colpa, in cui il soggetto si accusa di avere commesso reati gravissimi contro la religione, contro la morale ecc. e si augura di essere punito, o cerca la punizione per le sue presunte colpe.Nel d. di negazione o d. nichilista (che ne è una varietà) la realtà addirittura è dissolta non esiste più nulla, non esistono i sentimenti, il corpo, non esistono le persone e il mondo esterno.

- Il d. di grandezza comprende il d. ambizioso (convinzione di essere il più forte, il più intelligente, il più bello ecc.), il d. erotico (assoluta certezza di essere amato da una persona in genere altolocata), il d. di potenza (convinzione di essere un personaggio importante, ministro, sovrano ecc.) o addirittura, nel d. di enormità, di essere al di sopra di tutti, di essere d’oro, immortale.

- Nel d. genealogico il malato è un discendente di un’illustre casata nobiliare, nel d. di riforma è inviato da Dio per modificare la società o la religione. Nel d. inventivo è autore di importanti invenzioni che molto spesso sono del tutto peregrine. Nel d. di trasformazione l’ambiente esterno, le cose e le persone sono modificate, o addirittura il mondo, l’universo stanno cambiando, verrà Dio in terra, la verità sarà interamente svelata.

- Nel d. ipocondriaco il soggetto ha la convinzione di essere seriamente ammalato (di avere un tumore, una malattia di cuore ecc.) o ha la convinzione di avere il cervello di sasso, i vermi nell’intestino ecc.- Nel d. di gelosia il soggetto ha la convinzione di essere tradito tutto il comportamento del paziente è allora assorbito da tentativi di provare le colpe della persona amata.

- Nel d. mistico il soggetto ha la certezza di vivere direttamente l’esperienza di una comunione divina.Numerosi sono stati i tentativi di spiegare il d. Gli psicanalisti lo interpretano tenendone in considerazione il contenuto.La terapia dei deliri è quella della malattia nella quale compaiono.

DELIRIUM CORDIS

Locuzione latina usata per indicare un disturbo del ritmo cardiaco che si manifesta nel corso della fibrillazione atriale in questa aritmia il polso è completamente irregolare e costituito da pulsazioni di ampiezza non uniforme, che si susseguono in modo del tutto disordinato senza mai assumere una sequenza costante.

DELIRIUM TREMENS

Locuzione latina usata per indicare un grave quadro morboso che insorge in modo acuto ed è caratterizzato da forte agitazione, disturbi della coscienza, allucinazioni e delirio.Esso compare nei soggetti affetti da alcolismo cronico e può essere scatenato da una ingestione abbondante di alcol o da malattie infettive, traumi, interventi chirurgici.Le allucinazioni sono soprattutto visive e sono riferite generalmente come assai terrifiche. Spesso il paziente si agita dicendo di vedere insetti che camminano sul suo corpo o sui muri. Il delirio può essere a contenuto vario, ma più generalmente è un delirio di gelosia. Il trattamento del d. tremens si basa essenzialmente sulla somministrazione di vitamine del gruppo B, di glucosio, insulina, estratti corticosurrenali.

DELTOIDE, muscolo

Muscolo voluminoso e superficiale della spalla a cui dà la forma rotondeggiante. Il muscolo d. ricopre l’articolazione scapolo-omerale inserendosi sulla scapola e sulla clavicola da una parte, e sull’omero dall’altra.È innervato dal nervo ascellare e con la sua azione abduce ed eleva il braccio fino alla linea orizzontale.

DELUSIONE

Termine proposto da alcuni autori peruviani per indicare i disturbi nella capacità di giudizio distinguendo così la d. dal delirio, che rimarrebbe limitato alle difficoltà e complicazioni della coscienza. La d. può determinare nell’individuo mutamenti conoscitivi di tipo creativo. Dà luogo molto più spesso a sconvolgimenti dell’equilibrio psichico, a comportamento disadattato e a severo deterioramento della personalità.Le cause sono rintracciabili nell’ambiente fisico, nelle limitazioni biologiche, nella complessità della struttura psicologica e nell’ambiente sociale. L’individuo può reagire in molti modi: fuga dalla situazione frustrante, rimozione del bisogno, regressione, aggressività, formazione reattiva con un comportamento esattamente opposto a quello a cui il bisogno avrebbe potuto condurre, razionalizzazione, proiezione della colpa, autismo, identificazione per la quale l’individuo viene a incorporare tratti che sono propri di un’altra persona.

DEMENZA

Indebolimento delle funzioni mentali, dopo che queste hanno raggiunto il loro completo sviluppo. Il termine d. è pertanto impiegato per indicare il deficit dell’intelligenza acquisito dopo che questa ha già completato il suo sviluppo, cioè lo stato risultante da una diminuzione dell’intelligenza che si stabilisce nell’età adulta. Si tratta di un individuo che dopo aver raggiunto il livello massimo del suo sviluppo mentale presenta, in una certa fase della vita, una perdita, più o meno cospicua, di intelligenza. La diminuita prestazione riguarda un po’ tutte le funzioni mentali: particolarmente compromesse risultano la memoria, l’attenzione, la capacità critica e la capacità di giudizio.La d. si differenzia dalla regressione mentale infanto-giovanile in quanto in quest’ultimo caso il decadimento si manifesta prima che lo sviluppo mentale abbia raggiunto la sua pienezza.La d. è dovuta a lesioni diffuse del tessuto cerebrale, generalmente a carattere progressivo, È pertanto sempre dovuta ad alterazioni organiche del cervello. ovvero lesioni della sostanza cerebrale dimostrabili sul piano morfologico, provocate da diverse cause. Tra le principali vanno menzionate: i processi degenerativi atrofici che colpiscono il cervello (d. tipo Alzheimer) i disturbi della circolazione cerebrale (d. multinfartuale) alcune malattie infettive, come la sifilide (paralisi progressiva) i traumi cranici certe intossicazioni (per esempio l’alcolismo cronico). Quando il peggioramento delle capacità intellettive non è legato ad alterazioni organiche bensì a depressione del tono dell’umore l’impoverimento intellettivo si ha per mancanza di motivazione e si parla di pseudodemenza.

Cause
Le cause più diffuse di d. sono comunque rappresentate dalla d. tipo Alzheimer e dalla d. multinfartuale. La sindrome demenziale tipo Alzheimer raggruppa quei casi che un tempo erano suddivisi tra la d. senile e la d. presenile di Alzheimer. Dal punto di vista epidemiologico nella sindrome tipo Alzheimer distinguiamo dei casi sporadici dai casi caratterizzati da familiarità. La d. infartuale costituisce, sotto certi aspetti, un concetto rivoluzionario nei confronti di vecchie convinzioni. Prima di tutto l’incidenza di forme multinfartuali è minore rispetto alle forme tipo Alzheimer, e ciò non ci autorizza più a ricorrere alla vecchia terminologia di vasculopatia cerebrale ogni volta che un vecchietto comincia a dare segni di d. Non basta la presenza di un processo ateromatoso a livello delle arterie di grosso calibro e di un processo arteriosclerotico a livello di quelle di medio o piccolo calibro, affinché possa comparire una d. su base vascolare. Essa infatti s’instaura solo se si verificano più infarti a livello della corteccia cerebrale a seguito di occlusione delle arteriole perforanti che vascolarizzano la sostanza cerebrale profonda.Un sintomo utile per procedere alla diagnosi differenziale tra d. multinfartuale e d. di Alzheimer è la comparsa di segni neurologici sintomatici di lesioni locali. Con il termine di d. non si vogliono designare tutti gli stati di decadimento psichico che compaiono nella vecchiaia, ma soltanto quelli dovuti a un particolare processo morboso degenerativo che, colpendo primitivamente il cervello nella senilità, conduce a un’atrofia cerebrale diffusa.

Sintomi
Possono variare in rapporto alla causa, alla sede delle lesioni cerebrali, all’età di insorgenza ecc. è comunque possibile una descrizione generale e schematica dei disturbi più caratteristici della d. Tra i segni più precoci vanno notati l’indebolimento della memoria e dell’attenzione. Il difetto della memoria riguarda dapprima i soli avvenimenti recenti, mentre gli antichi vengono rievocati con esattezza. Successivamente il disturbo si estende agli avvenimenti meno recenti, finché anche i ricordi più remoti possono andare perduti. Spesso il demente riempie le lacune della memoria con dei falsi ricordi creati dalla sua fantasia (confabulazioni). L’incapacità di risolvere nuovi problemi si rivela pure precocemente: posto di fronte a una situazione non abituale, anche se semplice, il demente, che di solito non ha coscienza del proprio decadimento, commette grossolani errori.
Ne deriva una grave compromissione dell’efficienza lavorativa, soprattutto quando l’attività del soggetto si svolge al di fuori di un cerchio di regole rigidamente mantenute. La capacità di giudizio e di critica si deteriora rapidamente, così come il controllo etico della propria condotta: non raramente il demente commette atti contro la morale sessuale (esibizionismo, violenza carnale ecc.). Il pensiero è lento, frammentario e privo di una chiara direttiva: incapace di cogliere l’essenziale, il demente si sofferma su particolari del tutto insignificanti e vi insiste, perdendo a più riprese il filo del discorso. Frequentemente è compromesso anche l’orientamento nello spazio: il demente non trova la strada di casa e s’aggira senza meta e può avere persino difficoltà a orientarsi nell’ambito della propria casa. Per quanto riguarda l’affettività, è frequente una certa labilità emotiva: crisi di depressione possono alternarsi a crisi di eccitamento talvolta, invece, specie nelle fasi terminali, vi è uno stato di completa apatia. Tutti i disturbi suddetti tendono a peggiorare progressivamente e si giunge infine al più completo sfacelo mentale: nulla più nel comportamento del demente reca l’impronta dell’intelligenza è praticamente impossibile stabilire un contatto con lui: alle domande più elementari risponde in modo non appropriato o addirittura incomprensibile non ha la minima cura della propria persona non controlla più gli sfinteri e quindi perde le urine e le feci. L’aggravarsi del quadro è dovuto al fatto che le alterazioni cerebrali responsabili della d. si fanno, col passare del tempo, sempre più marcate, soprattutto nelle due forme più frequenti di d., la SDAT (tipo Alzheimer) e la multinfartuale.

Diagnosi
La diagnosi oltre che sulla valutazione dei segni e dei sintomi clinici si basa sull’esecuzione di test, su esami radiologici e, come già accennato, sull’esecuzione dell’esame obiettivo neurologico. Nonostante il fiorire di nuovi test clinici per la valutazione della comparsa di un deterioramento mentale, la scala Wechsler-Bellevue con le sue undici prove (sei di tipo verbale e cinque di tipo pratico) può fornire utili indicazioni sulle condizioni di diverse funzioni intellettive (orientamento spazio-temporale, capacità di concentrazione, di memoria a breve termine, coordinazione visuo-motoria ecc.). La valutazione del deterioramento mentale si basa sul concetto che alcune prove del test sono poco influenzate dal fisiologico decadimento cerebrale. Per valutare l’efficienza intellettuale, si può utilizzare il test delle Matrici Progressive di Raven. Consiste in 60 items divisi in 5 serie di 12 prove ciascuna, ordinate in base alla difficoltà. Ciascuna prova è costituita da un disegno a cui manca un pezzo e questo deve essere scelto in una serie di altri pezzi riproducenti un disegno simile, ma di cui solo uno è quello giusto. Per la valutazione della memoria a breve termine, la percezione e la coordinazione visuo-motoria possono essere anche utilizzati il Test dei Gettoni e il Test di Ritenzione visiva di Benton. Per una valutazione molto veloce della presenza di un deficit cognitivo si può utilizzare la Mini Mental Scale. La SCAG (Sandoz Clinical Assessment Geriatric) basa il punteggio sui dati clinici e comportamentali, per valutare la presenza di una sindrome psicorganica. La scala Hachinskj basando il punteggio sulla natura dei sintomi, è un prezioso strumento nella diagnosi differenziale tra d. multinfartuale e SDAT. Gli esami radiologici consistono nell’esecuzione della tomografia assiale computerizzata e della risonanza magnetica nucleare per la valutazione dell’atrofia cerebrale a livello degli emisferi.

Terapia
La terapia può consistere in interventi specifici: interventi di disintossicazione e disassuefazione nel caso della d. alcolica l’uso della penicillina in cicli e a dosaggi massicci nella d. da neurosifilide. Per quanto concerne la d. multinfartuale è indispensabile curare le malattie dismetaboliche che solitamente precedono la d. multinfartuale (ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia). Nel caso vi sia un aumento dell’aggregabilità piastrinica è utile la prescrizione di farmaci antiaggreganti piastrinici (acido acetilsalicilico, dipiridamolo, indobufene, ticlopidina). Al di là dell’intervento farmacologico sono indispensabili anche alcune norme d’igiene mentale.

Sarebbe auspicabile che la persona affetta da d. rimanesse a casa propria, un cambiamento con la collocazione in un posto sconosciuto solitamente peggiora le cose. Qualora le condizioni psicopatologiche siano tali da non consentire più la permanenza a domicilio sarebbe buona regola lasciare di notte una piccola luce accesa vicino al letto in modo che, quando si sveglia, il paziente possa orientarsi un po’ per riuscire a capire dove si trova. Di giorno è meglio porre sul comodino vicino al letto un oggetto familiare in modo che l’anziano possa riconoscere facilmente il proprio posto.

DEMENZA PARALITICA

Malattia di origine luetica caratterizzata da due ordini di sintomi: neurologici e psichici. I primi sono piuttosto uniformi e caratteristici, mentre i secondi si presentano diversi da caso a caso pur avendo un carattere in comune: la demenza.La paralisi progressiva insorge generalmente in soggetti adulti a molti anni di distanza (15-20) dall’infezione luetica. I sintomi somatici più costanti sono i disturbi della parola, i disturbi pupillari, i tremori più incostanti sono gli attacchi apoplettiformi ed epilettici. I disturbi psichici sono inizialmente alquanto vaghi: i pazienti lamentano insonnia, cefalea, incapacità di concentrarsi, diminuzione della memoria di fissazione più tipici sono i mutamenti del carattere, osservati dai familiari: i paralitici generalmente assumono atteggiamenti molto stravaganti, possono abbandonarsi a eccessi sessuali o alcolici, diventano prodighi, possono avere improvvise e violente reazioni di fronte a stimoli di modesta entità.

Sintomi
Col progredire della malattia si stabiliscono vari quadri che danno luogo alle forme cliniche descritte per questa malattia. Nella forma espansiva i pazienti manifestano idee deliranti assurde: affermano di avere ricchezze favolose, comprano automobili costosissime, fanno regali dispendiosi e coerentemente a tali idee conducono la loro esistenza. Nella forma depressiva dominano la depressione dell’umore e le idee deliranti di rovina e nocumento. Nella forma demenziale semplice il paziente appare solitamente “instupidito”, apatico, inerte, a volte anche sudicio.

Diagnosi
La diagnosi è facilitata dalla positività delle prove di laboratorio specifiche e da modificazioni caratteristiche del liquido cefalorachidiano.

Terapia
La terapia è quella praticata nell’infezione luetica (penicillina, bismuto, eventualmente piretoterapia).

DEMENZA PRECOCE

vedi SCHIZOFRENIA

DEMENZA PRESBIOFRENICA

(O demenza senile), forma di d. caratteristica dell’età senile, insorgente di solito dopo i 60 anni di età, dovuta ad atrofia diffusa o circoscritta del cervello e caratterizzata da sintomi neurologici e psichici. Il quadro clinico della d. senile viene spesso raffigurato come una esagerazione caricaturale del decadimento psichico del vecchio in realtà vi sono degli elementi francamente patologici. Sintomi più precoci e costanti sono la perdita della memoria e la diminuzione dell’attenzione. Il malato dimentica gli avvenimenti più recenti, nei casi gravi anche i ricordi della gioventù praticamente impossibili risultano nuove acquisizioni culturali, la critica è povera e l’ideazione frammentaria.

Frequentissima è anche la labilità emotiva, con improvvisi e facili cambiamenti di umore, mentre altre volte l’affettività è indebolita o spenta. Come conseguenze di tali alterazioni si hanno variazione del comportamento del demente, il quale commette errori grossolani, atti stravaganti, può perdere il senso del pudore e del decoro o può limitare la sua vita a un cerchio di abitudini rigidamente fisse. Sintomi neurologici sono i tremori delle mani e del capo e l’accentuazione dei riflessi profondi.Il decorso della malattia è progressivo e le cure possono essere indirizzate solamente a correggere alcuni sintomi: così in caso di eccitamento troverà indicazione la somministrazione di sedativi.

DEMENZA PRESENILE

Quadro demenziale, che interessa individui tra i quaranta e i sessant’anni, del quale si ignorano le cause, legato ad alterazioni degenerative del tessuto nervoso che conducono ad atrofia cerebrale. Si distinguono due forme: la malattia di Alzheimer e la malattia di Pick.Malattia di AlzheimerÈ caratterizzata da un decorso abbastanza rapido, circa quattro o sei anni, e da un quadro di d. globale alla quale si associano disturbi delle funzioni simboliche (agrafia, alessia, afasia, agnosia) possono comparire anche crisi epilettiche.Malattia di PickÈ caratterizzata da disturbi del lobo frontale (fatuità, perdita di iniziativa, disturbi etici) e deficit delle funzioni simboliche, sebbene in misura minore che nella malattia di Alzheimer.

DEMENZA SENILE

vedi DEMENZA PRESBIOFRENICA

DEMENZA TRAUMATICA

Un decadimento psichico irreversibile di un certo rilievo rappresenta un esito piuttosto raro nei traumi cranici.

Cause
Lo si può avere dopo un unico trauma molto violento, ma anche in seguito a lievi e ripetuti traumi. La sua insorgenza è più frequente nei soggetti anziani e arteriosclerotici in essi, infatti, il tessuto cerebrale, a causa delle alterazioni delle pareti vasali, è spesso mal nutrito e quindi in condizioni di vitalità precarie: il trauma può allora aggravare una situazione già critica.

Sintomi
I sintomi più comuni sono rappresentati dall’indebolimento della memoria (il difetto riguarda i fatti recenti) e della capacità di concentrazione dalla mancanza di interessi e di iniziativa dalla diminuzione o dalla perdita delle capacità di critica, di giudizio e di controllo. Il tono dell’umore è spesso orientato nel senso dell’euforia con loquacità, tendenza allo scherzo e mancanza di tatto altre volte, invece, prevale il malumore con frequenti scoppi d’ira è anche possibile che a episodi di eccitamento euforico si alternino episodi di depressione melanconica, realizzandosi così un disturbo analogo a quello tipico della psicosi maniacodepressiva: in questi casi si deve pensare che il trauma abbia agito non come causa diretta della psicosi, ma soltanto come causa scatenante, nel senso che ha facilitato il manifestarsi di disturbi che, anche senza di esso, prima o poi sarebbero comparsi. I sintomi propri della d. traumatica (condizione di per se stessa cronica e stabile) possono essere di intensità assai variabile da caso a caso: nelle forme più lievi i soggetti possono ancora essere in grado di attendere alle loro abituali occupazioni quando però queste siano semplici, schematiche e tali da non comportare la risoluzione di nuovi problemi né l’impegno delle funzioni psichiche più elevate.La d. postraumatica è spesso riconducibile all’instaurarsi di un disturbo della circolazione liquorale che porta a una condizione chiamata idrocefalo normoteso.

Diagnosi
Il quadro alla TAC è quello di una dilatazione dei ventricoli cerebrali, con assenza di dilatazione dei solchi corticali della volta e presenza di segni di riassorbimento transependimale del liquor. La fisiopatologia vede un mancato riassorbimento del liquor prodotto dai plessi dei ventricoli laterali a livello degli spazi subaracnoidei della volta, con progressiva dilatazione del sistema ventricolare ma senza aumento di pressione intracranica. La clinica di queste forme è caratterizzata da una triade di deterioramento mentale, disturbi della deambulazione (a piccoli passi), e incontinenza sfinterica.

Terapia
La terapia è chirurgica, volta a scaricare il liquor attraverso opportune valvole di derivazione ventricoloatriali o ventricoloperitoneali.

DEMETILCLORTETRACICLINA

Derivato della clortetraciclina privato del gruppo metilico in posizione 6. La clortetraciclina è il capostipite del gruppo di antibiotici denominati tetracicline, isolate nel 1948 dallo Streptomices Aureofaciens (tetracicline). Le tetracicline sono antibiotici a largo spettro, batteriostatiche per molti batteri Gram negativi, Gram positivi, alcuni anaerobi, alcuni intracellulari (rickettsie, chlamidiae, micoplasmi, amebe). Attualmente non si usano più la clortetraciclina ed i suoi derivati, ma le molecole più recenti, come Doxiciclina, Minociclina, caratterizzate da un maggiore assorbimento gastrointestinale ed una durata di azione più lunga.

DEMIELINIZZAZIONE

Processo patologico che interessa le guaine mieliniche delle fibre nervose e che porta alla loro scomparsa e alla proliferazione reattiva di cellule della nevroglia. La d. è un processo che si osserva frequentemente nella patologia del sistema nervoso: in tutte le lesioni della sostanza bianca (infarti, emorragie, tumori), come fenomeno secondario ad alterazioni delle cellule nervose, e soprattutto delle cosiddette malattie demielinizzanti. La mielina avvolge a manicotto gli assoni. Si distingue la mielina in centrale e periferica. La mielina centrale è quella del Sistema Nervoso Centrale (SNC) ed è costituita dagli oligodendrociti che con i loro prolungamenti avvolgono decine di volte l’assone ogni oligodendrocita avvolge più assoni.

La mielina periferica è quella del Sistema Nervoso Periferico (SNP) ed è prodotta dalle cellule di Schwann. Parallelamente la d. può essere centrale o periferica ed essere alla base di malattie demielinizzanti del SNC o SNP.La più famosa fra le malattie demielinizzanti del SNC è la sclerosi Multipla (SM). Un tempo si affermava che in tale malattia viene alterata primitivamente, per processi infiammatori, la sola guaina mielinica, mentre gli assoni sono poco interessati o rimangono inizialmente integri. Si credeva che solamente dopo tanti anni di distruzione mielinica, incominciassero a soffrire anche gli assoni. Oggi si sa invece che c’è precocemente una degenerazione assonale che comporta la morte del neurone per propagazione della lesione, fino al corpo cellulare.Nel SNC i prolungamenti degli oligodendrociti avvolgono a manicotto gli assoni lasciando liberi solo i nodi di Ranvier e questo consente la conduzione saltatoria tra i nodi (il potenziale d’azione deve essere prodotto solo nei nodi), rendendo la conduzione più veloce. Se c’è un focolaio di d. si verifica diminuzione della velocità di conduzione se si associa anche un danno dell’assone si ha l’alterazione o il blocco della conduzione. All’inizio della SM la mielina, per i fenomeni infiammatori acuti, si rigonfia e si frammenta. In tale fase della malattia non c’è danno assonale (in realtà in base alle recenti ricerche, come detto, il danno assonale c’è ma è minimo). Nel tempo la mielina persa è sostituita da proliferazione astrogliale con deposizione di fibre e quindi cicatrizzazione che porta a stiramento e frammentazione degli assoni. Quando l’assone non è ancora leso la riparazione è possibile in quanto la mielina può rigenerare. All’inizio della malattia complessivamente, il numero di assoni degenerati non è alto, per cui ci sono momenti con deficit funzionali dovuti esclusivamente alla infiammazione della mielina.

Quando la infiammazione viene meno, il paziente recupera. Pian piano, però il danno assonale si accumula, fino a superare una certa soglia, il paziente non recupera più come prima, e la malattia assume un decorso detto progressivo.Altro esempio di malattia demielinizzante è la malattia di Schilder.Il processo di d. può manifestarsi con sintomi assai diversi in rapporto alla zona di sistema nervoso che ne risulta colpita, ma si tratta comunque di sintomi che sono legati alla perdita di funzione degli assoni privi della guaina mielinica.Anche nelle leucodistrofie vi sono alterazioni della mielina, queste però sono legate ad alterazioni enzimatiche congenite, che determinano alterazione della sintesi o del metabolismo della mielina e quindi un processo di mielinizzazione anomala alla base di una malattia che è definita dismielinizzante. Si distinguono pertanto le malattie della mielina centrale in:demielinizzanti con danneggiamento di una mielina conformata normalmente dismielinizzanti o leucodistrofie, con mielina malconformata per errori della sua sintesi o del metabolismo, dovute a fattori genetici.Per quanto concerne le malattie demielinizzanti del SNP un esempio è la Sindrome di Guillain-Barré e più precisamente la sua forma più tipica di malattia, la variante demielinizzante (esiste anche una variante assonale). È la più frequente poliradicolonevrite infiammatoria acuta. In essa il nervo periferico presenta un caratteristico slamellamento della guaina mielinica, soprattutto le lamelle più esterne non sono più accollate le une alle altre, ma sembra che vi sia un’esfoliazione.

DEMOGRAFIA SANITARIA

Disciplina che studia con metodo statistico i fatti morbosi che si verificano nella collettività. Comprende più branche: la statistica patologica, la statistica medica, la statistica dell’organizzazione igienico-sanitaria.La statistica patologica, che riassume le condizioni di sanità di una popolazione, elabora dati relativi a: morbosità, mortalità, letalità (rapporto tra casi di malattia e numero di morti per la stessa malattia), nascite patologiche, stati patologici (difetti di sviluppo, minorazioni, anomalie ad andamento non evolutivo), minorazioni psichiche e alienazioni mentali, geografia nosologica. La statistica patologica ha come presupposto l’esistenza di una classificazione delle malattie, o nosografia, certa o almeno universalmente accettata. A tale scopo sono state elaborate, nonostante l’opposizione di ragioni religiose di peso non indifferente, successive nomenclature nosologiche, periodicamente aggiornate.A partire dalla prima, elaborata in occasione del I Congresso internazionale di statistica di Bruxelles del 1853, sono state pubblicate numerose nomenclature sia di malattie che di cause di morte, a cura di varie conferenze internazionali.La VI Conferenza sanitaria internazionale del 1946 e successivamente l’Organizzazione Mondiale della Sanità delle Nazioni Unite hanno elaborato l’attuale nomenclatura, in vigore dal 1948 (in Italia dal 1951). Comprende una classificazione analitica (800 voci ca.) delle malattie, dei traumi e delle cause di morte una classificazione intermedia di 150 voci che riguarda le malattie e le cause di morte una classificazione abbreviata di 50 voci relativa alle sole cause di morte. Comprende anche alcune classificazioni speciali.

In Italia è in uso anche una nomenclatura ridotta a cura dell’Istituto Centrale di Statistica. È da notare che mentre le statistiche delle cause di morte si appoggiano a un sistema di rilevazione sicuro, quelle relative alla morbosità si avvalgono di fonti eterogenee e meno certe.Le rilevazioni di questi ultimi dati provengono dalle denunce obbligatorie delle malattie infettive, da censimenti in collettività, dalle statistiche di ospedali, case di ricovero, carceri, servizi sanitari delle forze armate, enti di previdenza e assistenza.Ne consegue che mentre i dati su una malattia contagiosa o sui traumatismi professionali riguardano l’intera popolazione, quelli relativi, per esempio limitati a una malattia cardiaca, sono parziali.La statistica medica comprende lo studio con metodo statistico delle costituzioni, delle alterazioni biologiche, delle diagnosi, delle prognosi e delle terapie, oltre allo studio con metodi antropologici della genetica, delle personalità psichiche della criminalità.La statistica dell’organizzazione sanitaria, infine, riguarda le condizioni del personale sanitario, dell’assistenza, della prevenzione e della cura le condizioni ambientali, quelle del bestiame e dei prodotti alimentari, dell’organizzazione igienico-scolastica, della sanità mentale.I dati rilevati sul piano mondiale nei vari campi della d. sanitaria sono pubblicati annualmente dalla Organizzazione Mondiale della Sanità nelle “Annual Epidemiological and Vital Statistics” i dati italiani sono pubblicati dall’ISTAT nell’“Annuario di statistiche sanitarie”. Una delle conclusioni più vistose della d. sanitaria è il profondo mutamento avvenuto nell’ultimo secolo per quanto riguarda la morbosità, la mortalità e la letalità, e quindi, come risultante, anche valori come la vita media. Il progressivo declinare delle malattie infettive, la diminuzione della letalità e quella della mortalità infantile, l’incremento delle malattie cardiocircolatorie e dei tumori sono dati che hanno caratterizzato le statistiche sanitarie di questo secolo.

DEMONOPATIA

Particolare forma di delirio nel corso del quale il soggetto ritiene di essere posseduto da una forza del male che lo diriga nel linguaggio e ne determini il comportamento.È contraddistinta da uno sdoppiamento della personalità e da turbe della cenestesi.Il malato che si sente insidiato da forze demoniache presenta in modo caratteristico una grande varietà di allucinazioni psicomotorie e visive.

DENATURAZIONE

Processo chimico che modifica la struttura secondaria, terziaria o quaternaria delle proteine rompendone i ponti disolfuro, senza però modificare la composizione e la sequenza degli aminoacidi, cioè senza rompere i legami peptidici.Tale processo ha diverse conseguenze:

- perdita delle attività biologiche della proteina (ad esempio inattivazione degli enzimi)

- coagulazione e aggregazione

- incremento della sensibilità ad altri enzimi litici, come quelli digestivi.

Le cause della d. possono essere: calore, valori estremi di pH e agenti chimici denaturanti. Ad esempio, le proteine alimentari vengono denaturate dalla cottura, e rese pertanto meglio aggredibili dagli enzimi intestinali.Azione denaturante è svolta anche dalla secrezione acida dello stomaco.

DENDRITE

Ciascuno dei prolungamenti che originano dal citoplasma delle cellule nervose e che, in numero variabile a seconda del tipo di cellula, si ramificano in modo più o meno complesso prendendo connessioni con altre cellule nervose. Il complesso dei dendriti costituisce la porzione recettrice della cellula, che riceve gli stimoli a essa diretti, provenienti da altre cellule nervose, o da recettori sensitivi o sensoriali.

Ogni cellula nervosa è poi dotata di un altro prolungamento, in genere unico e molto lungo, detto neurite, specializzato nella conduzione e trasmissione degli stimoli originati nella cellula e diretti ad altre cellule nervose o a organi effettori (muscoli, ghiandole ecc.). Da un punto di vista funzionale i dendriti rappresentano la maggior parte della superficie recettrice del neurone, ricevendo per mezzo di sinapsi impulsi nervosi dalle terminazioni di altri neuroni con cui sono correlati.

Nell’insieme, quindi, il sistema dei dendriti svolge un compito fondamentale nell’attività più caratteristica del neurone, quella di integrazione delle informazioni che vi giungono attraverso le terminazioni afferenti.

DENERVAZIONE

Interruzione delle connessioni nervose. Normalmente un muscolo si contrae in risposta a uno stimolo trasmesso dal nervo. Se si taglia il nervo si ha l’atrofia del muscolo e la comparsa di uno stato di eccitabilità anormale che si manifesta con fini contrazioni irregolari di singole fibre (fibrillazione).

DENGUE

Malattia infettiva acuta, diffusa soprattutto nei paesi tropicali e subtropicali (Asia sud-orientale, Indonesia, Pakistan), provocata da un virus appartenente al gruppo dei Togavirus, che viene trasmesso all’uomo dalla puntura di diverse specie di zanzare appartenenti al genere Aedes (soprattutto alla specie Aedes aegypti).

La malattia ha in genere carattere epidemico e si manifesta dopo alcuni giorni di incubazione con la comparsa di febbre elevata, dolori muscolari e articolari, cefalea, ed eruzione cutanea simile a quella del morbillo e della scarlattina. Nelle forme più gravi, soprattutto nei bambini, può anche verificarsi la comparsa di emorragie cutanee o intestinali, con shock. Il decorso della malattia è di solito benigno, con regressione dei sintomi in 7-8 giorni.

Terapia
Si basa sull’impiego di sedativi e antinevralgici. La profilassi richiede sia la lotta alle zanzare, sia l’isolamento dei soggetti malati, per evitare che essi vengano punti con conseguente possibile diffusione del virus.

DENSITOMETRIA OSSEA

Tecnica diagnostica chiamata anche mineralometria ossea computerizzata (MOc) per l’accertamento del grado di mineralizzazione delle ossa nelle malattie caratterizzate da osteoporosi. Il metodo si basa sul calcolo della massa minerale media di un osso misurando la diversa intensità con cui vengono arrestati i fotoni emessi da un isotopo radioattivo (iodio o americio) la misurazione, effettuata tramite un computer, viene condotta a livello del terzo distale dell’avambraccio, del collo del femore e della colonna vertebrale e dà risultati più sicuri della semplice radiografia, che mostra alterazioni evidenti solo quando la perdita di minerali è notevole. Alla d. ossea viene anche associata la risonanza magnetica nucleare, che pure fornisce buone immagini.

La malattia osteopenica e osteoporotica si riconosce ai raggi per l’esistenza di un’aumentata trasparenza con o senza crolli vertebrali. L’assottigliamento delle corticali delle ossa lunghe tubolari è un altro segno dell’osteoporosi generalizzata. Oggi la condizione d’osteoporosi viene meglio definita misurando la massa ossea (mineralometria) per mezzo di metodiche non invasive di densitometria fotonica computerizzata oppure a doppio raggio fotonico, o ancora con la densitometria a raggi X a doppia energia.Questa metodica impiega sorgenti radioisotopiche o a raggi X con duplice emissione fotonica. Con la prima tecnica si esegue il rilevamento minerale a livello del polso dove le ossa sono più superficiali con la seconda anche a livello della colonna vertebrale perché possono essere indagati anche segmenti ossei circondati da abbondanti parti molli.L’esame è controindicato in gravidanza, nel caso si usino metodiche che implicano l’impiego di radiazioni.Al termine dell’esame il paziente può riprendere subito le abituali occupazioni.I risultati sono pronti entro 24 ore.

DENTATO, muscolo

Muscolo del dorso, suddiviso in due gruppi separati, quello superiore e quello inferiore, che prendono origine dalle vertebre toraciche e lombari rispettivamente, per inserirsi sulle coste posteriormente.

DENTATURA

Complesso degli elementi dentali impiantati nei processi alveolari delle ossa mascellari: in rapporto al processo di dentizione si distinguono una d. decidua e una d. permanente.Nella d. decidua o temporanea o di latte si osservano 10 denti per ogni arcata: 4 incisivi, 2 canini e 4 molari  in quella permanente si osservano 16 denti per ogni arcata: 4 incisivi, 2 canini, 4 premolari e 6 molari.

I denti incisivi sono caratterizzati dalla forma piatta, tagliente, a scalpello, propria della corona. Questa è invece di forma conica e a punta nei denti canini. Incisivi e canini hanno un’unica lunga radice. La struttura dei denti premolari e molari è più complessa: essi sporgono di poco dalla mucosa e la loro corona è provvista di numerose cuspidi più o meno aguzze, atte a triturare i cibi. La radice è semplice e larga, con una divisione incompleta nei premolari, multipla nei molari. Generalmente l’eruzione degli ultimi molari è ritardata essi, detti anche denti del giudizio, a volte non sono perfettamente formati o, caso tutt’altro che raro, mancano del tutto.

DENTE DECIDUO

(O dente di latte), d. che appartiene alla dentatura decidua o temporanea o da latte. Si differenzia dal d. permanente per il suo volume inferiore (1/3 ca.), il colore più chiaro, una corona più bombata con un cercine più caratteristico in corrispondenza del colletto, dove termina il rivestimento di smalto.

DENTE

Organo di forma allungata, deputato al taglio e alla masticazione degli alimenti solidi, disposto sulle arcate dentarie delle ossa mascellari. I denti nel loro insieme costituiscono un complesso sistema che, mediante la triturazione e l’insalivazione, prepara il cibo, iniziandone la digestione fin dal primo momento della sua introduzione nella cavità orale.I denti, in particolare, sono le strutture della bocca che intervengono nella funzione masticatoria e nella fonazione. Inoltre, essi hanno grande importanza nell’influenzare l’aspetto estetico del viso infatti, a seconda della loro presenza od assenza, della loro forma, del loro numero, del loro colore, del loro stato igienico e di salute, possono alterare e mutare la fisionomia, denunciando, persino, aspetti del carattere, dell’educazione e talora economici dell’individuo.In condizioni definitive di sviluppo, il d. è costituito principalmente da una massa di particolare tessuto osseo, la dentina, che si differenzia dal tessuto osseo che compone lo scheletro per il fatto di essere priva di cellule è composta da una sostanza fondamentale ricca di fibre collagene e di sali di calcio: le fibre sono disposte in modo da formare lamelle orientate parallelamente alla superficie del d.

All’interno della dentina è scavata una cavità, detta cavità pulpare, che contiene la polpa del d., un tessuto connettivo ricco di vasi sanguigni e di nervi. La cavità pulpare è tappezzata da uno strato di cellule, gli odontoblasti, da cui dipende la formazione della dentina essi inviano sottili prolungamenti del loro citoplasma in canalicoli diretti radialmente per tutto lo spessore della dentina.Esternamente la dentina è rivestita dallo smalto in corrispondenza della corona (parte del d. che sporge nella cavità boccale), e dal cemento in corrispondenza della radice (parte del d. affondata nelle ossa mascellari). Lo smalto costituisce il tessuto più duro dell’organismo, ed è composto per il 95% da sali inorganici di calcio (fluoroapatite) e per il 5% soltanto da acqua e sostanze organiche il cemento è una varietà di tessuto osseo. Sul cemento si inserisce un sistema di fibre chiamate nel loro complesso periodonto, che fissano il d. nella corrispondente cavità dell’osso mascellare. L’apice della radice è attraversato da canalicoli che danno passaggio a vasi sanguigni e a nervi diretti alla polpa.I denti si formano nel corso dello sviluppo embrionale da altrettanti abbozzi, ciascuno dei quali risulta composto da due parti.La prima parte prende il nome di organo dello smalto, in quanto le cellule dello strato profondo, dette ameloblasti, producono questa particolare sostanza la seconda parte è denominata papilla dentaria, e darà origine alla polpa. I denti sono alloggiati in cavità dette alveoli scavate nelle ossa mascellari e sono tenuti in posizione dalla mucosa, detta gengiva, che si inserisce al punto di passaggio tra corona e radice (colletto), e dalle fibre del periodonto.

DENTINA

Particolare varietà di tessuto osseo, detto avorio, che costituisce la componente più importante del dente. In condizioni definitive di sviluppo, la d. costituisce la parte principale del dente si differenzia dal tessuto osseo che compone lo scheletro per il fatto di essere priva di cellule è composta da una sostanza fondamentale ricca di fibre collagene e di sali di calcio: le fibre sono disposte in modo da formare lamelle orientate parallelamente alla superficie del dente.

DENTIZIONE

Fenomeno che consiste nella comparsa o eruzione dei denti. Nel secondo mese della vita endouterina, nello spessore degli abbozzi fetali delle ossa mascellari si accumulano piccole masse di tessuto epiteliale, dovute alla proliferazione dell’epitelio buccale e dette germi dentari. Sono i primi abbozzi dei futuri denti da latte, chiamati più esattamente decidui perché sono destinati a cadere, per lasciare il posto a quelli che poi formeranno la dentatura definitiva dell’adulto, cioè ai denti permanenti. I germi dentari si sviluppano progressivamente, aumentano di volume, si arricchiscono di sali minerali, calcio e fosforo che li rendono duri, e prendono la forma caratteristica propria del dente al quale ognuno di essi dà origine. Nel frattempo, alla base dei denti decidui si sviluppano gli abbozzi dei denti permanenti, i quali, crescendo a loro volta, spingono i primi verso la superficie della gengiva e poi all’esterno.I primi a spuntare, sono gli incisivi centrali inferiori, che di solito compaiono insieme o a brevissima distanza l’uno dall’altro, seguiti poi dai superiori, dagli incisivi laterali, dai primi molari, dai canini e dai secondi molari. A trenta mesi il bambino ha venti denti, ha cioè completato la sua prima dentatura, composta esclusivamente da denti da latte. La comparsa del primo dentino, che in genere avviene intorno al settimo mese, è un avvenimento abbastanza importante nella vita del bambino. Tale periodo, fissato come normale, è naturalmente approssimativo: se a nove mesi il bambino è ancora senza denti, la mamma non ha ragione di preoccuparsi poiché un ritardo, anche di tre mesi, è del tutto normale.Estendendo al massimo i limiti di tempo, possiamo dire che a un anno il primo dente da latte deve essere spuntato. Soltanto un ulteriore ritardo può mettere in allarme e in tal caso è necessario ricercarne la causa, che spesso è riconosciuta in un disturbo più generale, legato a un’alimentazione sbagliata, a insufficiente apporto di vitamina D oppure a malattie dovute a disfunzione delle ghiandole endocrine. Gli incisivi centrali inferiori possono qualche rara volta essere presenti già alla nascita o comparire poco dopo. Sono i cosiddetti denti natali, che di solito sono in soprannumero rispetto a quelli da latte e crescono molto deboli, con lo smalto rovinato e senza radici.Cadono da soli, ma diventa necessario toglierli, senza che il lattante ne soffra, quando ostacolano la suzione al seno oppure quando sono malfermi, per evitare che il bambino inavvertitamente li inghiotta.Un dente, per spuntare all’esterno, deve farsi strada attraverso il sottile strato di mucosa gengivale che ricopre le ossa mascellari questo lieve trauma a volte disturba il bambino, specialmente quando l’eruzione è piuttosto difficile e si realizza in uno o due giorni, anziché rapidamente come di solito accade. Un sintomo precoce che permette di prevedere l’imminente comparsa dei denti è la salivazione particolarmente abbondante: il bambino sbava in modo insolito (spesso il davanti dei suoi abitini è bagnato di saliva), inoltre porta sempre le mani alla bocca, si succhia il pollice, mette in bocca ogni cosa e schiaccia tra le gengive gli oggetti duri, come se volesse morderli.Nei giorni che coincidono con l’eruzione di un nuovo dente, questi sintomi si fanno molto più accentuati e non di rado si manifesta uno stato di malessere generale. Il piccolo dorme meno, è agitato e irrequieto, piange per un nonnulla e vorrebbe essere coccolato più del solito, rifiuta pappe che fino al giorno prima mangiava volentieri, e talvolta è difficile trovare un alimento che gli sia gradito. Talvolta la temperatura corporea si eleva fino a 38-38,5°C, compare qualche scarica diarroica non giustificata da alcuna forma d’infezione intestinale. Le gengive sono arrossate, sul bordo si può vedere un piccolo punto bianco, simile a un granellino di riso, circondato dalla mucosa lievemente tumefatta e un po’ dolente.Non appena il dentino è spuntato i disturbi scompaiono, e tutto ritorna come prima. Non è necessaria alcuna terapia specifica una crosta di pane secco o un anello di osso da schiacciare tra le gengive potranno distrarre il bambino e gli serviranno anche per accelerare l’eruzione del dente. Talvolta può essere utile applicare sulle gengive liquidi appositi ad azione decongestionante e analgesica, soprattutto nei più piccini, per non compromettere, un tranquillo riposo notturno.Questi sintomi in alcuni bambini accompagnano costantemente la nascita di un nuovo dente e, non essendo giustificati dalla presenza di una vera malattia, si interpretano come una reazione dell’organismo all’eruzione dentaria.
Tuttavia anche se si tratta di manifestazioni benigne, essi vanno considerati sempre con una certa attenzione, e soprattutto con buon senso, per evitare di cadere nell’errore della vecchia credenza popolare, secondo la quale, nell’età della prima d., tutti i malesseri sono da attribuire ai denti: cosi facendo si può infatti correre il rischio di non riconoscere una malattia. Troppo spesso i denti da latte, appunto perché temporaneamente presenti e destinati a cadere, sono trascurati.Non va dimenticato però che essi non servono al bambino solamente per masticare, ma sono anche necessari, specialmente i primi molari, perché le arcate dentarie si affrontino in modo perfetto. Una regolare disposizione dei denti è indispensabile per dare al viso un aspetto piacevole e per rendere la masticazione facile ed efficace. I denti decidui sono lievemente distanziati l’uno dall’altro questa disposizione non è casuale, ma ha lo scopo di “tenere il posto” ai denti permanenti, grossi e più numerosi (32 anziché 20) la cui eruzione inizia a 6-7 anni.Da tutto ciò si capisce l’utilità dei primi denti, l’importanza di dedicare a essi particolare attenzione e quanto sia errato toglierli precocemente con la convinzione di favorire in tal modo lo sviluppo dei denti permanenti.I primi denti compaiono a 6-8 mesi l’eruzione avviene di solito nel seguente ordine: 6°-8° mese, incisivi mediani inferiori 8°-10° mese, incisivi mediani superiori 12°-14° mese, incisivi laterali superiori e inferiori entro il 24° mese, i primi molari e i canini entro i 2 anni e mezzo, i secondi molari. Gli incisivi centrali inferiori possono essere presenti già alla nascita o comparire poco dopo (denti natali). I denti decidui sono più piccoli, più arrotondati, più lisci e presentano un colore più bianco dei denti permanenti. A 6 anni inizia la seconda d. detta permanente, perché costituita da denti che formano la dentatura definitiva essa consta di 32 denti, il primo dei quali, e precisamente il primo molare superiore, compare a 6-7 anni, seguito dall’incisivo mediano superiore. Gli incisivi laterali superiori spuntano tra gli 8 e i 10 anni, e tra i 9 e gli 11 spunta il canino inferiore, seguito dal primo e dal secondo premolare e dal secondo molare. Il primo premolare spunta intorno agli 11 anni e il canino superiore intorno ai 12, e infine a 18-20 anni, talvolta anche verso i 30, gli ultimi molari, comunemente detti denti del giudizio.Un dente, per spuntare, deve farsi strada attraverso lo strato di mucosa gengivale questo lieve trauma, a volte, disturba il bambino, che non di rado accusa un malessere generale: è irrequieto, dorme poco, piange, rifiuta di mangiare. A volte compaiono anche febbre e diarrea. I disturbi tuttavia sono transitori e non richiedono una terapia specifica. Un ritardo nella eruzione dei denti può essere dovuto, oltre che a fattori costituzionali, anche a difetti di sviluppo, rachitismo, malnutrizione, disfunzioni endocrine.

DENUNCIA SANITARIA

Atto con cui il medico ha l’obbligo di informare determinate autorità di alcuni fatti relativi alla sanità pubblica, da lui osservati nell’esercizio dell’attività professionale. L’art. 103 del testo unico delle leggi sanitarie del 27 luglio 1934 n. 1265 sancisce che sono obbligatorie le seguenti denunce: denuncia di nascita  denuncia della nascita di infante deforme  denuncia delle cause di morte  denuncia di tutti i fatti che possono interessare la sanità pubblica  denuncia di malattia infettiva e diffusiva o sospetta di esserlo  denuncia degli infortuni agricoli  denuncia delle malattie professionali  denuncia delle vaccinazioni antitifiche, antidifteriche e antipoliomielitiche eseguite  denuncia degli apparecchi radiologici  denuncia dei trattamenti terapeutici atti a causare la sterilità nella donna  denuncia dei casi di lesione, per qualunque causa acquisita, che siano o possano produrre una invalidità al lavoro, permanente, anche se parziale. L’omissione della d. sanitaria è in genere punita con un’ammenda.

DENUTRIZIONE

Stato di generale scadimento dell’organismo a seguito di ipoalimentazione, digiuno, disturbi dell’apparato digerente che non consentono un normale assorbimento degli alimenti. Mancando l’apporto dei materiali nutritivi necessari, l’organismo sopperisce ai fabbisogni del metabolismo utilizzando le riserve accumulate nei tessuti vengono consumati, nell’ordine, il tessuto adiposo, il tessuto epatico, il sangue, il tessuto muscolare (il tessuto nervoso non diminuisce neppure negli stadi di estremo dimagramento).Contemporaneamente si ha un rallentamento dei processi anabolici e catabolici, più pronunciato per i primi. Il corpo può perdere, nello stato di d., fino al 40% del proprio peso una perdita più elevata non è compatibile con la vita.

La d. è responsabile, oltre che di varie avitaminosi, di una malattia frequente nei paesi tropicali (kwashiorkor) che colpisce i bambini di 1-3 anni di alcune popolazioni che, nutrendosi prevalentemente di vegetali, introducono una quantità di proteine insufficiente al loro sviluppo.Per mezzo di indagini piuttosto complesse, possiamo distinguere il magro sano dal dimagrito per cause patologiche (denutrito) valutando la distribuzione dell’acqua corporea e la massa dei distretti metabolicamente attivi dell’organismo: cioè la massa magra e la massa grassa. Nel magro costituzionale si nota una normalità assoluta. Il dimagrito, oltre ad avere troppo poco grasso ha una massa magra scarsa e una eccessiva quantità di acqua maldistribuita, nel senso che è troppo abbondante l’acqua extracellulare (quella contenuta nel sangue, nella linfa e negli interstizi fra le cellule) specie nel sangue, dove a una quantità relativamente abbondante di plasma fa riscontro una riduzione dei globuli rossi.Spesso gli anziani riducono in modo preoccupante la loro alimentazione, fino a presentare stati di d.La causa è in genere psicologica: il vecchio, talvolta, trovatosi solo, perde l’appetito perché in sostanza perde la voglia di vivere, si racchiude in se stesso e col tempo appassisce, quasi senza rendersene conto. Altre volte la cessazione dell’attività lavorativa oppure la vita presso parenti che lo trascurano, o dai quali crede di essere trascurato, oppure l’essere ricoverato in ospizi per vecchi deprime l’anziano che perde interesse per la vita.

DEODORANTE

Sono detti deodoranti i prodotti attivi contro gli odori corporei che agiscono in senso antibatterico, lasciando immodificata la quantità di sudore. I più usati sono i sali di ammonio quaternario, l’irgasan, l’actamer, l’anobial, la TCC, il fenolsulfonato di zinco, il DCMX, le salicilanidi. Le più comuni preparazioni di deodoranti sono di diverso tipo:

- Liquidi. Si tratta di soluzioni acquose o idroalcoliche. Si applicano sulla pelle per mezzo di dosatori a sfera (roll-on). Il principio attivo è generalmente costituito da cloroidrossilattato di alluminio, che ha azione astringente e antibatterica.

- Stick. È, insieme allo spray, la formulazione più diffusa. Il primo deodorante stick venne messo in commercio nel 1928 ed era a base di acido borico e ossido di zinco. Alle soluzioni idroalcoliche, la gelidificazione è conferita dallo stearato di sodio: si ottengono in tal modo gli stick alcolici. Gli stick analcolici sono a base di glicole propilenico e butilenico non danno lo stesso senso di freschezza degli alcolici ma sono più tollerati dalle pelli delicate. Gli stick possono avere azione deodorante o antitraspirante.

- Polveri. Le polveri aspersorie sono generalmente usate per asciugare l’umidità della pelle dopo il bagno. Esse sono costituite da talco, amido, ossido di zinco, carbonato di magnesio variamente combinati, usati insieme o separatamente. Aggiungendo prodotti antibatterici o astringenti si ottengono polveri deodoranti e antitraspiranti, il cui uso è però limitato alle estremità inferiori.- Spray. Sono largamente usati, sia in veicolo alcolico che analcolico. Sono costituiti da cloridrato impalpabile di alluminio da solo o miscelato ad altre sostanze.

DEONTOLOGIA MEDICA

Insieme di principi e norme che regolano la professione medica nei suoi aspetti etico-sociali e nei suoi riflessi legali. Si tratta di una materia solo parzialmente scritta e di incerta delimitazione: la tendenza più recente è portata infatti a escludere dalla deontologia quegli obblighi che già sono sanciti dalla legge comune. In Italia questa materia è stata raccolta in un Codice deontologico a cura della Federazione degli ordini dei medici nel 1953, più volte aggiornato: l’ultima versione è del 1998.

DEPERSONALIZZAZIONE

Processo per cui l’individuo perde il senso della realtà e si sente estraniato dalla propria persona. I sintomi più comuni avvertiti dal soggetto sono: stati improvvisi di confusione, disorientamento spazio-temporale, un sentirsi spettatore. La d. può essere temporanea e consentire talvolta l’assunzione di un più preciso senso di realtà. Qualora coincida con un Super io troppo forte, conduce alla impossibilità di vivere e godere dei propri istinti dando luogo ad angoscia e aggressività. Causa di ciò sono spesso gli altri, le sconfitte in amore, nell’amicizia, nel lavoro. Gli stati più gravi sono presenti nella schizofrenia.

DEPILAZIONE

Asportazione dei peli del corpo effettuata a scopo terapeutico, profilattico o estetico. La d. può essere attuata con vari mezzi: estrazione meccanica, chimica (ambedue eliminano solamente il pelo, lasciando intatto il follicolo pilifero, dando luogo pertanto a una d. temporanea) distruzione del follicolo mediante elettrolisi o diatermocoagulazione, consentendo una d. permanente.

DEPISTAGE

Termine introdotto nel linguaggio medico per indicare la ricerca sistematica, in una popolazione più o meno estesa, dei soggetti affetti da una determinata malattia, soprattutto allo scopo di individuarne le forme iniziali e asintomatiche, a scopi di ricerca epidemiologica o per istituire una diagnosi precoce e una terapia tempestiva ed efficace. I soggetti interessati, che vengono individuati in genere per mezzo di esami semplici e di facile esecuzione, sono successivamente studiati con tecniche di indagine diagnostica più approfondite.Tra gli esempi più comuni di d. si possono annoverare quello della tubercolosi (mediante esame schermografico del torace o col test alla tubercolina), quello del cancro del collo dell’utero (mediante il Pap-test) o quello del cancro della mammella (autopalpazione e mammografia).

DEPOLARIZZAZIONE

Termine usato per indicare la perdita di polarizzazione delle membrane biologiche. Quando il potenziale di membrana viene ridotto a un certo valore (soglia), per esempio per effetto di uno stimolo elettrico, si innesca nella membrana un ciclo di fenomeni che determina l’insorgenza e la propagazione del potenziale d’azione. Se la d. non raggiunge la soglia (stimolo sottoliminale), determina ugualmente uno stato di aumentata eccitabilità.

DEPOT

Letteralmente deriva dalla lingua francese e significa deposito. In medicina viene riferito a particolari formulazioni di farmaci che consentono l’accumulo nei tessuti ed il graduale rilascio nel tempo della sostanza terapeutica somministrata. Il farmaco quindi è disciolto in particolari veicoli oleosi che ne consentono lo stoccaggio nel tessuto muscolare (tramite iniezione intramuscolare profonda) o nelle mucose (mediante ovuli).Alcuni esempi sono: analoghi del GnRH a somministrazione intramuscolare mensile o trimestrale, psicofarmaci a somministrazione intramuscolare mensile, estrogeni intravaginali a somministrazione settimanale.

DEPRESSIONE

Particolare stato psicologico caratterizzato dalla presenza di ansia, incertezza, sfiducia in se stessi, paura del futuro. La d. si accompagna a numerose forme psicopatologiche, ed è uno dei sintomi più appariscenti delle psicosi maniaco-depressive. La presenza della d. non può però essere sempre rapportata alla malattia mentale. Nella vita quotidiana si incontra spesso il dolore, e con esso la frustrazione, l’insuccesso, la difficoltà a comunicare e a stabilire rapporti con altri. In tali occasioni non è raro il verificarsi di una reazione di tipo depressivo. In soggetti normali e sufficientemente equilibrati, la d. si presenta come effetto e conseguenza di eventi eccezionali che possono andare dal lutto per la scomparsa di una persona cara alla perdita del posto di lavoro. In soggetti predisposti a instabilità di umore, la d. può essere prodotta anche da eventi contrari normalmente giudicati ordinari e comuni. In ogni caso una reazione depressiva non può essere collegata al verificarsi di un singolo evento traumatico: in questo caso infatti la d. tenderà a essere di breve durata e a risolversi facilmente. Il problema nasce allorché ci si viene a trovare di fronte a una personalità già predisposta: in questo caso l’evento traumatico diviene il catalizzatore che favorisce l’insorgere di uno stato depressivo permanente. Il superamento e la risoluzione positiva dell’evento stesso non sono più sufficienti per riportare la serenità e l’equilibrio.La d., in diversi gradi di intensità, è molto diffusa e spesso è mascherata dalla presenza di altri sintomi psicopatologici. Non è raro incontrare alcolisti che sono divenuti tali tentando di fuggire la d. rifugiandosi nell’euforia alcolica. Numerose morti, apparentemente accidentali, possono ricondursi a un gesto disperato compiuto nel corso di una crisi depressiva. Tanti incidenti possono in realtà essere altrettanti suicidi o tentativi di suicidio.La sindrome depressiva è un disturbo psichico che fa parte dei disturbi dell’umore ed è caratterizzata da ripercussione su vari aspetti psichici e somatici.È ridotto il tono dell’umore, qualitativamente diverso dal comune senso di tristezza, comportando lamentosità, facile irritabilità, senso di vuoto interiore, angoscia, apprensione negativa e sono ridotti l’interesse o il piacere ricavati dalle abituali attività quotidiane (anedonia) sono presenti disturbi psicomotori costituiti da rallentamento psicomotorio, con difficoltà a concentrarsi, pensare, indecisione, riduzione dei movimenti spontanei, eccessiva stanchezza, con ridotta efficienza o inabilità lavorativa.Disturbi cognitivi si configurano in una valutazione pessimistica di sé, del mondo, del proprio futuro e rilettura in chiave negativa del proprio passato, con conseguente bassa autostima, autoaccusa, perdita di speranza, pessimismo, ricorrenti pensieri di morte e di suicidio, ecc.Disturbi somatici consistono in modificazione dell’appetito (spesso scarso) e del peso corporeo, alterazioni del sonno (per lo più insonnia con risveglio precoce), disregolazioni circadiane (alterazione della temperatura corporea e dei ritmi di secrezione ormonali), dolori localizzati in diversi distretti corporei, difficoltà digestive, alterazioni del ciclo mestruale, riduzione del desiderio sessuale, ecc.Elementi psicotici possono comparire in alcune forme depressive nel senso che compare in esse un disturbo del pensiero che può assumere caratteristiche deliranti, con contenuto congruo o incongruo con il tono dell’umore, con la presenza o meno di fenomeni allucinatori, per lo più di tipo uditivo.La d. è un disturbo presente in ogni età e si manifesta in modo diverso e peculiare in rapporto all’età Nell’infanzia è possibile che la depressione si presenti anche con difficoltà scolastiche, irritabilità, agitazione psicomotoria, sintomi somatici, fobie e, raramente, allucinazioni uditive.Nell’adolescenza l’umore è prevalentemente irritabile, associato a ipersensibilità ai rifiuti.Nell’anziano sono possibili quadri con accentuati sintomi somatici, di tipo cenestopatico-ipocondriaco, oppure forme con marcate alterazioni cognitive tali da simulare un quadro demenziale (Pseudodemenza).Forme cliniche della depressione- Depressione bipolare o psicosi maniaco-depressiva: forma in cui episodi depressivi maggiori si alternano a episodi maniacali o ipomaniacali.- Depressione unipolare: categoria costituita da quadri depressivi che non si alternano a episodi maniacali o ipomaniacali.- Disturbo depressivo maggiore: è la forma clinica di depressione grave descritta dalla classificazione internazionale (il cosiddetto DSM-IV), in cui un numero definito di sintomi è presente per almeno 2 settimane e di gravità tale da compromettere in maniera significativa il funzionamento dell’individuo.
Può avere caratteristiche catatoniche, atipiche, melancoliche , può esordire nel post-partum nel disturbo depressivo maggiore può prevalere ora l’uno ora l’altro degli aspetti psichici ed anche fisici che possono caratterizzare una sindrome depressiva. Ad esempio, nella Depressione mascherata il sintomo depressivo viene presentato, da parte del paziente, con proposizione di sintomi somatici in assenza di una patologia organica, mentre nella Pseudodemenza depressiva sono preponderanti i disturbi cognitivi (alterazioni della memoria, della concentrazione) a livello tale da poter simulare un quadro demenziale. Di particolare interesse è la forma con esordio nel post-partum che compare entro un mese dal parto, con possibile presenza di deliri, spesso riferiti al neonato (ad es., posseduto dal demonio), ideazione suicidaria, agitazione psicomotoria, rischio di infanticidio. L’andamento nel tempo del disturbo depressivo maggiore è variabile, il disturbo può presentarsi come unico episodio nel corso della vita dell’individuo o ripetersi nel corso del tempo, assumendo un andamento ricorrente, con o senza un recupero completo dei sintomi tra un episodio e l’altro. Il disturbo depressivo maggiore ricorrente può avere un andamento stagionale, con la presentazione degli episodi in relazione precisa con periodi dell’anno, tipicamente l’inverno

Cause
Le cause della d. sono numerose: essa è il sintomo terminale tramite cui si manifestano e emergono più profondi, complessi ed articolati problemi di natura psicologica.Certamente una grande influenza è data dalla famiglia e dall’atmosfera in cui si è stati educati. Anche l’ambiente sociale in cui si vive ha una notevole rilevanza: la presenza di vincoli rigidi ed eccessivi, in particolare se non esplicitati ma vissuti come impliciti e legati a valori morali, può essere un fattore che favorisce la diffusione della d.Anche l’opposto, cioè la riduzione dei vincoli e lo scadimento dei valori morali e culturali, può essere alla base di reazioni depressive. In altri termini, l’eccesso di autonomia affettiva così come la sua riduzione massiccia possono essere egualmente cause scatenanti la d.Molti sono gli studi di tipo neurobiologico tesi a dimostrare il substrato biologico della d. sul quale costruire la base razionale della terapia di tipo farmacologico, da affiancare a quella di tipo psicoterapeutico.Da tali studi sono emersi i seguenti risultati:- Alterazioni neurotrasmettoriali: le amine, quali noradrenalina,serotonina edopamina, sono ridotte in specifiche aree cerebrali. Farmaci potenzianti la trasmissione monoaminergica, in particolare farmaci che modificano selettivamente il metabolismo della serotonina (cosiddetti SSRI), incrementandone i livelli, migliorano i sintomi depressivi la base biologica della depressione è quindi da vedersi come una complessa interazione di sistemi neurotrasmettitoriali, in cui il deficit di un sistema si rifletterebbe su un altro.- Alterazioni a livello endocrino: l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con ipercortisolismo, alterazione del ritmo circadiano della secrezione del TSH.- Alterazioni immunologiche in corso di depressione sono rilevate ed oggetto costante di studio.- Alterazioni cronobiologiche: nel depresso si assiste ad alterazione della “architettura” del sonno e cioè ad una alterazione dei tempi delle varie fasi che lo compongono. La deprivazione di sonno determina un miglioramento della sintomatologia depressiva, peraltro transitorio.A tale eterogeneità di cause possibili corrisponde in qualche modo il fatto che la d. può essere distinta sotto il profilo patogenetico in endogena, esogena o psicogena o reattiva o nevrotica, sintomatica.La Depressione endogena: forma a origine biologica in cui non si evidenzia una relazione comprensibile e sufficiente tra le circostanze della vita del soggetto e la comparsa del disturbo depressivo.Depressione reattiva: forma in cui si evidenziano eventi vitali cui può essere ascrivibile l’esordio del disturbo, la cui origine è correlata alla personalità dell’individuo.Depressione endoreattiva: (Weitbrecht). Stato depressivo che prende avvio come una reazione a eventi causali di tipo psicologico, modificandosi nel tempo e assumendo caratteristiche di tipo endogeno-melancolico, per lo più con tematica di tipo ipocondriaco.Depressione sintomatica: può essere espressione di un sottostante disturbo medico o legata all’assunzione di farmaci.La depressione è particolarmente associata a malattie neurologiche, ad esempio con l’epilessia o con il morbo di Parkinson di cui può anche essere sintomo di esordio alla corea di Huntington o successiva ad un ictus, demenza, sclerosi multipla, neoplasie cerebrali e traumi cranici.
Altre condizioni mediche esprimono sintomi depressivi come sintomo di esordio o in associazione sono endocrinopatie, collagenopatie e malattie infettive.Esempi di farmaci con possibile azione depressogena sul tono dell’umore sono: alcuni contraccettivi, alfametildopa, flunarizina, cinnarizina, sostanze d’abuso, neurolettici, antiblastici.

Terapia
La d. maggiore va incontro a risoluzione spontanea in buona parte dei casi, anche se la durata di tali episodi è tale da compromettere il funzionamento dell’individuo per lungo tempo. La durata di un singolo episodio depressivo maggiore non trattato è in media di 6 mesi, con possibilità di cronicizzazione.Bisogna innanzitutto escludere le cause organiche di d. per cercare di risolvere la d. agendo su queste.In generale è ideale l’approccio integrato che prevede la sinergia di terapia farmacologia e psicoterapia.- La terapia farmacologia mira alla riduzione sintomatologica, alla ripresa del funzionamento psicosociale, alla remissione dell’episodio e alla prevenzione delle ricadute. Utilizza psicofarmaci antidepressivi.Gli ansiolitici non hanno dimostrato, da soli, di essere in grado di risolvere un episodio depressivo. Gli antipsicotici possono peggiorare la sintomatologia, ma anche essere utilizzati in forme specifiche (ad es., depressione psicotica) in associazione con antidepressivi. La farmacoterapia antidepressiva deve essere condotta a dosaggio corretto e per un tempo adeguato, almeno di 3-6 mesi. In alcuni casi (ad es., depressione cronica o ricorrente) può essere opportuna una terapia di mantenimento più protratta. Alcune forme rispondono a trattamenti specifici, nella forma stagionale, la terapia con luce brillante bianca ( Light therapy).La farmacoterapia è il trattamento di prima scelta nelle forme depressive maggiori, in particolare se di grado moderato-severo. - La Psicoterapia mirate alla risoluzione di aspetti peculiari e specifici della sindrome depressiva, quali struttura di personalità (terapia psicodinamica), relazioni sociali (terapia interpersonale), modificazione del comportamento (terapia comportamentale), modificazione della visione di se stessi, del mondo e del futuro (terapia cognitiva o cognitivo-comportamentale).- La terapia elettroconvulsivante (TEC) è utilizzata come trattamento di particolari forme depressive psicotiche, endogene, non rispondenti alla terapia farmacologia e che presentano gravi controindicazioni all’impiego dei farmaci.

DERCUM, malatia di

(Prende il nome da Francis Xavier Dercum, medico statunitense – Filadelfia 1865-1931).

DEREALIZZAZIONE

Disturbo della coscienza della realtà esterna. Il paziente avverte tutto ciò che lo circonda come strano, irreale. Tale disturbo è presente, associato o meno alla depersonalizzazione, nelle sindromi depressive e nella schizofrenia. Mayer-Gross riserva appunto questo termine a quei casi in cui il senso di strana ed estranea metamorfosi si riferisce al mondo esterno, preferisce invece il termine di “depersonalizzazione” per quei mutamenti che interessano il Sé.

DERIVAZIONE CHIRURGICA

Termine che si applica genericamente a tutti gli interventi chirurgici che si propongono di deviare il flusso di un liquido organico (ad esempio sangue o liquido cerebrospinale) allo scopo di superare un ostacolo e di ridurre la pressione in un determinato sistema. La derivazione può essere creata facendo defluire il liquido all’esterno oppure, all’interno dell’organismo, in un viscere appartenente possibilmente allo stesso sistema o apparato (ad esempio: derivazione o shunt portosistemico in caso di ipertensione del sistema venoso portale oppure derivazione ventricolo-peritoneale in caso di idrocefalo).

DERMA

Strato di tessuto connettivo fibroso che costituisce la parte profonda della pelle. È situato al di sotto dell’epidermide, dalla quale risulta separato da una sottile membrana (membrana basale), mentre nella sua parte più profonda è a contatto con il tessuto adiposo sottocutaneo.Dal d. dipende l’elasticità e la robustezza della cute esso inoltre dà passaggio a vasi sanguigni, vasi linfatici, nervi, e contiene particolari formazioni, dette annessi cutanei, che si sviluppano dall’epidermide: peli, ghiandole sebacee e ghiandole sudoripare. Vi sono infine contenute terminazioni nervose specializzate nella raccolta e trasmissione delle sensazioni percepite a livello della cute.Il d. ha uno spessore variabile da 1/2 a 3 mm la sua parte più superficiale è detta strato papillare in quanto presenta delle rilevatezze a forma di papille, che si ingranano in corrispondenti infossamenti nella faccia profonda dell’epidermide.Le papille del d. si insinuano fra gli zaffi intrapapillari dell’epidermide, creando una struttura complessa formata da due parti strettamente connesse fra loro. Nel d. papillare sono contenuti i vasi capillari sotto forma di eleganti anse, nonché le terminazioni nervose.La parte profonda del d., detta strato reticolare, differisce dallo strato superficiale in quanto ha struttura più compatta. La struttura che entra maggiormente nella composizione del d. è costituita dalle cosiddette fibre collagene. Seguono le fibre elastiche e le fibre reticolari. Le fibre collagene sono formate da fibrille elementari, le quali, osservate al microscopio elettronico, dimostrano la presenza di bande trasversali che si susseguono a intervalli regolari. Si tratta di una struttura definita periodica, in quanto le bande trasversali si succedono regolarmente con una sequenza caratteristica. Le fibre elastiche sono immerse fra le fibre collagene e hanno spesso un andamento “a molla”, o a cavaturacciolo: la loro funzione sarebbe quella di assicurare la normale elasticità alla cute. Le fibre reticolari sono finissime e abbisognano, per essere evidenziate, di particolari metodiche di colorazione, piuttosto complesse, durante le quali si deve realizzare la cosiddetta “impregnazione argentica del reticolo”. Queste fibre formano una specie di graticciata molto fine, avente funzione di sostegno. Fra le fibre si trovano alcune cellule, quali i fibroblasti, i macrofagi, ai quali si addice una funzione fagica, o di captazione di particelle nocive, microbi ecc. e i mastociti, deputati alla formazione di eparina e istamina ecc. (sostanze con azione anticoagulante e vasodilatante).Il d. può essere sede di processi patologici di varia natura, quali processi infiammatori, processi degenerativi a carico delle fibre, accumulo abnorme di sostanze diverse, tumori benigni, maligni, primitivi o metastatici.

DERMATITE

Malattia della pelle caratterizzata dalla presenza di un processo infiammatorio acuto o cronico che ha sede nel derma. Tale processo infiammatorio può avere caratteri diversi quanto a estensione, tipi di cellule presenti, sede (nel derma superficiale o in quello profondo, attorno ai vasi o in rapporto con gli annessi cutanei ecc.). L’epidermide può partecipare secondariamente al processo e manifestare alterazioni di vario tipo quali ipercheratosi, iperplasia, edema, formazione di vescicole, di bolle, di croste ecc.

Possono determinare la comparsa di una d. fattori assai diversi, quali agenti chimici o fisici (d. da contatto), infezioni batteriche, fenomeni allergici (d. atopica), ipersensibilità a farmaci spesso la causa rimane sconosciuta. Le dermatiti comprendono quindi affezioni molteplici, con manifestazioni cliniche assai variabili, localizzate o generalizzate, a volte associate a malattie generiche dell’organismo, o con caratteri tali da integrare il quadro di sindromi cliniche caratteristiche. Anche la loro gravità può essere variabile: da affezioni fastidiose ma non pericolose (quali per es. gli eczemi o l’orticaria), fino a forme che per il contemporaneo interessamento di strutture viscerali importanti possono avere una evoluzione assai grave (per es. le vasculiti necrotizzanti o l’eritema multiforme).

DERMATITE ATOPICA

Il 16% degli eczemi è rappresentato dalla d. atopica essa ha un andamento bifasico: la prima fase inizia nell’infanzia (durante il primo anno di vita) e si risolve spontaneamente verso il secondo la seconda si manifesta quasi sempre verso l’età scolare o la pubertà.

Cause
Mentre per la d. da contatto è facile riconoscere l’agente responsabile in una sostanza allergizzante, cui il malato si è ripetutamente esposto (resine sintetiche, oli, benzine, detersivi ecc.), nella d. atopica il contatto con sensibilizzanti non è determinante e il meccanismo responsabile del suo insorgere è complesso. Esiste un fattore costituzionale, cioè proprio di un individuo, che condiziona l’insorgere della malattia, chiamato con il termine atopia. I malati di d. atopica sono ipersensibili ad ogni stimolo cutaneo e questo stato di ipersensibilità è dovuto a particolari anticorpi. Non solo gli eczematosi costituzionali, ma anche i soggetti sofferenti di asma e di riniti allergiche (per esempio il raffreddore da fieno), presentano la stessa base predisponente (fattore costituzionale) che favorisce, talvolta, l’insorgere contemporaneo o successivo di queste tre malattie si realizza così la cosiddetta atopia. Le manifestazioni della d. atopica, inoltre, possono essere scatenate dalle più svariate cause: turbe digestive, errori dietetici, fattori nervosi, emozioni, particolari situazioni endocrine (pubertà, gravidanza, menopausa), cure locali irrazionali. Lunghi periodi di benessere (mesi, anni) separano gli episodi eruttivi della d. atopica e, talvolta, è possibile ricostruire un ritmo stagionale (invernale o primaverile), tipico di ogni soggetto.

Sintomi
Le prime manifestazioni cutanee compaiono precocemente: secondo i pediatri non prima del terzo mese, ma sono state segnalate anche nelle prime sei settimane di vita. Esse sono localizzate prevalentemente al viso e alle guance. Si tratta di chiazze arrossate, modicamente rilevate, con una superficie disseminata di fenditure piccolissime, di vescicolette, la cui rottura lascia fuoriuscire un essudato, seguito dalla formazione di una crosta bianco-giallastra che, quando la malattia è localizzata al cuoio capelluto, unisce in maniera caratteristica i capelli. Quando l’essudato è meno marcato, si formano croste biancastre di varie dimensioni, che si sfaldano in piccoli frammenti. Quasi sempre il quadro clinico è reso più complesso da lesioni secondarie provocate dal grattamento continuo, dovuto all’insopportabile prurito: le chiazze possono divenire sanguinanti, con abrasioni più o meno estese, talora molto ricche di essudato a causa del sovrapporsi di infezioni dovute a germi piogeni. Inoltre, accanto ai due elementi tipici dell’eczema acuto (eritema e vescicole), compaiono, qualora persista lo stimolo da trattamento, papule e una vera e propria lichenificazione. La d. atopica, che dapprima occupa solo il viso, a ondate successive invade il tronco e gli arti sino a interessare tutta la superficie corporea. La comparsa di nuove manifestazioni cutanee è preceduta da un irresistibile prurito, difficile a dominarsi, specialmente nei lattanti, che si grattano e si graffiano così da trasformare la regione interessata in una vasta piaga sanguinante. Nonostante questo esteso interessamento cutaneo, le condizioni generali del lattante sono buone, tanto più che la malattia colpisce prevalentemente soggetti di peso e sviluppo superiori alla norma. In generale, la malattia guarisce spontaneamente verso il secondo anno di vita talvolta si prolunga con le caratteristiche poussées sino alla pubertà. Dopo un periodo di remissione più o meno lungo, spesso addirittura dopo anni di silenzio, la d. atopica ricompare modificata nei caratteri e soprattutto strettamente localizzata in sedi caratteristiche. L’aspetto è quello di una forma lichenificata e comunque non essudativa le sedi tipiche sono le superfici flessorie delle grandi articolazioni. Altro carattere rilevante è la disposizione simmetrica: cavo popliteo, piega del gomito e viso, particolarmente intorno alle labbra. La nota dominante del quadro clinico è rappresentata dalle chiazze di lichenificazione: la cute è ispessita ed è nettamente aumentata la quadrettatura cutanea, che normalmente si osserva sulla cute. Il quadro clinico è spesso complicato dal sovrapporsi di infezioni, dovute a microbi e favorite dal grattamento (comparsa di pustole ed essudazioni). Anche in questo caso, il sintomo più evidente è un prurito molto intenso. Fra le complicazioni è da considerare la sindrome atopica.
L’asma insorge con più frequenza (dal 16,2 al 50%), il raffreddore da fieno si presenta nel 10-20%, mentre assai più rare sono altre sindromi allergiche quali la congiuntivite.

Terapia
L’incertezza della causa e del meccanismo d’azione e, quello che in fondo è più importante, l’imprevedibilità degli episodi eruttivi, rendono problematica la condotta terapeutica. Nella d. atopica della prima infanzia, i corticosteroidi locali, ancorché utili, devono essere usati con parsimonia. Si possono associare a creme a base di antibiotici, molto utili nei frequenti casi di concomitante infezione. Nella fase di lichenificazione sono indicate pomate a base di ittiolo o di catrame. Inutili e spesso dannose le pomate antistaminiche. La cura generale, indispensabile, si serve di farmaci antipruriginosi e antireattivi di una certa utilità si sarebbe rivelata la somministrazione del disodiocromoglicato, la cui attività dovrebbe consistere nel prevenire l’assorbimento di allergeni alimentari. La bonifica di focolai infettivi (dentari, tonsillari, appendicolari), è consigliabile nei casi in cui sia possibile dimostrare un rapporto con lo scatenarsi dell’eruzione. Si devono evitare i contatti con sostanze allergizzanti, anche se non sono direttamente capaci di scatenare la malattia. La cura richiede notevole costanza e oculatezza: è indispensabile intervenire tempestivamente alle prime avvisaglie di nuovi episodi eruttivi. Quando la malattia colpisce i bambini, i genitori devono sorvegliarli accuratamente per evitarne la generalizzazione. È frequente constatare la guarigione o notevole miglioramento in seguito a semplice cambiamento di clima in genere questi bambini, portati al mare o in montagna, migliorano spontaneamente.

DERMATITE DA CONTATTO

Comprende tutti gli eczemi da contatto, fra i quali, molto importanti, gli eczemi professionali. Le dermatiti professionali da contatto sono affezioni cutanee causate dall’azione di sostanze usate durante l’esercizio di una data professione. Il loro numero è andato progressivamente crescendo durante l’ultimo trentennio, malgrado il progresso delle misure profilattiche (cioè quelle misure che prevengono la malattia). Le ragioni di questo aumento sono legate al notevole sviluppo industriale che ha portato un numero sempre maggiore di lavoratori a contatto di sostanze dermolesive (che ledono la cute), e ha introdotto l’uso di nuovi prodotti chimici (resine ecc.) capaci, non solo di sensibilizzare la cute, ma anche di lederla direttamente. Sulla base di criteri di valutazione statistico-sociale e medico-assicurativo, si può dire, con buona approssimazione, che l’1% circa dei lavoratori industriali contrae un eczema. Su di una popolazione di 20.000.000 di persone, questo equivale a una perdita di oltre 2.000.000 di giornate lavorative. Inoltre, gli eczemi rappresenterebbero il 50-80% di tutte le malattie a carattere professionale: sarebbero, quindi, di gran lunga le più frequenti. Tra le dermatosi professionali, oltre alle dermatiti da contatto che prevalgono nettamente, (più dell’80% dei casi), si possono osservare anche le follicoliti, le ipercheratosi, le ulcere dei cromatori ecc. Per quanto riguarda gli eczemi professionali, bisogna ricordare che i lavoratori più frequentemente colpiti da queste affezioni sono i muratori e i cementisti (33% circa dei casi). Seguono nell’ordine: i verniciatori, i lavoratori di materiale plastico, i nichelcromatori, i litografi, con una frequenza variabile dal 12 allo 0.6%. Circa i rapporti tra sesso e frequenza, la prevalenza dei maschi è solo apparente, perché là dove l’occupazione è uguale per i due sessi, la frequenza con cui si riscontra nelle donne è pari a quella che si verifica negli uomini.

Cause
Si ammette che questi eczemi abbiano un’origine di carattere esogeno: la sostanza sensibilizzante (provocante cioè la d.), può agire direttamente sulla cute sana, oppure, più frequentemente, su una cute già lesa per l’azione di diversi agenti irritanti. Quest’ultimo è il caso più comune e quindi, nella patogenesi di queste affezioni, si devono considerare non solo i fattori sensibilizzanti, ma anche i fattori preparanti (cioè quelli che predispongono alla sensibilizzazione). I fattori preparanti possono essere: stimolazioni fisiche o chimiche capaci di alterare l’integrità anatomo-funzionale della cute e i suoi meccanismi di difesa piccoli traumi cutanei gli stimoli radianti gli agenti ossidanti e i solventi dei grassi (benzina, petrolio, acetone e detersivi). Sulla cute alterata da questi fattori agiscono i fattori sensibilizzanti, cioè le sostanze che possono causare l’eczema. Il terreno individuale (cioè la costituzione individuale) ha una grande importanza, perché è sede di fattori che favoriscono l’insorgenza dell’affezione. I fattori individuali sono di tipo strutturale e funzionale. Lo strato corneo dell’epidermide è un elemento di difesa strutturale di grande valore. Gli individui con cute esile e sottile, come si riscontra nei biondi, hanno uno strato corneo sottile e, a parità di condizioni, ammalano più facilmente di eczema rispetto agli altri individui. Un’importante barriera di difesa funzionale è rappresentata dal mantello idrolipidico o mantello acido epicutaneo, dotato di potere neutralizzante contro le sostanze capaci di alterare l’equilibrio funzionale della cute. L’efficacia del mantello idrolipidico è in rapporto con la secrezione sebacea e i lipidi dello strato corneo, con la secrezione sudoripara e lo strato idrico, con gli aminoacidi e il pH della superficie della cute. Alterazioni di uno o più di questi sistemi di difesa favoriscono l’azione dei fattori preparanti e sensibilizzanti. Il meccanismo di sensibilizzazione più verosimile pare sia quello allergico, per cui un antigene entrato in contatto con la cellula di Langerhans provocherebbe a livello cutaneo la formazione di anticorpi, pronti a scatenare una reazione di tipo eczematoso quando avviene un nuovo contatto dell’antigene originale con la cute. Sono possibili fenomeni di sensibilizzazione crociata: l’individuo reagisce primitivamente o per modificazioni metaboliche subite nell’organismo a più sostanze aventi composizione chimica simile. Inoltre non è raro trovare casi di polisensibilizzazioni: queste sono reazioni eczematose ad allergeni chimici o microbici non aventi nessuna affinità fra loro e sono dovute a uno stato di spiccata reattività della cute.

Sintomi
La d. da contatto si manifesta attraverso varie fasi: all’inizio si ha la comparsa di un semplice eritema (rossore) con edema (gonfiore) circoscritto a questo segue la fase di vescicolazione, seguita dalla rottura degli elementi precedentemente formati, dall’essudazione sierosa e dalla formazione di abrasioni.
Nelle forme secche (cioè senza essudazione sierosa), la fase di vescicolazione è meno pronunciata che nella forma precedente ed è caratterizzata dalla desquamazione della cute in fini lamelle. Il prurito è intenso. La localizzazione iniziale è il dorso delle mani e degli avambracci, con estensione al viso, agli arti inferiori e alle regioni genitali. L’astensione dal lavoro e, soprattutto, l’allontanamento dal contatto con la sostanza sensibilizzante porta abbastanza rapidamente a guarigione le ricadute però sono facili anche a lunga distanza di tempo, ogniqualvolta si ripetono i contatti con la sostanza sensibilizzante. Frequenti sono le superinfezioni causate da microbi più rara è l’eritrodermia, cioè l’estensione dell’eruzione a tutta la superficie corporea.

Diagnosi
Per la diagnosi si impiegano i cosiddetti test epicutanei: si applica sulla cute indenne un quadrato di garza imbevuto della sostanza sospetta (cioè quella che si pensa essere la causa della sensibilizzazione), coprendola con un cerotto. Dopo 24 e 48 ore si eseguono i controlli necessari: il test è positivo se sono comparse sulla sede dell’applicazione l’eritema, la vescicolazione o l’essudazione. Esistono specifici centri di Dermatologia allergologica e professionale, presso i quali è possibile eseguire una serie di test epicutanei, i cosiddetti patch tests. Essi sono stati da alcuni anni standardizzati e resi accessibili a molti medici, specialisti dermatologi e medici del lavoro, allo scopo di consentire non solo la diagnosi eziologica di una d. da contatto professionale, ma anche di rintracciare, fra il personale, i soggetti già sensibilizzati verso una o più sostanze che vengono utilizzate nelle diverse lavorazioni e che pertanto, una volta a contatto con la pelle, determinerebbero nell’operaio addetto la comparsa di una d. da contatto professionale.

Terapia
La terapia locale tende a ridurre ed eliminare l’infiammazione e l’essudazione, a sterilizzare le infezioni cutanee, e a calmare il bruciore e il prurito. La terapia generale è di aiuto con la somministrazione di antiallergici. La notevole incidenza degli eczemi ha reso necessario anche l’adozione di misure profilattiche sia nei confronti dell’ambiente di lavoro e del tipo di lavorazione, sia nei confronti dell’individuo. Occorre rendere l’ambiente di lavoro il più innocuo possibile mediante l’uso di ventilatori, deumidificatori e aspiratori. La profilassi individuale comprende misure selettive per escludere da alcune lavorazioni che potrebbero essere causa di malattia, quei soggetti che abbiano sofferto o soffrano di eczema di qualunque tipo. Le misure igieniche generali consistono in attrezzature (docce, lavabi), per allontanare il più precocemente possibile gli elementi nocivi dalla superficie cutanea con mezzi non irritanti. Misure igieniche personali, invece, sono tutti quei mezzi protettivi che esercitano la loro azione direttamente sull’individuo come guanti, grembiuli e maschere. Se malgrado tutte queste precauzioni l’eczema ritorna, è opportuno effettuare un cambio di lavoro per evitare che la malattia diventi cronica.

DERMATITE ERPETIFORME

È una rara dermatosi papulo-vescicolosa, di origine autoimmunitaria, caratterizzata, oltre che da peculiari aspetti clinici, da una sintomatologia pruriginosa molto ingravescente. La patologia insorge per lo più in soggetti di giovane età che possiedono una particolare predisposizione genetica e, nella gran parte dei casi, si associa a forme, anche fruste, di morbo celiaco, una enteropatia sensibile al glutine. La dermatosi ha un decorso estremamente cronico, con periodi di remissione e riesacerbazione che possono ripresentarsi anche per decenni.

Sintomi
È caratterizzata dalla comparsa simmetrica di lesioni papuloeritematose o papulo-orticarioidi, intensamente pruriginose, sulle quali insorgono vescicole, tra loro raggruppate, che sono caratterizzate da un distacco sub-epidermico.

Diagnosi
Come nel pemfigoide, per fare diagnosi di d. erpetiforme è indispensabile l’esame di immunofluorescenza diretta che evidenzia la presenza di immunoglobuline di tipo A all’apice delle papille dermiche.

Terapia
La regressione completa si ha solo in un terzo dei pazienti, mentre i rimanenti devono pressoché costantemente sottoporsi a specifiche terapie con diaminodifenilsolfone. Questo farmaco, elettivo per questa affezione, può essere somministrato solo sotto stretto controllo medico, data la gravità dei possibili effetti collaterali. Di particolare importanza appare poi, specie in pazienti con associata celiachia, la completa eliminazione del glutine dalla dieta.

DERMATOFIBROMA

(O istiocitoma fibroso), tumore benigno della cute costituito da una proliferazione di cellule simili a fibroblasti con localizzazione nel derma.È considerato appartenente al gruppo dei tumori istiocitari in quanto le cellule che lo compongono presentano, in modo più o meno evidente, caratteri propri degli istiociti.Compare di solito in soggetti adulti, spesso preceduto da un trauma, specialmente nella cute degli arti, ove si manifesta come un nodulo duro contenuto nello spessore del derma, ricoperto da epidermide più intensamente pigmentata alla palpazione sembra un bottone fissato al di sotto dell’epidermide (fibroma “a pastiglia”).

Terapia
La terapia richiede l’asportazione del nodulo, il quale tuttavia può a volte recidivare.

DERMATOGLIFI

Disegni formati dai rilievi (creste) della cute delle dita, delle palme delle mani e delle piante dei piedi. La differenziazione delle creste cutanee inizia durante il terzo mese di vita fetale e si completa entro la fine del quarto. Perciò le linee dermiche che costituiscono i d. sono determinate dalla crescita delle varie strutture sottostanti, compresi gli elementi scheletrici e muscolari di sostegno.Un disturbo nello sviluppo che intervenga durante la formazione delle creste può quindi produrre anormalità nei disegni cutanei.

I d., messi in evidenza nelle impronte digitali, vengono classificati, secondo il metodo proposto da F. Galton, in: vortici, anse, archi.La classificazione viene fatta secondo il numero dei trirradi presenti: due in un vortice, uno in un’ansa e nessuno in un arco (il trirradio è quel punto dal quale tre sistemi di creste divergono in tre differenti direzioni con angoli di 120°). Le anse possono inoltre essere radiali o ulnari, a seconda che siano aperte verso la parte radiale o quella ulnare del dito.Le configurazioni dei d. differiscono da una persona all’altra anche in piccoli particolari e sono in gran parte determinate geneticamente, per cui le mani di gemelli monozigotici somigliano l’una all’altra come le mani di uno stesso individuo.

I d. perciò costituiscono uno dei metodi per determinare la probabilità che dei gemelli siano monozigotici. Sono inoltre importanti in genetica medica in quanto alcune sindromi cromosomiche presentano un’insolita combinazione di d. In particolare, come è stato dimostrato per la sindrome di Down, possono aiutare a stabilire un indice di probabilità per una particolare diagnosi. Anche le pliche di flessione palmari e plantari, pur non essendo a rigor di termini d., vengono incluse nell’analisi dei d. in quanto si formano nello stesso periodo di sviluppo fetale e influiscono sull’andamento delle creste cutanee.Nell’1% ca. degli individui caucasici e in una percentuale più elevata di asiatici è presente sul palmo della mano una singola plica, invece delle comuni due pliche trasverse.Questo solco viene denominato plica scimmiesca ed è spesso presente in individui con malformazioni congenite o aberrazioni cromosomiche.

DERMATOLOGIA

Branca delle scienze mediche che studia la cute, il tessuto sottocutaneo e i suoi annessi (peli, capelli, ghiandole sudoripare e ghiandole sebacee) e la patologia a essi correlata. L’introduzione nello studio dei tessuti di metodiche di indagine di immunofluorescenza e immunoenzimatiche con anticorpi poli e monoclonali contro proteine del citoscheletro e delle membrane cellulari ha costituito un notevole progresso in campo istopatologico.Le indagini di biologia molecolare costituiscono lo sviluppo più recente nella diagnostica istopatologica e hanno trovato una prima importante applicazione nello studio della patologia linfoproliferativa.Nell’insegnamento universitario così come nell’ordinamento ospedaliero la d. viene associata alla clinica delle malattie veneree.

DERMATOMIOSITE

Malattia che è caratterizzata da una compromissione della cute, del tessuto sottocutaneo e dei muscoli scheletrici. Essa si manifesta con la comparsa in queste strutture di infiltrati infiammatori cronici che determinano alterazioni degenerative delle fibre muscolari. Poiché la malattia interessa in genere molti muscoli dei due lati del corpo si usa comunemente il termine di polimiosite. Maggiormente colpiti sono i muscoli prossimali degli arti (cioè dei cingoli scapolo-omerale, pelvico e delle cosce), quelli del tronco, del collo e quelli faringei (con conseguente disfagia, cioè difficoltà alla deglutizione).

Cause
Le cause della malattia sono sconosciute essa viene compresa nel gruppo delle malattie del collagene, o collagenosi, in quanto presenta a volte manifestazioni comuni con la sclerodermia, con il lupus eritematoso disseminato o con l’artrite reumatoide, e perché si ritiene possa essere condizionata da anomalie delle reazioni immunologiche dell’organismo.Vengono colpite più frequentemente le donne in età adulta, con manifestazioni cliniche non generalizzabili perché molto variabili.La polimiosite viene oggi classificata tra le malattie autoimmunitarie in quanto l’espressione di antigeni di membrana aberranti sarebbe responsabile della risposta immunitaria diretta contro il muscolo. Si sospetta che certi virus possano determinare l’attivazione del sistema immunitario innescando il processo. Alcune ricerche indicano particolarmente implicati virus coxackie di tipo B: infatti, la sequenza delle proteine della loro membrana è simile a quella di proteine della membrana muscolare e perciò gli anticorpi diretti contro il virus finiscono per danneggiare anche il muscolo. Va inoltre ricordato come spesso la malattia abbia un decorso viscerale e possa coinvolgere, con diversa gravità, cuore (aritmie), polmoni (polmonite interstiziale), reni (insufficienza renale acuta), e, soprattutto nei bambini, gli organi addominali (ulcere). La malattia inoltre può associarsi a diverse neoplasie maligne che andranno sempre escluse nel corso degli accertamenti diagnostici.

Sintomi
Alla diminuzione della forza si accompagnano spesso dolori, spontanei o suscitati dalla palpazione delle masse muscolari. La malattia, che non ha preferenza di età, può avere esordio acuto e decorso rapidamente progressivo: in alcuni giorni o in poche settimane l’insufficienza muscolare diventa grave e possono presentarsi anche difficoltà respiratorie in altri casi invece l’inizio della sintomatologia è subdolo, insidioso, e l’evoluzione cronica (ma comunque sempre più rapida di quella delle distrofie). Le manifestazioni muscolari si localizzano di preferenza alla muscolatura del cinto scapolare e del cinto pelvico, con debolezza specie all’atto di svestirsi o salire le scale. Coesistono sintomi generali. Nei casi più tipici le manifestazioni cutanee sono caratterizzate da chiazze arrossate ed edematose, particolarmente al viso, al collo, agli arti. quali febbricola e senso di malessere.

Diagnosi
Una diagnosi precoce è di estrema importanza: infatti un tempestivo e adeguato trattamento corticosteroideo permette spesso di ottenere ottimi risultati. Importanti per una corretta diagnosi risultano gli esami sierologici (livelli elevati di enzimi muscolari) e strumentali, tra cui l’elettromiografia e in particolare la biopsia muscolare.

Terapia
La malattia si combatte efficacemente con la somministrazione di corticosteroidi, che inizialmente devono essere somministrati ad un dosaggio elevato calcolato in base al peso corporeo del paziente sono stati utilizzati con buoni risultai anche farmaci immunosoppressori.

DERMATOMO

Strumento chirurgico costituito da una lama affilatissima che serve per ricavare sottili strati di cute, aventi spessore e ampiezza determinati, usati a scopo di trapianto. I dermatomi a mano hanno forma di un coltello a lama rettangolare munita di una controlama a taglio smussato, regolabile a vite per ottenere il lembo cutaneo dello spessore voluto. Nei modelli azionati elettricamente o ad aria compressa la lama ha la forma di una larga lametta da barba ed esegue movimenti alterni orizzontali anche questo modello è munito di una controlama regolabile a vite. La zona di cute ove verrà eseguito il prelievo (dorso, addome, cosce) deve essere ben depilata, disinfettata e successivamente lubrificata con olio di vaselina sterile in modo da agevolare lo scorrimento dello strumento.

DERMATOSI

Termine generico, impreciso, che viene spesso impiegato per indicare le malattie della pelle, soprattutto relativamente a quelle ad andamento cronico.Esempi di patologie cutanee sono: la d. papulosa nigra, che è costituita da piccole palule facciali multiple che è considerata una variabile della cheratosi seborroica la d. pustolosa erosiva del cuoio capelluto, patologia non rara, si presenta di solito negli anziani calvi dopo un trauma del capo, con pustole sterili ed erosioni che guariscono con esito cicatriziale.

DERMATOTOMO

vedi DERMATOMO

DERMOABRASIONE

Procedimento chirurgico che consiste nell’asportare a piatto, per mezzo di un corpo abrasivo, gli strati più superficiali della pelle, allo scopo di ottenere, con la rigenerazione di nuova epidermide, un miglioramento del suo aspetto.L’indicazione principale di tale trattamento terapeutico è rappresentata dagli esiti cicatriziali, al viso, di acne giovanile, ma essa può venir impiegata utilmente anche in caso di rughe superficiali, di angiomi piani, di lievi cicatrici da ustioni.Ogni corpo abrasivo può essere utile per praticare una d. (per esempio, pietra pomice, carta vetrata, frese ecc.). Ma oggi si preferisce impiegare strumenti costituiti da rulli di carta speciale, rivestiti da una sostanza abrasiva speciale che, possedendo una superficie ruvida uniforme, permettono al dermatologo-chirurgo di effettuare abrasioni ben controllate, senza pericolo alcuno di provocare danni, come lacerazioni o strappi.

La d. può essere praticata su pazienti, previa anestesia locale, se si tratta di piccole zone cutanee, o in anestesia generale, se la superficie cutanea da abradere è estesa o se il paziente, per uno stato psichico di emotività e di ipereccitabilità, non consente al dermatologo-chirurgo di lavorare con tranquillità e con l’indispensabile precisione e l’opportuna accortezza.

DERMOGRAFISMO

Abnorme reattività della cute di alcuni soggetti di fronte a stimoli di natura meccanica. Passando sulla pelle una punta smussata si ottiene nei soggetti normali una linea bianca, che scompare rapidamente in taluni soggetti invece appare o una stria di colore rosso acceso o una formazione di rilievo bianco-rosa, dovute rispettivamente a vasodilatazione e a vasocostrizione. In altri casi si ottiene un arrossamento doloroso, notevolmente più esteso della linea tracciata. Il d. è indice della reattività del sistema neurovegetativo le manifestazioni sopra descritte non hanno un significato preciso ma si riscontrano in malattie allergiche, in alcune intossicazioni e in soggetti neuropatici.

Il d. permette di diagnosticare una precisa entità dermatologica quale l’orticaria dermografica. Essa si definisce in base alla comparsa di una risposta eritemato-edematosa e pruriginosa della cute che si evidenzia dopo pochi minuti. Viene abitualmente distinta in orticaria con d. semplice o con d. sintomatico.Il d. semplice si caratterizza per la comparsa di pomfi dopo la stimolazione cutanea e per l’assenza di prurito la reazione pomfoide avviene dopo circa 6-7 minuti e tende a regredire dopo 20 minuti.Il d. sintomatico è sempre accompagnato da prurito, e si evidenzia dopo 1- 3 minuti dallo stimolo, e si esaurisce in 3-5 minuti. Questo fenomeno può anche essere associato a patologie come il diabete, tireopatie e infezioni parassitarie.

DERMOIDE, cisti

La cisti d. si può considerare come una sorta di formazione rotondeggiante, a lenta crescita, costituita da una parete e da una massa interna di cheratina. Vi sono vari tipi di cisti, di dimensioni assai variabili, dal piccolo milio del volto alle formazioni gigantesche di alcune cisti trichilemmali del cuoio capelluto. Le cisti possono andare incontro a fenomeni suppurativi con tumefazione acuta della zona e formazione di tramiti da cui fuoriesce abbondante materiale purulento.

DERMOMIOTOMO

Porzione del mesoderma che nell’embrione, durante la quarta settimana di vita intrauterina, si differenzia come la struttura dalla quale prenderanno origine parte del derma e la maggior parte della muscolatura scheletrica. Il d. corrisponde alla porzione dorsolaterale dei somiti, e con il procedere dello sviluppo si differenzia in due parti, una esterna detta dermotomo e una interna detta miotomo.

DERMOREAZIONE

vedi CUTIREAZIONE

DERMOSCOPIA

(Detta anche dermatoscopia o microscopia ad epiluminescenza) tecnica diagnostica non invasiva usata dai dermatologi per osservare le lesioni pigmentate. Permette di ottenere informazioni sulla morfologia delle lesioni cutanee pigmentali non ottenibili ad occhio nudo.

Tale metodica, grazie all’epiluminescenza, rende gli strati superficiali della pelle trasparenti aumentando così l’accuratezza diagnostica delle lesioni pigmentate cutanee di oltre il 25% rispetto alla sola osservazione ad occhio nudo. In pratica ha permesso di ridurre il numero di escissioni non necessarie di lesioni benigne (portando dalla asportazione di 1 melanoma ogni 18 nevi in epoca pre-d., alla escissione di 1 melanoma ogni 4-5 nevi grazie all’uso di tale strumento).

DERMOSIFILOPATOLOGIA

Termine non più utilizzato in medicina che indicava la disciplina che studiava le malattie della pelle e le malattie trasmesse per contagio sessuale (malattie veneree), che tradizionalmente sono sempre state considerate insieme.

DERMOTOMO

Regione del mesoderma embrionale dalla quale prende origine parte delle strutture connettivali del derma corrisponde alla porzione dorso-laterale del mesoderma para-assiale dei somiti quando, verso la fine della quarta settimana, essi appaiono differenziati in tre regioni distinte la regione ventromediale è detta sclerotomo, quella intermedia miotomo.

DESAMETASONE

Cortisonico sintetico, derivato fluorurato del prednisolone di cui ha le azioni e le indicazioni terapeutiche. Ha un’attività antinfiammatoria circa 6 volte maggiore di quella del prednisolone e circa 30 volte maggiore di quella del cortisone, inoltre non ha effetti sodio ritentivi. Può essere somministrato per via orale, intramuscolare o endovenosa.

Localmente può essere applicato sulla cute mediante creme e unguenti oppure nelle vie respiratorie mediante inalazione. Gli effetti collaterali e tossici sono quelli dei farmaci cortisonici.

DESENSIBILIZZAZIONE

Insieme dei processi che portano alla diminuzione o all’abolizione dello stato di abnorme sensibilità propria di alcuni soggetti nei confronti di determinate sostanze. La d. viene praticata soprattutto nei casi di malattie allergiche, e in particolare nelle forme di allergia cutanea e respiratoria, mediante somministrazione dell’allergene responsabile a dosi progressivamente crescenti, in modo da realizzare una graduale diminuzione della sensibilità del paziente verso l’allergene stesso.

La scelta degli estratti di allergene dipende dai risultati delle prove diagnostiche (cutireazioni, intradermoreazioni) effettuate l’allergene viene introdotto per via sottocutanea o intradermica. Nelle forme allergiche ad andamento stagionale è spesso opportuno ripetere più cicli di terapie desensibilizzanti per 2-3 anni consecutivi. Una d. aspecifica può essere attuata in associazione con quella specifica o isolatamente, qualora l’agente allergizzante non sia individuabile: essa consiste nella somministrazione di farmaci come il calcio, l’iposolfito di sodio o di magnesio, oppure in trattamenti capaci di attenuare o inibire le reazioni di tipo allergico (per es. istaminoterapia, piretoterapia).

DESESSUALIZZAZIONE

Processo psichico in base al quale il soggetto tende a eliminare ogni motivazione, ogni elemento e contenuto sessuale dalle proprie rappresentazioni, dai conflitti e dalle esperienze emozionali. Consiste in un meccanismo di difesa che permette all’individuo, attraverso una fuga dalle pulsioni libidiche, di non rinnovare la possibilità di esperienze frustranti. Questa tendenza trova comunque uno sfogo e una parziale gratificazione nei processi di razionalizzazione e idealizzazione di cui è alla base.

DESIDERIO

Movimento psichico tendente a colmare una mancanza nel soggetto. Nella definizione data da J. Lacan il d. riveste un ruolo fondamentale nella vita psichica, essendo la vera e propria espressione delle pulsioni istintuali. Il d. umano, eternamente incolmabile (d. del d., e a volte d. di avere un d. insoddisfatto), si costituisce in relazione alla mancanza radicale costitutiva del soggetto, mancanza il cui modello biologico potrebbe rinvenirsi nella separazione dalla madre attraverso il taglio del cordone ombelicale.

Il d. sorge da una frustrazione e, facendo nascere sentimenti e passioni, si pone alla base dell’agire umano. Però al d. non segue necessariamente un atto di volontà, anche se a questo è necessario il d. per estrinsecarsi.

DESIPRAMINA

Farmaco antidepressivo triciclico analogo all’imipramina. Il suo effetto più importante è l’elevazione del tono dell’umore insieme ad una attività stimolante sul sistema nervoso centrale (disinibente) inoltre non ha attività sedativa. Pertanto è indicato nel trattamento delle forme depressive dove prevalgano astenia ed inibizione. Le controindicazioni comprendono: glaucoma, ipertrofia prostatica, cardiopatie gravi, epilessia, tireotossicosi, epatopatie, nefropatie.

Gli effetti collaterali sono atropino-simili (atropina, antimuscarinici), ipotensione, convulsioni, ormonali (iperprolattinemia), effetti extrapiramidali (tremori), aumento di peso, mielodepressione, epatotossicità. Durante l’assunzione di questo farmaco, così come di altri antidepressivi triciclici, bisogna controllare il peso ed effettuare esami ematochimici per il monitoraggio della funzionalità epatica e midollare.

DESMOIDE

Raro tumore che appartiene al gruppo delle proliferazioni di tessuto fibroso, con comportamento intermedio tra proliferazione fibrosa esuberante e fibrosarcoma a basso grado di malignità. Il tumore è costituito da tessuto fibroso ben differenziato che forma masse di consistenza duro-elastica.I desmoidi si suddividono in base alla sede d’insorgenza in forme addominali, intra-addominali ed extra-addominali.Forme addominali, si sviluppano di solito nei muscoli retti della parete addominale, soprattutto in donne nel 2°- 4° decennio di vita, particolarmente in quelle che hanno avuto gravidanze.Forme intra-addominali, insorgono nel mesentere e nella parete pelvica, spesso in associazione con malattie a trasmissione ereditaria, come la malattia di Gardner (poliposi familiare del colon).Forme extra-addominali, a carico dei muscoli delle spalle, del torace, delle gambe. L’incidenza è uguale nei due sessi.I desmoidi che si sviluppano in sedi diverse dall’addome (per es. sulla parete toracica o agli arti) hanno un carattere più aggressivo: queste forme, pur senza dare metastasi a distanza, possono recidivare ripetutamente estendendosi a tessuti sempre più profondi tanto da risultare impossibile la loro asportazione radicale.

Terapia
È necessaria l’asportazione chirurgica. Se non rimossi completamente tendono a recidivare molto raramente metastatizzano, in tali casi si parla di fibrosarcomi a basso grado.

DESOSSICORTICOSTERONE

Ormone mineralcorticoide prodotto dalla zona glomerulare della corteccia surrenale. Il d. è usato nella terapia sostitutiva dell’insufficienza corticosurrenale per ristabilire l’equilibrio idrosalino, il volume plasmatico e la pressione arteriosa. Non ha effetto sui sintomi dell’insufficienza surrenalica da carenza di glicocorticoidi. Si somministra per via intramuscolare e per innesto sottocutaneo.

DESOSSIRIBONUCLEASI

Enzima appartenente alla classe delle idrolasi, che scinde le lunghe catene polinucleotidiche che compongono l’acido desossiribonucleico (DNA) in frammenti costituiti da pochi nucleotidi.
La d. è presente in vari organi e tessuti, ed è particolarmente abbondante nel succo pancreatico.
La d. bovina è dotata di proprietà cicatrizzanti e inoltre, per la sua proprietà di fluidificante degli essudati (azione diretta topica sul secreto bronchiale), è usata, generalmente in forma di nebulizzazione, nella cura di bronchiti, bronchiectasie ecc.

DESQUAMAZIONE

Processo che consiste nel distacco, dalla superficie dell’epidermide, di squame, cioè di piccole lamelle biancastre formate dall’aggregazione di cellule degli strati superficiali, completamente cheratinizzate e non più vitali, destinate a essere sostituite da cellule degli strati sottostanti. La d. è un fenomeno che avviene già in condizioni normali, ed è particolarmente evidente in alcune regioni del corpo, come per esempio nel cuoio capelluto, ove le squame costituiscono la forfora. Il processo della d. può risultare assai accentuato in molte malattie della pelle, quali ittiosi, psoriasi, pitiriasi, lichen, dermatiti esfoliative, eritrodermie, esantemi di diversa natura.

DESTROCARDIA

Rara anomalia congenita di posizione del cuore, per cui esso risulta situato nell’emitorace destro anziché in quello sinistro, così da apparire come l’immagine speculare, simmetrica, del cuore normale l’apice è diretto in basso a destra, le cavità arteriose sono a destra, quelle venose a sinistra. La d. può essere un’anomalia isolata in tal caso essa è quasi sempre associata a gravi malformazioni cardiache (stenosi aortica, stenosi o atresia dell’arteria polmonare, difetti del setto interventricolare ecc.). Più spesso invece la d. è solo parte di una malformazione più complessa, ereditaria, interessante tutti i visceri della cavità toracica e addominale, che occupano una posizione invertita (d. con situs viscerum inversus totalis): il fegato, il duodeno, il cieco, l’appendice e il colon ascendente sono posti a sinistra, la milza, lo stomaco, il colon discendente e il sigma a destra.

Tale anomalia è perfettamente tollerata, in quanto il cuore risulta perfettamente normale a volte viene scoperta per caso all’autopsia, oppure la diagnosi viene fatta nel corso di una visita medica effettuata per altri motivi.Con la d. non va confusa la destroposizione, in cui il cuore viene a trovarsi nell’emitorace destro in conseguenza di processi patologici diversi (quali versamenti pleurici, aderenze pleuriche retraenti, ernie diaframmatiche, pneumotorace ecc.) i quali, attraverso la trazione o la compressione del mediastino, ne provocano lo spostamento verso destra.

DESTROMETORFANO

vedi BECHICI

DESTROMORAMIDE

Potente analgesico di sintesi ad attività circa 5 volte maggiore di quella della morfina. L’azione insorge rapidamente: 5-10 minuti dopo somministrazione parenterale e 10-25 minuti dopo somministrazione orale.

DETARTRAGGIO

Operazione con cui il dentista procede alla rimozione dei depositi di tartaro sopra e sottogengivali. Un tempo eseguito mediante l’uso di appositi attrezzi manuali (ablatori del tartaro), oggi si esegue prevalentemente mediante l’uso di piccole frese poste in rapidissima rotazione dai moderni trapani da dentista ultraveloci.Il d. è un’operazione importante per il mantenimento dell’igiene orale, e dovrebbe essere eseguito periodicamente, almeno una volta all’anno o più frequentemente se le concrezioni si formano con maggiore rapidità.Un eccessiva deposizione del tartaro costituisce, infatti, fattore predisponente alla insorgenza di parodontopatie dovute all’azione irritante sulle gengive causata dal deposito delle concrezioni di sali minerali che vengono a depositarsi sulle superfici linguali e vestibolari dei denti.

DETERGENTE

(Soluzione d., latte d., crema d., ecc), sostanza che modifica le forze di tensione superficiale. Sostanze capaci di eliminare le impurità (sporco, grasso, ecc.) grazie alla modificazione della tensione superficiale delle sostanze con cui aderiscono alla superficie.Esistono svariati tipi di d., che presentano potere diverso a seconda dei principi attivi che contengono.

DETRUSORE, muscolo

Termine con cui viene indicato l’insieme dei fasci muscolari presenti nella parete della vescica urinaria, in quanto la loro contrazione (che avviene contemporaneamente al rilasciamento del muscolo sfintere della vescica che tiene chiuso l’orifizio interno dell’uretra) determina l’espulsione dell’urina.La contrazione del muscolo d. è determinata da impulsi che decorrono nei nervi del parasimpatico, mentre dall’ortosimpatico derivano fibre nervose che inibiscono il muscolo d. e promuovono invece la contrazione dello sfintere.

DEUTEROSCOPIA

Forma di allucinazione che presenta al soggetto l’immagine della sua persona al di fuori di lui, come allo specchio, con l’impressione angosciosa di un raddoppiamento della personalità.Detta anche autoscopia esterna, si manifesta nella fase ipnagogica del sonno, negli stati confusionali o oniroidi, nella schizofrenia. Se poi tali allucinazioni speculari si ripetono con frequenza, si stabiliscono, per interpretazione secondaria, veri deliri di influenza o di possesso.

DEVASCOLARIZZAZIONE

Chiusura di un vaso sanguigno che veicola sangue arterioso, con conseguente carenza od assenza di apporto ematico in un organo o tessuto. La d. è un fenomeno che può avvenire acutamente o progressivamente.D. Acuta. In caso di embolia, trombosi arteriosa, o traumi, con sofferenza acuta del territorio irrorato che presenta tutti i sintomi della ischemia, tranne nel caso in cui si instaurino meccanismi di compenso, che permettono l’apertura di vasi collaterali che suppliscano al deficit di apporto ematico (vedi ISCHEMIA).

D. Progressiva. Come nel diabete mellito o nelle arteriopatie obliteranti a decorso progressivo (malattia di Buerger). Ad esempio, nel diabete scompensato, il progressivo deterioramento delle cellule endoteliali vascolari, dovuto agli alti livelli di glucosio plasmatici, determina una alterazione della parete vascolare fino alla occlusione delle arteriole e dei capillari nel microcircolo. Ciò determina sofferenza ischemica dei tessuti irrorati, tipicamente a livello degli arti inferiori, con ulcere e discromie cutanee, fino alla perdita delle dita (piede diabetico), oppure a livello dei glomeruli renali, con diminuzione del filtrato glomerulare fino alla insufficienza renale.

DEVITALIZZAZIONE

Intervento di chirurgia dentaria che consiste nell’estirpazione della polpa (pulpectomia), eseguita sotto anestesia locale con appositi strumenti chirurgici, talvolta previa applicazione a contatto con la polpa di pasta o fibra arsenicale. La d. è la terapia d’elezione dei processi infiammatori della polpa dentaria (pulpiti), ma si esegue comunque prima dell’otturazione di un dente affetto da carie profonda che abbia interessato la polpa stessa.

DEXFENFLURAMINA

Farmaco anoressizzante, agisce inducendo il rilascio di notevoli quantità di serotonina da sinapsi nel sistema nervoso centrale, ha un’azione serotoninergica, ma non noradrenergica e, soprattutto, agisce aumentando la secrezione della sostanza e non diminuendone il riassorbimento.Questa molecola, insieme alla fenfluramina, è stata ritirata dal mercato mondiale perché responsabile della comparsa di ipertensione polmonare e di indurre lesioni alle valvole cardiache in soggetti trattati con questo farmaco anoressizzante.

DFP

vedi DIISOPROPILFLUOROFOSFATO

DHEA

(O deidroepiandrosterone) ormone cortico steroide, prodotto dalle cellule della corteccia surrenale, dal testicolo, dotato di attività androgena. Il nostro organismo ne produce giornalmente da 15 a 30 mg, nella femmina è quasi tutto prodotto dal surrene, nel maschio un terzo è prodotto dal testicolo e due terzi dal surrene. È soprattutto attivo nella sua forma solfato (DHEA-S). È un debole androgeno ed esercita la sua funzione dopo la conversione nel più potente testosterone a livello periferico. Possiede effetti poco chiari sul sistema immunitario e cardiovascolare. Viene prodotto fisiologicamente in piccole quantità ed è regolato dall’ACTH ipofisario tuttavia nelle sindromi adrenogenitali, a causa di un congenito deficit enzimatico, le vie di sintesi degli steroidi vengono deviate verso la produzione eccessiva di questo ormone. È stato osservato un picco di produzione dell’ormone nell’adulto di 20-30 anni: i livelli medi tenderebbero poi a scendere con l’età fino a raggiungere, intorno ai 70-80 anni, il 30% dei valori di picco. Questa osservazione ha iniziato una serie di studi finalizzati alla valutazione del ruolo del DHEA nei processi dell’invecchiamento, fino all’ipotesi di somministrare DHEA esogeno in uomini e donne nella ricerca di una “pillola di lunga vita”. Numerosi esperimenti condotti negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ‘90 hanno evidenziato effetti positivi del DHEA sulla memoria, sulla distribuzione del grasso corporeo, sulla densità ossea e sulla aterosclerosi.Studi recenti hanno ipotizzato un ruolo del DHEA solfato nella risposta allo stress: gli individui capaci di secernerne in quantità maggiore in condizioni di stress acuti (privazione di cibo e di sonno, sopravvivenza in ambienti ostili, ecc) reagirebbero in maniera migliore allo stress mantenendo maggiore lucidità e migliore capacità funzionale.

DI - DM
DI GUGLIELMO, malattia di

(Prende nome dal medico italiano Giovanni Di Guglielmo - San Paolo del Brasile, 1886 - Roma, 1961), rara affezione, detta anche eritremia acuta o mielosi eritremica acuta, caratterizzata da un processo proliferativo di tipo tumorale maligno a carico delle cellule eritropoietiche (da cui cioè derivano i globuli rossi), con arresto della maturazione e comparsa in circolo di cellule immature e atipiche. La malattia colpisce con maggior frequenza soggetti in età infantile, con sintomi simili a quelli delle leucemie acute con evoluzione progressiva, poco influenzata dalla terapia.

DIABETE

Termine con cui un tempo venivano indicati tutti gli stati morbosi caratterizzati da eccessiva e persistente eliminazione di urine. Il significato è andato in seguito modificandosi fino a indicare alcune malattie del metabolismo nelle quali si ha perdita con le urine di determinate sostanze, per esempio di glucosio (d. mellito) o di alcuni aminoacidi (d. amminico) o di iodio (d. iodico) ecc., il cui metabolismo risulta per varie ragioni alterato, così che esse non possono venire utilizzate dall’organismo.

DIABETE BRONZINO

Forma di d. mellito che costituisce una delle manifestazioni dell’emocromatosi, rara malattia che colpisce quasi esclusivamente i maschi caratterizzata da una alterazione del metabolismo del ferro per cui questo viene assorbito in maggior quantità a livello dell’intestino e si accumula in diversi organi e tessuti. Il d. bronzino è così detto per la tipica pigmentazione bruna della cute dovuta ad accumulo di melanina e di emosiderina. Da non confondersi con il morbo bronzino.

DIABETE INSIPIDO

Malattia caratterizzata da eliminazione di grandi quantità di urina (da 5 a 20 e più litri al giorno) e da conseguente sete tormentosa e insaziabile è dovuta a lesioni dei centri nervosi dell’ipotalamo o del lobo posteriore dell’ipofisi o ancora delle loro vie di collegamento. Sono questi i centri che regolano l’equilibrio idrico-salino dell’organismo attraverso la produzione di principi attivi ormonali tra cui l’ormone antidiuretico o adiuretina. La loro alterazione, la quale può essere determinata per esempio da traumi, da tumori o da altri processi patologici, determina incapacità dei tessuti a trattenere acqua e sali e dei tubuli renali a riassorbire acqua dal filtrato glomerulare. Vedi antidiuretico, ormoneLa terapia richede la somministrazione di estratti di postipofisi (che contengono l’ormone adiuretina) per iniezione sottocute o anche per applicazione sulla mucosa nasale attraverso la quale essi vengono assorbiti.Una forma rara di d. insipido è dovuta a insensibilità delle cellule dei tubuli renali a risentire dell’azione dell’ormone antidiuretico (d. insipido nefrogeno). Tale condizione, che viene trasmessa ereditariamente come un carattere recessivo legato al sesso, ha prognosi grave e viene curata essenzialmente con misure dietetiche che sono finalizzate ad assicurare una sufficiente introduzione di liquidi.

DIABETE MELLITO

(O d. zuccherino), forma più comune e meglio conosciuta di d., cui nel linguaggio comune di solito ci si riferisce quando si parla di d. Nella sua forma conclamata il d. mellito è un’affezione caratterizzata da un aumento stabile della quantità di glucosio nel sangue (iperglicemia) e di conseguenza dalla comparsa di questa sostanza nelle urine (glicosuria). Tale condizione è in rapporto con un difetto di insulina, ormone prodotto dal pancreas, o con una riduzione dell’attività di tale sostanza: da ciò dipende l’iperglicemia, alla quale fanno seguito tutta una serie di disturbi a carico del metabolismo glucidico, lipidico e protidico. Più in particolare distinguiamo un d. primitivo comprendente: d. insulino-dipendente (IDDM, tipo I), d. non insulino-dipendente (NIDDM, tipo 2) suddiviso a sua volta in: NIDDM senza obesità, NIDDM con obesità, tipo 2 del giovane (MODY). Vi è poi un d. secondario: malattie pancreatiche, alterazioni ormonali, da farmaci, anomalie del recettore insulinico, sindromi genetiche.

Il d. mellito è da considerare una sindrome, cioè un quadro morboso che può essere l’effetto di cause di natura diversa, le quali possono agire con meccanismi differenti, e nelle quali giocano, interagendo in modo variabile, fattori ereditari e fattori ambientali. Così un d. mellito può manifestarsi, come già detto, come conseguenza di altre malattie: per es. pancreatiti croniche, tumori del pancreas, emocromatosi, malattie endocrine quali l’acromegalia, il morbo di Cushing, o l’ipertiroidismo, lesioni cerebrali, oppure può seguire all’uso protratto di alcuni farmaci (per es. ormoni corticosteroidi, alcuni diuretici).

Queste forme di d. secondario sono tuttavia una minoranza: la maggior parte dei casi di d. mellito infatti è rappresentata da forme le cui cause sono ancora incerte (d. mellito primitivo o idiopatico).Il d. mellito primitivo è un’affezione relativamente comune che, specie nei paesi ad alto tenore di vita, colpisce fino al 5% della popolazione, costituendo, per le complicazioni cui può dar luogo, un’importante causa di mortalità. Prima di manifestarsi con sintomi clinici, può evolvere per un tempo anche lungo in modo silente, e può essere allora svelato solo da indagini di laboratorio o da prove funzionali (si parla di d. latente quando, pur in assenza di sintomi clinici, si ha già un abnorme aumento della glicemia, di d. biochimico quando la glicemia è ancora nei limiti della norma, ma con le prove funzionali si può svelare una ridotta tolleranza al glucosio).Con il manifestarsi dei sintomi clinici la malattia può assumere poi caratteri diversi per gravità, evoluzione, sensibilità alle diverse terapie. Così si distinguono due forme principali: il d. mellito a insorgenza giovanile (tipo 1) e quello a insorgenza in età matura (tipo 2). Nel d. tipo 1 la patogenesi è legata alla distruzione delle cellule beta-pancreatiche, su base autoimmune per il d. tipo 2 abbiamo una ridotta sintesi di insulina ed una resistenza all’azione della stessa più in particolare nel tipo 1 si osserva la seguente sequenza patogenetica: predisposizione genetica – insulto ambientale – insulite – trasformazione delle cellule beta da self a not self – attivazione del sistema immunitario – distruzione della cellula beta – d. mellito. Nel tipo 2, come già detto, oltre ad un deficit di secrezione è presente una resistenza all’azione insulinica, dovuta verosimilmente ad un problema recettoriale e post-recettoriale il numero delle cellule beta invece è intatto.Anche nell’ambito di queste forme tuttavia si ha una certa eterogeneità di casi, in rapporto probabilmente ai meccanismi diversi con cui si può realizzare il deficit di attività dell’insulina: si ritiene infatti che possano agire alterazioni genetiche delle cellule produttrici dell’ormone (per es. maggiore suscettibilità agli agenti lesivi, senescenza precoce ecc.), oppure infezioni virali, meccanismi autoimmunitari, diete incongrue, sintesi di insuline ad attività biologica deficiente ecc.

Per quanto riguarda i fattori ereditari la loro partecipazione è molto più frequente nelle forme di d. a insorgenza nell’età matura che non in quelle di tipo giovanile.Il sintomo clinico più costante del d. mellito è rappresentato dall’aumento della quantità di urine eliminate (poliuria): questa è dovuta all’aumento di glucosio nel sangue e al suo passaggio nelle urine. La perdita di liquidi viene compensata attraverso una maggiore introduzione di acqua e altri liquidi stimolata dalla sete (polidipsia) si manifesta poi anche un aumento della ingestione di cibi (polifagia) per la necessità di compensare la quantità di energia che non può essere ricavata dal glucosio. La non utilizzazione del glucosio, sempre per un compenso energetico, comporta una mobilizzazione dei grassi dai depositi (con aumento nel sangue di acidi grassi liberi e dei trigliceridi). La loro metabolizzazione non è però completa in assenza di ossidazione del glucosio, e si accumulano nel sangue i cosiddetti corpi chetonici (chetosi diabetica) rappresentati dall’acetone e dagli acidi acetacetico e acido beta-idrossibutirrico. Clinicamente l’esordio tipico della chetosi è con anoressia, nausea, vomito e poliuria, talvolta dolori addominali e alterazioni dello stato di coscienza.L’acetone viene eliminato a livello polmonare con l’aria espirata, conferendo all’alito il caratteristico odore (alito acetonemico) gli acidi aumentano l’acidità del sangue (acidosi diabetica) con sofferenza del sistema nervoso centrale che può arrivare sino al coma (coma diabetico). Se a questo punto non si interviene tempestivamente con iniezioni endovenose di glucosio e di insulina, può sopravvenire la morte. Esaurite le scorte lipidiche, come fonte di energia alternativa, si ha l’utilizzazione delle proteine (negativizzazione del bilancio azotato).

Infine con le urine si ha la perdita di sodio e di potassio l’abbassamento della concentrazione sanguigna del potassio, che si verifica nelle fasi terminali della malattia, comporta disturbi muscolari e cardiaci.La tendenza alla chetosi e alla acidosi si ha particolarmente nelle forme di d. a insorgenza giovanile.Accanto a questi disturbi del metabolismo nel soggeto diabetico si instaurano poi importanti alterazioni a carico dell’apparato vascolare. Nei grossi vasi arteriosi si ha una maggiore incidenza, una insorgenza precoce, e una maggiore gravità di lesioni aterosclerotiche. A carico dei piccoli vasi invece si manifestano lesioni di vario tipo che nel loro insieme prendono il nome di microangiopatia diabetica e comportano danni di grado variabile dei diversi organi e apparati, particolarmente del rene e della retina.Nel soggetto diabetico sono particolarmente frequenti anche i disturbi a carico dei nervi periferici (neuropatia diabetica) con sintomi variabili (dolori, disturbi della sensibilità e della motilità, alterazioni dei riflessi ecc.) che a volte costituiscono le prime manifestazioni della malattia. I disturbi metabolici e le lesioni vascolari possono portare a complicazioni di vario tipo. La chetoacidosi e il coma diabetico, che prima della scoperta dell’insulina costituivano la causa di morte nella metà circa dei casi di d., oggi sono in rapporto essenzialmente a terapia errata, o a scarsa educazione del paziente nel comprendere l’importanza della malattia e dei suoi diversi sintomi essi possono tuttavia essere scatenati anche da stress di diversa natura, quali malattie intercorrenti, in particolare le infezioni acute. Le alterazioni vascolari possono provocare infarto del miocardio, disturbi di circolo fino alla cancrena degli arti inferiori (ulcere diabetiche), disturbi visivi fino alla cecità (retinopatia diabetica), alterazioni anche gravi della funzione renale (nefropatia diabetica). I soggetti diabetici vanno inoltre facilmente soggetti alle infezioni, specialmente alla cute, alle vie urinarie.
Il decorso clinico di un d. è comunque estremamente variabile mentre alcuni pazienti progrediscono rapidamente verso un andamento complicato da episodi di chetoacidosi e da disturbi vascolari, altri possono rimanere stazionari per tutta la vita, con scarse manifestazioni sistemiche.

Diagnosi
La diagnosi del d. si fonda sulla determinazione del glucosio nel sangue a digiuno e sulla valutazione delle sue variazioni a intervalli regolari di tempo dopo somministrazione per via orale di una certa quantità di glucosio.

Terapia
La terapia del d. mellito si fonda sull’adozione di norme dietetiche in modo da contenere al massimo le fluttuazioni del glucosio nel sangue, sull’impiego di insulina o di farmaci ipoglicemizzanti orali per abbassare la glicemia l’insulina è alla base della terapia di tutte le forme di IDDM e in alcune forme di NIDDM in cui non si riesca ad ottenere un buon controllo glicemico con gli altri presidi. Problemi particolari sono poi costituiti dal d. in gravidanza (per il rischio aumentato di morte intrauterina del feto o di nascita di neonati di peso superiore ai 4 kg con possibili complicazioni durante il parto) per il fatto che la condizione gravidica comporta un aggravamento del d. e come possibile conseguenza predispone alla gestosi in gravidanza è più difficile mantenere il controllo glicemico e spesso si impone una modificazione del regime terapeutico nel corso della gravidanza stessa l’euglicemia è condizione indispensabile per ridurre al minimo i rischi del d. gestazionale. Altre condizioni particolari provengono dal d. nell’età infantile e dalla eventualità che soggetti diabetici debbano sottoporsi a interventi chirurgici (che comportano uno stress metabolico al quale l’organismo diabetico è meno abile ad adattarsi).

DIABETE RENALE

Malattia caratterizzata dalla presenza di glucosio nelle urine, senza che, a differenza di quanto si verifica nel più comune d. mellito, sia aumentato il contenuto di glucosio nel sangue. Si tratta di una condizione rara, ereditaria, legata a un’anomalia dei tubuli contorti del rene, la cui capacità di riassorbire il glucosio dal filtrato glomerulare è ridotta.Il d. renale non comporta alcun sintomo clinico e non richiede alcuna terapia esso viene di solito scoperto casualmente a seguito di esami delle urine praticati per altri motivi.

DIABETIDE

Termine generico con cui si indicano i processi patologici a carico della cute che si manifestano nel corso del diabete mellito. Si tratta generalmente di processi infiammatori dovuti a infezioni da germi piogeni (foruncolosi, piodermiti) o da funghi microscopici (candidosi), che sono favorite nel loro insorgere dalle minori capacità di difesa dell’organismo diabetico.

Altre lesioni cutanee più strettamente legate al disturbo metabolico sono invece i fenomeni di degenerazione e necrosi delle fibre collagene nel derma (necrobiosi lipoidica) e gli accumuli di lipidi (xantomi).

DIADOCOCINESI

Capacità di eseguire rapidamente movimenti alternati e successivi, per esempio di supinazione e pronazione delle mani o di estensione e flessione delle dita. Essa risulta alterata o perduta (adiadococinesi) in caso di lesioni del cervelletto.

DIAFANOSCOPIA

(O transilluminazione), esame di alcune parti del corpo mediante illuminazione per trasparenza. Si usa soprattutto come metodo di esame dei seni paranasali transilluminandoli con un apparecchio, il diafanoscopio. Questo è costituito essenzialmente da una lampadina, molto luminosa, montata su un manico e protetta da una custodia di metallo e vetro.

L’esame si esegue in un ambiente completamente oscuro: per lo studio del seno mascellare il diafanoscopio viene introdotto nella bocca del paziente, che viene quindi invitato a chiudere le labbra sul manico dello strumento normalmente da entrambi i lati compare un’area luminosa sotto lo zigomo e un’altra sotto l’orbita, le pupille divengono particolarmente lucenti e il paziente ha una sensazione soggettiva di luminosità.

Per lo studio del seno frontale la lampada del diafanoscopio viene appoggiata all’angolo supero-interno dell’orbita e il seno frontale traspare abbastanza chiaramente, con il contorno superiore, policiclico, ben visibile. La trasparenza dei seni mascellari e frontali si riduce in seguito a processi patologici di varia natura come infiammazioni, polipi o tumori, che ne invadono la cavità o aumentano lo spessore delle pareti.

DIAFANOSCOPIO

vedi NEGATIVOSCOPIO

DIAFISI

Parte intermedia delle ossa lunghe, compresa tra le due epifisi. Ha la forma di un tubo irregolarmente cilindrico costituito da osso compatto, contenente all’interno una cavità occupata dal midollo osseo.La d. si accresce nel senso della lunghezza per l’attività delle cartilagini di coniugazione interposte tra la d. e l’epifisi, mentre l’accrescimento in senso trasversale è dovuto all’attività del periostio.

DIAFORESI

(o iperidrosi), sudorazione abbondante oltre i limiti normali di 300/500 ml al dì può essere generalizzata o localizzata ad alcuni distretti.La d. Rappresenta un meccanismo fisiologico di regolazione della temperatura corporea, e si ha particolarmente dopo un lavoro muscolare intenso, o in caso di permanenza a un clima molto caldo. Si può manifestare anche nella fase di defervescenza (cioè di calo della febbre), dopo l’assunzione di farmaci diaforetici o di stupefacenti. Essa costituisce un fenomeno patologico quando è la conseguenza di impulsi nervosi anomali come nelle lesioni del sistema nervoso centrale o della sfera emotiva (isterismo, distonie neurovegetative).

In soggetti obesi si ha spesso una d. persistente, localizzata particolarmente alle ascelle, all’inguine, alle mani e alla fronte. L’intervento chirurgico di simpaticectomia toracica impiegato per la cura della d. consiste nell’l’interruzione dei gangli e delle fibre nervose responsabili e si può effettuare con tecnica mininvasiva videotoracoscopica, attraverso piccoli accessi tra le coste.

DIAFORETICI

Sostanze che provocano o aumentano la sudorazione. Farmaci ad attività diaforetica sono la pilocarpina, molto usata in passato a tale scopo, e l’eserina. Un effetto diaforetico indiretto, per azione sui meccanismi della termoregolazione, è indotto anche dagli antipiretici.

DIAFRAMMA

In anatomia, muscolo che separa la cavità toracica dalla cavità addominale. Di forma appiattita, disposto a volta con la convessità verso la cavità toracica, comprende una parte lombare, una parte costale e una parte sternale. La parte lombare è formata da diversi fasci chiamati pilastri (mediali, intermedi e laterali). I pilastri mediali delimitano una fessura attraverso cui passa l’aorta e, al di sopra di questo orificio, delimitano un’altra fessura (orificio esofageo) per il passaggio dell’esofago. La parte costale si inserisce sulle ultime 6 coste e si ingrana nel muscolo trasverso dell’addome. La parte sternale, la più piccola, è rappresentata da un fascetto di fibre muscolari che si portano dall’estremo inferiore dello sterno all’indietro.

Tutti i fasci muscolari del d. si raccolgono in alto, in un tendine centrale (centro frenico) a forma di foglia di trifoglio, formato da fasci di fibre intrecciati in vario senso. A destra dell’orificio esofageo, si apre un altro orificio per il passaggio della vena cava inferiore. La superficie concava del d. è rivestita dal peritoneo, quella convessa dalla pleura diaframmatica. Durante la contrazione che si ha nell’inspirazione, il d. si sposta in basso aumentando di molto il volume intratoracico lo spostamento è normalmente di circa 1,5 cm, ma può arrivare a 7 cm nell’inspirazione profonda. Il d. può, con una certa frequenza, essere sede di ernie. Uno o più visceri addominali fuoriescono dall’addome e sporgono nella cavità toracica, facendosi strada attraverso una porta erniaria aperta nel muscolo. Le zone diaframmatiche che più frequentemente danno passaggio a un’ernia sono gli spazi tra i fasci muscolari e l’orificio esofageo.

DIAGNOSI

Identificazione della malattia, affezione o lesione, della sua sede e della sua natura. All’identificazione si arriva attraverso la valutazione dei vari sintomi e segni presentati dal malato, fatta basandosi sul ragionamento analogico. Il procedimento compiuto dal medico sull’ammalato per formulare una d. si attua in due fasi.

La prima fase è l’osservazione dei sintomi il medico deve distinguere i sintomi essenziali da quelli di importanza secondaria e stabilire quali sintomi dello stato morboso sono primitivi e quali vanno considerati come conseguenza dei primi.

Successivamente, dopo aver chiarito i rapporti fra i diversi sintomi, deve decidere a quale delle diverse malattie note corrisponde maggiormente lo stato morboso studiato.

Il quadro morboso solo raramente si presenta tanto tipico da permettere la sua identificazione con una delle malattie descritte dalla patologia: si può dire allora che la d. è diretta, perché i sintomi rilevati sono talmente caratteristici di un dato processo da non permettere errori. Ma nella quasi totalità dei casi, tale individuazione può essere fatta con sicurezza solo dopo aver istituito un confronto fra gli schemi dei diversi quadri morbosi e i sintomi di quello da diagnosticare, e dopo aver valutato le differenze e le somiglianze presentate dai complessi sintomatici. Pertanto la d. può esser considerata un procedimento analogico. Così schematizzato il procedimento diagnostico, e tenendo presente che essenzialmente è frutto di analogie, è facile comprendere come si sia tentato, negli ultimi anni, di automatizzarlo. Per esempio mediante l’impiego di un calcolatore elettronico capace di eseguire una analisi matematica di un tracciato elettrocardiografico è possibile compiere una d. elettrocardiografica nell’arco di tempo di pochi secondi.

DIAGNOSI PRENATALE

Complesso di indagini grazie alle quali è possibile accertare l’esistenza di malattie fetali. La d. prenatale ha tratto grande beneficio dall’ecografia in gravidanza, con la quale è stato possibile scoprire eventuali malformazioni fetali.Le tecniche possono essere divise in dirette ed indirette.Le tecniche dirette o invasive sono l’amniocentesi, la biopsia dei villi coriali (villocentesi o CVS) e la funicolocentesi (o cordocentesi), che consentono di ottenere cellule del feto, sulle quali effettuare analisi cromosomiche ed eventualmente anche studi biochimici e sul DNA.Le tecniche indirette (tritest e duotest) permettono di individuare le gravidanze con rischio aumentato per patologie malformative (sindromi genetiche di cui la più frequente è la trisomia 21 o Sindrome di Down).Vengono anche definite come indagini di screening per anomalie fetali. Si avvalgono del dosaggio di marcatori sierici materni, di valutazioni ecografiche fetali che vengono incrociate con i fattori di rischio materni e l’epoca gestazionale.

Il BI-test si esegue intorno alla 12° settimana (confermata ecograficamente) e prevede il dosaggio della PAPP-A, ß-HCG che vengono incrociate con l’età materna, permettendo di calcolare il rischio individuale. Si parla di test combinato quando si associa il BI-TEST alla misurazione della cosiddetta plica nucale fetale (o translucenza nucale che rappresenta un segno ecografico di S. di Down quando è superiore al valore di normalità).

Il TRI-TEST viene eseguito intorno alla 16° settimana e prevede il dosaggio di afeto proteina, estriolo e ß-HCG che crociati insieme all’età materna e all’epoca gestazionale (confermata ecograficamente), permettono di stimare il rischio specifico individuale.

Il QUADRUPLO TEST prevede l’associazione del TRI-TEST con il dosaggio della inibina A.

Tutti questi test non andrebbero proposti singolarmente poiché si rischierebbe di portare molte più donne alle indagini invasive senza aumentare la proporzione di feti con S. di Down individuati, aumentando invece il numero di feti sani persi a causa delle complicazioni delle procedure invasive.Tutti questi esami indiretti devono essere preceduti da un colloquio con la coppia, che consenta loro di capire il significato probabilistico dei test in modo da decidere con tranquillità e consapevolezza se fare o non fare questi test ed eventualmente quelli di tipo invasivo. Nei casi identificati ad alto rischio si dovrebbe consigliare alla coppia un indagine diagnostica, come l’amniocentesi.

Le indicazioni per l’esecuzione delle tecniche dirette sono: età materna superiore ai 35 anni, figli precedenti con anomalie cromosomiche, genitori con riarrangiamenti cromosomici o familiarità per malattie genetiche o malattie metaboliche, anomalie del feto all’esame ecografico o test di screening positivo.

DIAGNOSTICA

Insieme di procedimenti e di tecniche utilizzati per formulare una diagnosi. Il campo della d. si estende a tutti gli stati morbosi che possono verificarsi nell’organismo gli elementi su cui il medico si fonda per formulare una diagnosi sono in parte clinici, in parte di laboratorio, e in parte anatomopatologici.La d. clinica si avvale dei rilievi raccolti dall’ammalato e sull’ammalato mediante l’anamnesi e l’esame obiettivo.

La d. di laboratorio utilizza quei rilievi chimici, radiologici, fisici e strumentali che, opportunamente impiegati, orientano il medico nella interpretazione fisiopatologica di uno stato morboso e quindi permettono un inquadramento più completo e circostanziato della malattia. LA d. anatomopatologica, praticata con lo studio al microscopio di biopsie, o con l’autopsia, individua la natura delle lesioni, riuscendo così a definire una condizione morbosa che molte volte non è riconoscibile con l’esame clinico o con indagini di laboratorio e strumentali.La d. può essere suddivisa secondo gli organi e gli apparati o secondo i campi in cui viene applicata: si parla perciò di d. medica e chirurgica, o radiologica, batteriologica, biochimica, pediatrica, dermatologica ecc.

DIALISI

Termine impiegato per indicare una tecnica di depurazione del sangue fondata sui processi fisico-chimici.

Viene impiegata per liberare l’organismo da sostanze indesiderate o tossiche, di natura esogena o endogena, che non possono essere agevolmente o sufficientemente eliminate dagli emuntori naturali, in particolare dal rene. Essa, che ha lo scopo di allontanare dal sangue sostanze aventi dimensioni molecolari piuttosto piccole, riportare a quantità regolari i liquidi organici e a concentrazioni normali le sostanze inorganiche in essi disciolte, è attuata secondo due principali procedimenti: la d. peritoneale e la d. extracorporea, con rene artificiale.

DIALISI EXTRACORPOREA

Questa modalità di depurazione extracorporea del sangue, cui meglio si adatta il nome di emodialisi, utilizza, come detto, l’apparecchiatura nota come “rene artificiale” questo consta essenzialmente di superfici dializzanti di modello variabile (a superficie piana, a tubo, a spirale) riproducenti, seppure in modo imperfetto, lo schema approntato dalla natura nell’apparato renale.

Il sangue prelevato dal paziente a livello di un’arteria viene fatto scorrere nell’apparecchiatura ove, sull’altro versante della membrana, circola il liquido dializzante. A questo il sangue del paziente cede le proprie scorie, prima di essere nuovamente immesso nell’organismo attraverso una vena. Per facilitare l’operazione si crea di solito una comunicazione artificiale tra un’arteria e una vena approntando chirurgicamente una fistola arterovenosa, che viene ogni volta collegata al rene artificiale per mezzo di un adatto raccordo.

Di norma si scelgono due vasi del braccio, la vena cefalica e l’arteria radiale.Una limitazione di questo metodo, oltre alla necessità di rendere il sangue incoagulabile una volta portato all’esterno dell’organismo, con pericolo quindi di emorragie, è rappresentata proprio dalla fistola arterovenosa: questa infatti può essere mal tollerata dai pazienti cardiopatici a causa dell’alterazione emodinamica che essa comporta.Nonostante tali inconvenienti l’emodialisi consente la sopravvivenza di pazienti nefropatici gravi o del tutto privi di reni che, prima della sua introduzione, avrebbero avuto possibilità di sopravvivere solo per tempi assai brevi.

DIALISI PERITONEALE

Applica il principio chimico-fisico delle membrane dializzatrici alla membrana peritoneale, la quale, per le sue caratteristiche biologiche e per la sua considerevole estensione in superficie, bene si presta a tale funzione essa si lascia attraversare dall’acqua, dagli elettroliti e dall’urea ma non dalle cellule del sangue né dalle proteine plasmatiche.

La d. peritoneale viene attuata introducendo nella cavità peritoneale una sonda collegata al contenitore del liquido dialitico questo viene fatto defluire nella cavità, ove permane per due ore ca., svolgendo la sua attività depuratrice.Composizione e concentrazione della soluzione fanno sì che le sostanze tossiche presenti nel sangue passino nel liquido dializzante, che verrà poi fatto defluire attraverso la stessa sonda d’entrata ed eliminato. Tale tecnica non può essere attuata quando processi patologici a carico del peritoneo, in atto o pregressi, ne riducano la superficie. È indicata qualora non sia facile ottenere un accesso vascolare periferico sufficiente (es. nei pazienti anziani). La maggiore complicazione di questa tecnica è rappresentata dalle peritoniti.

DIAPEDESI

Fuoriuscita di elementi figurati del sangue dal letto circolatorio per passaggio attraverso la parete di vasi di piccolo calibro. La d. dei globuli rossi si osserva in condizioni patologiche che comportino una sofferenza e una abnorme permeabilità o fragilità dei vasi sanguigni capillari. La d. dei granulociti, che venne descritta per la prima volta da Cohnheim nel 1867, si osserva nei processi infiammatori e dipende dai movimenti ameboidi dei granulociti stessi, che vengono richiamati nella sede dell’infiammazione per fenomeni di chemiotassi. La d. dei linfociti si ha a livello delle venule postcapillari dei linfonodi qui essi lasciano il circolo ematico per circolare nei tessuti e nei vasi linfatici.

DIARREA

Disturbo consistente nella emissione di feci liquide o poltacee, con aumento nella frequenza delle evacuazioni.

Cause
Una d. può essere provocata innanzitutto da condizioni patologiche proprie dell’apparato digerente. Così possono essere causa di diarree acute l’ipermotilità intestinale, brusche modificazioni delle abitudini alimentari (d. del turista), stati tossinfettivi (infezioni tifoparatifiche, dissenteria bacillare o amebica, colera), allergie verso sostanze alimentari (latte e latticini, frutta, pesci, crostacei), intossicazioni (alcol, tabacco, carni guaste, funghi, mercurio, arsenico). Possono essere causa di diarree croniche infiammazioni di parti del tubo digerente o di ghiandole annesse (gastriti, duodeniti, ileiti, coliti, pancreatiti, colecistiti), avitaminosi, parassitosi. Anche malattie che non interessano direttamente l’apparato digerente possono causare d.: per esempio malattie cardiovascolari (cardiopatie scompensate, stasi portale, embolia e trombosi mesenteriche), nervose (psicosi, tabe, nevrastenia, isterismo), urinarie (uremia, prostatiti, ritenzioni urinarie), endocrine (morbo di Basedow, diabete, morbo di Addison). In ogni caso la d. è determinata da un aumento della motilità della muscolatura intestinale, da un aumento delle secrezioni e dell’essudato intestinale e, forse, da un difettoso assorbimento dell’acqua a livello dell’intestino. Si determina così un aumento del numero delle evacuazioni, mentre le feci assumono una consistenza poltacea o decisamente liquida, talora essendo commiste a muco, pus o sangue la loro quantità può essere molto variabile.Si associano solitamente dolore addominale (che precede di poco, accompagna e segue, con senso di tenesmo, ogni evacuazione), meteorismo, tensione addominale, borborigmi e gorgoglii intestinali.Nelle forme più gravi può esservi disidratazione o dimagrimento, in quelle tossinfettive febbre più o meno elevata nelle forme gravissime la disidratazione può portare a un collasso cardiocircolatorio.

Terapia
Accanto al trattamento specifico dei fattori causali (antibiotico o sulfamidico a permanenza intestinale), richiede la somministrazione di astringenti intestinali (sottonitrato di bismuto, acido tannico o acetiltannico), antispastici (derivati della belladonna e dell’oppio) e, meglio, di antidiarroici di sintesi che, oltre a diminuire la motilità intestinale, aumentano anche il riassorbimento di acqua. Nelle forme più gravi con disidratazione sono indicate soluzioni fisiologiche o glucosate isotoniche per fleboclisi o ipodermoclisi e analettici cardiocircolatori. Nelle forme leggere di d. sono sufficienti alcuni accorgimenti dietetici.

DIARREA DEL VIAGGIATORE

Malattia diventata di attualità da quando è notevolmente aumentato il flusso turistico nei paesi caldi, tropicali e subtropicali. Questa forma patologica si contrae attraverso gli alimenti e le acque, inquinati da virus (specialmente rotavirus ed enterovirus) e batteri (specialmente coli, salmonelle, yersinie, proteus). La sintomatologia, che compare alcuni giorni dopo l’infezione, è caratterizzata da diarrea, febbre elevata, dolori addominali si risolve per lo più spontaneamente o con somministrazione di antibiotici.

DIARTROSI

Tipo di articolazione tra due ossa che consente una notevole mobilità ai due capi articolari.La caratteristica principale delle d. è di possedere una cavità posta fra i due capi articolari, detta cavità articolare grazie ad essa le due superfici articolari possono scorrere liberamente l’una sull’altra. Le d., quindi, appartengono alla categoria delle articolazioni mobili. Esse presentano alcune strutture fondamentali comuni che sono:

  • le superfici articolari hanno forma variabilissima e sono quasi sempre foggiate in maniera tale che l’una si adatti all’altra. Sono molto lisce perché ricoperte di un sottile rivestimento cartilagineo (la cartilagine articolare);
  • la capsula articolare è costituita da un involucro esterno connettivale detto membrana fibrosa, che avvolge l’articolazione fissandosi ai contorni delle superfici articolari. In alcune parti questa membrana è rafforzata da fasci fibrosi che ricevono il nome di legamenti articolari. Sulla sua superficie interna è applicata una sottile lamina, pure di natura connettivale, la membrana sinoviale;
  • la cavità articolare corrisponde allo spazio compreso fra le due superfici articolari e ha perciò, in genere, la forma di una sottile fessura, riempita da un liquido giallastro che lubrifica le pareti, denominato sinovia o liquido sinoviale.

All’articolazione sono annessi i legamenti, che in taluni casi sono strettamente aderenti alla capsula fibrosa, dalla quale derivano per un ispessimento della sua parete (legamenti articolari) in altri casi sono estranei alla capsula (legamenti a distanza) in altri casi, infine, sono localizzati nella cavità articolare stessa (legamenti intrarticolari). Altre strutture talvolta presenti nelle articolazioni sono i dischi intrarticolari, formazioni fibro-cartilaginee disposte fra una superficie articolare e l’altra e i menischi che, a differenza dei dischi, sono perforati al centro.

Le d. presentano notevole varietà di forma, secondo il tipo di movimento che ciascuna di esse deve svolgere, e possono essere classificate in:

  • artrodia, quando le superfici articolari sono piane e gli spostamenti dei due capi articolari avvengono parallelamente alla loro superficie (per esempio, l’articolazione fra le ossa cuneiformi e le ossa metatarsali del piede);
  • enartrosi, quando uno dei due capi articolari ha la forma di un segmento di sfera, per cui sono resi possibili i movimenti in tutte le direzioni (l’articolazione dell’anca o coxo-femorale);
  • articolazione a sella, quando una superficie articolare è concava in un senso e convessa nel senso perpendicolare al primo (l’articolazione del trapezio con il primo metacarpale);
  • condilartrosi, quando i due capi articolari hanno forma ellissoidale (per esempio, l’articolazione omero-radiale);
  • articolazione trocleare o ginglimo angolare, quando un capo articolare ha la forma di una puleggia (l’articolazione omero-ulnare);
  • articolazione trocoide o ginglimo laterale, quando un capo articolare ha forma cilindrica e ruota in un anello osteo-fibroso (l’articolazione radio-ulnare a livello del gomito).

Gli ultimi quattro tipi di articolazione permettono unicamente movimenti angolari.

 

DIASCOPIA

Tecnica per esplorare la cute premendo una lastrina di vetro (diascopio) contro la pelle. La pressione esercitata allontana il sangue e ciò permette di rilevare piccoli stravasi emorragici, noduli, pigmentazione anomala.

Con il termine diascopia (sinonimo di diafanoscopia o transilluminazione) si indica anche un sistema fotografico che utilizza l’illuminazione per trasparenza per riprendere alcune cavità corporee (es. seni facciali, testicoli). In questo modo è possibile osservare la presenza di versamenti o ispessimenti delle pareti.

DIASTASI

Allontanamento permanente di due superfici articolari, che si produce per processi traumatici e patologici. Si tratta più spesso di traumi che, ledendo il complesso capsulo-legamentoso di una articolazione, permettono l’allontanamento dei rispettivi capi articolari.

Le forme più comuni sono:

  • la d. dell’articolazione tibiotarsica (tra tibia e perone a livello della caviglia);
  • la d. della sinfisi pubica durante la gravidanza, particolarmente nelle donne che hanno avuto molti parti.

La terapia, quando necessaria, prevede la riduzione, cioè il ripristino di una situazione articolare normale tramite il riavvicinamento dei capi articolari diastasati.Questo può essere ottenuto con un intervento chirurgico o in modo incruento e mantenuto con una immobilizzazione in gesso.Si definisce d. anche l’allontanamento tra due monconi di frattura dovuto a interposizione di parti molli, quali i muscoli, o allo spostamento per la violenza del trauma. Anche questa d. va corretta, eventualmente con intervento chirurgico, per evitare gravi ritardi di consolidazione.

DIASTEMA

Spazio esistente fra due denti, che il più delle volte sono gli incisivi centrali superiori e gli inferiori. Frequentemente, ma non sempre, si accompagna alla presenza di un frenulo notevolmente spesso.

Si tratta di un difetto estetico che può essere corretto con opportuni procedimenti di ortodonzia.

DIASTOLE

Fase del ciclo cardiaco, della durata di circa 0,4 secondi, durante la quale la muscolatura del cuore si rilascia e le sue cavità si riempiono di sangue. Nel periodo diastolico le valvole semilunari (aortica e polmonare) sono chiuse mentre le valvole atrioventricolari (mitrale e tricuspide) sono aperte. Per l’elasticità delle arterie, le cui pareti sono state distese dal volume di sangue precedentemente espulso dai ventricoli, il sangue continua a defluire verso i vasi periferici nei ventricoli frattanto si verifica un afflusso di sangue dalle grosse vene attraverso gli atri, non esistendo alcun ostacolo al passaggio del sangue. Il periodo diastolico del cuore termina quando gli atri entrano in contrazione, contribuendo per una piccola frazione (25%) al riempimento totale dei ventricoli.

La d. ventricolare invece dura ancora per un breve istante e termina quando i ventricoli iniziano a contrarsi: le valvole atrioventricolari di conseguenza si chiudono. In questo momento si genera nel cuore il primo tono cardiaco. L’inizio della d. viene denominato, per la precisione, protodiastole in questo periodo la muscolatura ventricolare, ancora contratta, inizia a rilasciarsi. La pressione all’interno dei ventricoli diminuisce e praticamente pochissimo sangue defluisce ancora dai ventricoli alle grosse arterie.Quando la pressione endoventricolare scende al di sotto della pressione esistente nell’aorta e nell’arteria polmonare, le valvole semilunari si chiudono per un breve periodo tutte le valvole della cavità ventricolare sono chiuse e la pressione al suo interno va progressivamente diminuendo.

La d. vera e propria, intesa come periodo di riposo della muscolatura cardiaca, ha luogo allorché le valvole atrioventricolari si aprono e il sangue contenuto negli atri entra nelle cavità ventricolari. Approssimativamente la d. dura dal II al I tono cardiaco di ogni ciclo. Durante questo periodo l’elettrocardiogramma è muto. Il principale fenomeno fisiologico che caratterizza la d. è il riempimento dei ventricoli. Esso non è un fenomeno attivo, nel senso che il cuore non esercita una forza aspirante che richiama il sangue nelle cavità cardiache dipende unicamente dalla differenza di pressione tra le grosse vene da un lato, gli atri e i ventricoli dall’altro.

DIATERMIA

Applicazione di corrente a elevata frequenza sul corpo umano a scopo terapeutico. Fra gli effetti della corrente elettrica a frequenza sufficientemente elevata sul corpo umano è particolarmente importante quello termico che in alcuni casi porta benefici effetti su tutto l’organismo o su determinati organi in particolare, provocando aumento generale dei fenomeni del ricambio, iperemia con stimolazione generale del sistema endocrino, nonché effetti analgesici e antispasmodici.

La d. è indicata particolarmente in determinati stati morbosi: nevralgie in periodo subacuto, paralisi spastiche, ipertensione, artriti subacute e croniche ecc.La quantità di energia elettrica fornita nella d. al paziente è notevole, ma data l’elevata frequenza in gioco gli effetti di stimolo sulle strutture nervose e muscolari sono pressoché nulli.

DIATERMOCOAGULAZIONE

(O elettrocoagulazione), applicazione medicochirurgica di corrente ad alta frequenza che viene concentrata in un punto provocando, per effetto termico, una distruzione e una rapida coagulazione cellulare.La d. trova impiego in chirurgia per sezionare mediante uno strumento chiamato elettrobisturi tessuti profondi o per ottenere l’emostasi di piccoli vasi, in ginecologia per la cura delle erosioni della mucosa cervicale, in dermatologia per la cura di piccole lesioni cutanee (quali verruche, condilomi, fibromi penduli ecc.).

DIATESI

Accentuata predisposizione dell’organismo verso determinate malattie tra di loro affini. Si tratta di un fenomeno strettamente legato alla costituzione del soggetto, trasmesso ereditariamente, espressione di una particolare forma di reazioni dell’organismo, che peraltro non presenta apprezzabili alterazioni della sua struttura o delle sue funzioni, di fronte a stimoli privi di effetto sull’organismo normale, o anche in assenza di qualsiasi stimolo.

Sono state distinte numerose d., e il termine è usato anche per indicare in modo molto generico la predisposizione di un organismo a presentare determinate manifestazioni morbose. Si è parlato così di d. artritica, essudativa, linfatica, allergica, emorragica, angiodistrofica ecc.

DIATESI ARTRITICA

Predisposizione morbosa verso quelle malattie, comunemente dette artritiche, che sono in rapporto con disturbi del ricambio, quali la gotta, il diabete, l’obesità, le calcolosi, l’artrosi. Nell’infanzia sarebbero manifestazioni di d. artritica i disturbi dell’apparato digerente, respiratorio e cutaneo.

DIATESI ESSUDATIVA

Abnorme tendenza della cute e delle mucose alle manifestazioni infiammatorie di tipo essudativo (congiuntiviti, riniti, bronchiti, angine catarrali, eczemi, ecc.).

DIATESI LINFATICA

vedi LINFATISMO

DIATESI NEUROARTRITICA

vedi NEUROARTRITISMO

DIAZEPAM

Farmaco derivato della benzodiazepina. Ha effetto ansiolitico, anticonvulsivante, miorilassante, ipnotico. Ha molteplici indicazioni grazie alla sua maneggevolezza ed agli scarsi effetti collaterali. Viene usato nelle psiconevrosi di tipo ansioso, negli stati di ansia che accompagnano molte malattie organiche, nella crisi epilettica e in alcune malattie psicosomatiche.

È utile anche nelle psiconevrosi moderatamente depressive e nella sindrome da astinenza nel corso della riabilitazione dei pazienti affetti da alcolismo cronico o da altre tossicomanie. È indicato anche come rilassante muscolare in molte malattie dell’apparato locomotore e del sistema nervoso centrale e periferico associate a spasmi muscolari. La tossicità è modesta. Può dare talvolta sonnolenza, nausea, astenia, cefalea, ipotensione, soprattutto quando è usato a dosi elevate.

L’uso prolungato può indurre abitudine e la sospensione brusca può dare luogo a una sindrome da astinenza. Deve essere usato con cautela nei pazienti debilitati o con malattie epatiche o renali e in alcune psicosi. In gravidanza non andrebbe somministrato cronicamente nel primo trimestre. Si somministra per via orale, endovenosa, intramuscolare.

DIAZOSSIDO

Farmaco antipertensivo che agisce sulla muscolatura liscia dei vasi. Il suo impiego è ristretto a situazioni di emergenza clinica. Provoca ritenzione di sodio e riduce la tolleranza ai carboidrati. Per ottenere un effetto ipotensivo deve essere somministrato rapidamente in vena. Provoca una immediata riduzione della pressione arteriosa e i suoi effetti durano qualche ora.

DIBUCAINA

(O nupercaina), uno degli anestetici locali più efficaci e ad azione prolungata, anche se piuttosto tossico. Era usato nell’anestesia di superficie, di infiltrazione e spinale, attualmente sostituito da analoghi prodotti meno tossici come la Xilocaina, Mepivacaina, Bupivacaina, etc. Numero di dibucaina

Per un corretta valutazione del rischio operatorio è essenziale determinare questo parametro che consente di evidenziare gli individui con un normale livello sierico di colinesterasi ma portatori di varianti genetiche di quest’enzima in grado di provocare depressione respiratoria. In questi pazienti, testando l’attività colinesterasica in presenza di un suo inibitore naturale, il cloridrato di dibucaina, si è visto che l’enzima conserva quasi invariabilmente la sua attività.I valori di riferimento sono: 70-90% nei soggetti normali 30-70% nei soggetti eterozigoti o minore del 30% nei soggetti omozigoti.

DIC

Sigla di Disseminated Intravascular Coagulation.

DICLOFENAC

Farmaco antinfiammatorio non steroideo. Possiede notevoli proprietà antinfiammatorie e analgesiche, per cui viene usato principalmente nelle forme artritiche, artrosiche e nella artrite reumatoide, ma anche in alternativa ai narcotici nel dolore postoperatorio, nelle coliche renali ed epatiche e nelle prime fasi della terapia del dolore da cancro.

Come tutti i FANS, può avere effetti lesivi sulla mucosa gastrica e provocare nausea, dolori addominali, e problemi epatici. Pertanto, in caso di terapie prolungate, sarebbe consigliabile controllare ogni mese la funzionalità epatica.

DICLORFENAMIDE

Inibitore della anidrasi carbonica.

DICLOTRIDE

vedi IDROCLOROTIAZIDE

DICROTISMO

Fenomeno per cui, in alcune malattie, alla palpazione di un’arteria periferica ogni pulsazione viene apprezzata come costituita da due pulsazioni immediatamente succedentisi, di cui la seconda più piccola della prima. È dovuto a un’esagerazione dell’onda dicrota normalmente presente durante la fase discendente dell’onda pulsatoria, espressione del rimbalzo della colonna di sangue alla chiusura delle valvole semilunari aortiche. Si manifesta in caso di ipotonia delle pareti vasali, quale si ha per esempio in malattie infettive acute.

DICUMAROLO

Composto chimico ad attività anticoagulante indiretta, capace di contrastare l’azione della vitamina K.Causa una diminuzione della produzione epatica dei fattori emocoagulativi vitamina K-dipendenti (protrombina, fattore VII, IX, X) e conseguentemente una diminuzione della coagulabilità del sangue. La azione farmacologia è piuttosto lunga, almeno 18 h, dipendendo dalla velocità di sintesi di tali fattori da parte del fegato. Questo è un problema non indifferente nel caso di emorragie da sovradosaggio, in quanto il tempo per neutralizzare l’effetto anticoagulante è lungo. Si può ovviare a questo problema somministrando vitamina K o, nei casi più urgenti, sangue intero o plasma.

Il farmaco, derivato dal d., attualmente più usato per la sua maggiore maneggevolezza è il Warfarin sodico. I dicumarolici sono indicati per la prevenzione delle recidive trombotiche in pazienti che abbiano avuto infarto cardiaco, ictus, embolia polmonare, trombosi venosa profonda ripetuta e per prevenire tali patologie in pazienti cardiopatici (es. con fibrillazione atriale) o con trombofilia ereditaria. Vanno sospesi almeno 10 gg prima degli interventi chirurgici, sostituendoli con l’eparina a basso peso molecolare.La somministrazione è per bocca, ed in genere si sovrappone per un certo periodo di tempo alla somministrazione sottocutanee di eparina a basso peso molecolare, fino a raggiungere l’effetto terapeutico desiderato.

L’effetto terapeutico di scoagulazione deve essere attentamente monitorato, per non sottodosare (rischio di trombosi) né sovradosare (rischio di emorragia) il farmaco, tramite prelievo di sangue, con controllo dei parametri coagulativi, ed in particolare l’INR (International Normal Ratio), che deve avere valore compreso tra 2,0 e 4,0 a seconda della patologia da trattare. All’inizio del trattamento può essere necessario eseguire tale controllo anche giornalmente. Le controindicazioni sono le seguenti: storia clinica di patologie del sistema coagulativo in senso emorragico (es. emofilia), ipertensione severa, insufficienza renale, gravidanza, ulcera peptica,interventi chirurgici recenti, emorragie cerebrali pregresse, TBC attiva.

DIDANOSINA

Farmaco antiretrovirale inibitore nucleosidico della trascriptasi inversa (NRTI). Agisce bloccando la conversione dell’RNA virale in DNA. È stata la seconda molecola registrata per la terapia dei pazienti sieropositivi HIV.Recentemente si è notata una alta percentuale di fallimenti terapeutici se la d. viene associata al tenofovir. Gli effetti collaterali includono la neuropatia periferica, la pancreatite e la diarrea.

DIENCEFALO

Porzione dell’encefalo embrionale individuabile nel corso della quinta settimana di vita intrauterina, quando l’encefalo stesso appare formato da cinque vescicole che si succedono in senso anteroposteriore e che sono denominate, nell’ordine: telencefalo, diencefalo, mesencefalo, metencefalo, mielencefalo. Il d. deriva dalla differenziazione della parte caudale della primitiva vescicola cerebrale anteriore o prosencefalo. Risultano derivati dal d., in condizioni definitive di sviluppo, i nuclei del talamo, dei corpi genicolati mediali e laterali, e dell’ipotalamo le strutture dell’epitalamo il lobo posteriore e il peduncolo dell’ipofisi. Il pavimento del d. continua in avanti e lateralmente nelle vescicole ottiche, dalle quali deriveranno la retina e le fibre del nervo ottico. La cavità del d. costituirà invece la maggior parte del terzo ventricolo cerebrale.

DIERESI

In chirurgia uno degli atti che compongono un intervento chirurgico ed in particolare tutte quelle manovre strumentali che realizzano la separazione di tessuti fra loro eseguita con strumenti meccanici o con mezzi fisici (calore, corrente elettrica, laser, ultrasuoni). Tale separazione si definisce:

- incisione se effettuata con strumenti che realizzano un taglio lineare (bisturi a lama bisturi elettrico o ad ultrasuoni laser harmonic scalpel);

- dissezione se operata in tutto o in parte per via smussa con l’ausilio di forbici, pinze, spatole, batuffolini di garza montati su pinze, le dita della mano (d. digitale o digitoclasia) o altri strumenti a punte smusse;

- sezione se la separazione dei tessuti o delle strutture anatomiche è completa.

La d. termica (diatermia) si pratica con l’elettrobisturi (monopolare o bipolare): l’effetto della coagulazione o di taglio dipende dal tipo di corrente erogata all’elettrodo attivo dello strumento.

DIETA

Regime alimentare necessario per la conservazione della salute e del benessere dell’individuo. Per conservare il proprio organismo in perfetto stato nutrizionale e funzionale ogni individuo deve alimentarsi consumando ogni giorno la razione alimentare a lui adatta, in rapporto all’età, allo stato di salute e alla vita di relazione. L’insieme degli alimenti che la compongono devono essere digeriti bene e, attraverso la funzione del tubo digerente, rielaborati ed assorbiti in modo che una sufficiente quantità di principi essenziali per il metabolismo arrivi al sangue.

Una d. ottimale deve comprendere, oltre all’acqua, un’adeguata quantità di proteine, grassi, carboidrati, minerali e vitamine. Il valore calorico di una d. deve essere uguale all’energia spesa come lavoro e come calore perché il peso si mantenga costante. Se le entrate caloriche sono insufficienti vengono consumate sostanze di riserva e si ha dimagrimento se al contrario le entrate sono eccessive si ha ingrassamento. Il fabbisogno calorico giornaliero di una persona in normali condizioni fisiche è di circa 2500-3000 kcal. Tale numero di calorie può essere fornito con una d. che contenga proteine, grassi e glucidi in varie proporzioni. Se la razione alimentare è squilibrata a favore di uno dei suoi componenti, dopo un tempo più o meno lungo l’individuo va inevitabilmente soggetto a malattie metaboliche e da malnutrizione.È raccomandabile l’introduzione di almeno 1 g di proteine per chilogrammo di peso corporeo, che assicurano, a un uomo di 70 kg, 280 kcal. Il resto del fabbisogno calorico viene coperto con grassi e glucidi in proporzioni che dipendono da vari fattori (gusti, possibilità economiche ecc.). Sono raccomandabili 60 g di grassi (558 kcal) e 520 di carboidrati (2160 kcal ca.).

Anche la qualità delle sostanze nella d. ha una certa importanza. Non devono mancare le proteine di origine animale che compongono gli aminoacidi nelle proporzioni richieste per la sintesi proteica tra quelle vegetali non tutte presentano tali requisiti e alcune mancano addirittura di certi aminoacidi.I lipidi devono contenere un’adeguata quantità di acidi grassi insaturi oltre a quelli saturi. Il fabbisogno di sali e vitamine per quanto basso deve essere assicurato nella d.È ovvio che, a parità di condizioni, la d. deve subire delle varianti a seconda delle stagioni è cosa nota che una d. sufficiente durante l’inverno diventa eccessiva nel periodo estivo in estate i grassi devono essere ridotti al minimo e i carboidrati, pur dovendo costituire la parte prevalente del valore energetico delle razione, devono essere forniti, in buona parte, dalle insalate, dalle patate e dalla frutta zuccherina.Per stimolare le funzioni gastrointestinali depresse dal caldo, è bene che i cibi siano conditi con erbe aromatiche e con spezie e si deve concedere anche qualche nervino (caffè, tè, vino, birra).Quando fa molto caldo è bene che la razione giornaliera non superi le 2000 kcal e venga divisa in quattro piccoli pasti. Durante l’inverno, poiché le basse temperature esterne sottraggono calore al corpo, è bene che la razione alimentare sia particolarmente ricca di grassi (è opportuno ricordare che i grassi liberano da 1 g 9 kcal, invece che 4 come i protidi e i glucidi).Ciò che è stato finora esposto vale per individui in stato normale di salute, ma non per esempio per i gastroenteropatici e per gli individui in particolari condizioni (gravidanza, allattamento), per i quali il medico deve prescrivere diete speciali a base di alimenti combinati in regimi alimentari di valore terapeutico.Per seguire una buona dieta, bisogna anzitutto ricordare che il cervello, per la sua attività, ha soprattutto necessità di zucchero e fosforo (utilizzabile sotto forma di fosfolipidi).La quota di proteine, poi, per oltre la metà deve essere costituita da proteine animali (carni, uova, pesci, latte, formaggi).

Di grande importanza è anche l’assunzione di vitamine, particolarmente di quelle appartenenti al gruppo delle vitamine B.Inoltre, perché un regime alimentare sia veramente efficace, deve anche seguire delle norme precise che consentano a stomaco, fegato, reni e, in generale, a tutti gli organi del nostro corpo, di lavorare in modo adeguato senza tuttavia sovraccaricare l’attività del cervello.Vediamo adesso quali sono le principali regole da osservare:- sforzarsi di seguire orari ben determinati e costanti per prima colazione, pranzo, cena.L’orario fisso risponde ad una rigorosa necessità del nostro apparato gastrointestinale che è essenzialmente abitudinario. Una variazione degli orari può talvolta disturbare notevolmente, oltre all’organismo, anche la nostra attività intellettuale - non caricare eccessivamente la quantità di cibo durante pranzo e cena: le abbuffate sono sempre negative per il nostro cervello - gli alimenti devono essere semplici, non elaborati, non complicati da un’eccessiva presenza di grassi e da salse di difficile digestione - bisogna evitare di bere alcolici forti o abusare del caffè, mentre può essere utile un bicchiere di vino (non di più) a pranzo o a cena - sarebbe anche utile, durante i pasti, evitare qualsiasi tipo di discussione, alle quali, purtroppo, invece facilmente indulgono particolarmente proprio gli intellettuali - consumare i pasti senza fretta, masticando lentamente per favorire la digestione.Nei pazienti affetti da malattie di lunga durata la giusta d. ha una importanza fondamentale non sono infatti rari i casi in cui l’esito delle più perfette terapie medico chirurgiche viene compromesso dall’insorgenza di squilibri e carenze dovuti a incongrua alimentazione.

DIETETICA

(O dietologia). Branca della medicina che tratta dei regimi alimentari: si basa sulla conoscenza dei fabbisogni nutritivi dell’organismo da un lato e sulla composizione degli alimenti dall’altro, e si realizza nella prescrizione delle diete.

DIETILSTILBESTROLO

Estrogeno di sintesi non steroideo che venne impiegato, per lo più in America alla fine degli anni ‘40, per prevenire l’aborto, il parto pretermine, la morte fetale endouterina, le complicanze del diabete gestazionale, nonché per trattare la preeclampsia. In un decennio, circa 5 milioni di donne americane hanno assunto questo farmaco. Ciò che non si conosceva all’epoca erano gli effetti di questa sostanza sul feto, sia maschio che femmina.

Nel maschio si sono evidenziate tutta una serie di anomalie benigne a carico dell’apparato urogenitale, fra cui criptorchidismo, ipospadia, stenosi uretrale, ecc. e non trascurabili sono gli effetti sulla fertilità, legati al cattivo funzionamento degli spermatozoi.Nelle femmine, si sono riscontrate anomalie benigne a carico del tratto genitale che, a seconda delle statistiche, arrivano fino al 90%. Tuttavia il rischio maggiore è quello legato all’insorgenza di una grave forma tumorale, detta adenocarcinoma a cellule chiare, della vagina o della cervice.

La probabilità è tanto maggiore quanto più precoce è stata l’esposizione al farmaco e soprattutto se la madre lo ha assunto prima della 12° settimana, per un periodo prolungato e ad alti dosaggi. Come nell’uomo, ma probabilmente in questo caso le dimensioni del problema sono maggiori, anche nelle donne possono presentarsi segni di sterilità, infertilità o subfertilità.In certi casi l’ormone sembrava assunto dalle madri non direttamente, ma attraverso l’ingestione di carni di animali con esso trattati. Questo tumore, inoltre, colpisce le donne giovani, di solito fra i 17 e i 20 anni ed è molto aggressivo. Anche nelle forme diagnosticate presto, grazie ad una sorveglianza stretta delle bambine esposte, la terapia, chirurgica, è demolitiva.

DIETOLOGIA

vedi DIETETICA

DIFENIDRAMINA

Farmaco a forte azione antistaminica e modica azione anticolinergica. È usata nel trattamento di talune allergie, nella terapia del morbo di Parkinson e nelle sindromi di movimento. Si somministra per via orale e parenterale vi sono anche preparati per applicazioni locali. L’effetto collaterale principale e la sedazione, quindi non devono essere assunti se ci si deve mettere alla guida di veicoli a motore.

DIFENILIDANTOINA

vedi FENITOINA

DIFESA, meccanismi di

In Immunologia. Processi messi in atto dall’organismo per difendersi dall’invasione di agenti estranei (quali batteri, virus, sostanze organiche ecc.), da cui il nostro corpo è circondato e che possono penetrare e moltiplicarsi al suo interno, provocando un’infezione che potrebbe anche essere mortale.

Una prima linea di difesa contro questi microrganismi è costituita dalla pelle che rappresenta una difesa innata e aspecifica al loro insediamento all’interno del nostro corpo questa barriera esterna, tuttavia, sarebbe insufficiente se non esistessero diverse sostanze capaci di proteggere internamente le mucose, come il muco (che si trova nel rinofaringe) o il lisozima (un enzima presente nella maggior parte delle secrezioni) o ancora gli acidi gastrici, che rappresentano dei meccanismi supplementari, attraverso i quali l’organismo è protetto dagli agenti esterni.Intervengono anche fattori meccanici, come per esempio il movimento delle ciglia vibratili a livello dell’epitelio respiratorio che permette di espellere i microrganismi nello stesso modo le diverse secrezioni (lacrimale, nasale, salivare ecc.) assicurano l’eliminazione meccanica dei germi.La seconda linea di difesa contro i germi (dopo il superamento delle barriere esterne) è l’insieme del sistema reticolo-istiocitario, una difesa circolante costituita da cellule fagocitarie, grosse cellule capaci di divorare, inglobandoli, gli eventuali corpi estranei penetrati nell’organismo.Oltre a queste diverse cellule, un ruolo essenziale è giocato anche da alcuni fattori presenti nei liquidi corporei. In primo luogo bisogna citare le diverse proteine del complemento, frazione proteica contenuta nel siero del sangue che rafforza la risposta immunitaria attaccando e “rompendo” vari tipi di cellule compresi batteri e microrganismi in genere, ovunque sia avvenuta una reazione antigene-anticorpo.Infine, per quanto riguarda le infezioni virali, le cellule dell’organismo sono in grado di produrre una proteina, chiamata ínterferone, che possiede la proprietà di interferire con la replicazione virale.In Psicoanalisi.

Sono meccanismi di difesa tutte quelle azioni che l’io riesce ad attivare per proteggersi dall’Es. Accade cioè che dall’inconscio possono premere impulsi di vario genere che l’Io, in quanto componente consapevole e razionale della persona, non vuole o non è in grado di accettare. A questo punto vengono messi in azione dei meccanismi che bloccano la strada all’Es e proteggono il soggetto da una possibile esplicita emergenza di contenuti non desiderati.Naturalmente l’attivazione di meccanismi di d. implica l’impiego di energie psichiche che, rivolte a controllare i contenuti inconsci non accettati, non possono essere impiegate per altri scopi. È abbastanza normale che l’individuo, anche adulto, faccia ricorso all’uso di meccanismi di d.: di fronte agli insuccessi, alle frustrazioni, e ai tanti eventi contrari della vita quotidiana l’Io ricerca e trova mezzi per difendersi dall’angoscia e dalla paura.L’attivazione dei meccanismi di d. è un processo psicologico che si svolge in modo dinamico e inconscio: il soggetto non si rende conto di utilizzare tali strumenti per proteggere il proprio Sé.Fare una elencazione precisa dei meccanismi di d. è molto difficile: in un certo senso, l’Io per difendersi utilizza tutto ciò che può avere a disposizione. È possibile comunque fare riferimento ad alcune tipologie che più frequentemente si presentano.- Rimozione. È il meccanismo di d. più conosciuto. È come se l’Io sbarrasse la via all’Es: i contenuti presenti nella memoria inconscia, e non desiderabili dal soggetto, vengono rimossi, nel senso che è come se non esistessero più.Apparentemente tali ricordi sono del tutto dimenticati, ma solo apparentemente. Infatti continuano a premere per emergere a livello di coscienza, e l’Io deve continuamente mobilitare energie psichiche per conservarli nella condizione di r. Eventi improvvisi o particolarmente traumatici possono ridurre le capacità di difesa dell’Io: in questo caso i contenuti rimossi possono affacciarsi all’improvviso a livello di coscienza, con tutta la loro carica emotiva che può assumere valori distruttivi. In altri casi i contenuti rimossi possono emergere a livello di coscienza quando le difese dell’Io sono più deboli, come accade durante il sogno quanto tali contenuti si presentano sotto forme simboliche.Altre volte ancora possono manifestarsi in occasione del lapsus, quando cioè piccole dimenticanze o banali errori di comportamento assumono significati simbolici collegati in qualche modo ai valori dei contenuti rimossi.- Formazione reattiva. È un meccanismo particolare e sotto certi aspetti sorprendente.


È presente nei confronti di una persona, oggetto, situazione o altro, un particolare sentimento (odio, crudeltà, ostinazione ecc.). Questo sentimento viene visto dall’Io come pericoloso e trasformato nel suo contrario (rispettivamente amore, gentilezza, disponibilità ecc.). Naturalmente il sentimento originario permane, e preme per emergere. Ciò può accadere in situazioni di particolare tensione emotiva. In molti casi l’amore esasperato per gli animali può nascondere un profondo ma inconscio sentimento di odio e di sadismo. Così inversamente un odio esplicitato può coprire un inconfessato amore.

- Identificazione. In una situazione di forte dipendenza emotiva, il soggetto tende a identificarsi con un’altra persona assumendone i comportamenti e gli atteggiamenti. Tale meccanismo è una modalità tipica di reazione di fronte a situazioni che producono incertezza e che sono effetto di fallimenti e frustrazioni.

- Isolamento. Consiste in un processo particolare per cui eventi, desideri e fatti non graditi e spiacevoli dal punto di vista affettivo vengono ricordati in quanti tali, perdendo però il collegato valore affettivo. In altri termini, ciò di cui l’Io ha timore è che emergano a livello di coscienza contenuti inconsci disturbanti dal punto di vista emotivo-affettivo. Il meccanismo dell’isolamento permette che venga isolato l’evento in quanto tale, non più pericoloso in quanto deprivato della componente emotivo-affettiva.

- Annullamento. Consiste nell’attivazione di comportamenti che hanno l’effetto di annullare, agli occhi del soggetto, le conseguenze relative ad un proprio desiderio inconscio non accettato. Se un individuo nutre un desiderio inconscio di fare del male ad una persona, può attivare dei conportamenti rivolti a guarire ed a curare altre persone od animali: questi comportamenti acquistano così il significato di azioni di riparazione valide ad “annullare” gli effetti specifici collegati al proprio desiderio di violenza.

- Negazione. Molto semplicemente si nega una parte o anche tutti i dati della realtà esterna, quando hanno un valore di attentato all’esistenza dell’Io. Ci si oppone a fatti della vita quotidiana, anche oggettivi, negandoli tramite lo sviluppo di fantasie o l’attivazione di comportamenti che simbolicamente modificano i dati del reale a proprio vantaggio.

- Proiezione. È un meccanismo di d. molto comune ed usuale: si vedono negli altri atteggiamenti, intenzioni, desideri che sono invece propri. Non di rado il “sentirsi perseguitati” è l’effetto di tale azione di proiezione di propri vissuti e desideri su chi è intorno. Accade così che a volte “si vede ciò che si vuole vedere”, come si verifica nel caso di genitori che proiettano sui figli dei propri vissuti e li valutano non per ciò che effettivamente sono, bensì attraverso il filtro dei propri desideri proiettati. In tale azione proiettiva non è difficile, a lungo andare, perdere il senso e il contatto con la realtà.

- Rivolgimento contro il Sé. È un meccanismo di difesa tipico dell’età infantile. Il soggetto, non potendo dirigere verso l’esterno e realizzare i propri desideri, tende a rivolgerli verso se stesso. È come se il soggetto si identificasse momentaneamente con l’oggetto del desiderio in modo che l’azione rivolta verso se stesso acquisti simbolicamente il valore di un’azione diretta verso l’oggetto esterno. Il bambino che si fa del male molto probabilmente in quel momento sta facendo del male a un oggetto esterno che non può raggiungere o su cui non può sfogare la propria rabbia.

- Regressione. Il soggetto tende a regredire, cioè a ritornare su comportamenti e situazioni appartenenti ad una fase precedente della propria vita. Solitamente tale fase era stata vissuta come rassicurante e protettiva.Sintomaticamente la regressione si manifesta quando alle persone vicine vengono attribuiti ruoli e richiesti comportamenti tipici dei personaggi che nella storia della vita individuale hanno svolto funzioni di protezione in contesti rassicuranti.

- Razionalizzazione. Il soggetto tende a ricercare ed a dare spiegazioni e giustificazioni estremamente razionali a comportamenti o desideri che hanno invece una natura squisitamente emotiva e irrazionale. Il soggetto cioè non riesce ad accettare la propria spinta emotiva, nega anzi la sua presenza e giustifica i suoi effetti in base a considerazioni di natura razionale. I meccanismi di d. solitamente non agiscono mai isolatamente, ma ne sono presenti più di uno contemporaneamente, e la loro azione è rivolta a mantenere stabile l’identità dell’Io, dando sollievo all’angoscia e alla paura.

DIFTERITE

Malattia infettiva contagiosa causata da un agente specifico, il Corynebacterium diphtheriae.

Cause
Il Corynebacterium diphteriae è un bacillo rettangolare gram-positivo, lungo da 1 a 8 millesimi di millimetro, immobile, che infetta solamente l’uomo. Diffusa in tutto il mondo, nei Paesi sviluppati è quasi scomparsa grazie alla vaccinazione di massa. Anche in Italia si verificano solo pochi casi all’anno. Negli ultimi 30 anni è diventata una malattia così rara da rivivere solo nei ricordi dei medici più anziani.La d. predilige i climi temperati ed ha la sua massima incidenza in autunno. La d. viene trasmessa dagli ammalati, sia direttamente che indirettamente, ma possono trasmetterla anche soggetti convalescenti o guariti (portatori) sono colpiti specialmente i bambini. Le mucose dell’uomo, a livello delle fauci o della laringe, sono la sua residenza preferita qui vive, si riproduce e danneggia il suo ospite in due modi: localmente, distruggendo le cellule epiteliali e dando il via alla formazione delle pseudo-membrane, formate da un ammasso di cellule morte, bacilli morti e vivi, globuli bianchi, tenuti insieme da una trama di fibrina, e, a distanza, con la produzione di tossina. La tossina difterica rapidamente si diffonde a tutto l’organismo e danneggia in modo particolare il tessuto nervoso, il miocardio, il surrene e il rene. La virulenza del bacillo (da cui dipendono le forme più o meno gravi di malattia), è in rapporto diretto con la quantità di tossina prodotta. Nell’ambiente esterno esso resiste discretamente all’asciutto e al freddo, mentre i raggi del sole lo distruggono con grande rapidità. I bacilli che stanno sui frammenti di pseudo-membrane casualmente espulsi all’esterno con un colpo di tosse rimangono a lungo vitali, da ciò deriva la possibilità che libri, giocattoli, o altri oggetti che il malato abbia avuto vicino siano veicolo d’infezione, benché il contagio in pratica sia possibile solo in modo diretto da uomo ad uomo.

Sintomi
Il periodo di incubazione della malattia è breve (2-8 giorni). Le manifestazioni cliniche variano notevolmente da caso a caso sia in rapporto alla primitiva localizzazione del germe sia in rapporto all’età del soggetto colpito. È una malattia dell’età infantile, raramente un adulto la contrae.Nell’organismo del bambino le varie sedi d’infezione sono più o meno frequenti a seconda dell’età. Il neonato e il lattante, nei primi cinque mesi, sono protetti contro la d. dagli anticorpi che hanno ricevuto dalla madre nell’ultimo periodo di vita endouterina. A volte però il Corynebacterium colpisce il neonato di pochi giorni, trovando nella ferita ombelicale la sua localizzazione favorita e dando la d. ombelicale, per fortuna ormai rarissima.Nel lattante la forma più frequente è la rinite difterica che inizialmente assomiglia ad un comune raffreddore, la sintomatologia, inizialmente banale, tende però a peggiorare con la comparsa di pseudo-membrane grigie, estese al labbro superiore e alla mucosa del naso, da cui esce una secrezione vischiosa striata di sangue. Il decorso non è mai grave.La manifestazione più comune è la d. faringea o angina difterica, con localizzazione dei batteri sulle tonsille, di cui il batterio distrugge l’epitelio, producendo grandi quantità di tossina che in breve tempo, essendo le tonsille riccamente vascolarizzate, trasportata dal sangue, invadendo l’intero organismo. Il periodo d’incubazione della malattia è breve, 6-7 giorni, dopo di che inizia la febbre, di solito non troppo elevata, la cute si fa pallida, il cuore accelera il suo ritmo e i bambini più grandi lamentano spesso un vivo dolore e un senso di costrizione alla gola che si accentua con la deglutizione.

DIGASTRICO, muscolo

Muscolo del collo situato nella regione sopraioidea, formato da due porzioni carnose riunite da un tendine intermedio. È innervato da rami del nervo mandibolare e facciale abbassa la mandibola.

DIGERENTE, apparato

Complesso degli organi e delle strutture anatomiche dai quali dipendono l’assunzione degli alimenti, la loro trasformazione in sostanze semplici, tali da poter essere assorbite dai liquidi circolanti e distribuite alle cellule, ed infine anche l’eliminazione delle scorie inutili o dannose. L’insieme dei processi che rendono possibile l’assorbimento e l’assimilazione degli alimenti è definito digestione.L’apparato d. è strutturato come un lungo tubo, esteso dall’apertura della bocca sino all’ano la sua lunghezza complessiva è di ca. 11 m al condotto, distinto in diverse porzioni, sono collegate formazioni ghiandolari che producono diversi tipi di secreti. Nella bocca il cibo viene preparato, e poi attraverso la faringe e l’esofago viene avviato agli organi dove propriamente ha luogo la digestione: stomaco ed intestino tenue nell’intestino crasso le scorie vengono accumulate, private della maggior parte del loro contenuto di acqua, ed eliminate ad intervalli attraverso l’ano. Altri prodotti di rifiuto vengono eliminati attraverso il fegato con la bile o attraverso la mucosa dell’intestino crasso.EmbriologiaL’apparato d. si sviluppa nell’embrione dall’endoderma e da due invaginazioni dell’ectoderma che con esso si mettono in comunicazione: lo stomodeo (dal quale si forma la parte anteriore della cavità buccale) e il proctodeo (che dà origine al canale anale). L’endoderma e l’ectoderma dello stomodeo e del proctodeo danno origine alla mucosa che tappezza la cavità del tubo digerente e alle strutture ghiandolari annesse dal mesoderma derivano invece i rivestimenti muscolari, connettivali e sierosi che ne completano la struttura. Durante la vita embrionale il tubo digerente primitivo è unito alla parete anteriore e a quella posteriore del corpo da due membrane sierose, denominate rispettivamente mesentere ventrale e mesentere dorsale, che ne seguono gli spostamenti durante la fase di accrescimento e di differenziazione delle sue diverse parti il mesentere ventrale in seguito regredisce e scompare quasi completamente.Anatomia e fisiologiaAnalizzando in maniera più approfondita le varie parti in cui viene suddiviso l’apparato d. si considerano, nell’ordine: la cavità buccale, la faringe, l’esofago, lo stomaco e l’intestino.- La cavità buccale. È la prima porzione dell’apparato d. e comunica con l’esterno attraverso la rima buccale, delimitata dalle labbra. La cavità buccale vera e propria è preceduta da uno spazio detto vestibolo della bocca, compreso tra le guance e le labbra da un lato e le arcate dentarie e gengivali dall’altro. La cavità buccale vera e propria si estende posteriormente alle arcate gengivodentarie sino all’istmo delle fauci, ove comunica con la faringe. Sul pavimento della cavità buccale è presente un organo muscolare, la lingua, la cui superficie è ricca di ghiandole e di recettori sensitivi e sensoriali. Alla cavità buccale sono annesse le ghiandole salivari, che producono un secreto, detto saliva, contenente enzimi (in particolare la ptialina, che scinde l’amido in maltosio) i quali danno inizio ai processi digestivi. Le ghiandole salivari comprendono formazioni voluminose (ghiandole parotidi, sottomandibolari e sottolinguali) e piccole ghiandole disseminate nello spessore della mucosa che riveste la cavità buccale (ghiandole salivari minori). La cavità buccale è adibita all’assunzione, alla masticazione e alla insalivazione del cibo questo viene così trasformato in un bolo che viene spinto nella faringe attraverso una serie di movimenti in parte volontari e in parte riflessi questi movimenti nel loro complesso sono definiti deglutizione.


Quando le arcate dentarie sono serrate, la cavità buccale è virtuale quando invece sono divaricate, essa diventa uno spazio ovoidale, delimitato lateralmente dalle guance, superiormente dal palato, anteriormente dalle labbra e inferiormente dalla lingua e dal pavimento buccale.- La faringe. È un breve condotto muscolo-membranoso che si continua in un condotto tubolare, lungo circa 25 cm, denominato esofago. La faringe, oltre che tra la bocca e l’esofago, è inserita anche tra il naso e la laringe a questo livello si ha quindi un incrocio tra la via digerente e la via respiratoria.A livello della zona di passaggio tra la cavità buccale e la faringe (zona che viene definita istmo delle fauci) la mucosa forma una piega (detta palato molle) che prolunga posteriormente il palato osseo e lateralmente due pieghe (dette pilastri palatini) tra le quali sono accolti accumuli di tessuto linfatico, che costituiscono le cosiddette tonsille palatine.- L’esofago. Discende dal collo nel torace e lo percorre situandosi nella parte posteriore del mediastino a livello del diaframma esso penetra nella cavità addominale per collegarsi con la porzione del tubo digerente ivi contenuta. Mentre nella bocca il cibo subisce importanti modificazioni che danno l’avvio ai processi della digestione, faringe ed esofago costituiscono solo una sede di transito del bolo alimentare. La porzione del tubo digerente contenuta entro la cavità addominale comprende lo stomaco e l’intestino.- Lo stomaco. È una dilatazione del tubo digerente che ha la forma di una sacca, la cui parete interna è sollevata in pliche variamente convolute l’apertura che lo mette in comunicazione con l’esofago è detta cardias, quella che lo fa comunicare con l’intestino è detta piloro. La sua mucosa contiene ghiandole che secernono acido cloridrico ed enzimi (particolarmente enzimi proteolitici) l’ambiente acido che si crea nella cavità dello stomaco risulta particolarmente adatto sia alla digestione che alla sterilizzazione degli alimenti introdotti. Questi nello stomaco si trasformano in un liquido a reazione acida detto chimo, che viene sospinto nell’intestino.- L’intestino. Costituisce la sede ove si completano i fenomeni di scissione digestiva del cibo e dove il materiale alimentare ormai trasformato viene assorbito. La funzione assorbente della mucosa intestinale è esaltata dalla presenza di sollevamenti della stessa, in forma di pliche o di piccole digitazioni dette villi, grazie ai quali la superficie intestinale di assorbimento viene ad essere notevolmente aumentata. Le scorie non utilizzate sono sospinte verso l’estremità anale del tubo digerente.Nell’intestino, che ha la forma di un lungo tubo, si distinguono due segmenti principali, l’intestino tenue e l’intestino crasso. L’intestino tenue viene a sua volta suddiviso in duodeno, digiuno e ileo. Il duodeno fa seguito allo stomaco, con il quale comunica a livello del piloro è lungo circa 20 cm, ed è fissato alla parete posteriore dell’addome, ove forma un’ansa attorno alla testa del pancreas. Nel duodeno sboccano i condotti escretori di due importantissime strutture ghiandolari annesse al tubo digerente, il fegato e il pancreas. Il primo secerne la bile, che svolge un ruolo fondamentale nella digestione e nell’assorbimento dei grassi il secondo invece produce un succo molto ricco di enzimi, i quali hanno funzioni specifiche nella digestione di proteine, acidi nucleici, carboidrati, lipidi. Nel duodeno l’ambiente è marcatamente alcalino, a differenza di quanto si ha nello stomaco. L’intestino digiuno, così detto perché all’autopsia lo si ritrova generalmente vuoto, fa seguito al duodeno, e la zona di passaggio tra i due è costituita dalla cosiddetta flessura duodenodigiunale o angolo di Treitz. L’intestino ileo è così denominato perché situato vicino all’osso ileo del bacino esso termina in corrispondenza di una formazione detta valvola ileocecale, a livello della quale inizia l’intestino crasso. Tra digiuno e ileo non vi sono limiti anatomici precisi complessivamente questo tratto dell’intestino è lungo circa 7 m è molto mobile ed è collegato alla parete posteriore dell’addome mediante una piega del peritoneo detta mesentere, entro la quale decorrono i vasi ed i nervi diretti all’intestino.L’intestino crasso, così detto perché ha un diametro maggiore di quello dell’intestino tenue, costituisce l’ultima porzione del tubo digerente e viene distinto in diversi segmenti: cieco, colon (a sua volta distinto in colon ascendente, trasverso e discendente), sigma e retto quest’ultimo si apre all’esterno in corrispondenza dell’ano.


L’intestino cieco ha la forma di un diverticolo a fondo chiuso, nel quale si apre una porzione assottigliata, ricca di strutture linfatiche, detta appendice cecale.Complessivamente, l’intestino crasso ha una lunghezza di circa 2 m e in esso avviene fondamentalmente solo l’assorbimento di acqua e di elettroliti ciò comporta l’addensamento del contenuto intestinale, che si accumula nell’ultimo tratto di intestino assumendo le caratteristiche delle feci. Queste vengono emesse all’esterno con l’atto della defecazione, che è un atto riflesso ma controllato dalla volontà, e che viene attivato dalla distensione dell’intestino retto.Mentre la bocca ha una conformazione anatomica ed una struttura istologica del tutto particolari, le porzioni restanti del tubo digerente hanno un’organizzazione strutturale simile essa risulta fondamentalmente costituita da uno strato interno mucoso, attorno al quale si dispone uno strato muscolare. La mucosa dell’esofago è tappezzata da un epitelio piatto pluristratificato nello stomaco e nell’intestino è invece rivestita da un epitelio ricco di strutture ghiandolari, che hanno caratteristiche variabili nei diversi tratti del tubo digerente, in rapporto alle loro diverse specializzazioni ed alla sequenza precisa con cui i vari processi digestivi si svolgono.Nella mucosa dello stomaco e dell’intestino si trovano inoltre diversi tipi di cellule endocrine appartenenti al cosiddetto sistema endocrino diffuso gli ormoni prodotti influenzano l’attività secretoria e peristaltica dei diversi tratti del tubo digerente.Al di sotto della mucosa si trova uno strato di tessuto connettivo lasso detto sottomucosa. Lo strato muscolare della parete è formato da lamine di fibrocellule muscolari lisce, che negli strati interni hanno un decorso trasversale, in quelli esterni un decorso longitudinale rispetto all’asse del tubo digerente.L’attività degli strati muscolari della parete, coordinata da riflessi nervosi che in parte si realizzano nell’ambito della parete stessa e in parte vengono coordinati nei centri del sistema nervoso centrale, comporta movimenti di segmentazione e di peristalsi e movimenti pendolari, i quali determinano un continuo mescolamento del contenuto intestinale (che facilita i processi di digestione e di assorbimento) e la sua progressione verso l’estremità anale del tubo digerente.Esternamente allo strato di tessuto muscolare si trova uno strato di tessuto connettivo lasso questo nello stomaco e nell’intestino può essere rivestito più o meno completamente dal peritoneo, il quale può formare dei legamenti o mesi che collegano o fissano le strutture dell’apparato d. alle pareti della cavità addominale.Lungo tutto il tubo digerente, al di sotto dell’epitelio mucoso, si trova una grande quantità di tessuto linfatico, diffuso o in noduli solitari o aggregati esso costituisce una componente quantitativamente molto importante del sistema immunitario e risponde a stimoli antigenici con la produzione di anticorpi che in parte vengono anche secreti nel lume del tubo digerente stesso.La patologiaIl tubo digerente può essere sede di processi patologici numerosi e assai diversi tra loro. Innanzitutto malformazioni congenite, dipendenti da alterazioni dei processi di organogenesi intervenute durante il periodo embrionale o fetale esse possono riguardare la posizione dei vari segmenti o di tutto il tubo digerente (come nel situs viscerum inversus) si possono avere inoltre atresie, stenosi, diverticoli, fistole (a carico di uno o più dei suoi segmenti). Relativamente comuni sono i processi infiammatori, acuti o cronici, specifici o aspecifici i disturbi di circolo (infarti o alterazioni ischemiche d’altro tipo, varici) i tumori benigni e maligni le ulcerazioni della parete determinate dall’azione del succo gastrico acido (ulcera peptica) gli spostamenti anomali di visceri o di loro parti (come per es. nelle ernie, nelle invaginazioni, nei volvoli). Inoltre l’apparato d. può essere interessato secondariamente in corso di malattie generali dell’organismo (quali malattie infettive, endocrine, metaboliche ecc.) o di malattie di altri organi (per es. malattie renali ed epatiche). L’incidenza dei diversi processi patologici e il tipo di disturbi e di sintomi che essi provocano variano a seconda della sede interessata. Le malattie della bocca determinano in genere dolore e difficoltà alla masticazione e alla deglutizione dei cibi. Anche le lesioni della faringe e dell’esofago si manifestano con difficoltà alla deglutizione, accompagnata spesso dalla sensazione che il bolo alimentare si arresti ciò può essere determinato, oltre che da processi patologici, anche da disturbi puramente funzionali (quali spasmi della muscolatura esofagea, particolarmente a livello del cardias), o da processi patologici di strutture attigue, che comportino compressione dell’esofago.Le malattie dello stomaco e del duodeno determinano una serie di disturbi dei processi digestivi, che si manifestano con dolori, bruciori, acidità, nausea, vomito, rigurgiti, senso di peso o di malessere ecc.Questi disturbi vengono a volte definiti genericamente come dispepsia, e possono essere in rapporto anche con malattie di altri organi, o manifestarsi indipendentemente da condizioni patologiche vere e proprie, come disturbi puramente funzionali, a volte in relazione a turbe psichiche di tipo nevrotico.Le malattie dell’intestino tenue possono determinare disturbi della digestione e dell’assorbimento degli alimenti in alcune condizioni, particolarmente in presenza di processi infiammatori, il transito del contenuto intestinale viene accelerato ne risulta l’eliminazione di feci liquide o semiliquide, con un aumento nel numero delle scariche.
Processi patologici della parete intestinale possono anche provocare un arresto del transito (occlusione intestinale). Le malattie dell’intestino crasso possono determinare un’accelerazione nel transito del contenuto intestinale (col risultato di una diarrea), o al contrario il suo rallentamento e quindi una stipsi. Anche questi disturbi possono essere funzionali, indipendenti cioè da alterazioni patologiche a carico della parete.L’indagine diagnostica nelle malattie dell’apparato d. si fonda su indagini cliniche, su esami endoscopici (che consentono anche il prelievo di frammenti di tessuto per esami istologici, o anche l’esecuzione di veri e propri interventi chirurgici, quali l’asportazione di polipi), su esami radiografici, sull’esame chimico, batteriologico e microscopico di campioni di succo gastrico o di succo duodenale o di feci.

DIGESTIONE

Insieme dei processi per mezzo dei quali i cibi che sono introdotti nell’organismo vengono modificati e ridotti a composti semplici, solubili oppure solubilizzabili in acqua, atti a essere assorbiti e assimilati. Il processo della d. è stato interpretato in vario modo nelle diverse epoche. Dapprima esso venne inteso come cozione, termine di difficile interpretazione che solo in parte corrisponde all’idea di cottura, cioè alle modificazioni ottenute con il calore. La dottrina della cozione, che domina tutta la medicina classica, è in seguito perfezionata dalla concozione, altro termine difficilmente interpretabile. Nel XVII sec. le teorie meccaniciste fanno prevalere il concetto di triturazione, simile a quello che avviene nello stomaco muscolare degli uccelli con J.B. van Helmont diventa una fermentazione, divisa in sei diverse fasi.

La natura chimica della d. gastrica è infine chiarita da L. Spallanzani e da Beaumont.La d. si svolge attraverso varie fasi, che hanno luogo nei diversi tratti del tubo digerente, per l’intervento di una serie di enzimi contenuti nei succhi con i quali i cibi vengono a contatto: saliva, succo gastrico, succo pancreatico e succo intestinale. La saliva contiene un’amilasi, detta ptialina, che scinde l’amido cotto.Il succo gastrico contiene acido cloridrico e un gruppo eterogeneo di enzimi proteolitici detti pepsine che scindono le proteine in polipeptidi. Il succo pancreatico contiene enzimi che scindono l’amido (amilasi pancreatica), i trigliceridi (lipasi pancreatica), le proteine (tripsina, chimotripsine, carbossipeptidasi, elastasi), gli acidi nucleici (ribonucleasi e desossiribonucleasi), la lecitina (fosfolipasi A). La mucosa intestinale produce enzimi che scindono le proteine (enterochinasi, aminopeptidasi, dipeptidasi), gli oligosaccaridi (oligosaccaridasi), gli acidi nucleici (nucleasi).

D. dei carboidrati. La trasformazione dei carboidrati (cereali, patate, legumi ecc.) inizia nel cavo orale a opera della ptialina contenuta nella saliva in grado di scindere gli zuccheri. Nello stomaco le destrine vengono in contatto con i succhi gastrici ai quali si mescolano per poi transitare nell’intestino tenue. Qui la d. delle destrine prosegue per l’intervento dell’amilasi pancreatica, un enzima simile a quello salivare, attivato dall’acido cloridrico dei succhi gastrici. Nel lume intestinale, dopo l’azione dell’amilasi pancreatica si trovano zuccheri più semplici (maltosio, lattosio, saccarosio) detti disaccaridi, che sotto l’azione dei microvilli della parete intestinale e dei suoi enzimi (maltasi, invertasi, lattasi) vengono ulteriormente scissi in monosaccaridi pronti per essere assorbiti dai villi e passati al circolo portale e da qui a tutto l’organismo.

D. delle proteine. Le proteine sono molecole molto complesse la cui scissione inizia nello stomaco per opera della pepsina, un enzima secreto dalle ghiandole della parete gastrica, attivata dall’acido cloridrico. Prosegue nell’ambito intestinale con l’aiuto di enzimi secreti dal pancreas, tripsina, chimotripsina, carbossipeptidasi, la cui attività determina una progressiva demolizione della molecola proteica fino a ottenere un prodotto assimilabile dall’organismo: gli aminoacidi. Essi passano al sangue, attraverso la vena porta che giunge al fegato: qui gli aminoacidi sono in parte trattenuti e in parte distribuiti poi in tutto l’organismo. L’organismo umano utilizza gli aminoacidi per la sintesi cellulare delle proteine specifiche per ogni tessuto e organo, cioè per la costruzione della materia vivente.D. dei lipidiL’assorbimento dei grassi è più lento di quello delle proteine e dei carboidrati. Nello stomaco vengono separati dalle altre sostanze alimentari, poi nel duodeno vengono emulsionati (cioè ridotti in minute goccioline) dalla bile e quindi attaccati dalla lipasi: questo enzima, prodotto dal pancreas, scinde i grassi in monogliceridi (glicerolo e acidi grassi).

DIGESTIVI

Farmaci che possono favorire la digestione gastrica stimolando la secrezione cloridropeptica, nel qual caso vengono detti eupeptici, o sostituendo uno o più componenti del succo gastrico, nel qual caso sono detti sostitutivi. I moderni d. ad azione sostitutiva contengono anche enzimi pancreatici (lipasi, amilasi ecc.) per facilitare la digestione intestinale, in caso di carenza di tali enzimi (deficit ereditari od in seguito a malattie pancreatiche, come la pancreatine acuta) si somministrano in preparazioni gastroresistenti per impedire l’attacco da parte del succo gastrico.

DIGITALE

(O Digitalis), genere di piante dalle quali si ricavano farmaci cardiocinetici, detti digitalici. In particolare da Digitalis purpurea si estrae la digitalina (o digitale), da Digitalis lanata si estrae la digossina, che con i suoi derivati forma i digitalici oggi più usati.Hanno effetti terapeutici e citotossici.

DIGITALICI

Farmaci cardiocinetici estratti da piante dei generi digitale e strofanto, detti anche glucosidi cardioattivi, dei quali la digossina può essere considerata il prototipo.Gli effetti di questi farmaci a livello cardiaco sono molteplici, sia sulla funzione meccanica che su quella elettrica, e si esplicano contemporaneamente: aumento della contrattilità, della gittata e della velocità di contrazione cardiaca, diminuzione della conduzione atrio-ventricolare e della frequenza cardiaca. Pertanto essi sono usati nello scompenso cardiaco, nel controllo della frequenza cardiaca in caso di fibrillazione atriale o tachicardia sopraventricolare.Sono controindicati se l’infarto è recente (aumentano il consumo di ossigeno miocardio con rischio di estensione dell’area infartuata), nei blocchi atrio-ventricolari incompleti, nelle bradicardie, nelle tachicardie ventricolari, nella sindrome di Wolff Parkinson White e nell’ipopotassiemia.I d. sono farmaci poco maneggevoli, in quanto il margine di sicurezza che separa gli effetti terapeutici da quelli tossici è molto ridotto.Gli effetti tossici si hanno per concentrazioni ematiche di d. superiori a 1,8 ng/ml, con le seguenti manifestazioni: aritmie cardiache, extrasistoli ventricolari, anoressia,nausea e vomito, cefalea, confusione mentale, parestesie, delirio, disturbi della visione (aloni verdi, scotomi e diplopia), astenia, alterazioni ematologiche (diminuzione delle piastrine, aumento degli eosinofili).Pertanto i d. vanno somministrati in dosi ridotte, e controllandone ripetutamente i dosaggi ematici, negli anziani, nell’insufficienza renale, ipotiroidismo, pneumopatie croniche, scompenso cardiaco grave e nelle alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico (ipopotassiemia, ipomagnesiemia, ipercalcemia).

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